Gestito da congregazioni clericali o confraternite, il sistema ospedaliero della carità si caratterizzava, agli inizi del Trecento, per la sua estensione pressoché ubiquitaria. Si caratterizzava inoltre per la sua incipiente medicalizzazione.Tutto lasciava presagire che l'ingresso dei chirurgi istruiti e di medici addottorati nei luoghi religiosi e poi dell'assistenza caritatevole avrebbe portato questa, nel corso dello stesso secolo, a trasformarsi definitivamente in un'assistenza curativa comprensiva di valenza terapeutica. E invece no: «il sistema ospedaliero dei vuoto scientifico spalancato improvvisamentsecoli XII e XIII, sotto la dominazione e il controllo dellaterrogativo inquietante: la peste, cos'era? Nonostante le illazioni astrologiche e «aeriste», l'incubazione brevis-Chiesa, non resisté alla crisi del Trecento» (Racine). (.]In un'epoca che precedeva di molto l'osservazione microscopica dell'infinitamente piccolo e di parecchio le prime congetture sul «contagio vivo», i bacilli non potevano trovare posto nello schema interpretativo della peste. E nemmeno potevano trovarvi posto i topi e le pulci, nonostante che la loro presenza fosse un dato macroscopico. Però non era un dato fuori dalla norma, la loro presenza non era patologica; era anzi fisiologica a un metabolismo cittadino in continuo svolgimento tra magazzini e cloache', tra granai e canali di scolo, tra approvvigionamento di cibo e smaltimento dei rifiuti. Medici e non medici non prestavano attenzione a questa fauna domestica, che non rappresentava un'anomalia da spiegare. Non si poteva pensare a essa come a una possibile causa o concausa esplicativa.Più esplicativi di pulci e topi apparivano gli astri e il clima. [...| Le straordinarie cause astrali si prolungavano in straordinarie cause telluriche e marine: nel terremoto capace di sprigionare dalle viscere della terra fumi e vapori infernali, nel maremoto capace di sollevare ingenti masse d'acqua portando a morte e putrefazione grandi masse di pesci. […]Astri e clima erano peraltro le sole presenze naturali e razionali in grado di dare plausibilità non teologica, ma logica, alla tesi medica dell'unica causa possibile, probabile, certa: quella dell'aere* corrotto (..]. Un mal'aere sparso dappertutto, come sparsa dappertutto, cioè diffusa ed epidemica, era appunto la peste.Questo era quanto capiva e sapeva, o credeva di capire e sapere, la scienza medica, allibita davanti all'insulto biologico, al contagio inarrestabile, alla malattia inguaribile, al decorso morboso fulminante. (...)Il trauma mentale indotto dalla paura della peste era violento. Nella sensibilità collettiva e nel senso comune, la buona morte, porta d'ingresso felice nella vera vita, si deritualizzava circondandosi di orrore e terrore. La ragione medica non era più attrezzata del senso comune, némeglio orientata. Essa assisteva impotente. La medicina ufficiale appariva come colta da capogiro davanti al vuoto scientifico spalancato improvvisamente dall'interrogativo inquietante: la peste, cos'era? Nonostante le illazioni astrologiche e «aeriste», l'incubazione brevis-sima, il rapido propagarsi, l'acuzie del quadro clinico, la prognosi infausta, facevano della peste una malattia rivoluzionaria, che veniva improvvisa, dopo sette secoli di silenzio, a irrompere nella rete dei concetti medici, scompigliandola. [...] Dall'insipienza e dalla incomprensione derivava l'impotenza.L'apocalisse esorcizzata dall'invocazione a fame, peste. bello, libera nos, Domine, che affidava di nuovo al Divino protettore e guaritore la difesa dal male, si rifletteva in una crisi della medicina che vedeva i medici esautorati da ogni capacità di tutela e di guarigione. (...)Il duro impatto con la peste aveva esautorato la medicina dal ruolo, in via di acquisizione, di teoria convalidata e di pratica efficace. Parallelamente aveva scalzato i medici dal ruolo, acquisito per tradizione e convenzione, di curanti disinteressati e partecipi. In tal modo faceva bruscamente rinculare l'inoltrato processo di laicizzazione della scienza medica, da un lato, e, dall'altro, l'avviato processo di secolarizzazione dell'arte salutare all'interno degli ospedali.Pur se gli ospedali erano ancora luoghi più di religiosi che di medici, la trecentesca crisi della medicina era anche una crisi ospedaliera. […]Erano l'epidemiologia e la clinica della lebbra e della peste a determinare le rispettive valenze e metafore, a condizionare le rispettive istituzioni e strutture, create a difesa. La lebbra era una malattia cronica, suberonica, invalidante, non mortale. Era morte civile, non fisica. La peste era una malattia acuta (...), mortale. [...| Conseguentemente la lebbra era destinata a una struttura ospedaliera che aveva più del cronicario, del nosocomio per sempredegenti. La peste invece era destinata a una struttura ospedaliera per malati acuti, dove questi o morivano o, se fortunati, scampavano alla morte e venivano dimes-si, guariti. Il luogo della lebbra, il lebbrosario, era più simile al vecchio ospizio; il luogo della peste, il lazzaretto, era più simile all'ospedale moderno, che, di fatto, in certo qual senso, anticipava.La peste era dunque un agente non solo destrutturante a più livelli, ma anche mutante, in positivo.COMPRENDERE1) Quale tesi era sostenuta dalla medicina riguardo all'origine della peste?2) Dove veniva ricoverato chi aveva contratto la peste?ANALIZZARE3) Confronta lebbrosari e lazzaretti, poi spiega l'affermazione dell'autore secondo cui il lazzaretto aveva alcuni caratteri in comune con l'ospedale moderno.