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Appunti di Diritto Amministrativo - Casetta - 2010, Appunti di Diritto Amministrativo

 Appunti di Diritto Amministrativo - Casetta - 2010

Tipologia: Appunti

2010/2011
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giovanna.z
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Scarica Appunti di Diritto Amministrativo - Casetta - 2010 e più Appunti in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! Diritto amministrativo Capitolo I: L’amministrazione e il suo diritto “Amministrazione” non è di per sé un concetto giuridico. Il termine, lessicalmente inteso, indica la cura in concreto di interessi. Essa è riferibile, dunque, ad un qualsiasi soggetto che svolge un’attività rivolta alla soddisfazione di interessi correlati ai fini che soggetto stesso si propone di perseguire. L’amministrazione è regolata da norme giuridiche ed è volta alla soddisfazione di interessi pubblici (amministrazione in senso oggettivo), questa è collegata alla nozione di amministrazione in senso soggettivo in quanto è amministrativa l’attività posta in essere dalle persone giuridiche pubbliche e dagli organi che hanno competenza alla cura degli interessi dei soggetti pubblici, ciò equivale a dire organizzazione amministrativa. Il numero degli enti pubblici è mutevole nel tempo: di conseguenza, l’ambito dalla pubblica amministrazione tende, nei vari momenti storici, ad estendersi o a contrarsi. Inoltre anche all’interno della stessa amministrazione si verificano mutamenti di grande rilievo. Il diritto amministrativo è la disciplina giuridica della pubblica amministrazione nella sua organizzazione, nei beni e nelle attività ad essa peculiari e nei rapporti che, esercitando tale attività, si instaurano con gli altri soggetti dell’ordinamento. La scienza del diritto amministrativo dei nostri giorni deve confrontarsi con alcuni dati: in primo luogo non esiste soltanto il potere statale, ma sussistono anche altri poteri. Essi devono però rapportarsi sempre ad un ordinamento generale dunque il loro studio giuridico permane nell’ambito del diritto di un medesimo ordinamento generale. In secondo luogo diritto amministrativo è sempre più spesso diritto prodotto dalle fonti comunitarie. Per amministrazione comunitaria si intende l’insieme degli organismi e delle istituzioni dell’unione europea cui è affidato il compito di svolgere attività sostanzialmente amministrative e di emanare atti amministrativi. Nell’ambito del diritto comunitario di estremo rilievo è il principio di sussidiarietà. Esso presenta in realtà due facce. Una garantista a favore del decentramento e dei poteri locali ai quali sono riservate le competenze salvo che non siano in grado di assicurare la realizzazione degli obiettivi che devono perseguire. L’altra che viceversa può agevolare processi di accertamento a favore del livello di governo superiore. La presenza dell’amministrazione comunitaria determina un mutamento del ruolo delle amministrazioni nazionali, le quali sono spesso chiamate a svolgere compiti esecutivi delle decisioni adottate dall’amministrazione comunitaria. Ciò determina una complicazione del procedimento amministrativo nel senso che si assiste alla partecipazione ad esso sia delle amministrazioni italiane, sia dell’amministrazione comunitaria, che emana l’atto finale destinato a produrre effetti per i cittadini, situazione che crea altresì dubbi e incertezze in ordine al giudice al quale deve rivolgersi il privato che si ritenga leso dell’azione procedimentale. Si deve distinguere tra esecuzioni in via indiretta che avviene cioè avvalendosi della collaborazione degli Stati membri, ed esecuzione in via diretta caratterizzata da funzioni svolte direttamente dalla comunità, il che determina un conseguente aumento delle dimensioni organizzative dell’apparato amministrativo che ad essa fa capo. La commissione si avvale così oggi di apparati esecutivi e di uffici che si sono creati e sviluppati spesso in maniera non organica, anche a motivo dell’assenza di una riserva di legge in materia di organizzazione che avrebbe probabilmente imposto uno sviluppo più omogeneo. Capitolo II: Ordinamento giuridico e amministrazione: la disciplina costituzionale Con il termine ordinamento giuridico generale si indica l’assetto giuridico e l’insieme delle norme giuridiche che si riferiscono ad un particolare gruppo sociale. Molte tra le norme di questo ordinamento sono costituite da prescrizioni costituzionale, ed è per questo che l’analisi deve muovere dalla costituzione, per il fatto che le sue prescrizioni prevalgono sulle norme prodotte dalle altre fonti del diritto. La costituzione si occupa dell’amministrazione nella sezione II del titolo III della parte seconda. Dal quadro normativo costituzionale emergono diversi modelli di amministrazione nessuno dei quali assume il ruolo di modello principale. • Art. 98, ai sensi di questo articolo l’amministrazione è direttamente legata alla collettività nazionale, al cui servizio i suoi impiegati sono posti. • Art. 5, caratterizzato dal disegno del decentramento amministrativo e della promozione delle autonomie locali, in grado di esprimere un proprio indirizzo politico-amministrativo. • Art. 97, contiene una riserva di legge e mira a sottrarre l’amministrazione al controllo politico del governo. Si parla quindi di amministrazione indipendente dal governo che si legittima per la sua imparzialità ed efficienza. Quindi l’amministrazione è disciplinata dalla legge. Questo è un articolo centrale. L’articolo pone limiti anche al legislatore, il quale può incidere sull’amministrazione dettando regole per la disciplina della sua organizzazione. Gli organi politici possono controllare indirizzare il livello più alto dell’amministrazione -la dirigenza- solo utilizzando gli strumenti di cui al decreto legislativo 165/2001, in particolare: prefissione degli obiettivi e verifica dei risultati. • Art. 95, L’analisi dei modelli di amministrazione derivanti dal disegno costituzionale fa notare come sia costantemente presente la questione del rapporto tra amministrazione, governo e politica. Difatti ai sensi dell’articolo 95, il governo insieme al parlamento esprime un indirizzo politico-amministrativo. Ma la Pubblica Amministrazione non può essere una semplice ramificazione del potere politico. Quindi l’articolo 95 dice cosa non è l’amministrazione. La Pubblica Amministrazione è concepita come qualcosa di tecnico disciplinata da leggi e norme specifiche. Questo principio si trova anche nel TU EELL. In ogni caso il momento amministrativo non è totalmente estraneo al governo. Difatti quando il governo, espressione delle forze politiche di maggioranza, si ingerisce nell’amministrazione, vi introduce un elemento di politicità. Ma il nostro ordinamento introduce una tendenziale distinzione tra politica ed amministrazione, in occasione della disciplina dell’organizzazione del lavoro presso le PA (d.lgs. 29/1993 sostituito dal d.lgs. 165/2001). Tale disciplina delinea le attribuzioni della componente politica e di quella non politica. L’attuale normativa è orientata in senso garantista, mirando ad escludere che la PA diventi un mero apparato subordinato agli organi politici, i quali, comunque, possono controllare ed indirizzare il livello più alto dell’amministrazione: la dirigenza. Difatti in alcuni casi sussiste uno stretto vincolo fiduciario tra organo politico e vertice dirigenziale, tale che gli incarichi cessano decorsi i 90 giorni dal voto sulla fiducia al nuovo esecutivo dando vita al fenomeno dello spoil system. In tale ipotesi la separazione tra politica ed amministrazione risulta attenuata. I principi costituzionali della PA sono: Principio di Responsabilità, enunciato dall’art. 28 della costituzione “I funzionari ed i dipendenti dello stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende anche allo Stato e agli enti pubblici”. Con il termine responsabilità il costituente si riferisce alla assoggettabilità ad una sanzione dell’autore di un illecito. E’ un principio di immedesimazione organica. Infatti i soggetti della PA non operano in semplice rappresentanza dell’amministrazione ma si immedesimano con essa. Possono essere anche presi provvedimenti disciplinari. Secondo il principio di responsabilità amministrativa, il funzionario risponde in solido con l’amministrazione. Principio di Legalità, trova riconoscimento parziale all’art. 1 della legge 241 che al co 1 recita: l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge. • Risale storicamente all’idea che l’azione amministrativa non deve mai andare contro la legge (art 4 disposizioni preliminari codice civile, articolo cinque legge 2248/1865). • L’azione amministrativa è possibile soltanto nel rispetto dei limiti che la legge impone all’amministrazione (senso formale). È enunciato dall’art. 97 della costituzione. Secondo tale principio l’attività della PA deve essere disciplinata dalla legge. Il principio di legalità si ricollega chiaramente all’idea della legge quale espressione della volontà generale, che si pone alla base di tutte le manifestazioni pubbliche dell’ordinamento e quindi risponde all’immagine dell’amministrazione esecutrice della legge. Si caratterizza per 3 accezioni: 1. Legalità come non contraddittorietà, intesa come non contraddittorietà dell’atto amministrativo rispetto alla legge. Questa accezione di legalità corrisponde all’idea di una PA che può fare ciò che non sia vietato dalla legge. Siffatta opinione è stata poi superata in virtù dell’elaborazione delle tesi sulla legalità formale e sostanziale. 2. Legalità in senso formale, il principio di legalità richiede oltre alla contraddittorietà, anche che l’azione amministrativa abbia uno specifico fondamento legislativo. Si tratta del principio di legalità inteso come conformità formale. La PA deve agire nelle ipotesi ed entro i limiti fissati dalla legge che le attribuisce il relativo potere, quindi la PA per agire ha bisogno di una norma giuridica che l’autorizzi ad agire. L’amministrazione non ha poteri atipici o innominati. 3. Legalità in senso sostanziale, quando c’è una norma che attribuisce un potere, quel potere deve rispettare tutte le norme che ne disciplinano l’esercizio. L’amministrazione deve fare i conti con norme regolative e attributive dell’uso del potere. Ci sono norme che regolano come l’amministrazione deve regolare il potere. Il principio di legalità non è previsto in costituzione, era così anche prima della costituzione del 1948 e il fondamento positivo di questo principio si trova nell’art. 5 della legge 2248/ 1865 e nell’articolo 4 delle disposizioni preliminari del codice civile, è una legge del 1889 che ha previsto il giudice amministrativo. Nel testo della costituzione si possono trovare norme da cui desumere questo principio: art. 24 (tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi), art. 113 (contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi di fronte al giudice amministrativo). L’amministrazione quindi agisce non solo entro i limiti di legge ma in conformità della disciplina sostanziale posta dalla legge stessa, la quale incide anche sulla modalità di esercizio dell’azione. Questa concezione si ricava dalle ipotesi in cui la costituzione prevede una riserva di legge (artt. 13,23,41,51,52), che è molto diversa dal principio di legalità. La riserva di legge riguarda il rapporto tra Costituzione, legge ed amministrazione e, imponendo la disciplina legislativa di una certa Es. immaginiamo che una pubblica amministrazione adotti un programma di assistenza domiciliare agli anziani, mantenere in ospedale anziani senza grossi problemi è costoso e inutile, si può fare a domicilio lasciando letti liberi, questo programma mira a ridurre la spesa giornaliera. I criteri di pubblicità e trasparenza sono riferiti all’attività amministrativa e all’organizzazione. Costituiscono applicazione del principio di imparzialità ed appaiono molto simili. Per differenziarli la L.241/90 quando richiama la pubblicità fa riferimento alle attività che l’amministrazione deve compiere per comunicare ai cittadini notizie, dati e atti (artt. 8, 21-bis, 26). Ad essi possono essere ricondotti molteplici istituti tra i quali il diritto di accesso, la pubblicità degli atti, l’istituzione delle URP, il responsabile del procedimento, e le attività di informazione e comunicazione delle amministrazioni. Principio di economicità (non aggravamento) la legge 241 del 1990 afferma che l’attività amministrativa è retta da criteri di efficacia, economicità e pubblicità (criteri = principi). L’amministrazione deve fare un uso diligente ed accurato delle proprie risorse. Es. l’amministrazione per eseguire un’opera pubblica deve acquisire un terreno privato, spesso lo acquisisce ad un prezzo inferiore a quella di mercato. Il principio di economicità fa preferire l’esproprio al diretto acquisto dal proprietario. Non è detto che la via dell’economicità e la più conveniente per il pubblico interesse. A volte l’esproprio allunga di molto i tempi perché il privato può fare tutti i corsi per ottenere il giusto compenso. La pubblica amministrazione può pensarci bene quindi perché a volte è meglio pagare di più e ottenere subito ciò che si vuole. Se c’è un contrasto tra il principio di ragionevolezza e quello di economicità si preferisce la ragionevolezza. Non ci sono solo i costi patiti dell’amministrazione, ma anche quelli dei privati, della comunità. Implica anche il principio di celerità che è sempre un modo di risparmiare risorse. Il principio di economia ha anche un altro significato: una sequenza di atti del procedimento sia stata sottoposta al sindacato del giudice amministrativo che ha annullato una parte degli atti. Il giudice annulla parzialmente gli atti della procedura, La pubblica amministrazione non riparte da zero ma dall’atto annullato. E ripete solo ciò che è necessario. Principio di Azionabilità delle situazioni giuridiche dei cittadini nei confronti della PA, Principio di Sindacabilità degli atti amministrativi, L’articolo 24.1 Cost. stabilisce che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi” L’articolo 113 Cost. dispone che “contro gli atti della PA è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della PA nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa”. Tale disciplina esprime l’esigenza che ogni atto della PA possa essere oggetto di sindacato da parte di un giudice e che tale sindacato attenga a qualsiasi tipo di vizio di legittimità: si tratta del Principio di Azionabilità delle situazioni giuridiche dei cittadini nei confronti della PA e del Principio di Sindacabilità degli atti amministrativi. Occorre notare che secondo la Corte Costituzionale tale principio non impedisce l’emanazione delle c.d. leggi provvedimento (leggi che hanno un contenuto puntuale e concreto alla stregua dei provvedimenti amministrativi), purchè sia rispettato un canone di ragionevolezza. L’adozione di tali leggi determina l’impossibilità per il cittadino di ottenere tutela giurisdizionale delle proprie situazioni giuridiche soggettive davanti al giudice amministrativo o al giudice ordinario, potendo la legge provvedimento essere sindacata soltanto dalla Corte Costituzionale, alla quale non è possibile direttamente ricorso da parte di soggetti privati lesi. A questo proposito emerge il problema della riserva di amministrazione: ci si deve chiedere se esista un ambito di attività riservata la pubblica amministrazione. Di riserva potrebbe in primo luogo parlarsi nei confronti della funzione giurisdizionale: in questo senso esiste un ambito sottratto al sindacato dei giudici, ordinari amministrativi, costituito dal merito. In taluni casi però l’ordinamento dispone superamento di tale riserva prevedendo che il giudice amministrativo abbia giurisdizione di merito, la quale consente di sindacare l’opportunità delle scelte amministrative. L’idea di una riserva di funzione amministrativa nei confronti del legislativo, di un ambito cioè sottratto alla disciplina legislativa riservato all’amministrazione, sembra confliggere con tutta una serie di principi, tra cui spicca il principio di preferenza della legge che chiaramente informa nostro ordinamento. Un caso di riserva favore del amministrazione, relativo però all’esercizio della funzione regolamentare, pare emergere dall’articolo 117 co 6 che riconosce la potestà regolamentare regionale in ogni materia diversa da quella di competenza statale e la potestà regolamentare di comuni, province città metropolitane in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Principio di Finalizzazione dell’amministrazione pubblica agli interessi pubblici, Dall’esame dell’articolo 97 Cost. emerge il principio di finalizzazione dell’amministrazione pubblica: il buon andamento significa congruità dell’azione in relazione all’interesse pubblico; l’imparzialità postula l’esistenza di un soggetto parte, il quale è tale in quanto persegue finalità collettive che l’ordinamento generale ha attribuito alla sua cura. Tali principi devono essere rispettati anche dal legislatore. Da ciò risulta evidente come la finalizzazione permei l’amministrazione nel suo complesso e si rifletta sulla sua soggettività e sui poteri ad essa riconosciuti ed attribuiti. Principi di Sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, il principio di sussidiarietà significa che la funzione amministrativa deve essere esercita dall’amministrazione più vicina ai soggetti che ne percepiscono gli effetti. Tale principio è stato previsto a livello comunitario in relazione ai rapporti tra Unione-Stati membri. La legge 59/1997 ha attribuito al governo la delega per conferire agli enti locali e alle regioni tutte le funzioni e i compiti amministrativi “relative alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, nonché tutte le funzioni e i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori in atto esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrali o periferici, ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici”. Tale principio può essere inteso non solo in senso verticale (distribuzione delle competenze tra centro e periferia), ma anche in senso orizzontale, cioè nei rapporti tra poteri pubblici e organizzazioni della società. Difatti è prevista la possibilità che gli Enti Locali svolgano le proprie funzioni attraverso le attività che possono essere esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali. Con la nuova formulazione dell’articolo 118 Cost. è stato costituzionalizzato il principio della sussidiarietà in senso verticale “le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni, salvo che , per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a province, Città metropolitane, Regioni e Stato sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”, le relative funzioni amministrative spettano in via di principio ai comuni, e in senso orizzontale “Stato, Regioni, Città metropolinate, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale sulla base del principio di sussidiarietà”. L’amministrazione nella costituzione come “per potere dello Stato”: il principio tradizionale della separazione dei poteri nella sua pura formulazione, postulava che le tre funzioni, legislative esecutiva e giudiziaria, fossero distribuite tra poteri distinti. Ma oggi sono stati riconosciuti altri poteri accanto ai tre tradizionali, inoltre la funzione giurisdizionale è soltanto statale, quella amministrativa e quella legislativa sono distribuite tra altri soggetti. Più in generale poteri differenti esercitano la stessa funzione o ne collaborano all’esercizio. Infine accanto allo Stato devono essere ricordate le regioni alle quali la costituzione riserva una peculiare sfera di attribuzioni. Per potere si intende il complesso organizzatorio al quale è attribuita dall’ordinamento una peculiare frazione di autorità. Tra i vari poteri pubblici dell’ordinamento possono sorgere conflitti, nel senso che può venire in discussione la spettanza di una o più potestà a uno o più di tali soggetti. Il conflitto si dice positivo nell’ipotesi in cui autorità diverse affermino la titolarità della medesima potestà, negativo se l’autorità invitata ad esercitare una potestà neghi di esserne titolare, reale se sia sfociato in pronunce contrastanti di autorità diverse, virtuale quando la situazione di conflitto è potenziale. La possibilità di conflitti si profila non soltanto nell’ipotesi di contestazioni tra soggetti distinti dell’ordinamento ed aventi una sfera di competenza costituzionalmente riservata (conflitti di attribuzione), ma anche in altri casi. I conflitti possono sorgere infatti tra organi appartenenti a diversi ordini giurisdizionali e si parlerà di conflitti di giurisdizione, oppure tra organi appartenenti allo stesso potere inteso come complesso organizzatorio e si parlerà allora di conflitti di competenza (che possono essere amministrativi, quando il conflitto sorge tra più organi della stessa amministrazione, o giurisdizionale, quando il conflitto sorge tra più giudici dello stesso ordine grado). L’articolo 134 attribuisce alla corte costituzionale anche il compito di risolvere i conflitti di attribuzione tra Stato e regioni e i conflitti tra regioni e cioè tra enti costituzionali. Tali conflitti sono originati dall’invasione da parte di un atto statale, non avente valore di legge, della sfera di competenza segnata dalla costituzione ad altre norme costituzionali ad una regione, ovvero dall’invasione da parte di un atto regionale della sfera di attribuzioni dello Stato di un’altra regione. Gli atti invasivi del potere altrui sono spesso amministrativi. Gli organi competenti a sollevare il conflitto tra poteri sono il presidente del Consiglio dei Ministri, il consiglio dei ministri e anche il ministro di grazia e giustizia. I poteri con cui può sorgere il conflitto sono il presidente della Repubblica, le camere del Parlamento, la corte costituzionale, CSM, consiglio nazionale dell’economia del lavoro, Consiglio di Stato nell’esercizio della funzione consultiva, la Corte dei Conti nell’esercizio della funzione di controllo, la magistratura nel suo complesso. Capitolo III: L’organizzazione amministrativa: profili generali I soggetti di diritto pubblico costituiscono nel loro complesso l’amministrazione in senso soggettivo, che si articola in enti pubblici, dotati di capacità giuridica e quindi idonei ad essere titolari di poteri amministrativi. Sono per questo definiti centri di potere. Caratteri dell’ente pubblico L’art. 97 cost. stabilisce il principio generale secondo cui “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge”. Nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge. Per quanto riguarda gli enti regionali, l’articolo 117 co 1 sancisce il principio della necessità di una legge regionale per l’istituzione degli enti dipendenti dalla regione. La spinosa questione dell’individuazione degli enti pubblici è stata risolta utilizzando una serie di indici esteriori come: la costituzione dell’ente ad opera di un soggetto pubblico, la nomina degli organi direttivi di competenza dello stato o di altro ente pubblico e l’attribuzione di poteri autoritativa. Definizione di ente pubblico Gli indici esteriori rivelatori della pubblicità non sembrano idonei a consentire l’individuazione dell’elemento essenziale della pubblicità di una persona giuridica. Elemento che invece va ricercato considerando la particolare rilevanza pubblicistica dell’interesse perseguito dall’ente. L’interesse è pubblico poiché la legge l’ha imputato ad una persona giuridica tenuta giuridicamente a perseguirlo. Questo determina il fenomeno per cui l’ente pubblico non può disporre della propria esistenza a differenza dei soggetti privati. L’indisponibilità della propria esistenza è una conseguenza della doverosità del perseguimento dell’interesse pubblico. Può accadere che l’ordinamento consideri di pubblico interesse la presenza di un soggetto sul mercato, interesse individuato nel fatto che tale soggetto svolga attività economiche. Vengono in tal caso istituiti Enti Pubblici Economici ai quali vengono riconosciuti poteri autoritativi. La qualificazione di ente pubblico è importante in quanto comporta le seguenti conseguenze: a) Solo gli enti pubblici possono emanare provvedimenti che hanno efficacia sul piano dell’ordinamento generale alla stregua dei provvedimenti dello stato, impugnabili davanti al giudice amministrativo. Un ente pubblico è dotato di autonomia cioè la capacità di porre in essere norme generali e astratte che abbiano efficacia sul piano dell’ordinamento generale. Autonomia che può essere: di indirizzo (possibilità di darsi obiettivi anche diversi da quelli statali), finanziaria (possibilità di decidere in ordine alle spese e di disporre entrate autonome), organizzativa (possibilità di darsi un assetto organizzativo diverso dai modelli generali), tributaria (possibilità di disporre propri tributi) o contabile (possibilità di derogare al normale procedimento previsto per l’erogazione di spese e l’introito di entrate). b) Solo agli enti pubblici è riconosciuta la potestà di autotutela, cioè l’ordinamento attribuisce a tali enti la possibilità di risolvere un conflitto attuale o potenziale di interessi e di sindacare la validità dei propri atti producendo effetti incidenti su di essi. La differenza con il privato appare quindi evidente in quanto questi ultimi non possono farsi giustizia da soli, dovendo ottenere una pronuncia in sede giurisdizionale. L’autotutela costituisce di norme esercizio di funzioni di amministrazione attiva, essa deve obbedire alle regole generali di siffatta funzione, in base alle quali occorre sempre la dimostrazione dell’esistenza di un interesse pubblico attuale l’emanazione dell’atto, ovvero all’assunzione delle misure di autotutela. Il solo presupposto che un provvedimento sia illegittimo non è dunque sufficiente a giustificare l’esercizio dell’autotutela su quell’atto. c) Le persone fisiche legate da un rapporto di servizio agli enti pubblici sono assoggettate ad un particolare regime di responsabilità penale, civile e amministrativa. d) Gli enti pubblici sono tenuti al rispetto dei principi applicabili alla PA, difatti alcuni beni sono assoggettati ad un regime speciale. e) L’attività che costituisce esercizio di poteri amministrativi è retta da norme speciali quali quelle contenute nella L.241/90 relativa ai procedimenti amministrativi. f) Ai sensi dell’art. 21-ter “ai fini dell’esecuzione delle obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro si applicano le disposizioni per l’esecuzione coattiva dei crediti dello Stato”. Gli enti pubblici possono dunque utilizzare procedure privilegiate per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato. g) Nel caso di partecipazioni in SpA, l’atto costitutivo può conferire agli enti pubblici la facoltà di nominare uno o più amministratori, sindaci o componenti del consiglio di sorveglianza. h) Gli enti pubblici sono soggetti a particolari rapporti o relazioni la cui intensità varia in ragione dell’autonomia dell’ente. I concetti di autotutela, autarchia e autonomia non vanno confusi con l’autodichia (possibilità spettante ad alcuni organi costituzionali come Camera e Senato, di sottrarsi alla giurisdizione degli organi giurisdizionali comuni nelle controversie con i propri dipendenti), e l’autogoverno (situazione nella quale gli organi dello stato sono designati dalla collettività di riferimento anziché essere nominati dall’autorità centrale). Classificazione degli enti pubblici In base alla modalità con la quale viene organizzata la presenza degli interessati negli organi dell’ente, si possono avere: c) affidamento del servizio a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare. Analogamente a quanto accade per alcune persone giuridiche private le società per azioni a partecipazione pubblica sono soggette ad una normativa stabilita in modo minuzioso e tendenzialmente completo dalla legge, onde l’eventuale conclusione nel senso della loro natura pubblicistica non è decisiva ai fini dell’estensione ad essere regime degli enti pubblici. Le fondazioni sono un modello in via di diffusione nell’ambito dell’attività amministrativa, sono caratterizzate dall’indisponibilità dello scopo, svolgono attività in settori contigui a quelli delle amministrazioni. Vicende degli enti pubblici La costituzione degli enti pubblici può venire per legge operato amministrativo sulla base di una legge. Il legislatore non è libero di rendere pubblica qualsiasi persona giuridica privata, sussistono infatti limiti costituzionali che tutelano le formazioni sociali, la libertà di associazione e altre attività private. In ordine all’estinzione degli enti pubblici deve osservarsi che essa può aprire una vicenda di tipo successorio normalmente disciplinata direttamente dalla legge, allorché le sue attribuzioni siano assorbite da un altro ente. L’estinzione può essere prodotta dalla legge o da un atto amministrativo basato sulla legge. Quanto alle modificazioni degli enti pubblici si possono ricordare il mutamento degli scopi, le modifiche del territorio degli enti territoriali, le modificazioni delle attribuzioni e le variazioni della consistenza patrimoniale. Gli enti pubblici possono essere inoltre trasformati in persona giuridica di diritto privato. Privatizzazione degli enti pubblici La scelta di privatizzazione degli enti pubblici è sostenuta da diverse ragioni: 1. La trasformazione dell’ente in SpA, consente di reperire capitale di rischio sul mercato ed ha una snellezza d’azione maggiore. 2. Il processo è influenzato dalla UE. 3. Tende a ridurre gli ambiti nei quali i soggetti pubblici agiscono in posizione di monopolio o disponendo speciali privilegi. 4. Consente la riduzione dell’indebitamento finanziario. In linea generale, la privatizzazione che non sia soltanto formale, comporta che il potere pubblico rinunci ad essere imprenditore e incide sul modello di intervento pubblico in economia. E’ chiaro che se si fosse in presenza di privatizzazione in senso sostanziale, il risultato sarebbe lo spostamento della linea di demarcazione tra pubblico e privato. L’ente pubblico economico viene trasformato in SpA, con capitale interamente posseduto dallo stato. Successivamente si procede alla dismissione della quota pubblica come avvenuto per l’ENI o la Società autostrade. In genere la privatizzazione interessa soggetti che operano in tre settori principali: • Nella gestione di partecipazioni azionarie (IRI,ENI) • Nei servizi di pubblica utilità (ENEL, Telecom) • Nel settore creditizio I principi in tema di organizzazione degli enti pubblici L’organo Problema essenziale delle organizzazioni è quello della riferibilità ad esse di situazioni giuridiche di rapporti giuridici. Inizialmente la personalità giuridica era attribuita solo allo Stato, mentre successivamente sono state riconosciute altre soggettività. Premesso che le persone giuridiche costituiscono un’invenzione del diritto e sono quindi incapaci di agire, è necessario spiegare, come invece esse potessero agire. Le spiegazioni possono essere due: • Ricorrere all’istituto della rappresentanza, alla stessa stregua di quella necessaria disposta per le persone fisiche incapaci di agire • Utilizzare la figura dell’organo, la persona giuridica agisce e l’azione svolta dall’organo si considera poste in essere dall’ente. L’organo non è separato dall’ente e quindi la sua azione non è svolta in nome e per conto di altri, diventando direttamente attività propria dell’ente che risulta così capace di agire, senza la necessità che altri presti la propria volontà. L’organo è quindi uno strumento di imputazione e cioè l’elemento dell’ente che consente di riferire all’ente stesso atti e attività. Spesso l’organo permette all’ente di rapportarsi con altri soggetti giuridici o comunque di produrre effetti giuridici preordinati all’emanazione di atti aventi rilevanza esterna (organo come strumento di imputazione). Posto che i poteri vengono attribuiti soltanto all’ente avente la soggettività giuridica, e che esso si avvale di più organi, ognuno di essi, pur senza essere titolare, esercita una quota di quei poteri detta competenza. Da questo punto di vista l’organo e dunque anche un centro di competenza, nel senso che il meccanismo d’imputazione che corre tra la persona fisica preposta all’organo è l’ente si attiva con riferimento ad una certa sfera di competenze. Classificazione degli organi Gli organi possono essere: • Interni o procedimentale, sono organi competenti ad emanare atti aventi rilevanza endoprocedimentale. • Esterni, sono organi competenti ad emanare provvedimenti o atti aventi rilevanza esterna. I dirigenti in particolare adottano atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno. • Centrali, estendono la propria competenza all’interno rispetto all’attività dell’ente. • Periferici, hanno competenza limitata ad un particolare ambito di attività. • Permanenti, sono stabili. • Temporanei, svolgono funzioni solo per un determinato periodo di tempo. • Attivi, competenti a formare ed eseguire la volontà dell’amministrazione in vista del conseguimento dei fini ad essa affidati. • Consultivi, rendono pareri. • Di controllo, sindacano l’attività posta in essere dagli organi attivi. • Rappresentativi, organi i cui componenti vengono designati o eletti dalla collettività. • Non rappresentativi, organi i cui componenti non vengono designati o eletti dalla collettività. • Con legale rappresentanza, particolare tipo di organo esterno che esprime la volontà dell’ente nei rapporti contrattuali con i terzi e che avendo capacità processuale, conferisce la procura alle liti per agire o resistere in giudizio. • Con personalità giuridica, la personalità giuridica spetta solo all’ente. Alcuni organi però, per espressa volontà di legge, sono dotati di personalità giuridica, e sono quindi titolari di potere. Es. ISTAT • Monocratici, il cui titolare è una sola persona. • Collegiali, formato da più persone fisiche. Relazioni interorganiche Tra gli organi di una persona giuridica possono instaurarsi relazioni disciplinate dal diritto, che hanno carattere di stabilità e riflettono la propria posizione nell’ambito dell’organizzazione. Tali relazioni sono: • Gerarchia, esprime la relazione di sovraordinazione-subordinazionetra organi diversi. L’organo subordinato non dispone di una propria esclusiva sfera di competenza e l’organo sovraordinato ha una competenza comprensiva anche di quello subordinato. I poteri caratteristici della relazione gerarchica sono: • potere di ordine, di direttiva e di sorveglianza sull’attività degli organi subordinati i quali possono essere sottoposti a ispezioni e inchieste, • potere di decidere i ricorsi gerarchici proposti avverso gli atti dell’organo subordinato, • potere di annullare d’ufficio o revocare gli atti emanati da un organo subordinato • potere di risolvere i conflitti che insorgono tra enti subordinati • potere di avocazione e sostituzione • Direzione, nonostante esistano due organi posti in situazione di disuguaglianza, sussiste una sfera di autonomia in capo all’organo subordinato, mentre l’organo sovraordinato ha il potere di indicare gli scopi da perseguire, ma deve lasciare alla struttura sotto ordinata la facoltà di scegliere le modalità e i tempi dell’azione volta a conseguire quei risultati. L’organo sovraordinato ha più in particolare il potere di indirizzo, il potere di emanare direttive e quello di controllare l’attività amministrativa in considerazione degli obiettivi da conseguire. • Coordinamento, si riferisce ad organi in situazione di equiordinazione preposti ad attività che, pur dovendo restare distinte, sono destinate ad essere ordinate secondo un disegno unitario. Contenuto di tale relazione sarebbe il potere di un coordinatore di impartire disposizioni idonee a tale scopo e di vigilare sulla loro attuazione ed osservanza. Il coordinamento è definito dalla legge come potere esercitatile all’interno della direzione. • Controllo, riguarda un’autonoma funzione svolta da organi peculiari. Consiste in un esame, da parte di un apposito organo, di atti e attività imputabili ad un altro organo controllato. Un’attività di controllo in ogni caso viene svolta nell’ambito delle relazioni di sovraordinazione-sottoordinazione. Tale controllo è sempre doveroso, accessorio rispetto all’attività principale e svolto nelle forme previste dalla legge. Si conclude con la formulazione di un giudizio, positivo o negativo, sulla base del quale viene adottata una misura. Il controllo può essere esercitato da organi di un ente nei confronti di organi di altro ente. Le misure che possono essere adottate a seguito del giudizio che costituisce la prima fase del controllo sono di vario tipo: repressive, impeditive, sostitutive. Nel controllo sugli organi la misura è la sostituzione dell’organo ordinario nel compimento di alcuni atti. Diversa è la misura che consiste nell’applicazione di sanzioni ai componenti l’organo. Nell’ambito dei controlli sugli atti sì distingue tra controlli preventivi e successivi. In via di mezzo si collocano i controlli mediante riesame, i quali procrastinano l’efficacia dell’atto all’esito di una nuova deliberazione dell’autorità decidente. Controllo di ragioneria nell’amministrazione statale e controllo della Corte dei Conti Particolare tipo di controllo è il controllo di ragioneria esercitato dagli uffici centrali di bilancio a livello centrale e dalle ragionerie provinciali a livello di organi decentrati delle amministrazioni statali, i quali provvedono alla registrazione degli impegni di spesa e possono inviare segnalazioni sulla legalità della spesa senza che ciò abbia effetti impeditivi sull’efficacia degli atti. Gli uffici di ragioneria svolgono il controllo interno di regolarità amministrativa e contabile. Controllo esterno e costituzionalmente garantito è quello esercitato dalla Corte dei Conti quale “organo al servizio dello stato-comunità” attraverso il meccanismo della registrazione e apposizione del visto. I controlli spettanti alla Corte dei conti sono : • Un controllo preventivo su specifici atti, • Un controllo preventivo sugli atti che il Presidente del Consiglio richiede di sottoporre temporaneamente a controllo o che la corte dei conti deliberi di controllare per un determinato preriodo, • Un controllo successivo sui titoli di spesa relativi al personale, • Un controllo successivo sugli atti di notevole rilievo finanziario individuati per categorie ed amministrazioni statali, • Un controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo stato contribuisce in via ordinaria, • Un controllo sulla gestione degli enti locali. Il controllo si conclude con un referto al Parlamento. La Corte dei Conti verifica il rispetto degli equilibri di bilancio da parte degli enti territoriali in relazione al patto di stabilità interno e agli obblighi derivanti dall’appartenenza alla UE, • Un controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria. Inoltre la Corte pronuncia il giudizio di parificazione sul rendiconto generale dello stato accompagnato da specifica relazione. La disciplina del controllo preventivo risulta dalla combinazione della legge 20 del 1994 e del testo unico della Corte dei Conti. I provvedimenti soggetti a controllo preventivo divengono efficaci nell’ipotesi in cui il competente ufficio di controllo non abbia rimesso all’esame dell’atto alla sezione di controllo ento 30 giorni dal ricevimento dell’atto, ovvero ancora se la sezione di controllo non abbia dichiarato l’illegittimità dell’atto entro 30 giorni dalla data di deferimento del provvedimento, o se entro lo stesso termine non abbia adottato ordinanza istruttoria. L’atto trasmesso alla Corte dei Conti divine in ogni caso esecutivo trascorsi 60 giorni dalla sua ricezione senza che sia intervenuta una pronuncia della sezione di controllo. Per quanto attiene all’esito negativo del controllo in via preventiva il rifiuto deve essere esternato atteso che in caso contrario il silenzio equivarebbe ad assenso e dunque a controllo positivo. I controlli interni Il sistema italiano è stato per lungo tempo caratterizzato dalla prevalenza dei controlli preventivi di legittimità sui singoli atti. Un importante passo in senso opposto è stato mosso quella legge 142 del 1990 la quale ha previsto negli enti locali un controllo successivo di gestione affidato ai revisori dei conti, i quali possono esprimere rilievi e proposte mirate ad una intesa in senso proprio, sussiste infatti una sfera di autonomia non comprimibile in capo dirigenti. I mezzi: i beni pubblici Al fine di svolgere i propri compiti, le amministrazioni pubbliche devono utilizzare non solo risorse umane, ma anche mezzi materiali. In particolare esse necessitano di mezzi finanziari per il proprio funzionamento dello svolgimento delle attività cui sono tenute. Tra i beni che appartengono agli enti pubblici rivestono particolare importanza i beni pubblici, i quali sono assoggettati ad una normativa differente rispetto a quella che si applica agli altri beni per ciò che riguarda i profili dell’uso, della circolazione e della tutela. Accanto ai beni appartenenti alle pubbliche amministrazioni definiti pubblici, sussistano anche beni appartenenti ad enti pubblici soggetti alla normativa di carattere generale sulla proprietà privata, fatte salve alcune disposizioni in tema di contabilità pubblica. Questi ultimi costituiscono nel loro complesso il patrimonio disponibile degli enti pubblici, così aggettivato per distinguerlo dal patrimonio disponibile, che va ricondotto i beni pubblici. In linea di principio i beni patrimoniali disponibili possono essere oggetto di contratti di alienezione, di acquisto e così via. Discorso a parte va fatto per l’alienazione dei beni del patrimonio disponibile sottoposti a procedimento di dismissione. La locuzione patrimonio disponibile qui impiegata non indica una peculiare categoria di beni sottoposti al diritto privato, ma vuole piuttosto rimarcare la differenza del regime di questi beni appartenenti a soggetti pubblici rispetto ai beni del patrimonio disponibile e del demanio, sottratti al potere di disposizione dell’ente proprietario. Il complesso dei beni pubblici appartiene alle pubbliche amministrazioni a titolo di proprietà pubblica. La titolarità della proprietà dei beni pubblici appartenenti agli enti pubblici trova la sua fonte innanzitutto nella legge. Così alcuni beni appartengono allo Stato o alla regione ex legge: si tratta di taluni beni del demanio naturale (marittimo e idrico) e del patrimonio indisponibili (miniere), nonché di altri beni quali beni di interesse artistico, storico o archeologico esistenti o ritrovati nel sottosuolo, ecc. Ma siffatta titolarità può derivare anche da: • fatti acquisitivi: acquisto della proprietà di beni mediante l’occupazione, l’invenzione, la cessione, la specificazione, l’unione l’usucapione e la successione. • Atti di diritto comune (contratti, testamento, donazione, pagamento, provvedimenti giudiziari di esecuzione). • Fatti basati sul diritto internazionale (confisca e requisizione bellica, successione ad altro Stato) o basati sul diritto pubblico interno (successione tra enti). • A pubblicistici che comportano l’ablazione di diritti reali su beni di altri soggetti di (confisca, spiegazione, requisizione in proprietà o in uso). Quindi si dividono in: • Beni di interesse pubblico, categoria che al suo interno ricomprende più beni rispetto ai beni pubblici. Sono beni che vengono utilizzati e finalizzati al soddisfacimento dell’interesse pubblico. All’interno di questa categoria rientrano anche beni che appartengono ai privati (Esempio: collezioni private che sono anche utilizzate per essere esposte). Il fine è quello di migliorare lo stato della cultura della collettività, che altrimenti non avrebbe potuto usufruire di quel bene. • Beni pubblici, comprende i beni che: • sono finalizzati al soddisfacimento dell’interesse pubblico • appartengono ad un ente pubblico Tali caratteristiche sono entrambi essenziali. I beni pubblici vengono trattati dal nostro ordinamento in modo specifico. Si distinguono in base ad un criterio formale e quindi occorre ricorrere ad una norma di legge. Quella fondamentale è il codice civile (articolo 822 e seguenti). I beni demaniali sono tassativamente indicati dalla legge e comprende nei beni demaniali necessari e beni demaniali accidentali. I beni del demanio necessario sono costituiti a loro volta dal: 1. ai sensi dell’articolo 822 del codice civile e dell’articolo 28 del codice della navigazione fanno parte del demanio marttimo il lido del mare, le spiagge, i porti, le lagune, le rade, le foci dei fiumi e canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo. 2. Il demanio idrico è costituito da: fiumi, torrenti, laghi ed altre acque pubbliche, i ghiacciai. I porti lacuali e di navigazione interna appartengono al demanio regionale, così come altri beni del demanio idrico appartengono alle regioni a statuto speciale. Tutte le acque superficiali sotterranee sono considerati demaniali, ma la demanialità necessaria dell’acqua non si estende agli acquedotti e ai canali che la coinvolgono i quali appartengono al demanio accidentale. 3. Il demanio militare comprende le opere destinate alla difesa nazionale, si tratta dunque di un demanio essenzialmente artificiale: fortezze, piazzeforti, linee fortificate, nonchè le opere (porti, aeroporti, strade, ferrovie, stazioni radio) destinate al servizio della comunicazione militare. L’ordinamento tiene distinti questi beni da altri beni (caserme, armamenti, navi e aeromobili) che, pur essendo preordinati alla medesima finalità difensiva, fanno parte del patrimonio indisponibile. I beni del demanio necessario non possono non appartenere allo stato, fatte salve le eccezioni, costituite dai beni demaniali regionali. Il demanio necessario, inoltre, è costituito esclusivamente da beni immobili che, a differenza della generalità degli altri beni pubblici, paiono caratterizzati dalla scarsa deperibilità. Accanto ai beni del demanio necessario la legge contempla i beni del demanio accidentale, composto da strade, autostrade, aereodromi, acquedotti, immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico ed artistico, raccolte dei musei, pinacoteche, archivi e biblioteche e dagli altri beni che non sono assoggettati al regime proprio del demanio. L’articolo 824 co 2 assoggetta allo stesso regime dei beni demaniali accidentali cimiteri e i mercati comunali. Tali beni rientrano nel demanio comunale (denominato in dottrina specifico) soltanto se appartengono ai comuni: si danno infatti casi di sepolcri e cimiteri privati e di mercati non comunali. I beni del demanio accidentale possono appartenere a chiunque, ma sono tali qualora appartengono ad un ente pubblico territoriale: tuttavia non soltanto allo Stato o alla regione come invece è stabilito per i beni del demanio necessario. Ulteriore differenza deriva dal fatto che essi non sono costituiti esclusivamente da beni immobili, potendo consistere anche in universalità di mobili. I beni demaniali sono caratterizzati dal punto di vista giuridico dall’appartenenza enti territoriali: ciò in quanto essi sono direttamente preordinati alla soddisfazione di interessi imputati alla collettività stanziata sul territorio e rappresentata dagli enti territoriali. Tali beni a norma dell’articolo 823 cc sono inalienabili, non possono dar luogo a diritti a favore di terzi se non nei limiti stabiliti dalla legge, non possono essere soggetti a espropriazione forzata. A causa dell’incommerciabilità dei beni demaniali sono nulli di diritto agli eventuali atti dispositivi di essi poste in essere della pubblica amministrazione. Inoltre va escluso in modo assoluto la trasferibilità dei beni del demanio necessario alle regioni. Altra regola è quella contenuta nell’articolo 823: “spetta all’amministrazione la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico”. L’amministrazione ai sensi della norma dispone di poteri di autotutela: ciò significa che, anziché utilizzare gli ordinari rimedi giurisdizionali che l’ordinamento prevede a tutela della proprietà, essa può direttamente procedere a tutelare i propri beni in via amministrativa, irrogando sanzioni ed esercitando poteri di polizia demaniale. La tutela di questi beni infatti non si limita solo alla tutela giurisdizionale ma anche all’autotutela, cioè quella in via amministrativa. I beni demaniali sono inalienabili, ma ci sono eccezioni che possono derogare alla regola generale. Tale eccezione è rappresentata dal DPR 283/00 abrogato con DLGS 42/2004 (codice dei beni culturali). Tale codice si riferisce ai beni del patrimonio artistico e storico. A norma dell’articolo 1, i beni mobili del demanio artistico e storico non possono essere alienati se non nei limiti e con le modalità stabilite dal presente regolamento. A norma dell’articolo 2 viene posta una lista di beni che non possono in assoluto essere ceduti A norma dell’articolo 6, fermo restando i casi di inalienabilità di cui all’articolo 2, alcuni beni del demanio storico-artistico possono essere alienati attraverso una specifica autorizzazione rilasciata dal sovrintendente regionale e con un particolare procedimento. A norma dell’articolo 12, il ministero dei beni culturali ha la prelazione sul bene che si intende alienare. Tutto ciò è stato confermato dal DLGS 42/2004. I beni del demanio naturale acquistano la demanialità per il solo fatto di possedere i requisiti previsti dalla legge. I vini artificiali diventano invece demaniali nel momento in cui rientrano in uno dei tipi fissati dalla legge e, cioè, nel momento in cui opera sia realizzata purché siano di proprietà dell’ente territoriale. La sdemanializzazione comporta la cessazione del diritto di uso del bene spettanti a terzi e l’estinzione delle eventuali limitazioni derivanti dalla natura demaniale del bene stesso. Il regime giuridico dei beni del patrimonio indisponibile I beni del patrimonio indisponibile sono indicati dall’articolo 826 co 2 e 3 e dall’articolo 830 co2. Art. 826. Patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni. I beni appartenenti allo Stato, alle province e ai comuni, i quali non siano della specie di quelli indicati dagli articoli precedenti, costituiscono il patrimonio dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato le foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità ne è sottratta al proprietario del fondo, le cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo, i beni costituenti la dotazione della presidenza della Repubblica, le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari e le navi da guerra. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio. Art. 830. Beni degli enti pubblici non territoriali. I beni appartenenti agli enti pubblici non territoriali sono soggetti alle regole del presente codice, salve le disposizioni delle leggi speciali. Ai beni di tali enti che sono destinati a un pubblico servizio si applica la disposizione del secondo comma dell'articolo 828. • Beni patrimoniali indisponibili presentano le seguenti caratteristiche: 1. possono appartenere a qualsiasi ente pubblico 2. sono beni mobili o immobili Tali beni hanno un particolare regime giuridico perché sono beni caratterizzati da un vincolo di indisponibilità, cioè sono indisponibili all’ente pubblico. Non possono essere quindi sottratti alla loro destinazione di soddisfacimento di un pubblico interesse. I beni del patrimonio indisponibile non sono assolutamente incommerciabili: gli ha atti di disposizione tuttavia devono rispettare il vincolo di destinazione. L’atto di trasferimento di tali beni che non rispetti la disciplina legislativa di conseguenza non è nullo perché avente ad oggetto una res fuori commercio, ma annullabile per violazione dei modi di legge stabiliti per sottrarli al vincolo di destinazione, anche se pure è sostenibile la tesi della nullità per contrarietà a norma imperativa. • Beni patrimoniali disponibili, sono beni che appartengono ad un ente pubblico. Anche se di proprietà dello stato non hanno come fine principale il soddisfacimento di un pubblico interesse, ma sono beni che l’ente pubblico possiede come un privato (Esempio: denaro). Possono quindi essere utilizzati in maniera libera. Per definire questi beni si va per esclusione. Cioè sono beni di proprietà pubblica che non fanno parte delle altre due categorie. • Beni privati di interesse pubblico, sono beni appartenenti ai privati, ma che possono essere utilizzati per il soddisfacimento di un interesse pubblico. Sono beni che hanno una rilevanza. Sono quindi beni di proprietà privata ma essendo di interesse pubblico hanno un regime giuridico particolare. Infatti subiscono delle limitazioni. Tali beni si dividono in: • Beni vincolati, caratterizzati da vincoli, cioè limitazioni caratterizzate dal fatto di avere ad esempio una certa destinazione o dall’impossibilità del proprietario di modificarli • Beni onerati, impongono oneri al proprietario. Esempio: cava. Il proprietario è costretto ad utilizzarla per valorizzarla e nel caso in cui non lo faccia lo stato può prenderla. Occorre considerare che: a) alcuni beni demaniali sono riservati necessariamente allo Stato o alla regione (demanio necessario), mentre altri possono appartenere anche a privati o a enti non territoriali, b) analoghe considerazioni valgono per i beni del patrimonio disponibile: alcuni sono riservate ad enti pubblici, sicché nessun altro soggetto dell’ordinamento è legittimato ad acquistarli, altri beni sono patrimoniali indisponibili per il solo fatto di appartenere ad un ente pubblico particolare, ovvero allo Stato, c) alcuni beni del patrimonio disponibile solo incommerciabili in via assoluta in quanto trattasi di beni riservati (ad esempio le miniere), gli altri invece sono incommerciabili e sottratti alla garanzia patrimoniale dei creditori soltanto in costanza di destinazione pubblica, d) altri beni ancora sono soggetti ad un regime di inalienabilità, salvo permesso amministrativo: è il caso dei beni forestali, la cui alienazione è soggetta all’approvazione. La gestione dei beni immobili statali assegnati ad un particolare servizio può poi essere affidata gratuitamente al ministero al quale servizio si riferisce. Si tratta però di una gestione temporanea, sicché alla scadenza, la gestione passa automaticamente al ministero dell’economia e delle finanze. -Il processo di privatizzazione dei beni appartenenti ad enti pubblici è generalmente finalizzato a soddisfare esigenze di carattere finanziario e di risanamento del debito pubblico anche se, mentre per i beni del patrimonio disponibile il criterio base dovrebbe essere costituito dal rapporto spese-ricavi, per gli altri occorre soprattutto valutare il permanere della funzione pubblica da essi assolta. Più in generale, i beni pubblici sono sempre più spesso usati non per soddisfare specifici interessi pubblici, ma per produrre entrate. Tre sono le modalità di dismissione del patrimonio dello Stato. In primo luogo il ministero dell’economia e della finanza è autorizzato a sottoscrivere quote di fondi immobiliari mediante apporto di beni immobili e dei diritti reali su immobili appartenenti al patrimonio dello Stato. Tali fondi sono gestiti da una • CNEL, previsto dall’articolo 99 Cost. come organo ausiliario del governo, non è inserito nell’apparato amministrativo. Composta da un presidente e 111 membri. Svolge compiti di consulenza tecnica. Le azienda autonome Accanto al modello di organizzazione ministeriale, di stampo cavouriano, l’organizzazione statale si completa con la presenza di altre figure soggettive le Aziende autonome, che sono amministrazioni caratterizzate dal fatto di essere incardinate presso un ministero e di avere una propria organizzazione, separata da quella ministeriale. Svolgono attività prevalentemente tecnica, amministrano in modo autonomo le entrate, dispongono di capacità contrattuale e sono titolari di rapporti giuridici, pur non avendo un proprio patrimonio. Molte di esse sono state trasformate in Enti pubblici economici o in SpA. Sono generalmente prive di personalità giuridica e sono quindi rette dal ministro che ne ha la rappresentanza, il quale è affiancato dal Consiglio di Amministrazione e dal direttore, organo esecutivo. Il bilancio e il rendiconto sono allegati al Bilancio dello Stato. Molte aziende autonome sono state soppresse mentre altre sono state trasformate come PT, FFSS, ENAV e CDDPP. Le Amministrazioni Indipendenti L’esperienza legislativa più recente è caratterizzata dall’introduzione delle Amministrazioni Indipendenti. Tale categoria è sorta per ovviare all’incapacità dell’organizzazione amministrativa di provvedere ai compiti ad essa attribuiti, incapacità imputata all’indebito condizionamento politico ed alle carenze tecniche degli organi amministrativi. In tal modo compiti rilevanti vengono attribuiti a soggetti dotati di notevole indipendenza rispetto al governo e agli organi politici. Le Amministrazioni Indipendenti più conosciute sono: • Banca d’Italia • Consob • Autorità per le garanzie nelle comunicazioni • Autorità per l’energia elettrica e il gas Alcune non hanno personalità giuridica, altre operano con riferimento a soggetti economici stranieri. Dispongono di autonomia organizzativa e funzionale. Sono dotati di poteri provvedimentali, in particolare sanzionatori e in alcuni casi regolamentari. Sono soggette al controllo della Corte dei Conti. I vertici sono nominati dai Presidenti delle Camere. Ma l’elemento caratterizzante delle autorità consiste nel fatto che sono indipendenti dal potere politico del governo, pur dovendo trasmettere relazioni ad esso e al Parlamento. Ulteriore figura che non è istituita a livello di organizzazione statale, ma che pur non rientrando nella categoria delle autorità indipendenti, presenta alcuni profili di analogia con esse è il Difensore Civico, nato come soggetto di collegamento tra cittadini e poteri pubblici. La legge attribuisce a tale organo una pluralità di poteri che costituiscono il limite stesso dell’istituto. In ogni caso sono poteri non incisivi come quelli di altri organi, in quanto non può ad esempio annullare o riformare atti. Gli enti parastatali e gli enti pubblici economici L’organizzazione statale è completata dagli enti strumentali ad essa, che sono: • Enti Parastatali, disciplinati dalla L. 70/75 che li raggruppa in sette categorie in base al settore di attività. La legge prevede la soppressione o la fusione degli enti (c.d. enti inutili) non compresi in apposito elenco. Tali enti sono soggetti al controllo della Corte dei Conti. Tra gli enti parastatali sono da ricordare l’INPS, l’INAIL e il CONI. • Enti Pubblici Economici, sono titolari di impresa e agiscono con gli strumenti del diritto comune. La tendenza legislativa è quella di operarne la trasformazione in SpA. Rappresentano una categoria in via di estinzione, una tappa intermedia in vista della privatizzazione delle Aziende Autonome. Categoria particolarmente importante, riconducibile a quella degli enti pubblici economici è rappresentata dalle Aziende Speciali, enti strumentali di Comuni e Province, cui sono equiparati alcuni consorzi. Da notare che gli enti pubblici economici sono sottratti al regime fallimentare Esistono poi altri enti che hanno una particolare importanza, come: • Ordini e Collegi Professionali, che sono enti pubblici associativi, ad appartenenza necessaria, esponenziali della categoria dei professionisti che realizzano l’autogoverno della categoria stessa. Raggruppano gli individui che svolgono peculiari attività professionali. • Camere di Commercio, sono enti di diritto pubblico che svolgono funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese. Sono enti ad appartenenza necessaria di tipo associativo a competenza territorialmente delimitata che raggruppano, artigiani, commercianti, industriali e agricoltori. L’organizzazione amministrativa territoriale non statale Storicamente si è assistito ad una ingerenza notevole dello stato nei confronti delle regioni. Tale ingerenza è andata con il tempo decrescendo fino a giungere alla recente riforma del Titolo V della Costituzione che ha interessato la fisionomia delle Regioni. Oggi le Regioni dispongono di potestà legislative e amministrative. L’articolo 117 Cost. prevede la potestà legislativa regionale c.d. concorrente relativa ad alcune materie espressamente elencate, e stabilisce che alle regioni spetta una potestà legislativa c.d. residuale, cioè ogni materia non espressamente attribuita allo stato. Le regioni ai sensi dell’articolo 118 Cost. esercitano funzioni amministrative conferite ad esse per assicurarne l’esercizio unitario sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. I rapporti con lo stato e l’autonomia contabile della regione La Corte Costituzionale ha individuato quale principio generale al quale dovrebbero essere improntati i rapporti tra stato e regione quello della leale collaborazione, il quale implica che i poteri siano esercitati in base ad accordi e intese. Tale principio è oggi costituzionalizzato dall’articolo 120 della Cost. Nella prospettiva dei rapporti tra Stato e Regioni sono state previste alcune figure, come: • Rappresentante dello stato per i rapporti con il sistema delle autonomie • Commissione parlamentare per le questioni regionali • Conferenza permanente per i rapporti tra lo stato, la regione e le province autonome • Conferenza Stato-Città-Autonomie Locali Tali conferenze sono organi statali a composizione mista. A garanzia dell’autonomia costituzionale riconosciuta alle Regioni, il potere di annullamento da parte del governo non è esercitabile nei confronti degli atti amministrativi regionali. Rimane vigente il controllo effettuato dalla Corte dei Conti sulla gestione del bilancio e del patrimonio, la quale verifica anche il rispetto degli equilibri di bilancio in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla UE. Per quanto riguarda il controllo sugli organi l’articolo 126 Cost. prevede la possibilità che con Decreto del PdR il Consiglio regionale venga sciolto e il Presidente della Giunta rimosso, nel caso in cui abbiano compiuto gravi violazioni di legge o atti contrari alla Costituzione. Le regioni ai sensi dell’articolo 119 Cost. hanno autonomia finanziaria di entrata e spesa, stabiliscono ed applicano tributi ed entrate proprie, dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al proprio territorio. Per questo motivo tale articolo dispone l’istituzione di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale, e la destinazione da parte dello stato di risorse aggiuntive. Non dovrebbero quindi essere più ammessi finanziamenti statali a destinazione vincolata nelle materie spettanti alla competenza legislativa concorrente o esclusiva delle regioni. L’organizzazione regionale L’organizzazione regionale deriva non solo dalle disposizioni costituzionali, ma anche da quelle statutarie. Gli organi della Regione sono: • Consiglio Regionale, esercita la potestà legislativa • Giunta Regionale, organo esecutivo, esercita la potestà regolamentare e dispone di poteri di impulso e di iniziativa legislativa. • Presidente della Giunta Regionale, rappresenta la regione, dirige la politica della giunta e ne è responsabile, promulga le leggi ed emana i regolamenti. E’ eletto a suffragio universale e diretto. Nomina e revoca i componenti della giunta. La forma di governo di ciascuna regione, a norma dell’articolo 123 Cost. è determinato dal proprio statuto. Poiché anche la regione dispone di funzioni amministrative, esiste un apparato amministrativo regionale che si divide in centrale e periferico. La Regione può inoltre avvalersi di enti dipendenti che si caratterizzano come uffici regionali entificati, ai quali residua una ridotta autonomia. Tra i soggetti di diritto pubblico operanti nell’ambito dell’organizzazione regionale, particolarmente importanti sono le aziende sanitarie regionali con il compito di assicurare livelli di assistenza sanitaria. Sono aziende dotate di personalità giuridica pubblica e di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica. Le regioni inoltre possono assumere partecipazioni in società finanziarie regionali il cui oggetto rientri nelle materie regionali. Sono società create allo scopo di dare agli imprenditori aiuti finanziari. E’ inoltre prevista la presenza di Difensori civici regionali. La posizione e le funzioni degli enti locali I Comuni, le Province e le Città Metropolitane rappresentano gli ulteriori livelli di autonomia riconosciuti dalla Costituzione. Essi sono denominati Enti Locali, e sono al pari delle Regioni, con le quali formano la categoria dei governi locali, enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Oggi l’autonomia di questi poteri locali è sancita direttamente dalla Costituzione, la quale li indica accanto allo Stato come ordinamenti costituenti la Repubblica. L’articolo 118 Cost. dispone che le funzioni amministrative siano attribuite ai Comuni salvo che per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città Metropolitane, Regioni e Stato sulla base dei principi di sussidiarietà ,differenziazione e adeguatezza. La presenza della Regione non offusca il ruolo dell’ente locale al quale la Regione deve attribuire le funzioni. Funzioni del Comune Ai sensi dell’articolo 118 Cost. al Comune sono attribuite tutte le funzioni amministrative . Tale regola generale può essere derogata solo per assicurarne l’esercizio unitario. Comuni, Province e Città Metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale. Esistono poi le funzioni fondamentali, strumento attraverso il quale lo Stato può sottrarre alcuni ambiti al processo di conferimento, secondo la linea ascendente o discendente. In sostanza difendere gli enti locali dalle leggi regionali. L’individuazione di tali funzioni spetta al governo. Comuni, Province e Città Metropolitane sono dotate di potestà regolamentare per l’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni loro attribuite. Il Comune gestisce inoltre alcuni servizi di competenza statale. Mentre la titolarità delle funzioni spetta allo Stato, l’esercizio è demandato al sindaco, quale ufficiale del governo. In tale fattispecie il sindaco si presenta come organo dello Stato. Funzioni della Provincia La Provincia rappresenta un ente intermedio tra Comune e Regione. Alla Provincia sono attribuite funzioni amministrative di interesse provinciale relative a settori specifici tassativamente indicati. Sono inoltre titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale. La Provincia assume particolare importanza nel settore ambientale. Organizzazione di Comuni e Province La legge dello Stato disciplina gli organi degli enti locali.. Il TU detta norme sull’elezione dei consigli, sul numero dei consiglieri e sulla loro posizione giuridica, senza fare distinzione tra Comune e provincia. Gli organi di Governo (che restano in carica 5 anni) sono: • Sindaco o Presidente della Provincia, organo responsabile dell’amministrazione. Rappresenta l’ente. Può ricoprire al massimo 2 mandati. • Consiglio Comunale o Provinciale, organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo. Ha competenza limitata ad alcuni atti fondamentali indicati dalla legge. I consigli sono dotati di autonomia funzionale e organizzativa. • Giunta Comunale o Provinciale, organo a competenza residuale. Collabora con il Sindaco o Presidente della Provincia I Dirigenti svolgono la propria attività sulla base di incarichi a tempo determinato, e sono responsabili della correttezza amministrativa e dell’efficienza. A loro è attribuita la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica e possono esercitare funzioni delegate dal sindaco. Altra figura di spicco è quella del segretario che è legato con un rapporto funzionale a tempo determinato con l’ente. Dipende da apposita agenzia avente personalità giuridica di diritto pubblico sottoposta alla vigilanza del ministro dell’interno ed è nominato dal sindaco tra gli iscritti in apposito albo per la durata del mandato del sindaco. Nel caso in cui il segretario non venga riconfermato dal nuovo sindaco, il segretario è collocato in posizione di disponibilità per la durata massima di quattro anni, dopo i quali viene collocato in mobilità presso altre amministrazioni. Controlli sugli atti e sugli organi degli enti locali Con l’abrogazione dell’articolo 130 Cost. i controlli necessari sugli atti degli enti locali sono stati eliminati. Il controllo veniva effettuato dal Co.re.co. e dal Difensore civico. Oggi esiste l’annullamento straordinario governativo, la Corte dei conti ha istituito un’apposita sezione per il controllo degli enti locali ed ha reso obbligatorio il controllo di gestione. Residuano controlli interni la cui organizzazione è effettuata dagli enti stessi. Il controllo sugli organi spetta invece allo stato. I rapporti finanziari e la contabilità di comuni e province La nuova normativa ha riconosciuto a Comuni e Province autonomia finanziaria e potestà impositiva autonoma che può essere disciplinata con propri regolamenti. Il sistema di finanza locale è costituito da una finanza trasferita e da una autonoma. Sotto il profilo contabile sono stati posti dei principi contabili applicabili all’attività degli enti locali. E’stata inoltre prevista l’istituzione della Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali, organo statale. La Interessi diffusi e interessi collettivi Tradizionalmente si afferma che l’interesse legittimo è un interesse differenziato rispetto alla pluralità degli altri interessi e qualificato cioè preso in considerazione da una norma che lo protegge. Tale contrapposizione emerge con chiarezza nel caso degli interessi diffusi e a quelli collettivi. Gli interessi diffusi appartengono ad una pluralità di soggetti e riguardano beni non suscettibili di fruizione differenziata. Quindi il loro oggetto non è frazionabile. Gli interessi collettivi sono interessi che fanno capo ad un gruppo organizzato. Il nostro ordinamento consente che ci siano soggetti che si fanno portatori di interessi diffusi. Ma il nostro ordinamento giuridico contempla esclusivamente la presenza di un soggetto preciso, non esistono soggetto nomadi. L’evoluzione giurisprudenziale che ha affrontato il problema della tutela in assenza di una disciplina positiva del legislatore, è segnata da tentativi di trasformazione degli interessi collettivi e diffusi in interessi differenziati e quindi legittimi facenti capo a soggetti privati. Oggi tale problema è superato per quanto riguarda le associazioni in materia ambientale e di tutela del consumatore. Il riconoscimento della possibilità di partecipare al procedimento amministrativo per i soggetti portatori di questi interessi è oggi generalizzato: l’art. 9 consente infatti ai “portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati” di intervenire nel procedimento. Ma in realtà il termine interessi diffusi non appare corretto in quanto il riferimento a associazioni e comitati richiama gli interessi collettivi. Le situazioni giuridiche protette dall’ordinamento comunitario Queste situazioni consistono essenzialmente in poteri: sono tale infatti le cosiddette libertà che trascendono i limiti di concreti rapporti giuridici. In particolare vengono in rilievo le disposizioni sui servizi pubblici e quelle sulla libera circolazione delle persone e dei capitali, sulla libertà di stabilimento, sulla libera prestazione dei servizi, sulla libertà di concorrenza, sulla libertà di circolazione dei beni. Le modalità di produzione degli effetti giuridici L’ordinamento determina direttamente o consente le vicende giuridiche relative ai rapporti giuridici e situazioni giuridiche soggettive secondo modalità differenti. Le vicende possono essere prodotte dall’ordinamento al verificarsi di alcuni fatti di o al compimento di alcuni atti che hanno la funzione di semplici presupposti per la produzione dell’effetto, la causa di quella vicenda giuridica è però da rintracciarsi direttamente nell’ordinamento. Questa modalità di dinamica giuridica può essere riassunta richiamandolo schema norma-fatto-evento nel senso che la norma disciplina direttamente il fatto e vi collega la produzione di effetti. Oppure l’ordinamento può attribuire definendo una serie di condizioni, ad un soggetto (privato pubblico) il potere di produrre vicende giuridiche e riconosce l’efficacia dell’atto da questo posto in essere. Qui sussiste lo schema norma-potere-effetto, l’effetto non risale immediatamente alla legge, ma vi è l’intermediazione di un soggetto o che pone in essere un atto. Dove il tipo di dinamica sia quello che si incentra sullo schema norma-fatto-effetto l’amministrazione può essere coinvolta sia perché pone in essere un fatto sia perché emana un mero atto al quale l’ordinamento direttamente collega la produzione di effetti. La medesima situazione può essere pure descritto da un differente punto di osservazione, affermando che nel modello norma-fatto-effetto l’amministrazione è priva di potere. Nel secondo caso invece l’amministrazione pone in essere atti di espressione di autonomia. Tali atti producono effetti giuridici in relazione ad un particolare rapporto giuridico, a seguito dell’esercizio di un potere conferito in via generale e estratta dalla legge. Ciò significa che l’ordinamento rimette alla scelta del soggetto pubblico la produzione e la regolamentazione dell’effetto. In quei casi infatti viene attribuito un potere che è appunto la possibilità di produrre effetti riconosciuti dall’ordinamento mediante provvedimenti amministrativi. I poteri Amministrativi Modo tipico dell’agire amministrativo è il potere amministrativo che è una declinazione specifica del concetto generale di potere giuridico ovvero quella potenzialità astratta attribuita ad un soggetto (e preesistente rispetto al suo esercizio) di tenere un certo comportamento all’interno di una previsione giuridica. Il potere amministrativo si configura come una situazione giuridica che consente ad una Amministrazione di compiere determinati atti produttivi di effetti giuridici al fine di curare alcuni interessi pubblici. Il potere amministrativo è ciò in cui si sostanzia l’attività amministrativa caratterizzata dal fatto di essere funzionalizzata (in quanto doverosa) e proceduralizzata (perché l’amministrazione si dipana attraverso il procedimento amministrativo). Il potere amministrativo è caratterizzato dal poter/ dover fare. L’attività dell’amministrazione trova fondamento in almeno una norma. La sua attività è disciplinata dal principio di legalità e quindi presenta questo limite. L’amministrazione è titolare di un potere amministrativo, ma dovendo soggiacere al principio di legalità, l’ Amministrazione non può rinunciarvi, DEVE applicarlo. E’ quindi un potere irrinunciabile, indefettibile, indisponibile e continuo. Questo spiega come mai l’amministrazione sia dotata di imperatività, cioè il contenuto dispositivo dei suoi provvedimenti non è frutto di negoziazione, ma riflesso di un atto unilaterale che è atto dell’amministrazione. I principali poteri amministrativi sono: • Potere Autorizzatorio, ha l’effetto di rimuovere i limiti posti dalla legge all’esercizio di una preesistente situazione di vantaggio. Il suo svolgimento comporta la previa verifica della compatibilità di tale esercizio con un interesse pubblico. L’uso del potere produce l’effetto giuridico di modificare una situazione soggettiva preesistente consentendo l’esplicazione o l’esercizio in una direzione in precedenza preclusa, ma non di costituire nuovi diritti. Es.: permesso di costruire. L’iniziativa è sempre ad istanza di parte. Il soggetto può cessare l’attività intrapresa senza che l’amministrazione debba sostituirsi ad esso per garantire il risultato finale. Dal ceppo delle autorizzazioni la giurisprudenza ha enucleato alcune figure specifiche: -Abilitazione: atti il cui rilascio è subordinato all’accertamento dell’idoneità tecnica di soggetti a svolgere una certa attività. Esempio: iscrizione ad un albo. -Omologazione: rilasciata dall’autorità a seguito dell’accertamento della sussistenza in una cosa di tutte le caratteristiche fissate dall’ordinamento a fini di tutela preventiva o per esigenza di uniformità dei modelli. -Nullaosta, atto endoprocedimentale necessario emanato da una amministrazione diversa da quella procedente, con cui dichiara che, in relazione ad uno specifico interesse, non sussistono ostacoli all’adozione del provvedimento finale. Il nullaosta è necessario per la conclusione del procedimento. -Dispensa, provvedimento espressione del potere che l’ordinamento riconosce all’ amministrazione consentendole di derogare all’osservanza di un divieto o obbligo. Esempio: dispensa dal servizio militare. -Approvazione, provvedimento permissivo avente ad oggetto un atto rilasciato, a seguito di una valutazione di opportunità e convenienza dell’atto stesso. L’approvazione opera dunque come condizione di efficacia dell’atto ed è ad esso successiva. -Licenza, figura che oggi la legge tende a sostituire con l’autorizzazione. Provvedimento che permette lo svolgimento di un’attività previa valutazione della sua corrispondenza agli interessi pubblici, ovvero della sua convenienza in settori non rientranti nella signoria dell’amministrazione ma sui quali essa sopraintende a fini di coordinamento. Esempio: Licenza Commerciale. Tutti i provvedimenti, ad esclusione della dispensa, a norma dell’art. 19 della L. 241/90 possono essere sostituiti dalla Dichiarazione di inizio attività oppure a norma dell’articolo 20 trattandosi di provvedimenti emanati a conclusione di procedimenti ad istanza di parte sono assoggettati alla disciplina del silenzio assenso. In virtù di ciò lo spazio per le autorizzazioni pareva ridotto, ma però sempre l’articolo 20 prevede un numero elevato di eccezioni alle quali l’ amministrazione deve provvedere espressamente, comprimendo così l’istituto del silenzio assenso. • Potere Concessorio: l’esercizio di tali poteri, a fronte dei quali il destinatario si presenta come titolare di interessi legittimi pretensivi, produce l’effetto di attribuire al destinatario medesimo status e situazioni giuridiche (diritti) che esulavano dalla sua sfera giuridica in quanto precedentemente egli non era titolare. Per altro verso al concessionario è attribuita una posizione di privilegio rispetto agli altri soggetti. L’ordinamento non attribuisce originariamente al privato la titolarità di alcune situazioni giuridiche, ma conferisce all’amministrazione il potere di costituire o trasferirle in capo al privato stesso. In ordine alle concessioni di beni e servizi pubblici si può spesso individuare una convenzione bilaterale di diritto privato che dà luogo a figura della concessione-contratto finalizzata a dare assetto ai rapporti patrimoniali tra concessionario e concedente. La concessione è detta traslativa quando il diritto preesiste in capo all’amministrazione, sicché è trasmesso al privato che risulta così privilegiato rispetto ad altri consociati, mentre è costitutiva nei casi in cui diritto attribuito è totalmente nuovo, si ha quindi un’attribuzione di una posizione di vantaggio-privilegio ad un soggetto terzo sulla base di un accordo e nella sostituzione del concessionario nello svolgimento di un compito dell’amministrazione assumendosene il rischio. Il concessionario infatti deve gestire un servizio, costituire o gestire un’opera pubblica o usare di un bene in vista del conseguimento di utilità pubbliche sotto il controllo dell’amministrazione sostituita gestendo in proprio l’attività e il rischio. Nel novero dei provvedimenti concessori rientrano pure le sovvenzioni caratterizzate dal fatto che esse attribuiscono al destinatario vantaggi economici. La categoria è oggi disciplinata dall’art. 12 che si riferisce a “sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari nonché all’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici privati.” L’articolo prevede che nelle forme prescritte dai rispettivi ordinamenti vengano predeterminati e pubblicati criteri e modalità cui le amministrazioni devono attenersi. • Potere Ablatorio: incide negativamente sulla sfera giuridica del destinatario, in quanto impongono obblighi o sottraggono situazioni favorevoli in precedenza pertinenti al privato, attribuendole di norma, ma non necessariamente all’ amministrazione. Tra i provvedimenti ablatori che incidono sui diritti reali: -Espropriazione, provvedimento che ha l’effetto di costituire un diritto di proprietà in capo di un soggetto detto espropriante, previa estinzione del diritto in capo ad un altro soggetto detto espropriato al fine di consentire la realizzazione di un’opera pubblica o per motivi di pubblico interesse e dietro versamento di un indennizzo (art. 42.3 Cost.) La disciplina dell’espropriazione per pubblica utilità è contenuta nel TU di cui DPR 327/2001 modificato dal d.lgs. 302/2002. -Occupazione Temporanea, di alcuni beni può essere disposta quando sia necessario per la corretta esecuzione dei lavori prevedendo la relativa indennità. -Requisizioni, provvedimenti mediante i quali l’amministrazione dispone della proprietà o utilizza un bene di un privato per soddisfare un interesse pubblico. Può essere in proprietà (con effetti irreversibili) o in uso (temporaneo). -Confisca, provvedimento a carattere non espropriativo ma sanzionatorio ed è la misura conseguente alla commissione di un illecito amministrativo, es. immobile realizzato abusivamente. -Sequestro, provvedimento di natura cautelare, mira in genere a salvaguardare la collettività dei rischi derivanti dalla pericolosità del bene. Tra i provvedimenti ablatori che incidono sui diritti personali: -Ordini, impongono un comportamento ai destinatari. Si distinguono in comandi e divieti. • Potere Sanzionatorio: un ulteriore categoria di poteri il cui esercizio produce effetti sfavorevoli in capo ai destinatari è costituita dalle sanzioni. Per sanzione si intende la conseguenza sfavorevole di un illecito applicata coattivamente dallo Stato o da un altro ente pubblico, mentre per illecito la violazione di un precetto compiuta da un soggetto: la sanzione costituisce dunque la misura retributiva nei confronti del trasgressore. Quindi: • la sanzione ha carattere affittivo • la sanzione è la conseguenza di un comportamento antigiuridico di un soggetto Nella vigente legislazione come non è definito il concetto di sanzione, non è definito neppure quello di sanzione amministrativa, le quali non hanno un contenuto peculiare ma si possono individuare in modo residuale, quali misure afflittive non consistenti in sanzioni penali o civili. Si può quindi definire sanzione amministrativa la misura affittiva non consistente in pena criminale o sanzione amministrativa, irrogata nell’esercizio di potestà amministrative come conseguenza di un comportamento assunto da un soggetto in violazione di una norma o procedimento amministrativo. Il procedimento prende avvio dall’accertamento e dalla contestazione della violazione, prevede la possibilità per l’interessato di difendersi e si conclude con l’irrogazione della sanzione. I provvedimenti sanzionatori sono necessariamente recettivi (articolo 21-bis L. 241/90). Si può distinguere tra le sanzioni ripristinatorie, che colpiscono la res e mirano a reintegrare l’interesse pubblico leso, e le sanzioni afflittive le quali si rivolgono direttamente all’autore dell’illecito. Si distinguono ulteriormente all’interno di quelle afflittive le sanzioni pecuniarie e quelle interdittive, queste ultime incidono sull’attività del soggetto colpito. Posizione a parte occupano le sanzioni disciplinari le quali tradizionalmente oggetto di una specifica regolamentazione si riferiscono ai soggetti che si trovano in un peculiare rapporto con l’amministrazione. La legge contempla poi le sanzioni accessorie che prevedono alcune misure interdittive, originariamente penali, consistenti nella privazione o nella sospensione di facoltà o diritti derivanti da provvedimenti della pubblica amministrazione. • Potere di Ordinanza esercitatile nelle situazioni di necessità ed urgenza, è caratterizzato dal fatto che la legge non predetermina il contenuto in cui il potere può concretarsi oppure consente all’amministrazione di esercitare un potere tipico in presenza di situazioni diverse da quelle previste in via ordinaria. Il potere di ordinanza il cui esercizio da luogo alla emanazione delle ordinanze di necessità ed urgenza, sembra non rispettare il principio di tipicità dei poteri amministrativi che, in applicazione del principio di legalità, impone la previa individuazione degli elementi essenziali dei poteri a garanzia dei destinatari degli non aver seguito un corretto e coerente iter decisionale, è quindi un giudizio di legittimità e non di merito. Il potere discrezionale di traduce quindi in una rappresentazione degli interessi, una selezione e quindi una loro ponderazione. I meri interessi privi di dignità giuridica non vengono presi in considerazione, poiché l’attività amministrativa ha bisogno di comparare interessi rilevanti. Il principio generale è quello di legalità a cui seguono: • Ragionevolezza, l’azione della PA deve rispondere ad un canone di ragionevolezza che significa coerenza, congruenza. E’ un principio sommo, continuo. Implica un canone di congruenza e coerenza. • Imparzialità, presenza di un’attività amministrativa che deve essere equidistante, quindi non devono indulgere in interessi a scapito degli altri. La discrezionalità non è quindi esercitata in osservanza di norme predefinite. Le regole che presiedono allo svolgimento della discrezionalità si evincono in occasione della rilevazione della loro violazione, che da luogo a eccesso di potere e si riassumono nel principio di logicità-congruità. Questo significa che la scelta dell’ amministrazione deve risultare logica e congrua tenendo conto dell’interesse pubblico perseguito, degli interessi secondari coinvolti e della misura del sacrificio ad essi arrecato. Da ciò si desume che l’essenza della discrezionalità risiede nella ponderazione comparativa dei vari interessi secondari in ordine all’interesse pubblico al fine di assumere la determinazione concreta. Il merito amministrativo (insieme di soluzioni compatibili con il principio di congruità) è normalmente sottratto al sindacato del giudice amministrativo ed attribuito alla scelta esclusiva dell’amministrazione, la quale preferirà quella ritenuta più opportuna. Il merito non è sindacabile in quanto la scelta libera dell’amministrazione è effettuata tra soluzioni tutte ragionevoli. Quindi il merito costituisce la sfera di attività riservata all’ amministrazione. Questo tipo di discrezionalità c.d. pura va distinta dalla discrezionalità tecnica o potere tecnico discrezionale. Il potere tecnico discrezionale richiama il concetto di assenza di scelta. Si verifica in quelle ipotesi in cui l’agire della amministrazione è conseguente ad un sapere tecnico-scientifico che non è il sapere tecnico- giuridico. Circostanza in cui l’ amministrazione agisce sulla base di un responso tecnico. E’ un’attività che si svolge in assenza di ponderazione degli interessi. L’ amministrazione agisce quindi sulla base di un accertamento tecnico-scientifico. Il comportamento nasce da una conoscenza che la vincola (acclaramento di una realtà secondo saperi che non riguardano materie giuridiche). Esempio: beni storici-artistici. La vicenda si caratterizza per l’assenza di scelta. L’ amministrazione deve conformarsi al responso tecnico- scientifico. Non può ponderare gli interessi. L’ amministrazione ha la signoria sulla materia chiamata ad operare perché la giurisdizione ha sempre sostenuto che la discrezionalità tecnica è equiparata al merito come il potere discrezionale e quindi è possibile solo un giudizio di legittimità. Se è comprensibile che non esista parere giurisdizionale sul migliore assetto degli interessi (perché spetta alla linea politica), è invece discutibile che ciò venga applicato a saperi tecnico-scientifici che non sempre sono in possesso delle amministrazioni. Questo per la garanzia del cittadino. Infatti ultimamente la giurisprudenza in alcuni casi chiede l’attendibilità del percorso logico seguito, vuole quindi valutare le carte. Richiede la serietà della motivazione. Distinzione tra norme di relazione e norme di azione Le norme di relazione proteggono in particolare i diritti soggettivi. Si può dunque dire che alla violazione di una norma di relazione consegue la lesione di un diritto soggettivo. Poiché il giudice che tutte le diritti soggettivi è il giudice ordinario, la stessa situazione può essere descritta affermando che il giudice ordinario sindaca la violazione delle norme di relazione. L’atto amministrativo emanato in assenza di potere è dunque da qualificare come nullo ed è di norma sindacabile dal giudice ordinario. Posto che esso è emanato in una situazione in cui manca il potere si può aggiungere che il giudice ordinario ha giurisdizione nei casi in cui l’amministrazione abbia agito in carenza di potere, ponendo in essere un atto nullo e cioè non produttivo di effetti (art. 21 septies). Assai più controversa è la situazione della carenza di potere in concreto la quale riguarda i casi in cui l’atto pur emanato in violazione di una categoria peculiare di norme di relazione produce alcuni effetti: tali norme infatti non attribuiscono il potere in astratto, già conferito da altre norme e dunque esistente, ma lo definiscono in concreto fattispecie in capo ad un determinato soggetto pubblico, sicchè pur in presenza di una violazione di queste norme, è consentita l’esplicazione di alcuni effetti e il provvedimento è qualificato come illecito. Diverse sono le norme che disciplinano le modalità di esercizio dei poteri amministrativi (norme di azione). Poiché l’azione amministrativa è legittimamente svolta quando sia posta in essere nel rispetto di esse, e poiché l’interesse legittimo è la pretesa alla legittimità dell’azione amministrativa, si può concludere che l’interesse legittimo è anche la pretesa dell’osservanza delle norme di azione. La tutela dell’interesse legittimo è affidata al giudice amministrativo: atteso che l’interesse legittimo è leso dalla inosservanza di una norma di azione, è possibile asserire che il giudice amministrativo sindaca la violazione delle norme di azione. L’azione amministrativa che non rispetta di le norme di azione è sicuramente illeggittima: tuttavia, ove siano rispettate le norme di relazione che attribuiscono al potere, l’atto finale non è nullo, proprio perché sussiste per esso la giuridica possibilità di produrre effetti. Gli effetti così prodotti sono tuttavia precari, nel senso che l’ordinamento non può tollerare che siano equiparati in tutto a quelli che scaturiscono da un’azione legittima. L’atto è cioè emanato in base al canone del cattivo esercizio del potere amministrativo e dunque è annullabile (art. 21 octies). L’atto illegittimo può essere annullato in via di autotutela anche dalla stessa amministrazione che lo ha emanato, la quale ha altresì normalmente il potere di convalidarlo (art.21 nonies). Le Fonti del diritto Fonti del diritto sono tutti quegli atti e fatti idonei a produrre norme giuridiche. Elemento che connota il Diritto Amministrativo è lo studio delle fonti secondarie. Le fonti del diritto possono essere suddivise in base a due criteri: • Criterio Gerarchico, Una fonte giuridica è gerarchicamente sovraordinata se i suoi precetti prevalgono su quelli di altre fonti. (Esempio: costituzione con altre fonti) • Criterio di Competenza, I rapporti tra le fonti risentono dell’organo che emana la fonte stessa. Le fonti riflettono la dignità giuridica dell’organo che emana. Tali criteri sono ripresi dal Diritto Amministrativo, ma si guarda più alle fonti secondarie. Il Diritto Amministrativo studia i rapporti tra amministrazioni o tra amministrazioni e cittadini, ed è caratterizzato dalla presenza di una funzione. L’amministrazione soggiace alle norme primarie e secondarie del diritto pubblico. C’è enorme differenza tra: • Norma Giuridica, atto generale e astratto • Atto Amministrativo, atto puntuale e preciso con valenza soggettiva limitata. E’ un precetto che non è ripetibile. Ma tra norme giuridiche secondarie e atti amministrativi esiste una certa confusione. Esempio: Piani Regolatori Generali atti che hanno natura mista in quanto possiedono natura normativa in ordine alle statuizioni contenute nelle c.d. norme di attuazione, mentre sono atti amministrativi generali per quanto riguarda le indicazioni attinenti alle localizzazioni e zonizzazioni. Norme prodotte dalle fonti comunitarie Tra tali fonti spiccano: • Regolamenti Comunitari: atti di portata generale, obbligatori e direttamente applicabili nei rapporti verticali tra amministrazione e cittadini. Secondo la Corte Costituzionale deve essere applicato dal giudice interno anche disapplicando la legge nazionale incompatibile, quindi la norma regolamentare comunitaria finisce per essere parametro di legittimità dell’atto amministrativo. • Direttive Comunitarie: vincolanti per gli stati membri in ordine al risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi per conseguire quel risultato. In entrambi i casi organi comunitari producono norme direttamente applicabili. L’applicazione della norma comunitaria e la disapplicazione di quella nazionale è dunque il meccanismo processuale mediante il quale si esprime la prevalenza della norma comunitaria. Il regime dell’atto amministrativo conforme ad una fonte interna disapplicabile in quanto in contrasto con la disciplina comunitaria sarà la nullità se la norma è attributiva del potere, mentre sarà di annullabilità se la norma nazionale è una semplice norma di azione. Fonti soggettivamente amministrative: i regolamenti Esistono fonti secondarie che sono atti soggettivamente amministrativi, si tratta dei regolamenti, che sono emanati da organi amministrativi. Questi possono essere: • Governativi, sono fonti secondarie, disciplinate dalla Legge 400/88 e vengono adottati dal governo previo parere non vincolante del Consiglio di Stato, emanati dal Presidente della Repubblica, sottoposti a visto e registrazione della Corte dei Conti e pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale. I regolamenti governativi possono essere: • Esecutivi: sono atti che specificano la legge, indicano norme di dettaglio rispetto alla legge o al decreto legislativo da eseguire. • Attuativi e Integrativi: sono atti che sviluppano e integrano la legge, • Indipendenti: sono emanati per disciplinare le materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o atti aventi forza di legge sempre che non si tratti di materie riservate alla legge. Consentano maggiore spazio d’azione dell’esecutivo atteso che sono liberi da condizionamenti legislativi. • Organizzativi, disciplinano il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge. • Delegati, rappresentano una tipologia ricorrente nel panorama italiano in quanto sono un modo per snellire il lavoro parlamentare. Esiste su di essi un controllo di legittimità ex post effettuato dalla Corte dei Conti. E’ delegato perché consente l’abrogazione di una norma anche di carattere primario. Questo perché la legge ha investito il governo del potere di adottare un regolamento su una certa materia. Ed è quindi la fonte primaria (la legge) che delega al governo il potere di predisporre il regolamento, la vera fonte che abroga. E’ molto importante nel nostro paese per l’attuazione di direttive comunitarie. Il governo annualmente emana la legge comunitaria e consente l’adeguamento tempestivo del nostro ordinamento a quello comunitario, affidandolo a regolamenti delegati. La normativa comunitaria passa per via governativa e non parlamentare facendo sorgere non pochi problemi di controllo. • Indipendenti, incidono su materie non disciplinate dalla legge. • Ministeriali e Interministeriali, adottati con Decreti Ministeriali o Interministeriali. Non possono dettare norme contrarie ai regolamenti governativi, devono trovare fondamento in una legge che conferisce espressamente il potere al ministro. • Enti Locali, L’autonomia regolamentare è oggi riconosciuta agli enti locali. La legge detta i principi fondamentali dell’organizzazione dell’ente, mentre tale disegno è arricchito dal regolamento ente locale. Le altre fonti secondarie L’autonomia normativa è riconosciuta non solo Stato regioni ma anche ad altri enti pubblici. Essa si estrinseca mediante l’emanazione di statuti e regolamenti. L’art. 117 al co 6 dispone che i comuni, province e città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Questi sono: • Decreto Ministeriale, potestà normativa che appartiene al singolo ministro. Sono sottostanti ai regolamenti governativi. • Direttiva Ministeriale, espressione di un rapporto interdirettivo ed interorganico. Un soggetto emana un atto indicando al soggetto destinatario o le modalità oppure le finalità, ma il destinatario può disattendere l’atto motivandolo. • Statuti degli Enti Locali, non sempre hanno chiara connotazione giuridica. Gli statuti regionali sono fonti primarie. Comuni e Province adottano un proprio statuto, che ha un oggetto molto ampio. L’autonomia normativa è una scelta di libertà. Autonomia di indirizzo politico, normativa, finanziaria, organizzativa e di bilancio. Lo statuto ha comunque una sua valenza perché enuncia principi che vincolano l’ente. • Circolari Amministrative, non sono atti normativi anche se la loro conoscenza è necessaria alla sopravvivenza degli uffici. Sono fondamentali perché la loro efficacia si proietta all’esterno dell’ufficio. Non è nemmeno un atto amministrativo. Le circolari possono essere: Interpretative, in presenza di normativa oscura offrono interpretazione. Informative, portano a conoscenza degli uffici una certa cosa. Normative, se un organo sovraordinato impone di tenere un certo comportamento. Infine importante è anche la Prassi che è un insieme di comportamenti tenuti nell’utilizzo quotidiano dei comportamenti della PA. Non è un atto normativo ma può essere invocata per mancanza di coerenza che si traduce in censura dell’attività amministrativa della PA. La violazione della coerenza può essere sintomo di cattivo esercizio della funzione amministrativa. Capitolo VI: Il procedimento amministrativo Introduzione Il provvedimento è l’atto amministrativo che, efficace sul piano dell’ordinamento generale, produce effetti in ordine alle situazioni giuridiche di terzi soggetti. L’emanazione del provvedimento finale è preceduta dal procedimento amministrativo che è un insieme di atti, fatti e attività tra loro connesse che concorrono all’emanazione del provvedimento. I casi di provvedimenti emanati senza un procedimento amministrativo sono pochissimi: esempio atti di urgenza. Il procedimento amministrativo, quindi rappresenta la forma esteriore attraverso la quale si dispiega l’azione amministrative e quindi la sua funzione. Molti ordinamenti stranieri hanno provveduto da tempo a disciplinare il procedimento amministrativo. In Austria nel 1925 era stata emanata una disciplina complessa attraverso ben 5 leggi, che concepiscono l’attività dell’amministrazione similare a quella svolta dal giudice che deve decidere una controversia. La Germania ha una legge del 1976 che ha suscitato vivo interesse nella nostra dottrina ed è stata fonte di ispirazione per il nostro legislatore nell’elaborazione della Legge 241/1990. In proposito va ricordato l’obbligo generale di motivazione, il diritto per i privati di essere sentiti, l’accesso ai documenti e i contratti di diritto pubblico. La Spagna ha una legge del 1992 che disciplina in particolare i profili di responsabilità della PA e dei funzionari. In Inghilterra dove si nega l’esistenza di un diritto amministrativo in senso proprio manca una disciplina generale sul procedimento amministrativo, ma le corti inglesi riconoscono principi procedimentali importanti. L’importanza del diritto comunitario in materia procedimentale deriva dal fatto che le norme di origine comunitaria condizionano l’azione dell’Amministrazione in quanto i principi comunitari sono in grado di produrre influenze sull’ordinamento nazionale e sono richiamati dallal’art. 1. Il potere amministrativo si esercita mediante il procedimento amministrativo. Il potere amministrativo appartiene alla funzione e quindi studiamo un procedimento amministrativo che rappresenta una serie coordinata e collegata di atti e di fatti tendenti al conseguimento di un interesse pubblico. L’azione amministrativa è quindi procedimentalizzata (in quanto deve sempre soggiacere al principio di legalità) e globalmente rilevante. Alla base del procedimento amministrativo c’è il principio del giusto procedimento, cioè colui che è coinvolto o interessato dal procedimento deve essere informato e poter partecipare. La presenza del privato è necessaria non solo perché si vuole che sia informato ma anche perché il privato contribuisce con la sua azione all’individuazione qualità non attestati in documenti già in possesso dell'amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell'art. 14, comma 2. 8. Salvi i casi di silenzio assenso, decorsi i termini per la conclusione del procedimento, il ricorso avverso il silenzio dell'amministrazione, ai sensi dell'articolo 21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, può essere proposto anche senza necessità di diffida all'amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l'inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai commi 2 o 3 del presente articolo. Il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell'istanza. È fatta salva la riproponibilità dell'istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti. 9. La mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della responsabilitàdirigenziale. Le ipotesi di atti di iniziativa sono caratterizzate dal fatto che sorge, quale effetto endoprocedimentale, il dovere dell’amministrazione di procedere. A fronte dell’istanza, l’amministrazione deve dare corso al procedimento, ma può anche rilevare l’erroneità o l’incompletezza, in tale ipotesi prima di rigettare l’istanza deve procedere alla richiesta di rettifica (art. 6 co 1 lett B principio della sanabilità delle istanze dei privati). L’individuazione del momento in cui il procedimento ha inizio è importante giacché solo con riferimento ad esso è possibile stabilire il termine entro il quale il procedimento deve essere concluso. L’articolo 2 stabilisce che tale termine decorre dall’inizio d’ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda se il procedimento è ad iniziativa di parte. Il comma due afferma che entro il termine stabilito al procedimento deve essere concluso: si conclude con l’emanazione dell’ultimo atto della serie procedimentale, che non necessariamente coincide con il provvedimento. Il legislatore chiarisce che la pubblica amministrazione ha il dovere di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso: il termine si intende rispettato quando l’amministrazione entro 90 giorni emani il provvedimento finale. Deroga: l’art. 20 ammette la possibilità che il procedimento si è definito mediante silenzio assenso, ciò significa che all’inerzia è collegata la produzione degli effetti corrispondenti a quelli del provvedimento richiesto dalla parte, il silenzio assenso può essere impedito esclusivamente emanando un provvedimento di diniego. Quindi, in sostanza, l’ amministrazione ha il dovere di provvedere in modo espresso solo se intende rifiutare il provvedimento richiesto dal privato, potendo altrimenti restare inerte. L’articolo 20 prevede un ulteriore strumento per evitare il formarsi del silenzio-assenso, la conferenza di servizi. Tale articolo inoltre riduce fortemente il campo di applicazione del silenzio-assenso prevedendo una serie di eccezioni per quanto riguarda <<gli atti e i procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l’immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, i casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti formali, i casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché gli atti e procedimenti individuati da uno o più decreti dal Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della Funzione Pubblica, di concerto con i ministri competenti>>. In tali ipotesi decorso inutilmente il termine senza che l’amministrazione abbia emanato il provvedimento si forma il silenzio-inadempimento che non produce effetti uguali a quelli di un provvedimento. Il cittadino può fare ricorso avverso il silenzio, preordinato comunque ad ottenere un provvedimento espresso. L’ amministrazione non decade dal potere di agire, ma il ritardo può causare una responsabilità per lesione di interessi meritevoli di tutela. Tale ricorso avverso il silenzio può essere proposto anche senza necessità di diffida all’ amministrazione inadempiente e non oltre un anno dalla scadenza dei termini procedimentali. Tale ritardo può anche comportare l’ipotesi di illecito disciplinare per il dipendente. L’interessato decorsi 60 giorni dalla presentazione dell’istanza (quindi per procedimenti ad istanza di parte) deve presentare diffida all’ amministrazione e all’impiegato, a mezzo ufficiale giudiziario. Decorsi 30 giorni dalla diffida, può presentare l’azione volta ad ottenere il risarcimento. I termini possono essere interrotti o sospesi. L’art. 10-bis stabilisce che: “ Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali". Con riferimento alla sospensione, l’art. 2 co 4 dispone che, nei casi in cui leggi o regolamenti prevedono per l’adozione di un provvedimento l’acquisizione di valutazioni tecniche di organi o enti appositi, i termini sono sospesi fino all’acquisizione delle valutazioni tecniche per un periodo massimo non superiore a 90 giorni. I termini possono essere sospesi, per una sola volta, per l’acquisizione di informazioni o certificazioni relative fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Il responsabile del procedimento È un impiegato che si pone come interfaccia del privato nel procedimento amministrativo, l’amministrazione con questa figura appare più vicina ai cittadini. E’ una figura che svolge importanti compiti per quanto riguarda l’avvio del procedimento e lo svolgimento di esso nel suo complesso. Come si fa sapere chi è? L’amministrazione ha tante competenze, perciò deve dividere le sue procedure tra le unità organizzative (strutture burocratiche). A norma dell’art. 4 le amministrazione sono tenute a individuare per ciascun tipo di procedimento, l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria, di ogni adempimento procedimentale e dell’adozione del provvedimento finale. Avvenuto questo il capo di queste unità organizzative deve dire qual è tra i vari funzionari quello che si occupa di determinate procedure in modo che a ciascuno specifico tipo di procedimento vi sia un funzionario (responsabile). Il responsabile di tutte le procedure è il capo dell’ufficio. Il responsabile, una volta individuato, ha una competenza anche esterna ad assumere il provvedimento. Quando il responsabile del procedimento ha anche competenza esterna non c’è problema, se invece c’è scissione il responsabile privo di competenza esterna deve fare una proposta formale all’ufficio per chiedere come concludere il procedimento. Se il competente esterno non vuole accettare la proposta deve scrivere nel provvedimento perché accetta la proposta del responsabile. Questo comunque non è responsabile in senso civilistico. La responsabilità grava su chi ha preso la decisione, su chi ha esercitato la competenza esterna. Se però all’origine del danno vi è un comportamento scorretto del responsabile, anche se non ha competenza esterna, risponde del danno. Risponderà anche il capo dell’ufficio con il responsabile perché non era obbligato ad emanare l’atto: entrambi negligenti. Se il responsabile all’origine dell’azione lesiva è un funzionario dirigente o nel quale veniva riposta grande fiducia da parte del capo dell’ufficio e questo lo trae in inganno in modo malizioso: colpa solo da responsabile. A norma dell’art. 5 infatti il dirigente dell’unità organizzativa assegna a se o ad altri addetti la responsabilità dell’istruttoria, degli adempimenti procedimentali e dell’adozione del provvedimento finale. Fino a quando tale assegnazione non viene effettuata, si considera responsabile il funzionario preposto all’unità organizzativa. Le funzioni del responsabile sono: -Guida del procedimento -Coordinatore dell’istruttoria -Organo di impulso Egli rappresenta il punto di riferimento, sia per i privati che per l’ amministrazione. La presenza della figura del responsabile è volta a superare l’impersonalità degli uffici. I compiti del responsabile sono indicati dall’art. 6 e: • Comunica l’avvio del procedimento • Chiede dichiarazioni o rettifiche di dichiarazioni. • Ha compiti di impulso del procedimento: propone l’indizione della conferenza di servizi di rilievo istruttorio, e se ne ha la competenza emana l’atto finale e lo trasmette all’organo competente per l’adozione, altrimenti emana egli stesso il provvedimento. L’organo competente per l’adozione del provvedimento, se diverso dal responsabile, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria se non indicando la motivazione nel provvedimento finale. • Comunica i motivi ostativi all’accoglimento prima della formale adozione di un provvedimento. Comunicazione di avvio del procedimento A norma dell’art. 7 l’avvio del procedimento deve essere comunicato dal responsabile del procedimento al: -destinatari diretti: Soggetti sui quali ricadono gli effetti del provvedimento finale (titolare di interesse legittimo pretensivo o oppositivo). -Soggetti che per legge devono intervenirvi in quel particolare procedimento (solitamente sono altre pubbliche amministrazioni). -Soggetti individuati o facilmente individuabili quando il provvedimento finale può recare loro pregiudizio (c.d. cointrointeressati sostanziali) Es.: proprietario di un fondo vicino a quello il cui proprietario ha chiesto un permesso edilizio. Tale comunicazione deve essere fatta dal responsabile del procedimento amministrativo mediante comunicazione personale oppure in altra forma quando per il numero dei destinatari la comunicazione personale risulti troppo gravosa. La legge non stabilisce entro quale termine effettuare tale comunicazione, ma è da ritenersi che vada effettuata senza ritardo ed entro un termine ragionevole. Cosa si intende per facile individuabilità? Problema interpretativo, l’amministrazione tende ad abbondare. Ai sensi dell’art. 8 la comunicazione deve contenere i seguenti elementi: -l’amministrazione competente -l’oggetto del procedimento -l’ufficio e la persona responsabile del procedimento -la data entro la quale deve concludersi e i rimedi esperibili in caso di inerzia -nei procedimenti ad iniziativa di parte la data di presentazione dell’istanza -l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti Serve per consentire agli interessati di intervenire nel procedimento, consente di ridurre l’entità del pregiudizio. La violazione di questa regola porta all’illegittimità del provvedimento emanato in assenza di comunicazione. La legge stabilisce anche che ci sono dei casi (tipi di provvedimenti) per i quali si può prescindere dalla comunicazione anche per i soggetti che in linea di principio sarebbero destinatari, art. 13: 1- Atti amministrativi normativi (regolamenti) in quest’ambito sussiste infatti una pluralità formale e sostanziale di fonti che non ammette una regolamentazione generale e unitaria anche perché molte di esse risultano già soggette a leggi particolareggiate ed esaustive. 2- Atti amministrativi generali: diversi da quelli normativi, che sono generali e astratti e pertanto ripetibili, solo quelli generali (non si riescono a stabilire precisamente destinatari) e non ripetibili (si applicano una tantum). I quali si rivolgono ad una pluralità indistinta di soggetti non individuabili a priori, si può osservare che essi non sembrano in grado di ledere e pregiudicare qualcuno in particolare o comunque non comportano la ponderazione di interessi che si appuntino su soggetti peculiari (esempio bandi di concorso). 3- Atti di pianificazione, programmazione, procedimenti tributari. • Art. 7 co 1: ipotesi nelle quali la pubblica amministrazione si trova davanti a ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del provvedimento (provvedimenti urgenti) • Però al co 2 dell’art. 7 c’è la possibilità di omettere la comunicazione per i provvedimenti cautelari (sono provvedimenti che la pubblica amministrazione emana a garanzia di un successivo intervento che pensa potrà adottare). Serve per evitare che il provvedimento definitivo arrivi troppo tardi. È provvedimento cautelare che può non avere comunicazione, non gli altri provvedimenti successivi. • In dottrina è stata avanzata l’ipotesi che si può evitare la comunicazione per i provvedimenti amministrativi riservati (ad esempio per la pubblica sicurezza è meglio mantenere la riservatezza). Art. 24 legge 241 casi di esclusione del diritto di accesso. Si cerca di argomentare per arrivare a dire che per questi provvedimenti non sa della comunicazione di inizio. Nel nostro sistema è il principio di trasparenza che domina questa materia ma nel caso della comunicazione d’avvio alle deroghe sono quelle espresse. Pertanto questa opinione non ha un fondamento testuale. ↓ Vi sono però degli orientamenti giurisprudenziali a questo riguardo, i giudici amministrativi ritengono che vi siano altri casi in cui la pubblica amministrazione può omettere la comunicazione d’avvio: I. La pubblica amministrazione può ometterla nel caso di atti ad istanza di parte: una cosa conoscere se il procedimento pende, un’altra è sapere tutto ciò che dovrebbe essere detto nella comunicazione d’avvio. Art. 8 co 2 lettera C ter: nei procedimenti ad iniziativa di parte si deve indicare la data di presentazione dell’istanza nella comunicazione d’avvio. Questa norma però potrebbe essere scritta per i terzi che possono subire pregiudizio. II. È molto più criticabile un secondo orientamento che distingue tra provvedimenti discrezionali (riguarda l’an e il quid) e provvedimenti vincolati (la pubblica amministrazione non ha nessuna discrezione, scritto tutto sulla legge). La giurisprudenza dice che quando il provvedimento è vincolato qui si potrebbe omettere la comunicazione d’avvio perché tanto la legge prevede tutto: ma non è convincente, l’atto vincolato è doveroso in presenza di certi presupposti che magari possono non esserci in presenza di questo provvedimento poiché la pubblica amministrazione si è pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, l’amministrazione procedente indice di regola una conferenza di servizi”. La conferenza è indetta dal responsabile del procedimento e consiste in una riunione di persone fisiche in rappresentanza delle rispettive amministrazioni, ciascuna delle quali esprime il punto di vista dell’amministrazione rappresentata che confluisce poi in una determinazione conclusiva. Uno degli strumenti previsti dalla Legge 241/90 per introdurre nel procedimento interessi pubblici e privati è costituito dalla partecipazione = soggetti diversi dall’amministrazione procedente entrano sulla scena del procedimento. Ai sensi degli art. 7 e 9 sono legittimati all’intervento nel procedimento i soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, i soggetti che per legge devono intervenire nel procedimento e i soggetti che possono subire un pregiudizio dal provvedimento, purché individuate facilmente individuabili, i portatori di interessi pubblici e privati e i portatori di interessi diffusi. La differenza principale tra le categorie indicate dall’articolo 7 e dell’articolo 9 riguarda in primo luogo la modalità con cui i soggetti acquisiscono la conoscenza della pendenza di un procedimento nel quale intervenire: quelli di cui all’articolo 7 mediante comunicazione dell’avvio del procedimento, quelli di cui all’articolo 9 attraverso vie differenti. Nell’analisi del tema della partecipazione la dottrina ha spesso utilizzato la nozione di parti del procedimento mutuando la terminologia processualistica. Si sono così individuate parti necessarie (art. 7) e parti eventuali (art. 9). Tuttavia il concetto di parte non può essere riferito in senso proprio alla funzione amministrativa e al potere: gli intervenienti non svolgono nessuna funzione amministrativa, in quanto il potere è attribuito soltanto alla pubblica amministrazione. In ordine poi alla distinzione tra parti necessarie ed eventuali occorre sottolineare che soggetti intervenienti possono tutti alla stessa stregua concorre alla formazione della miglior decisione finale. Il grado di rilevanza del loro apporto dipende infatti dal materiale istruttorio che sono in grado di rappresentare nel procedimento. L’unica differenza fra le due categorie è collegata al dovere dell’amministrazione di attivarsi o non per agevolare la loro partecipazione mediante la comunicazione dell’avvio del procedimento. Mediante la partecipazione è dato introdurre anche ipotesi di soluzione, l’eventualità è confermata dall’art. 11, il quale disciplinando gli accordi tra amministrazione e privati specifica che la conclusione di tali atti può venire “in accoglimento di osservazioni e proposte”. Si può tenere distinta la partecipazione della pubblica amministrazione diversa da quella competente da quella dei privati: • Può essere che la stessa pubblica amministrazione procedente inviti altre amministrazioni ad intervenire per presentare le loro richieste. La pubblica amministrazione procedente consapevole che il procedimento coinvolge altre amministrazioni può indire una conferenza di servizi (che significa un incontro de visu con le altre amministrazioni) invitando le varie amministrazioni a mandare un rappresentante per discutere il problema, vi sarà quindi un dibattito tra le diverse amministrazioni che portano i loro punti di vista. Oppure può capitare che un’amministrazione, se sente che l’interesse pubblico che sta curando è coinvolto nel procedimento, senza essere chiamata, decidere di intervenire nel procedimento. Quando si parla di intervento della pubblica amministrazione non si deve pensare che si intervenga solo per interessi strettamente pubblici, ma anche come soggetto portatore di interessi normali fatti valere da un privato. L’art. 9 quando parla dei soggetti che possono intervenire nel procedimento parla non solo di privati ma anche di altri soggetti pubblici “qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio da provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento”. • Anche i privati possono intervenire: l’articolo 9 li prevede espressamente. La partecipazione serve appunto per valere le proprie pretese. -può avvenire a tutela di interessi privati (per il proprio patrimonio), -può avvenire in un momento anticipato, ovvero già in sede di istanza può inserire elementi che suffragano la sua domanda e che possono influire sulla decisione, -può intervenire anche il portatore di un interesse diffuso cioè non è un interesse isolato di un solo soggetto, ma coinvolge più soggetti. Quest’interesse corrisponde a una utilità che non è suscettibile di una fruizione individuale (queste persone non sono in grado di trarre vantaggio singolarmente), è un interesse che vale o per tutti o per nessuno. Es. timore di inquinamento dell’aria in un certo quartiere a causa di una fabbrica, i cittadini hanno interesse ad un intervento repressivo della pubblica amministrazione. Commercianti del centro storico vogliono una disciplina del traffico per sapere se ci sono aree pedonali. La legge consente l’introduzione di un interesse diffuso se i portatori si sono riuniti in un comitato o in un’associazione. Quando un interesse diffuso ha istituito un’associazione stabile non si ha più un interesse diffuso ma collettivo (la legge ha sbagliato dal punto di vista terminologico). Il singolo che vuole entrare nel procedimento amministrativo che sia portatore di un interesse suo, potrebbe non lamentare un pregiudizio che lo riguarda individualmente, ma che lui solleva per il bene pubblico. Intervento semplice: danno che colpisce un interesse semplice (cioè è una questione di coscienza, il soggetto fa valere la sua coscienza di cittadino), per questi interessi non c’è garanzia di tutela. Per la legge 241 si deve dimostrare di subire un pregiudizio personale per intervenire nel procedimento: restano esclusi quindi gli interessi semplici. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi La partecipazione offre la possibilità ai soggetti legittimati di presentare memorie scritte documenti nonché di prendere visione degli atti del procedimento art. 10. L’accesso ai documenti è dunque una delle facoltà che si riassumono nell’istituto partecipativo. L’accesso ha anche una sua autonomia rispetto al procedimento, nel senso che il relativo potere può essere esercitato pure a procedimento concluso è dunque non necessariamente è preordinato alla conoscenza dei documenti amministrativi in via strumentale rispetto alla partecipazione. Si può parlare quindi di accesso endoprocedimentale, esercitato all’interno del procedimento e di accesso esoprocedimentale relativo agli atti di un procedimento concluso. I soggetti legittimati ad esercitare il diritto di accesso sono tutti quelli che abbiano titolo a partecipare al procedimento. In tal senso le situazioni giuridiche legittimanti all’accesso a fini partecipativi non sono soltanto gli interessi legittimi, ma anche i meri interessi procedimentali. Negli altri casi l’articolo 22 indica quali soggetti legittimati: -i soggetti nei confronti dei quali ricadono gli effetti del provvedimento finale e che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale chiesto l’accesso, (La legittimazione abbraccia dunque un ambito di situazioni più ampio rispetto all’interesse legittimo e al diritto soggettivo ed è collegata ad un’autonoma pretesa all’informazione circa l’attività amministrativa indipendente rispetto alla sussistenza di un interesse ad impugnare l’atto esclusivamente in sede giurisdizionale. Ai sensi dell’art. 24 comunque non sono ammissibili istanze di accesso preordinato a un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni. Altro è la situazione di base cioè la situazione legittimante l’accesso, altro è la qualificazione del c.d. diritto di accesso che può essere esercitato in quanto si sia appunto titolari della situazione legittimamente. La natura della pretesa a prendere visione dei documenti ed a estrarne copia (art.22 lett a) non va confusa con la situazione sottostante che deve sussistere affinché quella pretesa possa venire esercitata.) -i soggetti che per legge devono intervenire, -i soggetti individuati o individuabili che possono subire un pregiudizio dal provvedimento, -i portatori di interessi pubblici o privati, -i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni, in realtà la legge parla impropriamente di interessi diffusi, in quanto quando tali interessi sono fatti valere da associazioni essi sono in realtà interessi collettivi. L’art. 10 T.U. enti locali che si occupa dell’accesso ai documenti degli enti locali stabilisce che legittimati all’accesso sono tutti cittadini, singoli associati, e prevede l’obbligo per gli enti locali di dettare norme per assicurare ai cittadini l’informazione sullo stato degli atti di e delle procedure e sull’ordine di esame delle domande, progetti provvedimenti che li riguardano, il regolamento deve altresì assicurare il diritto dei cittadini di accedere, in generale, alle informazioni di cui è in possesso l’amministrazione. e) Il diritto di accesso si esercita nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome speciali degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi, nonché dei privati limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinato dal diritto nazionale o comunitario. (art 22) Sotto il profilo soggettivo il diritto di accesso riguarda i documenti amministrativi di cui l’art. 22 fornisce una definizione assai ampia: d) “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”. La richiesta di accesso, rivolta all’amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene, deve essere motivata, deve indicare gli estremi del documento ovvero gli elementi che ne consentano l’individuazione e far constare l’identità del richiedente. Essa dovrà poi giustificare la necessità del dato quando la sua conoscenza sia strumentale alla difesa dei propri interessi giuridici o la sua indispensabilità nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari. Qualora in base alla natura del documento richiesto non risulti l’esistenza di controinteressati il diritto di accesso può essere esercitato in via informale mediante richiesta, anche verbale, all’ufficio dell’amministrazione. Ove si riscontra l’esistenza di controinteressati, ovvero non sia possibile l’accoglimento immediato della richiesta in via formale, ovvero sorgano dubbi sulla legittimazione del richiedente, sulla sua identità, sui suoi poteri rappresentativi, sull’esistenza dell’interesse alla stregua delle informazioni e delle documentazioni fornite, sull’accessibilità del documento o sull’esistenza di controinteressati, l’amministrazione invita l’interessato a presentare richiesta d’accesso formale. A seguito della domanda di accesso l’amministrazione può: invitare il richiedente a presentare istanza formale, rifiutare l’accesso, differire l’accesso, limitare la portata, accogliere l’istanza. Con riferimento all’ipotesi in cui l’amministrazione non si pronunci sulla richiesta di accesso l’art. 25 co 4 “dispone che trascorsi inutilmente 30 giorni dalla richiesta questa si intende respinta”. Non tutti i documenti sono suscettibili di essere conosciuti dai cittadini. Ai sensi dell’art. 24 il diritto di accesso è negato per: a. documenti coperti dal segreto di stato, da segreto o di divieto di divulgazione previsti dall’ordinamento, b. procedimenti tributari, c. nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, atti amministrativi generali, pianificazione e programmazione, d. procedimenti selettivi, e. nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psico- attitudinale relativi a terzi. Con il termine riservatezza si indica quel complesso di dati, notizie fatti che riguardano la sfera privata della persona, il codice in materia di protezione dei dati personali: - assicura all’interessato modalità di comunicazione di tutte le informazioni che lo riguardano, -il diritto ad ottenere la comunicazione dei dati personali non può essere utilizzato se comporta la conoscenza dei dati personali di soggetti terzi, - la comunicazione dei dati personali è ammessa solo se prevista dalla legge. Da notare è il caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile. Ai sensi dell’ art. 25 nel caso in cui l’amministrazione non si pronunci sulla richiesta di accesso, dispone che trascorsi inutilmente 30 giorni dalla richiesta questa si intende respinta. In tale caso il richiedente può chiedere di riesaminare la determinazione negativa nel termine di 30 giorni al difensore civico o alla Commissione di Acceso ai Documenti Amministrativi (CADA). Scaduto tale termine il ricorso è respinto. Ove invece tali organi ritengano illegittimo il diniego o il differimento ne informano il richiedente e lo comunicano all’autorità disponente e, ove questa non emani il provvedimento confermativo motivato entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, l’accesso è consentito. L’inerzia ha in questo caso il significato di un assenso. Infine, sulla falsariga dell’ordinamento francese la Legge 241/90 istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri una Commissione per l’accesso ai documenti che vigila affinché venga attuato il principio di piena conoscibilità dell’azione amministrativa. Procedimento, atti dichiarativi e valutazioni Affinché i fatti diventino rilevanti nel procedimento occorre che essi siano accertati dall’amministrazione procedente o da altra amministrazione. L’amministrazione pone in tal caso in essere atti dichiarativi: questi atti sono costituiti da dichiarazioni di scienza che conseguono ad un procedimento costituito da un insieme di atti ed operazioni finalizzate ad apprendere. Quali in particolare gli accertamenti: che sono dichiarazioni relative a fatti semplici meramente constatati, e le valutazioni tecniche che vengono poste in essere a seguito di un’attività volta ad apprendere la sussistenza del fatto e riguardano fatti complessi. Al fine di operare la qualificazione di un fatto complesso è richiesta un’attività di valutazione e cioè la formulazione di un giudizio estimativo frutto di un esercizio di discrezionalità tecnica. L’art. 17 si riferisce alle valutazioni tecniche, occupandosi del caso in cui esse siano richieste da enti o organi appositi e questi non provvedano entro 90 giorni dal ricevimento della richiesta o in quello rivista specificatamente dalla legge. In questa ipotesi la legge prevede che il responsabile del procedimento deve chiedere le suddette valutazioni ad altri organi dell’amministrazione pubblica o ad altri enti pubblici che siano dotati di qualificazione e capacità tecniche e equipollenti, ovvero ad istituti universali. Nel caso delle valutazioni, a differenza di quanto accade nel caso dei pareri, l’amministrazione procedente non ha di norma la possibilità di sostituire il giudizio espresso dall’organo o ufficio tecnico. L’articolo 17 va però coordinato con la disciplina dell’articolo 2 co 4 il quale dispone che nei casi in cui leggi o regolamenti prevedono per l’adozione di un provvedimento l’acquisizione di valutazioni tecniche di organi o enti appositi, i termini procedimentali sono sospesi fino -il concerto è un istituto che si riscontra di norma nelle relazioni tra organi dello stesso ente (è quindi un rapporto interorganico): l’autorità concertante elabora uno schema di provvedimento e lo trasmette all’autorità concertata, che si trova in posizione di parità rispetto alla prima, fatto salvo il fatto che solo l’autorità concertante ha il potere di iniziativa. Il consenso delle autorità concertate condiziona l’emanazione del provvedimento: tale consenso è espresso con un atto che, a differenza del modello dell’atto complesso, non si fonde con quello dell’amministrazione procedente, che è l’unica ad adottare l’atto finale. -l’intesa invece viene di norma raggiunta tra enti differenti di ai quali tutti si imputa l’effetto. Analogamente a quanto accade per il concerto, un’amministrazione deve chiedere l’intesa ad un’autorità, il cui consenso condiziona l’atto finale. Alle volte tra due procedimenti amministrativi si instaura un rapporto di presupposizione quando alla decisione finale concorrono almeno 2 procedimenti e 1 di essi si pone temporalmente prima quindi l’altro procedimento non si conclude sino a che non si è concluso il primo. (esempio: dichiarazione di pubblica utilità rispetto all’emanazione del decreto di esproprio). Esistono altri casi in cui la legge da evidenza a momenti endoprocedimentali che sono intimamente collegati con la decisione finale. L’articolo 11 in particolare prevede che gli accordi che l’amministrazione conclude con i privati siano preceduti da una “determinazione dell’organo che sarebbe competente per l’adozione del provvedimento”, evidentemente al fine di giustificare l’adozione dell’accordo medesimo. L’articolo 10 bis poi nel caso di procedimenti ad istanza di parte impone di comunicare agli istanti i “motivi che ostano all’accoglimento della domanda”, tale comunicazione mira a sollecitare gli istanti affinché presentino osservazioni, del cui eventuale mancato accoglimento occorre dare ragione nel provvedimento finale. L’articolo 6 stabilisce che l’organo che emana il provvedimento finale, se diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria se non indicandone le motivazioni del provvedimento finale. Ai sensi dell’articolo 14 ter infine la conferenza di servizi si conclude con una determinazione motivata dell’amministrazione procedente cui segue il provvedimento finale. La conferenza di servizi c.d. “decisoria” È disciplinata dall’art. 14 e seguenti. E’ nata attorno agli anni 87-88 per problemi in materia ambientale. E’ volta a snellire e velocizzare il procedimento amministrativo. Ha avuto radicali modifiche perché non funzionava e per la modifica del titolo V. La legge pur ritenendo necessario il consenso di più amministrazioni ai fini della definizione del procedimento, ammetto di oggi che gli atti determinativi o condizionante il contenuto della decisione finale possano essere sostituiti dalla determinazione assunta in seno alla conferenza di servizi. Ha una duplice natura in quanto può essere: • Istruttoria, è una conferenza convocata per l’esame contestuale di interessi coinvolti in più procedimenti connessi. Su richiesta di una qualsiasi amministrazione coinvolta, viene indetta da una delle amministrazioni che curano l’interesse pubblico prevalente. • Decisoria, viene convocata nei casi in cui sia necessario acquisire intese, concerti o assensi comunque denominati di altre amministrazioni e ricorrono due evenienze: • Avendo formalmente richiesto questi atti, l’amministrazione non li ottienga entro 30 giorni dalla ricezione, da parte dell’amministrazione competente, della relativa richiesta, in questo caso l’indizione è obbligatoria. • Facoltativa quando nello stesso termine sia intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni interpellate. La conferenza di servizi tende ad un accordo tra amministrazioni il quale però non elimina la necessità dell’emanazione del successivo provvedimento. Ai sensi dell’articolo 14 ter anche in caso di dissenso espresso da un soggetto convocato alla conferenza, sulla base delle risultanze della conferenza, l’amministrazione procedente adotta una determinazione conclusiva di procedimento alla quale può conformarsi il provvedimento finale. La conferenza dunque tende all’accordo soltanto in prima battuta ma, consente di giungere alla determinazione finale pur in sua assenza, anche in contrasto con gli avvisi espressi dai rappresentanti degli enti di competenti in via ordinaria. L’art. 14 ter disciplina procedimento della conferenza di servizi: • previo accordo tra le amministrazioni coinvolte la conferenza di servizi è convocata e svolta avvalendosi degli strumenti informatici disponibili secondo i tempi e le modalità stabiliti dalle medesime amministrazioni, • La prima riunione della conferenza è convocata entro 15 giorni, o in caso di particolare complessità dell’istruttoria entro 30 giorni dalla data di indizione, la relativa convocazione deve pervenire alle amministrazioni almeno 5 giorni prima della riunione, • La conferenza assume le determinazioni relative all’organizzazione dei propri lavori a maggioranza dei presenti, • La convocazione della prima riunione deve pervenire almeno cinque giorni prima della relativa data, • Le amministrazioni stabiliscono i termini per l’adozione della decisione conclusiva, rispettando la regola secondo cui i lavori non possono superare i 90 giorni. L’indizione della conferenza spetta al responsabile del procedimento. La conferenza è volta all’accordo tra amministrazione e non da luogo ad organo collegiale. Il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva della conferenza sostituisce ogni autorizzazione o atto di consenso di competenza alle amministrazioni partecipanti o invitate a parteciparvi ma risultate assenti. Bisogna però considerare che ai sensi dell’articolo 20 l’indizione della conferenza di servizi preclude la formazione del silenzio-assenso. Ogni amministrazione vi partecipa con 1 rappresentante legittimato ad esprimere in modo vincolato la sua volontà. Nel corso della conferenza possono essere richiesti per una sola volta chiarimenti o documentazione che devono essere forniti entro 30 giorni, in caso contrario si procede all’esame del provvedimento. In caso di inerzia cioè mancato rispetto del termine stabilito per la conclusione dei lavori, l’amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede. Non è quindi escluso che l’amministrazione procedente segua la posizione minoritaria se la ritiene più convincente. Tale disciplina si applica anche in caso di dissenso. In sostanza l’amministrazione procedente non attotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento sulla base del mero criterio della maggioranza, ma deve tenere conto delle posizioni prevalenti espresse in conferenza e dunque della loro qualità. Non è escluso perciò che l’amministrazione procedente segua la posizione minoritaria ove la ritenga più convincente. A tale meccanismo è però prevista una deroga nei casi di dissenso manifestato da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale, patrimonio artistico-culturale o alla tutela della salute e della pubblica incolumità. In tal caso la decisione è rimessa: .a al Consiglio dei Ministri .b alla Conferenza Permanente o .c alla Conferenza Unificata La decisione deve essere assunta da tali organi entro 30 giorni, salvo che, valutata la complessità dell’istruttoria non si decida di prorogare il termine per un periodo non superiore a 60 giorni. Silenzio rappresenta l’inerzia dell’amministrazione. È un comportamento materiale omissivo. Possono essere fatte due classificazioni del silenzio: a. significativo: -ricorre quando la legge, considerando la possibilità che i cittadini facciano domande, stabilisce che se la pubblica amministrazione non risponde entro un certo termine ciò equivale a un respingimento della domanda (diniego). La pubblica amministrazione dice no. -silenzio rigetto: casi in cui la pubblica amministrazione è inerte di fronte ai ricorsi è il soggetto può rivolgersi al giudice amministrativo. -può avere portata apposta, la non risposta della pubblica amministrazione per un certo periodo equivale ad accoglimento, vale anche se la pubblica amministrazione vuole respingere la domanda ma non ha fatto in tempo. b. Inadempimento: laddove la legge prevede un potere della pubblica amministrazione attivabile da un privato, ma manchi una norma che regoli il silenzio della pubblica amministrazione questo comportamento resta equivoco. L’inerzia resta un comportamento antidoveroso: perciò si può ricorrere finché perdura l’inadempimento ad un giudice amministrativo che ordina alla pubblica amministrazione di uscire dall’inerzia (entro 30 giorni). Se l’amministrazione non lo fa nonostante l’invito del giudice viene nominato un commissario che compie egli stesso provvedimento. Silenzio accoglimento: è significativo. Si realizza quando la pubblica amministrazione non risponde entro un certo termine e la legge attribuisce all’inerzia valore di accoglimento. La domanda fa sorgere alla pubblica amministrazione l’onere di rispondere entro un certo termine, è un onere perché se la pubblica amministrazione non risponde perde la possibilità di fare un atto di diniego. Se la pubblica amministrazione non risponde di no entro un certo termine, non può più farlo. Però se la pubblica amministrazione è convinta che chi ha fatto la domanda ne aveva motivo allora lascia scadere il termine perché sa che verrà accolta. Il soggetto che fa la domanda può non avere tutti i requisiti idonei: non è conforme a legalità che il soggetto per inerzia della pubblica amministrazione possa comunque ottenere il permesso. La pubblica amministrazione deve dire quindi velocemente di no. Questo provvedimento è illegittimo-invalido. Se ci fosse stato un atto espresso di accoglimento prima della scadenza del termine, può essere annullato in sede di auto tutela dell’amministrazione quando se ne rende conto. Ma se non c’è l’atto di accoglimento a causa del silenzio accoglimento, la pubblica meditazione non può annullare la anche perché non c’è, ma può annullare gli effetti che si sono prodotti ope legis. L’amministrazione non può rimanere inerte quando il soggetto ha un interesse meritevole di tutela. Ma deve accertare che ci siano i requisiti per l’accoglimento della domanda, se questi ci sono allora può lasciar scadere il termine. Dalla presentazione della domanda scaturiscono due effetti: 1. Onere della pubblica amministrazione di rispondere entro i termini se vuole bloccare la domanda del privato, 2. Dovere giuridico di verificare la situazione, se colui che aveva fatto la domanda aveva i requisiti idoni. Le domande dei cittadini hanno due ordini di effetti: 1) Pronuncia espressa entro i termini (quando l’istanza fa nascere il dovere di dare una pronuncia entro i termini, cio è a tutela dell’interessato), 2) Verifica dei requisiti, quando si parla di dovere di verifica questo dovere non è stabilito nell’interesse del privato ma della pubblica amministrazione, ha una ratio diversa. Per il prof. le domande hanno anche un altro effetto: autorizzatorio. Effetto consistente nell’attribuzione alla pubblica amministrazione della facoltà di pervenire ad un certo provvedimento. La domanda da questa facoltà giuridica (diverso da onere, obbligo, dovere). -Ci sono norme costituzionali che garantiscono al singolo un’intangibilità dalla loro sfera giuridica: art. 30 diritto di educare i propri figli, art. 13 diritto di libertà personale, art. 41 diritto di libertà di iniziativa economica. Sono norme che impediscono la pubblica amministrazione dall’ingerenza nella sfera privata dei cittadini. Ma l’amministrazione può assumere un certo comportamento che interferisce con le scelte private perché il cittadino che le dà questa facoltà. La domanda del cittadino ha un effetto autorizzatorio. -Ci sono altre situazioni nelle quali indipendentemente dalla sussistenza di una garanzia costituzionale di intangibilità della sfera privata, la pubblica amministrazione ha bisogno, in aggiunta al provvedimento, di assicurarsi che il privato sia disposto ad operare secondo quanto la pubblica amministrazione si aspetta. Assumere un provvedimento per un soggetto che non è disposto a collaborare con la pubblica amministrazione non ha senso, è un dispendio di energie inutile. Quando è il privato che chiede un provvedimento con la pubblica amministrazione vuol dire che non solo vuole provvedimento, ma anche assicura un suo impegno nei confronti della pubblica amministrazione. -ci sono dei provvedimenti che dopo essere stati emanati soddisfano un interesse solo di un privato: servono solo a coloro che li ottengono. Es. proprietario di un palazzo che nessuna via pubblica e deve migliorare le condizioni dell’edificio. Chiede di poter mettere le impalcature sulla via pubblica, l’interesse è solo il suo. Il provvedimento non soddisfa l’interesse pubblico. Sarebbe illogica la norma che consentisse alla pubblica amministrazione di assumere provvedimenti di questo tipo se il privato non glielo chiede. La domanda è un effetto di legittimazione a provvedere. Nell’ipotesi di silenzio-significativo l’ordinamento collega al decorso del termine la produzione di un effetto equipollente all’emanazione di un provvedimento favorevole (silenzio assenso) o di diniego (silenzio diniego) a seguito dell’istanza di un privato titolare di un interesse pretensivo. Pochi sono i casi di silenzio-diniego che vanno espressamente previsti dalla legge: un esempio è costituito dalla fattispecie disciplinata dall’articolo 53 d.lgs. 165/2001 ai sensi del quale l’autorizzazione richiesta da dipendenti pubblici all’amministrazione di appartenenza ai fini dello svolgimento di incarichi retribuiti si intende definitivamente negata quando sia inutilmente decorso il termine di 30 giorni per provvedere. Rilevante il campo di applicazione del silenzio-assenso che costituisce oggi la regola nel nostro ordinamento per i procedimenti ad istanza di parte, pur se temperata con una serie di importanti eccezioni. Il presupposto è quello secondo cui la legge effettuata una preliminare valutazione astratta della compatibilità dell’attività privata con l’interesse pubblico. L’art. 20 co 1 dispone che “fatta salva l’applicazione della DIA di cui all’ articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte il silenzio dell’amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide se la medesima • Finalità, il potere e il provvedimento sono caratterizzati dalla preordinazione alla cura dell’interesse pubblico che è il risultato della ponderazione di interessi diversi. • Forma, principio generale della libertà delle forme, in quanto non c’è preferenza tra forma scritta e non scritta. Anche se in molti casi c’è la forma scritta. • Motivazione, elemento di carattere generale, obbligatorio. L’amministrazione quando adotta un provvedimento deve rendere dotto il destinatario del percorso logico seguito per arrivare alla conclusione del procedimento. Ha intento conoscitivo, deve svolgere una funzione di garanzia (cioè la possibilità dell’interessato di agire in fase giurisdizionale), svolge funzione di trasparenza (in quanto rende edotto l’interessato del percorso logico impiegato per arrivare al provvedimento). Questo dovere è stato introdotto dall’articolo 3, il quale richiama a titolo esemplificativo l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei concorsi e il personale. Dall’obbligo sono esclusi gli atti normativi, gli atti a carattere generale (come piani e programmi). Ma tali eccezioni vanno prese con il beneficio di inventario in quanto le leggi di settore prevedono l’obbligo di motivazione. L’applicazione della giurisprudenza tende a limitare l’obbligo della motivazione per l’attività vincolata dell’amministrazione. La nullità Le conseguenze che l’ordinamento prevede se il provvedimento è difforme dal paradigma normativo variano a seconda se: 1. il provvedimento è emanato in violazione delle norme attributive del potere allora è nullo 2. il provvedimento è difforme dalle norme di azione che disciplinano l’esercizio del potere, allora è annullabile (fatta salva l’applicazione dell’articolo 21-octies) La dottrina amministrativistica riconduce nullità e illegittimità nella categoria dell’invalidità, che consiste nella difformità dell’atto dalla normativa che lo disciplina. L’art. 21-septies si occupa della nullità, ai sensi del quale un provvedimento è nullo per: .1 mancanza degli elementi essenziali (categoria strutturale) .2 difetto assoluto di attribuzione, si ha quando viene violata una norma delimitativa del potere e quindi si ha carenza di potere che può essere: • in astratto, il potere non appartiene a quell’amministrazione (non ha la competenza in materia). Esempio: atto emanato da un’autorità diversa da quella avente il potere. • in concreto, il potere non manca totalmente, in quanto le norme attributive del potere sono state osservate. In questo caso non sono state rispettate norme ulteriori o aggiuntive. Esempio: decreto di espropriazione emanato dopo la scadenza del termine fissato dalla legge nella dichiarazione di pubblica utilità. .3 violazione o elusione del giudicato .4 negli altri casi espressamente previsti dalla legge Illegittimità Un atto emanato nel rispetto delle norme attributive del potere ma in difformità di quelle di azione è illegittimo e quindi annullabile. E’ una patologia meno grave di invalidità rispetto alla nullità. L’atto annullabile produce effetti come un atto legittimo, ma tali effetti sono precari in quanto l’ordinamento prevede strumenti giurisdizionali per eliminarli, contestualmente all’atto. Inoltre l’atto illegittimo è annullabile da parte della stessa amministrazione in via di autotutela. Il regime dell’atto annullabile si ricava dall’articolo 21-octies ai sensi del quale è “annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza”. L’articolo 21-nonies invece si occupa dell’annullamento d’ufficio dell’atto illegittimo e della sua convalida. L’illegittimità può essere: • Originaria, l’illegittimità si determina in riferimento alla normativa in vigore al momento della perfezione dell’atto. • Sopravvenuta, l’illegittimità si determina in riferimento alla normativa sopravvenuta successivamente all’emanazione del provvedimento. • Derivata, l’annullamento di un atto che costituisce presupposto di altro atto da luogo a illegittimità derivata. • Parziale, si ha quando solo una parte del contenuto sia illegittimo. Bisogna però sottolineare che ai sensi dell’articolo 21-octies il provvedimento difforme dal paradigma normativo non è in alcuni casi annullabile, quando esso è adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti ma, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Inoltre non è annullabile il provvedimento, per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Vizi di legittimità L’analisi dei vizi va condotta tenendo conto che essi conseguono alla violazione delle norme di azione e, cioè, delle disposizioni che attengono alla modalità di esercizio di un potere. La discrezionalità esiste nei limiti in cui l’ordinamento non predefinisce in via generale tutte quelle modalità onde spetta all’amministrazione, nello spazio di libertà residua, offrire una soluzione adeguata: essa non può dunque essere adottate in osservanza di norme fissate in via generale. I vizi di legittimità sono: • Incompetenza, si suole denominare incompetenza (relativa) il vizio che consegue alla violazione delle norme di azione che definisce la competenza dell’organo e, cioè, il quantum di funzioni spettanti all’organo. A tale vizio non si applica l’articolo 21-octies. Non dà pertanto luogo al vizio di incompetenza la violazione di una norma di relazione attinente all’elemento soggettivo in tal caso (talora in dottrina definito come incompetenza assoluta) l’atto sarà addirittura nullo per carenza di potere. L’incompetenza può aversi per materia, valore, grado o per territorio. • Violazione di legge, è un vizio residuale, infatti lo si invoca quando non è possibile invocare gli altri. Sussiste quando si violi una qualsiasi altra norma giuridica di azione generale e astratta che non attenga alla competenza. Esempio: mancanza del quorum di legge. La violazione di legge può ricorrere sia nel caso di mancata applicazione della norma, sia nell’ipotesi di falsa applicazione della stessa. • Eccesso di potere, è il risvolto patologico della discrezionalità. Esso sussiste dunque quando la facoltà di scelta spettante all’amministrazione non è correttamente esercitata. L’eccesso di potere nasce dalla violazione di quelle prescrizioni che presiedono allo svolgimento della funzione che non sono ravvisabili in via preventiva e astratta. Tali regole si sostanzano nel principio di logicità-congruità applicato al caso concreto e la loro violazione è evidenziata dal giudice amministrativo in occasione del sindacato dell’eccesso di potere. Affligge molti provvedimenti e spesso viene confuso con i vizi di merito. Se non esistesse questo vizio il potere discrezionale delle amministrazioni non avrebbe limiti. Quindi l’eccesso di potere può essere invocato solo con riferimento ad atti discrezionali. Classica forma dell’eccesso di potere è lo sviamento, che ricorre quando l’amministrazione persegue un fine differente da quello per il quale il potere le è stato conferito. L’eccesso di potere diventa strumento per verificare il corretto esercizio del potere. I principi che si possono richiamare sono: imparzialità, logicità, coerenza, proporzionalità, ragionevolezza. L’eccesso di potere è una lacuna che si trova a metà tra logica e ragionevolezza. La giurisprudenza ha poi elaborato una serie di figure dette figure sintomatiche le quali sono sintomo del non corretto esercizio del potere e comportano l’annullamento del provvedimento. Tali figure sono: -Contraddittorietà, -Disparità di trattamento, -Errore di fatto o travisamento, -Difetto di istruttoria, -Motivazione insufficiente, incongrua, contraddittoria, dubbiosa, illogica e perplessa. Il dovere di motivare è stato introdotto dall’art. 3 secondo cui “ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato”. Fanno eccezione gli atti normativi e gli atti a contenuto generale. La motivazione deve indicare “i presupposti di fatto lo e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione amministrativa, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”. La motivazione dovrebbe esprimere sostanzialmente l’interesse pubblico che ha guidato l’azione dell’amministrazione e non limitarsi a indicare formalmente enorme e fatti. Ai sensi dell’articolo 3 il dovere di motivare è soddisfatto se il provvedimento richiama altro atto che contenga esplicita motivazione e questo sia reso disponibile (motivazione per relazionem). Secondo parte della giurisprudenza è sufficiente che il documento richiamato sia reso disponibile e cioè che se suscettibile di essere acquisito utilizzando l’istituto dell’accesso. Vizi di merito Il merito amministrativo è l’insieme delle soluzioni compatibili con il canone di congruità- logicità che regola l’attività discrezionale. L’illegittimità per vizi di merito si verifica nei casi in cui la scelta discrezionale confligge con opportunità e convenienza. L’atto viziato per vizi di merito è annullabile nei soli casi previsti dalla legge. Di regola l’inopportunità del provvedimento è irrilevante, nel senso che la legge si limita a richiedere che la scelta discrezionale sia legittima alla stregua del canone di congruità-logicità ossia non risulti viziata per eccesso di potere: ciò è del resto coerente con l’esigenza di rispettare la sfera di azione dell’amministrazione. Talora tuttavia l’inopportunità assume rilevanza perché l’ordinamento prevede la sua sindacabilità e dunque la sostituzione della valutazione di un terzo a quella compiuta l’amministrazione. I mezzi predisposti sono: il controllo di merito, l’annullamento in via di autotutela, i ricorsi amministrativi e i ricorsi giurisdizionali nell’ambito della giurisdizione di merito. La legge 241 nel disciplinare l’annullamento d’ufficio tace della possibilità di annullare atti viziati nel merito, sembra dunque doversi concludere che il provvedimento viziato nel merito possa essere assoggettato alla disciplina di cui all’articolo 21-quinquies in forza del quale è revocabile il provvedimento a seguito di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario. Procedimenti di riesame dell’atto illegittimo I provvedimenti di secondo grado sono espressione di autotutela e hanno per oggetto altri provvedimenti amministrativi. Si distinguono: -Poteri di riesame: sotto il profilo della validità di precedenti provvedimenti -Poteri di revisione: sotto il profilo dell’efficacia di precedenti atti. I procedimenti di riesame possono avere esiti differenti: • Conferma: il provvedimento viene confermato se l’amministrazione verifica l’insussistenza dei vizi dell’atto. • Annullamento d’ufficio (o in sede di autotutela): Provvedimento attraverso il quale si elimina un atto invalido e vengono rimossi ex-tunc (retroattivamente) gli effetti prodotti. Tale annullamento deve avvenire entro un termine ragionevole, tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati. • Convalescenza: Dato che il potere di annullamento può essere esercitato entro un termine ragionevole, l’eccessivo decorso del tempo determina la convalescenza, che impedisce l’annullamento d’ufficio di atti illegittimi qualora essi abbiano prodotto i loro effetti per un periodo adeguatamente lungo. • Riforma: quando la parte annullata viene sostituita da altro contenuto. Ha efficacia ex- nunc (per il futuro). Questa è la riforma sostitutiva, esiste anche la riforma aggiuntiva che consiste nell’introduzione di ulteriori contenuti a quello originario. • Convalida: provvedimento di riesame a contenuto conservativo. Infatti l’amministrazione può convalidare il provvedimento annullabile sussistendo le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole (21 nonies). L’amministrazione rimuove il vizio che inificia il provvedimento di primo grado e pone in essere una dichiarazione che espressamente riconosce il vizio ed esprime la volontà di eliminarlo, sempreché tale vizio sia suscettibile di essere rimosso. Gli effetti della convalida retroagiscono al momento dell’emanazione dell’atto convalidato. • Sanatoria: ricorre quando il vizio dipende dalla mancanza di un atto endoprocedimentale la cui adozione spetta a un soggetto diverso dall’amministrazione procedente. L’atto può essere sanato da un intervento tardivo. • Conversione: istituto che riguarda gli atti nulli. In luogo dell’atto nullo è da considerare esistente un differente atto, purchè sussistano tutti i requisiti di questo e risulti che l’agente avrebbe voluto il secondo atto ove fosse stato a conoscenza del mancato venire in essere del primo. Opera ex-tunc (retroattivamente) in base al principio della conservazione dei valori giuridici. In talune ipotesi si tratta di corretta interpretazione dell’atto. Si ammette talora in dottrina e in giurisprudenza la possibilità della conversione anche di atti annullabili. In tali casi si verifica in realtà un fenomeno più complesso costituito dall’annullamento dell’atto originario ed alla sua sostituzione con altro atto di cui sussistono nel primo tutti i requisiti. • Inoppugnabilità: condizione in cui l’atto viene a trovarsi se sono decorsi i termini di impugnabilità. Comporta l’inattaccabilità dell’atto, anche se è sempre annullabile d’ufficio o disapplicabile dal giudice ordinario. • Acquiescenza: accettazione spontanea e volontaria da parte di chi potrebbe impugnarlo, delle conseguenze dell’atto e quindi della situazione da esso determinata. • Ratifica: ricorre quando sussiste una legittimazione straordinaria da parte di un organo ad emanare a titolo provvisorio e in una situazione di urgenza un provvedimento che rientra nella competenza di un altro organo, il quale, ratificando, fa proprio quel provvedimento originariamente legittimo. • Rettifica: non riguarda provvedimento viziati, ma atti irregolari. Consiste nell’eliminazione dell’errore. • Rinnovazione: del provvedimento annullato. Consiste nell’emanazione di un nuovo atto, avente effetti ex nunc (per il futuro) con la ripetizione della procedura a partire dall’atto endoprocedimentale viziato. Tale istituto è possibile se l’atto precedente non è stato annullato per ragioni di ordine sostanziale (esempio: mancanza del presupposto). Efficacia del provvedimento dell’amministrazione parte contraente. L’interesse pubblico rileva con una serie di importanti conseguenze sul piano del procedimento che segna la formazione della volontà dell’amministrazione: l’espressione evidenza pubblica, utilizzata per descrivere il procedimento amministrativo che accompagna la conclusione dei contratti della pubblica amministrazione, indica appunto il fatto che questa fase deve svolgersi in modo da esternare l’iter seguito dall’amministrazione, anche al fine di consentirne il sindacato alla luce dei criteri della cura dell’interesse pubblico. La riforma del titolo quinto non ricomprende la materia in esame tra quelle rientranti nella potestà legislativa esclusiva statale o nella potestà legislativa concorrente: con riferimento all’attività contrattuale che non sia svolta dallo Stato o da enti pubblici nazionali, parrebbe dunque che, dall’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali, legge statale possa essere superata dalla normativa regionale. Sotto alcuni profili, in particolare in relazione le aspetti delle discipline relative la tutela della concorrenza, potrebbe ricavarsi un importante spazio per la legge statale ai sensi dell’articolo 117 co 2 cost. La corte costituzionale (401/2007) coglie con chiarezza che la disciplina sulla contrattazione delle amministrazioni pubbliche deve accordarsi con le esigenze di un mercato comune in cui vanno preservate le aspettative delle imprese. I lavori pubblici per legge possono essere realizzati esclusivamente mediante contratto di appalto, fatto salvo i casi di lavori in economia ammessi fino all’importo di 200.000 Euro e di alcuni lavori del ministero della difesa. L’appalto di lavori pubblici si distingue dal corrispondente contratto privatistico per la natura pubblica di uno dei due contraenti e perché ha ad oggetto la realizzazione di opere pubbliche. Secondo la formulazione dell’articolo 3 del codice dei contratti pubblici esso è il contratto a titolo oneroso concluso in forma scritta tra un operatore economico e una stazione appaltante o un ente aggiudicatore avente per oggetto la sola esecuzione dei lavori pubblici, ovvero, congiuntamente, la progettazione esclusiva e l’esecuzione con qualsiasi mezzo, di un’opera rispondente alle esigenze specifiche della stazione appaltante o dell’ente aggiudicatore sulla base del progetto preliminare posto a base di gara. Il d. Lgs. 163/2006 riconosce alla parte pubblica che abbia stipulato contratti relativi all’esecuzione di contratti di appalto una serie di poteri peculiari e tassativi. L’amministrazione può risolvere il contratto per gran inadempimento grave irregolarità o grave ritardo, e inoltre può recedere in qualunque tempo dai contratti verso la corresponsione del pagamento dei lavori eseguiti dei materiali esistenti e del decimo dell’importo dei lavori rimasti in eseguiti. Però l’atto con il quale l’ amministrazione esercita queste facoltà non ha natura provvedimentale e quindi non è idoneo a incidere sulle situazioni soggettive del contraente, quindi la giustizia sulle relative controversie spetta al giudice ordinario. Gli appalti, ai sensi dell’articolo 54, sono affidati mediante procedura aperta o ristretta e, in casi eccezionali, negoziata con o senza pubblicazione del bando. Per quanto attiene ai criteri di scelta è previsto l’impiego del sistema del prezzo più basso o dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Le principali scansioni del procedimento ad evidenza pubblica: la deliberazione di contrattare e il progetto di contratto L’espressione evidenza pubblica è utilizzata per descrivere il procedimento amministrativo che accompagna la conclusione dei contratti della PA .Il procedimento ad evidenza pubblica, volto ad assicurare l’imparzialità e la trasparenza nella scelta del miglior contraente, si apre con la determinazione di contrattare, ovvero con la predisposizione di un progetto di contratto, tali atti preterminano il contenuto del contratto e la spesa prevista ed individuano altresì la modalità di scelta del contraente. I capitolati generali definiscono le condizioni che possono applicarsi indistintamente a un determinato genere di lavoro, appalto o contratto e le forme da seguirsi per le gare. I capitolati speciali riguardano le condizioni che si riferiscono più particolarmente all’oggetto proprio del contratto. Il parere obbligatorio del Consiglio di Stato è previsto soltanto sugli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposte da uno o più ministri. La scelta del contraente e l’aggiudicazione La seconda fase del procedimento è costituita dalla scelta del contraente. Le modalità di scelta possono essere: • Asta Pubblica, è obbligatoria per i contratti dai quali derivi un’entrata per lo stato. E’ il pubblico incanto aperto a tutti gli interessati che posseggano i requisiti fissati dal bando. Si ha quindi la pubblicazione del bando e la presentazione delle offerte. • Licitazione Privata, gara caratterizzata dal fatto che ad essa sono invitate a partecipare soltanto le ditte che, in base ad una valutazione preliminare, sono ritenute idonee a concludere il contratto. Si ha l’invito a partecipare, la valutazione delle offerte, la scelta di quella migliore e quindi l’aggiudicazione. Si tratta di due modelli di gara analoghi, fatto salvo il profilo dell’individuazione dei partecipanti alla gara. La procedura infatti è ristretta nella gara privata e aperta in quella pubblica. Con riferimento ai contratti più rilevanti la legge ha introdotto una fase di preselezione nelle procedure ristrette: l’amministrazione non procede direttamente all’invito, ma pubblica un bando indicando i requisiti di qualificazione, le imprese interessate, purché in possesso dei requisiti possono fare richiesta di essere invitate alla licitazione, soltanto questo punto l’amministrazione procede con l’invito. L’aggiudicazione è l’atto amministrativo con cui viene accertato e proclamato il vincitore da parte del soggetto che presiede la celebrazione dell’asta o la commissione di valutazione dell’offerta in sede di licitazione privata. Si parla di aggiudicazione provvisoria nei casi in cui l’aggiudicazione debba essere seguita da una fase di approvazione del verbale di aggiudicazione. Appalto integrato, procedura negoziata e servizi in economia • Trattativa Privata, vi si ricorre quando l’amministrazione non è in grado di predefinire un progetto di contratto. Utilizzata nelle situazioni tassativamente indicate. L’amministrazione dispone di una maggiore discrezionalità nella scelta del privato contraente in quanto vi è una fase di negoziazione diretta tra amministrazione e privato e manca l’aggiudicazione. La semplicità e l’informalità della procedura comportano minori garanzie per i privati interessati. Per quanto attiene alle modalità di scelta del contraente il codice disciplina pure il dialogo competitivo volto a definire le soluzioni preferibili relativamente ai soli appalti particolarmente complessi qualora le amministrazioni ritengano che il ricorso alla procedura aperta ristretta non permetta l’aggiudicazione dell’appalto. • Appalto Concorso, vi si ricorre quando l’amministrazione non è in grado di predefinire un progetto di contratto. Utilizzato nei casi tassativamente indicati dalla legge, quando l’amministrazione richiede ai privati di presentare progetti tecnici e le condizioni alle quali sono disposti ad eseguirli. Viene effettuata una gara relativa al progetto, a cui segue una sorta di trattativa privata con il soggetto di cui sia stato prescelto il progetto tecnico. Il vincolo contrattuale sorge solo con la stipulazione. La recente legislazione tende a ridurre il campo di applicazione dell’istituto in esame, in particolare il d. Lgs. 163/2006 definisce invece l’appalto integrato prevedendo che l’appalto dei lavori pubblici possa avere ad oggetto non soltanto l’esecuzione, ma anche la progettazione esecutiva e l’esecuzione. I soggetti ammessi alle gare per affidamento di appalti sono imprese, società, consorzi tra società e ATI. Le operazioni di gara sono verbalizzate dall’ufficiale rogante e si concludono con l’aggiudicazione che è l’atto amministrativo con cui viene accertato e proclamato il vincitore. Stipulazione, approvazione, controllo ed esecuzione del contratto In relazione alla stipulazione va osservato che secondo la giurisprudenza i contratti della pubblica amministrazione devono essere sempre conclusi per iscritto, anche se non attengono a beni immobili. È questa una delle peculiarità del regime dei contratti dell’amministrazione rispetto al diritto comune. Nell’ambito dei contratti pubblici di lavori servizi forniture all’articolo 11 d.lgs. 63/2006 chiarisce che l’aggiudicazione definitiva non equivale all’accettazione dell’offerta, sinché il vincolo sorge soltanto con la stipula del contratto, che avviene entro 60 giorni dall’aggiudicazione definitiva. Il d.lgs. 53/2010 ha dato attuazione è una direttiva della comunità europea. Che mira a garantire che il ricorso possa essere proposto prima della stipula del contratto. Ciò si traduce nell’istituto dello stand-still: la conclusione del contratto non può avvenire prima dello scadere di un termine decorrenta dal giorno successivo alla data in cui la decisione di aggiudicazione è stata inviata agli interessati. Il decreto in esame fissato in 35 giorni questo termine facendolo decorrere dall’invio dell’ultima comunicazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva. Il termine per impugnare di 30 giorni, dei correnti dell’avvenuta comunicazione, la quale dovrebbe appunto perfezionarsi in cinque giorni. Un secondo stand-still impedisce la stipula o l’esecuzione del contratto non è il caso di proposizione di un ricorso. Il decreto introduce il divieto per la stazione appaltante di stipulare il contratto. Il divieto opera per 20 giorni a condizione che, entro tale termine, intervenga la pronuncia del provvedimento cautelare di primo grado o la pubblicazione del dispositivo della sentenza di primo grado. Ove questi provvedimenti siano assunti dopo, il termine di sospensione viene prolungato. La stipulazione del contratto ha luogo entro il termine di 60 giorni. L’esecuzione del contratto così concluso può essere subordinata ad approvazione da parte della competente autorità. L’amministrazione si trova quindi in una posizione di preminenza, che dà luogo a una situazione in cui all’obbligo del privato, scaturente dalla conclusione del regolare contratto, non si contrappone con un analogo vincolo per l’amministrazione, la quale anzi dispone di alcuni poteri il cui esercizio potrebbe impedire l’eseguibilità del contratto stesso. Si parla in dottrina di contratto claudicante, proprio per indicarne la supremazia dell’amministrazione nella fase successiva all’espressione del consenso, ma antecedente all’approvazione del contratto già concluso. Il rifiuto di approvazione del contratto concluso è riconosciuto legittimo dalla giurisprudenza quando sia giustificato dalla presenza di vizi di legittimità presenti nella procedura o dall’inesistenza della copertura finanziaria, ovvero dalla sussistenza di gravi motivi di interesse pubblico oppure ancora dall’incongruità dell’offerta o dell’eccessiva onerosità del prezzo. Il codice dei contratti pubblici, in tema di approvazione dei contratti già stipulati, all’art 12, stabilisce che una volta decorso il termine previsto dei singoli ordinamenti o quello di 30 giorni il contratto si intende approvato. Successivamente alla conclusione e al perfezionamento degli eventuali procedimenti di approvazione e di controllo, il contratto è efficace e viene eseguito dai contraenti nel rispetto delle norme civilistiche, fatte salve alcune prescrizioni relative ai poteri di assistenza vigilanza direzione dell’amministrazione. Concessioni e appalti nei settori speciali Il codice dei contratti pubblici disciplina anche la concessione e gli appalti anche nei settori cosiddetti speciali. La concessione, utilizzabile soltanto quando abbia ad oggetto oltre all’esecuzione anche la gestione delle opere, è affidata mediante procedura aperta o ristretta con il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa. La durata della concessione può essere superiore a trent’anni quando è necessario assicurare il perseguimento dell’equilibrio economico finanziario degli investimenti. Per lungo tempo la normativa comunitaria ha escluso dal proprio ambito di aprica ione gli appalti relativi ai settori del gas, dell’energia termica, dell’acqua, dell’elettricità, dei trasporti, dei servizi postali e dello sfruttamento di arie geografiche di rilevanza comunitaria: c.d. settori esclusi. In relazione a questi settori la parte III del codice individua il proprio ambito soggettivo di applicazione anche con riferimento alle imprese pubbliche e a peculiari soggetti privati che operano nei settori indicati. Interessi leggittimi, vizi del procedimento amministrativo e riflessi sulla validità del contratto Gli atti compiuti dall’amministrazione in vista della conclusione del contratto sono sempre finalizzati al perseguimento di interessi pubblici. Un atto del procedimento ad evidenza pubblica può incidere direttamente sulle situazioni giuridiche degli amministrati, sicché da questo punto di vista la questione deve essere imposta e risolta alla stessa stregua dell’agire provvedimentale. La delibera a concludere un contratto a trattativa privata, che pregiudica l’interesse protetto dall’imprenditore il quale aspira a partecipare alla gara, e l’aggiudicazione o l’approvazione del contratto, possono quindi essere lesivi di interessi legittimi e di conseguenza venire autonomamente impugnati. A seguito dell’annullamento dei relativi atti amministrativi e dei loro effetti si producono conseguenze che si riverberano sulla validità del contratto. Secondo la giurisprudenza più tradizionale l’annullamento incide sulla sua validità in quanto priva l’amministrazione della legittimazione della capacità stessa contrattare determinando l’annullabilità del contratto. Quest’annullamento può però essere pronunciato solo su richiesta dell’amministrazione. Altra tesi è quella secondo cui il contratto che viene stipulato seguito di un’aggiudicazione leggittima sarebbe nullo per violazione di norme imperative, mentre la prevalente giurisprudenza utilizza la figura della caducazione automatica che non richiede alcuna pronuncia giurisdizionale ulteriore. Vi è poi la posizione giurisprudenziale secondo cui il contratto risulterebbe affetto da inefficacia sopravvenuta relativa, il contratto non perderebbe efficacia in modo automatico richiedendosi un’ulteriore azione da parte del contraente pretermesso. Il Consiglio di Stato ha sposato la tesi della nullità, osservando come l’aggiudicazione abbia la duplice natura di atto amministrativo conclusivo della procedura di evidenza pubblica e di accettazione della proposta, con la conseguenza che la sua demolizione priva il contratto dell’elemento essenziale dell’accordo. Gestione d’affari, arricchimento senza causa e pagamento di indebito. La gestione d’affari è disciplinata dagli articoli 2028-2032 del codice civile, ove è previsto l’obbligo incappò chi, senza esservi obbligato assume la gestione di un affare altrui, di continuare la gestione stessa e di concluderla a termine finché l’interessato non si grado di provvedere da sé. L’istituto può applicarsi all’amministrazione nell’ipotesi in cui un terzo gestisca affari di spettanza del soggetto pubblico purché non si tratti di esercizio di pubbliche potestà. L’arricchimento senza giusta causa è un vantaggio che può essere rappresentato dall’incremento del patrimonio, da un risparmio di spesa, dalla mancata perdita di beni. Tale soggetto o essere anche l’amministrazione. Il pagamento di indebito trova applicazione nell’ipotesi in cui l’amministrazione abbia disposto a favore dei propri dipendenti il pagamento di somme in eccedenza rispetto a quelle che avrebbe dovuto versare. La responsabilità civile della PA e dei suoi agenti se invece ha agito per delega è responsabile. Quanto all’elemento psicologico ora è richiesta almeno la colpa grave. Con la legge 20/ 1994 rubricata disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della corte dei conti viene introdotta una disciplina della responsabilità amministrativa uniforme per tutti i soggetti sottoposti alla giurisdizione della corte dei conti, le novità introdotte sono: 1. Il carattere personale della responsabilità e la trasmissibilità del debito agli eredi, 2. La responsabilità imputata esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole nel caso di deliberazioni di organi collegiali, 3. Le limitazioni della responsabilità ai fatti o alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, 4. La condanna ciascuno per la parte che vi ha preso, valutate le singole responsabilità, da parte della corte dei conti, se il fatto dannoso è causato da più persone 5. La circostanza che la corte dei conti giudica sulla responsabilità amministrativa degli amministratori e dei dipendenti pubblici anche quando il danno sia stato cagionato ad amministrazione ed enti diversi da quelli di appartenenza, 6. La prescrizione del diritto al risarcimento del danno, in ogni caso, in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero in caso di occultamento doloso del danno dalla data della sua scoperta. Una particolare specie di responsabilità amministrativa è la responsabilità contabile, e riguarda solo gli agenti che maneggiano denaro i valori pubblici che sono tenuti al rendiconto. I conti i conti degli agenti contabili, al compimento del procedimento di rendiconto, devono essere presentati alla corte dei conti. Il giudizio di conto si sta ora necessariamente con la presentazione del conto giudiziale, indipendentemente dall’esistenza di una controversia. Obbligazioni e servizi pubblici La costituzione, pur non occupandosi espressamente dei servizi pubblici, ha dato ulteriore impulso a questo processo, garantendo diritti in capo ai cittadini ed impegnando, con una serie di norme molto importanti, lo Stato legislatore ed i soggetti istituzionali a svolgere attività pubbliche al fine di assicurare loro l’eguaglianza sostanziale. L’intervento pubblico diviene così, oltre che doveroso, essenziale in settori determinanti della vita consociata. Il servizio pubblico è la complessa relazione che si instaura tra soggetto pubblico che organizza un’offerta pubblica di prestazioni rendendola doverosa e gli utenti. Tale relazione ha dunque ad oggetto le prestazioni di cui l’amministrazione, predefinendone i caratteri attraverso l’individuazione del programma di servizio, garantisce, direttamente indirettamente l’erogazione al fine di soddisfare in modo continuativo i bisogni della collettività di riferimento. Alla fase dell’assunzione del servizio segue quella della sua erogazione e, cioè, la concreta attività volta a fornire prestazioni ai cittadini. L’ordinamento prevede forme tipizzata di gestione contemplando spesso anche l’intervento di soggetti privati. L’erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore nel rispetto della normativa dell’unione europea con conferimento della titolarità del servizio: a) A società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedura d’evidenza pubblica, b) A società di capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato viene scelto attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica, c) A società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitano sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano. La corte costituzionale con la sentenza 272/ 2004 ha salvato le norme del testo unico che garantiscono la concorrenza in ordine ai rapporti relativi al regime delle gare o delle modalità di gestione e conferimento dei servizi. La corte ha però censurato la legge per illeggittima compressione dell’autonomia regionale, nella parte in cui stabilisce, dettagliatamente i vari criteri di base ai quali la gara viene aggiudicata, introducendo prescrizioni integrative della disciplina di settore. Per quanto invece nei servizi pubblici privi di rilevanza economica la sentenza, sottolineando che in questo ambito l’intervento della legge statale non può essere riferito all’esigenza di tutela della libertà della concorrenza, ha individuato un ulteriore illegittima compressione dell’autonomia regionale locale, dichiarando incostituzionale l’intera normativa di cui all’articolo 113-bis t.u. Enti locali. In questi ambiti la disciplina oggi rimessa alle fonti regionali e locali, anche se non pare radicalmente escluso uno spazio d’intervento del legislatore statale fondato sull’articolo 117 co 2 lett m in materia di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni”. Molteplici sono le classificazioni che possono essere operate in relazione ai servizi pubblici. La costituzione dell’esempio parla di servizi pubblici essenziali: l’articolo 43, in particolare, si occupa della riserva operata con legge dello Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti di determinate attività e individua, quale oggetto della riserva stessa, le imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali. Con riferimento agli enti locali la legge si riferisce ai servizi indispensabili e a quelli ritenuti necessari per lo sviluppo della comunità. Essi sono finanziati dalle entrate locali, le quali integrano comunque la contribuzione erariale per l’erogazione dei servizi indispensabili. Servizi pubblici e tutela delle situazioni soggettive Mediante l’assunzione alla programmazione del servizio pubblico l’amministrazione assume il dovere di garantire il servizio. Spesso la determinazione degli utenti rimessa la scelta dell’amministrazione, in altri casi invece l’ordinamento già prefigura i soggetti ai quali dovrà essere attribuito il diritto di credito alla prestazione. Le prestazioni possono essere rese indistintamente tutti gli interessati, ovvero ai singoli utenti che ne facciano richiesta. L’erogazione dei servizi, in questo secondo caso, presuppone l’instaurazione di contratti di utenza pubblica (alta), i quali sono configurati sul modello del contratto per adesione. Ampliamento delle obbligazioni pubbliche e responsabilità patrimoniale dell’amministrazione Le più importanti deroghe alle regole civilistiche, che caratterizzano la disciplina delle obbligazioni pubbliche aventi ad oggetto somme di denaro, riguardano il luogo e il tempo dell’adempimento. Dal punto di vista del luogo dell’adempimento la giurisprudenza e la dottrina sono divise: seguendo un’opinione i pagamenti devono essere eseguiti secondo le regole civilistiche, mentre altra e prevalente tesi ritiene che luogo dell’adempimento sia costituito dalla sede degli uffici di tesoreria. I pagamenti devono avvenire nel tempo stabilito dalle leggi, dai regolamenti e dagli atti amministrativi generali. La direttiva 35 del 2000 della comunità europea in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali applicabili alle transazioni effettuate con soggetti pubblici stabilisce l’automatica decorrenza degli interessi moratori dal giorno successivo alla data di scadenza, gli interessi decorrono trascorsi 30 giorni dal ricevimento della fattura da parte del debitore. Una regola peculiare applicabile all’amministrazione è quella relativa alla possibilità riconosciuta a favore dello Stato, e non del privato, di operare compensazioni tra propri crediti e debiti: in virtù del principio dell’integrità del bilancio, il privato non può infatti operare una compensazione di un proprio debito con un credito vantato nei confronti dello Stato. Inoltre il creditore privato non può rifiutare un adempimento parziale della pubblica amministrazione, il che può avvenire quando in bilancio non sia stanziata una somma sufficiente a pagare l’intero debito. Un istituto peculiare del diritto pubblico inoltre è costituito dal fermo amministrativo (articolo 69 legge di contabilità dello Stato): l’amministrazione creditrice verso un creditore di altra amministrazione chiede la sospensione provvisoria dei pagamenti dovuti dall’amministrazione debitrice, senza la necessità di utilizzare lo strumento del pignoramento o del sequestro.
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