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Darwinismo nella letteratura italiana del '900: dalla lotta per la vita alle trasformazion, Lecture notes of Chemistry

La controversa ricezione del darwinismo in italia alla fine del xix e all'inizio del xx secolo, attraverso la lettura di opere di autori come martina daraio, emile zola, giovanni verga, federico de roberto, gabriele d’annunzio, giovanni pascoli e antonio fogazzaro. Il testo illustra come le idee darwiniane influenzarono profondamente la letteratura e la cultura italiana, dando vita a diverse interpretazioni e repercussioni. Le discussioni sulla selezione naturale, l'ereditarietà, la lotta per la vita e il progresso/regresso sono al centro di questo studio.

Typology: Lecture notes

2014/2015

Uploaded on 03/03/2015

Rosa.Morelli
Rosa.Morelli 🇦🇫

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Download Darwinismo nella letteratura italiana del '900: dalla lotta per la vita alle trasformazion and more Lecture notes Chemistry in PDF only on Docsity! DARWIN DAY – 12 febbraio 2008 L’influenza del darwinismo nella letteratura “fin de siecle” di Martina Daraio Era il 1859 quando Darwin pubblicò l’Origine delle specie portando la civiltà ad una svolta epocale. In quest’opera non c’erano ancora riferimenti all’uomo, ma già l’idea che gli animali fossero frutto di un’evoluzione creò parecchio scompiglio tra le file dei creazionisti e dei fissisti. Questi, infatti, erano convinti che le specie fossero inalterabili e create perfette da dio, così come la Bibbia suggerisce. Conoscendo i nostri impeti italiani e date queste premesse non vi sembrerà incredibile che la discussione e i contrasti sull’uomo siano esplosi ancor prima dell’uscita del secondo saggio di Darwin, quello appunto sull’ Origine dell’uomo, del 1871. La polemica scoppiò a Firenze nel 1869 e coinvolse tutta la popolazione: la reazione dell’ambiente cattolico a queste nuove rivoluzionarie teorie fu violenta e decisa, portavoce se ne fecero due intellettuali di grande spessore: Lambruschini e Tommaseo. I toni furono perlopiù sarcastici: si ironizzò sul fatto che “se dalla scimmia è venuto l’uomo, dall’uomo verranno gli angeli..”, oppure si contestò il concetto di uguaglianza tra gli uomini italiani e quelli delle altre nazioni, e per giunta l’uguaglianza con le scimmie! Ma la preoccupazione latente dietro tutta quest’ironia fu molta e da non sottovalutare: vacillò il concetto di libertà schiacciato da quello di determinismo e si temette che la popolazione si lasciasse suggestionare da tali idee capaci di estromettere Dio dalla creazione. Il fronte laico dal canto suo fu difeso da un filosofo russo dichiaratamente darwinista: Herzen. Questo seppe essere all’altezza nei toni e nei temi: parlò della “brama clericale dell’ignoranza obbligatoria per il popolo” contestando la volontà dei cattolici di non diffondere le ricerche di Darwin, difendette il determinismo utilizzando anche i risultati degli studi fisiologici, statistici e storici... insomma, seppe tenere testa al dibattito. Tommaseo però s’innervosì e gli scagliò addosso un libro. E fu proprio con questo comportamento violento e animalesco, che tacitamente dava conferma alle teorie di Darwin, che il dibattito si chiuse. Inevitabili a questo punto furono le ripercussioni sulla letteratura italiana e straniera. Emile Zola dalla Francia compose il ciclo de Les Rougon-Macquart in cui volle descrivere la “storia naturale e sociale di una famiglia nel corso del secondo impero” cercando di dimostrare matematicamente l’ereditarietà biologica: ed ecco allora come la malattia nervosa di cui soffre nonna Adelaide compare anche in parecchi suoi discendenti incontrati nel corso della narrazione. Ma la lezione darwiniana in Zola torna anche nell’importanza che egli attribuì alla corporeità dei suoi personaggi, alla loro fisicità, senza temere un realismo troppo crudo perché, come disse De Sanctis, “l’eticità è nelle cose stesse”, e non serve moralizzare, intervenire. Inoltre De Sanctis, nel saggio Il darwinismo nell’arte fece notare come le teorie darwiniste modificarono profondamente la concezione del reale degli uomini di fine secolo: si cominciò a prestare sempre maggiore attenzione al divenire e alle trasformazioni degli uomini che, progredendo o regredendo, pur sempre cambiano. Ecco quindi come i narratori fecero parlare i fatti in sè, avvicinandosi al popolo e studiandone i comportamenti, le contraddizioni e le modificazioni. Ma come purtroppo accade frequentemente, anche questa volta le strumentalizzazioni tesero il loro agguato: ci fu chi iniziò a parlare di “darwinismo sociale” sostenendo che il più forte è il più giusto o, per dirla con le parole di Bismark, che “la forza vince il diritto”. Tornando alla letteratura, e in particolare spostando l’attenzione sull’Italia, possiamo osservare come le interpretazioni e le ripercussioni del pensiero darwiniano furono molteplici. Darwin parlò di selezione naturale, di lotta per la vita, di progresso. Ciascun artista mise in luce ed enfatizzò solo alcune parti del discorso generale ed ecco quindi che nacquero due principali correnti una di seguito all’altra: quella verista, erede di Zola, rappresentata soprattutto da Verga, Capuana e De Roberto; e quella decadente, in cui spiccano soprattutto D’Annunzio, Pascoli e Fogazzaro. I primi potremmo dire che “immobilizzarono” Darwin spogliandolo dell’elemento evolutivo e concentrandosi sulla lotta per la vita, i secondi invece lo “rimobilizzarono”, puntando proprio sull’idea di progresso (o regresso). Ma andiamo con ordine. Nel 1878 Giovanni Verga iniziò la composizione del Ciclo dei Vinti. Ecco cosa scrisse lui stesso a Salvatore Pada: “ho in mente un lavoro che mi sembra bello e grande, una specie di fantasmagoria della lotta per la vita”. Il suo interesse si rivolge soprattutto ai vinti, come ben leggiamo dal titolo, ma l’idea è quella di raccontare ciò che accade in tutte le classi sociali. Il viaggio inizia da I Malavoglia, famiglia di pescatori, continua poi con Mastro don Gesualdo, un self-made-man diremmo oggi, e qui si ferma perché, dice Verga, le classi alte sono così inautentiche e “mascherate” che diventa impossibile descriverle. Nel progetto originario invece la lotta per la vita avrebbe coinvolto anche una duchessa, un’onorevole e un’artista: “ciascuno, dal più umile al più elevato, ha avuta la sua parte nella lotta per l’esistenza”. Nella prefazione ai Malavoglia poi, Verga rincara la dose: l’aspirazione a far meglio porta al peggio e i vincitori di oggi saranno i vinti di domani. Aggiunge inoltre che nessuno può essere sincero perché questa lotta implica dissimulazione, richiede di nascondere i propri sentimenti per non mostrare i punti deboli, porta l’uomo ad indossare una maschera sdoppiandosi. Tema, questo del doppio e della maschera, che in Italia qualche decennio dopo vedremo diventar caro a Pirandello, ma che anche all’estero raccoglie parecchi consensi: Robert Louis Stevenson, in Lo strano caso di Dr. Jekyll e Mr Hyde ci descrive un doppio che funge da inconscio (l’Es freudiano); Edgar Allan Poe in William Wilson al contrario fa coincidere la figura del doppio con la coscienza morale del protagonista (il Super-Io freudiano); infine Fedor Dostoevskij che, in Il Sosia, fa del doppio tante cose insieme. Ma tornando ai nostri veristi siciliani, “immobilizzatori di Darwin”, vediamo come di idee molto affini a quelle di Verga sia il suo collega Federico De Roberto. Egli pubblicò I vicerè nel 1894: anche qui l’idea centrale è che nella storia nulla cambia. Non c’è progresso ma solo lotta per la vita. “La storia è una monotona ripetizione; gli uomini sono stati, sono e saranno sempre gli stessi”, poi aggiunge: “la differenza è tutta esteriore”. E in questo bisogna notare che i nostri realisti sono parecchio distanti dal loro maestro Zola che invece nel progresso ci credeva e che nel suo Germinal descrisse, dietro un’apparente staticità, la nascita di una coscienza operaia, l’abbozzo di un grande cambiamento.
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