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Abbecedario del sistema educativo cap.1, Dispense di Sistemi Informativi

Primo capitolo del libro scritto dal Prof. Brocca

Tipologia: Dispense

2016/2017

Caricato il 05/02/2017

julyjuls88
julyjuls88 🇮🇹

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Anteprima parziale del testo

Scarica Abbecedario del sistema educativo cap.1 e più Dispense in PDF di Sistemi Informativi solo su Docsity! CAPITOLO PRIMO LE FOCALIZZAZIONI Parole in bilico «Nel principio era la Parola, e la Parola era presso Dio, anzi la Parola era Dio». (Giovanni Evangelista) Sconcertante e istruttivo è il dialogo, tra Alice e Tombolo Dondolo, sul significato della parola gloria. 1 Quest’ultimo rivolgendosi alla fanciulla, sorridendo, ma con un’aria di superiorità, soggiunse: «È naturale che tu non capisca ... finché non te lo spiegherò io. Volevo dire che questo è un ottimo argomento per darti torto». Alice obiettò: «Ma gloria non significa un ottimo argomento per darti torto». La disputa tra i due – come è noto – continuò intorno alla possibilità che le parole possano indicare cose diverse e si concluse con la perentoria e sdegnata sentenza di Tombolo Dondolo: «Bisogna vedere chi è che comanda ... ecco tutto». Si omettono tutti gli spunti di filosofia del linguaggio che il brano offre e si sottolinea, invece, la categorica affermazione di Tombolo Dondolo in base alla quale, per definire l’accezione di un termine, bisogna prima vedere chi comanda. Ciò vuol dire che il detentore di un potere culturale, sociale, politico può attribuire alle parole il contenuto e la forma che più gli aggradano. La tesi, pur sembrando esorbitante, contiene un fondo di verità. Infatti, i potenti personaggi degli organismi dello Stato, dei sodalizi della finanza, delle confederazioni dei sindacati, delle corporazioni delle professioni, delle associazioni di categoria, dei circoli dell’informazione ... assegnano, sovente, alle parole valori e denotazioni differenti. Anche per questo motivo «Le parole sono spesso [...] consumate, estenuate, svuotate con un uso eccessivo e soprattutto inconsapevole. Per raccontare dobbiamo rigenerare le nostre PAGE 54 1 CARROLL L., Alice nel mondo dello specchio, Milano, BUR, 1992, p. 203. parole». 2 Si deve restituire a esse – secondo Gianrico Carofiglio – consistenza, colore, suono, odore ... In breve, è necessario “manometterle” facendole, prima, a pezzi per, poi, ricostruirle. La manomissione è una operazione di rottura e di aggiustatura. In effetti, il verbo manomettere ha due versioni, solo apparentemente diverse: nella prima è sinonimo di alterazione, violazione, danneggiamento; nella seconda è sinonimo di liberazione, riscatto, emancipazione. Senza essere sospettati di aderire alla teoria del decostruzionismo, il cui massimo assertore fu il pensatore francese, Jacques Derrida, si può convenire con Gustavo Zagrebelsky sulla urgenza di aver cura delle parole, ultimo comandamento di un suo ideale decalogo riguardante l’etica democratica. 3 Assodato che «i limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo» 4 e che l’ipocognizione (mancanza di idee per interpretare la realtà) è un fenomeno dovuto alla penuria di parole, ne consegue non solo la rilevanza della quantità di quelle possedute, ma l’importanza della qualità delle medesime, la quale si evince dallo stato di salute, dal modo di impiego, dalla forza espressiva. Se si tiene, poi, conto della dichiarazione con cui Giovanni inizia il suo Vangelo, si deve ammettere che l’atto linguistico è, nel contempo, creativo e operativo, soprattutto come elemento di una catena discorsiva. Questa peculiarità riguarda anche le parole illustrate nel presente capitolo, le quali verranno sezionate e ricomposte (anatomizzate e ricucite) a una a una poiché in esse si concentrano i temi principali che costituiscono il tessuto pedagogico del sistema di istruzione e di formazione. Sono parole in bilico in quanto rappresentano sia una posizione di equilibrio instabile, tra molteplici giustificazioni teoriche, alla quale si accompagna il pericolo di precipitare verso una di esse escludendo le altre; sia una condizione di dubbio che si vive di fronte alle molte opzioni esegetiche che si propongono con il pericolo, per l’esegeta, di affogare nell’incertezza. Si tratta di parole che vengono catalogate in tre grandi rubriche: delle configurazioni (parole strutturali); delle missioni (parole funzionali); delle convergenze (parole conterminali). Esse designano oggetti, concetti, sentimenti e sono, pertanto, strumenti del pensiero il quale PAGE 54 2 CAROFIGLIO G., La manomissione delle parole, Milano, BUR extra Rizzoli 2011, p. 13. 3 Cfr. ZAGREBELSKY G., Imparare democrazia, Torino, Einaudi, 2007, alle pp. 15-38. 4 WITTGENSTEIN L., Tractatus logico-philosophicus, Torino, Einaudi, 1995, 5-6. se ci fosse, non apparterrebbe al maligno, ma, chiaramente, non apparterrebbe nemmeno alla natura degli argomenti che verranno di seguito affrontati. La riflessione si ferma all’ingresso dell’autostrada del traffico scientifico e sulla soglia del salotto della speculazione filosofica. Tuttavia, pur accantonando i temi principali che il problema della struttura involge (l’origine, la paradigmaticità, la complicatezza, la stratificazione, la discordanza ...) non si scorda che anche in campo pedagogico la prospettiva strutturale ha acquistato una sempre maggiore importanza epistemologica. Sistema «Se noi giriamo una ruota isolata a un perno fisso, tutto è un perpetuo ritorno, se la ruota si associa con un’altra in un sistema mobile, ecco che procede e compie un lavoro che “prima non era”». 9 Questo aforisma, tratto da una poesia di Clemente Rebora, introduce in modo appropriato e ingegnoso il concetto di sistema che può essere così parafrasato: una unità da sola, quandanche si muovesse, non darebbe vita a un sistema perché, al massimo determinerebbe un perpetuo e noioso ritorno, mentre più unità associate e interrelate, procedendo con movimenti diversificati compirebbero un lavoro che «prima non c’era», cioè genererebbero un sistema. La più recente e attendibile applicazione di esso, nel campo della istruzione e della formazione è quella formalizzata dal Parlamento italiano, sia con la legge n. 30/2000 (abrogata), sia con la legge n. 53/2003 (deturpata). Il legislatore in tutti e due i casi parlava di “sistema educativo”. Si era e si è, tuttora, di fronte a un pronunciamento trasparente e forte che non suscita malintesi e che ha il suo punto di appoggio nella parola sistema. Che cosa è un “sistema”? Se si asserisce – ricorrendo a una nota definizione – che esso è un «insieme di oggetti e di relazioni tra questi oggetti e tra i loro attributi», 10 si può trovare una sufficiente condivisione, ma non si può pretendere di aver risolto definitivamente il problema. Volendo entrare nel merito in maniera più approfondita, occorre far tesoro delle indicazioni che provengono dalla Teoria Generale dei Sistemi (TGS) e applicarle all’argomento della presente indagine. Il concorso recente di più PAGE 54 9 REBORA C., 3-I-446. 10 GUBERT R., Sistematica, in DEMARCHI F., ELLENA A., CATTARINUSSI B. (a cura di), «Nuovo Dizionario di Sociologia» Cinisello Balsamo, Ed. Paoline, 1987, p. 1926. Anche per le successive riflessioni si è fatto ampio ricorso alla medesima fonte. discipline teoriche alla crescita della TGS ha consentito e consente di evidenziare alcuni orientamenti: l’attenuazione dell’analisi scientifica classica che si limitava allo studio delle reazioni causa-effetto tra variabili, prevalendo uno schema generale astratto attinente all’unificazione delle varie scienze (nella fattispecie: scienze dell’educazione); la precisazione delle relazioni intercorrenti tra gli elementi del sistema educativo, da non confondersi con un semplice aggregato casuale in quanto esiste un’evidente dicotomia tra l’uno (sistema) e l’altro (aggregato); la differenziazione di ogni «sistema» da un altro sulla base di alcune proprietà che, per quanto concerne l’istruzione e la formazione, verranno esposte (le principali) raggruppandole a seconda della loro affinità logica o sostantiva. Si ritiene, a tal proposito, importante segnalare che, nell’ambito dell’istruzione e della formazione, si è di fronte a un sistema aperto, caratterizzato da uno scambio con l’ambiente tradotto in termini di ingresso, uscita e confine; a un sistema gerarchico, caratterizzato da differenti livelli (subordinati o sopraordinati) dove i rapporti sono regolati da norme di legge; a un sistema condizionale, caratterizzato dal fatto che la relazione tra due elementi del sistema dipende da un terzo elemento (ad esempio, l’interazione tra due individui varia a seconda della loro appartenenza etnica, identica o meno); a un sistema durevole, caratterizzato da parametri che tendono a rimanere entro i recinti dell’equilibrio, dell’omeostasi e della stabilità; a un sistema adattivo, caratterizzato da una sensibilità alla regolazione mediante retroazione; a un sistema dinamico, caratterizzato dall’entitività, dalla sopravvivenza e dall’autodirezione. «Il potere della parola diventerà il potere sulla parola; e a gestirlo non saranno più gli scrittori o i poeti, ma i tecnocrati e i politici». 11 Questa circostanza sta per avverarsi. Infatti, se si osserva quello che accade intorno al linguaggio pedagogico, si scopre che, ad esempio, ai lemmi sistema e servizio si attribuiscono significati contrastanti. Da alcuni anni si vanno affermando nel settore dell’istruzione e della formazione due accezioni discutibili: da un lato con il vocabolo «sistema» si allude a un apparato amministrativo e burocratico dello Stato e, conseguentemente, si contesta il ruolo gestionale del medesimo invocando l’autonomia; da un altro lato con il termine «servizio» si richiama la nozione giuridica connessa a qualsiasi attività avente interessi collettivi e, PAGE 54 11 S. ZAVOLI, Parole d’epoca, Milano, Mondadori, 1990, p. 58. conseguentemente, si sostiene che la scuola debba essere concepita in questo modo. Non si intende criticare questa propensione, ma semplicemente avvertire che nel presente saggio (e negli altri dello scrivente) i due sostantivi sono usati indifferentemente come sinonimi, per due semplici ragioni: primo, perché altro è il significato che ad essi si attribuisce (sinteticamente, per sistema si intende un insieme organico e articolato di elementi fra essi coordinati in vista dell’espletamento di una funzione e per servizio si intende l’ente che fornisce una prestazione volta a soddisfare un’esigenza della collettività, di varia natura, e con intento pubblico); secondo, perché la vasta letteratura in materia di educazione scolastica e professionale, sino ad oggi, non ha mai accreditato una visione esclusivamente statalistica per quanto concerne la voce sistema e una visione esclusivamente privatistica per quanto concerne la voce servizio. Poiché il concetto di pubblico e il concetto di rete sono ambedue presenti sia nel «sistema» sia nel «servizio», pare ragionevole, sulla base di questa intersezione, poterli usare indistintamente per descrivere la natura e il mandato dell’organismo preposto all’educazione. Acquisito che il sistema educativo è una totalità composta da varie parti interagenti, sospinte da forze centripete (istanze di coordinamento e di orientamento) e centrifughe (istanze di raccordo e di contestualizzazione) e che esso non possiede alcuna parentela con propensioni centralistiche e statalistiche, pare giovevole introdurre poche puntualizzazioni volte a completare l’esplorazione della prima parola strutturale. All’interno di ogni sistema educativo si distinguono tre subsistemi: il sottosistema formale nel quale l’apprendimento si svolge in istituti di istruzione e formazione (compresa la formazione professionale regionale); il sottosistema non formale nel quale l’apprendimento non comporta, di norma, certificazioni ufficiali e si attiva negli ambiti di lavoro o negli organismi della società civile; il sottosistema informale nel quale l’apprendimento si verifica (spesso accidentalmente e inconsciamente) durante le attività della vita quotidiana, in famiglia e nei luoghi del tempo libero (è questo il mondo dell’oltrescuola). Al di là della polemica, ancora viva, tra i fautori dell’accentramento e quelli del decentramento, c’è un presupposto, da tutti condiviso, costituito da tre esigenze da soddisfare nella costruzione del sistema educativo: l’esigenza di PAGE 54 costitutivi della organizzazione siano subordinati a leggi che la contraddistinguono; sono le cosiddette “leggi di composizione”, le quali impediscono un’associazione cumulativa, ma conferiscono al tutto, in quanto tale, proprietà di insieme distinte da quelle degli elementi. La totalità, comunque, solleva in realtà molti problemi dei quali, J. Piaget, ne prende in considerazione due concernenti la natura e la preformazione della totalità. Il carattere di trasformazione compare nella bipolarità di proprietà di una organizzazione che consiste nell’essere sempre strutturata e simultaneamente strutturante. Questo concetto ha avuto un grande successo in quanto è intellegibile proprio nella misura nella quale è messo in pratica. «Ora, un’attività strutturante può consistere solo di un sistema di trasformazione». 13 Il carattere di autoregolazione consiste nel fatto che le organizzazioni regolano se stesse determinando così «la loro conservazione e una certa chiusura». 14 Seguendo la seconda rotaia si perviene alla descrizione della natura operativa della organizzazione del sistema di istruzione e di formazione. Nell’ambito sia dei saperi amministrativi sia delle discipline pedagogiche, il termine operatività sta a indicare le attribuzioni e i compiti (e, quindi, l’esercizio di un potere) che l’organizzazione del sistema educativo svolge (mediante le attività esplicate) nell’interesse dell’intera istituzione (non, perciò, per un tornaconto proprio, che lo rinchiuderebbe nell’angustia dell’autoreferenzialità). Parafrasando Talcott Parsons, le attività che competono sotto questo profilo all’organizzazione (attività finalizzate alla sopravvivenza e all’incremento dell’istituzione), possono essere riassunte in un panel di quattro imperativi: adeguamento del sistema educativo ad altre realtà, alla società, all’ambiente; incremento dei traguardi prefissati con la fornitura delle condizioni e dei mezzi adeguati; coordinamento dei protagonisti mediante l’interiorizzazione del dinamismo sociale e culturale e la rimotivazione all’impegno; mantenimento della stabilità e della coerenza fra le parti organizzate. L’ordinamento dell’istruzione e della formazione ha la facoltà di realizzare un insieme coerente di attività che sono, però, condizionate da alcuni snodi attraverso i quali passa ogni scelta e ogni iniziativa: il personale, relativamente sia alle forme di reclutamento sia all’esercizio della professione; l’apparato PAGE 54 13 Vedasi PIAGET J., Lo strutturalismo, Milano, «Il Saggiatore, A. Mondadori, 1969, pp. 37-48. 14 Ibidem, p. 46. burocratico, sotto i profili di indirizzo e di prestazione; il servizio, nel suo rapporto con le regole imposte, con gli ambienti vissuti, con il consenso ricercato. Istituzione «Un’istituzione è l’ombra allungata di un uomo».15 Nella sua ovvietà questo wellerismo di Ralph Waldo Emerson lascia trasparire alcune piccole verità che favoriscono la comprensione della natura di una qualsiasi istituzione. Si potrebbe sostenere che, come l’ombra, l’istituzione sia un’opera intelligente del genio dell’uomo; che sia la misura ingrandita del profilo dell’uomo; che sia la corrispondenza premurosa alle necessità dell’uomo; che sia la ripetizione sintonica dei gesti dell’uomo. Più semplicemente l’istituzione è la proiezione fedele e la copia conforme della persona umana. Forse tutto questo è eccessivo ed appare ancora lontana la definizione del concetto di istituzione; definizione a cui si intende pervenire toccando due ordini di considerazioni. Il primo ordine, diacronico, ha inizio con il Cours de philosophie positive di Auguste Comte, ove sovente ricorrono espressioni quali «l’istituzione» della famiglia, «l’istituzione» del capitale, ecc., e prosegue con Emile Durkheim, la cui sociologia pare sia la scienza che ha per oggetto lo studio delle istituzioni; con Otto Gierke che introduce il termine nel diritto pubblico generale elaborando la distinzione tra istituzione e associazione; con Max Weber che precisa la differenza tra comunità e istituzione, la quale si qualificherebbe per tre elementi: la possibilità di attribuire a un soggetto specifico l’emanazione di regole, un ordinamento strutturato per dare esecuzione a tali regole, un apparato coercitivo per garantirne l’efficacia; con Talcott Parson che segnala il superamento dell’impatto tra la motivazione personale e la coercizione istituzionale; per giungere al «moderno» Maurice Haurou secondo il quale l’istituzione rappresenta una possibilità di soluzione del conflitto tra individuo e autorità (il diritto non sarebbe tutto di creazione volontaristica, soggettivismo, né tutto di creazione autoritativa, oggettivismo) e al «contemporaneo» Francesco Alberoni che nell’analisi dell’istituzionalità, come passaggio all’assetto dei gruppi formati nel processo dello Stato nascente, separa le istituzioni di reciprocità da quelle di dominio, da quelle di rappresentanza, da quelle di conflitto. PAGE 54 15 R. W. EMERSON, Saggi, I e II serie a cura di P. BERTOLUCCI, Torino , Boringhieri, 1962. Il secondo ordine, sincronico, oltre a sottolineare la copiosità di significati nei diversi ambiti disciplinari (economia, sociologia, antropologia, criminologia, politologia, giurisprudenza...) fissa la riflessione sul processo di «istituzionalizzazione». È una via un po’ lunga che intercetta prima gli usi (comportamenti, consuetudini, tradizioni tipici di una determinata epoca, ambiente, civiltà o gruppo sociale), poi i costumi (serie di azioni standardizzate, più o meno specializzate, con riflessi morali, che viene ripetutamente eseguita in conformità alle convinzioni diffuse), inoltre i ruoli (modi individuali di agire, aperti o esclusivi, rispondenti a delle attese, codificati intorno a problemi e per conquistare traguardi prestabiliti) e infine gli status (posizioni in un sistema sociale – a cui competono diritti e doveri – che implica aspettative reciproche di azione rispetto a coloro che occupano altre posizioni nella stessa struttura). Da questa breve digressione si può evincere che gli usi possono essere raccolti nei costumi e che questi ultimi possono essere annessi nei ruoli, i quali possono confluire negli status che, a loro volta, possono essere raggruppati in un’istituzione. In coerenza con il ragionamento sin qui svolto e con l’attenzione puntata sui più autorevoli tentativi compiuti da diversi esperti della materia, si può azzardare la seguente definizione: l’istituzione da un lato è un composto di pratiche, di funzioni, di procedure, sviluppato intorno a un valore o a una serie di valori, il quale delimita e disciplina, durevolmente e in modo relativamente indipendente da finalità particolari e da utilità personali, i rapporti sociali, compresa la condotta dei singoli e delle collettività e i rapporti, a vario titolo, che altri soggetti possono avere con le suddette collettività; da un altro lato è – in un’accezione più estesa – un insieme di persone che con la loro attività sostengono, realizzano e riproducono l’aggregato organico delle norme mediante l’utilizzo di risorse materiali necessarie per svolgere l’attività in questione. 16 Essenzializzando il concetto si può dire che l’istituzione è un complesso di norme che regolano i comportamenti del personale (singolo o di una comunità) che opera per il raggiungimento di mete precise adoperando i mezzi a disposizione. Comprendendo l’enorme interesse per le istituzioni, si prende atto della suddivisione compiuta soprattutto dai sociologi, che hanno ripartito le istituzioni PAGE 54 16 Voce Istituzione, in L’universale, Filosofia, vol. I, Milano, Garzanti, 2003, p. 570. continue improvvisazioni, attraverso l’istituzione. Parole funzionali Ancora sanguinavano, In Italia, le ferite della Seconda Guerra Mondiale quando comparve nelle librerie un romanzo, prevalentemente umoristico, che offriva una acuta analisi della società di quegli anni. Mondo piccolo. (1948) era il titolo del libro in cui Giovanni Guareschi raccontava le vicende politico-religiose del protagonista, don Camillo. L’incipit è sorprendente ed esilarante e merita di essere riletto. «Don Camillo guardò in su verso il Cristo dell’altar maggiore e disse: – Gesù, al mondo ci sono troppe cose che non funzionano. – Non mi pare – rispose il Cristo. – Al mondo ci sono soltanto gli uomini che non funzionano ... – ». Ma che cosa vuol dire funzionare per cui può accadere anche il contrario? Il «Grande Dizionario della Lingua italiana», di Salvatore Battaglia, non ha dubbi. Funzionare significa adempiere una determinata funzione espletando un incarico, una mansione; servendo il proprio scopo, il proprio mandato; ottenendo buoni risultati, buoni profitti. Poiché, sia il verbo funzionare sia l’aggettivo funzionale, accostato al termine parole (funzionale, in quanto si riferisce ..., è proprio ..., corrisponde al compito a cui una persona, un ente, un oggetto sono destinati) chiamano alla ribalta, esplicitamente, il concetto di funzione, diventa inevitabile analizzare, brevemente e lievemente, quest’ultima da un punto di vista filosofico e psicopedagogico. Ciò è dovuto anche al fatto che le tre parole funzionali (educazione, docenti, alunni) che saranno al centro della discussione in questo paragrafo, hanno una posizione di rilievo forte nel sistema di istruzione e di formazione. Entrando subito nel merito della voce funzione, si rilevano due accezioni fondamentali della stessa, in parte adottabili anche dal sistema educativo, ovviamente con la esclusione di altri numerosi campi di impiego. La prima accezione del sostantivo viene attribuita a Platone per il quale la funzione era una operazione propria di una cosa, nel senso che è ciò che la cosa fa meglio delle altre cose (ad esempio: la funzione degli occhi è di vedere, delle orecchie di sentire, dell’anima di dirigere ...). Aristotele, concordando con la tesi di Platone, aggiungeva che era opportuno evidenziare il carattere PAGE 54 finalistico e realizzatore della medesima. 22 La seconda accezione del sostantivo compare nel XVII° secolo ad opera dei matematici, Gottfried W. Leibniz compreso, secondo i quali la funzione era una relazione che connette le variazioni di un certo termine o di un gruppo di termini con le variazioni di un altro termine o gruppo di termini (ad esempio: quando si dice che un fenomeno y è funzione di un fenomeno x ciò significa che al variare di x, y varia secondo una certa corrispondenza). Comparando le due accezioni si coglie una “zona franca” che le unisce, la quale può essere così formulata: il potere di espletare un incarico (operazione), non già nell’interesse del titolare, ma per vantaggio di altri, statuisce un rapporto (relazione) che genera un cambiamento di valore. Su questo ceppo si innesta il concetto di funzione in ambito psicopedagogico con effetti fruttuosi. Infatti, per l’azione dei docenti, l’opera dell’educazione, non solo indica il ruolo che in una specifica attività (o nel determinarsi di una particolare realtà) uno o più fattori svolgono (operazione), ma tende pure a raggiungere un equilibrio tra le attitudini, le capacità e le abilità degli alunni e le esigenze condizionanti dell’ambiente circostante (relazione). Educazione C’è un dogma filosofico che disturba la trattazione del tema rubricato: la scissione tra fatti e valori. Questa concezione manichea, di origine positivistica, rivela oggi la sua debolezza e pericolosità. Infatti essa nega qualsiasi possibilità di discutere razionalmente di educazione sia per chi la considera un fatto (attività concreta e visibile, ma non apatica verso i principi dell’etica), sia per chi la reputa un valore (bene pregevole e simbolico, ma non estraneo alla contemporaneità storica). L’educazione è un fatto e un valore insieme, in quanto non esiste tra i due una divaricazione. Hilary Putnam, il maggior filosofo analitico vivente, in un suo recente saggio 23 dimostra come le nozioni centrali del pensiero morale facciano contemporaneamente riferimento a fatti impregnati di valori e a valori che possono essere specificati solo menzionando fatti. Fatti e valori, pur differenziati, sono dunque «intrecciati», perché i primi non sono il PAGE 54 22 Cfr. ABBAGNANO N., Funzione, in «Storia della filosofia. Dizionario», Roma, Gruppo Ed. L’Espresso, 2006, Vol. 11, p. 246. Da questa fonte proviene la maggior parte delle riflessioni precedenti e susseguenti. 23 Si veda H. PUTNAM, Fatto/Valore, Roma, Fazi, 2004. frutto esclusivo di una rigida necessitazione e i secondi non sono il risultato esclusivo di un arbitrario volontarismo. Ambedue sono detentori di un tasso elevato di oggettività argomentabile che confluisce nell’educazione e di cui si occupa la pedagogia. Se si considera la pedagogia come il «punto di vista» dotato di un’intenzione e di una funzione concordate e titolare di un’iniziativa propria (conoscitiva o pratica), si deve conseguentemente ammettere che l’oggetto di questa ragguardevole prospettiva è rappresentato dall’educazione ed è ravvisabile e ripartibile in un oggetto gnoseologico (in quanto raggiunto con l’intelletto o intelligibile) e in un oggetto etico (in quanto radicato nei valori o avvalorabile). «Già da molto tempo ho fatto mio il detto scherzoso che vuole ci siano tre mestieri impossibili: educare, guarire, governare. Ho già avuto a che fare largamente con il secondo dei tre. Ma non per questo disconosco il valore sociale del lavoro dei miei amici educatori» (Sigmund Freud, nella prefazione di un’opera di A. Aïchhorn). È doveroso, pertanto, applicarsi nel fugare ogni ombra di dubbio e dedicarsi a chiarire ogni aspetto dibattuto per consentire a chi opera in questo campo di evitare errori dannosi. Soprattutto è da guardarsi dal difetto fondamentale di una parte degli educatori (stigmatizzato da B. Russell, in una intervista rilasciata al «New York Times», il 9 gennaio 1963, durante una serie di conferenze tenute negli Stati Uniti d’America): «quello di volere che gli educandi siano un elogio vivente a loro». In quest’aspirazione si insinuano due deformazioni: l’imposizione, a volte voluta, delle proprie convinzioni (quando non si tratta di desideri personali irrealizzati o di scopi esistenziali falliti) e la costrizione a inseguire un modello di vita astratto che non tiene presenti le inclinazioni e le condizioni del soggetto. Un vecchio parroco di un borgo della Bassa Padovana fece scrivere a caratteri cubitali sopra la porta d’ingresso dell’asilo infantile, da lui fondato: «Perché i nostri figli siano migliori di noi». Che ciò possa accadere è probabile, ma sicuramente accade che essi siano diversi da noi. E l’educazione deve partire da questo dato. L’educazione può essere considerata il processo di crescita intenzionale e di sviluppo indotto che, in qualsiasi tempo e luogo, si svolge al fine di rendere cosciente l’educando di come «l’uom s’etterna»? Si sa che nell’idioma dantesco «eternarsi» significa acquistare – per integrità di vita e per vero studio – grande PAGE 54 Erziehung, education, educación) si giunge sempre a incontrare un denominatore comune e universale. Infatti oggi l’educazione, in tutti gli ambiti in cui si esplica conferisce all’uomo, in un determinato contesto e attraverso la sua maturazione fisica, intellettuale, affettiva, sociale, etica ... la forza di vivere in modo specificatamente umano, orientando e guidando il divenire verso un incremento perfettivo. Questa impostazione restringe il senso del fatto e dell’atto educativi, escludendo alcune prerogative acquistabili per altre vie, ma nello stesso tempo lo allarga avvalorando tutti i fattori che concorrono all’umanizzazione dell’individuo. È evidente in ciò la natura eminentemente attiva dell’educazione. Per questo l’attivismo, prima di essere un’opzione tecnica, è una premura etica che si traduce in un progetto cooperativo e intenzionale. L’educazione è cooperativa in quanto dipende dall’educatore e dall’educando, entrambi in un rapporto di reciproca intesa in cui a nessuno viene assegnata una preminenza logica essendo ciascuno ugualmente indispensabile. L’educazione è, inoltre, intenzionale in quanto l’agire che la riguarda nasce nella coscienza (Edmund Husserl scrive: «L’intenzionalità è ciò che caratterizza la coscienza in modo pregnante») ed è protesa verso qualche cosa, verso un fine che in essa si manifesta. La intentio, secondo gli scolastici, suscita e sospinge, invita e promette, punge e tormenta in quanto non è solo atto di volontà, ma forma di ogni energia. L’evento educativo interpella la dottrina dei fini: la teleologia. «Le cose sono perfette – affermava Aristotele – in quanto possiedono il fine» e l’educazione non fa eccezione. Si è consapevoli che la crisi contemporanea del determinismo meccanicistico può favorire da una parte forme di mero contingentismo casualistico, ma dall’altra anche forme di contingentismo finalistico o che, per lo meno, si lascino interpretare in questo modo. Le «leggi» dell’educazione, la loro stabilità e necessità, non solo sono subordinate a una considerazione teleologica, ma si possono spiegare, con molta probabilità, solo attraverso di essa. Il fine è, perciò, consustanziale all’educazione, cioè è inerente all’essenza dell’atto che si compie, a cui l’opera di sua natura è ordinata. Il fine è in primo luogo il motivo per cui si fa una cosa. Il «principio di finalità» non è altro che la tendenza a un risultato presente nell’operante. Ogni «causa attiva» è determinata secondo una certa direzione, tende verso un fine. PAGE 54 L’interiore direzione al fine è il costitutivo formale, ossia qualitativo, dell’agire educativo. Per non infastidire con una disputa metafisica si può chiudere la riflessione ribadendo che la direzione è pure, in chi è alla ricerca del fine, un’anticipazione dello stesso. C’è, tuttavia, un bisogno di schiettezza nel cosiddetto intento educativo. Questo sostantivo (intento) suggerito da Daniel Hameline e riproposto da Louis Vandevelde, viene usato per indicare qualunque azione educativa volontaria «che implichi ricerca di effetti e ricorso a ragioni». Nell’utilizzo corrente il termine comprende tanto la nozione di progetto (disegno particolareggiato e premeditato che verrà approfondito nel capitolo quinto) quanto la nozione di risultato (conclusione finale di un processo). L’espressione «intento educativo» è molto appropriata per designare quelle enunciazioni che, con sfumature diverse, specificano le finalità, gli scopi e gli obiettivi. Al di là degli aspetti che accomunano i tre elementi, occorre cogliere in essi – per fare un’operazione di trasparenza – le peculiarità per cui si distinguono: le finalità si riferiscono a una concezione dell’uomo e della società; gli scopi si riferiscono a capacità, attitudini e abilità legate all’istruzione e alla formazione; gli obiettivi si riferiscono a prodotti realmente attesi ed effettivamente previsti. Docenti Si racconta che Giovanni Boldini, un giorno, nei primi tempi di un suo soggiorno a Parigi, chiese a un’attrice di cui era sincero ammiratore l’onore di farle il ritratto. Ma la bella donna non volle accondiscendere a posare per un pittore sconosciuto. Quando, poi, Boldini divenne celebre e alla moda, l’attrice, incontrandolo a pranzo da un amico comune, gli disse: «Ebbene maestro, vuole farmi adesso il ritratto?» E Boldini, seccamente: «Mi dispiace... allora, era bella anche lei, ora potrebbe essere bello solo il ritratto». Non è necessario essere dotati di qualità geniali per dimostrare che i protagonisti dell’azione di istruzione e di formazione (allievi, docenti e dirigenti) – al contrario dell’attrice – conservano, nonostante tutto, il credito e la reputazione di sempre. Si può dubitare, invece, sulla gradevolezza e armonia del ritratto che si sta per comporre per ognuno dei tre soggetti. La colpa è, comunque, dell’estensore il quale si premunisce con una messa a punto preliminare dell’identità del protagonista, osservato in lontananza e dall’alto di PAGE 54 un apprezzamento generale. Coloro che sono chiamati a svolgere l’oneroso compito dell’insegnamento-apprendimento, sono i protagonisti, insieme agli alunni, di una «impresa» che prefigura il domani degli individui e della comunità. Su di essi si intende ragionare scrutando i tratti peculiari della loro personalità «partendo dalla loro esperienza. Non senza di loro. Non contro di loro» .28 Ma per realizzare questo proposito è necessario approfondire e spiegare la professionalità, la criticità, la deontologia, la qualità e la preparazione dei docenti. Nell’azione di insegnamento-apprendimento si sono affievoliti i vecchi paradigmi del docente «missionario», del docente «funzionario», del docente «tecnico», del docente «animatore». Irrompe, invece, sulla scena dell’istruzione scolastica e della formazione professionale la figura del docente professionista. Si tratta di una svolta che rende il «mestiere» espletato da chi istruisce e forma completamente nuovo, sebbene non avulso da una spinta vocazionale e non contornato da un alone di magniloquenza, di miracolismo. Superate (come già detto) le funzioni catechistica, impiegatizia, trasmettitiva, socializzante (a cui, ad alcune, si attribuisce ancor oggi un parziale credito), è inevitabile imbattersi nella nozione di professionalità, che si addice anche ai docenti perché le loro prestazioni derivano da un sapere specialistico (un corpo di conoscenze appreso in un percorso di studi universitari); prevedono la certificazione del medesimo secondo norme di ingresso alla carriera e a standard di efficacia e di efficienza; valorizzano l’autonomia riferita all’esercizio del proprio lavoro e agli organismi rappresentativi; aderiscono a un protocollo di diritti e di doveri che indirizzano le loro attività pubbliche e private. Si discute da molti anni sulla rivoluzione silenziosa che trasforma la professione docente. Si sa che «lavorare diversamente», ripetutamente auspicato per la categoria, è un modo per richiamare l’attenzione su un punto fondamentale: istruire è bene, educare è meglio. E questo è peraltro, uno dei propositi della Commissione Thélot che, in Francia, ha redatto un rapporto in cui si stima necessario «approfondire la dimensione educativa del mestiere insegnante». A fronte di questa ambiziosa prospettiva sta l’emergenza (la PAGE 54 28 Si veda I. DIAMANTI, «La Repubblica», domenica 14 marzo 2004. alla morale delle convinzioni e alla morale dei risultati. Si transita dalla logica dell’irresponsabilità burocratica alla logica della responsabilità democratica. La terza postilla concerne la stesura di un codice deontologico che sia il frutto dell’applicazione al settore professionale dei criteri morali generali. Tale codice – che è in realtà un inventario di massime morali volte a far esercitare in modo congruo, e non solo dal punto di vista tecnico, il proprio lavoro – ha lo scopo di indirizzare l’azione concreta degli insegnanti e di garantirli sia da comportamenti devianti di colleghi incapaci o disonesti, sia dal discredito che, da simili condotte, verrebbe alla categoria da parte dei cittadini comuni. Si pone, tuttavia, il problema, di difficile soluzione, connesso al rapporto tra un possibile codice deontologico e le attribuzioni conferite per legge alla concertazione sindacale. Chi decide che cosa, in materia? Se una qualunque associazione con personalità giuridica di diritto privato può adottare per i suoi iscritti uno «statuto» di regole e norme morali, come deve agire un’istituzione pubblica quale il MIUR? Una risposta chiara si desume dalle numerose disposizioni di legge (che si omettono) e da molti esempi, lontani e vicini, di chartae (e testi) più o meno magnae, prodotte dall’Unesco e da Roger Cousinet. La qualità professionale del docente è la manifestazione di un complesso di elementi che delineano, insieme, i tratti distintivi della sua personalità (il profilo identitario) sul duplice viale del suo modo di essere, precipuo, particolare e costitutivo (natura ed essenza) e del suo modo di operare, originale, eccellente e congruo (efficienza ed efficacia). Se si accetta quest’impostazione (perché sembra abbastanza ragionevole) allora si è indotti a completare l’analisi accostando alla frase «docente di qualità» (che si colloca sul viale dell’essere) una locuzione invertita, «la qualità del docente» (che si colloca sul viale dell’operare). Il docente di qualità, nell’esercizio della sua professione, deve essere dotato di inclinazioni, di predisposizioni e attitudini naturali che gli consentano di intraprendere con entusiasmo e passione il proprio lavoro. Queste propensioni si esprimono in alcuni atteggiamenti personali: volontà di stimolare il processo maturativo; sensibilità per i saperi e l’euristica; disponibilità a incentivare l’autonomia personale; premura per il decondizionamento da varie oppressioni, al riparo dall’indottrinamento e dall’arbitrio; riflessione autocritica quale sigillo della professionalità; condivisione dei valori che sono alla base della convivenza PAGE 54 civile. La qualità del docente si palesa nelle opere concrete compiute da un professionista coscienzioso. Soprattutto trova il suo successo nel conseguimento di obiettivi educativi di istruzione e di formazione: la qualità del maestro si riconosce nell’opera, e l’opera del maestro si alimenta di qualità. Si può accertare la consistenza di questa tesi osservando il comportamento dei docenti da diversi angoli di visuale. Un primo nucleo di azioni ruota intorno al compito sistemico affidato al docente in vista di un cambiamento ordinamentale e curricolare del servizio. Soprattutto in un periodo di transizione, occorre richiamare l’attenzione sulle responsabilità dei docenti in ordine alle scelte prioritarie sui contenuti, sul sapere e sulle modalità d’uso delle conoscenze, da cui derivano alcune conseguenze per la «qualità del docente»: l’importanza di un’educazione per l’intero arco della vita; la necessità di una costante ricerca descrittiva circa il rapporto tra le caratteristiche personali dei docenti e la condotta degli alunni; la padronanza di un triangolo virtuoso i cui lati sono la costruzione di un ricco bagaglio culturale, la maturazione di una coscienza pedagogica che permetta di evitare il cortocircuito tra discipline e procedure, l’incremento del dominio dei «mezzi» funzionali alla missione educativa, non ultime le tecnologie multimediali e informatiche. Un secondo nucleo di operazioni comprende la parte più esecutiva della «qualità docente» e si può scomporre in cinque segmenti: il possesso sicuro degli specifici settori disciplinari; la perizia nell’uso delle strategie didattiche; la maestria gestionale delle mansioni relative alla vita della classe e dell’istituto; l’adeguamento della propria iniziativa ai bisogni e alle attese educativi degli allievi; l’adozione di criteri e la maturazione di idoneità nel campo della diagnosi e della prognosi. Un terzo nucleo di iniziative rinvia alla prerogativa dinamica dell’interazione con altri soggetti, la quale si esplica attraverso il coinvolgimento nel proprio lavoro; l’affettività che crea le premesse favorevoli all’apprendimento; l’esemplarità del vivere senza moralismi; la solidarietà del gruppo da promuovere e animare; lo scambio di opinioni, di informazioni, di idee e di proposte tra colleghi; la collaborazione mediante la partecipazione a piani comuni. PAGE 54 La preparazione consiste nel provvedere adeguatamente a ciò che devono «sapere e saper fare» i docenti. Sostenere quest’urgenza è quasi pleonastico e inutile se l’invito non è seguito da progetti e da decisioni. Il tragitto, comunque, è lungo e insidioso e può essere scandito in tre tempi. Il primo tempo, ovvero della formazione iniziale. La legge n. 53/2003 stabilisce che la formazione iniziale dei docenti si realizzi in corsi di laurea triennale e magistrale, con accesso programmato sulla base della previsione dei posti effettivamente disponibili, per ogni ambito regionale, nelle istituzioni scolastiche. Inoltre, la laurea magistrale conseguita al termine di uno specifico percorso di studio biennale (successivo alla laurea triennale che approfondisce principalmente i contenuti disciplinari) e ha valore abilitante. La legge n. 53/2003 afferma, ancora, che «ai fini dell’accesso nei ruoli organici del personale docente delle istituzioni scolastiche, [gli abilitati] svolgono, previa stipula di appositi contratti di formazione lavoro, specifiche attività di tirocinio» e che per la gestione dei corsi di laurea «le università, sentita la direzione scolastica regionale, definiscono nei regolamenti didattici di ateneo l’istituzione e l’organizzazione di apposite strutture di ateneo o d’interateneo, per la formazione degli insegnanti, cui sono affidati, sulla base di convenzioni anche i rapporti con le istituzioni scolastiche». Il secondo tempo ovvero della formazione permanente. Sono due le ragioni principali che la giustificano: da un lato la complessità della professione docente; da un altro lato la mutabilità degli aspetti organizzativi e didattici. Se si sgombera il campo dalla persuasione che la formazione in servizio dei docenti sia un favore accordato ai medesimi, diventa più facile motivare gli istituti scolastici a offrire ai docenti l’opportunità di fare esperienze professionali nuove; sostenere la domanda di ricerca raccordando sistematicamente le università alle istituzioni scolastiche e alle attività degli insegnanti; creare le condizioni affinché ogni insegnante possa perfezionare le proprie competenze. Avendo come cardine di appoggio le istanze dei docenti derivanti dalle pratiche didattiche, l’autonomia delle istituzioni scolastiche e gli scopi della preparazione permanente, già esposti, diventa possibile e proficua una triplice azione in direzione di formule agibili e vantaggiose: verso l’allestimento di un ambiente integrato nel quale il docente possa trovare luoghi fisici e virtuali di incontro e scambio di esperienze, servizi di consulenza facilmente accessibili, banche dati PAGE 54 persone, manifestazione della socialità; che si deve incrementare il sapere di tutti indistintamente, patrimonio della cultura primaria; che si deve orientare la condotta individuale e collettiva verso valori etici, retaggio di una civiltà. Secondo presupposto: conoscere la personalità dell’alunno. Questo «esercizio» non è facile per un docente, vuoi perché manca di una specifica competenza, vuoi perché gli alunni di oggi non sono paragonabili a quelli di ieri. E, tuttavia, è risaputo che non si può insegnare con profitto se non si conosce il destinatario dell’azione educativa e, cioè, se non si è in possesso dell’«insieme di caratteristiche psichiche e modalità di comportamento che, nella loro integrazione, costituiscono il nucleo irriducibile di un individuo il quale rimane tale nella molteplicità e diversità delle situazioni ambientali in cui si esprime e si trova a operare». 29 Umberto Galimberti procede nell’esposizione del concetto di personalità osservando che esso acquista rilievo soprattutto quando cadono in disuso – a partire dagli anni Trenta – i concetti di temperamento e di carattere; che lo studio della personalità va affrontato con il metodo idiografico (descrizione che segue il caso particolare cercando di coglierne la struttura generale); che ai fini della comprensione è conveniente occuparsi delle teorie della personalità, le quali riflettono i principi su cui le rispettive indagini si fondano. Circa queste ultime, Galimberti ne inquadra e ne distingue – lungo il corso della storia della psicologia – ben diciassette, quali le teorie somatico- costituzionalistiche, fattoriali, olistiche, oggettivistiche, dell’apprendimento sociale, psicodinamiche, della percezione, pragmatico-relazionali, fenomenologico-esistenziali, cognitivistiche, funzionalistiche, del campo, personologiche, biosociali, dei costrutti personali, del sé, marxistiche. Tuttavia, per un migliore discernimento e una migliore valutazione della personalità di ogni singolo alunno non basta ripercorrere il cammino delle numerose teorie, magari per adottarne una o più di esse, ma è necessario decidere, coraggiosamente, di compiere due ulteriori «mosse» sullo scacchiere della scienza. Prima di tutto risulta indispensabile la contezza consapevole e familiare del processo di sviluppo e di organizzazione dell’individuo, durante il quale (processo) la personalità va acquistando, attraverso evoluzioni biologiche e psicologiche, una maggiore armonizzazione delle energie di cui dispone. Tale cognizione mette in luce la possibilità di realizzazione dell’autonomia etica, della PAGE 54 29 U. GALIMBERTI, voce Personalità, in Dizionario di Psicologia, Roma, Gruppo editoriale L’espresso, 2006, vol. 3, p. 53. partecipazione affettiva e della socializzazione secondaria; l’opportunità di una suddivisione convenzionale dell’età cronologica, da accogliersi con duttilità; l’eventualità, quasi certa, di crisi nel passaggio da un’età a un’altra, a cagione dell’adattamento della propria visione del mondo alle nuove forme più complesse della realtà interiore ed esteriore. Peraltro, i diversi livelli di espansione e di potenziamento della personalità possono essere accertati da quattro angoli di visuale: della crescita affettiva (incanalamento delle energie emotive in aderenza alle esigenze della realtà dove assumono particolare rilevanza le pulsioni libidiche e aggressive); della crescita cognitiva (mutamenti del comportamento intelligente e delle funzioni che gli sono proprie, che, pur influenzati dalle dinamiche emotive, dipendono da una base neurologica e da un adattamento ambientale dove occorre riorganizzare il pensiero attraverso l’assimilazione e l’accomodamento, segnalati da Jean Piaget); della crescita sociale (vita di relazione che dipende dall’esperienza che un individuo fa degli altri e con gli altri e dall’equilibrio che in lui hanno raggiunto dominanza, dipendenza, isolamento, cooperazione, collaborazione ...); della crescita morale (contegno nel modo di vivere che è denso di difficoltà perché fa riferimento alle tendenze affettive, cognitive e operative e perché comporta giudizi di valore che mutano a seconda degli aspetti culturali che a loro volta cambiano da epoca a epoca). Pare utile ricordare che Jean Piaget ha individuato tre stadi di crescita morale: un primo stadio caratterizzato da anomia, dove si tende a considerare il proprio punto di vista come unico; un secondo stadio caratterizzato da eteronomia, dove la validità delle azioni risiede nell’autorità di chi le ha prescritte; un terzo stadio caratterizzato da autonomia, dove si prevede l’interiorizzazione dell’obbligazione e la coscienza delle esigenze altrui. 30 In seguito, poi, risulta vantaggioso, in ordine a una compiuta conoscenza degli alunni, fare ricorso ai reattivi psicologici (test) da somministrare per ottenere un’informazione che consenta di esplorare la personalità o nella sua globalità o in qualche sua dimensione allo scopo di riferirla a una classificazione o a una tipologia. In questo campo si distinguono due grandi settori: i test obiettivi con prove o domande le cui risposte vengono dapprima quantitativamente conteggiate e poi qualitativamente valutate; i test proiettivi con domande non rigidamente strutturate dove il soggetto, rispondendo più liberamente, mette PAGE 54 30 Si veda voce Psicologia dell’età evolutiva, in Dizionario di psicologia, cit., vol. 3. qualcosa di più personale e consente di scorgere elementi inconsci della sua personalità. Terzo presupposto: rilevare l’identikit di ciascuno. La natura personale nasce nel bambino quando, attraverso il conflitto edipico e il fallimento del suo sogno di prendere il posto del padre o della madre, raggiunge una nuova prospettiva di individuo indipendente, separato dai genitori e con un suo posto specifico nel mondo. La precisazione della natura identitaria costituisce un problema discusso a lungo dai filosofi e dagli psicologi, che muovendosi su due versanti separati sono pervenuti, ovviamente, ad accezioni differenti. Poiché la conquista del concetto, da questi due versanti, risulta assai impervia (sebbene affascinante) e, comunque, fuori tema, si preferisce aderire a una definizione lineare ed elementare nella quale si indica la peculiarità quale insieme di caratteri specifici che contraddistinguono un individuo e recano il senso del proprio essere come soggetto continuo nel tempo e come entità distinta da tutte le altre. Questo senso di specificità presuppone la relazione sociale con l’altro, recepito come simile e come diverso. La costruzione di una sostanza personale rappresenta una delle mete indispensabili del processo educativo, in assenza delle quali, infatti, si determinano disturbi della personalità. Forse potrà sembrare esagerata la rappresentazione dell’infanzia, della fanciullezza e dell’adolescenza fatta, con toni drammatici, da Natalia Aspesi, 31 da cui risulterebbe che queste età sono «un mondo muto e invisibile dove si nasconde la sofferenza», ma non stravagante, soprattutto nelle famiglie malate, sfasciate, povere e nell’universo opposto dell’assistenza, quello della rete sconnessa e contorta di iniziative e di persone con compiti di protezione, di cura, di salvataggio. «Così tra famiglia e assistenza vaga il grande popolo dei bambini e dei ragazzi infelici, non amati, oppure malmenati, non rispettati, sovraprotetti, maltrattati, straviziati, abusati, torturati, talvolta uccisi o semplicemente ineducati». 32 Pur prendendo le distanze da una descrizione fortemente pessimistica, si deve ammettere che i bambini e i ragazzi da sempre crescono nei pericoli che li assediano e, oggi, non sono meno del passato i Pel di Carota (di Jules Renard 1894) un ragazzo rosso di capelli, triste e maldestro, oppresso da una madre tirannica e da un ambiente meschino, chiuso in se stesso, che PAGE 54 31 Si veda N. ASPESI, Il popolo dell’infanzia infelice, «la Repubblica», giovedì 5 febbraio 2009. 32 Ibidem. «Adoro i piaceri semplici: sono l’ultimo rifugio della complessità». Non si sa se Oscar Wilde alludesse a «Una donna senza importanza», titolo di una sua commedia oscillante tra umorismo e satira, quando scrisse questo messaggio nell’opera citata. Comunque sia, in esso risulta avvincente l’accostamento e l’inclusione della complessità nella semplicità. In parole povere, il famoso scrittore inglese crede che la prima possa trovare conforto nella seconda, con una duplice constatazione: che, da un lato, la complessità cercherebbe di riscattarsi dal peso delle proprie criticità, derivanti dalla sua natura reticolare, annidandosi nella semplicità; e che, da un altro lato, la semplicità perderebbe così la sua gradevole attrattiva, frutto della linearità e della originalità proprie, tramutandosi in una realtà multidimensionale e problematica, peculiare della complessità. La conseguenza lapalissiana, sarebbe che, dopotutto, nel mondo esisterebbero soltanto soggetti e oggetti complessi con un carico di criticità onerose. In ogni caso l’uso del condizionale è d’obbligo finché le supposizioni del problema non saranno sviscerate e giustificate senza incertezze. Per scoprire la complessità, senza aver la presunzione di poter approdare a una definizione univoca ed esaustiva, si potrebbe ricorrere all’allegoria di Leonardo Eulero, che – per spiegare a Sofia Carlotta tutti gli elementi, complicati, della scienza meccanicistica – esordì, nell’euforia della difficoltà: «Sa che cosa è il mondo, gentile principessa? Il mondo è un grande tavolo da biliardo». Un tavolo da biliardo, per una partita all’italiana, è dotato di molte bilie che vengono lanciate, con una stecca, contro quelle dell’avversario, le quali, a loro volta, sono mosse e inviate verso una delle buche oppure in direzione del pallino o dei birilli. Questo gioco, a un esame semantico, risulta composto da quattro fattori essenziali: la numerosità degli elementi coinvolti; il dinamismo degli oggetti; il contatto tra questi ultimi; l’esito previsto con alta probabilità di riuscita. L’adozione della metafora per interpretare la complessità della realtà scolastica, alla luce del precedente esame, risulta parzialmente incongrua. Infatti il mondo possiede solamente le prime due peculiarità del gioco del biliardo: la numerosità, cioè una ricca quantità di «operatori» nella scena, e il dinamismo, cioè il creativo movimento dei protagonisti in campo. Ma la scuola, in luogo del mero contatto e dello scontato risultato, esibisce altri due diversi fattori: l’interazione reciproca, cioè il nesso relazionale che influisce su tutto determinando il comportamento di chiunque, e l’imprevedibilità certa, cioè PAGE 54 la libertà di azione che impedisce la formulazione di supposizioni garantite. Ne consegue una visione non lineare dei fatti e delle cose, ma reticolare, dove insistono le categorie dell’aleatorietà, della dubbiosità, della scomodità, della sommarietà ... che mettono in discussione quelle cartesiane della semplicità e della chiarezza. Questa visione reticolare che promana dalla complessità germina una pluralità di punti di vista, quale conseguenza della multidimensionalità dei problemi inquietanti e ostativi, di soluzioni improvvisate e riduttive; non solo, ma provoca l’irruzione della provvisorietà e l’esigenza di un chiarimento costante, di un approfondimento ininterrotto, di un accordo propositivo. La realtà ordinamentale e curricolare dell’istruzione e della formazione non è semplice e, quindi, osservabile e spiegabile partendo dall’identificazione e dalla denominazione di tutti i singoli fattori che la compongono. Si tratterebbe, se così fosse, di un approccio riduzionistico che aggirerebbe i problemi ed eluderebbe il contenuto autentico delle situazioni. L’ideale di semplicità – che presuppone una realtà assemblata di componenti discreti e che si fonda sulla mera causalità deterministica – è inadeguato per una lettura diligente ed esauriente della vita dell’istituzione. È necessario assumere un angolo di visuale olistico che, secondo le indicazioni delle discipline più accreditate, consente di superare l’analisi scientifica classica (già citata) limitata alle reazioni causa ed effetto e di cogliere e ritrarre l’insieme dei componenti interconnessi che conferiscono consistenza verificabile alle interazioni qualificanti l’universo educativo di istruzione e di formazione. Infatti, l’istruzione scolastica e la formazione professionale sono due sistemi dotati delle proprietà che generano e palesano una normale complessità. La complessità indica la circostanza «secondo cui le possibilità di scelta, di controllo e di conoscenza, offerte da un sistema, sono superiori» 35 a quelle possedute da un osservatore. Questa constatazione obbliga a considerare ogni spiegazione causale soltanto come una descrizione limitata delle relazioni di un sistema in quanto i fenomeni complessi non si esauriscono nell’individuazione di una singola causa, ma sono «determinati da una molteplicità di cause PAGE 54 35 F. PARDI, voce Complessità, in F. DEMARCHI, A. ELLENA e B. CATTARINUSSI (a cura di), Nuovo Dizionario di sociologia, Cinisello Balsamo, Edizioni Paoline, 1987, p. 421. concomitanti e sostituibili». 36 La complessità del sistema educativo di istruzione e di formazione, come tutti i sistemi sociali, è delimitata verso l’esterno e nei suoi processi interni da «perimetri di senso». Questo significa che gli attori (principalmente docenti e discenti, insieme) partecipano alla vita dell’istituzione sulla base di un principio di indirizzo valido sia per interpretare e affrontare il rapporto del sistema con la realtà sociale sia per regolare e selezionare le scelte più congrue finalizzate al mantenimento e alla modernizzazione del servizio. Da questa tesi, sulla quale il dibattito scientifico riversa numerosi interrogativi, emerge che la complessità del sistema educativo riguarda non tanto le proprietà del medesimo, ma le modalità di intervento nei problemi connotati da molteplici interdipendenze relazionali; modalità e interdipendenze particolarmente aggrovigliate e condizionate dalla compresenza di una copiosità di visuali. In questo modo di vedere, multirelazionale, non è reperibile un’unica rappresentazione della realtà, non è attribuibile un’accezione definitiva delle proprie elaborazioni, non è ammissibile una predizione certa degli esiti. Il sistema educativo di istruzione e di formazione è assai diverso dal sistema solare, anche sotto il profilo della conformazione. Sgomberato il campo dal criticismo filosofico e dalla critica letteraria, il termine criticità (meglio, forse, al plurale) esprime, in senso figurato, una situazione cruciale, difficile, grave, pericolosa ... che nella fattispecie è provocata dalla complessità del sistema educativo. I protagonisti (dirigenti, docenti, alunni) dello stesso sono sottoposti a una serie di sfide ardue, complicate, faticose ... Essi si trovano in una condizione di gravità. Infatti quest’ultimo vocabolo, nelle sue diverse accezioni, si riferisce a due contenuti specifici: alle circostanze ostative che frenano l’attuazione innovativa di un progetto o del compimento concreto di una impresa alterando o impedendo il corso normale delle cose; alle contingenze sfavorevoli che rendono problematica un’opera, la quale per essere attuata richiede doti particolari di ingegno, di volontà e di abilità. Nel primo caso (delle circostanze ostative) le gravità sono molteplici e facilmente rubricabili, nonostante si nascondano tra le pieghe dell’ordinamento: la tendenza di taluni detentori del potere politico alla fissità e, quindi, la ritrosia PAGE 54 36 Ibidem, p. 422. senza il ricorso alle situazioni che le vicende quotidiane offrono, le quali aiutano a capire il pregio e l’entità dei fenomeni che di volta in volta si registrano; ad agire consapevolmente e liberamente vincendo gli stereotipi sociali; a superare l’enfasi del «come si fa» che escluderebbe il senso personale delle cose e delle opere. La seconda declinazione che si coglie sul tema è quella educazionale. L’istruzione in quanto promuove una «sapienza» connessa alle urgenze esistenziali e in particolare alla voglia di entrare come uomini in un mondo di uomini, è sempre essenzialmente educativa. Quando l’istruzione appare indispensabile per realizzare un’autentica educazione, si dissolvono tutte le polemiche su questo argomento e si può sostenere che l’istruire, affinché non sia unilaterale e settoriale, deve essere inteso come fase dell’educare; ma l’educare non può fare a meno dell’istruire se non vuole cadere in forme inaccettabili di sentimentalismo e di ideologismo. L’istruzione stessa, a sua volta, deve guardarsi dalle degenerazioni del verbalismo (tendenza alla ridondanza di parole, spesso prive di un significato pedagogico), del didatticismo (tendenza a un’eccessiva rigidezza nell’applicazione di alcuni criteri e tecniche) e dell’enciclopedismo (tendenza a un’esagerata e insopportabile trasmissione di nozioni). Soprattutto vanno respinti due errori che possono viziare irrimediabilmente lo sviluppo della personalità, facilmente trascinabile verso l’alienazione, il tecnicismo e l’artificiosità: l’intellettualismo, che accorda un primato esclusivo ai fattori intellettivi (Johann Friedrich Herbart); e il volontarismo che attribuisce prevalente importanza all’espansione dell’autodisciplina, al rafforzamento del carattere, all’equilibrio psicofisico (Wilhelm Wundt). In ogni caso nell’ambito del progresso intellettuale si distingue l’istruzione materiale, che si preoccupa di arricchire la mente di conoscenze (Comenio), dall’istruzione formale, che si propone di aumentare le capacità e di potenziare le facoltà di apprendere (Jean-Jacques Rousseau). Nella prassi comune dell’istruzione educativa, l’aspetto materiale e l’aspetto formale sono inseparabili. Circa la scelta dei mezzi per ottenere tale risultato, sorgono dei contrasti tra i sostenitori del valore educativo della cultura classico-storico-letteraria, i sostenitori del valore educativo della cultura matematico-fisico-sperimentale e i sostenitori del valore educativo della cultura pratico-tecnico-professionale. Occorre rilevare che il PAGE 54 problema della istruzione non si pone soltanto in vista di un intervento generalistico, ma anche in relazione a scopi utilitaristici più immediati raccordati con il mondo del lavoro (produzione e commercializzazione). La terza declinazione che si coglie sul tema è quella teoretica. Forse si può dipanare la matassa delle tesi già enunciate, ricorrendo a una lontana (ma sempre vicina) riflessione di Jerome S. Bruner. 38 Nel suo saggio più rinomato, egli avverte la necessità di precisare alcune caratteristiche di una teoria dell’istruzione. È opportuno premettere che, secondo lo stimolante parere dello psicologo americano, «una teoria dell’istruzione è prescrittiva nel senso che formula regole concernenti il modo più efficace per raggiungere una determinata conoscenza o abilità [...]» e «normativa in quanto fornisce dei criteri e stabilisce le condizioni per soddisfarli». Le teorie che esistono in psicologia sono parziali e insufficienti per la semplice ragione che, quasi sempre, sono meramente descrittive dell’apprendimento. L’etimologia non è di grande giovamento per comprendere il senso attuale della voce formazione, per tanti motivi che si espliciteranno «cammin facendo». Il sostantivo deriva dalla lingua latina (formatio-onis da fōrmāre) e significa ridurre qualcosa a una data forma; darle una figura distintiva; foggiare, plasmare, improntare, configurare. Al di là delle innumerevoli accezioni che il termine assume nei campi svariati del creare umano, sono le molteplici interpretazioni, in ambito pedagogico, che ingenerano le adozioni e le adesioni più disparate. In un passato remoto e prossimo, la formazione si riferiva al mutamento delle cose perché veniva associata all’aspetto deformante e unificante del «prendere forma», caro alla filosofia. In essa, oggi, il concetto di forma assume una connotazione diversa a seconda della branca in cui viene studiato. Si avrà, perciò, una connotazione ontologica (forma quale principio essenziale o accidentale di intelligibilità); una connotazione gnoseologica (forma quale totalità delle determinazioni del pensiero o modo dell’attività del medesimo); una connotazione estetica (forma quale elemento considerato prevalentemente per sé, separato parzialmente dal contenuto). È evidente che le tre branche ispirano tre visioni opposte della formazione, sulle quali si decide di soprassedere per sostare, invece, sugli usi attinenti al settore della pedagogia. PAGE 54 38 Si veda J. S. BRUNER, Verso una teoria dell’istruzione, Roma, Armano, 1990, pp. 73-91. Il lemma formazione è tra i più equivoci, controversi e discussi del dizionario pedagogico, al punto tale che, di volta in volta, bisognerebbe dichiarare l’accezione che si predilige e farne un uso corretto. È possibile accostare l’argomento attraverso un assioma di Pierre Gouguelin, 39 che scrisse testualmente: «Si può distinguere una formazione per il sapere, il saper essere, il saper fare». Non si può negare che la concezione estensiva e polivalente della formazione, codificata nel teorema di Pierre Gouguelin, se considerata nel suo complesso o nelle sue articolazioni può dare adito a varie ipotesi composte e viziate dalla commistione di elementi eterogenei. La prima e più grave mescolanza si riscontra nella tradizionale accezione che assegna al termine formazione il significato di «azione formativa della personalità» (intellettuale, affettiva, volitiva ...): in questa versione c’è un’evidente sinonimia con educazione, ben presente in un proposito di Massimo D’Azeglio quando rimpiangeva che «non s’era potuto formare cuori, coscienze, caratteri ... non s’erano, in una parola, creati uomini». Su questa immedesimazione si impongono alcuni rilievi, preceduti dalla precisazione che la formazione, al pari dell’istruzione, è essenzialmente educativa, pur perseguendo scopi differenti dalle finalità dell’educazione. Innanzitutto, il concetto di formazione sta al concetto di educazione come, aristotelicamente, la specie sta al genere. Non ogni attività formativa è, infatti, automaticamente educativa. Pertanto l’ipotesi di una «formazione umana integrale» ovvero «armonica» viene popperianamente «falsificata» dal fatto che solo con l’educazione è possibile l’ingresso dell’integralità e dell’armonia nella maturazione cognitiva e morale del soggetto persona. Inoltre, sostituire, ad esempio, « educazione» con «formazione» nel senso tedesco di Bildung e del russo obrazovanie, come suggerisce Lev Tolstoj, per indicare sia l’acquisizione di cultura che lo sviluppo delle capacità personali, può portare proprio agli esiti autoritari e «con-formistici [...] finendo con il contraddire il significato stesso originale dell’educare come un “trarre fuori” [...]. Ma [...] sottolineare il termine “forma” porta a mettere in primo piano non l’educando o la relazione interpersonale, ma un modello o progetto, metastoricamente o storicamente, ideologicamente o sociologicamente, inteso [...]. È ben chiaro il pensiero di Lev Tolstoj che ritiene sterile, ingiusta, impossibile l’educazione concepita nel senso PAGE 54 39 Si veda P. GOUGUELIN et al., La formazione psicosociale nelle organizzazioni, Milano, ISEDI, 1972. possibilità e maestrie per il lavoro, consentendo agli individui di accedere a impieghi e redditi o producendo valentie che costituiscono una ricchezza di mercato, là dove gli esseri umani fabbricano, scambiano, consumano; la formazione consiste nella trasformazione delle disposizioni e delle potenzialità in rendimenti effettivi e reali che costituiscono il patrimonio delle maestranze; la formazione, espandendo talenti e competenze (di queste ultime si chiarirà la natura e la funzione), favorisce una qualificazione generale e specifica della professionalità che fa della persona un esperto in un determinato campo dello scibile: una professionalità che esige, comunque, accanto alla bravura «materiale», un’adeguata preparazione teorica. Negli ultimi trent’anni – circa – questa visione della formazione si è venuta consolidando nel lessico istituzionale e normativo condensandosi nella espressione «formazione professionale». Non è superfluo scoprire che «le definizioni non sono mai questioni semantiche. Dietro ad esse si nascondono sempre diversi modi di intendere l’oggetto da definire». 42 Così la formazione assume, soprattutto in direzione della professionalità dei docenti, modi diversi di agire a seconda delle diverse visioni che sottende. Seguendo le esplorazioni di Guido Contessa, 43 le suddette varianti si colgono sull’asse emotivo-razionale dove la formazione «è vista o come un’azione finalizzata alla ristrutturazione degli atteggiamenti» e alla presa di coscienza (centralità dell’utente), oppure come un’azione di allargamento dei saperi (centralità del contenuto); sull’asse conoscitivo- cognitivo, dove la formazione è vista o come un’azione depositaria e trasmissiva (pedagogia direttiva) oppure come un’azione problematizzante e maieutica (pedagogia attiva); sull’asse individuale-organizzativo, dove la formazione è vista o come un’azione di appropriazione singola del sapere (crescita personale), oppure come un’azione affiancata dallo sviluppo dell’ordinamento in cui si opera (apprendimento collettivo); sull’asse metodologico-procedurale, dove la formazione è vista o come un’azione che anticipa la irruzione delle difficoltà (prevenzione), oppure come un’azione che segue per tentativi ed errori (correzione). PAGE 54 42 Voce Formazione, in F. DEMARCHI, A. ELLENA e B. CATTARINUSSI (a cura di), Nuovo Dizionario di sociologia, Cinisello Balsamo, Edizioni Paoline, 1987, pp. 886-890. 43 Ibidem, pp. 887-888. Sullo sfondo delle varie concezioni si notano molte teorie che possono essere raggruppate in due filoni: da un lato quelle statiche e da un latro lato quelle dinamiche. Comunque sia, le questioni da affrontare si sono aggravate e riguardano l’inadeguatezza delle attrezzature teorico-pratiche rispetto alle enormi esigenze trasformative; l’economicità dei modelli, che dovrebbe ottimizzare il rapporto mezzi-risultati e il rapporto risultati-bisogni; la revisione delle tradizionali «installazioni» di tipo sperimentale basate sull’isolamento dei soggetti in formazione. Apprendimento e insegnamento Menedemo di Eretria, filosofo e politico greco, disse un giorno della sua scuola: «È meravigliosa. Ottengo sempre risultati straordinari. Gli alunni arrivano che si credono sapienti; poi si accorgono di essere dei grandi ignoranti». Semplificando l’annotazione di Menedemo si può asserire che gli alunni scoprono il loro «non sapere» solo quando si confrontano con il vasto universo della cultura. Pertanto, l’insegnamento che promuove e trasmette quest’ultima funge da banco di prova dell’apprendimento. Anzi l’uno e l’altro stanno in un rapporto di richiamo reciproco, di congiunzione logica, di corrispondenza biunivoca. Il processo di apprendimento. Non manca l’imbarazzo di una scelta fra i numerosi approcci possibili alla problematica: ogni studioso ha un suo modo di risolverla. Dopo una comprensibile esitazione iniziale si è deciso di seguire lo schema proposto da Umberto Galimberti, compresa la definizione: l’apprendimento in cui si afferma che esso è quel «processo psichico che consente una modificazione durevole del comportamento per effetto dell’esperienza». 44 Se questa accezione esclude tutti i mutamenti di breve durata dovuti a condizioni temporanee, episodi isolati, eventi occasionali ... e tutti i mutamenti determinati da fattori innati o biologici, lo schema suggerito distingue due tipologie di apprendimento: l’apprendimento associativo (semplice o meccanico) e l’apprendimento cognitivo. In questa disgiunzione bipolare si riflettono, approssimativamente, i due modi di apprendere codificati da Mauro Laeng: per scoperta e per insegnamento. «Ossia [l’apprendimento] può avvenire per via diretta e primitiva, nel primo caso; o per via indiretta o derivata, PAGE 54 44 U. GALIMBERTI, Apprendimento, in U. Galimberti, Dizionario di psicologia, V. 1, cit., p. 168. nel secondo caso. La diversa forma dei due processi ne stabilisce insieme le funzioni, che sono però per diversi titoli entrambe indispensabili». 45 Comparando e assemblando le tassonomie delle diverse specie di apprendimento messe a punto da Mauro Laeng, 46 da Umberto Galimberti 47 e da Sadi Marhaba 48 si può giungere a una catalogazione abbastanza completa e soddisfacente, ovviamente suddivisa nelle due sezioni preannunciate. Nella prima sezione, quella dell’apprendimento associativo, rientra una serie nutrita di tipologie molto note: l’apprendimento per assuefazione che si verifica quando una stimolazione esterna perde, dopo molte ripetizioni la propria efficacia iniziale; l’apprendimento per abitudine che si manifesta quando l’organismo non riesce a rinunciare a determinati stimoli esterni ripetuti più volte; l’apprendimento per imitazione che si palesa quando vengono ripetuti gesti, atti, movimenti appena visti nel comportamento dei propri simili e di altri esseri; l’apprendimento per percezione che si registra quando, approfondendo e prolungando nel tempo l’osservazione di un determinato oggetto si distinguono in esso aspetti e dettagli inizialmente sfuggiti; l’apprendimento per improntatura che si ha quando nelle ore immediatamente successive alla nascita, un soggetto riceve una specie di “stampatura” precoce, stabile e irreversibile, da parte di un altro essere, dei movimenti che egli seguirà per tutti i giorni della sua vita; l’apprendimento per condizionamento che si articola in condizionamento rispondente o pavloviano, il quale ha luogo ogniqualvolta un riflesso innato dell’organismo viene suscitato da uno stimolo esterno che normalmente non dovrebbe suscitarlo (i suoi fattori sono: la preesistenza di una risposta incondizionata, la forza dello stimolo neutro, l’assenza di stimoli concorrenti, la contiguità temporale tra gli stimoli, la ripetizione talvolta degli stimoli, il rinforzo nella combinazione dei due stimoli, l’estinzione della risposta condizionata, la generalizzazione del condizionamento ad altri stimoli, la discriminazione che è l’opposto della generalizzazione) e in condizionamento operante o skinneriano il quale agisce su un’operazione (risposta) attiva e spontanea dell’organismo facendo in modo che essa si ripeta (in altre parole, si PAGE 54 45 M. LAENG, Nuovi lineamenti di pedagogia, cit., p. 68. 46 Ivi, pp. 53-71. 47 U. GALIMBERTI, Apprendimento, in U. Galimberti, Dizionario di psicologia, V. 1, cit., pp. 168-181. 48 S. MARHABA, Forme e meccanismi dell’apprendimento, Garzanti, Milano 1983, pp. 11-120. che un principio (o una regola) è reso da una concatenazione ordinata di concetti oppure da un “concetto complesso”. Per completare il ragionamento si aggiungono due chiarimenti: si può chiedere di identificare un concetto, mentre si parla di dimostrare un principio per mezzo di prestazioni che identificano i concetti che lo compongono (la identificazione è sempre una scelta entro un certo numero di alternative); la velocità nell’apprendimento di un principio dipende dalla contiguità dei concetti in campo (freschezza nella rievocazione) e dalla generalizzabilità sistematicamente variata dei concetti che compongono il principio. 51 La via dell’insegnamento. L’etimologia della parola “insegnamento” è trasparente: deriva dal latino e significa “imprimo un segno” (da in, dentro, e signum, segno). Insegnare, pertanto, è introdurre dei “segni” appartenenti a un linguaggio (a sua volta causa ed effetto dell’insegnamento) per cui uno emette e l’altro riceve, uno parla e l’altro intende, uno propone e l’altro acconsente. Quest’idea del “segnare dentro”, tuttavia, induce a riconsiderare l’importanza della “cognizione” e dell’apprendimento “cognitivo”. Infatti, l’insegnamento non si ferma alla conoscenza che normalmente è riferita ai contenuti delle discipline e alle informazioni ricevute dall’ambiente, ma va oltre ogni assunzione passiva e punta verso un ruolo attivo dell’alunno il quale è sollecitato a selezionare, interpretare, elaborare e utilizzare le conoscenze e i messaggi appresi per costruire il proprio sapere. Non sembra necessario insistere su questa finalità con esemplificazioni in quanto risulta abbondantemente giustificata. Per coloro che nutrono ancora qualche dubbio possono valere due testimonianze, di Jean Piaget, incontrovertibili. «L’apprendimento è possibile dove c’è una assimilazione attiva. [...]. La cosa più importante è l’attività del soggetto e ritengo che senza questa attività non esista didattica o pedagogia che possa trasformare il soggetto in maniera significativa». 52 «La conoscenza non potrebbe essere concepita come predeterminata né nelle strutture interne del soggetto [...], né nei caratteri preesistenti dell’oggetto [...]; ogni conoscenza implica una qualche elaborazione originale. [Perciò si deve fondare una PAGE 54 51 Per un approfondimento della tematica vedasi R. M. GAGNÉ, L’apprendimento dei principi, in P. Boscolo, Psicologia dell’educazione, Martello- Giunti, Milano 1974, p. 305. 52 J. PIAGET, Sviluppo cognitivo dei fanciulli: sviluppo e apprendimento, in R. Karplus – H. Thier, Rinnovamento dell’educazione scientifica elementare, Zanichelli, Bologna 1971, p. 202. epistemologia che] «soprattutto veda nella conoscenza un processo di costruzione continua». 53 Sono da porre in evidenza sia il presupposto della “elaborazione originale” (propria di ogni soggetto) sia il presupposto della “costruzione continua” (pertinente all’attuale concezione della conoscenza). É comunque certo che l’apprendimento derivi molta parte dal suo successo dalle modalità e dalle strategie dell’insegnamento, in particolare dall’insegnamento scolastico. Ma questa dipendenza non è tranquilla; anzi in essa sorgono alcuni problemi; 54 il rischio di mettere in ombra i processi attraverso i quali l’apprendimento si realizza quando si privilegia l’esito che si può ottenere attraverso un insegnamento impostato in modo enfatico sugli obiettivi generali e specifici; la complicazione difficile che la delineazione dei criteri necessariamente adottabili per favorire l’apprendimento cognitivo, comporta; la scomodità per l’insegnamento dovuta all’obbligo esigente di conformare gli interventi ai processi cognitivi i quali determinano ciò che l’alunno deve imparare. In ogni caso l’iniziativa di insegnamento deve innestarsi, per non fallire, sulle conoscenze già in possesso dell’alunno e deve percepire la qualità delle medesime cercando di capire come siano state “costruite” dall’alunno e se egli ne abbia un dominio chiaro, stabile e oculato. Soprattutto deve muoversi in tre direzioni che costituiscono tre momenti: il momento pregiudiziale in cui si attivano i requisiti che suscitano una tensione verso il sapere avvertendo il bisogno di capire; il momento elaborativo in cui si confrontano i diversi stimoli e, mediante la correlazione tra conoscenze possedute e nuove, si erige il nuovo “patrimonio”; il momento mnemonico in cui si trattengono le nozioni in un “cassetto semantico”. Stabilito che «nulla viene proposto alla persona, che questa non si appropri secondo un vaglio selettivo di criteri e principi organizzatori», si può sostenere con Mauro Laeng 55 che la via dell’insegnamento, nel rispetto della legge generale dell’evoluzione, debba passare dal meno differenziato al più differenziato, recuperando senza timidezza e timore, la triade vecchia, ma non decrepita, della sincresi (veduta d’insieme), dell’analisi (rilevazione nell’ambito di una totalità, delle unità parziali inferiori in intima coerenza) e della sintesi PAGE 54 53 J. PIAGET, L’epistemologia genetica, Laterza, Bari 1971, pp. 5 e 10. 54 Cfr. G. PETRACCHI, Processi cognitivi e insegnamento, in AA.VV., Il nuovo Maestri domani, Le Monnier, Firenze 1986, p. 243. 55 Cfr. M. LAENG, Nuovi lineamenti di pedagogia, cit., pp. 68-71; pp. 97-106. (comprensione delle funzioni, delle operazioni e delle relazioni più generali, cioè del reciproco ruolo delle parti nella subordinazione all’unità dell’insieme). Nell’ambito dell’insegnamento, inteso come attività intenzionale rivolta a “presentare segni” in maniera da facilitare l’apprendimento seguendo le tre fasi accennate, si ritiene opportuno ribadire che l’insegnamento è concepibile solo entro una cultura, nella quale i “segni” siano organizzati; che l’insegnamento può essere indiretto (predisposizione delle condizioni opportune) o diretto (azione del docente in prima persona); che l’insegnamento si esplica nelle tre forme classiche che sono: la dimostrazione pratica, la presentazione di immagini e l’istruzione verbale (la terna di Jerome Bruner: le forme prassica, iconica e simbolica); che l’insegnamento verbale resta il mezzo principale e avviene in tre maniere preminenti: quella scritta, quella orale, quella informatica. Partendo dalla consapevolezza che l’insegnamento è un’attività complessa perché il docente deve tenere presenti più parametri contemporaneamente («i bisogni sociali, emozionali e intellettivi propri dell’alunno in via di sviluppo; un curriculum [...] che dedica poca attenzione ai metodi di acquisizione delle abilità, delle abitudini e delle conoscenze; le possibili difficoltà nei rapporti con i genitori; l’ambiente scolastico e l’ambiente sociale in generale» 56 in cui il docente svolge il proprio lavoro) si arriva direttamente a condividere una ipotesi di insegnamento circolare che si estende e si ingrandisce su quattro piani: dell’esperienza concreta, dell’osservazione critica, della concezione astratta, della sperimentazione attiva. In questo schema prende corpo un processo ciclico o a spirale, in cui il docente controlla, valuta e sviluppa costantemente la propria competenza. 57 I suoi momenti fondamentali – nell’ordine indicato dall’autore, Andrew Pollard – sono la raccolta dei dati, l’analisi dei dati, la valutazione dei dati, la riflessione sul lavoro, la programmazione delle decisioni, l’assunzione delle decisioni, l’attuazione delle decisioni. Non si può negare che la “riflessione sul lavoro” sia il segmento saliente delle sette scansioni dell’itinerario completo e che la medesima sia la fase riassuntiva delle precedenti e la premessa esplicativa delle susseguenti: il punto, cioè, in cui il docente “guarda indietro” all’azione svolta e “guarda avanti” PAGE 54 56 M. CENCIČ, L’insegnamento riflessivo, in «Psicologia e Scuola» Anno XX, Giugno Luglio 2000, n. 100, Giunti, Firenze pp. 11-12. 57 Cfr. A. POLLARD, Reflective Teaching in the Primary School, Cassell, London 1997.
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