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Diritto al silenzio e testimonianza dell'imputato - Diritto Penale - Ferrua, Appunti di Diritto Processuale Penale

Diritto processuale penale - Riassunto del capitolo 5 del manuale di Ferrua 

Tipologia: Appunti

2011/2012

Caricato il 09/07/2012

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Scarica Diritto al silenzio e testimonianza dell'imputato - Diritto Penale - Ferrua e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! CAPITOLO 5 Diritto al silenzio e testimonianza dell’imputato • 1 Il diritto al silenzio in un processo accusatorio: il dibattimento come luogo di parola Dalla riforma costituzionale del giusto processo scaturiscono chiare e precise indicazioni sul piano dei materiali utilizzabili a fini decisori (complesso delle regole di inclusione ed esclusione probatoria). Più incerte e sfumate le implicazioni sul diritto al silenzio, di cui l’art 111 cost. non detta espressamente alcuna direttiva. Questo non deve indurre ad ignorare un dato inconfutabile: un processo, in cui le prove si formano in contraddittorio, deve per la sua stessa funzionalità garantirsi dal rischio che chi ha reso dichiarazioni nell’ind. prel. si sottragga nel dibattimento all’esame incrociato; esigenza che può ignorare un modello a sfondo inquisitorio, nel sistema accusatorio il giudizio è un luogo di parola, di scontro dialettico e non sede di mortificanti silenzi. È chiaro che l’imputato non può essere obbligato a deporre contro se stesso, ma la garanzia del diritto al silenzio non va spinta oltre misura. Bisogna distinguere: a) sul fatto proprio la facoltà di tacere esige incondizionata tutela, essendo sempre sovrastante il pericolo dell’autoincriminazione; b) sul fatto altrui il livello di garanzia può essere minore, specie quando l’imputato abbia già liberamente scelto di rendere dichiarazioni erga alios. Qui il silenzio si giustifica solo davanti a singole domande che espongano in concreto l’interrogato al pericolo di autoincriminazione: lo strumento protettivo dev’essere duttile e funzionale alle esigenze del caso, ossia del tipo di quello previsto dagli artt. 63 e 198,2 c.p.p. Esistono situazioni in cui la connessione tra fatto altrui e fatto proprio è così stretta (es. coimputazione nel medesimo reato) che imporre un obbligo di parola sul primo equivarrebbe nella sostanza ad imporlo anche sul secondo; ma in casi del genere, è cmq ragionevole che il diritto al silenzio si affievolisca quando l’imputato sia chiamato a deporre dopo la chiusura del proprio processo con sentenza irrevocabile. Da queste esigenze nascono le restrizioni al diritto al silenzio operate dalla legge sul giusto processo, all’insegna di un equilibrato compromesso tra questo diritto e quello al confronto con l’accusatore, rispettivamente protetti dagli artt. 24,2 e 111,3 cost. il trade-off si è realizzato lungo due direttive: a) Caduta radicale dell’incompatibilità a testimoniare per l’imputato prosciolto o condannato con sentenza irrevocabile; b) Imposizione di obblighi testimoniali all’imputato di un diverso reato in procedimenti connessi o collegati che abbia reso dichiarazioni concernenti l’altrui responsabilità. In entrambi i casi l’assunzione della qualità di testimone è compensata con una serie di cautele: assistenza di un difensore, riconoscimento del diritto di astenersi dal deporre su certi temi e valutazione della testimonianza secondo i criteri ex art. 192,3 c.p.p. per le dichiarazioni dei coimputati. • 2 L’imputato-testimone: a) dopo la sentenza irrevocabile Un’innovazione è contenuta nell’art. 197, 1 bis c.p.p. : ‘l’imputato in un procedimento connesso ex art. 12 o di un reato collegato ex art. 371,2 lett. b), può sempre essere sentito come testimone quando nei suoi confronti è stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ex art. 444’. La caduta dell’incompatibilità a testimoniare riguarda tutti gli imputati di procedimenti connessi o collegati (anche i coimputati nel medesimo reato, per i quali il legame tra fatto proprio e altrui è più intenso). La ratio è che dopo la chiusura del processo con sentenza irrevocabile, non è più configurabile un concreto interesse difensivo a non deporre come teste (permane solo l’esigenza di non compromettere la possibilità di una revisione per chi sia stato ingiustamente condannato). Può sorgere incertezza sul regime applicabile dopo la pronuncia del provvedimento di archiviazione o della sentenza di non luogo a procedere nell’udienza preliminare. Si possono ipotizzare tre soluzioni, cioè che il soggetto sia sentito: a) Come testimone sic et semplicer, sul presupposto che, non essendo più indagato né imputato, sia inapplicabile il regime di compatibilità ex art. 197; b) Come testimone assistito, sul presupposto che l’archiviazione e il non luogo a procedere siano equiparabili alle sentenze irrevocabili; c) Come imputato o indagato in proc. connesso o collegato, sul presupposto che, non essendo l’archiviazione o la sentenza di non luogo a procedere contemplate negli art. 197 e 197 bis, permanga il regime di incompatibilità a testimoniare previsto per gli imputati in procedimenti pendenti Sul piano esegetico la risposta corretta parrebbe la terza: il silenzio degli artt. 197 e 197 bis non può considerarsi una lacuna, ma l’esito di una scelta volta a distinguere dalle sentenze propriamente irrevocabili l’archiviazione e il non luogo a procedere, come provvedimenti dotati di minore stabilità, definitivi solo allo ‘stato degli atti’; in rapporto ai quali si profila maggiormente la possibilità di una riassunzione della veste di indagato o imputato per effetto della riapertura delle indagini o della revoca della sentenza di non luogo. (ragioni sulla cui base la corte cost. ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità degli artt. 197 e 197 bis nella parte in cui vietano di sentire l’indagato o l’imputato dopo la pronuncia di archiviazione o della sentenza di non luogo) Una recente sentenza delle sezioni unite ha affermato che l’indagato, quando sia disposta l’archiviazione, depone come testimone comune. Viceversa la Cassazione ha lasciato intendere che rimane soggetta al regime di incompatibilità a testimoniare la persona nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere (ma restano salvi gli obblighi testimoniali che alla medesima persona derivassero dall’aver reso dichiarazioni sull’altrui responsabilità, cioè la sentenza di non luogo a procedere lascia sopravvivere l’incompatibilità a testimoniare solo quando questa non sia già caduta o non cada successivamente per effetto delle regole sullo status dell’imputato erga alios). Tra gli effetti positivi della pronuncia delle sezioni unite vi è quello di eliminare una situazione paradossale che si determinava a causa della sopravvivenza dell’incompatibilità a testimoniare in caso di archiviazione. Accadeva che l’imputato di un grave reato (es. violenza sessuale) denunciasse strumentalmente per calunia la vittima del reato, rendendo così applicabile nei suoi confronti il regime degli artt. 197 caduto ogni riferimento al giudice e al contraddittorio che figurava nel testo votato in prima lettura alla camera); “se renderà dichiarazioni su fatti che concernono responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l’ufficio di testimone”. Ciò significa che l’imputato potrà essere sentito come teste già nell’i.p. (relativamente al reato connesso o collegato su cui abbia reso dichiarazioni); sia dal p.m., come conferma l’aggiunta del richiamo all’art197 bis (persone imputate o giudicate in procedimento connesso o collegato che assumono l’ufficio di testimone) nel contesto dell’art 362 relativo all’assunzione di informazioni; sia dalla stessa polizia giudiziaria, dato che l’art 351 rinvia al secondo e terzo periodo dell’art 362. Quanto alla testimonianza davanti al giudice, nella maggior parte dei casi l’imputato deporrà nel procedimento separato, connesso o collegato. Non è esclusa una testimonianza nel medesimo procedimento, se fosse stata disposta la riunione dei procedimenti ex art 17 (i cui presupposti vengono ristretti dalla sostituzione dell’inciso “quando non pregiudichi la rapida definizione degli stessi” con “quando non determini un ritardo nella definizione degli stessi”); sarà la parte interessata a indicare come teste l’imputato che abbia reso dichiarazioni sul fatto altrui o il giudice a disporre, anche d’ufficio, l’assunzione ex art 507. Di testimoni il codice parla anche con riferimento alle i. p. (es. art 195,4 relativo al divieto della polizia giudiziaria di “deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni”); quanto al verbo assumerà declinato al futuro, l’argomento è addirittura autoconfutante, essendo parimenti declinato anche il verbo della protasi (“se renderà dichiarazioni”) come a segnalare la piena contestualità dei due momenti, quindi l’immediato realizzarsi dell’effetto. Si può ragionevolmente sostenere che l’imputato assuma la qualità di testimone solo al termine e non già durante l’interrogatorio in cui abbia reso dichiarazioni sul fatto altrui. Occorre che l’atto di indagine sia perfezionato; dopo di che il dichiarante erga alios potrà essere immediatamente sentito come teste in ordine al reato connesso o collegato, indipendentemente dalla fase in cui si trova il relativo procedimento. • 5 l’oggetto della testimonianza: i fatti concernenti l’altrui responsabilità La libera scelta di rendere dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri è la condizione perché l’imputato assuma la qualità di testimone. Quei fatti formeranno l’oggetto della testimonianza assistita. A realizzare tale presupposto è sufficiente che le dichiarazioni vertano su fatti concernenti l’altrui resp., quali che siano i riflessi sulla propria e indipendentemente dalla circostanza che si formino esplicite accuse. L’avvertimento previsto dall’art 64 vuole consentire all’imputato di scegliere deliberatamente cosa dichiarare, poco importa se nel rendere certe dichiarazioni sia in concreto consapevole della loro idoneità a coinvolgere altre persone; l’atteggiamento psicologico, l’intenzionalità del dichiarante è irrilevante. Quel che conta è il dato oggettivo di averle liberamente rese, dopo l’informativa; e anche quando la loro rilevanza erga alios si manifestasse in un momento successivo, si avrebbe cmq l’obbligo di deporre come teste. Il problema sta nel definire la nozione di “fatti che concernono la responsabilità di altri”. Il rapporto di pertinenza tra gli uni e gli altri può essere diretto – quando il dichiarante riferisca in tutto o in parte l’altrui condotta criminosa – o indiretto, quando i fatti dichiarati appaiono induttivamente rilevanti per l’accertamento del reato. Più difficile stabilire se il nesso induttivo debba essere di natura tale che il fatto di reato sia già individuabile in base alle stesse dichiarazioni o se sia sufficiente che queste assumano un qualche significato in positivo come in negativo, nella catena inferenziale che dalle prove porta al tema da provare (il fatto di reato). I fatti su cui si rendano dichiarazioni sono qualcosa di più ampio dei fatti propriamente dichiarati. Gli uni aprono un tema, gli altri sono definiti dalle singole risposte fornite su quel tema. È possibile che il coimputato si trovi obbligato come teste a rispondere su profili rimasti inesplorati nell’interrogatorio davanti al p.m., purché attinenti al medesimo oggetto (i fatti altrui su cui ha parlato in precedenza). Per l’imputato fermamente contrario a testimoniare, il miglior partito sarebbe di tacere sin dall’ind. prel. (probabile linea difensiva di molti casi). • 6 la testimonianza nel medesimo processo L’art 210,6 contempla l’ipotesi che siano assunti in un procedimento separato imputati di reati connessi o collegati (ex artt. 12 lett. c e 371 lett. b) che non abbiamo reso in precedenza dichiarazioni concernenti l’altrui responsabilità; dispone che a “tali persone è dato l’avvertimento previsto dall’art 64, lett c) e, se esse non si avvalgono della facoltà di non rispondere, assumono l’ufficio di testimone. A loro esame si applicano, in tal caso, oltre le disposizioni di cui al comma 5, anche quelle previste dagli artt. 197 bis e 497”. Il senso della disposizione è informare quanti non sono coimputati nel medesimo reato degli obblighi testimoniali connessi all’eventuale scelta di rendere dichiarazioni erga alios; l’assunzione della qualità di teste viene sic et simpliciter collegata alla decisione di rispondere, anziché a quella di parlare di fatti altrui, perché, essendo qui l’esame disposto ex art 210, le dichiarazioni eventualmente rese non possono che vertere su fatti concernenti la resp. altrui. Quindi la qualità di testimone si assume, ex art 64, limitatamente ai fatti sui quali si sceglie di parlare, dunque bisogna ritenere che nel corso dello stesso esame, mutando il tema dell’interrogazione, si riattivi il diritto al silenzio di chi ha risposto su un tema diverso. Nessuna regola è dettata per il caso in cui i procedimenti siano riuniti e gli imputati rendano per la prima volta dichiarazioni erga alios nel medesimo dibattimento; lacuna colmata in via interpretativa con l’applicazione analogica dell’art 64. Il giudice, prima che abbia inizio l’esame, provvede ad avvertire l’imputato che, se renderà dichiarazioni concernenti la resp. altrui, assumerà limitatamente ad essi la qualità di testimone. In generale bisogna ritenere che il medesimo avvertimento sia ormai da includersi tra i preliminari all’esame dibattimentale di ogni imputato, alla stessa stregua in cui lo è per l’interrogatorio dell’indagato. La ratio dell’informativa è di rendere edotto l’imputato che qls dich. da lui resa lo convertirebbe in testimone sui fatti dichiarati nel momento stesso in cui questi assumessero rilevanza nei confronti di altri imputati per reati diversi, in processi collegati o connessi. • 7 diritti e garanzie dell’imputato-testimone La testimonianza del coimputato presenta 2 garanzie: 1) Assistenza di un difensore autorizzato a presenziare all’assunzione della testimonianza che può formulare richieste, osservazioni e riserve a tutela del proprio assistito, ma non ha partecipazione attiva all’esame, formulando direttamente domande, poiché al coimputato non è riconosciuto lo status di imputato; 2) Diritto del teste di astenersi dal deporre su certi temi: a) Se il coimputato è assunto come teste dopo la pronuncia della sentenza irrevocabile “non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata la sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento egli aveva negato la propria resp. o non aveva reso alcuna dichiarazione”: in ogni caso restano le dichiarazioni inutilizzabili contro chi le ha rese in sede di revisione e di giudizio civile e amministrativo (197, 4 e 5); b) Se assunto prima della sentenza definitiva, “no n può essere obbligato a deporre sui fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei suoi confronti”, e “in ogni caso le dichiarazioni(…)non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nei procedimenti a suo carico”. Si tratta dei quel privilege against self-incrimination che la camera, nel progetto votato in prima lettura, aveva lasciato indefinito stante l’impossibilità di distinguere tra fatto proprio e altrui nel medesimo reato; ma che non vi è ragione di negare rispetto alla testimonianza su un diverso reato, connesso o collegato. La proposizione “non può essere obbligato a deporre” non è un incapacità testimoniale, ma garantisce al soggetto la facoltà di astenersi dal rispondere su determinati fatti, con la conseguenza che tt le dichiarazioni imposte quando aveva diritto di tacere sono inutilizzabili nei suoi confronti quando il teste è al tempo stesso imputato in un procedimento connesso o collegato (inutilizzabilità relativa); mentre quando l’imputato è interrogato o esaminato nel suo processo in veste di testimone, le dichiarazioni rese liberamente sul fatto proprio potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti. L’inutilizzabilità delle dichiarazioni sul fatto proprio delle dichiarazioni rese dal coimputato-testimone è compatibile con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale perché non immunizza il dichiarante né impedisce la sua condanna in base a prove diverse (tra cui le dich. rese dagli altri coimputati-testimoni). • 8 criteri di valutazione della testimonianza Per il valore delle dichiarazioni rese dagli imputati assunti come testi la nuova disciplina rinvia ai criteri di valutazioni ex art 192,3, senza distinzione se l’imputato abbia deposto prima o dopo la sentenza irrevocabile.; in entrambi i casi le dichiarazioni saranno “valutate unitamente agli elementi di prova che ne confermano l’attendibilità” F 0 E 0 la qualità di testimone assunta dall’imputato non aggiunge nulla, sul piano dei criteri legali, al valore delle sue dichiarazioni. Oltre al criterio implicito che la colpevolezza va provata al di là di ogni ragionevole dubbio, non occorre alcun criterio legale di valutazione della prova, qual è il valore di ogni singola prova, tra tutto il materiale probatorio legittimamente acquisito, può dirlo solo il giudice secondo le regole della logica, della scienza e delle esperienza, impossibili da cristallizzare in formule legali. La posizione dell’imputato-testimone risulta più vicina all’imputato di un reato connesso o collegato piuttosto che a quella del teste tout court. Mentre l’imputato irrevocabilmente assolto per non aver commesso il fatto viene assimilato per ogni effetto al puro e semplice testimone (la sent. 381/2006 dichiara illegittimo l’art 197,3
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