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Appunti diritto amministrativo 1 - Prof.ssa Roberta Lombardi, Appunti di Diritto Amministrativo

Trascrizione appunti di diritto amministrativo 1, corso tenuto dalla Prof.ssa Roberta Lombardi presso l'università di giurisprudenza di Alessandria, anno acc. 2014/2015. Possibili errori di battitura.

Tipologia: Appunti

2014/2015

In vendita dal 30/06/2015

pierangelo_bordino
pierangelo_bordino 🇮🇹

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Scarica Appunti diritto amministrativo 1 - Prof.ssa Roberta Lombardi e più Appunti in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! 1 Diritto Amministrativo 1 Prof.ssa Roberta Lombardi Vediamo gli argomenti che andiamo ad analizzare nel corso. L’oggetto del corso tratta dell’amministrazione e del suo diritto. A differenza degli ordinamenti anglosassoni (common law) negli stati a regime amministrativo come il nostro (civil law) o quello francese, l’amministrazione ha delle regole particolari e non solo ha un diritto tipico a cui si riferisce (appunto il diritto amministrativo), ma ha anche un suo giudice che in qualche modo ha una conno- tazione di specializzazione che è in grado di giudicare i suoi atti. Dunque siamo in uno stato di diritto perché la pubblica amministrazione è sottoposta alla legge, ma siamo in uno stato di diritto a regime amministrativo perché l’amministrazione è sottoposta alla verifica di un giudice particolare, il giudice amministrativo che nel nostro ordimento ha due gradi di giurisdizione; primo grado che va a collocarsi a livello regione: i T.A.R. (tri- bunali amministrativi regionali); il secondo grado, giudizio di appello: Consiglio di Stato, questo ha una con- notazione particolare che pone dei problemi sull’indipendenza del giudice amministrativo in quanto nelle prime tre sezioni è un organo consultivo della pubblica amministrazione, mentre per le altre tre sezione è un organo giurisdizionale dunque giudica i suoi atti [questo ci fa capire come forse l’indipendenza del giudice av- venga certamente per il T.A.R. mentre per il consiglio di stato forse c’è qualche problema siccome la prima parte della sua composizione è un organo di consulenza del governo]. In particolare esamineremo 2 profili dell’amministrazione: l’attività amministrativa: perché come vedremo la pubblica amministrazione agisce per atti che sono particolari, che non sono gli atti del diritto civile, ma che sono i cosiddetti provvedimenti. La p.a. agisce normalmente per provvedimenti amministrativi che hanno del- le connotazioni specifiche, prima tra le quali quella di perseguire l’interesse pubblico, quindi sono provvedi- menti in quanto finalizzati alla realizzazione di un interesse pubblico. L’amministrazione ha una missione: rea- lizzare i fini pubblici, fini che non si dà la stessa amministrazione, ma che per il principio di legalità sono fissa- ti dalla legge. Nel perseguimento dei fini pubblici questi provvedimenti devono contemperarsi con gli interessi dei privati, anzi spesso il provvedimento legislativo è stimolato da una richiesta del privato in quanto la p.a. deve accertarsi che l’interesse privato non vada a confliggere con interessi pubblici o di altri privati. Ciò signi- fica che l’attività che è soggetta a provvedimento amministrativo è un’attività che in qualche modo ha a che fare con un interesse pubblico, questa è la connotazione principale del provvedimento amministrativo che fa si poi che il provvedimento abbia tutta una serie di caratteristiche, la più evidente quella per cui un provvedi- mento amministrativo, anche se non è legittimo è comunque efficace, cioè il legislatore ha stabilito che per la preminenza dell’interesse pubblico, per la sua realizzazione, questo provvedimento legislativo continui ad esplicare fatti ed efficacia, quindi vuol dire che un provvedimento illegittimo è comunque efficace, ma è data la possibilità di rimuoverlo dall’ordinamento attraverso l’azione di un soggetto che da quel provvedimento subisca un danno ingiusto. Questo perché c’è in qualche modo una superiorità del provvedimento ammini- strativo rispetto a quelli che sono li atti dei privati per la sua funzionalizzazione. Di questa attività noi vedremo i principi che guidano l’azione della pubblica amministrazione (principio di le- galità, p. di imparzialità, buon andamento, proporzionalità dell’azione amministrativa), vedremo cosa vuol dire essere sottoposta per l’amministrazione a questi principi, quali sono le conseguenze. Le situazioni giuridiche soggettive: nel nostro ordinamento non sono molte. Innanzitutto per situazione giu- ridica soggettiva si intende una situazione che è presa in considerazione dall’ordimento, vuol dire che è tutela- ta, vuol dire che la sua lesione può essere fatta valere davanti ad un giudice, per soggettiva si intende persona- le. Nel nostro ordimento la tutela è una tutela di parti, il processo è un processo di parti, io posso chiedere tu- tela per una mia situazione personale, e la prima condizione che devo dimostrare al giudice (la legittimazione a ricorrere) è quella di dire è stata lesa una posizione giuridica tutelata dall’ordinamento, sono state violate quel- le norme che proteggevano quella posizione. Seconda condizione quel danno che è stato compiuto si è river- berato sulla mia sfera personale, perché nel nostro ordinamento non esiste una giurisdizione di tipo oggettivo come in altri ordinamenti (es. Francia), cioè il buon andamento dell’amministrazione non possono essere fatte valere per la loro inefficienza senza che sia dimostrato un danno alla propria sfera soggettiva, questo significa tutela di situazioni giuridiche soggettive. La situazione giuridica soggettiva per eccellenza è il diritto di proprietà, questa però non è tanto la situazione che interessa quando ci sia un’azione della p.a., perché quando c’è un’azione essenzialmente autoritativa della p.a., cioè quando la pubblica amministrazione agisce per provvedimenti amministrativi la situazione che il cit- tadino fronteggia, non è quella del diritto soggettivo, ma sempre per la prevalenza dell’interesse pubblico que- 2 sta situazione degrada ad interesse legittimo, quindi la seconda situazione giuridica soggettiva che il nostro or- dimento prende in considerazione è quella relativa all’interesse legittimo: la posizione che riguarda il provve- dimento amministrativo, l’esempio eclatante e facile è quello dell’espropriazione. L’art. 24 della costituzione permette a tutti di agire in giudizio per la difesa dei propri diritti ed interessi legittimi. Quindi abbiamo detto che ci interessa particolarmente l’interesse legittimo, gli interessi diffusi li tratteremo perché la problematica è molto attuale per via delle connotazioni che ha la società e anche del diritto soggettivo perché la p.a. ha anche una capacità di diritto privato, quindi nulla toglie che a certe condizioni la pubblica amministrazione possa agire iure privatorum, con le regole dei privati, seguendo le regole del diritto civile e quando agisce così non è più un soggetto che persegue un interesse pubblico e dunque da una prospettiva sovraordinata, ma si pone in modo pari ordinato, perciò non ha poteri autoritativi, ma agisce con le forme contrattuali e con la caratteristi- ca della sinallagmatica (sinallagma): le due parti sono sullo stesso piano, non ci sono posizioni di privilegio. Il giudice per eccellenza del diritto soggettivo è il giudice ordinario, non il giudice amministrativo, tuttavia ci so- no dei casi stabiliti per legge, tassativi, in cui pure se coinvolti diritti soggettivi, la legge stabilisce che il giudice non è quello ordinario, ma quello amministrativo che decide in sede di giurisdizione esclusiva, dunque il giu- dice amministrativo è giudice sia dei diritti che degli interessi legittimi, ciò quando la materia o il blocco della materia venga tassativamente individuato dal legislatore come soggetto alla giurisdizione esclusiva. Poi ci occuperemo del processo amministrativo. È successo che il legislatore per tutelare queste situazioni di interessi legittimi dei cittadini ha deciso di procedimentalizzare l’azione dell’amministrazione che porta all’emanazione del provvedimento. Il legislatore ha stabilito in una legge molto importante, adottata in Italia nel 1990, detta legge sul Processo amministrativo, la numero 241. Questa legge regolamenta tutta l’azione che porta al contenuto di un provvedimento finale. La legge scandisce dei passaggi obbligatori, delle fasi necessa- rie che la pubblica amministrazione deve percorrere e per cui deve dare conto per arrivare al provvedimento finale. Quindi ogni tipo di provvedimento ha un suo percorso preciso fatto di momenti necessari e facoltativi che la pubblica amministrazione ha l’obbligo di percorrere e rispettare per addivenire all’emanazione del provvedimento finale. Questa legge 241 è una legge generale in quanto detta dei principi che valgono per tutti i tipi di procedimento, salvo il caso poi che la legge non specifichi per ogni procedimento nozioni più precisi, allora diciamo che la legge sul processo amministrativo si pone come una legge minima di garanzia, cioè detta una griglia di regole-principi che l’amministrazione ha l’obbligo di rispettare in tutti i procedimenti ammini- strativi, le leggi specifiche sui procedimenti amministrativi potranno poi decidere di prevedere garanzie ulte- riori rispetto a quelle previste, ma non potranno abbassare i livelli di tutela contenuti in questa legge generale. Poi ci occuperemo dell’altro profilo, finora abbiamo trattato del profilo funzionale. L’altro profilo è quello strutturale. La p.a. non è solo azione-provvedimento, è anche apparato, burocrazia perché si compone di strutture, nelle quali ci sono i dipendenti pubblici, i dirigenti, i politici,… che muovono tutta la macchina am- ministrativa. Dunque dovremo distinguere all’interno delle amministrazioni quali sono gli organi politici e quelli amministrativi. Poi vedremo come di fatto si compone oggi la pubblica amministrazione. Dopo l’unità d’Italia la configura- zione dell’amministrazione era semplice: c’era solo enti pubblici (Stato-provincie-comuni). Col tempo gli enti pubblici sono moltiplicati, abbiamo avuto enti pubblici economi ciò ha fatto moltiplicare gli enti che si dove- vano occupare degli interessi pubblici aumentano a sua volta la spesa pubblica. --- --- --- Dobbiamo partire per comprendere l'essenza del diritto amministrativo da alcune nozioni che sono importan- ti per capire quello che è la disciplina del diritto amministrativo, le sue strutture, le sue relazioni rispetto agli altri poteri. Necessaria è allora una premessa relativa allo stato di diritto. Con riferimento al diritto amministrativo lo stato di diritto è uno dei principi di fondamento dell'unione europea e questo lo ricaviamo essenzialmente dal preambolo della carta di Nizza che è stata adottata nel 2001 ed in particolare all'articolo due si specifica che i popoli europei nel creare tra loro un'unione sempre più stretta hanno deciso di condividere un futuro di pace che è fondato su valori comuni. Nel secondo comma dell'articolo due vengono specificati questi valori comu- ni ed in particolare si precisa che consapevole del suo patrimonio spirituale e morale l'unione si fonda su quel- li che ritiene dei valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà di uguaglianza e di solidarietà e poi si precisa a chiare lettere che l'unione si basa sui principi di democrazia e dello Stato di diritto. Dunque un espresso chiaro riferimento in un documento così recente. Proviamo a definire meglio che cosa si intende per Stato di diritto e quali sono gli elementi strutturali dello Stato di diritto. La grossa affermazione dello Stato di diritto avviene dopo il periodo dell'assolutismo monar- chico quando si ha un trasferimento della titolarità della sovranità, quindi un trasferimento dalla sovranità, da 5 fine gli vengono attribuiti poteri provvedimentali, autoritativi, imperativi. Poi lo Stato cerca di valorizzare enti che erano presenti già sul suo territorio per esempio i comuni, le province assegnando loro dei compiti di amministrazione che prima erano detenuti a livello centrale anche a queste amministrazioni autonome, anche a questi enti territoriali, accresce quindi il bagaglio di funzioni di queste amministrazioni autonome oltre a creare altri enti autonomi come le regioni negli anni 70 a cui lo Stato addirittura attribuisce compiti legislativi. In parallelo avviene un altro fenomeno sociale importante che è dato dal fatto che accade negli anni 30 in se- guito alla crisi finanziaria delle 29, gli ordinamenti scossi da questa crisi finanziaria rilevantissima che porta il fallimento di moltissime aziende e quindi una fortissima crisi economica di tutte le imprese, cioè l'economia è in ginocchio; allora lo stato si accorge che ci sono dei settori rilevanti a cui tiene in modo particolare che non possono essere lasciati in questo stato di depressione, di crisi; pertanto lo stato si fa esso stesso imprenditore per cercare di risollevare l'economia. Quindi abbiamo uno stato di interventista che interviene anche nell'eco- nomia facendosi esso stesso imprenditore attraverso delle aziende pubbliche che gestiscono direttamente set- tori rilevanti come quello energetico o quello dei trasporti in generale quello dei servizi che devono in qualche modo essere assicurati dei cittadini. Perciò lo stato interviene nelle attività economiche-sociali da un lato fa- cendosi imprenditore dall'altro lato aiutando le imprese private attraverso l'erogazione di ausili, di contributi finanziari, ovviamente lo Stato dà il contributo e controlla che l'azienda lo spenda secondo le indicazioni date; è l'inizio dei primi famosi aiuti di Stato. Quindi uno Stato imprenditore che da un lato è finanziatore e dall'al- tro è uno stato anche pianificatori, cioè decide di nazionalizzare, di avocare a sé settori economici strategici diventando esso stesso imprese economica. Tutto ciò porta ad una crescita esponenziale della spesa pubblica che genera a partire dagli anni 70-80 una crisi finanziaria dello Stato che a fronte della moltiplicazione di que- sti enti e a fronte del suo impegno forte nell'ambito dell'attività economica subisce una crisi profonda, soprat- tutto le imprese pubbliche vengono gestite in modo non efficiente ciò perché l'impresa pubblica che a diffe- renza del privato ha sempre la finalizzazione all'interesse pubblico, spesso si fa carico di compiti che sono ex- tra aziendali, cioè mentre l'impresa privata tendenzialmente si occupa del profitto, si occupa di raggiungere le plusvalenze del guadagno, l'impresa pubblica non ha e non può avere solo questo obiettivo in quanto pubbli- ca si fa carico di altri compiti come ad esempio salvaguardare il livello di occupazione, quello di avviare delle politiche di sviluppo in aree economicamente depresse che porta ovviamente a delle spendite di patrimonio ulteriore. Tutte queste politiche che l'impresa pubblica in qualche modo si dà, ma che esulano dall'idea del profitto tipica dell'imprenditore portano a un grossissimo dispendio della finanza pubblica che ha come con- seguenza una crisi che porta soprattutto a partire dagli anni 90 a una ripresa di quelle ideologie keynesiane e dell'ottocento, cioè a delle ideologie antistataliste, al neoliberismo, all'ideologia del maccartismo, cioè a quelle ideologie che criticano, ma a ragion veduta visti i livelli di spesa pubblica che mettono in crisi le fondamenta dello Stato interventista. Questo fa sì che ci sia una riduzione del campo di azione dei poteri pubblici, lo Stato si rende conto che non può più permettersi di mantenere così tanti enti pubblici, così tante imprese pubbliche che sono sempre in perdita e allora si ritira dal mercato, sopprimere molti monopoli legali pubblici storici come il settore delle telecomunicazioni, dell'energia elettrica,… Che vengono privatizzati e talvolta liberalizza- ti siccome si rende conto di non poter più sostenere questo livello di spesa. La privatizzazione fa si che un en- te pubblico cambi la sua veste giuridica e si trasforma in una società privata, questa è la privatizzazione cosid- detta fredda che si limita alla trasformazione dell'ente pubblico ad una SPA, ma cambiare la veste giuridica non significa non significa liberalizzare il settore, cioè privatizzare sostanzialmente quel settore se l'unico azionista della S.p.A. resta lo stato. Si ha un vero processo di privatizzazione, detta calda, o liberalizzazione quando si decide di mettere sul mercato ad esempio le azioni di una società prendendole in tal modo accessi- bili anche ai privati. La liberalizzazione si è fatta grazie alla spinta e dei diktat che ci arrivavano dall'Europa, ciò perché l'Europa voleva favorire l'apertura dei mercati alla concorrenza transfrontaliera e pertanto non po- teva permettere che certi settori strategici anche dal punto di vista economico fossero detenuti dal potere del- lo Stato, si dobbiamo aprire alla concorrenza anche degli stranieri bisogna prima di tutto liberalizzare i settori. Inoltre la commissione europea non vede di buon occhio gli aiuti di Stato e pertanto applica i divieti a quegli aiuti o ausili finanziari che lo Stato decide di dare e che sono connotati come aiuti di Stato, perché questi aiuti dal punto di vista dell'unione europea falsano la concorrenza, è chiaro che se un'impresa riceve aiuti di Stato non è più in condizioni di parità con gli altri operatori economici che di quegli aiuti non possono godere so- prattutto se si tratta di operatori stranieri. Quindi lo Stato imprenditore ha una fase recessiva nelle sue com- ponenti di governo sia come Stato finanziatore sia come Stato imprenditore. Perciò dallo Stato imprenditore si passa allo Stato regolatore, quella che può essere considerata forse la fisionomia attuale del nostro Stato di diritto, lo Stato non interviene più direttamente nella gestione di determinati settori, ma si limita a dettare una cornice di regole cui i vari operatori economici devono sottostare e a garantire il controllo di queste regole 6 vengano rispettate, ma soprattutto che le attività degli operatori economici privati, che agiscono in un regime di libera concorrenza, non vadano a ledere gli interessi pubblici, mentre l'organismo tipo dello Stato imprendi- tore era l'ente pubblico economico, l'organismo pubblico tipico dello Stato regolatore è l'amministrazione in- dipendente, l'autorità garante in primis l'autorità garante della concorrenza e del mercato. Con l'individuazione di queste autorità garanti del anche indipendenti cambia la fisionomia pubblica. Queste autorità dovrebbero essere pendenti rispetto al governo, rispetto al potere esecutivo, sono soggetti pubblici, ma a differenza degli enti lirici che sono ovviamente controllati governati dal potere esecutivo, l'autorità garanti connotano e fanno valere la loro azione per l'autorevolezza e la preparazione tecnica delle persone che si incaricano in questo au- torità, hanno o dovrebbero avere un rapporto di dipendenza rispetto al governo, perché devono controllare dall'alto in modo super partes ciò che avviene nel mercato, devono farsi garanti del rispetto dei principi della libera concorrenza ma avendo sempre un occhio di riguardo agli interessi pubblici che sono sottesi nei vari settori e che non possono essere compromessi. Per cercare di vedere e di trasformare questo quadro storico e sociale, in un quadro giuridico amministrativo analizziamo cosa succede nei vari Stati di diritto. Nello Stato di diritto liberale di diritto guardiano della notte l'amministrazione adempie compiti minimi ed essenziali e gli apparati sono ridotti al minimo, è quello Stato che succede ai vari stati preunitari, quindi allo stato ottocentesco che esce dal disegno cavouriano, e che ha un problema: con l'unificazione dell'unità d'Italia c'è il problema di unificare i vari sistemi amministrativi che vi- gevano ima dell'unità nazionale, Cavour decide di piemontesizzare gli apparati, il sistema amministrativo, cioè di conferire all'amministrazione dell'Italia unita quella configurazione che aveva l'amministrazione dello stato sabaudo, dunque si parla di Piemontesizzazione con riferimento a questo fenomeno unificazione amministra- tiva che viene compiuta nel 1861. Prevale sistema piemontese non solo perché Cavour era piemontese, ma anche per ragioni oggettive: innanzitutto lo Stato sabaudo era uno stato costituzionale e pertanto c'erano già le regole e regolamentavano i rapporti tra i vari poteri dello Stato, poi c'era stata una riforma dell'amministra- zione centrale che di fatto viene copiata basata sul principio dell'unità organizzativa: cioè la fisionomia dell'amministrazione pubblica presente nello stato sabaudo e successivamente estesa allo Stato italiano, si ca- ratterizzava per una struttura piramidale, verticistica ed era caratterizzata dai seguenti presupposti: semplice, uniforme, centrata e gerarchica, l'unico potere era quello statale che si accentrava in capo al governo e ai mini- steri; quindi avevamo un'unica piramide: potere pubblico, centrale, statale, accentrato e caratterizzato dai livel- li gerarchici (ministro, dirigenti,…) ove chi si trova al vertice dà ordini ai sottoposti che li eseguono. Qualificazione pubblica. Perché ho detto che l'unica qualificazione pubblica era quello statale? Perché anche quegli altri enti territoriali che pure esistevano: i comuni e le province, non perseguivano fini propri, ma per- seguivano fini statali; quindi erano in qualche modo soggetti al controllo diretto dello Stato. Perciò lo Stato perseguire i suoi fini direttamente attraverso le amministrazioni centrali incardinate nei vari ministri e perse- guivano i suoi fini che non erano quelli delle località territoriali, ma i suoi attraverso gli enti territoriali che già sussistevano e lo stato stesso ha riconosciuto. C'è pertanto una qualificazione di potere pubblico che si incar- dinate unicamente nel potere statale che ha quindi una amministrazione diretta e una amministrazione in di- retta, cioè che persegue indirettamente attraverso gli enti territoriali oppure gli unici enti pubblici che all'epoca erano gli enti pubblici a base associativa. Nel 1900 abbiamo detto che dallo Stato monoclasse si passa allo stato pluriclasse, ne consegue una moltipli- cazione di compiti e pertanto una moltiplicazione di enti, ciò significa che uno sviluppo delle autonomie loca- li-territoriali soprattutto che affermano la loro autonomia in quanto sono in grado di esprimere dei poteri fi- nalizzati alla realizzazione di interessi propri. L'ente autonomo può darsi dei fini politici che sono propri e che possono anche essere non in linea con quelli statali, ovviamente momenti autonomi hanno delle limitazioni, ma come si vede nella realtà, le rappresentanze politiche dei vari enti territoriali possono essere rappresentate da compagini politiche di colore politico rispetto a quelle governative il che significa che quella compagine politica decide di darsi fini politici nei limiti individuati dalla corte costituzionale differenti da quelli governati- vi, ciò significa perseguimento di fini pubblici ma propri. In quest'ultimo grazie anche alla riforma del titolo quinto della costituzione, si arriva alla creazione di enti equiordinati secondo il modello tracciato dall'articolo 114. Quindi c'è un passaggio da un sistema in cui il pubblico che prima si identificava con statale ad uno in cui lo Stato, conserva sempre una posizione dominante, ma le strutture amministrative dei vari enti territoriali non sono più considerate amministrazioni indirette, ma sono amministrazioni che perseguono fini propri. --- --- --- Ci rimaneva da introdurre un concetto importante che serve per capire i meccanismi e i principi del diritto amministrativo. Abbiamo visto che nell'ambito dell'ordinamento sovrano esiste un ordinamento specifico e settoriale che è quello della pubblica amministrazione. Dobbiamo chiederci in che rapporto sta l'ordinamento 7 dell'amministrazione rispetto a quello statale, possiamo subito anticipare che il rapporto tra l'ordinamento so- vrano, generale, statale e quello dell'amministrazione è un rapporto di autonomia; però dobbiamo cercare di comprendere meglio questo concetto per andare ad individuare quali sono i limiti che questo ordinamento amministrativo incontra nella sua azione. Diciamo che questo rapporto ordinamento statale e ordinamento infrastatale può essere ben schematizzato all'interno di una teoria che è stata elaborata da Santi Romano nel libro "L'ordinamento giuridico". Gli studi di Santi Romano si collocano alla fine dell'ottocento e inizio novecento e Santi Romano elabora quella che viene definita la cosiddetta teoria istituzionalistica o istituzionale. Le tesi del Romano servono all'autore so- prattutto per porsi in contrapposizione con le teorie normative di Kelsen. Santi Romano in quest'opera pren- de una posizione contrapposta alla teoria normativistica di Kelsen secondo la quale gli ordinamenti giuridici si completano e si costituiscono nelle fonti normative: secondo la teoria normativa elaborata da Kelsen l'ordi- namento giuridico si compone essenzialmente di norme, un ordinamento è giuridico quando è dato da un complesso di norme; Kelsen in pratica esaurisce la giuridicità dell'ordinamento nell'elemento normativo. Santi Romano contrasta questa posizione perché si rende conto che è gravata da un difetto che è difficilmente superabile, perché se è vero che gli ordinamenti si reggono su delle norme e se è vero che sono regolati dalla costituzione principalmente o comunque dal loro atto fondamentale e poi dalle norme ad esso sottoposte, Santi Romano evidenzia come la giuridicità dell'ordinamento non possa risolversi totalmente nell'elemento normativo perché affinché ci sia una norma, anche la costituzione possiamo immaginare come una norma su- prema, atto fondamentale che si colloca al vertice dell'ordinamento; perché chi sia questa norma occorre che comunque a monte siano fissate delle regole che stabiliscono per esempio quale sia l'organo competente a elaborare la costituzione, quali siano i procedimenti per pervenire all'individuazione delle norme, con quali maggioranze si adottano,… Quindi il problema è che se noi pensiamo alla giuridicità di un ordinamento come a quello di elementi esclusivamente normativi il dato sembra insufficiente perché non riusciamo a risalire ad un elemento che non presupponga una regola, per quanto una fonte sia suprema ha la necessità comunque che a monte ci siano ancora delle regole chi pone quella regola e in quali modi, con quali procedimenti, quindi non se ne esce da questa sorta di dicotomia. Per questo Santi Romano arriva ad elaborare la teoria istituziona- listica nella quale dice che la giuridicità dell'ordinamento statale sovrano è data principalmente dalla sua effet- tività, ciò significa che è data dalla sua capacità di porre delle regole in un dato momento storico, su un de- terminato territorio, dalla sua capacità di elaborare, di porre di fare rispettare le regole. Quindi non si esaurisce solo nell'elaborazione di una norma, ma nella capacità dell'ordinamento di imporre la norma come effettiva, come giuridica, come doverosa di rispetto, come obbligo di doveri o creatrice di diritti, è l'effettività dell'ordi- namento, questa sua capacità di porre delle regole giuridiche che devono essere percepite come tali, cioè come doverose, dalla popolazione di riferimento, dai cittadini. Questo concetto è importante perché in questo mo- do noi possiamo ritenere un ordinamento giuridico, ma la parte che più ci interessa è il ragionamento succes- sivo perché qui Santi Romano sostiene che non ci sia solo un ordinamento giuridico, quello statale e sovrano per eccellenza, ma all'interno di questo ordinamento statale esistano degli ordinamenti che noi possiamo defi- nire infrastatuali che sono in rapporto con il primo di autonomia. Che cosa significa questo? Vuol dire che questi ordinamenti autonomi sono innanzitutto ordinamenti derivati. Con derivativi si intende che è l'ordina- mento sovrano statale che o li crea o li riconosce, in questo caso hanno un'origine di derivazione giuridica, lo stato li riconosce se per esempio preesistono come i comuni oppure li costituisce, ne crea di nuovi; ma quello che è importante dire è che mentre la giuridicità dell'ordinamento sovrano va rinvenuta nell'elemento della sua effettività, la giuridicità degli ordinamenti autonomi si acquista per questo processo di derivazione, perché lo stato nel momento in cui li riconosce o li crea conferisce automaticamente giuridicità a quel ordinamento. Precisiamo quali sono le caratteristiche dell'ordinamento autonomo, cosa implica l'autonomia. Allora l'ordi- namento autonomo è un ordinamento a cui lo Stato attribuisce il potere di dettarsi le norme della sua orga- nizzazione, cioè di autodisciplinarsi, per questo ha autonomia, perché lo stato attribuisce il potere di dettarsi le regole del proprio agire. Nel momento in cui lo Stato riconosce questo potere all'ordinamento autonomo au- tomaticamente limita quel potere, attribuisce il potere, ma nell'ambito di determinate regole che lo stato pone, immediatamente le limita. Le limita perché le regole che l'ordinamento autonomo può porre per la sua orga- nizzazione interna non possono mai andare a contrastare con i principi o le regole che sono fissate all'interno dell'ordinamento statale, non potranno mai porsi contrasto con quelle regole. Per scendere più del concreto possiamo dire che nel momento in cui lo Stato riconosce la pubblica ammini- strazione come ordinamento autonomo e la crea, individua delle norme di relazione o anche dette norme at- tributive del potere, sono le norme con le quali lo stato attribuisce il potere alla pubblica amministrazione di dettarsi una sua disciplina, queste sono le norme attributive del potere, attribuisce il potere e lo limita, stabili- 10 costituzione od alla legge sono tra loro con catena in una sequenza in cui i fini più vicini costituiscono dei mezzi rispetto ad altri meno prossimi che a loro volta sono mezzi per il raggiungimento di fini più lontani. Per esempio la cultura costituisce una componente o una condizione essenziale per il pieno sviluppo della perso- na umana secondo quanto stabilisce l'articolo tre comma due della costituzione. L'istruzione è il mezzo per acquisire la cultura, ma per esempio per un giovane che sia capace meritevole e privo di mezzi economici una borsa di studio rappresenta a sua volta un mezzo per accedere ai gradi più alti degli studi. Allora il finanzia- mento delle borse di studio per opera di chi avviene? Avviene ad opera dei poteri pubblici che attingendo ai contributi va a costituire quei mezzi che servono alla realizzazione del fine intermedio, la borsa di studio, che però stavolta è un mezzo per accedere agli studi universitari, i quali a loro volta consentono di conseguire il fine ulteriore della cultura che a sua volta il mezzo per ottenere il pieno sviluppo della persona umana. Quindi un fine che la costituzione pone dei principi fondamentali, quello della cultura, viene realizzato attraverso una concatenizzazione dei figli intermedi che costituiscono il mezzo per arrivare a quello finale. La forma di apertura dell'articolo uno della legge 241 del 1990 è una formula parziale non solo perché non contempla espressamente la costituzione, ma perché la legge nei rapporti con l'attività amministrativa non si limita a stabilire quali sono i fini, le cosiddette norme di relazione non si limitano ad individuare i fini, perché se così fosse l'amministrazione sarebbe libera di adottare quei fini utilizzando qualsiasi mezzo idoneo a rag- giungerli; per esempio se l'unico vincolo riguardasse il fine tutte le leggi di pubblica sicurezza potrebbero per esempio limitarsi a istituire un certo apparato di polizia affinando adesso quel fine relativo al mantenimento dell'ordine pubblico e della sicurezza, ma se la legge specificasse solo questo avremmo come possibile conse- guenza quella che i poliziotti potrebbero per esempio arrestare le persone sospette non in flagranza di reato, potrebbero vietare i giovani di uscire la sera, perché esserlo scopo è quello di tutelare l'ordine pubblico sicco- me non ci sono dei limiti allora vale qualunque mezzo che sia considerato discrezionalmente idoneo,… Per fortuna si tratta di misure che la polizia non può rendere perché da un lato ovviamente la costituzione tutela delle libertà fondamentali, ma non lo può fare anche perché la legge non si limita a stabilire i fini, ma discipli- na anche i mezzi che servono per raggiungere quei fini: disciplina dei poteri che possono essere esercitati dalla pubblica amministrazione per il raggiungimento del sì del legislativo, disciplina al fine e discipline mezzi, le forme, i poteri, i procedimenti attraverso cui arrivare alla realizzazione di quel fine e per esempio è questo in fondo quello che l'articolo uno della legge 241 del 90 vuole specificare quando precisa che l'attività ammini- strativa è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di trasparenza, di pubblicità secondo le modalità previste dalla stessa legge 241 e dalle altre disposizioni che disciplinano i singoli procedimenti. Quindi vuol dire che la legge disciplina innanzitutto i fini, ma disciplina anche i mezzi attraverso cui raggiun- gere questi fini; e disciplinare i mezzi significa in questo caso anche disciplinare le modalità di esercizio del potere: dire che la pubblica amministrazione deve essere retta dal criterio di imparzialità significa che nella scelta tra un candidato e l'altro il criterio che deve guidare colui che rappresenta l'amministrazione in quel momento non può essere un criterio di favore personale perché questo andrebbe a violare il principio di im- parzialità. Tra le tante differenze che esistono fra i poteri privati e i poteri amministrativi ce ne una ulteriore e cioè quel- la per cui poteri privati possono essere esercitati ogni qualvolta il soggetto ritenga di esercitarli e trovi un in- terlocutore. I poteri amministrativi possono essere utilizzati solo in presenza dei presupposti che in qualche modo ne consentono o ne impongono l'esercizio, cioè l'attività amministrativa anche in relazione ai tempi del suo esercizio non è libera, ma anche qui è portata dalla legge perché la legge stabilisce i tempi o al limite di presupposti di fatto in azzeramento dei quali è solo possibile attivare il potere amministrativo, la decisione di espropriare un terreno piò essere presa d'ufficio dalla pubblica amministrazione, ma questo potere potrà esse- re esercitato solo se chi sia il presupposto giuridico che le consente: la decisione di costruire un'opera di pub- blica utilità. I vincoli della pubblica amministrazione sono contenuti in una legge ordinaria; abbiamo detto norma di rela- zione, norma attributiva dello Stato stabiliti in una legge, ma questa garanzia non è sufficiente perché baste- rebbe per esempio che il legislatore approdasse all'articolo uno della legge 241 perché venga meno il principio di legalità e allora occorre una garanzia di livello costituzionale e quindi dobbiamo crederci, ma nella costitu- zione esiste una norma che ci permetta di consacrare blindandolo di garanzie questo principio fondamentale per l'esercizio dei pubblici poteri? Possiamo dire che una norma espressa che riguarda l'attività dell'ammini- strazione in riferimento al principio di legalità non c'è; c’è però questa norma contenuta all'articolo 97 della costituzione che in qualche modo fa un riferimento al principio di legalità perché ci dice: i pubblici uffici sono organizzati secondo le disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Allora, quello che qui ci interessa è la prima parte di questo articolo: i pubblici uffici so- 11 no organizzati secondo disposizioni di legge, qual è il limite che può essere vista in questa norma in riferimen- to al principio di legalità? Che qui si stabilisce l'intervento della legge a livello letterale solo in riferimento all'organizzazione dell'amministrazione e non anche in riferimento all'attività, ma delle interpretazioni costitu- zionalmente orientate della dottrina hanno allargato questa applicazione della norma anche all'attività dell'amministrazione, ciò è questo i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge secondo la maggior parte della dottrina va interpretato in senso lato perché gli si dice che nell'organizzazione ci stanno sia gli elementi strutturali sia gli elementi che si riferiscono alla modalità di esercizio del potere, quindi noi dobbiamo riferire questa prima parte di questo articolo non solo alle strutture organizzative, ma anche all'atti- vità che queste strutture esercitano, quindi la legge non stabilisce solo la creazione dell'ente pubblico, ma que- sta norma stabilisce che l'amministrazione ha il suo punto di riferimento nelle esposizioni di legge sia in rife- rimento alla sua organizzazione, ma anche in riferimento all'attività che queste organizzazioni esercitano, tant'è che nella seconda parte si fa riferimento a due concetti buon andamento ed imparzialità che non posso- no essere riferiti all'attività. --- --- --- Avevamo concentrato l'attenzione sul principio di legalità ed avevamo affermato si trattava di un principio cardine dell'azione amministrativa, il che significa che l'azione amministrativa è soggetto alla legge in relazio- ne: I. alla determinazione degli obiettivi che la pubblica amministrazione deve perseguire e che comunque non si può dare, perché questi obiettivi sono fissati nella legge ed è il motivo per il quale la legge crea gli enti pubbli- ci; II. abbiamo visto anche che questi limiti legali si estendono ai mezzi attraverso cui questi fini devono essere perseguiti, spesso la legge stabilisce le modalità di esercizio del potere che non è ovviamente libera, cioè il fine non deve essere, come diceva Machiavelli, la causa per giustificare i mezzi, ma in uno stato di diritto quale il nostro la legge deve perseguire anche quali siano le concrete modalità attraverso cui arrivare al perseguimento degli obiettivi salvo poi lasciare lo spazio all'amministrazione di completare con gli spazi attraverso la sua di- screzionalità che sono lasciati liberi dalle norme di livello legislativo, questo sempre per il principio di auto- nomia dell'ordinamento amministrativo come capacità di dettarsi delle regole del proprio agire che però de- vono rispettare i limiti fissati dalla legge; III. infine l'ultimo elemento che va a determinare il principio di legalità sono i tempi, perché mentre l'azione dei privati è libera e subordinata solo al fatto che si trovi un interlocutore a cui interessa contrattare giuridicamen- te, per la pubblica amministrazione l'attività non è libera dal punto di vista dell'inizio della sua azione, ma è sottoposta a dei presupposti giuridici che costituiscono il momento per far scaturire quel potere amministrati- vo, questi presupposti giuridici sono fissati in una legge, possono essere riconducibili ad un fatto, ad un pre- supposto che la legge individua. È assolutamente indispensabile che questi principi trovino un riferimento al livello costituzionale perché se li- vello fosse fissato solo in una legge ordinaria il legislatore avrebbe la possibilità di cambiarlo; allora lo stato di diritto implica che il principio di legalità abbia una tutela rafforzata e cioè venga fissato nell'ambito della costi- tuzione. Nella nostra costituzione esistono dei riferimenti a questo principio e il primo riconoscimento per questo principio lo si trova all'articolo 97 (Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione eu- ropea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.) che ad una prima lettura parrebbe essere riferito non tanto all'attività quanto all'organizzazione dei pubblici uffici, ma da una lettura più completa di questo articolo che mette anche in relazione l'organizzazione secondo le disposizioni di legge con il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione fa si che questo concetto debba essere necessariamente allargato e pertanto implichi anche il riferimento all'attività dell'amministrazione. Una riconoscimento implicito al principio di legalità in tutte quelle disposizioni contenute nella prima parte della costituzione che riconoscono taluni diritti come fondamentali per l'individuo e quindi come non com- promettibili, non violabili neppure da parte dei pubblici poteri, cioè il riconoscimento di tutta una serie di li- bertà fa si che il potere amministrativo incontri nella sua azione il limite del riconoscimento di quei diritti che non possono essere compromessi o in qualche modo ristretti se non secondo quanto prevedono le disposi- zioni di legge. Quindi il riconoscimento di una serie di diritti fondamentali ritenuti come inviolabili se non a 12 certe condizioni fissate rigorosamente nella legge da parte dei pubblici poteri è una riconoscimento implicito di rango costituzionale del principio di legalità dell'azione amministrativa. Altra norma che riconosce tale principio è l'articolo 113 della costituzione (Contro gli atti della pubblica ammini- strazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordi- naria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica ammini- strazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa.) che ci dice come il potere pubblico sia sottoposto alla leg- ge. Questa è una norma che si riferisce indirettamente alla tutela del soggetto, contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, questo vuol di- re che gli atti della pubblica amministrazione sono sindacabili davanti a un giudice amministrativo il quale è l'unico in grado di annullare i provvedimenti amministrativi quando questi si rivelino illegittimi, cioè quando vengano violate quelle norme di azione. La tutela contro gli atti della pubblica amministrazione può essere ri- chiesta in genere davanti al giudice ordinario quando ci sia la violazione di un diritto e cioè quando ci sia la presenza di un diritto soggettivo automaticamente dall'altra parte non ci può essere esercizio di potere pubbli- co autoritativo, cioè spiega che o la pubblica amministrazione ha agito secondo le norme del diritto civile e dunque ha agito in un regime di diritto privato come se fosse un normale soggetto che decide di contrattare con un altro; o quando viola una norma di relazione, quando esercita cioè un potere che o non le apparteneva perché le norme lo riconoscono ad altri soggetti oppure perché ha violato con i limiti spaziali, territoriali che rappresentano la condizione di esistenza del suo potere, allora in questo caso l'esercizio della sua capacità di diritto privato o esercizio di un potere che non le era stato attribuito o le era stato attribuito entro certi limiti che sono stati superati fa si quel diritto soggettivo non possa essere compresso in modo legittimo e quindi l'atto è nullo, non esplica efficacia e noi dobbiamo chiedere davanti al giudice ordinario la dichiarazione di nullità di quell’atto. In questo caso la tutela non è una tutela di carattere costitutivo in quanto questa tutela e quella offerta dal giudice amministrativo quando annulla il provvedimento perché modifica l'ordinamento giu- ridico, rimuove dall'ordinamento un atto che aveva efficacia pur essendo contrario delle norme, quindi chie- dendo una sentenza costitutiva chiedo una sentenza che annulli, che modifichi la mia sfera giuridica soggetti- va; quando vado invece davanti a un giudice ordinario per chiedere la tutela di fronte ad un atto che è nullo perché ha violato le norme di relazione, non chiedo la modifica di una sfera giuridica soggettiva, chiedo solo il riconoscimento della mia condizione di diritto e dunque chiedo una dichiarazione da parte dell'autorità giudi- ziaria competente della nullità e della completa inefficacia di quell'atto, chiedo un riconoscimento giudiziale che non va ad incidere sulla mia sfera giuridica soggettiva. Tutto questo discorso riferito alla tutela è importante, ma ha bisogno di un ulteriore precisazione. È vero che questo articolo 113 ci dice che contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giuri- sdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, ma questo implica che l'illegittimità dell'atto amministrativo per- ché possa essere fatta valere davanti al giudice, deve comportare contemporaneamente il sacrificio di una mia posizione giuridica soggettiva. Questo articolo 113 fa il paio con l'articolo 24 (Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari) della costituzione il quale afferma che tutti possono agire in giudi- zio per la difesa dei propri diritti e interessi legittimi; in termini concreti questo significa che quando io vado davanti al giudice per affermare l'illegittimità di un atto o di un comportamento amministrativo la prima inda- gine che si compie non entra neanche nel merito della questione, ma la prima indagine che possiamo definire pregiudiziale, è quella che gli serve per verificare se aprire il processo e non dichiararlo inammissibile, consiste nel verificare che quella posizione di cui io chiedo la protezione contro un atto della pubblica amministrazio- ne sia tutelata dall'ordinamento come posizione giuridica, cioè occorre che il bene di cui chiedo tutela materia- le o immateriale deve trovare il riconoscimento in una norma che lo contempla come interesse giuridicamente tutelato e in particolar modo che lo contempla come interesse legittimo, perché altrimenti se l'interesse giuri- dico di cui io chiedo protezione non è tutelato dall'ordinamento e risulta un mero interesse di fatto o semplice allora, il giudice amministrativo, non aprirà nemmeno processo amministrativo, dichiarerà il mio ricorso inammissibile. Questo significa che per ottenere protezione di fronte ad un atto illegittimo dell'amministra- zione io devo dimostrare al giudice due condizioni, le condizioni di ammissibilità al ricorso o anche dette condizioni dell'azione processuale. Io devo dimostrare innanzitutto quella che tecnicamente definiamo la le- gittimazione a ricorrere, io devo essere legittimato a ricorrere, devo avere la legittimazione a ricorrere per po- ter chiedere aiuto al giudice amministrativo. La legittimazione a ricorrere consiste nel dimostrare al giudice che non solo sono titolare di una situazione giuridica soggettiva in quella vicenda che mi contrappone all'am- 15 ziale significa dovere di non discriminare, cioè trattare in modo eguale situazioni identiche ed trattare in modo diverso situazioni che non sono omogenee, questa è la connotazione negativa dell'imparzialità: che cosa non deve fare l'amministrazione: non deve discriminare. Ma l'imparzialità dell'amministrazione ha anche un conte- nuto positivo perché le norme che si riferiscono all'amministrazione non si limitano, come fanno nei confron- ti dei privati, a dire cosa è vietato fare; la legge nei nostri confronti può stabilire dei divieti, degli obblighi, ma non ci pone dei limiti in relazione alla nostra autonomia privata, non ci dice quando, come, perché dobbiamo vendere, comprare un bene o affittare un immobile; invece l'azione dell'amministrazione trova dei limiti anche positivi al suo agire. Ebbene il contenuto positivo del principio di imparzialità sta non tanto nel rispetto di questi limiti positivi che rientrano comunque nel principio di legalità, ma nel fatto che in quelli che sono gli spazi lasciati liberi dalle norme, quindi in quegli spazi in cui la pubblica amministrazione può agire discrezio- nalmente, con sue decisioni; ecco quando agisce discrezionalmente rispettando a monte i limiti che sono sta- biliti dalle norme, in quell'azione deve essere imparziale quando va a determinare il contenuto discrezionale del provvedimento, ad esempio ci sono tutta una serie di interessi che sono coinvolti dall'azione amministrati- va ebbene questa azione amministrativa deve tenerli tutti in considerazione nell'ambito del procedimento amministrativo che poi vorrà dire invitare al procedimento amministrativo tutti quei soggetti che sono coin- volti dall'amministrazione, significa prendere in considerazione tutte quelle situazioni rilevanti che sono state portate dai soggetti interessati nel procedimento amministrativo, contemperarle e alla fine decidere un assetto di interessi ideale che trasfonde nel contenuto del provvedimento amministrativo. Quindi da un lato il dovere di non discriminare, dall'altro lato l'obbligo di considerare prima dell'emanazione del provvedimento amministrativo tutte le istanze rilevanti dei soggetti con cui entra in contatto significa quindi obbligo di invitarli a partecipare al procedimento amministrativo perché possano presentare le loro memorie e le loro osservazioni, significa dare la possibilità ad ognuno di questi soggetti di far sentire la loro voce all'interno del procedimento prima che l'amministrazione emani il provvedimento. Considerare quegli interessi non significa necessariamente perseguire, perché poi alcuni potranno essere soddisfatti altri no in quello che sarà il contenuto finale; ma quello che importa è che in questa azione di bilanciamento e di con- temperamento di interessi, la pubblica amministrazione abbia come primo obiettivo il perseguimento dell'in- teresse pubblico e arrivi a delineare un assetto concreto che sia imparziale in quanto ha dato la possibilità a chi ne aveva in qualche modo diritto di essere sentito prima di decidere, abbia preso in considerazione le pro- prie ragioni e fine abbia deciso. Dunque in questo senso il principio di imparzialità, quindi quella che possiamo definire la sua connotazione positiva del contenuto, tende a configurarsi come un principio importante che viene spesso definito principio di proporzionalità dell'azione amministrativa. Il principio di proporzionalità dell'azione amministrativa in que- sto senso non può che essere una specificazione del principio di imparzialità. Che cosa significa imparzialità? Imparzialità come proporzionalità significa che la pubblica amministrazione ha il dovere di perseguire l'interesse pubblico con il minor sacrificio possibile di interessi privati. Proporzione tra che cosa? Tra scopo che deve realizzare, l'interesse pubblico, e il sacrificio imposto ai privati per la realiz- zazione di quel interesse. I tedeschi per rappresentare questo principio dicono che l'amministrazione non può sparare i passeri con i cannoni, questo esemplifica bene il principio di proporzionalità: non possono imporre dei sacrifici, ma anzi devo prevedere il minore sacrificio possibile rispetto gli interessi privati che vado a tra- volgere nel momento in cui devo realizzare un interesse pubblico; devo scegliere tra le alternative possibili la strada che sia meno dolorosa per il privato quella che va a compromettere o il minor numero di interessi da un punto di vista quantitativo o il minor sacrificio in termini di qualità. Quindi questo significa che quando io agisco discrezionalmente e cioè che esercito in modo imparziale la mia attività accreditando al processo am- ministrativo tutti i soggetti che sono coinvolti, sentendoli tutti, considerando tutte le posizioni che siano rile- vanti giuridicamente, ebbene quando poi addivenendo alla composizione di questi interessi che devo alla fine in qualche modo far quadrare nel provvedimento finale che è l'unico che ha effetti, li devo tenere conto di questo principio di proporzionalità della mia azione che impone di non porre dei sacrifici inutili o evitabili al soggetto privato in nome della realizzazione di un interesse pubblico. Quando parliamo di proporzionalità dell'azione amministrativa possiamo intendere questo concetto anche con ragionevolezza. L'attività amministrativa è ragionevole quando è proporzionata, quando rispetto del prin- cipio di proporzionalità. Per raggiungere questo obiettivo la pubblica amministrazione può agevolarsi nel compito cercando di autolimitarsi. Posto che deve comunque rispettare i principi contenuti nelle leggi, in quell'area che le è riservata di autonomia discrezionale dove decide senza essere costretta al rispetto dei vinco- li delle norme perché è chiaro che l'azione dell'amministrazione se non per certi aspetti e in certe materie, non è vincolata, perché l'amministrazione ha bisogno di decidere sul caso concreto, tenendo conto delle situazioni 16 di fatto, tenendo conto delle situazioni che via via si presentano concretamente e allora in questo caso ha bi- sogno di elasticità; quindi il potere-l'autonomia discrezionale dell'amministrazione deve essere riconosciuta: l'amministrazione non è solo l'esecuzione di leggi, non è solo potere esecutivo come braccio della legge; que- sta autonomia discrezionale è necessaria quando devono applicare la legge al caso concreto in quanto deve considerare tutto una serie di circostanze e dunque in questo caso l'esercizio dell’autonomia discrezionale può essere guidato solamente da questi principi che esprimono dei valori a livello generale. Questi principi sono fondamentali quando l'azione dell'amministrazione non è vincolata, se fosse vincolata non ha nulla da decide- re in quanto gli effetti sono già stabiliti dalla legge. Allora, nell'ambito di questa discrezionalità che è concessa all'amministrazione e che non dà mentale, l’amministrazione per rispettare maggiormente il principio di imparzialità può decidere di autolimitarsi, cioè la legge dice che l'amministrazione deve essere imparziale allora l'amministrazione si facilita il compito stabilen- do dei criteri sulla base dei quali prenderò la scelta, ma questi criteri che predetermino prima della decisione da prendere li rendono pubblici in modo che tutti i soggetti che saranno coinvolti da quella decisione sappia- no quali sono i criteri sulla base dei quali io, l'amministrazione, prenderò le decisioni. C'è un’espressa norma della legge sul procedimento amministrativo, all'articolo 12, che prevede la possibilità per la pubblica ammini- strazione di dare dei contributi-sussidi, dagli aiuti finanziari senza ricevere in cambio una controprestazione, sembrano essere una sorta di aiuti di stato. In questa attribuzione bisogna essere imparziali, bisogna capire a chi si possono dare e a chi no, però su quali basi si compie questa scelta? Il potere centrale non può decidere in quanto non ha la situazione sotto mano, non sa chi può meritare o meno sulla base di che cosa quel con- tributo, è l'amministrazione che lo decide; ma per farlo in modo imparziale e trasparente determina prima quali sono i criteri sulla base dei quali deciderà di erogare i contributi. Questo rappresenta l'autolimite dell'amministrazione, è la pubblica amministrazione che limita se stessa. Una volta che l'amministrazione si è data i limiti non può decidere di non rispettarli perché questi vengono assunti a parametro legale della sua azione; la pubblica amministrazione è libera di agire discrezionalmente negli spazi lasciati liberi dalle norme di azione, ma se decide di autolimitarsi e decide di stabilirsi dei criteri, una volta che già stabiliti non può più di- sattenderli perché quei limiti assumono la valenza di parametro legale della sua azione. Il principio di buon andamento è un altro principio cardine dell'attività dell'amministrazione è anch'esso con- tenuto all'articolo 97 della costituzione. Anche il principio di buon andamento dell'amministrazione dovrà es- sere scomposto in una serie di sottoprincipi rappresentati da quei principi, da quelle valenze di carattere eco- nomico affermate dell'amministrazione a partire dagli anni 90. --- --- --- Oggi concludiamo il tema dei principi che si riferiscono all'attività dell'amministrazione facendo alcune preci- sazioni relative al principio di imparzialità. Riassumendo, abbiamo detto che questo principio dell'imparzialità trova una rilevanza costituzionale all'articolo 97 della costituzione; in realtà il principio è menzionato al pari di quello della riserva di legge anche nell'ambito della legge 241 del 1990 perché il comma I dell'articolo 1 affer- ma che l'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta dai criteri di economicità, effi- cacia, imparzialità,…; questo principio di imparzialità è stato introdotto dalla legge 241 successivamente alla sua emanazione, cioè la legge è stato emanato nel 1990 ma è stata successivamente rimaneggiata più volte e con la legge numero 69 del 2009 il legislatore ha integrato questo articolo 1, che nominava una serie di princi- pi, introducendo anche quello di imparzialità; quindi era un principio che il legislatore aveva precedentemente ignorato probabilmente in quanto era già contenuto nella costituzione, ma che non secondo momento il legi- slatore ha ritenuto necessario ribadire anche in quella che è la legge cardine della regolazione dell'attività am- ministrativa; ciò significa che nel 2009 il legislatore riformula quella dizione introducendo il principio di im- parzialità. Imparzialità abbiamo visto deve essere soprattutto nei confronti dei soggetti esterni, cioè l'ammini- strazione è parziale con riferimento alla realizzazione della sua missione, dell'obiettivo pubblico che deve rea- lizzare; ma deve essere invece imparziale con i soggetti cui viene in contatto quando emana un provvedimen- to. Poi abbiamo visto i due significati come parità di trattamento: quindi come obbligo di non discriminare (questo è un contenuto di carattere negativo); come doverosità della considerazione degli interessi implicati con l'azione amministrativi (questo è un contenuto di carattere positivo) e qui avevamo visto come l'imparzia- lità va a sovrapporsi con il principio di proporzionalità dell'azione amministrativa: cioè la considerazione im- parziale di tutti gli interessi è finalizzata a produrre un provvedimento che in qualche modo sia proporzionato in riferimento all'obiettivo che deve perseguire al danno che infligge ai privati, occorre che la pubblica ammi- nistrazione persegua gli interessi con il minimo mezzo, sacrificando nel minor modo possibile gli interessi con cui entra in contatto e che in qualche modo devono fare i conti con l'interesse pubblico. Dunque proporzio- 17 nalità dell'azione come la ragionevolezza dell'azione e poi abbiamo visto un'applicazione ulteriore per assicu- rare il perseguimento di questo principio: la posizione di autolimiti della pubblica amministrazione. Una cosa che dobbiamo precisare è quella relativa alla dimensione soggettiva del principio. Un discorso che vale per il principio di imparzialità, ma che può essere esteso a tutti principi che si riferiscono all'azione dell'amministrazione e cioè a tutti principi che espressamente la legge 241 del 1990 indica all'articolo 1. Cosa si intende quando si parla di dimensione soggettiva? Noi abbiamo visto qual è l'ambito applicativo della legge, qual è la sua estensione oggettiva: in che cosa consistono questi principi, che cosa significano e qual è la loro estensione di disciplina, ma dobbiamo chiederci a chi si applicano questi principi e la risposta, almeno nell'amministrazione di oggi, non è così scontata; verrebbe naturale affermare che se sono principi che si rife- riscono alla pubblica amministrazione, ed avendo detto che il diritto amministrativo è il diritto che regola an- che e soprattutto l'azione delle amministrazioni, si applicherebbe logicamente alle amministrazioni pubbliche: questo è certamente vero, ma nell'amministrazione di oggi che è un'amministrazione complessa, fatta di figure eterogenee, fatta non solo di enti pubblici e di amministrazioni territoriali, ma anche per esempio di quelle co- siddette autorità garanti e di quelle società pubbliche privatizzate; a questo punto la domanda si complica: cioè questi principi si applicano all'amministrazione in quanto tale o si applicano invece a chi svolge un'attività di rilevanza ricca indipendentemente dal fatto che questo soggetto sia un soggetto privato; la risposta che la for- nisce la stessa legge 241 perché l'articolo 1 comma 1-ter di questa legge stabilisce che i soggetti privati prepo- sti all'esercizio di attività amministrative assicurano alle rispetto dei criteri dei principi di cui al comma 1 (lega- lità, economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza), con un livello di garanzia che non deve esse- re inferiore a quello cui sono tenute le pubbliche amministrazioni in forza delle disposizioni alla presente leg- ge. Allora, da questa norma noi ricaviamo un concetto di amministrazione in senso sostanziale, nel senso che dobbiamo considerare l'amministrazione non solo come composta da soggetti pubblici, quindi non andiamo ad individuare l'amministrazione sulla base del profilo soggettivo, sulla base di coloro che hanno una veste giuridica pubblica, ma noi andiamo ad individuare l'amministrazione e quindi conseguentemente un'attività che è retta da questi principi del diritto amministrativo in senso sostanziale, cioè che prescinde dalla veste giu- ridica formale dei soggetti che le esercitano, non conta se essi sono soggetti pubblici o se sono soggetti privati incaricati di pubbliche funzioni o di servizio; quello che conta è la rilevanza dell'attività come un'attività volta al perseguimento di fini pubblici, questo significa che i principi indicati dall'articolo 1 della legge 241 del 1990 devono essere applicati a questo concetto di amministrazione in senso sostanziale. Questa è un'importante precisazione che andava fatta. Ora ci soffermiamo sul principio di buon andamento della pubblica amministrazione, principio che l'articolo 97 della costituzione con un’endiadi definisce buon andamento. Per questa sua valenza generica, non tanto definibile giuridicamente, è stato interpretato, almeno prima che venisse emanata la legge 241, appiattendolo sul principio di imparzialità. Questo perché prima del 1990 questi concetti erano concetti sconosciuti alle logi- che pubbliche perché si valutava la bontà degli atti amministrativi sulla base della loro aderenza o meno al pa- rametro legale: cioè tutti i controlli si svolgevano nell'ambito delle amministrazioni pubbliche per verificare se i provvedimenti amministrativi erano corretti o meno erano volti a verificare la loro legittimità, la loro aderen- za al dato normativo, ma questi provvedimenti amministrativi non venivano valutati sotto il profilo della loro bontà non tanto giuridica, quanto economico, efficientistica. Questo perché le logiche di profitto economi- che-aziendalistiche non erano entrate nella pubblica amministrazione un po' per la formazione dei burocrati e dei dirigenti che è una formazione giuridica e non economica; e al giurista questi principi possono sfuggire, tuttavia anche a fronte di quel processo di insostenibile spesa pubblica generata un po' dalla proliferazione degli enti e che dal punto di vista organizzativo ha portato a una recessione del soggetto pubblico nel senso che tanti enti stati privatizzati e tanti soppressi; allora l'esigenza di contenimento della spesa pubblica hanno richiesto la necessità di prestare attenzione ad un dato che non può essere trascurato anche quando si tratti di amministrazioni, a maggior ragione se l'attività viene svolta da soggetti privati. Ecco che, allora, il principio di buon andamento comincia ad acquistare una certa rilevanza o quanto meno una certa autonomia concettuale, non viene più fatta quella lettura per cui sostanzialmente si leggeva come unica endiadi imparzialità e buon andamento appiattendolo su quei concetti che abbiamo visto di proporzionalità e di imparzialità, ma si cerca di dare un significato precipuo anche alla luce di questi ulteriori criteri che cominciano a essere individuati nelle norme come parametri giuridici; cioè alla cui stregua valutare la legittimità o meno di un atto ammini- strativo. Dunque è chiaro che non può esserci un baratto tra legalità ed efficienza perché è l'obiettivo prima- rio dell'amministrazione è quello di essere sottoposta alla legge e quindi di emanare dei provvedimenti che ri- spettino i parametri, le disposizioni che sono indicate negli atti normativi. 20 mentali, ma attraverso atti di natura privata e in effetti la legge 241 del 1990 per esempio all'articolo 11 stabili- sce che la pubblica amministrazione può stipulare con il soggetto privato accorti sostitutivi del provvedimen- to amministrativo ovviamente sempre quando l'interesse pubblico che l'amministrazione deve perseguire lo permette. Che cosa significa però agisce secondo le norme di diritto privato. Questa norma sembrerebbe non dire che la pubblica amministrazione ha la possibilità di usare strumenti di diritto privato come è per esempio l'accordo previsto dall'articolo 11, vuole dire qualcosa di più. Vuol dire che quanto agisce con gli strumenti di diritto privato le norme che regolano la sua azione non sono le norme del diritto del diritto amministrativo, quindi le norme sul procedimento, ma sono le norme del diritto privato, del diritto civile. Quindi quando la pubblica amministrazione utilizza degli istituti del diritto privato, le norme che devono ap- plicarsi sono quelle del diritto privato. Quando si dice “ la pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa” cosa intendia- mo? Gli atti autoritativi sono solo i provvedimenti limitativi della sfera del privato? No, per atti autoritativi noi dobbiamo intendere tutti gli atti che sono espressione di poteri amministrativi siano essi restrittivi siano essi ampliativi. Perciò l'interpretazione di questa norma è quella di spingere la pubblica amministrazione ad una maggiore utilizzo di strumenti privatistici e non tanto quella, forse nell'intento del legislatore, di chiedere anche un impiego delle discipline privatistiche a quegli istituti. Quindi un'interpretazione corretta è quella di vedere in questa norma non l'applicazione della disciplina di di- ritto privato a istituti del diritto privato utilizzati dall'amministrazione, ma semplicemente di portare l'ammini- strazione per quanto e dove possibile a utilizzare gli strumenti di diritto privato che rimangono sottoposti alla disciplina amministrativa come dimostra il caso degli accordi tra privati e pubblica amministrazione. --- --- --- Prima di concludere i principi che regolano l'attività dell'amministrazione ci occupiamo delle situazioni giuri- diche soggettive. Partirei ad analizzare quelli che nelle scorse elezioni abbiamo individuato come interessi diffusi. Abbiamo vi- sto che nel nostro ordinamento giuridico esistono due tipi di posizioni giuridiche tutelate: quelle individuate dall'articolo 24 della costituzione (Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La dife- sa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudizia- ri) ossia, diritto soggettivo e interesse legittimo. Però siccome abbiamo anche parlato nelle lezioni scorse dei problemi relativi alle condizioni di ammissibilità del ricorso amministrativo, quindi alle condizioni di accesso alla giustizia amministrativa, vorrei prima trattare la problematica relativa gli interessi diffusi perché poi quella delle condizioni giuridiche soggettive (diritto soggettivo e interessi legittimi) fa da ponte a tutto il problema dei vari problemi amministrativi che tratteremo. Dividiamo la lezione in due parti: una prima parte nella quale andiamo a contestualizzare il problema: perché trattiamo della problematica degli interessi, special modo degli interessi ambientali; e perché è necessario par- tire da un'analisi che tenga conto del contesto sociale nell'ambito del quale queste problematiche giuridiche vanno a collocarsi. Ce ne occupiamo perché il diritto al pari di ogni altro sistema autopoietico è il frutto in una certa misura del suo ambiente. Ciò vuol dire che per capire a fondo il diritto è necessario contestualizzar- lo in quella che possiamo definire la sua storia sociale; ciò perché il diritto in fondo scaturisce dalle esperienze, dai dati delle esperienze concrete e si esercita su questi dati reali, sulle fattispecie concrete fino, poi, a chiudere il suo ciclo di vita nelle sentenze dei giudici. Quindi il diritto nasce dalle esigenze che maturano nella società, che danno la spinta al legislatore e alla giuri- sprudenza a prendere in considerazione nuove fattispecie normative e poi su questi dati si riflette fino a chiu- dere il suo ciclo di vita nelle decisioni della giurisprudenza. Allora, noi vediamo, come in questo senso, l'attuale società, che possiamo definire “società globale del ri- schio”, abbia configurato una nuova vitalità, un nuovo interesse alla problematica legata alla tutela degli inte- ressi diffusi. Andremo quindi ad esaminare come questa società abbia influito sui modi di governare l'ammini- strazione, sui modelli di governance che sono scaturiti per la cura di questi interessi. C'è poi una seconda parte che possiamo definire in qualche modo più giuridica nella quale andremo ad esa- minare quali sono stati gli interventi che ha prestato il legislatore per assicurare la tutela di una serie di interes- si rilevanti socialmente, di cui appunto la società reclamava la tutela, parliamo soprattutto degli interessi am- bientali, che quindi avevano una grande rilevanza dal punto di vista sociale, ma che avevano dei grossi pro- blemi dal punto di vista giuridico a trovare ingresso nel processo amministrativo; e allora ecco che scattano dal legislatore dei meccanismi per cercare di far entrare nel processo questi interessi che sono sicuramente meritevoli di tutela e vedremo qual è l’importante ruolo che ha giocato la funzione pretoria del giudice ammi- 21 nistrativo in questi assetti sociali che sono caratterizzati da uno stato di emergenza endemica, per cui abbiamo sempre degli interventi di urgenza, non si riesce a prevenire il rischio, siamo sempre alla rincorsa di rimedi quando il danno è già accaduto. L'emergenza, che dovrebbe rappresentare un episodio occasionale, è diventa- ta la quotidianità. Vedremo, allora, in questo caso come il giudice amministrativo si sia mosso per cercare di offrire una tutela, per quanto possibile, effettiva a questi interessi, cosiddetti, diffusi in quanto, appunto, ade- spoti, cioè privi di una titolarità giuridica, nessuno è titolare della tutela dell'ambiente, dell'ambiente salubre del paesaggio. Ebbene, vedremo l'allargamento che è stato effettuato dalla giurisprudenza amministrativa sugli ambiti di tutela di questi di questi interessi ambientali. Il problema della tutela giuridica dei beni ambientali non è nuovo, nasce intorno agli anni 70 del secolo scor- so: le prime sentenze della giurisprudenza amministrativa che si occupano di offrire tutela dei beni ambientali si collocano verso la metà degli anni 70. Oggi ce ne occupiamo nuovamente perché questo tema è stato in qualche modo rivitalizzato dal diverso scenario sociale di riferimento. Siamo alla presenza di quelli che i so- ciologi chiamano la seconda modernità, gli assetti sociali della seconda modernità sono caratterizzati dalla co- siddetta società del rischio. Queste definizioni e queste elaborazioni del concetto di società del rischio si deve soprattutto agli studiosi di scienze sociali e in particolare deve essere scritta a tre sociologi importanti Ulrich Beck, Anthony Giddens e Niklas Luhmann che hanno teorizzato e concettualizzato l'idea della società con- temporanea del rischio globale. Pertanto dobbiamo chiederci perché il rischio ha caratterizzato in modo pregnante la società contemporanea. Il rischio, se ci pensiamo, ha sempre fatto parte della modernità perché si è sempre rapportato alle situazioni di incertezza che i vari ordinamenti hanno dovuto fronteggiare per limitare i vari pericoli però nella società di oggi, il rischio, ha assunto una valenza così tale per cui ne è diventato il segno identificativo. Per cui lo stato di emergenza, la minaccia del disastro ambientale è diventata sostanzialmente la norma. Questo rischio a cui oggi siamo sottoposti, così diverso da quello del passato, che riguarda soprattutto l'inte- grità ambientale, le nostre condizioni di salute, la preservazione di un ambiente salubre; è contrassegnato da caratteristiche tipiche: è un rischio che è prodotto scientificamente: non è il solito rischio che deriva dagli eventi naturali, ma è un rischio che è, in qualche modo, stato creato dalla scienza e che nella scienza dovrà trovare dei rimedi (ad es. il problema dell'inquinamento elettromagnetico, il problema delle scorie radioattive: questi sono rischi che si sono generati perché in qualche modo l'uomo, attraverso processi tecnologici, li ha creati), quindi è un rischio che è prodotto dalla tecnologia, scientificamente costituito, ed è un rischio da co- siddetto “ignoto tecnologico” perché di molti di questi rischi non si conoscono quali saranno le reali conse- guenze (ad es. tutta la tematica degli inquinamenti legati ai campi elettromagnetici è basata su un rapporto precauzionale, ciò significa che non sapendo scientificamente, in modo certo, quali sono le conseguenze dan- nose che probabilmente ci sono, nel dubbio abbiamo deciso di tutelarci, ma non sappiamo quali saranno ef- fettivamente le conseguenze che si produrranno). Quindi, l'approccio tipico della società globale del rischio nei confronti di questi tipi inquinamento è un ap- proccio di tipo precauzionale, nel dubbio ci tuttavia; non è preventivo perché preventivo è un qualcosa in più: la prevenzione implica comunque la certezza di un danno che si conosce. Perciò un rischio prodotto e da ignoto tecnologico è la prima caratteristica; la seconda peculiarità di questo ri- schio così insidioso sta nel fatto che il rischio spesso non è percepibile sensorialmente (ad es. la presenza di sostanze tossiche degli alimenti, pensiamo all'esposizione a scorie radioattive, pensiamo all'esposizione ai campi elettromagnetici) e pertanto è difficile tutelarsi in quanto non lo si percepisce sensorialmente. Un altro problema è quello che si presenta come una rischio globale; Niklas Luhmann dice: “ il rischio non riguarda più solo marinari e raccoglitori di frutti, il rischio riguarda tutti noi” è una rischio globale perché ad esempio il problema del riscaldamento della crosta terrestre generato dalla presenza eccessiva di monossido di carbonio nell'aria, i cambiamenti climatici, la contaminazione chimica degli elementi sono tutti problemi gene- rati da inquinamento di carattere globale e vi è ovviamente la difficoltà per i vari Stati nazionali ad adottare delle misure che da sole siano in grado di fronteggiare una tutela efficace, è rilevante che il protocollo di To- kio venga o meno sottoscritto da una potenza economica e tecnologica come gli Stati Uniti. Quindi la peculiarità di questo rischio così insidioso e difficile da controllare ha fatto si che si sia dovuto in qualche modo elaborare modelli di governance da parte dei poteri pubblici per cercare di fronteggiare; innan- zitutto a livello di amministrazione attiva, questo vuol dire che la necessità di apprestare delle misure ammini- strative idonee a fronteggiare ed evitare questi rischi e perciò ad offrire tutela a questi interessi, ha modificato le regole dell'agire amministrativo, in parte si accoglie quello che si definisce il principio precauzionale nell'ambito dei procedimenti amministrativi, il quale principio impone dell'adozione di misure più protettive quando si paventi il rischio di un danno serio e irreversibile. 22 In secondo luogo si affida la gestione di questi rischi ad una governance che in qualche modo privilegi dei processi di regolamentazione che trovano il loro punto di riferimento, non tanto in atti unilaterali calati dall'al- to da parte delle autorità amministrative, ma in azioni che in qualche modo vadano coinvolgere tutti i soggetti; cioè si sviluppano dei modelli di amministrazione che cercano in qualche modo di recuperare il consenso, di aprirsi alla consultazione degli amministrati, si parla di amministrazione informata: il primo obbligo che ha l'amministrazione è quello di informare cittadini sull'importanza di questi rischi ambientali. C'è un’importante convenzione che è stata ratificata nel nostro ordinamento che è la convenzione di Aarhus che prevede un accesso ai dati ambientali da parte di chiunque vi abbia interesse. Siccome, talvolta, per fronteggiare questi rischi è necessario adottare delle misure che possono anche essere dannose per gli amministrati, occorre in qualche modo coinvolgerli nella decisione collettiva per cercare di re- cuperare il consenso e il primo passo consiste nell'informarli sui rischi effettivi che determinati tipi di inqui- namento possono generare. Quindi l'amministrazione cambia perché prevalgono determinate istanze: le istanze dell'informazione, della consultazione, della negoziazione; tra l'altro, nell'ambito anche di un sistema in cui le varie opzioni vengono concorse ai vari livelli di governo: cioè si tratta di procedimenti amministrativi che spesso coinvolgono la pre- senza di amministrazioni collocate ai livelli diversi di governo, pertanto occorre combinare l'azione delle am- ministrazioni che vengono collocate a livelli diversi di governo. Questo processo di globalizzazione ha portato il cittadino a radicarsi vicino alle amministrazioni che in qual- che modo sente più vicino, Zygmunt Bauman dice che questi processi di globalizzazione portano alla fine ha dei processi di glocalizzazione, cioè, come il cittadino si sente perso, non ha più dei punti di riferimento per- ché anche gli Stati sovrani sembrano dei legittimati a legiferare su delle tematiche che vengono decise quasi totalmente in sede europea, ad esempio tutta la legislazione antiinquinamento deriva dalle direttive europee, ne consegue che i cittadini tendono a raccogliersi vicino alle amministrazioni che sentono più vicine, quindi a quelle comunali. Tutto ciò ci fa capire che ci sono delle situazioni d'interesse, quelle appunto di carattere ambientale, per le quali ormai sembra indispensabile la partecipazione attiva del soggetto anche in riferimento a scelte pubbliche che potrebbero essere dolorose per la collettività e che quindi se sono condivise, vengono più facilmente tol- lerate. In questo caso, se l'amministrazione si apre ai cittadini attraverso innanzitutto alla comunicazione- informazione e successivamente alla partecipazione coinvolgendo i cittadini in quelli che sono i processi deci- sionali, acquisendo le istanze, le osservazioni di tutti cambia la dimensione dell'individuo-cittadino perché in questo modello di governance non viene più visto solo come un utente, un assistito rispetto dei pubblici pote- ri, quindi non viene più visto solo come portatore di un bisogno, ma viene percepito come un soggetto che in qualche modo è capace di creatività, capace di dare una collaborazione attiva, è capace di col lavorare all'e- mersione dell'interesse pubblico. Ci sono diversi comuni, primo tra tutti quello di Bologna, che hanno elabo- rato dei regolamenti comunali prevedendo delle ipotesi di quella che possiamo definire la “democrazia parte- cipativa” per la cura e la gestione dei beni comuni urbani, questo come esempio di partecipazione attiva a modelli di amministrazione che si stanno diffondendo, in questi regolamenti si stabilisce che il Comune stipuli dei patti di collaborazione con quelli che definisce cittadini attivi, cioè cittadini che vogliono prendersi cura di spazi pubblici, abbandonati, malandati per risanarli o eventualmente per migliorarli. Attraverso questi patti di collaborazione il cittadino condivide ed entra a far parte dell'amministrazione attraverso un'azione di volonta- riato che trova il punto di riferimento essenziale nell'articolo 118, comma IV della costituzione che enuncia il principio della sussidiarietà orizzontale: “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni ammi- nistrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La legge statale disciplina for- me di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.” Non è un caso che queste iniziative di democrazia partecipativa siano pro- prio nate in riferimento alla gestione di beni ambientali. Allora questo cambia la prospettiva dell'individuo in relazione al suo rapporto con il bene, l'individuo non ha più una relazione esclusiva con il bene, ma ha una re- lazione che in qualche modo possiamo definire diacronica e intergenerazionale con il bene da tutelare, nel senso che questi beni che ci sono arrivati non appartengono a noi come non appartengono ai raggruppamenti politici che in qualche modo li devono gestire, regolamentare,… Ma appartengono a tutti e soprattutto appar- tengono alle generazioni future, nei confronti delle quali noi abbiamo il dovere di trasmetterle così come ci 25 qualche modo viene dato come per certo dal giudice. L'ultimo criterio sempre utilizzato dalla giurisprudenza per personalizzare l'interesse diffuso è quello della partecipazione al processo amministrativo: cioè il giudice riconosce alla partecipazione di un soggetto al procedimento amministrativo il valore di titolo di legittimazio- ne per l'impugnazione del provvedimento stesso: cioè se io sono un soggetto, un comitato cittadini, un'asso- ciazione non riconosciuta che ha partecipato al procedimento amministrativo che ha portato all'emanazione di un provvedimento che poi va ad incidere sul bene, questa mia partecipazione all'azione amministrativa vale a qualificare la mia posizione rispetto al resto della collettività e quindi in qualche modo crea un collegamento diretto con quel bene; in questo caso posso impugnare il provvedimento amministrativo. Questa tendenza a vedere procedimento amministrativo come sede di coagulazione degli interessi diffusi non è sempre percorsa dal giudice amministrativo, il quale patisce ad essere sottoposto alle valutazioni dell'amministrazione. --- --- --- Oggi concludo la panoramica delle situazioni giuridiche soggettive parlando di interesse legittimo e diritto soggettivo. Prima di continuare la discussione sulle situazioni giuridiche soggettive è necessario rammentare la configura- zione dell'amministrazione come ordinamento autonomo che non significa, appunto, indipendente rispetto all'ordinamento statale, ma si intende ordinamento autonomo come ordinamento infrastatuale che deriva da quello sovrano da cui mutua il carattere della giuridicità e che gli permette questo potere, definito autonomo, di dettare le norme del suo agire, per il suo ordinamento. Ovviamente non è un potere illimitato, ma che tro- va dei limiti in quelle che sono le norme che attribuiscono il potere all'amministrazione, cioè le norme di rela- zione o attributive del potere attraverso cui lo stato concede questi poteri all'amministrazione; poteri di detta- re le norme del proprio agire, di agire quindi secondo la propria disciplina che l'amministrazione può anche trattarsi, ma nei limiti in cui ciò sia consentito dall'ordinamento. La pena, la sanzione cui vengono sottoposti gli atti che non rispettano questi limiti di azione fissati nelle leggi statali, ma che la stessa pubblica amministra- zione può darsi con questo potere di autodeterminazione, ha delle conseguenze diverse a seconda che venga- no violati quelli che sono i suoi poteri attribuiti, quindi vengano violate le norme di relazione: in questo caso il potere è come se non fosse stato mai esercitato e quindi non viene riconosciuto dall'ordinamento sovrano: l'atto che scaturisce, in questo caso, è di fatto nullo; diverso è il caso in cui il potere si sia, sia stato attribuito, ma venga male esercitato, quindi si violano quelle che sono le norme di azione che possono essere individuate dall'ordinamento statale o dalla stessa amministrazione, ma che sono norme che non attribuiscono alcun po- tere, ma semplicemente ne definiscono le modalità di esercizio: in questo caso la violazione è meno grave perché si tratta di una semplice illegittimità che si traduce in una possibile annullabilità del provvedimento che rimane comunque efficace. Partiamo con l'evidenziare la prima delle posizioni giuridiche soggettive che possono essere riconosciute an- che nei confronti dell'azione della pubblica amministrazione e che soprattutto trovano tutela anche nei con- fronti di azioni esercitate dalla pubblica amministrazione; tutela che è dispensata dal giudice naturale dei dirit- ti, quindi dal giudice ordinario. Perciò la prima cosa che dobbiamo chiarire è che: nei confronti della pubblica amministrazione in determinate situazioni, la pubblica amministrazione fronteggia dei diritti soggettivi; diritti soggettivi cui, in uno stato di diritto come il nostro, viene riconosciuta tutela davanti al giudice ordinario. Questo accade, nonostante i processi di privatizzazione dell'azione pubblica, poche volte in quanto non è la situazione tipica che viene in essere quando la pubblica amministrazione sia coinvolta nella vicenda; noi par- liamo di violazione dei diritti soggettivi essenzialmente in due casi che poi possono essere ricondotti a una matrice unica: cioè quella per cui il potere autoritativo dell'amministrazione non sia stato esercitato o perché l'amministrazione ha deciso di agire secondo i moduli del diritto privato, ha deciso di agire così perché l'ordi- namento glielo consentiva, con strumenti contrattualistici, pertanto non si è posta in veste di autorità pubbli- ca, ma si è posta sullo stesso piano del soggetto privato con cui va ad elaborare un contratto, un regolamento di interessi, pertanto non c'è esercizio del potere autoritativo; oppure, non c'è esercizio del potere autoritativo, quando la pubblica amministrazione lo eserciti al di fuori dei limiti consentiti dall'ordinamento: cioè quando sostanzialmente agisca in carenza di potere, può essere una carenza di potere in astratto nel senso che non esiste proprio quella norma di relazione che attribuisce il potere autoritativo che la pubblica amministrazione in quel momento ha voluto esercitare, oppure può essere una carenza di potere in concreto: cioè la norma che attribuisce quel potere, a quell'amministrazione, c'è, ma aveva fissato dei limiti temporali e spaziali che sono stati oltrepassati, pertanto, se si oltrepassano i limiti che definiscono il potere che lo stato attribuisce all'am- ministrazione, quel potere è come se non fosse stato esercitato: al di là di quei limiti l'amministrazione non può presentarsi come autorità capace di esprimersi attraverso provvedimenti, attraverso poteri autoritativi, 26 anche in questo caso le situazioni che andrà a violare saranno situazioni di diritto soggettivo, appunto per questo destinate a trovare tutela davanti al giudice ordinario. Questo ci fa capire che potere amministrativo, inteso come potere provvedimentale, inteso come potere auto- ritativo, è un termine assolutamente inconciliabile con il diritto: cioè il diritto del privato sussiste e può essere violato solo se dall'altra parte non c'è un esercizio di un potere provvedimentale o perché l'amministrazione agisce secondo gli strumenti del diritto privato o perché ha esercitato un potere che l'ordinamento non gli at- tribuisce o perchè ha violato una norma di relazione. Se c'è un diritto soggettivo dall'altra parte non ci potrà essere un potere provvedimentale-autoritativo che può modificare la sfera giuridica del soggetto senza il con- senso di questo. Quindi, il diritto soggettivo, che in questi casi trova una tutela piena, incondizionata: costituisce una condi- zione giuridica che possiamo definire di immunità dal potere autoritativo dell'amministrazione. La legge che per il principio di legalità prevede il potere ne determina gli elementi (oggetto, contenuto, forma, l'interesse da perseguire, i tempi), i confini di questo potere e proprio nel momento in cui individua questi confini di eserci- zio del potere, oltre i quali il potere non può esser esercitato, automaticamente riconosce una serie di situa- zioni soggettive che sono intangibili, hanno una tutela piena e incondizionata. Ovviamente le situazioni che possono venire in relazione, ad oggetto della nostra attenzione sono diverse; con ciò si vuol dire che una si- tuazione di diritto soggettivo, il diritto assoluto, il diritto reale come il diritto di proprietà, può tuttavia non porsi come tale quando venga ad incontrare un potere dell'amministrazione che sia legittimamente esercitato; ad esempio io sono titolare di un fondo e potrò sempre ottenere la tutela di questo fondo, una tutela piena e incondizionata, nei confronti di tutti i soggetti privati tuttavia, questa mia situazione di diritto soggettivo, quando si rapporta con l'amministrazione che esercita un potere amministrativo nei limiti che le sono consen- titi dall'ordinamento, questa mia situazione di diritto soggettivo, si presenta in quella vicenda, come una situa- zione di interesse legittimo; se la pubblica amministrazione nell'esercitare un potere espropriativo oltrepassa i limiti stabiliti dalle norme di relazione e quindi per esempio non emana il decreto di esproprio entro i termini perentori previsti dalla legge, allora, quel potere, che ha superato i limiti, non è un potere autoritativo, perché l’amministrazione oltre quel limite temporale decade dal potere e allora in questo caso la vicenda si regola se- condo le norme della tutela del diritto soggettivo, il diritto soggettivo non è toccato, oltre quel limite è tutelato come tale anche nei confronti dell'amministrazione; ma se la pubblica amministrazione nell'esercizio di un po- tere espropriativo rispetta quelli che sono i limiti fissati dalla norma di relazione, allora, automaticamente la mia situazione soggettiva, la mia posizione giuridica non può essere tutelato come diritto soggettivo, ma può semplicemente essere tutelata come interesse legittimo; ciò significa che tutta la tutela che io posso ottenere è quella di chiedere il rispetto da parte dell'amministrazione delle norme che regolano l'esercizio del potere espropriativo, ma non posso chiedere di più, nel senso che se quelle norme che sono state legittimamente at- tribuite e che sono state legittimamente esercitate nel rispetto di quelli che sono i limiti fissati dalla legge, la mia situazione di diritto soggettivo in quella vicenda con l'amministrazione degrada ad interesse legittimo: io posso ottenere una tutela che è solo quella della pretesa alla legittimità dell'azione amministrativa, ma preten- dere la legittimità dell'azione amministrativa non significa anche ottenere la tutela per il bene della vita che sottostante: cioè ottenere una tutela piena e incondizionata come per il diritto soggettivo che in questo caso si configura come un mero interesse legittimo. Tutto ciò per spiegare come le situazioni giuridiche soggettive siano caratterizzate da relatività, cioè non è det- to che il diritto di proprietà si ponga sempre come e alla stregua di un diritto soggettivo perché talvolta esso assume una configurazione di interesse legittimo soprattutto quando fronteggia un potere autoritativo della pubblica amministrazione che sia legittimamente esercitato. Continuiamo ora con l'analisi dell’interesse legittimo. L'interesse legittimo è la situazione in cui il privato si trova in uno stato di soggezione rispetto al potere pub- blico il quale potere pubblico prevale perché l'ordinamento ha fatto una scelta di base, cioè quella per cui l'at- tività finalizzata al raggiungimento di interessi pubblici, di interessi della collettività deve prevalere sulle ragio- ni dei singoli privati. Quindi, non è che non ci sia tutela di fronte ai poteri imperativi della pubblica ammini- strazione poiché essendo in uno stato di diritto la tutela c'è e viene riconosciuta alla posizione giuridica del privato di interesse legittimo. Il bene diretto che si protegge attraverso l'interesse legittimo, non è il bene della vita sottostante, ma è sempli- cemente la pretesa alla legalità dell’azione amministrativa, questo è l'oggetto diretto della tutela dell'interesse legittimo, è quello che io posso sempre pretendere davanti al giudice amministrativo. Quello che l'interesse le- gittimo tutela direttamente è la pretesa alla legittimità dell'azione amministrativa, cioè la pretesa che quel pote- re che si esercita nei miei confronti e che incide la mia sfera giuridica soggettiva sia esercitato nei limiti delle 27 norme di relazione e di azione. Questo, io potrò sempre pretendere e ottenere dal giudice; tuttavia c'è un'eve- nienza, quella per cui quando viene in considerazione un interesse legittimo, può capitare che questa pretesa alla legittimità dell'azione amministrativa non soddisfi il mio interesse di base, il mio pene della vita: quello di fatto per cui mi muovo; ad esempio: concorso pubblico indetto da una pubblica amministrazione in quanto la pubblica amministrazione per assumere personale indice un concorso pubblico giacché la pubblica ammini- strazione ha dei criteri di imparzialità da rispettare, soprattutto, in questo caso, l'interesse pubblico è quello di andar individuare attraverso delle prove selettive quello che è il candidato più idoneo ha ricoprire quel posto, quindi io faccio una selezione pubblica perché devo fare in modo che tutti quelli che hanno i requisiti certa- mente possono partecipare, poiché, più partecipano, più la pubblica amministrazione ha la possibilità di sod- disfare l'interesse pubblico; quindi partecipazione ampia che si basa su una successiva selezione perché l'inte- resse pubblico dice che la pubblica amministrazione non deve favorire un certo soggetto perché magari è un amico, ma pubblica amministrazione deve attraverso delle prove selettive di individuare il soggetto più ido- neo; ovviamente quando un soggetto concorre ad un concorso pubblico lo fa perché vuole soddisfare un proprio interesse, un proprio bene della vita: l'aspirazione a ricoprire quel posto che viene messo in bando. Pertanto quand'è che posso ottenere una tutela piena e incondizionata di questo bene: l'aspirazione a ricoprire quel posto? Quando c'è una coincidenza tra l'interesse pubblico e il mio interesse privato, quando cioè io di- mostri alla commissione che io sono il candidato migliore, sulla base delle prove che ho eseguito, a ricoprire quel posto. In questo caso l'interesse pubblico e il mio interesse coincida; in questo caso io posso dire di avere una tutela piena e incondizionata che però non è sempre assicurata, ma è occasionale perché potrebbe benis- simo accadere che partecipino altri candidati che svolgono prove meglio di me; in questo caso posso al mas- simo richiedere la legittimità dell'azione amministrativa: cioè quello che io posso andare a contrastare davanti al giudice è che la commissione nella selezione dei candidati non si sia comportata in modo imparziale, ma abbia violato il precetto di cui all'articolo 97 della costituzione, ma, per esempio, abbia favorito un candidato perché ha valutato dei titoli che il bando non contemplava. In questo caso l'interesse legittimo mi permette di tutelare quella situazione, quel bene diretto, sempre rivendicabile davanti al giudice amministrativo siccome la pubblica amministrazione non si è comportata secondo le regole del buon andamento, ha violato le regole d'azione. Il giudice amministrativo, verificata la fondatezza delle mie ragioni, annulla in questo caso il bando di concorso. In seguito all'annullamento la commissione si riunisce, fa i conteggi, ma nonostante ciò la mia posizione rimane sempre la stessa, non vinco io un corso perché in graduatoria rimango sempre terzo. In questo caso, il bene della vita, non è tutelato, non posso più impugnare nuovamente il provvedimento perché in questo caso sono state rispettate le norme di azione; quindi non ha più nulla da proteggere direttamente. Questo interesse legittimo che abbiamo analizzato nell'esempio del concorso è un interesse legittimo di carat- tere pretensivo. Con interesse pretensivo si intende che per il soddisfacimento di quest'interesse io ho la pre- tesa di un'azione dell'amministrazione; cioè posso ottenere soddisfacimento pretendendo-stimolando l'azione dei pubblici poteri, della pubblica amministrazione senza la quale non potrei ottenere ciò che mi spetta. Inte- ressi legittimi pretensivi sono per esempio tutti quelli che stanno alla base della presentazione di istanze alla pubblica amministrazione in cui si chiede ad esempio l'esercizio di un potere autorizzatorio,… Questo è l'interesse legittimo cosiddetto pretensivo, abbiamo anche un altro tipo di interesse legittimo che è quello cosiddetto oppositivo. Quando siamo in presenza di un interesse oppositivo io, soggetto interessato non devo ottenere qualcosa che non ho attraverso l'esercizio di un potere dell'amministrazione, come avviene nell'interesse legittimo pretensivo, ma io parto già da una situazione tutelata, il caso per eccellenza è quello del diritto di proprietà: io il diritto c'ero già, ma lo voglio conservare e mantenere contro l'esercizio di un potere dell'amministrazione che me lo vuole comprimere. Si parla di interesse oppositivo perché io mi oppongo all'e- sercizio di un potere che presumo illegittimo per mantenere una situazione di vantaggio che già ho; tipico ca- so è quello dell'espropriazione. La mia tutela consiste nell'oppormi al potere esercitato dalla pubblica ammini- strazione nei limiti che l'ordinamento mi consente e cioè solo quando l'amministrazione esercita il potere per la realizzazione dell'interesse pubblico in modo non conforme alle norme. Anche qui non è detto che dalla pretesa alla legittimità dell'azione amministrativa io riesca ad ottenere il bene della vita. Quindi, quello che è importante rilevare è che per interesse legittimo, cioè per situazione giuridica tutelata di- rettamente dall'ordinamento, noi possiamo parlare di pretesa alla legittimità dell'azione amministrativa: questo è il bene diretto che può essere sempre tutelato davanti al giudice amministrativo. Questa pretesa alla legittimità dell'azione amministrativa io posso invocarla quando sia stata violata una norma di azione, cioè una norma che disciplina e regola le modalità di esercizio del potere, vuol dire che la norma at- tributiva del potere o di relazioni è stata rispettata, ma è stata violata questa semplice norma d'azione perché altrimenti mi troverei nella tutela del diritto soggettivo. 30 Quali sono i due tratti essenziali della configurazione medievale del potere? Quali sono le funzioni dello Stato equilibrio? In cosa consiste la iurisdictio? I due tratti profondi e peculiari della configurazione medievale del potere consistono: il primo nel carattere composito e pluralistico dei corpi politici: ciò perché la base del po- tere dall'ordinamento medievale è composto dalle corporazioni. Pertanto si può affermare che in questo pe- riodo si sia più alla presenza di una societas che di una universitas, ovvero l'ordinamento appare più come una consociazione di parti distinte che non una persona giuridica individuata. Questo può essere definito come stato premoderno proprio perché a causa questa pluralità di corpi intermedi si caratterizza per la funzione di equilibrio, che sul piano funzionale lo fa qualificare come stato-equilibrio. Questa funzione consiste nel garan- tire a ciascuno il godimento dei suoi diritti storici contro le potenziali prevaricazioni dei suoi vicini. Dunque in una concezione di questo tipo di stato, si nega alla radice lo spazio per una amministrazione in senso soggetti- vo, in quanto gli interessi da perseguire sono individuati già dalle singole corporazioni. La seconda caratteristica della configurazione medievale del potere consiste nella preesistenza del diritto ri- spetto al potere; il diritto dunque non è posto, ma è preesistente e ciò prolunga l'antica concezione medievale circa l'intrinseca naturalità del diritto. Quindi un'altra funzione dello stato premoderno consiste nella iurisdic- tio che consiste nel comporre conflitti sociali attraverso il richiamo a un diritto già dato. Qual è la condizione minima di validità di un qualunque atto d'imperio? La condizione minima di validità di un qualunque atto d'imperio consiste nell'essere emanato al termine di un processo. Esso trae la sua forza coercitiva non solo dalla legittima autorità del suo autore ma anche dalla sua capacità di riflettere un diritto già dato. Ciò vuol dire che c'è la necessità di creare delle condizioni di legittimazione di questa affermazione e questa legittimazione la si afferma creando quelle che sono le condizioni minime affinché questo atto di impe- rio sia comunque ritenuto efficace e vincolante rispetto ai consociati. Queste condizioni minime di validità sono viste nella sua procedimentalizzazione: cioè nell'essere sostanzialmente quell'atto lecito di un processo- procedura di fasi ben determinato dalle quali la collettività sa che scaturirà un comando che proprio perché ha seguito determinate regole formali avrà un efficace giuridica vincolante. Quindi questo atto di imperio trae la sua forza coercitiva ovviamente dall'autorità da cui proviene, ma anche dalla sua capacità di porsi come atto che applica un diritto già dato attraverso delle regole procedurali precise. Pertanto, si nota già come in questa fase si evidenzi in fondo l'universalità, la globalità di determinati principi, che poi oggi sono fermati nelle leggi, che sono il principio base del contraddittorio, il principio del giusto pro- cedimento: cioè la possibilità di coinvolgere o comunque di sentire prima di decidere le parti che comunque subiranno gli effetti di quel comando. Come fanno gli stati dell'età moderna a consolidare il proprio potere? Il problema che si pongono gli stati per affermare la loro sovranità consiste nel dovere porre dei confini territoriali ove consolidare il proprio potere (capacità di mantenimento dell'ordine interno) e fronteggiare la conflittualità internazionale (capacità di eserci- tare una politica estera). Per fare questo dilatano progressivamente il raggio della loro attività, ciò avviene af- fiancando al comparto più tradizionale che è quello della iurisdictio quello della finanza, cioè dell'amministra- zione fiscale e tributaria. In questo caso si parla di stato di polizia, ma il termine polizia deve essere inteso come derivazione etimologica del greco polis che significa città; quindi stato di polizia con l'individuazione di tutte quelle regole che servono in qualche modo a disciplinare la vita sociale, economica e religiosa nell'ambito della società. Quindi, nel momento in cui lo stato si prefigge il compimento di questi compiti, occorre che metta a puto una vera e propria funzione amministrativa che inizialmente si configura come una funzione di finanza, quindi di contribuzione da parte dei sudditi, di proventi economici che servono all'ordinamento per la realizzazione di quei compiti minimi che si è dato. A chi erano imputate le funzioni amministrative in quegli Stati e quali erano i compiti del potere centrale? Lo stato aveva il compito di difesa esterna e di garanzia dell'ordine interno; questi erano compiti che spettavano al potere che potremmo definire centrale. L'attività intermedia invece viene svolta da soggetti distinti rispetto al potere centrale (ad esempio magistrati in quanto uno dei compiti dell'amministrazione consisteva nell'accer- tare illeciti e nell'applicare sanzioni). Quando si manifesta l'idea di una gestione esecutiva e non più meramente giudiziaria del potere centrale? Se- condo Tocqueville nel corso del 1600-1700, in concomitanza con il dispiegarsi del progetto assolutista in seno ad alcune grandi monarchie europee, cominciò ad affermarsi l'idea di una gestione esecutiva del potere. Que- sto progetto inizia solitamente quando il sovrano assoluto prende atto che il tradizionale governo per magi- strature non è solo un cattivo conduttore di decisionalità, ma può costituire anche un fatale ostacolo al suc- cesso dell'impresa assolutista. 31 Che differenza c'è tra il modulo burocratico dell'ufficio e quello della commissione? Si tenta di raggiungere questa gestione esecutiva dell'amministrazione-potere grazie al tentativo da parte delle monarchie di costruire un apparato alternativo rispetto a quello ereditario dei secoli passati, basato sul modulo dell'ufficio; si approda al modulo burocratico della commissione che non si basa su una delega permanente e giuridicamente definita del potere, ma su un semplice titolo procuratorio revocabile in ogni momento, che faceva dell'incaricato una specie di longa manus del sovrano. In questo modo si viene a creare un ramo di burocrazia pubblica destinato a funzionare secondo una logica ben diversa da quella dell'universo giudiziario. Qual è la condizione per distinguere uno Stato monarchico da uno dispotico? La condizione minima per di- stinguere uno Stato monarchico da uno stato dispotico è costituita dall'assegnazione totale del potere di giudi- care a persona diversa dal monarca. Passiamo alla definizione delle funzioni di amministrazione e giustizia. Che cos'è che contribuisce alla defini- zione delle funzioni di amministrazione e giustizia e quando avviene ciò? La grande crisi dei corpi intermedi che investe lo stato di corpi alla fine del XVIII secolo spianò la strada alla rifondazione dei contenuti di giu- stizia e amministrazione. Questa nuova definizione delle funzioni si ha in quanto in questo periodo gli unici protagonisti di questo ordine politico e sociale sono solo lo stato e l'individuo separati tra loro da quello che Tocqueville definisce uno spazio enorme e un vuoto che favorisce l'emersione di una sempre più stretta al- leanza, sorta sul terreno fiscale, fra Stati e ceti proprietari. Quali sono le radici della visione moderna delle pubbliche funzioni? Si comincia a pensare di poter costruire lo stato cancellando tutta la farraginosa congerie di corpi cetual-territoriali che costituiva l'ossatura di ogni or- dinamento per moderno e di sostituirla con un'ordinata cascata di circoscrizioni concentriche, ognuna delle quali incaricata di amministrarsi nei limiti della legge attraverso una propria rappresentanza di proprietari- contribuenti. Ciò permette la possibilità di ridefinire la funzione giudiziaria non più nei termini di un'attività di mediazione tra interessi strutturalmente confliggenti, ma con una tecnica meccanica volta a tutelare i diritti le- galmente riconosciuti ad ogni azionista della nuova impresa sociale. Quindi le radici della cosiddetta visione moderna delle pubbliche funzioni stanno nella percezione che lo stato, come soggetto organizzato, artificial- mente costituito, intimamente uno, che non è più finalizzato a comporre conflitti, ma a perseguire i suoi stessi interessi tramite l'amministrazione o a difendere quelli dei suoi cittadini tramite la giurisdizione. Giustizia e amministrazione iniziano ad avere fini specificatamente differenti. La chiave di volta sta nel fatto che la legge non è più pensata come strumento di mediazione sociale fra i tanti, ma come l'enunciazione intensamente po- litica di una volontà generale che appartiene virtualmente a tutti i membri dello stato e che è la sola legittima, l'unica davvero obbligata. Vediamo, quali sono gli effetti della rivoluzione francese sulla distinzione tra le funzioni di amministrazione e quelle di giustizia? La rivoluzione francese rielabora la funzione giudiziaria definendola come pouvoir nul, si vieta ai giudici di prendere direttamente o indirettamente parte alcuna all'esercizio del potere legislativo, si af- ferma la concezione quindi il giudice come bocca della legge spogliato di tutta la sua antica politicità. Dunque il compito del giudice diviene semplicemente quello di interpretare e applicare la legge. Quindi si sottopone interamente la funzione giudiziaria a quella amministrativa. Ciò avviene creando un sistema compiuto di codi- ci che rendano in qualche modo l'interpretazione delle leggi più semplice e lineare, al fine di non lasciare alcun appiglio al giudice che non può porsi come produttore di diritto; inoltre per perseguire meglio questo interes- se viene istituito il tribunale di cassazione che è il guardiano supremo della legge, cioè è sostanzialmente un permanente strumento di controllo del legislatore nei confronti del potere giudiziario questo perché i giudici non possono fornire delle interpretazioni estensive della legge che li portino oltre i loro confini. Parallelamen- te si viene ad instaurare una nuova amministrazione generale dello Stato che si affianca a quella giudiziaria che da vita al famoso quadrillage: il sistema territoriale di amministrazione che si afferma in Francia è costituito in sostanza da quattro istituzioni: le municipalità, i distretti, i cantoni e i dipartimenti; con questa quadripartizio- ne si crea una piramide gerarchica in base alla quale la circoscrizione locale rappresenta una parte di quella su- periore. Nel periodo napoleonico si afferma con forza la convinzione che questa nuova società civile, formata da indi- vidui soli di fronte allo stato, deve trovare un forte puntello nelle amministrazioni, negli apparati locali. Quin- di Napoleone scopre che per realizzare concreto una nazione occorre affidare l'opera ad un'autorità superiore, di cui la necessità di individuare una amministrazione come potere autonomo e distinto rispetto alla legge e destinata a dare corpo a quello che è l'apparato unico dello stato, lo stato come unica entità sovrana ben indi- viduata e definita. Perciò un'amministrazione che viene vista da un lato per fare in qualche modo da collante rispetto quella che era una società, prima della rivoluzione, polverizzata da ceti e case, ma che ora ha la neces- 32 sità di affermarsi come insieme di individui che sono posti tutti sullo stesso livello: cittadini uguali di uno stes- so stato. Quindi si ha una nazione che è in grado di accomunare questi individui prima separati da diversi in- teressi cetuali, creando un senso di appartenenza collettiva che a quel tempo era ancora gracile nell'ambito dei vari cittadini. Pertanto Napoleone percepisce la necessità superare le divisioni di una società precedentemente divisa, mirata perseguire interessi propri per creare uno stato unico, sovrano, dotato di apparati che siano strumentali agli interessi di tutti cittadini e nei quali i cittadini possano riconoscersi superando le barriere e le divisioni che inizialmente caratterizzavano la società. In altre anche una certa prassi giurisprudenziale compie un percorso fondamentale: cioè, sottrae l'attività di questo potere amministrativo alla soggezione del potere giudiziario, non solo si crea un corpo di apparati do- tati poteri autoritativi, finalizzati alla realizzazione di interessi statali che sono fondamentali per la realizzazio- ne dei principi di uguaglianza e libertà di tutti cittadini, ma se decide di sottrarre l'attività di questi apparati amministrativi al potere giudiziario, questo perché è una conseguenza quasi necessaria per l'affermazione dell'autonomia dell'amministrazione rispetto al giudice, rispetto al potere giudiziario, cioè si dice che se il giu- dice potesse giudicare e quindi intromettersi nelle controversie ove è parte l'amministrazione, alla fine il giudi- ce decidendo si farebbe amministratore, ma questo non deve essere possibile bisogna mantenere fermi gli ideali di separazione dei poteri. Quindi questa separazione del potere amministrativo dal potere giurisdizionale è funzionale ad affermare l'autonomia della pubblica amministrazione. --- --- --- Stavamo analizzando l’amministrazione sotto il regime napoleonico. Abbiamo visto l’evoluzione che l’amministrazione subisce in seguito alla crisi dello stato medievale, fondato sui corpi intermedi, che in fondo facevano da corpo di passaggio, di intermediazione tra quella che era una forma statale essenzialmente con- centrata in una funzione di iurisdictio e siamo in quello che Sordi e Mannori definiscono lo stato premoder- no, lo stato di regolazione, lo stato che ha dei funzionari mini che si affiancano al sovrano, individuati per ce- to, quindi attraverso dei rapporti personali. Le funzioni di questo stato abbiamo visto sono minime, di regola- zione, di interesse e di diritto che lo stato non è ancora in grado di porre, ma che sono questi corpi intermedi che pongono. Quindi la funzione elementare dello stato è quella di iurisdictio, affermare un diritto che non è posto dallo stato, ma che si trova nelle prassi che si sono affermate in base al diritto naturale in seno alle sin- gole corporazioni. Quindi lo stato regola i potenziali conflitti che possono sorgere tra queste corporazioni, ognuna delle quali è portatrice di singoli interesse; tutto ciò per evitare che ognuna di esse possa prevaricare e perciò possa mettere in discussione l’autorità del sovrano. Il contesto politico e storico è decisamente importate per andare ad individuare quelle che sono le metamor- fosi, le evoluzioni del diritto. Abbiamo visto che il diritto è un sistema autopoietico, cioè che rigenera se stes- so e si rigenera in base ai contesti sui quali deve misurarsi e regolare. Così crisi dello stato medievale, caduta di questi corpi intermedi che costituivano il punto di riferimento dei singoli e si viene ad affermare, nel 1700, l’idea di uno stato uno, costituito, sovrano che ha un rapporto diretto con il proprio suddito, non c’è ancora un’affermazione piena dello stato di diritto che trasforma il suddito in cittadino; pertanto affermazione di questo stato, ma c’è un grande vuoto fra istituzione sovrana ed il singolo e questo vuoto deve essere colmato e si colma attraverso delle istituzioni di apparati che diventano importanti soprattutto sotto il regime napoleonico. Abbiamo due eventi importanti che determinano l’evoluzione del contesto storico e politico e quindi l’evoluzione dell’affermazione dell’amministrazione e la diversa configura- zione dei rapporti tra giurisdizione ed amministrazione. Il primo è dato dall’affermazione della Rivoluzione Francese che fa sorgere in seno alla collettività la necessità di affermare alcuni ideali, alcuni principi prima sconosciuti che devono in qualche modo garantire la libertà e l’uguaglianza di tutti i cittadini, perciò c’è un tentativo di superamento di quella che era una situazione sociale, ovviamente organizzata per ceti. Afferma- zione di questi prinicpi che porta poi come riflesso la necessità dello stato di confrontarsi con questi “suddi- ti”, di affermare il proprio potere attraverso l’instaurazione di apparati, apparati che cercano in qualche modo di diventare professionalizzati: il magistrato, ad esempio, non viene più o non verrà più scelto sulla base delle sue condizioni sociali, non verrà più eletto, ma si cercherà di creare una classe professionale di giudici, così come si cercherà di creare anche burocrazie che passeranno prima da quello che abbiamo definito l’ufficio a quello della commissione, cioè un apparato amministrativo che viene creato sulla base delle esigenze concrete che lo stato deve soddisfare ed in cui il potere viene attribuito attraverso una delega; quindi si diffonde l’idea che il funzionario deve svolgere i compiti realizzando quelli che sono gli interessi dello stato che finalmente lo stato inizia a darsi, a porsi; lo stato non è più uno stato regolatore che si basa su un diritto preesistente, for- mato all’interno delle corporazioni, ma è uno stato che crea gli apparati amministrativi perché comincia a dar- si dei fini, degli obbiettivi da realizzare, in conseguenza di ciò crea questi apparati delegando questo potere in 35 persona, ma lo stato decide di farsi imprenditore anche nell'ambito di veri settori economici produttivi; si apre cioè la stagione di quello che si definisce l'interventismo dell'economia regolata. Abbiamo un ingresso dello stato nell'economia e questo processo è un processo che riguarda tutti paesi occidentali. Lo stato si fa im- prenditore e nazionalizza addirittura dei settori produttivi che ritiene strategici. Però con la crisi finanziaria mondiale del 1929 si arriva ad avere un enorme instabilità finanziaria e lo stato si rende conto dell'impossibilità di sostenere un numero così eccessivo di amministrazioni che nel frattempo si erano moltiplicate e allora lo stato che era sceso prepotentemente e direttamente nell'arena economica è co- stretto a rivedere le proprie politiche per le crisi finanziarie a cui è stato sottoposto e anche per ragioni di spending review. In seguito a ciò incominciò una fuga, lo Stato si ritira dal mondo economico, dismette le proprie vesti di imprenditore-azionista e attua tutta una serie di politiche che porta alla privatizzazione. (Pen- sate che gli enti pubblici istituiti fra 1930 e il 1940 erano ben 180) Questa inversione di tendenza porta lo Stato a riconoscersi oggi come quelle amministrazioni tipiche dello stato premoderno, dove all'unitarietà dello Stato napoleonico-ottocentesco che si reggeva su amministrazioni, su enti pubblici parastatali; oggi invece abbiamo una configurazione dello stato multiorganizzato, su più centri di livello territoriale dotati tutti di autonomia, autonomia altresì politica, ogni amministrazione territoriale è portatrice di interessi propri, ma abbiamo soprattutto l'emersione di nuove figure soprattutto per quanto ri- guarda la gestione dei servizi pubblici perché le attività di funzione sono ancora tradizionalmente attribuite agli enti pubblici, ai dicasteri, ma quello che cambia oggi è questa configurazione dello stato nell'ambito dei settori economici produttivi, nell'ambito di tutta quella fascia di attività che serve a garantire ed erogare servi- zi; qui non c'è più lo stato azienda-imprenditore, ma abbiamo di nuovo uno stato regolatore per cercare di governare in qualche modo dall'alto, super partes, attraverso dei soggetti cosiddetti amministrazioni indipen- denti o autorità indipendenti o autorità regolatorie, quindi per cercare di regolare dall'alto questi settori, ma senza intervenire direttamente. Si è parlato per queste amministrazioni, indipendenti dal governo, di magistra- ture regolatorie, di soggetti arbitri, di soggetti terzi che vengono sganciati dal potere esecutivo in quanto no- minati direttamente dal Parlamento, non è il governo che individui i soggetti che andranno a far parte di que- ste amministrazioni indipendenti, ma le autorità garanti sono nominate dal Parlamento, proprio per affermare l'indipendenza dal potere esecutivo che devono regolare, questo sulla spinta anche di tutti gli input che arriva- vano dall'unione europea e che in qualche modo tentavano di limitare l'azione dei pubblici poteri in ambito economico perché si vuol affermare il principio della libera concorrenza e allora proprio per affermare questi principi ecco l'individuazione di alcune autorità che fissano degli standard minimi ad esempio di allocazione dei costi di servizio: cioè hanno una sorta di potere normativo, di fissazione di regole che tutti i soggetti priva- ti o pubblici devono rispettare. Queste autorità hanno poteri regolamentari, poteri quasi giurisdizionali e pote- ri anche di amministrazione attiva, di concreta gestione: possono assumere provvedimenti necessari alla rego- lamentazione e al mantenimento della concorrenza nei mercati. Questa congerie di poteri attribuita a questa autorità fa si che esse un po' sfuggano ai rigori della divisione dei poteri e segnala forse un settore in cui c'è forse una sorta di ricomposizione tra quella che era la frattura tra giustizia e amministrazione che in queste au- torità amministrative indipendenti sembra ricomporsi. Quindi sotto questo profilo l'amministrazione e il diritto amministrativo si evolvono. Nonostante la presenza di questi soggetti possiamo ancora affermare di essere in uno Stato a regime amministrativo, solo che dob- biamo dire che questo regime amministrativo è sempre meno speciale ed è sempre più consensuale, operati- vo, cioè si avvicina molto allo statuto disciplinare del diritto comune. Pertanto esiste ancora una specialità del diritto amministrativo, però questa specialità e sempre più stata mitigata e contaminata da questa nuova con- figurazione dell'amministrazione che oggi è di nuovo un'amministrazione tipo regolatrice-consensualistica e molto meno autoritativa del passato. --- --- --- Ora iniziamo la parte su poteri. Prima di analizzare i poteri che sono tipici dell'ordinamento amministrativo, dobbiamo interrogarci sulla mo- dalità di produzione degli effetti giuridici: cioè dobbiamo capire come scaturisce un potere e quali sono le conseguenze, gli effetti che questo potere ha sulla sfera esterna, cioè sulle posizioni giuridiche dei soggetti: come si produce il potere nell'ambito dei provvedimenti amministrativi? Abbiamo due schemi base perché la maggior parte degli atti e dei provvedimenti amministrativi possono esse- re ricondotti a questi due schemi. Nel primo schema: NORMA-FATTO-EFFETTO noi parliamo di atti amministrativi, nel secondo schema: NORMA-POTERE-EFFETTO noi parliamo di provvedimenti amministrativi; le conseguenze giuridiche sull'ordinamento esterno sono differenti. Analizziamo più nello specifico i vari schemi. 36 Prima cosa da notare è che per entrambi gli schemi alla base c'è sempre la NORMA, questo è sostanzialmente il risultato del principio della legalità dell'azione amministrativa, il potere pubblico, si traduca esso in un atto o in un provvedimento, scaturisce sempre da una disposizione legislativa che glielo attribuisca. Quindi la NORMA rappresenta sempre il primo elemento di produzione dell'effetto giuridico. Per quanto riguarda il primo schema-caso: NORMA-FATTO-EFFETTO della vicenda giuridica viene pro- dotta attraverso il verificarsi di alcuni fatti che fungono da presupposti per la produzione dell'effetto: per esempio: iscrizione all'albo professionale degli avvocati (sappiamo che gli ordini professionali sono degli enti pubblici quindi agiscono per atti pubblici); io richiedo l'iscrizione all'albo professionale degli avvocati del foro di Alessandria dopo aver conseguito e quindi dopo aver accertato all'ordine tutta una serie di presupposti, di fatti che ho acquisito. Fatti e stati che ho acquisito perché prescritti da una legge, la quale legge determina le condizioni, in modo preciso, relative alla mia iscrizione all'albo: cioè c’è una norma che dice ai vari ordini pro- fessionali quali sono i presupposti per i quali rilasciare l'iscrizione all'albo a chi ne fa richiesta, è la norma che determina totalmente i presupposti giuridici per il rilascio di quell'atto di iscrizione. In questo caso la norma prevede che il soggetto interessato debba avere una laurea in giurisprudenza, che debba essere cittadino italia- no, che non debba avere carichi pendenti e soprattutto deva avere conseguito l'abilitazione in seguito al supe- ramento del concorso nazionale. Se io dimostro questi fatti all'amministrazione, cioè all'ordine a cui voglio iscrivermi, l'ordine è obbligato a rilasciarmi il provvedimento di iscrizione. Ciò vuol dire che l'effetto giuridico dato dall'ampliamento della sfera, cioè dalla possibilità di esercitare la pro- fessione di avvocato, non è attribuibile a un potere dell'amministrazione, la quale, in questo caso, si limita solo ad accertare dei presupposti che sono individuati dalla legge, non può giungere, non può togliere. L'intervento dell'amministrazione, pertanto, è solo di accertamento dei presupposti; dunque l'effetto del potere che l'am- ministrazione esercita, deve essere intravisto direttamente nella norma; tra la norma l'effetto deve esserci però la verificazione di quei fatti richiesti dalla norma affinché il potere possa prodursi. In conseguenza di ciò io potrò chiedere l'iscrizione all'ordine e l'ordine dovrà rilasciarmela solo quando dimostro di avere conseguito tutti quei fatti e quei titoli che la legge individua perché possa prodursi l'effetto della mia iscrizione all'albo. In questo caso parliamo di atto e non di provvedimento amministrativo in quanto non c'è un esercizio di un potere autoritativo dell'amministrazione; cioè non c’è esercizio di quella che possiamo definire un'attività di- screzionale ossia di scelta dell'amministrazione se rilasciare o non rilasciare l'atto. Quindi è la legge che accorda in questo caso al soggetto il riconoscimento di un diritto soggettivo, non c'è un potere autoritativo dunque non c'è una situazione di interesse legittimo. Pertanto se l'ordine rifiuta l'iscrizione in modo legittimo io potrò rivolgermi al giudice ordinario chiedendo la produzione di effetti che la stessa norma va a individuare. La situazione tipica dell'agire amministrativo è data dal secondo schema: NORMA-POTERE-EFFETTO; va- le sempre il principio di legalità per cui la norma c’è sempre, è la norma attributiva del potere all'amministra- zione che però, in questo caso, non è un mero potere di accertamento, di verifica dei presupposti, ma è un ve- ro e proprio potere di carattere provvedimenttale-autoritativo-discrezionale: cioè lascia all'amministrazione margini di scelta in relazione a quegli spazi che ovviamente sono lasciati liberi dalle norme (di relazione e di azione). Cioè, qui c'è l'intermediazione del potere che permette la produzione degli effetti del provvedimento: vuol dire che il potere che l'amministrazione esercita è fondamentale, è un presupposto ineliminabile perché si produca l'effetto. Ad esempio per comprendere ciò basta pensare ai poteri delle commissioni di concorso pubblico che devono effettuare una scelta tra più candidati idonei, è la legge attraverso il bando come lex spe- cialis che individua quali sono i presupposti per poter partecipare a quel bando, inoltre per poter vincere il concorso io devo superare una prova, una valutazione della commissione pubblica che è una valutazione che si basa sull'esercizio di un potere discrezionale: cioè l'amministrazione può darsi dei criteri, ma infine questo potere discrezionale di valutazione è un potere di scelta che fa si che la mia posizione passa inevitabilmente per quell'esercizio di potere che deve rispettare tutte le norme di relazione e di azione e altresì tutte le norme che la commissione si sia data preventivamente per decidere, ma ci sono comunque dei margini in cui l'am- ministrazione ha dei poteri di scelta e allora quello è potere imperativo anche se va ad ampliare una sfera giu- ridica del soggetto perché è indifferente che l'effetto sia ampliativo o restrittivo, quello che conta è che ci sia esercizio di un potere discrezionale dell'amministrazione, ebbene, in questo caso, la mia situazione riguardo l'esito di quella procedura valutativa non sarà una posizione di diritto, ma sarà una posizione di interesse legit- timo siccome fronteggia una situazione di potere discrezionale-provvedimentale dell'amministrazione; co- munque ciò che posso sempre pretendere, qualora non abbia superato il concorso, è che l'amministrazione abbia esercitato questo potere in modo legittimo per cui potrò impugnare, davanti al giudice amministrativo, 37 la graduatoria se verifico delle irregolarità. Pertanto in questo secondo schema, se un potere è stato esercitato con delle irregolarità potrò sempre rivolgermi al giudice amministrativo. Dunque, riepilogando le modalità di produzione degli effetti giuridici, possiamo dire che l'ordinamento ne consente o determina due secondo modalità differenti: o NORMA-FATTO-EFFETTO: in questo caso le vicende sono prodotte al verificarsi di alcuni fatti o al com- pimento di meri atti che fungono da presupposti per la produzione dell'effetto giuridico e la legge, in questa situazione, accorda al soggetto il riconoscimento di un diritto soggettivo che può essere fatto valere davanti al giudice ordinario; o NORMA-POTERE-EFFETTO: in questo caso l'ordinamento attribuisce ad un soggetto il potere di produr- re vicende giuridiche e riconosce l'efficacia da questo posto in essere e la legge, in questa situazione, riconosce in capo al destinatario, delle vicende giuridiche, un interesse legittimo. Ora analizziamo più nello specifico i vari poteri amministrativi. Abbiamo detto che la NORMA sta alla base dei due schemi di modalità di produzione degli effetti giuridici. Abbiamo anche compreso che il principio di legalità vale per entrambe le modalità e questo principio produce alcuni effetti in relazione ai provvedimenti amministrativi; le conseguenze-effetti del principio di legalità sull’atto che è esercizio del potere discrezionale dell'amministrazione fa si che ai provvedimenti si contrasse- gnino per due tipi di caratteristiche: cioè possiamo dire che provvedimenti amministrativi sono: o Nominati (nominatività): significa che i provvedimenti sono nominati dalla legge: cioè significa provvedimenti che sono la legge può determinare; questo vuol dire che non c'è possibilità per l'amministrazione di creare provvedimenti nuovi diversi da quelli che la legge prende espressamente in considerazione. I provvedimenti amministrativi sono solo quelli che la legge tassativamente specifica. Quindi questo significa che se io, ammi- nistrazione, voglio creare una determinata situazione giuridica nell'ordinamento posso utilizzare solo con gli schemi che sono schemi di provvedimenti o di poteri che sono espressamente individuati dalla legge. o Tipici (tipicità): per nominativa abbiamo detto: poteri, provvedimenti che siano espressamente individuati dalla legge, mentre la tipicità è riferita agli effetti di ogni provvedimento, significa che ad ogni schema legale di provvedimento consegue un effetto tipico e per conseguire quell’effetto tipico, l’amministrazione non può utilizzare schemi legali differenti: cioè se io devo autorizzare un'attività, per esempio, di costruzione devo uti- lizzare lo schema tipico del potere autorizzatorio adottando il cosiddetto permesso di costruire, non posso produrre quell'effetto: cioè consentire la costruzione su un terreno di proprietà attraverso uno schema legale provvedimentale diverso che potrebbe essere ad esempio quello della concessione, perché quell’effetto legale tipico di consentire un’attività sulla base della persistenza di un diritto, nel nostro esempio il diritto di proprie- tà, necessita per legge un controllo preventivo per evitare che l’esercizio di quel diritto-facoltà non vada a comprimere interessi pubblici rilevanti. Dunque quell’effetto di rimuovere un limite legale all’esercizio di un diritto può essere attuato solo ed esclusivamente adottando il provvedimento di autorizzazione e non anche adottando un provvedimento diverso, ma simile come quello di concessione che invece crea un diritto, men- tre in quello di autorizzazione il diritto c’è già. Quindi possiamo dire che tutti i provvedimenti amministrativi sono tipici e nominati ad eccezione di una ti- pologia che sfugge, almeno sotto un determinato profilo, a questa ricaduta del principio di legalità: i provve- dimenti di ordinanza. Qual è il momento che sfugge al principio di legalità quando parliamo delle ordinanze? Sicuramente l’ordinanza al pari degli altri provvedimenti rispetta il principio di nominatività perché quando il sindaco, il prefetto emano delle ordinanze, questi soggetti esercitano dei poteri che sono previsti dalla legge e che la leg- ge attribuisce in casi eccezionali ed urgenti a determinate autorità pubbliche per adottare provvedimenti in de- roga alla normativa ordinaria, che deroghino alle situazioni ordinarie, ma allora dove possiamo dire che il po- tere e quindi il provvedimento di ordinanza sfugge al principio di legalità? Lo possiamo dire in relazione al se- condo elemento conseguente al principio di legalità: la tipicità degli effetti. Questo perché le ordinanze pro- prio perché devono far fronte a delle situazioni di emergenza, di necessità improvvisa che non sono pertanto predeterminabili non possono avere un contenuto già previsto dalla legge in astratto, ma è l’amministrazione che di volta in volta deve individuare il contenuto adatto in relazione alla situazione di emergenza che si pre- senta. Per questo motivo il contenuto dell'ordinanza deve sempre essere adattato alla situazione che di volta in volta fronteggia. Questo provvedimento di ordinanza che deve essere calibrato seconda delle circostanze, in quanto è un potere autoritativo-imperativo che sfugge al principio di legalità sotto l'aspetto della tipicità, ha detto la corte costituzionale deve essere corredato da una serie di garanzie. È intervenuta la corte costituzio- nale in questa materia in quanto è stata sollevata la questione di legittimità del potere di ordinanza in quanto questo potere sfugge al principio costituzionale di legalità dei provvedimenti amministrativi. Quindi la que- 40 pete, quindi è necessario andare ad individuare quali sono le norme di riferimento che regolano il fatto che ha generato la controversia, ecco perché l'illustrazione del fatto, nelle decisioni, non è mai una descrizione me- ramente fattuale, ma è una decisione che tiene necessariamente conto dei dati giuridici. In particolare in questa sentenza viene dato conto nel “Ritenuto in fatto” di tutte le censure che sono state mos- se dal giudice remittente alla corte costituzionale per chiedere l'illegittimità di una disposizione. La seconda parte della sentenza generalmente viene analizzata indirettamente da chi ha un po' di esperienza in quanto va subito ad analizzare il “Considerato in diritto” in quanto questo rappresenta il cuore della decisione. Il “Considerato in diritto” spiega quali sono i percorsi giuridici e le ragioni giuridiche che stanno alla base della de- cisione, quindi la decisione viene motivata alla luce delle considerazioni che sono già state effettuate nella ri- costruzione del fatto tenendo conto delle disposizioni normative e tenendo conto anche dell'applicazione dei principi che regolano la materia. Innanzitutto, quando abbiamo di fronte una sentenza, in questo caso della corte costituzionale, dobbiamo chiarire alcuni punti. Con riferimento a questo caso dobbiamo capire chi solleva la questione di illegittimità costituzionale? Chi solleva la questione è il Tar del Veneto e ciò fa capire che la questione di illegittimità costi- tuzionale, in questo caso, è stata sollevata in via incidentale e con ciò si intende rilevata d'ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio e tale questione non ritenuta dal giudice manifestamente infondata. Quindi in questo caso la questione di legittimità costituzionale è stata portata all'attenzione del giudice ammi- nistrativo; perciò è il Tar del Veneto, deputato risolvere una controversia per la quale si è ritenuto necessario, ovviamente dietro istanza degli avvocati di parte, che sospende il giudizio e rimette la questione di costituzio- nalità del disposto legislativo alla corte costituzionale, in quanto il giudice remittente ha ritenuto fondanti le questioni che le parti avevano proposto durante il giudizio. Dbbene, ciò significa, che il Tar non può decidere quella controversia se preliminarmente non viene risolto il quesito che solo la corte costituzionale può risol- vere e cioè se la legge di cui si discute l'applicazione sia effettivamente incostituzionale o meno. Di conse- guenza il Tar rimette gli atti e sospende il giudizio in quanto impossibilitato a decidere. Ora è necessario capire quale sia la norma incriminata? La questione di legittimità riguarda l'articolo 54 com- ma IV del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali così come risulta modificato nel 2008 dal decreto legge numero 92. E in quale parte viene contestata la legittimità della disposizione? Viene contestata “nella parte in cui consente che il sindaco, quale ufficiale di governo, adotti provvedimenti a contenuto normativo ed efficacia a tempo indeterminato, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano la sicurezza urbana anche fuori dai casi di contingibilità e urgenza”. Quindi si contesta che il sindaco, nella sua veste non tanto di esponente rappresentativo della comunità territoriale, ma nella sua veste ufficiale di governo, perciò nella sua veste di autorità statale lo- calizzata, possa adottare sulla base di questo dispositivo provvedimenti a contenuto normativo e ad efficacia a tempo indeterminato al fine di prevenire (questo sarebbe il fine pubblico che giustificherebbe l'attribuzione di quei poteri che normalmente il sindaco non ha) e eliminare gravi pericoli che minacciano la sicurezza urbana anche fuori dei casi di contingibilità e urgenza, ed è questo “anche fuori dei casi di contingibilità e urgenza” che rappresenta soprattutto la questione di legittimità della norma. Quali sono gli articoli che interessano sommariamente, cioè il contrasto di questa norma cui si assume l'illegit- timità costituzionale viene giustificato sulla base di quali articoli della costituzione? I principi che vengono di- scussi più sovente pare dimostrare l'illegittimità della norma sono il principio di legalità, di tipicità e di impar- zialità-uguaglianza. Pertanto le norme di riferimento sono l'articolo 97 (per quanto riguarda la violazione del principio di legalità, di competenza e di imparzialità) e l'articolo 3 (per quanto riguarda il principio di ugua- glianza che va letto in riferimento con il principio di imparzialità in quanto se l’amministrazione non è impar- ziale contravviene al principio di uguaglianza). Nel paragrafo 1.1 del “Considerato in diritto” vengono illustrate le censure che sono evidenziate dalle remittente e che ritiene fondamentali per la sua decisione. Nella parte del considerato in fatto vengono riportate inte- gralmente le censure del giudice remittente, cioè viene trasposto di fatto l'atto con cui il giudice del Tar moti- va la richiesta di illegittimità. Nella parte invece di diritto il giudice costituzionale riprende solo quelle censure del giudice remittente che ritiene fondamentali per porre la base della sua decisione. In particolare si dice che la disposizione viola anzitutto i principi costituzionali di legalità, tipicità e delimita- zione della discrezionalità in quanto la norma consente l'adozione di disposizioni derogatorie alle norme vi- genti in rapporto ad una determinata materia, adozione che sarebbe legittima solo se configuri una situazione di contingibilità ed urgenza. Dunque l'ordinanza può essere accettabile solo se adottata per una situazione di contingibilità ed urgenza e per di più l'ordinanza deve essere limitata nel tempo. La preoccupazione della cor- te è che qui la disposizione attribuisce un potere normativo in capo al sindaco al fine di prevenire e di elimina- re gravi pericoli che minacciano la sicurezza urbana anche fuori dai casi di contingibilità e urgenza. Quindi 41 questo significa l'attribuzione di un potere normativo che normalmente il sindaco non ha che viene attribuito non per le ragioni di contingibilità ed urgenza, ma in modo indeterminato. Allora al punto 1.1 si dice: “La disposizione censurata violerebbe anzitutto, ed in particolare, gli artt. 23, 70, 76, 77, 97 e 117 Cost. (Quelli che riguardano sostanzialmente la competenza legislativa del Parlamento), ove sono espressi i principi costituzionali di legalità, tipicità e delimitazione della discrezionalità. (perché) In base ai principi citati, una disciplina (come quella contestata) che consenta l’adozione di disposizioni derogatorie alle norme vigenti in rapporto ad una determinata materia, e che attribuisca un potere siffatto «in capo ad un organo monocratico, in luogo di quello ordinariamente deputato», sa- rebbe legittima solo in quanto configuri una situazione di contingibilità ed urgenza quale «presupposto, condizione e limite» per l’esercizio del potere in questione.” quindi qui il vero problema è l'esistenza di una sorta di delega in bianco all'or- gano monocratico, cioè al sindaco, per l'esercizio di un potere, quello normativo, che normalmente non gli spetta perché i principi di uno stato di diritto impongono che il potere normativo stia in capo a quei soggetti che sono espressione della sovranità popolare, quindi stia radicato in capo alle assemblee legislative e che quindi può giustificarsi solo in ragione della contingibilità e dell'urgenza della situazione, cui occorre fare fron- te, che rappresenta ad un tempo la condizione, il presupposto e il limite della attribuzione di questi poteri. Il giudice remittente, il Tar, dice che questa disposizione istituisce una vera e propria fonte normativa, libera nel contenuto e equiparata alla legge in contrasto con le regole costituzionali che riservano alle assemblee legi- slative il compito di emanare atti aventi forza e valore di legge. Lo abbiamo visto anche in precedenza, affin- ché il principio di legalità sia rispettato non è sufficiente che la legge fissi il fine per l'attribuzione del potere senza anche precisare quali siano i contenuti, i presupposti, le modalità, i tempi dell'azione; cioè il principio di legalità, perché possa dirsi soddisfatto, ha la necessità che vi sia non solo una norma di legge che attribuisca il potere per la realizzazione di un fine pubblico, ma anche che questo potere sia circostanziato circa lo svolgi- mento, circa le sue modalità di esercizio in relazione ai contenuti che devono trovare preciso riferimento nelle disposizioni di legge, perché altrimenti la norma attributiva del potere non soddisfa il principio di legalità. Successivamente viene proposta la questione più specifica. Quanto abbiamo analizzato finora viola il princi- pio della legalità dell'azione amministrativa in riferimento alle circostanze che abbiamo chiarito. L'altra que- stione proposta consiste in un'altra violazione di un principio che possiamo forse ascrivere, più che alla legali- tà in senso sostanziale, alla riserva di legge. Questa violazione riguarda il fatto che vengono poste, con questa disposizione, delle sanzioni amministrative, a seguito di comportamenti vietati, che limitano la libertà dei singoli attraverso un potere discrezionale ten- denzialmente limitato attribuito al sindaco; con questo si va anche a violare quella disposizione specifica dell'articolo 23 della costituzione che afferma che nessuna prestazione, sia essa personale o patrimoniale, può essere imposta al singolo se non in base a una legge; invece, qui di fatto, si ravvisano delle sanzioni ammini- strative, quindi sostanzialmente delle sanzioni di carattere pecuniario in riferimento alla coazione di compor- tamenti che esigono delle prestazioni personali che sono state decise sulla base di un'ordinanza (atto ammini- strativo normativo) e non sulla base di un atto normativo che abbia valore o forza di legge come impone l'ar- ticolo 23 della costituzione. L'ordinanza possiamo considerarla un atto sostanzialmente normativo, ma for- malmente è un atto amministrativo tant'è che è stato impugnato davanti al giudice amministrativo. Quindi, oltre la violazione del principio di legalità abbiamo anche l’inosservanza dell'articolo 23, perciò c'è la violazione di una riserva di legge siccome è solo la legge che può decidere nuove prestazioni personali e pa- trimoniali e non certo una fonte secondaria di secondo grado. Si dice poi ancora che questo articolo 54 violerebbe ancora tutte quelle norme contenute nella prima parte della costituzione che tutelano i diritti e le libertà fondamentali della persona, in particolare la libertà persona- le, la libertà di soggiorno e circolazione, la libertà di riunione, la libertà in materia di iniziativa economica, in quanto le limitazioni a questi diritti sono sempre possibili per il principio dello stato di diritto solo qualora siano assunte da un atto avente forza di legge. Invece, qui, la limitazione della libertà della persona intesa co- me divieto di tenere determinati comportamenti per i quali si può chiedere l'elemosina senza utilizzare forme moleste o invasive non può essere limitato sulla base di un provvedimento legislativo, ci potrebbe essere una disposizione di legge che stabilisce che è vietato mendicare per le strade, ma questo dovrebbe essere deciso in un atto del Parlamento, in quanto solo il Parlamento come espressione della sovranità popolare, quale organo elettivo dei cittadini può decidere di comprimere quei diritti fondamentali che sono stabiliti nella prima parte della costituzione. Un'altra questione individuato dal giudice remittente è in riferimento agli articoli 2 e 3 della costituzione: di- gnità della persona e diritto di uguaglianza. Si dice “la norma in oggetto sarebbe illegittima in ragione del suo contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., poiché implica che la disciplina di identici comportamenti – anche quando espressivi dell’esercizio di di- ritti fondamentali, e dunque necessariamente garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale – venga irragionevolmente 42 differenziata in rapporto ad ambiti territoriali frazionati. L’indicato frazionamento, d’altra parte, comporrebbe una lesione dei principi di unità ed indivisibilità della Repubblica (art. 5 Cost.), di legalità (art. 97 Cost.), di riparto delle funzioni amministra- tive (art. 118 Cost.)”. Qual è la ragione per la quale solo il Parlamento o comunque un atto avente forza di legge può andare a comprimere o a limitare l'esercizio di diritti fondamentali? Quella per cui non solo il Parlamento è l'organo rappresentativo di tutti i cittadini, ma anche quello per cui la valenza di questi atti, aventi valore o forza di legge, è nazionale, si applica uniformemente su tutto il territorio; se noi invece facciamo dipendere l'applicazione di restrizioni della libertà di principi solo ad opera di atti amministrativi quali ordinanze che possano avere efficacia solo ed esclusivamente nel territorio di riferimento e in questo caso nell'ambito del Comune, noi andremmo a creare una situazione che possiamo definire a macchia di leopardo, cioè non è pos- sibile che sia un'autorità amministrativa a decidere quale è il grado di oppressione di diritti fondamentali e questo lo faccio valere solo in riferimento al suo territorio. Ora ci occupiamo della decisione che viene trattata al punto 2. Finora sono state selezionate le questioni che il giudice Tar aveva indicato nell'atto di remissione alla corte; adesso il giudice costituzionale fa proprie queste osservazioni giuridiche e le pone a base della sua decisione. La prima questione di cui si occupa il giudice costituzionale è l'eccezione di inammissibilità che era stata solle- vata dalla difesa dello Stato con la quale si dice che in fondo non era necessario arrivare al giudice costituzio- nale e dunque sarebbe stato incompetente il giudice costituzionale a risolvere la questione perché questa que- stione avrebbe potuto essere risolta direttamente davanti al giudice amministrativo, in fondo quello che si contestava era la legittimità di un’ordinanza, quindi di un atto amministrativo, la legittimità dell'ordinanza che viene fatta valere con un atto amministrativo davanti al giudice amministrativo. Perché allora giudice ammini- strativo non ha dichiarato direttamente annullabile e dunque ha annullato direttamente l'ordinanza? Il giudice non avrebbe potuto farlo perché il giudice amministrativo si rende conto che quell'ordinanza così com'è stata assunta risponde a quanto prescritto da quella disposizione normativa, cioè non ha violato una disposizione di legge ma la ha applicata, il problema è a monte e consiste nell'applicazione di quella legge in quanto questa applicazione comporta di fatto violazione dei principi costituzionali, ma la sindacabilità dell'atto amministrati- vo deve essere fatta in ragione della legge è la regola e quell'ordinanza è rispettosa, cioè ha applicato una legge; il problema è dunque nella disposizione di legge che è troppo vaga e generica nell'attribuzione di potere all’amministrazione e quindi il giudice costituzionale afferma che il Tar ha fatto bene a porre la questione per- ché egli di fatto non avrebbe potuto dichiararla illegittima. Quindi il giudice costituzionale afferma la sua competenza sulla questione in quanto questa è rilevante poiché nel processo principale non si sarebbe potuto risolvere il problema in quanto la legittimità di un provvedi- mento può essere valutata solo in base alla disposizione legislativa che applica e in questo caso l'applicazione è stato impeccabile. Nel merito viene posta l'attenzione sul fatto che questo potere normativo riconosciuto al giudice, viene attri- buito in riferimento ad atti che possono essere anche non contingibili e urgenti e questo deroga, come dice la corte costituzionale, può essere legittima solo se limitata nel tempo, a sostegno di questa tesi vengono citate alcune sentenze che hanno posto alla loro base questo principio della temporaneità dell'atto-ordinanza ammi- nistrativo, e comunque, precisa la corte costituzionale, nei limiti della concreta situazione di fatto che si deve fronteggiare. Probabilmente se nella norma non fosse stato inserito quel “anche”, la norma sarebbe stata più difficile da scrutinare sotto il profilo della legittimità, salvo il fatto che questi due presupposti sembrano assolutamente imprescindibili; cioè io non posso attribuire un potere di deroga illimitato nel tempo ad un'autorità ammini- strativa perché così avrebbe la stessa funzione che al Parlamento, di fatto viene ad incidere su una norma che non viene più drogata, ma abrogata. Così come anche il fatto che deroghe temporalmente limitate adottate per ordinanza siano possibili purché fronteggiano delle situazioni di emergenza. Molto importante è il principio che viene stabilito nel punto 4. Qui si dice (entriamo nel cuore del principio di legalità) “Le considerazioni che precedono non esauriscono tuttavia l’intera problematica della conformità a Costituzione della norma censurata. Quest’ultima attribuisce ai sindaci il potere di emanare ordinanze di ordinaria amministrazione, le quali, pur non potendo derogare a norme legislative o regolamentari vigenti, si presentano come esercizio di una discrezionalità praticamente senza alcun limite, se non quello finalistico, genericamente identificato dal legislatore nell’esigenza «di prevenire e di eliminare gra- vi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana»”. Quindi qui la norma attributiva del potere non soddisfa il principio di legalità, siccome si limita ad indicare il fine, in modo tra l'altro generico ed evanescente, per il quale è attribuito, ma non lo circostanzia, non lo precisa in riferimento alle modalità e ai tempi del suo esercizio. “Questa Corte ha affermato, in più occasioni, l’imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri ammini- strativi venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto. Tale principio non consente 45 devono essere confuse con i provvedimenti di concessione. Il provvedimento di concessione prevede sempre una rapporto bilaterale di “do ut des” (ti do una cosa affinché tu me ne di un'altra) questo perché ovviamente il godimento, ad esempio, del bene pubblico, l'affidamento di un servizio al privato ha come contropartita il fatto che l'amministrazione ricavi comunque delle somme patrimoniali per quel godimento del bene, per quel- la concessione di quel servizio; diverso è il caso in cui la pubblica amministrazione in determinate situazioni, come quelle di calamità pubbliche-disastri, decide di dare delle sovvenzioni o dei benefici patrimoniali a fondo perduto a dei soggetti privati: anche qui ovviamente si tratta di un potere autoritativo siccome questo potere implica il potere di scelta dell'amministrazione, perché saranno diversi i soggetti che ne fanno richiesta, ma in quanto anche in questo caso le risorse sono limitate sarà necessario, tra soggetti che hanno fatto richiesta, in- dividuare quelli più idonei a ricevere i benefici patrimoniali che possono consistere in erogazione di somme a fondo perduto oppure si può trattare anche di benefici economici che vengono concessi specificando che non devono essere dovuti determinati tributi assicurando un certo vantaggio economico al soggetto privato. Quindi, anche nel caso delle sovvenzioni, il potere è selettivo siccome le risorse sono limitate della pubblica amministrazione deve decidere quali sono i soggetti che hanno diritto ad usufruire di questa sovvenzione, ma siccome non c'è una controprestazione da parte della controparte e perciò la pubblica amministrazione non può valutare sulla base, ad esempio, del progetto prospettato dal privato, per garantire l'imparzialità della pubblica amministrazione, la pubblica amministrazione deve stabilire a monte, quindi limitare la propria valu- tazione, dei criteri oggettivi, dai quali ovviamente non dipende una valutazione discrezionale, che dovranno guidare la scelta dell'amministrazione. Quindi l'amministrazione in base all'articolo 12 della legge 241 stabilisce delle regole che autolimitalo la scelta dell'amministrazione, queste regole determineranno in modo quasi au- tomatico quale sarà il soggetto che potrà godere di queste sovvenzioni. Oggi si parla di crisi della concessione. Per quanto sia stato affermato in sede europea, soprattutto in relazione all'affermazione del principio di libera concorrenza, si impone, da parte della pubblica amministrazione, che le selezioni che vengono effettuate tra i vari soggetti privati per l'individuazione di chi dovrà svolgere, per esem- pio, il servizio pubblico; debbano essere precedute da una gara a evidenza pubblica; cioè, il principio di libera concorrenza impone il fatto che la pubblica amministrazione vada a determinare l'individuazione del soggetto con cui contrattare, a cui concedere quel servizio: non attraverso un potere discrezionale, ma attraverso una gara pubblica che in qualche modo va a selezionare la scelta del contraente; cioè la normativa europea, emana- ta attraverso una serie di direttive e che è volta a garantire il principio di libera concorrenza, impone sempre più che la scelta del contraente per l'affidamento del servizio non venga esercitata attraverso un potere con- cessorio dell'amministrazione, ma si svolga attraverso una selezione pubblica cioè attraverso l'indizione di una gara pubblica a cui tutti coloro che hanno i requisiti possono partecipare, in teoria, dal punto di vista dell'u- nione europea, questo procedimento migliorerebbe il meccanismo delle concessioni, in effetti dovrebbe esse- re così, ma la realtà ci dimostra che spesso queste gare sono manipolate. Migliorerebbe il meccanismo delle concessioni in quanto la gara con la pubblicazione del bando in primo luogo permetterebbe di reperire sul mercato molti più soggetti in grado di offrire la prestazione richiesta aumentando in tal modo le possibilità di individuare il soggetto più idoneo a svolgere il servizio siccome amplia lo spettro dei possibili interlocutori; inoltre i criteri attraverso i quali posso aggiudicare la gara sono o il criterio economico (do l’appalto al sogget- to che indipendentemente dalle caratteristiche del servizio mio offre maggiori vantaggi economici) o il criterio della offerta più vantaggiosa (in questo caso c'è un profilo di discrezionalità dell'amministrazione in quanto questa dovrà cercare-selezionare le varie domande pervenute non soltanto valutando quale sia il prezzo mi- gliore offerto dal privato, ma andrò a valutare anche l'offerta complessivamente: cioè il prezzo viene rapporta- to anche alle modalità di svolgimento). Ora, passiamo ad analizzare i provvedimenti che possiamo definire ablatori e che quindi hanno sulla sfera giu- ridica del privato un effetto opposto rispetto a quelli finora esaminati in quanto vanno a restringere la sfera giuridica del soggetto. Quindi, attraverso i poteri ablatori la pubblica amministrazione incide negativamente sulla sfera giuridica del destinatario del provvedimento o imponendo obblighi al destinatario, ad esempio: un obbligo di fare o di non fare, o sottraendo, al privato, dei diritti che gli pertinevano o delle situazioni giuridi- che soggettive trasferendole, viceversa, in capo all'amministrazione, l’esempio per eccellenza in questo caso è l'esproprio. Allora soffermiamoci sull'espropriazione che forse storicamente è il più consolidato dei procedimenti ammi- nistrativi ablatori. L'espropriazione consiste nell'estinzione del diritto di proprietà in capo ad un soggetto, il soggetto espropriato, estinzione del suo diritto di proprietà che deve e può avvenire solo ed esclusivamente per motivi pubblico interesse. A questa distinzione del diritto di proprietà in capo al privato corrisponde con- 46 temporaneamente la costituzione dell'analogo diritto in capo al soggetto espropriante: in genere la pubblica amministrazione. Perché, con riferimento all'espropriazione, non si parla di trasferimento? Il potere espropriativo tecnicamente non attua un trasferimento di un bene di un soggetto privato in capo all'amministrazione, l'effetto è analogo, ma la legge prevede che ci sia prima l'estinzione di quel diritto in capo al soggetto privato e poi dopo, automa- ticamente, la ricostituzione di quel diritto in capo alla pubblica amministrazione. Il legislatore ha voluto indi- viduare il procedimento espropriativo in queste due operazioni perché in realtà il diritto di proprietà in capo ad un soggetto potrebbe, in via del tutto ipotetica, essere gravato da pesi e l'amministrazione ha la necessità di acquistare questo diritto libero da pesi ecco perché allora non si parla di trasferimento, in quanto se l'effetto fosse quello del trasferimento il bene verrebbe trasferito con tutti i suoi pesi, invece l'amministrazione ha la necessità di acquistare il bene privo di condizionamenti. Quindi con l'espropriazione si costituisce un diritto di proprietà o altro diritto reale in capo al espropriante, previa estinzione del diritto in capo ad altro soggetto, cioè l'espropriato, sempre ed esclusivamente per motivi di pubblico interesse e sempre dietro versamento di un indennizzo. Perciò, come si diceva, il procedimento espropriativo è uno dei primi procedimenti che storicamente è stato oggetto di una disciplina legislativa molto articolata. Inizialmente, la disciplina del procedimento di espropria- zione viene posta in una legge del 25 giugno 1865 numero 2359. Questa legge era titolata: “Espropriazione forzata per causa di utilità pubblica”. Però, leggendo la definizione data poc'anzi, l'espropriazione per motivi di interesse generale, per motivi di interesse pubblico è richiamata anche dalla nostra costituzione; in partico- lare la nostra costituzione pone il principio generale dell'indennizzo: cioè questo trasferimento è possibile sempre perché avvenga sulla base di interessi pubblici, ma dietro versamento di un indennizzo. Questa è una garanzia che pone la stessa costituzione, quando si occupa del diritto di proprietà, affermando che la proprietà non può essere espropriata per motivi di interesse generale salvo la corresponsione di un indennizzo. Si parla di indennizzo tutte le volte che la pubblica amministrazione compie un'attività dannosa, ma lecita. Pertanto se la pubblica amministrazione per ragioni di pubblico interesse compie un'attività che procura ne- cessariamente un danno al privato, ma questo danno non è ingiusto perché è l'azione non è illecita, in questo caso si deve corrispondere quello che tecnicamente viene definito indennizzo. Dunque l'indennizzo si caratte- rizza per il fatto che non deve essere tale da ristorare completamente il danno che il privato subisce in quanto questo è un principio che vale per il risarcimento del danno, cioè per il danno che sia stato ingiustamente o contra ius determinato. Nel caso dell'espropriazione l'attività dannosa è compiuta dalla pubblica amministra- zione per un'attività che di attuazione di un pubblico interesse, tuttavia, il costituente si è reso conto che il danno che viene patito dal privato è un danno ingente e rilevante e pertanto ha previsto la necessità che il de- creto di esproprio, per la sua legittimità, sia accompagnato dal versamento di un indennizzo. La costituzione parla della garanzia di questo indennizzo, ma non individua quale sia il criterio per la sua determinazione. Ab- biamo già visto che in sè l’indennizzo non deve rappresentare la corresponsione esatta in termini patrimoniali del bene che si è perso. Dunque se la costituzione non stabilisce il criterio di indennizzo questo lo si trova nelle leggi. Spesso i criteri che venivano individuati dalle leggi avevano come risultato quello di svuotare di significato l'indennizzo pre- vedendo delle somme veramente irrisorie garantendo in tal modo il dato formale, ma sostanzialmente l'in- dennizzo al privato non c'era. In seguito a questo svuotamento dell'indennizzo ci sono state diverse impugna- zioni di queste leggi che hanno cercato di sminuire l'indennizzo. Si raggiunge una soluzione grazie alla corte costituzionale che ha dettato un criterio che l'amministrazione deve rispettare nel momento in cui va a deter- minare i criteri per indennizzare il bene espropriato. La corte costituzionale ha affermato che il legislatore può stabilire i criteri per la determinazione dell'indennizzo, ma ciò che deve sempre essere garantito qualunque sia il criterio individuato, consiste nel fatto che l'indennizzo rappresenti comunque è sempre un serio ristoro. Una delle ultime leggi in materia, per esempio la 244 del 2007 prevedeva che il criterio dell'indennizzo doves- se essere calcolato sulla base del valore venale del bene con eventuale riduzione del 25%. Oggi il testo unico rimette questa fase della determinazione dell'indennizzo più in una sorta di contrattazione con il soggetto pri- vato mantenendo però come riferimento l'indirizzo proposto dalla legge 244 del 2007. Pertanto questo nuovo modello prevede l'instaurazione di una fase di contraddittorio con il privato per la determinazione dell'inden- nità, c'è cioè una stima che viene fatta dall'amministrazione in via provvisoria che viene comunicato al privato il quale ha la possibilità poi di far verificare la somma anche a dei suoi consulenti tecnici e a porre in una tren- tina di giorni per fare una sorta di controfferta. Se le parti si accordano la vicenda si chiude altrimenti la pub- blica amministrazione determina in modo autoritativo l’indennizzo qualora non ci sia l'accordo nonostante si cerchi sempre di favorirlo. Qualora l'indennizzo venga stabilito in modo autoritativo dall'amministrazione del 47 privato ha sempre la possibilità di contestarlo davanti alla corte d'appello, quindi viene data la possibilità al soggetto privato di rivolgersi ad un giudice per verificare in qualche modo il criterio del serio ristoro che la pubblica amministrazione nella contrattazione privata potrebbe non aver considerato. Oggigiorno tutta la materia è stata ordinata nel testo unico in materia di espropriazione del 2001 che sostan- zialmente ha fatto un'operazione di tipo ricognitivo, ha operato un'unificazione dei testi normativi; prima di questo testo unico c'erano moltissime leggi disperse nell'ordinamento che rendevano all'interprete particolar- mente difficoltoso la comprensione del procedimento che doveva essere impiegato con riferimento all'espro- priazione che voleva attuare. Pertanto c'è stata questa operazione di unificazione e il testo unico ha diviso questo procedimento amministrativo in quattro fasi: la prima fase, che caratterizza e apre il procedimento amministrativo, è l’apposizione del vincolo finalizzato all'esproprio cioè viene posto un vincolo da parte dell'amministrazione sul bene che è finalizzato all'esproprio. La seconda fase consiste nella dichiarazione di pubblica utilità del bene che dovrà essere costruito sostanzialmente su quel terreno, sul bene espropriato op- pure dichiarazione di pubblica utilità del bene che si vuole espropriare. Il terzo passaggio consiste nell'emana- zione del decreto di esproprio. Infine l'ultima fase consiste nella determinazione dell'indennità. Dunque abbiamo: apposizione del vincolo, dichiarazione di pubblica utilità, emanazione del decreto di espro- prio e determinazione delle indennità. Il potere espropriativo è attribuito a tutte le amministrazioni (stato, regioni, comuni) che siano competenti a realizzare un'opera pubblica. Quindi possiamo dire che si tratta di un potere, in qualche modo, diffuso perché spetta a tutte quelle amministrazioni che possono eseguire un'opera pubblica mentre in passato era concentra- to solo in capo al prefetto ed è anche in qualche modo potere accessorio: cioè è un potere strumentale alla funzione di realizzare un'opera pubblica. Soffermiamoci sull'apposizione del vincolo al bene è circondata da alcune garanzie perché anche qui si preve- de la partecipazione del proprietario al quale deve essere avviato con un congruo anticipo un avviso di avvio del procedimento affinché possa formulare nei 30 giorni successivi le sue osservazioni. Pertanto si instaura già una contraddittorio in questa fase iniziale siccome già con l'apposizione del vincolo il proprietario, ahimè, ca- pisce che il suo bene sarà oggetto di espropriazione e dunque già in questa fase si chieda al privato di parteci- pare affinché possa presentare le sue osservazioni. Il vincolo ha una durata di 5 anni ed entro questo termine deve intervenire la dichiarazione di pubblica utilità, cioè deve intervenire quell'atto che riguarda la fase succes- siva: l'amministrazione appone il vincolo ed entro i 5 anni successivi la pubblica amministrazione deve fare in- tervenire la dichiarazione di pubblica utilità. Siccome il vincolo costituisce degli effetti già giuridici lesivi in ca- po al proprietario, perché il proprietario sa già quale sarà il destino del suo bene, questo atto endoprocedi- mentale, può essere direttamente impugnato davanti al giudice amministrativo in quanto già produttivo di ef- fetti lesivi. La dichiarazione di pubblica utilità a sempre costituito una fase fondamentale del procedimento di esproprio siccome accertava la conformità di un'opera da realizzare all'interesse pubblico e quindi in questo modo si le- gittimava il trasferimento coattivo del diritto di proprietà dei terreni sui quali era prevista la costruzione dell’opera. Cioè, in fondo, la dichiarazione di pubblica utilità diceva di sottraggo il terreno perché è fonda- mentale per un determinato interesse pubblico che ti indico nella dichiarazione. Molte leggi speciali hanno pe- rò dequotato questa fase ritenendola assorbita e inclusa negli atti successivi, però, diciamo che tuttavia l'auto- nomia di questo atto è importante perché la dichiarazione di pubblica utilità ha a sua volta una utilità tempo- ralmente limitata che è nuovamente di 5 anni e il decreto di esproprio, che è l'atto successivo, deve intervenire prima che sia scaduta pena la nullità del decreto; dunque questo è uno di quei casi in cui l'amministrazione non ha più il potere, lo ha in astratto, ma non in concreto. Il decreto di esproprio segna l'estinzione e la nuova costituzione del diritto di proprietà dal soggetto espro- priato al soggetto espropriante. Questo decreto porta con sé anche l'estinzione automatica di tutti quei diritti che gravano sul bene espropriato: la pubblica amministrazione acquista il bene libera da pesi. Infine l'ultima fase: la determinazione dell'indennizzo oggigiorno è rimessa inizialmente a una fase di contrad- dittorio contro interessati: l'amministrazione fa una proposta i privati possono decidere se accettare o rifiutar- la instaurando davanti alla corte d'appello un'istanza per determinare una congrua indennità. Bisogna ancora soffermarsi sull'occupazione temporanea del bene. Talvolta succede che la pubblica ammini- strazione decida di occupare il bene prima che sia emanato il decreto di esproprio. Abbiamo l'occupazione temporanea del bene in tre casi: quando l'amministrazione ritenga che l'avvio dei lavori rivesta un carattere d'urgenza tale da non poter attendere il perfezionamento del procedimento amministrativo ordinario, quindi per ragioni di urgenza di costruzione dell'opera pubblico; oppure in relazione a progetti di grandi opere pub- bliche previsti nella legge obiettivo; oppure ancora quando la procedura espropriativa riguarda più di 50 pro- 50 può andare a sindacare giudice amministrativo in riferimento al potere discrezionale. Il fatto che il giudice non possa andare a sindacare il merito della scelta significa che se la pubblica amministrazione ha rispettato tutti i passaggi procedimentali e quindi, diciamo, ha rispettato tutte le norme di azione che sono previste nella legge sul procedimento amministrativo e avendo rispettato tutte queste norme ha diverse ipotesi di provvedimento da adottare che risultano tutte legittime in quanto conformi all'interesse pubblico e tutte le rispettose dei prin- cipi e delle norme che regolano la sua azione; allora, tra questo ventaglio di ipotesi la pubblica amministrazio- ne ha la libertà di scegliere quella più opportuna premettendo che sono tutte ipotesi legittime di provvedimen- to. Quello che il giudice amministrativo non può andare a sindacare, dunque, è il fatto che l'amministrazione abbia scelto la soluzione A piuttosto che la soluzione B o C o … Questo attiene al merito della pubblica am- ministrazione che è sottratto, in via di massima, al sindacato del giudice amministrativo e che pertanto noi possiamo considerare come insieme delle soluzioni ipotizzabili come compatibili con il principio di congruità e legittimità dell'azione amministrativa in quel caso concreto. È stato posto questo vincolo al giudice amministrativo in quanto se il giudice scendesse a sindacare il merito dell'azione amministrativa andrebbe a invadere un potere che non gli spetta facendosi egli stesso amministra- tore in quanto deciderebbe qual è la scelta che dovrebbe essere adottata, ma questo cozza con il principio del- la separazione dei poteri. Abbiamo, quindi, già fatto una distinzione tra quello che è il procedimento amministrativo e quello che è il provvedimento amministrativo, quest'ultimo è il risultato dell'azione procedimentale. Possiamo definire il procedimento amministrativo prendendo spunto da una definizione data da Feliciano Benvenuti il quale sostiene che si possa definire procedimento amministrativo come la forma della funzione amministrativa, così come l'elaborazione-nascita della legge ha bisogno di passaggi formalizzati in Parlamento. Quindi il procedimento amministrativo è la forma esteriore del potere discrezionale amministrativo con la quale si manifesta il farsi dell'azione amministrativa. Nel procedimento amministrativo il potere prende vita, si concretizza in una serie di passaggi concatenati l'uno con l'altro e finalizzati a quello che è il risultato finale, cioè l'emanazione del provvedimento amministrativo. Ovviamente, il fatto che ci sia una legge sul procedi- mento amministrativo ci dice che esistono delle norme di azione (in questo caso poste con una legge dello Stato) che stabiliscono come e con quali modalità questo potere deve essere esercitato. Perché è necessaria una legge sul procedimento amministrativo? Noi, in Italia, siamo stati per molto tempo senza una legge sul procedimento amministrativo, fino al 1990 non esisteva. Che cosa vuol dire il fatto che non avessimo una tale legge? Voleva dire che l'amministrazione prima di quel momento non seguiva regole circa le modalità di esercizio del suo potere? Diciamo, i passaggi attraverso i quali il potere discrezionale do- veva prendere vita non erano formalizzati, ma c'era stata tuttavia un'importante azione della giurisprudenza che attraverso le sue decisioni aveva di fatto creato delle regole che la pubblica amministrazione doveva ri- spettare perché altrimenti si sarebbe vista annullare i propri provvedimenti del giudice amministrativo qualora i cognati. Questo ci dice che le regole esistevano e sono state create dalla giurisprudenza amministrativa a se- guito di una serie di ricorsi intentati dai privati e queste regole trovavano il loro punto di riferimento nei prin- cipi dell'azione amministrativa, principi costituzionali o principi fissati in leggi specifiche sui singoli procedi- menti amministrativi, ma una legge generale che fissasse una griglia minima di garanzie come quella 241 del 1990 non c'era, questo ci dice che la legge 241 è il portato di tutta una serie di principi elaborati dalla giuri- sprudenza nel corso degli anni e che poi il legislatore ha fatto propri e ha trasfuso in questa legge. La legge 241 è minima, nel senso che è composta solamente da 31 articoli che nel tempo sono stati ampliati, ma nella sua prima forma si trattava di una legge, per così dire, leggera che fissava i principi dell'azione ammi- nistrativa così come era venuta a delinearsi nel tempo a seguito delle censure di legittimità che la giurispru- denza aveva mosso all'azione dell'amministrazione. Quindi si configura, potremmo dire ancora oggi, come una griglia minima di regole che l'amministrazione deve rispettare per tutelare il cittadino; è possibile, poi, che esistano leggi speciali relative a procedimenti tipici che in qualche modo aumentano le garanzie, ma se nulla è previsto tutte le amministrazioni sono tenuti al rispetto di questa legge generale sul procedimento amministra- tivo. L'Italia arriva tardi all'adozione di una legge generale sul procedimento amministrativo rispetto agli altri paesi europei. La prima legge importante sul procedimento amministrativo è la legge federale tedesca. Il fatto che l'Italia abbia adottato tardivamente una tale legge ha avuto dei vantaggi in quanto l'Italia ha potuto tener conto delle varie esperienze maturate livello europeo traendo da ciascuna il meglio. Perché a un certo punto il legislatore italiano ha deciso di trasfondere quei principi che in fondo erano già sta- ti affermati e che si facevano già rispettare in un corpus legislativo? Ha deciso, il legislatore italiano, di trascri- vere tali principi in quanto enuclearli in un procedimento amministrativo significa dare pubblicità, rendere 51 conoscibili all'esterno quelli che sono i vari passaggi che l'amministrazione deve compiere per arrivare alla de- terminazione finale. Dunque codificare il procedimento amministrativo significa agevolare la tutela dei privati perché significa che si rendono visibili, conoscibili, trasparenti i passaggi dell'azione amministrativa; certo non tutti cittadini conoscono la legge sul procedimento amministrativo, ma ancor meno conoscono le regole che vengono elaborate dai giudici amministrativi. Quindi è importante in qualche modo per la tutela del cittadino che queste regole trovino un'espressa codificazione e soprattutto vengano in parte sottratte al fluttuare della giurisprudenza amministrativa, cioè, fissiamo in una legge regole la cui violazione diventa violazione di legge e può essere sempre fatta rispettare indipendentemente dagli orientamenti che maturano presso il giudice am- ministrativo, sono punti fermi per i quali non si torna indietro in quanto trovano una codificazione a livello legislativo; certo rimane importante l'azione della giurisprudenza che elabora delle interpretazioni di questa legge. Questa codificazione non è utile solo per il privato, ma anche alla stessa amministrazione in quanto fissare le regole del proprio agire, scandire i passaggi necessari della propria azione significa costringere l'amministra- zione a decidere secondo quella che si definisce una razionalità procedurale. Se io, legislatore, scandiscono a te, amministrazione, i passaggi obbligatori che devi percorrere prima di arrivare al provvedimento finale, si- gnifica che è più difficile per te, amministrazione, arrivare ad elaborare un provvedimento amministrativo non conforme all'interesse pubblico e questo avviene in quanto la pubblica amministrazione ha una griglia sulla base della quale deve procedere. Con la formulazione della legge sul procedimento amministrativo vengono resi conoscibili all'esterno i pro- cessi decisionali dell'amministrazione che devono essere formalizzati anche in alcuni atti interni al procedi- mento amministrativo e così mi è più semplice stabilire quali sono stati i percorsi logico-giuridico-normativi che l'amministrazione ha compiuto per addivenire all’emanazione di quel provvedimento, ho diversi momen- ti, atti endoprocedimentali, diversi passaggi che mi scandiscono le fasi decisionali e siccome oggigiorno è permesso l'accesso ai documenti anche interni al procedimento amministrativo io, privato cittadino, posso conoscere le motivazioni che hanno portato via via la amministrazione a emanare quel provvedimento. La legge sul procedimento amministrativo si applica in base all'articolo 29, intitolato “Ambito di applicazione (soggettivo) della legge” della stessa legge. [Per ambito di applicazione soggettivo della legge si intende quale soggetto deve necessariamente tenere conto della legge 241 del 1990]. Innanzitutto “Le disposizioni della presente legge si applicano alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali.” C'è un problema relativo all'applicazione di questa legge che si è posto in seguito alla riforma (2001) del titolo V della costituzione, riforma successiva alla legge 241 del 1990. La legge 241 è una legge dello Stato e pertanto in seguito all'inversione del reparto di competenze tra regioni e Stato per cui spettano allo Stato solo i poteri normativi che vengono delineati all'ar- ticolo 117 comma II, mentre, in base al comma IV, tutto quello che non è stabilito al comma II e III riguarda la potestà legislativa esclusiva delle regioni, allora ci si è chiesti se questa legge, che potrebbe essere applicata a tutte le amministrazioni e in quanto dettata dallo stato, si potesse applicare, per l'appunto, anche alle ammini- strazioni regionali o meglio se le amministrazioni regionali sulla base dell'articolo 117 comma IV avessero la possibilità di dettarsi delle leggi proprie sul procedimento amministrativo o addirittura di decidere di non ri- spettare questa legge perché non esiste nell'ambito delle norme che sono riservati alla competenza esclusiva dello Stato, non esiste la materia procedimento amministrativo. Quindi logicamente si è dedotto che, non es- sendo nelle materie di competenza statale e nemmeno nelle materie di competenza concorrente (comma III dell'articolo 117) che avrebbe potuto salvare un'applicazione generalizzata della legge 241 anche alle regioni come legge cornice, le amministrazioni regionali, in base a quanto ascritto nel comma II, abbiano la possibilità di dettare delle discipline proprie del procedimento amministrativo con la conseguenza di avere una legisla- zione sul procedimento amministrativo a macchia di leopardo. Presa nota di questa problematica il legislatore è intervenuto successivamente individuando degli istituti con- templati nella legge 241 del 1990 come per esempio il diritto d'accesso ai documenti, come ad esempio la par- tecipazione al procedimento amministrativo dei privati,… Istituti che sono stati definiti come relativi ai livelli essenziali delle prestazioni, cioè questi istituti contenuti nella legge 241 del 1990 attengono alla materia livelli essenziali delle prestazioni che sono materia rimessa alla competenza esclusiva dello Stato in quanto contenu- to nell'articolo 117 comma II lettera M che rimette alla potestà esclusiva dello Stato i livelli essenziali delle prestazioni. In questo modo si sono sottratti gli elementi essenziali alla possibilità di essere modificati dalle re- gioni. Quindi le regioni non possono elaborare dei principi che vadano a detrimento di quelle che sono le ga- ranzie minime previste ed enucleate da questa legge come livelli essenziali delle prestazioni. Pertanto per la stragrande maggioranza dei provvedimenti amministrativi hanno base normativa nella legge 241. 52 “Le disposizioni di cui agli articoli 2-bis (termine amministrativo di conclusione del procedimento), 11 (accordi tra privati e pubblica amministrazione), 15 (accordi tra amministrazione) e 25, commi 5, 5-bis e 6 nonché quelle del capo IV-bis (invalidità del provvedimento amministrativo) si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche”. Al comma 2-bis si dice: “Attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costitu- zione le disposizioni della presente legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione dell'interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di concluderlo entro il termine prefissato e di assicurare l'accesso alla documentazione amministrativa, nonché quelle relative alla durata massima dei procedimenti”. Al comma 2-ter: “Atten- gono altresì ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposi- zioni della presente legge concernenti la dichiarazione di inizio attività e il silenzio assenso […]”. Possiamo dire dunque che il legislatore ha enucleato circa i quattro quinti degli istituti previsti nella legge 241 come attinenti ai livelli essenziali e pertanto non modificabili da parte delle regioni. Riassumendo le regole contenute nella legge 241 si applicano a tutte le amministrazioni statali e agli enti pub- blici nazionali, ma siccome l'amministrazione moderna è caratterizzata dalla complessità dei soggetti questa legge si applica anche a quei soggetti privati che esplicano attività funzionalità, attività di pubblico interesse. Pertanto questo ci fa dire che la linea di demarcazione per l'applicazione di questa legge non è più di carattere soggettivo in quanto non dobbiamo tanto guardare se un soggetto è pubblico o privato, ma dobbiamo sof- fermarci sul tipo di attività che svolge perché se il soggetto sia esso pubblico o privato svolge un'attività fun- zionalità, un'attività pubblica, allora, preminentemente dalla sua natura giuridica dovrà essere sottoposto alle regole sul procedimento amministrativo. Una conferma ulteriore dell'applicazione di questa legge nei con- fronti di soggetti privati che svolgono un'attività pubblica ci è data dal comma 2-quarter che nel precisare che “Le regioni e gli enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, non possono stabilire garanzie infe- riori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni” ci fa capire come queste norme devono necessariamente essere applicate anche ai soggetti privati. --- --- --- Continuiamo l’analisi della legge 241 del 1990 sul Procedimento amministrativo andando ad esaminare l'arti- colo 1 della stessa legge che avevamo già presentato considerazione quando si trattava di esaminare i principi che regolano l'azione amministrativa anche perché, come si vede bene da questo incipit, l'articolo 1 proprio di quello tratta, cioè di quelle che sono le regole generali dell'ordinamento amministrativo che presiedono all'e- sercizio della funzione amministrativa, quindi che reggono il procedimento amministrativo. Art. 1: “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge”: viene esplicato qui il principio di legalità dell'azione amministrativa, la legge determina vari elementi o pone limiti positivi all'esercizio della norma: fini, tempi, modalità di azione; “ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza”: abbiamo visto che si parla di economicità la quale deve essere intesa come il rispetto di principi-dati di valenza essenzialmente numerici come, diciamo, rispetto delle risorse finanziarie delle amministrazioni, dati che ven- gono ad essere considerati come parametri giuridici solo a partire dalle riforme degli anni 90 perché inizial- mente la capacità delle amministrazioni di impiegare in modo economico le risorse non rappresentava un pa- rametro legale della sua azione, prima di queste riforme la conformità dell'azione dell'amministrazione era va- lutata solo in relazione alla sua stretta legittimità, cioè in base alla sua stretta aderenza ai parametri normativi di riferimento, ma con questo articolo, invece, vengono a configurarsi anche come vizi di illegittimità quelli che in qualche modo attengono ad un uso non corretto, non razionale delle risorse dell'amministrazione, per- ciò alla luce di questo articolo potrebbero considerarsi non legittimi provvedimenti che rispettano formalmen- te i parametri legali, ma che non considerano questi principi di carattere economico. Economicità va intesa in senso lato, cioè, non solo come riferita ad una capacità di razionalizzare le risorse finanziarie, ma economicità significa anche capacità dell'amministrazione di utilizzare con efficienza ed efficacia anche i sui mezzi perso- nali e procedimentali, cioè è un concetto che va esteso ed allargato a tutte le risorse dell'amministrazione, non necessariamente solo a quelle finanziarie. Tra l'altro, questa economicità in senso procedimentale trova un'ap- plicazione specifica in quello che è il principio di non aggravamento del procedimento amministrativo che lo stesso articolo 1 stabilisce al comma 2: “La pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria.” quanto affermato in questo comma significa rendere economico al procedimento sotto il profilo della tempistica, cioè significa che la pubblica amministra- zione ha l'obbligo, quindi un dovere giuridico, di non aggravare il procedimento pertanto non deve allungare i termini del procedimento quindi non deve caricare il procedimento di fasi che potrebbero determinare un al- lungamento dei tempi di decisione, sempre che le esigenze dell'istruttoria non richiedano un approfondimen- to e una conoscenza dello spettro informativo dell'amministrazione. Dunque si riesce a vedere come il princi- pio di economicità anche in questo comma II trovi un raggio di azione ampio che significa risparmio di risor- 55 neanche un obbligo di motivazione esaustiva essendo chiaro che non c'erano le condizioni giuridiche affinché quella domanda potesse in concreto innescare l'avvio di un potere dell'amministrazione. Il principio sarebbe importante e sarebbe anche tutto più chiaro se in realtà noi poi non trovassimo nel corso dell'esame della legge 241 del 1990 una norma successiva contenuta all'articolo 20 che in pratica sminuisce un po' quella che è la portata generale di questo principio di concludere il procedimento con un atto materiale che il soggetto ha, che può leggere, che è dotato di una motivazione e che può concretamente impugnare. Questo articolo 20 prevede, per tutta una serie di ipotesi abbastanza vasta e cioè per tutti provvedimenti ad istanza di parte, un'altra regola generale che consiste nel fatto per cui il procedimento non si conclude con un provvedimento espresso, ma si conclude con un effetto legale tipico, cioè si conclude o può concludersi con un silenzio a cui la legge riconosce gli effetti di assenso. Allora, la norma generale di cui all'articolo 2 comma I estende l'obbligo di chiudere il procedimento ammini- strativo con un provvedimento espresso per tutti i tipi di procedimento; articolo 20 estende in via generale per i procedimenti ad istanza di parte una regola opposta a quella dell'articolo 2 comma I, cioè, stabilisce che in questi casi non è necessario che l'amministrazione si pronunci con un provvedimento amministrativo, ma il semplice decorso del tempo insieme con il mantenimento del silenzio dell'amministrazione produce un effet- to legale tipico che consiste nell'accoglimento della domanda; cioè è sufficiente che l'amministrazione riservi per un certo periodo il silenzio a seguito della presentazione della domanda perché si possa produrre l'effetto che io chiedo. Un’ulteriore complicazione è data dal fatto che questo articolo 20 contiene a sua volta tutta una serie di altre eccezioni, per cui questa regola del silenzio assenso non si produce, cioè va ad individuare tutta una serie di procedimenti amministrativi che riguardano interessi rilevanti come l'interesse alla tutela del paesaggio, come l'interesse alla tutela della salute,… Insomma elenca una serie di procedimenti amministrativi, anche piuttosto numerosi, per i quali si dice che la regola del silenzio assenso non si applica. Allora si comprende come questa costruzione di questa legge, che è stata rimaneggiata nel tempo, sia compli- cata perché uno leggendo l'articolo 2 sembrerebbe avere tutto chiaro, poi, però, nel corso dell'esame della leg- ge si presentano disposizioni che da un lato sembrano ridimensionare o andare nella direzione opposta rispet- to a quella indicata nei principi. Questo discorso sull'articolo 20 serviva per portare alla nostra considerazione il fatto che molto spesso l'in- terpretazione delle leggi, anche delle leggi di principio, non sia così lineare e chiara e soprattutto non esprima un chiaro intento del legislatore che sembra spesso contraddirsi anche nello stesso contesto normativo di rife- rimento perché che ci sia contraddizione tra una norma e un testo e tra una norma successiva e un altro testo ormai oggi è la regola. Veniamo allora alle fasi del procedimento amministrativo. Abbiamo già detto che il procedimento deve segui- re un particolare ordine nella successione degli atti e delle operazioni di cui si compone. Abbiamo detto che il procedimento amministrativo rappresenta una concatenizzazione di atti e di fatti che sono finalizzati alla pro- duzione di un effetto finale, cioè hanno un legame di contenuto finalistico cioè quello di essere volti all'ema- nazione del provvedimento finale; ebbene, queste fasi esistono e queste fasi hanno anche un particolare ordi- ne di successione temporale che è determinato dalla legge e che le amministrazioni sono tenute a rispettare; per fare un esempio se il provvedimento amministrativo deve essere adottato previa adozione di un parere obbligatorio da parte di un competente organo collegiale se, magari, si tratta di una questione tecnica e di par- ticolare complessità, in quanto l'amministrazione non ha gli strumenti e la legge lo sa, questa per determinati procedimenti prevede che nel procedimento ci sia un momento obbligatorio: la richiesta di un parere di un organo tecnico altamente specializzato-qualificato che deve illuminare l'amministrazione alla luce delle sue conoscenze tecniche prima che sia adottato il provvedimento finale. Allora è chiaro che il parere ha senso so- lo se interviene prima della decisione finale perché la sua funzione è proprio quella di chiarire le idee all'am- ministrazione che la legge ritiene non essere dotata di quelle competenze tecniche necessarie per prendere una decisione. È capitato talvolta che l'amministrazione abbia adottato dei provvedimenti amministrativi non rispettando questo obbligo di motivazione e allora il privato, siccome il provvedimento non soddisfaceva il suo interesse, lo ha impugnato davanti al giudice. L'amministrazione, rendendosi conto davanti al giudice di aver commesso un rilevante errore procedimentale che avrebbe sanzionato il procedimento finale, ha messo, successivamente, nelle more del giudizio il parere che tra l'altro era conforme a quanto deciso dimostrando al giudice che il pa- rere vero non era stato chiesto nel momento temporale scandito dalle norme, però alla fine è stato chiesto, si è in qualche modo sanata la lacuna ed oltretutto questo parere era conforme alla decisione: di conseguenza, i 56 giudici amministrativi ritengono comunque annullabile e pertanto annullano il provvedimento amministrativo perché ritengono che il parere emanato ex post non possa sanare il procedimento amministrativo. Quindi questo solo per dire che queste fasi obbligatorie previste dalla legge hanno una necessaria scansione temporale che deve comunque essere rispettata dall'amministrazione, pertanto non è previsto solo un obbligo di determinati passaggi, ma è anche richiesto che quei passaggi avvengano nei tempi determinati. Comunque quello che è importante dire è che il procedimento amministrativo in genere si configura in tre fa- si: 1. una fase preparatoria, 2. una fase decisoria, 3. una fase integrativa dell'efficacia. La fase preparatoria è la fase dell'iniziativa cioè la fase in cui il procedimento si apre e questo può succedere dietro la presentazione di un'istanza, cioè di una richiesta che sia supportata da una pretesa di interesse legit- timo, da parte di chi ne abbia interesse (ad esempio un privato) oppure può essere iniziata d'ufficio dalla am- ministrazione quando si verifichino quei presupposti giuridici e di fatto che determinano l'esercizio di un po- tere pubblico. Fase preparatoria, quindi, come fase dell'iniziativa. Pertanto in questo momento l'amministra- zione compie tutti quegli accertamenti preliminari per verificare se effettivamente sussista l'obbligo giuridico di provvedere o meno; se c'è il procedimento d'ufficio il problema non si pone perché è la stessa amministra- zione che decide interpretando fatto e diritto di essere nelle condizioni di esercitare quel potere, ma ovvia- mente nella fase preparatoria dell'iniziativa in relazione ai procedimenti d’istanza, in questa prima fase prepa- ratoria vedremo che il responsabile del procedimento dovrà compiere delle indagini per vedere innanzitutto se siamo di fronte ad una richiesta di attivazione di potere che è supportata da una situazione protetta dall'or- dinamento e in quel caso deve decidere se avviare il procedimento amministrativo oppure rifiutando l'azione con una motivazione anche molto sintetica. La fase decisoria si compone a sua volta di più momenti: il momento istruttorio che corrisponde a una fase predecisoria che è relativa a quello che potremmo definire il cuore del procedimento amministrativo. In que- sta fase istruttoria l'amministrazione cerca di comprendere i fatti che stanno alla base dell'adozione del prov- vedimento amministrativo quindi acquisisce o attraverso gli atti del privato o anche autonomamente l'esatta consapevolezza dei fatti andando a verificare qual è la normativa applicabile, ma poi soprattutto nella fase istruttoria-predecisoria l'amministrazione acquisisce l'interesse cioè vede quali sono quei soggetti nei confronti dei quali il provvedimento che è destinata ad adottare potrebbe in qualche modo produrre degli effetti, perché gli effetti di un provvedimento non si producono necessariamente solo ed esclusivamente a favore o comun- que contro il suo destinatario, ma ci sono o possono anche esserci dei soggetti che possono essere, soprattut- to nei procedimenti ad istanza di parte, controinteressati all'emanazione del provvedimento amministrativo e allora anche questi soggetti sono soggetti le cui istanze trovano tutela nell'ordinamento e quindi i loro interessi devono essere acquisiti dal procedimento amministrativo. Quindi nella fase istruttoria l'amministrazione de- termina quali possono essere i suoi possibili interlocutori individuando tutta una serie di garanzie che fanno si che le varie istanze possono essere considerate nel procedimento. Dopo di che si ha la fase decisoria vera e propria la quale si completa con quella l'adozione del provvedimento: istruisce, acquisisce gli elementi che stanno alla base della decisione e infine giunge alla decisione finale con l’adozione del provvedimento finale. Il provvedimento finale esplica gli effetti verso l'esterno, è quello che produce una modificazione della sfera giu- ridica del destinatario e dei soggetti nei confronti dei quali comunque ha efficacia. Ci possono essere dei casi in cui il provvedimento emanato non è immediatamente efficace, ma per produrre effetti giuridici ha la necessità di superare un'ulteriore fase: la fase integrativa dell'efficacia. Questa fase non rappresenta la regola generale, ma si ha solo quando vi sia una specifica norma di legge che specifica quello che è invece il principio generale dice cioè, ad esempio, che il provvedimento non ha efficacia immediata se non passa il controllo di un altro organo. Quindi normalmente il procedimento amministrativo si conclude con un provvedimento che esplica direttamente efficacia, ma ci sono alcuni procedimenti amministrativi per i quali l'efficacia del provvedimento finale è attribuita solo al passaggio di un ulteriore fase che in genere si con- creta in atti di controllo sul contenuto del provvedimento da parte di organi diversi rispetto a quelli che hanno emanato il provvedimento. Per comodità abbiamo suddiviso il provvedimento in queste 3 fasi, ma non dobbiamo immaginare che nella realtà delle cose il provvedimento sia diviso in sezioni, cioè questi passaggi non trovano una esplicita riparti- zione perché l'azione provvedimentale si presenta come un continuum. Quello che forse dobbiamo ancora dire è che ci sono ancora alcuni momenti interni al procedimento ammini- strativo, endoprocedimentali, che dovrebbero essere governati dalla discrezionalità dell'amministrazione che 57 hanno trovato nelle norme che hanno innovato la legge 241 del 1990 una precisa formalizzazione. Con ciò si vuol dire che la legge non ha lasciato alla libertà discrezionale dell'amministrazione di decidere come condurre l'istruttoria, ma le ha imposto precisi momenti interni al procedimento, quindi relativi alla fase predecisionale, disciplinandone le modalità. Alcuni momenti esemplificativi, del fatto che il legislatore si sia preoccupato talvolta di formalizzare certe fasi interne l'istruttoria proprio per cercare di aumentare le garanzie di tutela del privato e per cercare di rendere sempre più conoscibile e controllabile l'azione dell'amministrazione, sono ad esempio l'articolo 10-bis che prevede il caso del preavviso in caso di rigetto, cioè c'è stata una fase istruttoria, l'amministrazione ha deciso in seguito alle risultanze che si determinerà in senso negativo il rilascio del provvedimento amministrativo, cioè sulla base degli elementi e delle istanze raccolte l'amministrazione avrebbe maturato l'idea di negare il provvedimento amministrativo richiesto, quindi significa che il preavviso di rigetto così come disciplinato all'articolo 10-bis è un istituto che vale per i provvedimenti ad istanza di parte e solo per quelli. Allora la legge impone in questo caso all'amministrazione un passaggio procedimentale ulteriore cioè, ad esempio, la legge dice di sei determinata a provvedere in senso negativo, allora prima di emanare il provvedimento amministra- tivo manda un preavviso al destinatario qual è l'esito finale dell'attività istruttoria, preavvertendolo del possibi- le rigetto della sua istanza affinché il privato possa entro i 30 giorni successivi avere la possibilità di presentare delle memorie, delle istanze per fare cambiare opinione all'amministrazione. In tal modo la legge impone all'amministrazione un obbligo endoprocedimentale. L'amministrazione mantiene comunque un potere discrezionale che le consente di mantenere negativa la ri- sposta, ma in tal caso nella motivazione finale sarà più complesso e chiaro capire perché quel provvedimento doveva effettivamente essere rigettato. Art. 10-bis: “Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimen- to o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si appli- cano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali. Non possono essere addotti tra i motivi che ostano all'accoglimento della domanda inadempienze o ritardi attribuibili all'amministrazione.”. Si può osservare dalla lettura dell'articolo come la norma delinei questo ulteriore passaggio endoprocedimentale in relazione ai procedimenti ad istanza di parte; l'obiettivo è quello di assegna- re un termine al privato affinché possa riaprire l'istruttoria o attraverso la presentazione di ulteriori documenti o attraverso delle memorie far riaprire l'istruttoria, portare nuovi elementi dell'amministrazione e cercare di convincerla a determinarsi a suo favore. Questo passaggio endoprocedimentale è curato dal responsabile del procedimento amministrativo. Se l'amministrazione si determina a decidere in senso negativo deve chiarire comunque le motivazioni per le quali insiste sulla decisione nella motivazione, quindi un’ulteriore obbligo. Un'ultima norma importante che è stata aggiunta, tra i motivi che ostano all'accoglimento della domanda, si precisa che l'amministrazione non può indicare quelle che sono le ragioni di un suo inadempimento, cioè il fatto che si sia in ritardo rispetto la tempistica del procedimento amministrativo perché un fatto che sia impu- tabile alla sua inefficienza non può certo costituire la ragione per andare a discredito delle esigenze degli istan- ti. --- --- --- L'ultima lezione abbiamo parlato dei passaggi endoprocedimentali, abbiamo visto che all'interno del procedi- mento amministrativo, in linea di massima, l'unico atto rilevante verso l'esterno è il provvedimento ammini- strativo, provvedimento che esplica efficacia verso la sfera del destinatario e verso i soggetti controinteressati. Tuttavia bisogna dire anche che all'interno del procedimento amministrativo sussistono tutta una serie di atti e di passaggi concatenati tra di loro cui la legge 241 del 90 assegna in taluni casi una rilevanza, ciò vuol dire che la legge, in questi casi, evidenzia e specifica le modalità di alcuni passaggi che quindi devono svolgersi conformemente con quanto previsto dalla norma. Abbiamo fatto alcuni esempi: l'articolo 10-bis che tratta del preavviso di rigetto, l'articolo 11 che tratta degli accordi tra privati e pubblica amministrazione i quali devono essere a loro volta in qualche modo preceduti da una determinazione dell'organo che ha la responsabilità del procedimento il quale specifica i motivi per i quali vuole arrivare all'accordo anziché agire attraverso il prov- vedimento amministrativo. Quello che è importante rilevare è che la formalizzazione di questi passaggi, specificata dalla legge, può pro- vocare una illegittimità della procedura e quindi di conseguenza del provvedimento finale nel momento in cui 60 Questo potrebbe essere il primo caso che può giustificare una tempistica più lunga che può estendersi al mas- simo fino a 180 giorni oppure questo prolungamento dei tempi potrebbe anche essere giustificato sulla base della natura degli interessi pubblici tutelati, più gli interessi pubblici tutelati sono dei valori e trovano delle ga- ranzie anche a livello costituzionale più vi è la necessità che l'amministrazione compia delle istruttorie in cui chiama a partecipare tutti i soggetti coinvolti; evidentemente, qui, per la natura degli interessi tutelati il princi- pio del giusto procedimento, cioè del rispetto del contraddittorio, della necessità che i soggetti interessati ab- biano la possibilità di far sentire la propria voce prevale sulle esigenze di celerità del procedimento ammini- strativo, tenendo sempre conto della natura degli interessi pubblici tutelati e ovviamente della particolare complessità del procedimento amministrativo. Se si tratta di un procedimento amministrativo in cui si inseri- scono all'interno altri procedimenti autonomi: acquisizione di pareri, acquisizione di organi di valutazione, gli organi tecnici,… È chiaro che l'istruttoria diviene complessa e quindi per sua natura necessariamente lunga; in questo caso l'amministrazione deve in qualche modo dimostrare la necessità di superare quello che è un ter- mine ordinario di allungamento dei tempi, quello di 90 giorni, e comunque si dice in ogni caso che questo procedimento non deve superare i 180 giorni con la deroga prevista solo per i procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l'immigrazione. È importante stabilire, per l'effettività della tutela, quando il termine di conclusione inizia a decorrere; per ave- re la certezza della chiusura, io, soggetto privato, devo avere la certezza del momento in cui questo termine inizia a decorrere, questa certezza ci viene fornita dall'articolo 2 comma VI. In questo comma si prevede che: “I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall'inizio del procedimento d'ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte.”. Allora, sui procedimenti ad istanza di parte potremmo dire che problemi relativi alla decorrenza del termine non ce ne sono perché il termine, ci dice la legge, comincia a decorrere dal- la data di presentazione dell'istanza. Più problematica è la questione relativa all'inizio del procedimento d'uffi- cio in quanto in questo caso non abbiamo un atto certo da cui far decorrere l'inizio. Abbiamo visto che il mo- vimento dell'inizio dei procedimenti amministrativi non è libero da parte dell'amministrazione, ma si tratta di una valutazione discrezionale che tiene conto della sussistenza di una serie di presupposti di fatto e giuridici ai quali la legge ricollega l'esercizio del potere, è da quando si verificano quei presupposti, che rappresentano le condizioni che innescano il potere dell'amministrazione, che l'amministrazione può esercitare quel potere. In questo caso per determinare l'inizio del procedimento amministrativo dobbiamo fare riferimento al primo at- to che compie all'amministrazione dal quale può desumersi l'apertura del procedimento amministrativo. Quindi anche qui dobbiamo ricercare un atto certo, il primo atto con il quale l'amministrazione dimostra di voler esercitare un determinato potere, cioè dimostra di voler adottare un determinato provvedimento a se- guito della sussistenza di una serie di requisiti che dovranno essere indicati in questo primo atto che rappre- senta l'inizio del potere provvedimentale. Può succedere, tuttavia, che questi termini analizzati non vengano rispettati perché vi è la necessità da parte dell'amministrazione, specie per i provvedimenti complessi, di acquisire delle nuove informazioni o di acquisi- re dei nuovi documenti, degli atti di certificazione che siano relativi a dei fatti o a degli status dei cittadini, dei privati o di beni sui quali si riflette il procedimento amministrativo che non siano già in possesso dell'ammini- strazione e che quindi non siano stati già forniti, ad esempio, dal soggetto privato in caso di presentazione di un’istanza. Cioè l'amministrazione può rendersi conto che a fronte di tutta la documentazione acquisita che ha per decidere in relazione al rilascio o meno di un determinato provvedimento amministrativo, manchino dei documenti che sono in qualche modo necessari per la formazione della sua volontà; cioè vi è necessità di ampliare, di completare lo spettro istruttorio, l'attività istruttoria perché sulla base dei documenti in possesso o acquisiti l'amministrazione non è in grado di arrivare ad una decisione. Allora, in questi casi la legge prevede la possibilità di far sospendere i termini di conclusione del procedimento amministrativo. Questi termini pos- sono essere sospesi per una sola volta, cioè l'amministrazione sostanzialmente non può eludere questo termi- ne finale del procedimento amministrativo attestando di volta in volta esigenze istruttorie per cui sulla base dei documenti che ha non è nelle condizioni di decidere, può semplicemente eludere questo termine finale so- lamente per una volta, motivando e, specifica la legge 241 all'articolo 2 comma VII, questa sospensione so- spensione dei termini non solo può essere accordata per una sola volta, ma può essere accordata per un pe- riodo non superiore a 30 giorni. Quindi nell'ambito di questa regola sulla chiusura del procedimento amministrativo noi dobbiamo considerare questa possibilità data all'amministrazione di prolungare il procedimento amministrativo chiedendo la sospen- sione dei termini, ma questa sospensione deve essere giustificata attraverso una specifica motivazione dall'amministrazione e non può essere concessa per più di una volta. 61 Allora, fin qui ci siamo occupati della disciplina che riguarda gli aspetti di normalità dell'azione amministrati- va, le regole che riguardano la normalità dei casi e che prevedano qui di un'azione certa in tempi certi. Però l'articolo 2 tratta anche le patologie della chiusura del procedimento amministrativo, gli aspetti patologici. Ciò significa ad esaminare, detta una disciplina dei casi in cui questo termine non venga rispettato; questo perché ovviamente il non rispetto di questo termine produce delle conseguenze, vediamo quali. La prima cosa che dobbiamo chiarire consiste nel fatto che questo rispetto del termine non ha carattere pe- rentorio, ciò significa che il decorrere del termine non fa decadere l'amministrazione dal potere di emanare il provvedimento amministrativo. Quindi nella generalità dei casi, quando la legge non dispone diversamente, il trascorrere del termine non fa decadere l'amministrazione dal potere di emanare il provvedimento ammini- strativo. Questo vuol dire che il provvedimento amministrativo c'è, sarà un provvedimento amministrativo il- legittimo, evidentemente però, questo ritardo nell'emanazione del provvedimento amministrativo produce delle conseguenze giuridiche, procura cioè un danno al soggetto privato da cui derivano tutto una serie di conseguenze. Innanzitutto il comma IX dell'articolo 2 stabilisce che: “La mancata o tardiva emanazione del provve- dimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo- contabile del dirigente e del funzionario inadempiente.”. Dunque un primo effetto che il ritardo o la mancata emana- zione del provvedimento entro il termine fa scaturire è a carico dell'amministrazione, in particolare a carico del soggetto dirigente che ha la responsabilità del procedimento amministrativo. Su questo soggetto, che ve- dremmo essere responsabile del procedimento amministrativo, grava l'obbligo di concludere il procedimento amministrativo entro un termine, il che vuol dire che se ciò non avviene si generano delle responsabilità a suo carico, responsabilità che possono essere di diverso tipo: innanzitutto una responsabilità disciplinare che fa ri- ferimento al comportamento del soggetto che può pertanto essere sanzionato con sanzioni disciplinari, ma anche responsabilità di tipo diverso ad esempio l'amministrazione può chiedere il ristoro delle spese al diri- gente del procedimento qualora abbia dovuto indennizzare il privato a causa delle ritardo o della mancata emanazione del provvedimento. C'è un'altra norma che in qualche modo si lega a questa la quale prevede tuttavia delle tutele anche a carico del soggetto privato: cioè che cosa può fare il soggetto privato quando vede il termine trascorso e nonostante ciò l'amministrazione rimane inerme? Ci sono diverse possibilità: una, la più drastica, consiste nel rivolgersi al giudice amministrativo: siccome sostanzialmente c'è un obbligo giuridico dell'amministrazione di chiudere il procedimento amministrativo entro un termine preciso a fronte di un'istanza, che sia un'istanza tecnica cioè che sia correlata da una situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo; siccome esiste un obbligo giuridi- co, la violazione di quest'obbligo comporta un'azione illegittima dell'amministrazione che può essere fatta va- lere davanti al giudice amministrativo. Il problema, prima, consisteva nel fatto che se l'amministrazione, prima di queste norme prima cioè che la legge 241 del 1990 stabilisse che l'amministrazione rimaneva inerme, il cit- tadino sembrava restasse sfornito di tutela in quanto non poteva impugnare nulla davanti al giudice ammini- strativo siccome non c'era un atto legittimo, ma semplicemente un comportamento di carattere omissivo. Ea giurisprudenza, che si era preoccupata di fornire una tutela anche in mancanza di norme specifiche che pre- vedevano dei procedimenti appositi, allora elaborò tutta una serie di adempimenti cui doveva dar corso il sog- getto privato e solo a quel punto si diceva che l'obbligo giuridico era stato violato e pertanto il soggetto priva- to poteva rivolgersi al giudice amministrativo. Oggigiorno tutta questa trafila è stata eliminata perché è la stes- sa legge che stabilisce l'esistenza di questo obbligo e pertanto il cittadino può impugnare questo comporta- mento omissivo direttamente davanti al giudice amministrativo e lo può fare anche attraverso un procedimen- to di carattere abbreviato, quindi attraverso un procedimento semplificato, che ha dei termini brevi ed in cui il soggetto privato chiede al giudice amministrativo di obbligare l'amministrazione a pronunciarsi, ma, inoltre, in questo caso il giudice amministrativo può anche scendere un po’ nel merito della decisione e pertanto non sancirà solo l'obbligo generale di pronunciarsi in negativo o in positivo, ma se ritiene che l'istanza dell'interes- sato sia fondata circa il rilascio del provvedimento obbligherà l'amministrazione a emettere un provvedimento di contenuto positivo. Quindi abbiamo una tutela che non si limita a dire: “cara pubblica amministrazione de- vi ottemperare all'obbligo di pronunciarti entro questo termine”, ma dirà anche, valutata la fondatezza dell'i- stanza dell'interessato, “ devi rilasciare il provvedimento amministrativo entro il tal giorno”, dunque può ri- chiedere all'amministrazione comportamento di rilascio di un'istanza satisfattiva dell'interessato. Questa è la prima e anteriormente alle ultime riforme anche l'unica e vera tutela riconosciuta al soggetto pri- vato interessato in caso di inerzia della pubblica amministrazione, tuttavia, il legislatore ha riformato di recen- te questa legge anche pensando a quelli che sono gli effetti del contenzioso amministrativo, cioè i tempi lun- ghi della giustizia, la difficoltà di ottenere delle sentenze satisfattive nei tempi brevi, pur se si tratta sempre di riti accelerati che hanno una corsia preferenziata. Cioè per cercare, in qualche modo, di ottenere un effetto 62 deflattivo del contenzioso, cioè di diminuzione del contenzioso che è favorevole per tutti: è favorevole per i giudici perché non si vedono intasare i tribunali, ma è anche favorevole per il cittadino che non deve sostene- re tutti i costi che è un ricorso comporta sia in termini di versamento del contributo unificato sia in termini di avvocati. Allora il legislatore novellando e aggiungendo dei commi a questo articolo 2 ha previsto in qualche caso un rimedio interno, cioè ha previsto in qualche modo che ci sia una figura che potremmo chiamare re- sponsabile dell'adempimento che si fa carico di portare comunque a conclusione il procedimento amministra- tivo anche quando siano trascorsi termini. L'articolo 2 comma IX-ter stabilisce che: “Decorso inutilmente il termi- ne per la conclusione del procedimento o quello superiore di cui al comma 7, il privato può rivolgersi al responsabile di cui al comma 9-bis perché, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto, concluda il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario.”. Quindi questo comma vuol dire che io, soggetto privato, vedendo trascorrere il termine senza che l'amministrazione abbia emanato un provvedimento di assenso o di diniego, vado cercare qual è questo soggetto che ha questo potere sostitutivo e che deve essere individuato dalla pubblica amministrazione e, tra l'altro, l'indicazione di questo soggetto deve essere facilmente reperibile anche sui siti della stessa amministrazione i quali per ogni tipologia di procedimento amministrativo vanno ad individuare quella che possiamo definire il responsabile del procedimento; dunque posso rivolgermi a questo soggetto che deve essere preventivamente individuato e reso conoscibile dall'amministrazione e chiedo a lui di esercitare questo potere sostitutivo: va a sostituirsi a quello che era il responsabile del procedimento su cui gravava l'onere del compimento del procedimento e questo soggetto deve impegnarsi a portare a termine il procedimento non concluso entro un termine pari alla metà di quello originario. Quindi se per esempio il termine originario era di 30 giorni, occorre che questo responsabile del provvedimento amministrativo emani il provvedimento entro 15 giorni, questo tacitamente ci conferma che l'amministrazione non decade dal pote- re. Dunque come fa, lo fa lui (= il responsabile)? Lo può fare direttamente lui oppure se ritiene di non avere la competenza per adottare il provvedimento richiesto può nominare quello che si definisce un commissario ad acta, cioè va ad individuare un soggetto che dovrà concretamente emanare il provvedimento amministrati- vo entro il termine individuato, ma sarà comunque il responsabile il soggetto garante di questo ulteriore adempimento. L'articolo 2 comma IX-bis stabilisce l'obbligo delle amministrazioni e le modalità di determinazione di questo soggetto responsabile dell'adempimento: “L'organo di governo individua, nell'ambito delle figure apicali dell'amministra- zione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Nell'ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente preposto all'ufficio o in mancanza al funzionario di più ele- vato livello presente nell'amministrazione.”. Anche in questo caso la legge elabora un meccanismo di individuazione automatica di questo soggetto; nell'ipotesi in cui l'amministrazione ometta di individuarlo in quanto la legge 241 del 1990 in questo comma IX-bis ci dice che se l'amministrazione non lo individua questo potere si in- cardinate presso il dirigente generale o qualora non vi sia il dirigente generale si incarna in capo al dirigente preposto all'ufficio o comunque al funzionario di più elevato livello presente nell'amministrazione. Inoltre poi la legge precisa che per ciascun procedimento sul sito Internet istituzionale dell'amministrazione deve essere pubblicata in formato tabellare e tra l'altro con un collegamento ben visibile già nella home page del sito, l'in- dicazione del soggetto a cui è attribuito il potere sostitutivo e a cui l'interessato può rivolgersi. Tra l'altro, questo responsabile dell'adempimento, distinto dalla responsabile del procedimento amministrati- vo su quest'ultimo gravava prima l'onere che trascorresse il termine, a un ulteriore compito: deve trasmettere entro il 30 gennaio di ogni anno all'organo di governo i procedimenti nei quali non è stato rispettato il termi- ne di conclusione previsto dalla legge o dai regolamenti. Questo perché è chiaro che i dirigenti hanno poi una responsabilità, che si definisce appunto dirigenziale, e che riconosce loro la possibilità di avere dei riconosci- menti economici ulteriori rispetto a quelli previsti in caso di realizzazione di determinati obiettivi. Evidente- mente se a carico di un determinato soggetto responsabile del procedimento amministrativo si incardinano più casi di mancata emanazione del provvedimento entro i termini, indubbiamente questo avrà o dovrebbe avere delle conseguenze nella realtà in termini di responsabilità dirigenziale. La responsabilità dirigenziale vie- ne sempre in essere per attribuire degli emolumenti ulteriori ai soggetti dirigenti, ma mai viene in rilievo per incardinare nei loro confronti dei procedimenti di responsabilità dirigenziale che possono portare nei casi più gravi alla destituzione dell'incarico. Pertanto quello che era uno strumento previsto dalla legge per monitorare l'efficienza dell'amministrazione in relazione alle responsabilità globali dei procedimenti amministrativi, quindi in relazione all'efficienza dei sin- goli dirigenti, è stato come al solito mal utilizzato, cioè è stato solo ed esclusivamente impiegato per dare dei premi per i soggetti, ma mai per penalizzarli: emblematico, per esempio, è stato il caso della regione Liguria, 65 questa seconda fattispecie per mancata adozione di un atto dovuto. La giurisprudenza ritiene che il provve- dimento rilasciato senza aver richiesto un atto dovuto, per esempio un parere obbligatorio, non possa essere sanato se l'amministrazione si avvede di questa illegittimità e successivamente all'emanazione richiede un pa- rere pure se questo parere risulta conforme alla decisione presa. Questo perché secondo la giurisprudenza amministrativa in questo caso è venuta meno la funzione che il parere doveva esprimere in quella sede e che era appunto quella di consigliare, di illuminare l'amministrazione di fornire degli elementi istruttori in più al quadro che l'amministrazione aveva per rendere una decisione congrua. Questo attiene in fondo anche a quell'ultimo punto relativo all'alterazione dell'ordine procedurale: cioè, io de- vo chiedere o comunque devo eseguire quell'attività che mi sono richieste nell'ordine, nella sequenza tempo- rale che la legge mi scandisce e non a mio piacimento. Anche la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, che vedremmo essere obbligatoria nei confronti di determinati soggetti, deve avvenire nella fase iniziale. Allora io non posso cercare di sanare in qualche modo la mia illegittimità se ho omesso di dare questa comunicazione e se 3 giorni prima della decisione invio l'obbligo di comunicazione in quanto la comu- nicazione ha la funzione di stimolare la partecipazione dei privati, pertanto quando l'amministrazione ha già concluso la fase istruttoria, inviare quella comunicazione di avvio del procedimento non ha più alcun senso. Quindi o vizi che attengono all'atto endoprocedimentale, o alterazione di un atto dovuto, o alterazione dell'ordine procedurale previsto sono causa di illegittimità del provvedimento amministrativo. Possiamo, qui, fare, però, una precisazione importante facendo riferimento all'articolo 21-octies comma II, della legge sul procedimento amministravo. Questo articolo 21-octies comma II prevede dei casi di non an- nullabilità del provvedimento amministrativo. Proviamo ad inquadrare questa norma e poi cerchiamo di col- locarla all'interno della problematica che stiamo trattando, cioè quella del illegittimità degli atti endoprocedi- mentali. Nella slide ho scritto: “illegittimità in via derivata anche del provvedimento finale (e questa è la regola generale) a meno che non ci sia all'applicazione dell'articolo 21-octies e seguenti”. L'articolo 21-octies comma I individua i vizi di illegittimità del provvedimento amministrativo, stabilisce che il provvedimento amministrativo è annullabile quando è affetto da violazione di legge o da un competenza o da eccesso di potere; questi come sappiamo sono i tre classici vizi di illegittimità del provvedimento amministra- tivo. (“È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompe- tenza.”) L'articolo 21-octies nel comma II enuclea due fattispecie di non annullabilità del provvedimento amministra- tivo. Questi sono i casi in cui, per l'interpretazione maggioritaria che ne è stata data, il provvedimento presen- ta caratteri di illegittimità: cioè è illegittimo perché non è conforme alle norme, ma nonostante questo, quando si verificano quelle condizioni, non è annullabile. La norma ci dice che avviene ciò: “Non è annullabile il provve- dimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedi- mento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.”. Questo tipo di provvedimento amministrativo affetto dei vizi elencati nel comma II: vizi di forma, vizi sul procedi- mento, non è annullabile qualora il contenuto dell'atto in concreto adottato non poteva essere diverso. In pra- tica l'amministrazione non poteva in quel caso che adottare quell'atto con quel contenuto. Pertanto, la prima fattispecie di provvedimenti non annullabili è costituita da i provvedimenti amministrativi che tiene alla categoria degli atti a contenuto vincolato: questi atti non sono frutto del potere discrezionale dell'amministrazione e di fatto tutti i presupposti di questi atti sono già contenuti nella legge. Tutto ciò ov- viamente determina un contenuto del provvedimento che non è rimesso alla discrezionalità dell'amministra- zione, ma che trova già i suoi lineamenti nei presupposti indicati dalla legge. Se nell'adozione di questo atto, l'amministrazione, compie dei vizi che sono però di carattere formale, cioè attengono alla forma del procedi- mento, attengono all'alterazione dell'ordine procedurale, attengono alla mancata adozione di un atto in qual- che modo dovuto, comunque se il vizio è un vizio di forma e non di contenuto perché il contenuto è già tutto predeterminato dalla legge, allora quel provvedimento amministrativo non è annullabile perché, in sostanza, il suo contenuto, la sua decisione non può essere diversa da quello adottato. In tal modo si vuole evitare che ci sia l'impugnazione di un atto, che è vero che il giudice amministrativo potrebbe annullare in quanto c'è una violazione di legge che attiene alla forma, ma di fatto poi l'amministrazione potrebbe riemanare il provvedi- mento con lo stesso contenuto emendato di quel vizio di forma; cioè ci sarebbe un'attività di impugnazione, giurisdizionale con allungamento dei tempi siccome l'amministrazione dovrebbe annullare e riemanare l'atto, ma siccome, alla fine, il contenuto non cambia e il nuovo provvedimento è semplicemente emendato del vizio 66 formale, allora il legislatore dice: “questo atto di fatto non è annullabile in quanto il risultato non cambiereb- be”. La seconda fattispecie di provvedimenti amministrativi non annullabili attiene a quegli atti che non hanno ri- spettato la comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo. Questa seconda fattispecie di provve- dimenti non annullabili che si riferisce ad un vizio specifico, cioè a quello della mancata comunicazione di av- vio del procedimento amministrativo ai soggetti nei confronti dei quali esisteva questo obbligo. Questa se- conda fattispecie attiene a tutte le tipologie di atti amministrativi, cioè non riguarda solo gli atti vincolati, ma riguarda anche gli atti a contenuto discrezionale. Anche in questa seconda fattispecie si afferma che non è an- nullabile quell'atto amministrativo per il quale non sia data comunicazione di avvio del procedimento ammini- strativo se l'amministrazione dimostra in giudizio che il contenuto dell'atto non poteva essere diverso da quel- lo in concreto adottato. Allora, quest'ultima fattispecie è molto più ampia in quanto attiene a tutti i provvedi- menti non sono vincolati, ma anche discrezionale; il vizio è uno e specifico: non viene data comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo; in questa fattispecie si richiede inoltre una dimostrazione da parte della pubblica amministrazione, che deve essere resa nel giudizio, cioè l'amministrazione deve dimostrare in giudizio, al giudice e al privato che in tal modo non ha potuto partecipare al procedimento amministrativo, af- finché il provvedimento non sia annullabile che il contenuto dell'atto non potesse essere diverso, ma in que- sto caso la probatio è diabolica perché: come fa l'amministrazione a dimostrare in concreto che tutto quello che avrebbe potuto apportare il privato al procedimento amministrativo attraverso la sua partecipazione sa- rebbe stato ininfluente ai fini della sua decisione finale; si comprende facilmente che questo tipo di dimostra- zione è difficilissima da dare e pertanto nei casi in cui l'amministrazione commette questa dimenticanza gene- ralmente in giudizio perde. Quindi questa norma di non annullabilità, che non va a de quotare i vizi in quanto non dice che l'atto illegit- timo diventa atto semplicemente irregolare, ha una valenza processuale: stabilisce che un atto non è annullabi- le in quanto non c'è una convenienza al ricorso perché di fatto il risultato sarebbe quello, per l'amministrazio- ne, di poter emanare un provvedimento di analogo contenuto a quello effettivamente emanato. Questa norma, articolo 21-octies, che quando è stata emanata ha suscitato molto scalpore perché è stata letta come un esempio classico dell'amministrazione di risultato, ma in realtà l'applicazione del contenuto di questa norma è alquanto limitata perché il primo caso, quello che riguarda i vizi sulla forma del provvedimento, at- tiene solo agli atti a contenuto vincolato e gli atti a contenuto vincolato rappresentano una percentuale mini- ma rispetto agli atti a contenuto discrezionale dell'amministrazione, quindi l'ambito applicativo è già limitato dalla stessa legge e il secondo caso che avrebbe potuto avere una valenza maggiore, di fatto viene resa quasi inapplicabile da questa difficoltà probatoria alla quale è condizionata la pronuncia di non illegittimità dell'atto siccome per l'amministrazione è impossibile dimostrare che qualunque cosa avesse detto il privato, il contenu- to non sarebbe cambiato. Allora questo inquadramento dall'articolo 21-octies ci deve far capire che queste cose che abbiamo detto sull'illegittimità degli atti endoprocedimentali sono ovviamente vere, ma devono tenere conto del fatto che nell'ordinamento giuridico italiano esiste questa norma e che quindi, per esempio, in relazione agli atti di natu- ra vincolata è ben possibile che si chieda l'applicazione dell'articolo 21-octies e che quindi il vizio endoproce- dimentale possa generare una non annullabilità del provvedimento finale. Ora dobbiamo concentrarci sulle norme che riguardano il responsabile del procedimento amministrativo. Per il responsabile del procedimento amministrativo c'è un capo della legge 241, il capo secondo. Le norme sono quelle che vanno dall'articolo 4 all'articolo 6-bis e che individuano, appunto, il capo II della legge sul procedimento amministrativo del 1990. Quindi il legislatore, possiamo dedurre dallo spazio dedicato a questa figura, ritiene il responsabile del procedimento amministrativo importante. La figura del responsabile del procedimento quando venne emanata la legge nel 1990 rappresentò una vera e propria novità; questo perché il principio che valeva prima della legge 241 del 90 era quello dell'anonimato dell'azione pubblica, cioè non c'era chiaramente una disposizione che potesse individuare un soggetto che in qualche modo costituisse l'interfaccia dell'amministrazione, cioè il soggetto atto a relazionarsi con l'esterno, in relazione ai vari procedimenti amministrativi. Dunque c'era questa sorta di anonimato specie quando i proce- dimenti erano complessi e incardinati presso organi diversi o presso addirittura ad amministrazioni diverse creando una sorta di rimbalzo di responsabilità e questo ovviamente finiva col frustrare le esigenze di tutela dei cittadini: non c'è un termine di chiusura del procedimento amministrativo, non c'era una norma che stabi- lisse l'obbligo di pronunciarsi con un provvedimento espresso, non c'era un soggetto a cui potersi rivolgere in caso di inadempienza o omissione o ritardo; è solo con questa legge 241 del 1990 che vengono fornite tutta una serie di garanzie per fronteggiare le inefficienze dell'amministrazione e quindi indirettamente per miglio- 67 rare l'andamento dell'amministrazione stessa. Questo responsabile del procedimento, come altri istituti intro- dotti dalla legge 241 del 1990, ha una duplicità di funzione. Il motivo per il quale è stata prevista questa figura del legislatore è sicuramente un motivo di esigenze di tutela nei confronti dei privati o per lo meno del sogget- to che si relaziona con l'amministrazione in quanto questa figura è volta a contrastare questo regime di ano- nimato e rimbalzo di responsabilità che vigeva prima nelle amministrazioni pubbliche. Quindi io, amministra- zione, individuo una persona precisa e te la comunico subito all'inizio con l’avvio del procedimento ammini- strativo in modo che tu, cittadino, possa sapere a chi rivolgersi nel caso in cui riscontri delle anomalie o sem- plicemente voglia richiedere delle informazioni circa il procedimento che ti riguarda. Pertanto, si attua un'operazione di trasparenza dell'azione amministrativa che va finalmente ad individuare un soggetto che è l'interlocutore ufficiale col quale io, soggetto privato, posso relazionarmi in merito al mio pro- cedimento amministrativo. La nascita di questa figura, però, è assolutamente importante anche per la stessa amministrazione siccome si individua un soggetto che rappresenta il motore e la guida di tutto il procedimento amministrativo il quale è ritenuto responsabile del risultato finale. Perciò l'individuazione di questa figura è anche finalizzata al buon andamento dell'amministrazione dal momento che viene individuato un soggetto che deve curare tutte le fasi del procedimento amministrativo, verificare che questa sequenza di atti sia portata avanti con le scansioni temporali-tempistiche individuate dalla legge, secondo l'ordine procedurale previsto dalla legge, nei modi pre- visti dalla legge e qualora ciò non avvenga questo soggetto individuato è il responsabile ed è colui che rispon- de direttamente qualora questi ritardi, ad esempio, abbiano causato dei danni all'amministrazione. Il fatto che il responsabile del procedimento amministrativo sia il garante del successo e colui che ne risponde in prima persona assicura l'amministrazione che costui sia veramente intenzionato al perseguimento del fine. Dunque l'individuazione di questo soggetto è anche un'operazione strumentale al buon andamento dell'am- ministrazione. La norma stabilisce un particolare che, art. 4: “Ove non sia già direttamente stabilito per legge o per regolamento, le pub- bliche amministrazioni sono tenute a determinare per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza l'unità or- ganizzativa responsabile della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell'adozione del provvedimento fi- nale.”. Dunque prima di individuare il responsabile del procedimento amministrativo si chiede all'amministra- zione di individuare qual è l'unità organizzativa responsabile delle fasi del procedimento amministrativo per ogni tipo di procedimento. Cosa intendiamo però per unità organizzativa responsabile? Il plesso di uffici che sono competenti a seguire quella procedura. Questa norma ci fa indirettamente capire che per taluni proce- dimenti amministrativi l’istruttoria potrebbe essere condotta presso un'unità organizzativa e poi l'atto finale potrebbe incardinare la competenza di un soggetto diverso che non è neanche collocato in quella struttura or- ganizzativa, cioè non vi è la necessaria corrispondenza del fatto che chi conduce l'istruttoria debba poi anche adottare l'atto, in genere avviene così, ma non è necessario; questo ovviamente può provocare dei problemi: ad esempio, il soggetto che adotta il provvedimento finale è il soggetto su cui grava la responsabilità dell'atto, però questo soggetto che ha adottato il provvedimento finale non è il soggetto che ha compiuto l'istruttoria. Questo soggetto che deve approvare il provvedimento finale qualora non sia stato lui a compiere l'istruttoria, ritenendo che quell'istruttoria non sia sufficiente o non lo soddisfi circa il contenuto finale che si è delineato in quella fase, questo soggetto responsabile dell'adozione dell'atto finale non è obbligato a seguire le risultanze dell'istruttoria che lui non ha prodotto e pertanto può discostarsene, ma nel farlo deve ovviamente motivarlo. Si noti come le motivazioni spesso siano specchio dei comportamenti dell'amministrazione, cioè ci rendono edotti di tutti i passaggi, di tutte le interconnessioni, di tutto i possibili impasse che l'azione amministrativa può subire e che comunque può giustificare all'esterno attraverso la motivazione che come abbiamo detto di- viene lo specchio dell'azione decisionale dell'amministrazione. Allora per tornare al responsabile del procedimento amministrativo che deve essere individuato dalle ammini- strazioni occorre un atto preliminare, cioè le amministrazioni sono tenute a determinare prima di tutto qual è l'unità organizzativa responsabile dell'istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale nonché dell'ado- zione del provvedimento finale. All'interno, poi, di questa unità organizzativa responsabile si prevede che la pubblica amministrazione vada ad individuare il soggetto responsabile del procedimento amministrativo. La norma all'articolo 5 dice: “Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all'unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventual- mente, dell'adozione del provvedimento finale.”. Poi la legge individua un meccanismo per determinare il responsabile del procedimento in caso di inerzia dell'amministrazione in quanto è chiaro che l'amministrazione se non ci fosse questo comma II avrebbe potuto in qualche modo eludere questo obbligo rimanendo inerme, cioè non individuando nessun responsabile; ma se lo fa c’è un meccanismo automatico per il quale si va ad individuare 70 la motivazione è ritenuta un elemento essenziale costitutivo dell'atto, non è però solo un elemento essenziale con riferimento agli atti i cui effetti sono rivolti verso l'esterno, cioè che producono effetti giuridici nella sfera giuridica dei destinatari e che quindi giustifica in qualche modo e rende visibile il percorso decisionale dell'amministrazione, ma il fatto che la motivazione sia un elemento essenziale anche per quei provvedimenti concernenti l'organizzazione interna dell'amministrazione è una novità. Quest'obbligo di motivazione è generale, salvo che per le situazioni previste al comma II dell'articolo 3. Il comma II prevede delle eccezioni a questo obbligo generalizzato in relazione a due tipologie di atti che in realtà sembrano avere più o meno le stesse caratteristiche: “La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale.”. Dobbiamo chiederci del perché di questa esclusione? In fondo, la risposta non è molto difficile da articolare se pensiamo che sia gli atti normativi sia gli atti a contenuto generale hanno la ca- ratteristica di contenere delle disposizioni generali ed astratte, quindi non in grado di incidere direttamente nella sfera giuridica del soggetto: gli atti normativi si riferiscono generalmente ad una categoria astratta e non individuata di soggetti e quindi proprio perché sono caratterizzati da queste norme astratte e generali, non hanno la capacità di incidere direttamente sulla sfera giuridica, ma saranno poi gli atti che faranno applicazio- ne di quella legge o di quel regolamento che applicandolo lo rendono incisivo sulla sfera giuridica del terzo. Quindi il legislatore ha sottratto gli atti normativi e gli atti a contenuto generale perché non hanno una capaci- tà lesiva dei retta, pertanto non c'è la necessità di tutelare il soggetto che subisce gli effetti di quella legge, la tutela si innesca nel momento in cui viene adottato un provvedimento amministrativo che, di quell'atto nor- mativo, di quell'atto a contenuto generale, faccia applicazione e pertanto quel provvedimento dovrà essere motivato. Posta questa eccezione e verificati quali sono i motivi che hanno condotto il legislatore a escludere in via ge- nerale la motivazione per questo tipo di atti, ciò non esclude però che leggi particolari possono prevedere comunque l'istituto della motivazione per atti anche di questo tipo. La motivazione deve indicare quanto stabilito al comma I dell'articolo 3 che stabilisce: “[…]La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle ri- sultanze dell'istruttoria.”. Quindi gli elementi fondamentali che devono emergere dalla motivazione quale espli- cazione della scelta compiuta nel provvedimento, della scelta di contemperamento e di assetto degli interessi è delineato nel provvedimento, sono essenzialmente tre: la situazione di fatto che si è presentata all'amministra- zione e sulla base della quale l'amministrazione ha individuato le normative ad essa applicabili; perciò presup- posti di fatto e ragioni giuridiche, ma questi elementi devono poi essere correlati con il terzo elemento fon- damentale della motivazione e cioè con le risultanze dell'istruttoria (istruttoria = fase di acquisizione degli in- teressi coinvolti al procedimento amministrativo). Dunque la motivazione dovrà in qualche modo spiegare, esplicare le ragioni del provvedimento alla luce di tutte quelle indagini, acquisizioni importanti di nuovi fatti, eventualmente di interessi che sono stati ponderati e contemperati nella scelta del provvedimento finale. Il comma III prevede quello che si definisce l'istituto della motivazione per relazionem. Questo comma dice che: “Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla co- municazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l'atto cui essa si richia- ma.”. Questo significa che l'amministrazione ha la possibilità di rinviare il contenuto della motivazione ad al- tro atto che ovviamente deve essere indicato nel provvedimento amministrativo e che l'amministrazione ha l'obbligo di rendere disponibile, rendere conoscibile alla soggetto che ne ha interesse; ad esempio, se viene ri- chiesto un parere sia esso facoltativo o obbligatorio e l'amministrazione decide di conformarsi al parere, l'amministrazione procedente potrebbe limitarsi a rinviare al contenuto del parere per soddisfare l'obbligo del- la motivazione dell'atto purché questo parere venga reso in qualche modo disponibile. Questo istituto della motivazione per relazionem cerca di adempiere anche a un'esigenza di semplificazione dell'azione amministra- tiva che non deve essere gravata da oneri eccessivi, in quanto ad esempio nel nostro caso sarebbe inutile chie- dere all'amministrazione di riprodurre una motivazione che è sostanzialmente in linea con il parere reso. Questo istituto di motivazione per relazionem si applica anche nei confronti di atti che non necessariamente appartengono a quel procedimento amministrativo, cioè si potrebbe fare riferimento anche al contenuto di at- ti a cui si rinvia, pertinenti ad altro procedimento. Il comma IV dell'articolo 3 si limita a prevedere un adempimento formale, ma importante che completa que- sto spettro delle esigenze di tutela del soggetto chiarendo che: “In ogni atto notificato al destinatario devono essere in- dicati il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere.”. Allora, questa genericità della norma che si limita a dire: occorre l'indicazione della autorità e del termine entro cui ricorrere, ci permette di affermare che nel provvedimento amministrativo devono essere indicate sia le autorità interna all'amministrazione cui è possibile ricorrere attra- verso quello che potrebbe essere un ricorso gerarchico, cioè all'autorità pubblica sovraordinata o spesso è 71 possibile ricorrere contro lo stesso atto avverso con un ricorso improprio, cioè avverso la stessa autorità che l’ha emanato. Quindi questo significa che il provvedimento amministrativo a garanzia di tutela del soggetto destinatario dell'atto deve indicare il termine entro cui è possibile ricorrere all'autorità amministrativa o all'au- torità giudiziaria competente e pubblicare qual è l'autorità che per caso può essere adita. A questo punto possiamo continuare la nostra analisi della legge 241 soffermandoci sull'articolo 7. Questo ar- ticolo fa parte del capo III importante in quanto gli articoli di questo capo permettono di concretizzare il principio del giusto procedimento, cioè si preoccupano che prima della decisione amministrativa venga in- staurato un contraddittorio con i soggetti interessati. L'articolo che in qualche modo è strumentale o prevede un istituto strumentale alla partecipazione del proce- dimento amministrativo è l'articolo 7. L'articolo 7 prevede un obbligo di comunicazione, quindi un obbligo di informazione da parte dell'amministrazione nei confronti di determinati soggetti, di avvio della procedura amministrativa, di avvio del procedimento. L'articolo 7 esordisce con una frase che pone subito un'eccezione a questo obbligo generalizzato dicendo: “Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento,[…].”. In questo ca- so se sussistono ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l'obbli- go di comunicazione di avvio viene meno. Allora, come si comprende, la formula è abbastanza generica e quindi richiede di essere in qualche modo spe- cificata; è una formula caratterizzata da una certa elasticità della nozione che contiene, queste esigenze di cele- rità del procedimento devono essere in qualche modo chiarite per evitare che venga frustrato quello che è un obbligo importante che grava sull'amministrazione. Chi si è occupato di effettuare questa determinazione dei casi di celerità dell'azione amministrativa che esonerano l’autorità pubblica da quest'obbligo di comunicazio- ne? Come sempre accade, ha adempiuto questo compito la giurisprudenza amministrativa attraverso ricorsi che avevano ad oggetto l'impugnazione, evidentemente, di atti per i quali non era stata data comunicazione di avvio dell'amministrazione procedente sulla base delle ragioni di celerità prevista dalla legge. Se noi andiamo, però, ad individuare, facciamo un'analisi casistica della giurisprudenza amministrativa noteremo che le catego- rie di questi casi che la giurisprudenza individua come indispensabili perché non sussistano gli obblighi di comunicazione in capo all'amministrazione, tante volte non hanno a che fare con le ragioni di celerità previste dalla legge perché abbiamo, per esempio, la categoria dei procedimenti finalizzati all'emanazione di atti vinco- lati: cioè, la giurisprudenza dice: in questo caso l'obbligo di motivazione non è necessario perché si compren- de che siccome l'obbligo di comunicazione è strumentale alla partecipazione del soggetto privato e in questo caso il soggetto privato non potrebbe apportare nulla di diverso rispetto a un contenuto dell'atto sul quale non sussiste nessun potere discrezionale dell'amministrazione ma che di fatto già predeterminato dalla legge, in questi casi non sussiste l'obbligo di comunicazione così come ha anche poco a che fare con le esigenze di celerità del procedimento la categoria dei procedimenti ad istanza di parte. È chiaro che se io, soggetto priva- to, presento un'istanza all'amministrazione perché voglio ottenere il rilascio di un provvedimento amministra- tivo sono ovviamente informato del fatto che verrà aperto un procedimento amministrativo in quanto sono io stesso che stimolo il potere dell'amministrazione; quindi sono informato che si apre un procedimento am- ministrativo e pertanto sono consapevole del fatto che se voglio posso partecipare al procedimento ammini- strativo, dunque in questo caso essendo più che evidente l'avvio di un procedimento l'amministrazione è eso- nerata dal dover comunicare tale avvio. Il problema è che nei procedimenti ad istanza di parte come autoriz- zazione, concessione,… che abbiamo visto gli effetti dell'atto non sono rivolti solo al destinatario il quale è ontologicamente informato in quanto è lui stesso che ha stimolato l'azione del potere amministrativo, ma spesso coinvolgono, questi procedimenti ad istanza di parte, soggetti controinteressati all'emanazione di quell'atto, cioè, hanno una situazione giuridica protetta a che quel provvedimento amministrativo, che incide sulla loro sfera giuridica, non li leda in modo illegittimo. Allora, diciamo che questo dispositivo delle decisioni del giudice amministrativo deve essere interpretato: la comunicazione di avvio è superflua nei confronti del destinatario in caso di procedimento a distanza di parte, ma certo non lo può essere nei confronti dei soggetti che sono controinteressati all'emanazione di quel provvedimento richiesto dal soggetto privato; per cui nei confronti di questi soggetti l'obbligo di comunicazione rimane. Ci sono poi effettivamente dei casi che fanno riferimento a quelle che sono le vere e proprie esigenze di cele- rità del procedimento amministrativo come ad esempio i casi finalizzati all'occupazione di urgenza e di in- giunzione e di demolizione, quindi legati ai provvedimenti di esproprio, per i quali se si ritiene necessaria e in molti casi lo è, l’occupazione di urgenza, la comunicazione non viene data. Ovviamente la pubblica ammini- strazione si libera e pertanto è legittimamente esonerata in questi casi dall'obbligo di dare comunicazione di 72 avvio a patto che nel provvedimenti finale che assume motivi chiaramente quali sono le ragioni che l'hanno determinata ad omettere questo importante comunicazione. Allora, se non sussistono ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento o negli altri casi individuati dalla giurisprudenza, l’avvio del procedimento stesso è comunicato con le modali- tà previste nei confronti di tre categorie di soggetti. Quindi questo obbligo di comunicazione vale nei con- fronti di tre categorie di soggetti che sono individuati dall'articolo 7. La prima categoria di soggetti per cui sussiste quest'obbligo di comunicazione sono quei soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti. Pertanto in questa categoria facilmente individuabile ci sono solo soggetti destinatari dell'atto. Se noi interpretiamo quell'eccezione della giurispru- denza amministrativa per cui si dice che nei procedimento ad istanza di parte non è necessario l'obbligo di comunicazione nei confronti del soggetto destinatario, allora, noi dobbiamo pensare che questa prima dispo- sizione vada interpretata limitatamente ai procedimenti ad istanza-iniziativa d'ufficio. La seconda categoria di soggetti per cui sussiste quest'obbligo di comunicazione sono quei soggetti che per legge devono intervenire al procedimento. Ciò vuol dire che ci sono delle disposizioni specifiche contenute nelle varie legge, nelle varie normative che si occupano di disciplinare particolari tipi di procedimento ammi- nistrativo per i quali la legge o i regolamenti individuano dei soggetti che sono obbligati a partecipare al pro- cedimento. Anche in questo secondo caso nulla questio perché è la stessa legge che dice all'amministrazione quali sono quei soggetti che per quel procedimento devono essere obbligatoriamente informati; in genere questi soggetti per i quali la legge prevede l'obbligo di intervenire sono soggetti pubblici, sono autorità ammi- nistrative portatrici di interessi pubblici secondari nei confronti dei quali la comunicazione deve essere data perché devono partecipare al procedimento amministrativo per portare le loro istanze di tutela nei confronti di quegli interessi pubblici secondari che sono coinvolti dal procedimento principale. La terza categoria di soggetti per cui sussiste quest'obbligo di comunicazione è quella che presenta più pro- blemi in relazione alla loro individuazione. Gli interessati a quest'obbligo di comunicazione dovrebbero esse- re: “qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l'amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell'inizio del procedimento.”. Se so- no quei soggetti diversi dai destinatari nei confronti dei quali il provvedimento può esplicare effetti pregiudi- zievoli per la loro sfera giuridica, dobbiamo pensare che questi sono soggetti controinteressati all'emanazione dell'atto. Pertanto la terza categoria è costituita da quei soggetti che sono legittimati, cioè che hanno una posi- zione giuridica soggettiva di interesse legittimo, quindi che hanno una posizione qualificata e protetta dall'or- dinamento e che pertanto sarebbero legittimati a impugnare quel provvedimento amministrativo. Però pro- prio per evitare degli oneri di aggravamento del procedimento amministrativo la legge pone una condizione a questo obbligo di comunicazione al fine di evitare che l'amministrazione sia soggetta a delle ricerche che in qualche modo possono rallentare eccessivamente la sua azione. Si prevede pertanto che questa comunicazio- ne debba essere obbligatoriamente data a quei soggetti controinteressati purché questi soggetti siano indivi- duati o facilmente individuabili. Con soggetti individuati o facilmente individuati si vuole dire che questi sog- getti devono essere individuabili ictu oculi (a colpo d'occhio) da un esame ictu oculi dell'atto, cioè da un esa- me sommario dei documenti amministrativi in possesso dell'amministrazione devono essere facilmente repe- ribili. Però, anche per questa terza categoria di soggetti esiste l'obbligo di comunicazione qualora “non sussista- no le ragioni di impedimento predette”. La comunicazione di avvio deve essere trasmessa dal responsabile del procedimento. Rientra tra quei compiti di impulso del procedimento amministrativo che spettano al soggetto su cui grava la responsabilità dell'intera procedura amministrativa e tra l'altro questo vale a realizzare quel instaurazione del dialogo che il responsabile del procedimento attua in tutte le fasi del procedimento amministrativo a partire fin dalla sua fase iniziale adempiendo in tal modo a quest'obbligo. Questa comunicazione di avvio viene trasmessa seguendo le modalità indicate all'articolo 8: l'amministrazione, nella persona del responsabile del procedimento, può dare notizia dell'avvio del procedimento mediante una comunicazione personale e questo avviene quando il numero dei destinatari sia tale da permettere una comu- nicazione di questo tipo, altrimenti l'articolo 8 comma III prevede che: “Qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione [soddisfa questo obbligo an- che attraverso forme di pubblicità differenti che sono di volta in volta individuate dall'amministrazione mede- sima sulla base dei suoi poteri discrezionali]”. La legge non stabilisce la data entro la quale questa comunicazione deve essere effettuata e chiaro però che siccome questa comunicazione è in qualche modo strumentale alla partecipazione al procedimento ammini- strativo le esigenze di logicità e razionalità impongono che venga data tempestivamente. Anche qui la giuri- 75 giurisprudenza specifica vicenda che deve essere data pochi giorni dopo l'apertura del procedimento; la co- municazione dei motivi che ostano l'accoglimento dell'istanza si pone in un momento temporale molto suc- cessivo: si pone quando sostanzialmente quando l'attività istruttoria è già chiusa e la commissione si è formata un'idea precisa sul fatto che non potrà accogliere l'istanza del soggetto. La seconda differenza importante sta nel fatto che la comunicazioni di avvio riguarda tutti i tipi di procedimento amministrativo sia d'ufficio sia ad istanza di parte; la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza vale solo in relazione ai pro- cedimenti ad istanza di parte. Quindi è un istituto che viene previsto solo in relazione a quei procedimenti che siano ad istanza di parte, non è invece così per la comunicazione di avvio del procedimento la quale vale per tutti i tipi di procedimento. La finalità della comunicazione di avvio del procedimento consiste nel permettere la partecipazione e l’instaurazione di un contraddittorio con i soggetti interessati; la finalità invece della comu- nicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza serve a far cambiare idea all'amministrazione prima che questa adotti il provvedimento amministrativo, pertanto l'effetto di questa comunicazione consiste nel far riaprire all'amministrazione l'istruttoria in quanto questa sarebbe già conclusa, l'amministrazione si era già formata un'idea del contenuto del provvedimento, attraverso la comunicazione di questi motivi l'istruttoria potrebbe essere riaperta nuovamente con una nuova partecipazione del soggetto privato che può portare elementi nuovi. Art. 10-bis: “Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accogli- mento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presenta- re per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti (per cercare di apportare nuovi elementi in gra- do di determinare una decisione diversa dall’amministrazione a loro favorevole). La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell'eventuale mancato accoglimento di tali os- servazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti da- gli enti previdenziali. Non possono essere addotti tra i motivi che ostano all'accoglimento della domanda inadempienze o ritardi attribuibili all'amministrazione.”. Questa norma stabilisce che non possono essere addotti tra i motivi che ostano all'accoglimento della domanda da parte dell'amministrazione inadempienze o ritardi attribuiti all'amministra- zione. Anche in questo caso se la comunicazione dei motivi ostativi non viene data siamo sempre nell’ambito della illegittimità endoprocedimentale che comporta una illegittimità del provvedimento finale, salvo sempre l'applicazione della norma contenuta all'articolo 21-octies. --- --- --- Dobbiamo occuparci ora dell'istruttoria procedimentale. Dopo la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo si apre la fase più importante del procedi- mento, il cuore di questa procedura, in quanto è proprio nella fase istruttoria che prende corpo e matura la decisione dell'amministrazione. Questa fase ha essenzialmente lo scopo di accertare i fatti e di verificare i presupposti giuridici che stanno alla base del provvedimento amministrativo. Quindi una prima fase di conoscenza rivolta alla realtà di fatto che rappresenta la fattispecie su cui deve operare l'amministrazione, così come è necessario, una volta chiariti e individuati i fatti con cui l'amministrazione si deve confrontare nell'adozione del provvedimento, è importante che vengano individuati i presupposti giuridici, cioè le normative che possono essere applicate a quella situa- zione, ma poi soprattutto una fase nella quale si acquisiscono nuovi elementi conoscitivi per l'amministrazio- ne attraverso la valutazione degli interessi, ovviamente dei destinatari, ma anche dei soggetti controinteressati nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato ad avere degli effetti. Dunque da un lato c'è un'atti- vità di verificazione di fatti, si può trattare di una semplice fase di accertamento quando l'amministrazione si limiti a prendere atto delle certificazioni o delle dichiarazioni di scienza che possono essere allegate al proce- dimento amministrativo dalle parti interessate, quindi una mera attività di accertamento, non si esercita alcun tipo di potere discrezionale questo senso; se invece si tratta di accertare fatti complessi allora è chiaro che an- che qui profili di discrezionalità potrebbero sussistere in riferimento a quanto abbiamo visto per quanto ri- guarda la cosiddetta discrezionalità tecnica dove un potere discrezionale c'è perché è un fatto non è sempli- cemente sussistente o non sussistente, ma deve essere accertato nella sua complessità, quindi è chiaro che oc- corre effettuare una valutazione che ha al la base anche delle conoscenze tecniche, ma che implica anche un giudizio dell'amministrazione su quel fatto. Quindi, da un lato è la verificazione di un fatto facilmente accer- tabile, ad esempio, la gradazione alcolica delle bevande alcoliche; altro invece è valutare un fatto complesso, ad esempio, valutare se un certo paesaggio con determinate caratteristiche deve essere sottoposto a vincolo, allora anche qui noi prenderemo in considerazione delle discipline tecnico-scientifiche che ci illustrano quali 76 sono le caratteristiche tali per cui un paesaggio può essere tutelato, ma poi è chiaro che ci deve essere una va- lutazione dell'amministrazione finale che tiene conto di una di una scelta discrezionale. C'è poi questa importante fase di acquisizione degli interessi che vengono portati al procedimento ammini- strativo dall'esterno. Possono essere interessi privati e questo vedremo avviene soprattutto grazie all'istituto della partecipazione, oppure possono essere interessi pubblici secondari: in questo modo vengono portati all'interno del procedimento amministrativo principale dalle autorità, dalle amministrazioni competenti le qua- li lo faranno attraverso dei metodi che sono disciplinati anche attraverso degli istituti disciplinati dalla stessa legge 241 del 1990; abbiamo visto anche che di solito è la legge che individua quali sono gli interessi pubblici che devono essere acquisiti dal procedimento amministrativo. Questa attività istruttoria è condotta dal soggetto su cui grava tutta la responsabilità di tutta la procedura: il re- sponsabile del procedimento che è il motore e la guida del procedimento amministrativo. Questa fase istruttoria è fondamentale perché poi le risultanze, ossia tutto ciò che viene maturato e acquisito in questa fase, deve confluire nell'ambito della motivazione amministrativa; motivazione che abbiamo detto essere lo specchio della decisione e quindi è importante che tutto ciò che accade in questa fase dove l'ammini- strazione prende coscienza della situazione di fatto e decide come valutare gli interessi che sono in gioco con- temperandoli poi nell'assetto finale che va a delineare nel provvedimento amministrativo, in questo caso tutte queste risultanze devono poi confluire nella motivazione specificando la norma o chiarendo le disposizioni della norma relative alla motivazione. Presupposti giuridici e di fatto sono gli elementi che deve contenere la motivazione in relazione a quelle che sono le risultanze dell'istruttoria. C'è ancora una norma che abbiamo visto analizzando la disciplina relativa al responsabile del procedimento amministrativo che prevede che qualora il soggetto competente ad adottare l'atto sia diverso dal soggetto che conduce istruttoria, cioè della responsabile del procedimento amministrativo, allora, tutto ciò che avviene in questa fase in qualche modo condiziona quella che è la scelta finale. Tuttavia l'organo che adotta il provvedi- mento amministrativo, che poi è il dirigente che firma l'atto che poi è pure il dirigente chiamato a rispondere degli effetti esterni di quell'atto, ha la possibilità di discostarsi dall'istruttoria, condotta dalla responsabile del procedimento, solo se motiva, la motivazione in questo caso dovessero una motivazione forte, ben argomen- tata, nella decisione finale quali sono le ragioni per le quali ha deciso di discostarsi da queste risultanze. Leg- gendola al contrario vuol dire che questa fase dell'istruttoria è in grado di condizionare fortemente la decisio- ne finale anche quando venga adottata da un organo diverso da quello che ha condotto l'istruttoria, al punto che la legge da una scappatoia comunque al soggetto che adotta il provvedimento finale, può discostarsi, ma nel farlo deve motivare in modo congruo sulle ragioni per le quali decide di non prendere in riferimento tutte le attività che si sono svolte in questa fase in cui matura la decisione. Vediamo meglio qual è l'oggetto di questa fase. Per parlare dell'oggetto dell'istruttoria noi dobbiamo innanzi- tutto occuparci del principio che regola questa fase. Il principio è quello di inquisitorio. Questo principio è un principio, come probabilmente abbiamo anticipato, che vige nel diritto processuale e significa che il giudice, ma in questo caso trasportandolo all'interno dell'amministrazione, il responsabile del procedimento o in gene- rale l'amministrazione non è vincolato/a dalle allegazioni dei fatti che siano proposti dalle parti e che quindi siano contenuti nelle istanze dei soggetti privati, cioè il primo compito del responsabile del procedimento è di andare ad accertare i fatti sulla base delle dichiarazioni di scienza o dei certificati che sono prodotti dalle parti, tuttavia il giudice non è obbligato a considerare solo questa prospettazione dei fatti che ovviamente siccome è ricostruita dalla parte che ha interesse a ottenere un provvedimento amministrativo o che viceversa, si tratta di soggetti controinteressati, non ha interesse a che venga emanato il provvedimento, farà una ricostruzione dei fatti che è in qualche modo a favore dell'assetto di interessi che vuole tutelare. Quindi l'amministrazione parti- rà per semplicità della verifica della sussistenza del fatto basandosi su quanto le parti istanti, in particolare, al- legano al procedimento amministrativo, ma alla possibilità primo di compiere indagini ulteriori, pertanto di estendere il suo spettro istruttorio sulla base del quale dovrà decidere compiendo delle verifiche ulteriori, così come, secondo, nel caso in cui non fosse convinta di quanto attestato dalle parti perché magari i documenti non sono chiari o perché le dichiarazioni di scienza sono contraddittorie, può per questo decidere di fare delle indagini personali. Il problema sta nel fatto che non esiste una regola o perlomeno un termine entro il quale questa fase istruttoria debba concludersi. Noi abbiamo un termine finale entro il quale il provvedimento deve essere adottato, ma il legislatore nulla dice, lasciando alla discrezionalità dell'amministrazione, quale sia il tem- po che l'autorità deve dedicare a questa fase che è certamente importante. Gli estremi potrebbero essere due: cioè si potrebbe pensare che l'amministrazione chiuda questa fase solo quando ha raccolto il massimo numero di fatti per addivenire a quella che è una conoscenza il più possibile completa della situazione di fatto su cui deve decidere, ma questo significherebbe forse allungare troppo i tempi dell'istruttoria e quindi del procedi- 77 mento amministrativo, sarebbe forse contraddire a quel principio di non aggravamento del procedimento amministrativo che viene stabilito nei primi articoli della legge sul procedimento amministrativo. Oppure po- trebbe di converso e all'estremo opposto decidere di limitarsi ad accertare solo le circostanze di fatto che sono indicate dal legislatore come i presupposti giuridici essenziali per l’ esercizio del suo potere amministrativo, l'abbiamo detto più volte: il potere dell'amministrazione non è un potere libero, è un potere che si esercita so- lo quando si innescano determinate condizioni previste dalla legge: presentazione di un'istanza correlata da una situazione di interesse legittimo pretensivo oppure nei casi di procedimento d'ufficio, verificazione di una serie di fatti ai quali la legge riconosce l'apertura di determinati procedimenti amministrativi; non è che l'am- ministrazione debba solo accertare questi minimi presupposti che dal legislatore vengono riconosciuti come indispensabili per l'esercizio di un potere dell'amministrazione, perché in realtà l'amministrazione deve decide- re facendo uso del suo potere discrezionale, la sua azione è un'azione elastica che deve essere comunque basa- ta sulle situazioni che via via si presentano alla sua attenzione e che ovviamente sono diverse nelle varie situa- zioni per i contesti e per i tempi. Quindi diciamo che anche questo estremo principio deve essere escluso, forse, come spesso accade, la solu- zione sta nel mezzo e con ciò si vuol dire che la conduzione dell'istruttoria deve rispettare, almeno in riferi- mento alla sua tempistica, una serie di principi che stanno alla base dell'ordinamento amministrativo e che possono essere rinvenuti in quei principi che stanno alla base dell'azione amministrativa e che abbiamo detto essere i principi di logicità, di congruità e di ragionevolezza dell'azione amministrativa, perciò questi saranno i criteri che dovranno guidare il responsabile del procedimento amministrativo circa l'estensione di questa fase dell'istruttoria. Abbiamo, però, anche delle indicazioni che la stessa legge ci fornisce e che ci fanno capire che il legislatore spinge verso un risultato celere piuttosto che un risultato ben ponderato. Principio di non aggravamento del procedimento amministrativo stabilito nell'articolo 1, comma II: “La pub- blica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria.”, ciò si traduce nel fatto che l'istruttoria non può protrarsi oltre un criterio di ragionevolezza quando i dati che devono essere acquisiti sono sufficienti all'amministrazione per decidere in modo congruo. C'è un altro articolo, che si occupa della partecipazione al procedimento, l'articolo 10 nel quale si dice che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare le memorie scritte e i documenti, che vengano presentati attraverso la partecipazione, solo quando questi siano pertinenti all'oggetto del procedimento amministrativo. Questo cosa significa? Innanzitutto dobbiamo chiarire che questo obbligo di valutare, stabilito dalla legge, non signifi- ca per l’amministrazione obbligo di dar seguito e quindi di conformarsi a quanto stabilito nella memoria, ma significa solamente obbligo di prendere in considerazione, una memoria o un documento presentato da un soggetto privato, il che vuol dire: posso discostarmi, ma nella motivazione do conto che ho preso in conside- razione e che non intendo seguire, esplico le ragioni per le quali non intendo seguire o non sono d'accordo su quanto il privato ha chiarito nella sua memoria. Allora questo articolo ci dice che quest'obbligo di prendere in considerazione, che è evidentemente un obbli- go che richiede un certo dispendio di tempo perché significa che l'amministrazione deve leggere, capire, deci- dere se seguire o meno le indicazioni che vengono date dal privato nell'ambito della memoria; dunque questo obbligo di valutazione c'è solo se questa istanza o questo documento sia pertinente all'oggetto del procedi- mento e cioè sia un presupposto essenziale per la valutazione del provvedimento finale, perché altrimenti, se questa istanza pertiene magari una situazione che non potrebbe anche essere conosciuta dall'amministrazione e pertanto non essere rilevante ai fini della sua decisione finale, in questo caso l'amministrazione può disinte- ressarsene, cioè può decidere di non valutarla e quindi non ha nessun obbligo di motivazione in relazione a questa non acquisizione della memoria. Questo è un altro segnale che ci fa capire come il legislatore propenda verso la celerità del procedimento amministrativo, ci fa capire come forse sia importante più che l'esigenza dell'instaurazione di un contraddittorio completo ed esaustivo, quello dell'emanazione del provvedimento en- tro i termini. Abbiamo parlato spesso degli interessi privati e su questo poi ci intratterremo parlando della partecipazione del soggetto privato al procedimento amministrativo, però abbiamo detto che nel procedimento amministra- tivo possono anche essere acquisiti interessi pubblici secondari. Parliamo di interessi pubblici secondari per- ché l'interesse primario è quello che cura l'amministrazione procedente, cioè l'amministrazione titolare del po- tere che si concreta nel provvedimento amministrativo. Quindi sono interessi che in qualche modo sono pubblici perché hanno una loro tutela, una rilevanza pubblica visto che sono state preposte dell'amministra- zione alla loro cura e che possono avere ovviamente dei riflessi negativi dall'emanazione del provvedimento amministrativo. 80 tro generano degli atti che non sono in grado di incidere direttamente nella sfera giuridica soggettiva poiché non sono atti concreti, sarà poi il provvedimento amministrativo che fa applicazione di quegli atti a generare una lesione nei confronti della sfera giuridica di quel soggetto e allora evidentemente per l'adozione di quell'atto la partecipazione dovrà essere prevista, ma non per l'emanazione per i procedimenti diretti all’emanazione di questi atti. Quindi c'è un interesse a non rallentare i procedimenti amministrativi a fronte anche di una limitatezza di tutela che caratterizza questi atti che non possono del resto essere impugnati auto- nomamente, ma, per far valere la loro illegittimità, occorre aspettare che ci sia un concreto provvedimento che ne dia applicazione e poi attuare quella che abbiamo definito la doppia impugnazione, cioè io per far vale- re l'illegittimità di un regolamento o di un atto di pianificazione o di programmazione devo aspettare che ge- neri una concreta lesione in capo a un soggetto attraverso un atto che ne fa concreta applicazione che poi ov- viamente è un provvedimento amministrativo che applica quelle disposizioni e solo in questo caso io attraver- so l'impugnazione del provvedimento in uno con il regolamento chiederò che un atto che è vero essere nor- mativo, ma formalmente è amministrativo e che pertanto non potrà essere portato davanti alla corte costitu- zionale se è illegittimo, ma potrà essere portato davanti al giudice amministrativo e l’illegittimità verrà solleva- ta tramite impugnazione. Dobbiamo aver ben chiaro la differenza della contrarietà di una legge, ad esempio, con riferimento ai principi della costituzione rispetto alla illegittimità di un regolamento che è un atto norma- tivo, ma che non ha la valenza e la forza della legge la cui contrarietà, ad esempio, ai principi costituzionali può essere fatta valere solo nelle forme di tutela previste per gli atti amministrativi illegittimi, quindi chieden- do l'impugnazione, la rimozione e l'annullamento davanti al giudice amministrativo. In che cosa si esplica la partecipazione? Quindi vediamo in pratica quello che possiamo definire il contenuto della partecipazione. La partecipazione si esplica nelle diritto di prendere visione degli atti e di presentare memorie scritte e documenti che la pubblica amministrazione che la pubblica amministrazione ha il dovere di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento amministrativo, quanto detto è stabilito all'articolo 10 lettera b). L'articolo 10 intitolato: “Diritti dei partecipanti al procedimento” ci chiarisce i contenuti della partecipazione; ci dice: “I soggetti di cui all'articolo 7 e quelli intervenuti ai sensi dell'articolo 9 hanno diritto (stessi poteri e stesse facoltà): a) di prendere visione degli atti del procedimento, salvo quanto previsto dall'articolo 24; b) di presentare memorie scritte e documenti, che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del pro- cedimento.”. Quindi, si potrebbe dire che viene fondato un diritto di ascolto a favore del soggetto privato per l'amministrazione; l'amministrazione ha l'obbligo di ascoltare il privato nei limiti in cui ovviamente presenti delle memorie che siano comunque pertinenti alla decisione che deve prendere. Diritto di ascolto che ha come presupposto, proprio per condurre una memoria che sia pertinente all'oggetto del procedimento amministrativo, che il privato conosca, quindi il diritto anche alla conoscenza degli atti che si esplica attraverso quello che è il diritto di accesso. Prima di presentare la memoria acquisisco degli atti, dei documenti che sono detenuti dall’amministrazione in rete al procedimento amministrativo per i quali io cono- sco meglio la situazione e poi potrò in questo caso presentare una memoria in qualche modo permanente. Quindi diritto di conoscenza e diritto di ascolto. Qual è la funzione della partecipazione? Sicuramente quando il legislatore ha deciso di scrivere questa norma ha pensato essenzialmente alle esigenze di tutela del soggetto privato. Perciò la ratio della norma è sicuramen- te e primariamente una ratio di effettività della tutela del soggetto abbiamo visto che la sfera degli interessi le- gittimi si attua in via preventiva attraverso questa forma di partecipazione con cui il privato ha infondo un’arma molto forte, cioè può intervenire prima che il danno gli venga completamente arrecato, quindi è uno strumento di difesa, se volete, preventivo che permette in qualche modo di rappresentare le proprie esigenze prima che l’amministrazione prenda la propria decisione. Attraverso questo strumento si instaura un contrad- ditorio: cioè l’instaurazione di quel principio che potremmo definire come giusto procedimento, anche qui mutuando sempre un principio che vige nel diritto processuale, e abbiamo visto che questa partecipazione del privato nei procedimenti ad istanza di parte viene rafforzata ulteriormente dalla garanzia prevista dall’articolo 10-bis perché li infondo si prevede un’ulteriore partecipazione del privato, che si aggiunge a questa e chi si colloca nella fase predecisionale, cioè quando in fondo la fase istruttoria è già conclusa e l’amministrazione è già pervenuta ad un progetto di provvedimento già negativo e anche qui la legge sempre per la tutela del pri- vato prevede che si possa instaurare un secondo momento di contraddittorio e quindi che ci sia sostanzial- mente una riapertura dell’istruttoria del procedimento amministrativo dando al privato la possibilità di fare cambiare in extremis la decisione dell’amministrazione sempre presentando una memoria o eventualmente fa- cendo acquisire al procedimento degli atti, dei documenti o delle notizie nuove. Ma la funzione della parteci- pazione non è solo quella di offrire un valido strumento di difesa del privato che si va a cumulare con quello 81 previsto per la tutela dei diritti, cioè quello dell’impugnazione, è uno strumento in più di difesa; ha anche una funzione pubblica, una finalità di interesse pubblico perché è chiaro che questa situazione che si viene a creare attraverso la partecipazione con cui il privato prospetta il proprio punto di vista, prospetta delle ipotesi di so- luzione, questa situazione va ad arricchire lo spettro istruttorio, va ad arricchire il quadro possibile delle scelte finali che l’amministrazione può avere all’interno delle quali sarà chiamata ad assumere il provvedimento fina- le; elementi che potevano essere non ha sua diretta conoscenza e quindi ipotesi di provvedimento che poteva non avere previsto perché gli sfuggivano elementi conoscitivi che magari solo il privato poteva conoscere vengono portati formalmente alla sua attenzione (dell’amministrazione) e quindi questo significa possibilità di decidere all’interno di una schiera più ampia di possibili soluzioni legittime, talune delle quali sono in grado di comprimere in maniera minore o più proporzionata rispetto allo scopo ultimo le posizioni dei soggetti privati e quindi questo sicuramente migliora il perseguimento dell’interesse pubblico secondario. Quindi una finalità non solo di tutela del soggetto privato, ma anche una finalità importante che si concretizza nella realizzazione del miglioramento del buon andamento dell’azione pubblica. Chiudiamo ponendo a confronto due esigenze, entrambe meritevoli di tutela, che si scontrano e confliggono all’interno del procedimento amministrativo, da un lato c’è questa esigenza, fortemente voluta e tutelata dal legislatore, esigenza che il privato partecipi e che contribuisce a rendere più democratica l’amministrazione, attraverso la partecipazione si instaura un giusto contraddittorio, si instaura una possibilità di difesa attraverso questo dialogo che permette al privato di interagire con l’amministrazione prima che il provvedimento ammi- nistrativo sia adottato quindi da un lato l’esigenza della partecipazione strumentale ad un’amministrazione democratica, dall’altro però c’è anche l’esigenza di celerità di semplificazione dell’azione amministrativa nelle diverse disposizioni che abbiamo visto: art. 1 comma II, art. 10 lettera b), semplificazione e celerità del proce- dimento amministrativo che è funzionalizzata a realizzare quella che è stata definita un’amministrazione di ri- sultato, come un’amministrazione che produce provvedimenti in tempi certi, celeri quindi un amministrazione di carattere efficace. Queste esigenze vanno ricondotte all’interno di una proporzione, possiamo dire che: l’amministrazione di risultato/celerità : alla semplificazione = l’amministrazione democratica : alla partecipazione e allora è chiaro come all’interno del procedimento amministrativo sussistano e siano presenti queste due istanze, quella di un’amministrazione efficace e celere e quella di un’amministrazione democratica; occorre trovare un punto di equilibrio che spesso viene rimesso alla discrezionalità dell’amministrazione, è l’amministrazione che decide quanto ampliare la fase istruttoria e quindi quanto aggravare il procedimento amministrativo pur di acquisire gli interessi rilevanti, ma abbiamo visto che ci sono dei segnali anche abba- stanza espliciti che il legislatore ci da nell’ambito di alcune disposizioni che prima abbiamo richiamato che forse propendono, invece, a far gravare l’ago della bilancia verso quelle che sono le istanze di celerità e di effi- cacia dell’azione amministrativa. --- --- --- Cominciamo oggi il diritto di accesso ai documenti amministrativi perché abbiamo visto ieri che una delle fa- coltà in cui si sostanzia la partecipazione al procedimento è proprio data da quella possibilità di accedere e quindi di informarsi da parte del cittadino circa i documenti che sono detenuti dalla pubblica amministrazione e che ovviamente involgono le istanze del procedimento che lo interessano. Abbiamo visto innanzitutto par- tecipazione come possibilità di esercitare questo diritto di accesso agli atti interni, quindi alla procedura, inter- ni al procedimento, e anche diritto di presentare memorie scritte e delle osservazioni. Quando noi parliamo di diritto di accesso esercitato per realizzare la partecipazione al procedimento amministrativo, noi evidenziamo solo un tipo di accesso agli atti, quello che possiamo definire endoprocedimentale che significa possibilità di accedere agli atti quando il procedimento amministrativo è aperto, si sta svolgendo e quindi il provvedimento finale non è ancora stato emanato, è un diritto di accesso che si esercita all’interno del procedimento ammini- strativo. Questo è finalizzato quindi a svolgere un tipo di tutela endoprocedimentale, cioè quella che attribui- sce al titolare di interessi legittimi quella sorta di tutela preventiva partecipando all’azione amministrativa, co- noscendo gli atti e presentando memoria cercando in tal modo di contribuire per quanto più possibile in base alle sue esigenze alla determinazione del provvedimento finale. Ma il diritto di accesso è un istituto che vive anche di una vita propria, nel senso che non può essere visto solo come una delle modalità in cui si esplica questo diritto alla partecipazione al procedimento amministrativo questo perché il diritto di accesso ha una sua funzione specifica anche al di fuori delle modalità di partecipazione e in particolare può essere esercitato anche quando il procedimento sia concluso e il provvedimento sia già stato emanato. Allora noi in questo ca- so parliamo di un accesso esoprocedimentale cioè che si colloca al di fuori del procedimento, il procedimento è già stato concluso e il provvedimento è già stato emanato, ma allora io posso comunque esercitare il diritto 82 di accesso perché ovviamente può capitare che io non abbia ottenuto quella tutela preventiva che avevo cer- cato in qualche modo di raggiungere attraverso la mia partecipazione al procedimento amministrativo, quindi il provvedimento che è stato assunto non solo non è conforme ai miei interessi, ma presumo e ritengo sia an- che illegittimo e allora sappiamo che in questo caso abbiamo la possibilità, perché riconosciuta dalla costitu- zione, di impugnare il provvedimento per farlo annullare e allora in questo caso eserciterò un diritto di acces- so funzionalizzato alla tutela legata all’impugnazione del provvedimento amministrativo. Ho la necessità di accedere agli atti tutte le volte che si intenta un ricorso contro un provvedimento amministrativo perché è chiaro che il ricorso basato sulla conoscenza degli atti interni al procedimento amministrativo, in particolare di quegli atti istruttori che abbiamo visto sono il presupposto per il percorso decisionale dell’amministrazione, permetto di preparare un atto giudiziario che sia meritevole di accoglimento qualora le mie doglianze siano fondate; conosco gli atti, li esamino e posso prestare un ricorso che certamente è più specifico e quindi se fondato ha maggiori possibilità di essere accolto. Quindi due tipi di accesso: accesso endoprocedimentale finalizzato alla partecipazione e all’accesso: è esercita- to all’interno di un procedimento amministrativo che quindi non si è ancora concluso, pertanto non c’è anco- ra provvedimento amministrativo, ma io lo esercito come una delle due facoltà che mi sono consentite per partecipare al procedimento, quindi per conoscere meglio e per preparare meglio la mia memoria che presen- terò all’amministrazione e nella quale si estrinseca il vero e proprio diritto di partecipare al procedimento; il diritto di accesso esoprocedimentale che è finalizzato, molto probabilmente, all’impugnazione del provvedi- mento finale: è esercito quando il provvedimento è già stato emanato, pertanto non è finalizzato alla parteci- pazione del privato, ma funge come possibilità ulteriore per tutelare i mie diritti in primo grado, quindi davan- ti al TAR, dunque queste secondo accesso serve per accedere agli atti del procedimento al fine di formulare un ricorso ben fondato su ragioni giuridiche. Perché distinguere questi due tipi di accesso? . È importante distinguere questi due tipi di accesso perché a queste due tipologie di accesso (endoprocedimentale ed esoprocedimentale) corrispondono diversi tipi di tito- lari legittimati a chiedere l’accesso a seconda che si versi nella prima o nella seconda situazione; la distinzione ha quindi una rilevanza concreta. Quello che dobbiamo inizialmente ricordare è quanto precisa l’articolo 22 comma 2 in relazione al diritto di accesso considerato qui nella sua dimensione generale. Innanzitutto premetto che la legge 241 dedica l’intero capo V a questo istituto, un istituto importante la cui importanza viene rilevata proprio dal fatto che la legge decide di dedicargli un capo completo ed autonomo di disciplina, ma in particolare la sua importanza viene ri- levata all’interno di questo capo all’articolo. 22 comma II (“L'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevan- ti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza.”) secondo cui il diritto di accesso ai documenti amministrativi è defini- to come uno dei principi generali su cui si basa l’azione amministrativa, principi che valgono a rendere effetti- vo il principio di trasparenza e imparzialità dell’amministrazione. Questo diritto di accesso è un istituto che può essere considerato principio generale della pubblica amministrazione e a sua volta finalizzato a realizzare un altro principio, quindi si presenta come principio strumentale alla realizzazione di principi più generali quindi che devono essere perseguiti dalla pubblica amministrazioni, tali principi sono: il principio di pubblici- tà, trasparenza e imparzialità. Non solo, quando abbiamo esaminato l’ambito applicativo di cui all’articolo 29 della legge 241 del 1990, cioè quando abbiamo esaminato la norma che individuava qual era l’estensione sog- gettiva della legge, abbiamo visto che ci sono determinati istituti, tra i quali anche il diritto di accesso che il le- gislatore ha voluto sottrarre alla disciplina del legislatore regionale decretandolo come istituto che vale ad in- nescare i livelli essenziali delle prestazioni, a realizzare i livelli essenziali delle prestazioni, non so se vi ricorda- te quel discorso che avevamo fatto per cui se un istituto viene classificato come rientrane nell’ambito dei livel- li essenziali delle prestazioni questo significa che per quanto esprime l’articolo 117 comma II, lettera m) della costituzione, questa materia deve essere riservata alla potestà esclusiva dello stato, quindi vuol dire che tutta la disciplina che attiene al diritto di accesso sia che venga esercitata nell’ambito di procedimenti statali e quindi ovviamente di competenza legislativa dello stato, ma sia che venga regolato nell’ambito di competenze legisla- tive regionali su materie per le quali hanno la competenza le regioni, anche in quel caso la disciplina di riferi- mento del diritto di accesso deve trovare il suo punto di riferimento nella legge 241 del 1990; si tratta di una legge statale, ma che si applica alle amministrazioni statali in riferimento a tutto ciò che riguarda i livelli essen- ziali delle prestazioni e l’articolo 29 stabilisce proprio che il diritto di accesso attiene ai livelli essenziali delle prestazioni. Quindi non solo principio generale dell’attività amministrativa, ma anche istituto che attua i livelli essenziali delle prestazioni con tutte quindi le implicazioni che abbiamo già chiarito sul piano della competen- 85 sione per lo svolgimento di un servizio pubblico, l’amministrazione non riesce a far fronte alla richiesta di tut- ti i servizi e allora o attraverso una concessione o attraverso un bando decide di affidare il servizio pubblico ad un privato, il quale alla stregua del diritto di accesso deve essere qualificato come un soggetto pubblico nei confronti del quale può essere presentata l’istanza di ostensione del provvedimento) e comunque, dice l’articolo 22 comma 1 lett. e), che da una definizione per individuare il soggetto passivo: “e) per "pubblica ammi- nistrazione", tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario.”. Quindi vedete come la configurazione di amministrazione, sogget- to passivo del diritto di accesso, sia molto ampia e la norma proprio nell’intendo di rendere estesa questa ga- ranzia abbia configurato come soggetto passibile della richiesta del diritto di acceso anche soggetti privati qua- lora siano chiamati a svolgere funzioni di interesse pubblico, attività di interesse pubblico. Allora, soggetto attivo, soggetto legittimato; soggetto passivo, chi subisce la richiesta di accesso; oggetto, che cosa chiedo. Anche per l’oggetto dobbiamo fare riferimento a quell’articolo iniziale l’articolo 22 comma 1 let- tera d) (“d) per "documento amministrativo", ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualun- que altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica ammi- nistrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disci- plina sostanziale;”) ove individua l’oggetto del diritto di accesso andando a delineare la nozione di documento amministrativo, cioè che cosa si intende per documento amministrativo, nei confronti del quale posso effet- tuare la mia richiesta. Anche qui, sempre per dare estensione a questo principio dell’azione amministrativa, è importante una nozione molto ampia del documento amministrativo che non si limita ad enucleare solo i do- cumenti scritti, ma che va a comprendere ogni tipo di rappresentazione “grafica, fotocinematografica, elettromagneti- ca o di qualunque altra specie del contenuto di atti”, quindi un documento che non deve essere solo considerato tale nella sua rappresentazione cartacea, ma che sia nelle diverse forme rappresentativo di un documento, di un at- to il quale potrebbe essere anche un atto interno, quindi endoprocedimentale, cioè un atto che non è il prov- vedimento che esplica direttamente effetti negativi nei miei confronti, io potrei chiedere accesso di un docu- mento anche interno all’amministrazione, perché qui la finalità non è tanto di impugnare quel documento in- terno, ma di crearmi una conoscenza più possibile completa finalizzata o alla mia partecipazione o alla presen- tazione di un ricorso; quindi io devo conoscere tutti gli atti interni al procedimento amministrativo, o anche atti non relativi ad uno specifico procedimento amministrativo dal quale evidentemente è derivato il provve- dimento che mi ha leso; si potrebbe trattare anche di atti che vengono, sono stati adottati da altri provvedi- menti, ma vale sempre quella condizione per cui ci deve essere un collegamento con la situazione per la quale io esercito il diritto di accesso, quindi questo atto potrebbe anche essere contenuto in un procedimento diver- so, in un subprocedimento di carattere consultivo, una relazione tecnica resa da un perito, ma l’importante è che io dimostri il collegamento di quell’atto di cui richiedo l’accesso con la posizione che voglio tutelare o all’interno del procedimento amministrativo o davanti al giudice. Inoltre non è casuale che il legislatore abbia semplicemente individuato l’atto come quell’atto detenuto d una pubblica amministrazione e concernente at- tività di pubblico interesse, ciò vuol dire che io, privato, ho la possibilità, dimostrando sempre le condizioni di legittimazione, di chiedere anche un atto che non sia necessariamente formato dall’amministrazione, che non sia necessariamente un atto riconducibile ad un organo interno dell’amministrazione, ma potrebbe essere an- che un atto di un privato che è detenuto dall’amministrazione per lo svolgimento, ovviamente, di un’attività di pubblico interesse. Quindi anche atti di soggetti privati, l’importante è che sia detenuto dall’amministrazione, ovviamente, nel senso sopra specificato. Pertanto, indipendentemente che questo atto concerna, sia discipli- nato da norme di diritto pubblico o da norme di diritto privato. Dunque qualsiasi atto che sia detenuto dall’amministrazione perché ovviamente sia collegato alla situazione che io voglio difendere o all’interno del procedimento amministrativo o attraverso il ricorso al giudice amministrativo. Come si esercita il diritto di accesso? Attraverso un’istanza. Un’istanza che a seguito della informatizzazione della pubblica amministrazione, che abbiamo visto rappresenta una delle condizioni essenziali per realizzare un’amministrazione efficiente ai sensi dell’articolo 3-bis della legge 241 del 1990, questo accesso può anche essere presentato anche in via telematica, le modalità di accesso non sono solo regolamentate dalla legge 241, ma anche da un d.p.r., il 184 del 2006. Tale D.p.r. contiene un regolamento che specifica le modalità di eserci- zio del diritto di accesso ed è importante soprattutto in riferimento alle modalità di presentazione quindi è un regolamento che in qualche modo va a completare le disposizioni contenute nella legge 241 del 1990. Si precisa che questa istanza di accesso che può essere presentata in relazione all’accesso partecipativo, cioè quello endoprocedimentale anche in via telematica, deve contenere alcuni elementi essenziali, cioè deve in- nanzitutto contenere gli estremi dell’identità del richiedente, occorre che io chiarisca all’amministrazione chi sono anche perché è dalla qualifica del richiedente che poi l’amministrazione va a verificare le condizioni di 86 legittimazione della richiesta in relazione alle quali bisogna valutare se in capo a questo soggetto che chiede il diritto di accesso sia stata effettivamente perpetrata una lesione di una posizione giuridica soggettiva che lo configura come soggetto legittimato; poi si deve chiarire quali sono i documenti che richiedo e posso anche indicare i documenti con una formula generica se io non conosco esattamente tutti gli atti istruttori compiuti in relazione ad un determinato procedimento amministrativo. Ovviamente tra gli elementi essenziali che que- sta istanza deve contenere c’è anche la motivazione perché è quella permette all’amministrazione di decidere se io sono un soggetto legittimato o meno, cioè devo chiarire e dimostrare quali sono le finalità per le quali chiedo l’accesso, perché abbiamo visto non è consentita un’istanza di accesso generalizzato solo per il con- trollo dell’operato dell’amministrazione. Se la richiesta d’accesso non viene motivata questa può essere legit- timamente rifiutata in quanto non si pone l’amministrazione nelle condizioni di esercitare quella scelta relativa al se soddisfare o meno la pretesa in relazione anche a quelle che sono le esigenze di interesse pubblico che l’amministrazione deve considerare quando l’amministrazione esercita questo potere discrezionale, quando decide se negare o meno l’accesso in quanto è chiaro che se nega l’accesso le deve fare sulla base di interessi pubblici. Le modalità per esercitare il diritto di accesso, sempre specificate in questo regolamento 184 del 2006, sono essenzialmente due: o accesso formale: è la modalità usuale. La mia istanza è un’istanza scritta, in genere questa è anche la mo- dalità che viene scelta dal privato perché se io presento un’istanza obbligo comunque l’amministrazione nel caso in cui decida di negarmi l’accesso di farlo con un atto scritto e di motivare la decisone per cui decide di non mostrarmi i documenti richiesti, oppure potrebbe essere imposta dall’amministrazione perché ha la necessità di valutare prima di decidere tutta una serie di elementi che devono essere specifi- catamente chiariti in un atto scritto da un soggetto legittimato, in genere l’amministrazione richiede ob- bligatoriamente un accesso formale ci sia la presenza di controinteressati, sia impossibile un accoglimen- to immediato, vi siano dubbi sulla legittimazione del richiedente, vi siano dubbi sull’accessibilità del do- cumento; o accesso informale: io richiedo verbalmente, senza la presentazione di un’istanza scritta, alla amministra- zione, all’ufficio competente a formare l’atto conclusivo del provvedimento amministrativo o a detener- lo stabilmente, posso chiedere direttamente a questo ufficio l’atto di cui mi interessa avere l’accesso. Questa è un’ipotesi limitata perché a fronte di una richiesta verbale, l’amministrazione dovrebbe esami- nare immediatamente e senza alcun tipo di formalità rilasciare subito il documento o una copia, ma que- sto è possibile solo se ci sono chiaramente condizioni che non prevedono la presenza di soggetti con- trointeressati all’esibizione del documento. Inoltre deve essere chiaro che non ci sono condizioni o que- stioni relative al soggetto legittimato chiaramente individuato,… insomma dovrebbero essere così chiare tutta una serie di condizioni per le quali l’amministrazione quasi mai permette un accesso di questo tipo. C’è un dovere in capo all’amministrazione erroneamente adita circa la richiesta di accesso di trasmettere que- sta richiesta all’amministrazione competente, dunque c’è un onere, in capo all’amministrazione di trasmettere all’amministrazione corretta la richiesta che sia stata presentata all’amministrazione sbagliata. --- --- --- Oggi completiamo l’istituto del diritto d’accesso. Ci siamo lasciati analizzando le modalità di richiesta d'acces- so ora ci soffermiamo sulle determinazioni della pubblica amministrazione a seguito della domanda d'accesso. Innanzitutto, la pubblica amministrazione può rispondere a questa domanda d'accesso con un invito a presen- tare un'istanza formale, ma si ha tale determinazione soltanto in caso di richiesta d'accesso verbale. Oppure può rispondere anche con una determinazione di tipo negativo, cioè rifiuta l’accesso radicalmente perché mancano le condizioni, perché ad esempio il documento è coperto dal segreto oppure perché sono prevalenti le ragioni di privacy dei soggetti contro interessati visto che nel documento potrebbero anche le sussistere degli elementi che riguardano soggetti privati. Oppure, l'amministrazione, può rispondere, anziché, rifiutare completamente l'accesso può: limitare la portata dell'accesso, cioè a rendere conoscibile al soggetto che ne fa richiesta solo una parte del documento richiesto omettendo la visione di quelle parti che non lo riguardano direttamente o che evidentemente devono essere coperte da segreto per varie ragioni, quindi l'amministrazione concede un accesso, ma limitato dal punto di vi- sta oggettivo. Un'altra possibilità consiste nel differire l'accesso, cioè: può evidenziare alla parte istante che vi sono delle necessità che richiedono una approfondita istruttoria per verificare tutte le condizioni e quindi non lo rigetta, ma semplicemente lo differisce-rimanda nel tempo. Le ultime due soluzioni rimanenti consistono o nell'accogliere l'istanza e in tal caso la parte istante potrà prendere visione e chiedere copia del documento oppure l'amministrazione potrebbe rimanere anche inerte, 87 cioè non prendere una posizione specifica circa l'istanza presentata, ma qui, siccome questo è un istituto che ha la funzione di garantire uno dei principi fondamentali dell'azione amministrativa, la legge stabilisce un meccanismo automatico per cui attribuisce al silenzio dell'amministrazione un effetto legale tipico. Questo è uno dei pochissimi casi di quello che possiamo definire silenzio-rigetto, cioè in cui il silenzio dell'amministra- zione equivale, perché così disposto per legge, al diniego della domanda, dell'istanza. Quindi un effetto legale tipico riconosciuto dalla legge al silenzio dell'amministrazione che equivale al non accoglimento della doman- da. Questo è uno dei pochissimi casi perché, innanzitutto, il meccanismo del silenzio significativo, sia esso as- senso sia esso diniego, non deve rappresentare una regola generale dell'amministrazione in base ai principi stabiliti dagli articoli 1 e 2 della legge 241 del 1990 ove si stabilisce che la pubblica amministrazione ha l'obbli- go di pronunciarsi con un provvedimento espresso, ma soprattutto perché questi meccanismi di silenzio non sono benvisti, neanche quando prevedono l'assenso, dalla commissione europea e dalla legislazione comunita- ria in quanto adottare questi meccanismi di silenzio significativo significa certamente accelerare i procedimenti amministrativi, ma significa anche frustrare quelle che sono le esigenze dell'amministrazione di partecipazione e quindi dell'amministrazione democratica e quindi, se vogliamo, del giusto procedimento perché, a fronte del fatto che la legge riconosca questo meccanismo di silenzio rendendolo legittimo, significa mettere l'ammini- strazione nella condizioni di non decidere, inteso ciò come di non valutare perché ad esempio non costretta ad aprire il procedimento amministrativo o perché non costretta ad aprire la fase istruttoria e quindi se non ci sono tutte queste fasi vengono meno tutte le garanzie previste nel procedimento amministrativo a favore dei privati si riducono. Per le ipotesi di silenzio-assenso si può dire che il privato è accontentato e dunque i suoi interessi non sono frustrati, ma lo sono ad esempio quelli dei soggetti controinteressati al rilascio del provvedimento amministra- tivo, i quali non hanno la possibilità di partecipare e inoltre in questo modo l'amministrazione non motiva la sua decisione e tali soggetti se impugnano il provvedimento hanno un elemento in meno che avrebbe potuto aiutarli nel motivare le loro ragioni davanti al giudice amministrativo. Quindi diffidenza generale verso questi meccanismi e censure da parte della corte europea sono arrivate evi- dentemente su istanze particolarmente interessanti per l'unione europea che riguardavano la tutela dell'am- biente, a seguito di queste censure la normativa italiana è ovviamente cambiata e questo meccanismo di silen- zio-assenso è cambiato soprattutto per i provvedimenti ambientali. Dunque diffidenza generale quando l'effetto legale tipico riconosciuto dalla legge è di assenso, figuriamoci quando poi è di diniego, pertanto le ipotesi di questo tipo nel nostro ordinamento sono pochissime e una di queste riguarda proprio l'istanza del diritto di accesso perché è l'articolo 25 comma IV della legge 241 del 1990 prevede che trascorsi inutilmente 30 giorni dalla richiesta questa si intende respinta, l'importante è capire che queste ipotesi di silenzio significativo sono quelle ipotesi a cui la legge riconosce un effetto legale tipico che sono diverse invece dalle ipotesi in cui l'amministrazione pur avendo il dovere di pronunciarsi non si pro- nuncia, ma per quel silenzio, non c'è nessuna disposizione di legge che riconosce l'effetto di diniego e pertan- to in questo caso siamo alla presenza di un silenzio-inadempimento che genererà tutte quelle conseguenze che abbiamo visto quando si conclude il procedimento amministrativo e non viene emanato un provvedimento espresso. Quindi, un conto è il caso del silenzio che definiamo inadempimento, cioè obbligo giuridico di provvedere da parte dell'amministrazione perché è stata presentata quella che tecnicamente definiamo un’istanza, cioè un'istanza che ha una posizione tutelata circa la pretesa di un provvedimento amministrativo, la legge però non riconoscer al silenzio dell'amministrazione un effetto, allora in questo caso il comportamen- to dell'amministrazione è un comportamento illegittimo, ma non possiamo riconoscergli alcun effetto legale, pertanto non ci resta che attivare i meccanismi che sono previsti dall'articolo 2; diverso è invece il caso del si- lenzio significativo che quindi va ben distinto dal silenzio inadempimento, si parla di silenzio significativo quando ci sia un'espressa disposizione di legge, come in questo caso: articolo 25 comma IV, che dice qual è il valore da attribuire al silenzio dell'amministrazione e in questo caso possiamo avere allora un silenzio signifi- cativo o di accoglimento (si ha quello che taluni definiscono un provvedimento tacito o implicito) o di dinie- go. Quando l'amministrazione decide di non pronunciarsi entro 30 giorni e pertanto rimane inerte e si produce questo effetto tipico di non accoglimento dell'istanza quali sono le tutele che vengono accordate dall'ordina- mento? Abbiamo detto che questa materia è regolata dal codice del processo amministrativo e pertanto si ra- dica la competenza in capo al giudice amministrativo anche perché nonostante si parli di diritto di accesso siamo in realtà in presenza di un interesse legittimo, quindi decidere il giudice amministrativo con un ricorso abbreviato. Altrimenti la legge 241 del 1990 prevede anche dei meccanismi alternativi a questa soluzione per- ché si spinge anche in questa materia verso quel risultato auspicato di deflazione del contenzioso amministra- 90 suale, quindi una categoria speciale rispetto a quella dei dati sensibili. Allora in questo caso l'indicazione che viene data dal legislatore è più specifica, rimane il potere discrezionale dell'amministrazione, ma qui il legisla- tore dice all'amministrazione che può consentire il trattamento di questi dati super sensibili solo se la situazio- ne giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta d'accesso è di rango almeno pari ai diritti del controinteressato, cioè attiene a un diritto della personalità o a un diritto che attiene alle libertà fondamentali e inviolabili, cioè abbiamo una ponderazione di richieste da ponderare: da un lato c'è l'esigenza di tutelare quelli che sono tutti quei dati che attengono allo stato di salute ed alla vita sessuale del soggetto e dall'altro lato le si- tuazioni per le quali si chiede tutela possono essere diverse, allora il legislatore dice deve prevalere la richiesta del diritto di accesso solo se le ragioni per le quali l'accesso viene richiesto riguardano un diritto che ha una consistenza, una dignità almeno pari a quella del soggetto controinteressato e cioè deve essere consentito il trattamento di questi dati solo se è in gioco un diritto della personalità o un diritto o una libertà fondamentale del soggetto che fa richiesta dell'accesso altrimenti in tutti gli altri casi, cioè se la situazione è pur meritevoli di tutela perché protetta, ma non ha una dignità pari a quella delle posizioni del soggetto controinteressato che devono essere tutelate che attengono appunto a questi dati super sensibili, allora il diritto d'accesso deve asso- lutamente decadere, perché deve essere data prevalenza alle esigenze della privacy. Dunque è chiaro che la legge non prende mai una posizione, ma si limita a dettare dei criteri attraverso i quali l'amministrazione deve valutare caso per caso e poi decidere. Quindi occorre diversificare, certamente da que- sti schemi si può notare come il diritto d'accesso riceva una tutela molto forte, perché non c'è nessun caso in cui si dica chiaramente che il diritto alla privacy debba prevalere sul diritto d'accesso e pertanto ciò significa che la prevalenza dell'ordinamento è molto forte in relazione alla tutela dell'accesso ai documenti amministra- tivi. Certo è che quando le notizie riguardino dati in qualche modo possono compromettere la vita personale dei soggetti, allora occorre che l'amministrazione contempo in modo più rigoroso i valori che sono in gioco. Abbiamo concluso la tematica del diritto d'accesso e passiamo ora ad occuparci della fase consultiva, quindi ci occupiamo dei pareri. Per fase consultiva si intende che l'amministrazione nell'ambito di un procedimento principale avvia un subprocedimento, cioè un procedimento interno ma in qualche modo autonomo che si va a innestare sul troncone principale, di consulto; l'amministrazione evidentemente per decidere ha bisogno di essere illuminata dal parere che viene reso dall'organo consultivo che in genere è un organo di carattere colle- giale connotato di particolari competenze. Quindi, il parere è espressione di quella funzione consultiva e questa funzione consultiva talvolta viene previ- sta come momento obbligatorio all'interno di determinati procedimenti e in questo caso l'obbligatorietà non sta nell'obbligo di rendere il parere, ma sta nell'obbligo di chiederlo, dunque parere obbligatorio significa che l'amministrazione procedente ha l'obbligo di chiedere il parere all'organo consultivo, perché invece la resa del parere è comunque obbligatoria per l'organo consultivo sia che l'amministrazione sia obbligata a chiedere il parere sia che l'amministrazione lo chieda in modo facoltativo; pertanto non confondiamoci. Quindi viene ad instaurarsi questo subprocedimento, espressione della funzione consultiva che può essere doverosa oppure esercitabile previa richiesta dell'amministrazione attiva (cioè dell'amministrazione che cura il procedimento principale). L'organo della competenza in genere è un ufficio o un organo che ha una composi- zione collegiale e che è dotato di particolare competenze e preparazione tecnica. A cosa tiene il parere? Il parere attiene a un consiglio che questo organo da all'amministrazione attiva proce- dente circa gli interessi da tutelare maggiormente tenuto conto della situazione di fatto che si è evidenziata nell'istruttoria, ciò vuol dire che il parere viene fornito in genere all'amministrazione quando l'istruttoria è in pratica già conclusa, quindi si colloca in una fase temporale successiva a quella dell'istruttoria; gli elementi, le situazioni di fatto sono già stati acquisiti, sono già chiari, vengono trasmessi all'organo consultivo che ottiene in tal modo un quadro abbastanza chiaro e preciso di quella che è la situazione di fatto e di diritto chiedendo un parere. Questa distinzione è importante perché come vedremo il parere non deve essere confuso con la valutazione tecnica per la quale vige una disciplina diversa rispetto a quella del parere; spesso non è semplice dire se quel- lo che viene richiesto all'organo collegiale è una valutazione tecnica o è un parere, anche se poi l'amministra- zione quando lo richiede specifica se vuole un parere o una valutazione tecnica, ma certamente quello che connota e diversifica queste due richieste che si avvalgono sempre della competenza tecnica di organi partico- larmente preparati sta nel fatto che la valutazione tecnica attiene alla conoscenza complessa di un fatto quindi si pone in una fase che è ancora quella istruttoria, c'è un fatto complesso d'accertare, non è chiaro l'ammini- strazione in quanto non ha tutti gli strumenti per accertarlo e allora chiede una valutazione tecnica che è più riportabile a quella comunemente conosciuta come perizia e dunque la valutazione tecnica serve per avere 91 chiara la situazione di fatto sulla quale deve intervenire; il parere è un momento diverso perché comunque tiene sempre un consiglio che l'amministrazione chiede a un organo che ha una speciale preparazione, ma questo parere viene reso quando la situazione di fatto e di diritto è ben chiara, pertanto ci può essere un pro- cedimento amministrativo ove prima viene chiesto una valutazione tecnica per chiarire il quadro e successi- vamente, per capire qual è il contenuto del provvedimento finale da adottare, si chiede un parere. Analizziamo ora le categorie dei pareri. La grande bipartizione è tra pareri obbligatori e pareri facoltativi. Allo- ra, il parere obbligatorio lo abbiamo già visto, l'obbligatorietà sta nella richiesta e ciò dire che l'amministrazio- ne procedente è obbligata, perché così lo prevede la legge, a chiedere il parere di un organo prima di decidere. Il parere facoltativo e quello per cui la legge non dice nulla, ma l'istruttoria è così complessa, ha rilevato inte- ressi così contrastanti che l'amministrazione procedente di sua spontanea volontà decide di aggravare l'istrut- toria e di conseguenza il procedimento amministrativo chiedendo un parere perché evidentemente ritiene in questo caso di non avere tutti gli elementi per poter decidere in modo congruo, nulla è specificato dalla legge, ma in modo facoltativo chiede un parere all'organo che comunque è tenuto a rilasciarlo. Nell'ambito della grande categoria pareri obbligatori si collocano i pareri vincolanti. I pareri vincolanti sono quei pareri per i quali non si ha soltanto l'obbligo di chiedere, ma si ha anche l'obbligo di seguire il contenuto, ciò significa che se la legge prevede un parere obbligatorio, io, amministrazione procedente, ho l’obbligo di chiederlo, ma posso decidere anche di discostarmi, ovviamente motivando, quando invece la legge prevede che il parere sia vincolante io, l'amministrazione procedente, non ho solo l'obbligo di chiederlo, ma ho anche l'obbligo di seguire la determinazione che scaturisce dall'organo collegiale di consulenza, in questo caso l'am- ministrazione procedente non ha nessun margine di discrezionalità e pertanto il parere non ha una funzione consultiva, ma decisorio al punto che buona parte della dottrina evidenzi come non si tratti di un parere, ma di un atto di amministrazione attiva vera e propria. Nel nostro ordinamento i pareri vincolanti sono molto pochi. Un'altra categoria di pareri, anche questo abbastanza limitata, è quella dei pareri conformi. Questa categoria di pareri conformi appartiene al filone dei pareri facoltativi. Un parere è conforme quando l'amministrazione non è obbligata a richiederlo, ha solo la facoltà di richiederlo, ma se lo richiede poi vi è obbligata a confor- marsi, quindi non può discostarsene. Tecnicamente dunque questo tipo di parere va nella fascia dei pareri fa- coltativi in quanto l'amministrazione non è obbligata a richiederlo se no si sarebbe in presenza di un parere vincolante, però se l'amministrazione lo richiede poi deve seguirlo. Abbiamo già parlato del problema della impossibilità di sanare il procedimento amministrativo per mancata acquisizione di un parere obbligatorio secondo quello che è l'orientamento della giurisprudenza amministrati- va, che però va sempre valutato alla luce dell'articolo 21-octies. C'è un articolo della legge 241 del 1990, l'articolo 16 che si occupa di disciplinare i pareri obbligatori. Quindi la disciplina che la legge 241 del 1990 prevede per la fase consultiva riguarda i pareri obbligatori. In questo ar- ticolo si stabilisce che quando venga chiesto dell'amministrazione procedente un parere obbligatorio, l'organo consultivo è tenuto a rendere questo parere entro 20 giorni dal ricevimento della richiesta. Dunque, un termi- ne entro il quale l'organo consultivo deve rendere il parere. Se il parere è facoltativo l'amministrazione che deve fornire la consulenza, deve dare comunicazione alla pub- blica amministrazione richiedente del termine entro il quale il parere sarà reso. Ciò vuol dire che questo ter- mine di resa del parere di 20 giorni vale per i pareri obbligatori, non è stabilito nulla circa la rilascio del parere che l'amministrazione procedente chiede in modo facoltativo, peraltro la legge impone all'organo consultivo, nel caso che la richiesta sia facoltativa, di comunicare all'amministrazione procedente il termine entro il quale darà il parere. In caso di inutile decorrenza del termine del parere obbligatorio, cioè non vengano rispettati i 20 giorni, c'è una possibilità di scelta da parte dell'amministrazione procedente di prescindere dall'acquisizione del parere, quindi di rinunciare al parere, oppure di aspettare, perché evidentemente ritiene che siano prevalenti le ragioni della massima informazione possibile, affinché il parere venga comunque reso anche se trascorso il termine. Quindi si comprende che questo meccanismo fa si che anche dopo il trascorrere dei 20 giorni, il parere che prima era obbligatorio si trasforma in parere facoltativo, cioè l'amministrazione l'ha richiesto, non le viene da- ta una risposta è entro i termini previsti dalla legge e pertanto a quel punto è l'amministrazione che decide se chiederlo o meno, cioè se continuare ad aspettarlo oppure no. Questo meccanismo non si applica e quindi non vale questo momento di superamento dell'acquisizione del parere obbligatorio, se il parere deve essere reso da un'amministrazione che è preposta alla tutela di interessi ambientali, paesaggistico territoriali e della salute dei cittadini, quindi in questo caso il parere è reso da ammi- nistrazioni che curano questi interessi, questi valori particolarmente rilevanti, non si può prescindere dall'ac- 92 quisizione del parere, non si può quindi superare il momento dell'inerzia prescindendo il parere, ma l'ammini- strazione procedente è obbligata ad aspettare il parere. Tra l'altro l'essere obbligati ad aspettare il parere signi- fica allungare i termini, ma l'amministrazione procedente ha un termine finale da rispettare e dunque ciò vuol dire che si fa gravare sul responsabile del procedimento la responsabilità di un altro organo che non decide e a cui la legge non impedisce di fare altro, non posso che aspettare; c'è una norma in questo articolo 16 in cui si specifica che non possono derivare responsabilità a carico dell'amministrazione procedente qualora il rallen- tamento della procedura sia determinato dall'organo di consulenza che non rispetta i termini previsti. Art. 16: “1. Gli organi consultivi delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 feb- braio 1993, n. 29, sono tenuti a rendere i pareri a essi obbligatoriamente richiesti entro venti giorni dal ricevimento della richie- sta. Qualora siano richiesti di pareri facoltativi, sono tenuti a dare immediata comunicazione alle amministrazioni richiedenti del termine entro il quale il parere sarà reso, che comunque non può superare i venti giorni dal ricevimento della richiesta. 2. In caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere obbligatorio o senza che l’organo adito abbia rappre- sentato esigenze istruttorie, è in facoltà dell’amministrazione richiedente di procedere indipendentemente dall’espressione del parere. In caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere facoltativo o senza che l’organo adito abbia rappresenta- to esigenze istruttorie, l’amministrazione richiedente procede indipendentemente dall’espressione del parere. Salvo il caso di omessa richiesta del parere, il responsabile del procedimento non può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata espressione dei pareri di cui al presente comma. 3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano in caso di pareri che debbano essere rilasciati da amministrazioni pre- poste alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini. 4. Nel caso in cui l'organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie i termini di cui al comma 1 possono essere interrotti per una sola volta e il parere deve essere reso definitivamente entro quindici giorni dalla ricezione degli elementi istruttori da parte del- le amministrazioni interessate. 5. Qualora il parere sia favorevole, senza osservazioni, il dispositivo è comunicato telegraficamente o con mezzi telematici. (5) 6. Gli organi consultivi dello Stato predispongono procedure di particolare urgenza per l'adozione dei pareri loro richiesti. 6-bis. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 127 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni” --- --- --- Abbiamo visto la disciplina dei pareri, adesso ci tocca chiudere la fase consultiva parlando delle valutazioni tecniche. Abbiamo visto che la fase consultiva ha ad oggetto, poi, nella disciplina sul procedimento amministrativo l'ar- ticolo 16 e l'articolo successivo, il 17, si occupa valutazioni tecniche. Una prima precisazione che si deve fare è quella relativa alla distinzione tra parere e valutazione tecnica, di- stinzione che attiene a due subprocedimenti: quello appunto della fase consultiva relativo ai pareri e quello della una resa di una valutazione tecnica o di una perizia, dunque due subprocedimenti che si innestano en- trambi all'interno del procedimento principale, ma che differiscono in quanto a finalità e in quanto a momen- to temporale in cui si vanno a collocare all'interno del procedimento amministrativo, del resto la loro disloca- zione in momenti temporali diversi all'interno del procedimento amministrativo risponde proprio alla diversa funzione che questi due subprocedimenti devono svolgere all'interno dell'istruttoria amministrativa. Abbiamo visto che il parere attiene ad un consiglio che viene dato all'amministrazione da parte di un organo consultivo che ha una preparazione specifica e che deve illuminare l'amministrazione circa la scelta finale da prendere, da sussumere nel provvedimento amministrativo, dovrà cioè illuminare l'amministrazione circa al regolamento di interessi che deve risultare dal provvedimento finale, è chiaro che il parere interviene quando tutti gli elementi di fatto di diritto sono chiari, quindi la fase istruttoria di accertamento dei fatti e delle situazioni di diritto è conclusa e pertanto spetta ormai all'amministrazione effettuare una valutazione sulla base di elementi chiari che sono già stati esaminati nella fase istruttoria. Quando tuttavia questi fatti abbiano la necessità di essere compresi più a fondo perché magari si presentano come molto complessi o anche molto tecnici, l'amministrazione, in un momento precedente l'acquisizione del parere, può rivolgersi sempre a un organo a ciò preposto, un organo collegiale-tecnico, dotato di particolari competenze, il quale deve cercare di chiarire all'amministrazione quali sono gli elementi fattuali sui quali poi dovrà prendere la sua scelta discrezionale. Quindi si nota come la valutazione tecnica risponda a una finalità diversa, siamo sempre in una fase istruttoria, ma precedente l'acquisizione del parere, perché vi è la necessità di chiarire bene la fattispecie sulla quale l'amministrazione deve decidere e spesso questo fattispecie è conno- tata da caratteri tecnici di particolare complessità; un caso potrebbe essere, ad esempio, quello quando l'am- ministrazione deve decidere a fronte di un luogo particolarmente inquinato o meno se si rientra nelle condi- zioni previste dalla legge per cui scatta un obbligo di bonificare quel terreno, questa valutazione che implica 95 meccanismo del silenzio assenso e pertanto per quest'ampia ipotesi di provvedimenti ad istanza di parte vale il regime del silenzio inadempimento. Questa silenzio inadempimento, che fa scattare tutta una serie di conseguenze giuridiche a carico dell'amministrazione, si forma quando è trascorso il termine di conclusione del procedimento ammi- nistrativo, cioè non è più necessario come accadeva in passato che l'amministrazione, perché potesse rendere in qualche modo giustiziabile questo silenzio inadempimento, creasse dei presupposti giuridici attraverso una diffida, quindi, in precedenza, prima che intervenissero le modifiche di cui all'articolo 2 della legge 241 del 1990 e soprattutto che fosse emanato il codice del procedimento amministrativo che prevede quali sono i meccanismi per adire il giudice amministrativo in seguito del silenzio ina- dempimento dell'amministrazione, occorreva perché si formasse questo silenzio, perché questo silen- zio nessuna rilevanza giuridica, cioè producesse delle conseguenze a carico dell'amministrazione, non bastava al semplice trascorrere del tempo e quindi non bastava che fosse trascorso il termine di con- clusione del procedimento amministrativo, ma si richiedeva da parte del privato degli ulteriori oneri quali: quello di mettere in diffida l'amministrazione, di assegnare, quindi, a seguito di questa diffida formale, diffida in cui il privato metteva in mora l'amministrazione, il privato doveva aspettare un ul- teriore arco di tempo in cui l'amministrazione potesse pronunciarsi, del resto la conclusione del ter- mine, ancora oggi, per chiudere il procedimento amministrativo non far decadere l'amministrazione dal potere di emanare il provvedimento amministrativo, può sempre farlo. Pertanto non c'è più la ne- cessità di diffidare l'amministrazione perché è semplicemente richiesto che sia trascorso il termine e a quel punto, se non si vuole procedere per la via interna cioè ricorrere al responsabile dell'adempimen- to affinché sia questo soggetto portare a compimento il procedimento amministrativo entro il termine pari alla metà di quello originariamente assegnato, se non si vuole procedere con questa via si può adi- re direttamente il giudice amministrativo. Davanti al giudice amministrativo ho un'azione che si può definire di accertamento, quindi non tanto di tutela costitutiva quanto di tutela dichiarativa, si produr- rà una sentenza di accertamento: si chiede al giudice di accertare l'obbligo dell'amministrazione di provvedere, non solo, si può chiedere addirittura al giudice, se ritiene che vi siano i presupposti per- ché ciò possa essere dichiarato, che costringa l'amministrazione ad emanare un provvedimento che sia conforme ai miei interessi; cioè io non chiedo semplicemente che il giudice accerti l'obbligo di prov- vedere, ma è uno dei casi in cui il giudice può addirittura entrare nel merito e costringere l'amministra- zione ad emanare un certo tipo di provvedimento. C'è un termine entro il quale questa azione contro il silenzio dell'azione può essere fatta valere? Sì, non è un termine di decadenza, ma un termine di pre- scrizione breve perché il codice del processo all'articolo 117 afferma che quest'azione contro il silen- zio inadempimento può essere proposta fino a quando dura l'inadempimento, ma comunque questo silenzio non può essere fatto valere oltre un anno dalla scadenza del termine. - silenzio significativo: siamo anche qui nella stessa condizione del silenzio inadempimento nel senso che c'è sempre in capo all'amministrazione un obbligo giuridico di procedere, di aprire un provvedi- mento amministrativo ma in questo caso è la stessa legge che in una precisa disposizione attribuisce un significato e quindi un effetto legale tipico a questa silenzio riconoscendoli di volta in volta i ficca- to di assenso e quindi di rilascio del provvedimento, l'effetto equipollente è quello del rilascio del provvedimento, oppure può riconoscere come effetto legale tipico anche quelli di un diniego del provvedimento quindi un effetto di rigetto. Dunque anche qui abbiamo un presupposto giuridico per aprire, per cui la pubblica amministrazione ha la necessità di aprire procedimento amministrativo e se si ha un decorso del termine senza l'emanazione del provvedimento espresso si ha un determinato ef- fetto legale tipico stabilito per legge. Badate bene, nei casi di silenzio-assenso l'amministrazione po- trebbe ben decidere, ad esempio, di emanare un provvedimento espresso, cioè dove è previsto che l'effetto di rilascio del provvedimento amministrativo si produca con il semplice decorso del termine non c'è un obbligo dell'amministrazione di procedere in quel senso, cioè di non provvedere espressa- mente, l'amministrazione è sempre libero di farlo anzi ha l'obbligo di intervenire con un provvedi- mento espresso quando veda e verifichi che non ci sono le condizioni perché quel provvedimento venga rilasciato e che verrebbe invece rilasciata dal caso in cui rimanesse inerte, quindi in questi casi l'amministrazione ha l'obbligo di attivarsi, per emanare prima del termine, un provvedimento di riget- to dell'istanza che altrimenti verrebbe accolta. Anche nel caso in cui l'amministrazione decidesse di ri- lasciare il provvedimento, l'amministrazione può, per esempio, dettare delle disposizioni di conforma- zione. Dunque in questi casi non c'è un obbligo per l'amministrazione di restare inerte, la quale può e deve attivarsi qualora in tal modo si tutelasse meglio l'interesse pubblico. 96 Riprendendo più nel dettaglio il silenzio significativo: l'ordinamento collega al decorso del termine la produzione di un effetto pari all'emanazione di un provvedimento favorevole, in questo caso siamo la presenza di un silenzio-assenso, o di un diniego, in questo caso siamo la presenza di un silenzio- diniego, a seguito dell'istanza del privato. Abbiamo già detto che sono veramente poche nel nostro ordinamento le ipotesi di silenzio significati- vo di diniego, una l'abbiamo esaminata parlando del diritto d'accesso in quanto l'articolo 25 comma IV prevede che decorsi 30 giorni dalla istanza d'accesso questa si intende per negata; un altro caso ri- guarda una disposizione contenuta nel decreto legislativo 165 del 2001 che regola i rapporti di pubbli- co impiego: l'articolo 53 comma X di questo decreto riguarda l'istanza da parte di pubblici dipendenti per l'autorizzazione di incarichi retribuiti, se entro 30 giorni non si ottiene una autorizzazione e come se l'amministrazione avesse espresso un diniego. Abbiamo già sottolineato che il fatto di non provvedere con un provvedimento espresso frustra le esigenze in molti casi dei soggetti interessati o dei soggetti controinteressati, non avere un provvedi- mento amministrativo significa non avere una motivazione che spieghi le ragioni per le quali l'ammini- strazione si è determinata in senso negativo rispetto alla propria istanza, significa non avere la possibi- lità di partecipare al procedimento amministrativo presentando le proprie istanze in quanto se non si apre un procedimento il soggetto privato non può partecipare e pertanto vengono cadere anche le al- tre garanzie legate alla partecipazione come, per esempio, il preavviso di rigetto. Soffermandoci sui casi di silenzio-assenso. Dobbiamo ricordare la disciplina contenuta all'articolo 20 che individua, al comma I, una regola generale di silenzio assenso per i procedimenti ad istanza di par- te. Ci sono poi tutto una serie di eccezioni-procedimenti che riguardano interessi critici per i quali la regola del silenzio-assenso non si applica e pertanto si ricade nell'ipotesi di silenzio inadempimento e sono, comma IV: i procedimenti riguardanti il patrimonio culturale, paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l'immigrazione, l'asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolu- mità; questo lungo elenco di eccezioni fa si che la regola del silenzio-assenso sia quasi completamente svuotata di significato in quanto è difficile non provare procedimenti riguardanti gli interessi elencati in questo comma quattro, in più, sempre facendo riferimento agli ammonimenti che giungevano dalla corte di giustizia, è chiaro che il silenzio-assenso non può essere posto dalla normativa italiana quando la normativa comunitaria impone l'adozione di atti formali. Cosa fa la pubblica amministrazione per evitare la formazione del silenzio? Abbiamo detto ci sono dei casi in cui l'amministrazione, pur prevedendosi questo meccanismo di effetti significativi del silenzio, ha l'obbligo comunque di aprire il procedimento amministrativo e di intervenire, cioè, può decidere comunque di provvedere in modo espresso quando si siano quelle esigenze per cui l'atto di assenso deve essere in qualche modo specificato, conformato e quindi non può essere prodotto semplicemen- te sul modello proposto dall'istanza di parte, deve essere in qualche modo corretto allora, in questo caso, l'amministrazione provvede con un provvedimento espresso perché va a conformare l'esercizio di quella facoltà o di quel diritto che è stato richiesto attraverso l'istanza. Oppure l'amministrazione comunica il diniego, cioè, succede che l'amministrazione si rende conto che non ci sono i presupposti perché il provvedimento possa essere rilasciato ed allora deve assolutamente impedire la formazione del silenzio-assenso e pertanto interviene comunicando il diniego rispettando anche l'articolo 10-bis, cioè, dando il preavviso di rigetto. Oppure il silenzio non si forma se la pubblica amministrazione in- dice una conferenza di servizi, cioè si rende conto che le esigenze istruttorie complesse sono tali da ri- chiedere un esame contestuale di più amministrazioni che sono coinvolte dall'emanazione del provve- dimento amministrativo e pertanto interrompere il suo silenzio, la sua inerzia attraverso un atto for- male di indizione di una conferenza di servizi e questo è un atto che vale a innescare l'apertura del procedimento amministrativo che a questo punto dovrà concludersi con un provvedimento espresso che terrà conto di quella determinazione concordata scaturita dalla conferenza di servizi. Non dobbiamo dimenticare che c'è una situazione prevista dalla legge che prevede che la dichiarazio- ne che sia resa dal privato nell'ambito dell'istanza riguardante sue situazioni personali che evidente- mente dovevano essere qualificate, attestate; allora, se gli status o comunque le situazioni che sono ac- certate nell'ambito della istanza del privato attraverso le autocertificazioni risultano mendaci o false, a parte tutti profili di responsabilità penale che sussistono in questo caso, dal punto di vista amministra- tivo è interessante rilevare che in questo caso il silenzio non produce nessun effetto. - silenzio devolutivo (emerso dall'analisi degli articoli 16 e 17): qual è la conseguenza in questi casi del decorso del termine senza che sia stato prodotto l'atto che, l'amministrazione in questo caso di con- 97 sulenza o valutazione tecnica, doveva essere rilasciato? La conseguenza è che si legittima un compor- tamento successivo dell'amministrazione procedente che prima invece gli era impedito. Quindi a fron- te del decorso del termine, il silenzio devolutivo produce la legittimazione in capo all'amministrazione procedente a tenere un determinato comportamento che prima di quel decorso del termine non pote- va tenere. Riprendendo più nel dettaglio il silenzio devolutivo. Abbiamo visto che gli articoli in questione sono gli articoli 16 e 17 della legge 241 del 90. In questo caso l'effetto che produce il decorso del termine consiste nel consentire al soggetto pubblico procedente o di completare il procedimento, prescinden- do dal parere, oppure di rivolgersi ad un'altra amministrazione al fine di ottenere una valutazione tec- nica in luogo di quella non resa. Quindi l'effetto del silenzio devolutivo consiste nell'autorizzare un comportamento dell'amministrazione procedente che le era altrimenti precluso e comunque avrebbe generato una situazione di illegittimità del provvedimento finale. La fase integrativa dell'efficacia, abbiamo detto, non è una fase necessaria di provvedimenti amministrativi, ma è una fase solo eventuale, cioè, è una fase che esiste solo se la legge la prevede altrimenti non esiste, ecco perché è una fase eventuale. Non è l'amministrazione che decide, di sua spontanea volontà, se quel procedi- mento può essere o meno soggetto a questa fase ulteriore di integrazione di efficacia del provvedimento ema- nato, ma questa fase esiste solo quando la legge la preveda, siamo sempre in presenza del principio di legalità. Il problema che si genera consiste nel fatto per cui il provvedimento è stato emanato entro i termini, è stato prodotto dall'amministrazione, è perfetto in tutti i suoi elementi costitutivi, quindi è validamente formato, ma semplicemente non è ancora efficace, mentre, normalmente, nella generalità dei casi quando il provvedimento è emanato ed è perfetto in tutti i suoi elementi produce gli effetti, ci sono dei casi previsti dalla legge in cui ciò non accade. Allora in questi casi il provvedimento che è perfetto non è ancora efficace e l'acquisto della sua efficacia può essere subordinata dalla legge al compimento di operazioni ulteriori che devono essere effettuate dall'amministrazione oppure può essere subordinata la sua efficacia all'emanazione di ulteriori atti oppure an- che al verificarsi di determinati fatti. È necessario far un'importantissima precisazione tra efficacia e legittimità del provvedimento amministrativo in quanto il provvedimento amministrativo, nella generalità dei casi, quindi quando non sia prevista questa ul- teriore fase integrativa, è efficace quando emanato indipendentemente dal fatto che sia legittimo o illegittimo, cioè, l'efficacia del provvedimento non dipende dalla legittimità dell'atto perché è un provvedimento emanato per il quale non sia prevista questa fase eventuale anche se illegittimo è comunque efficace, ciò vuol dire che esplica comunque i suoi effetti e la conseguenza è che si tratta di un provvedimento annullabile, e con ciò si vuol dire che questa illegittimità fa si che questi effetti che nel frattempo si producono possono venire meno in senso retroattivo, in maniera retroattiva se il privato impugna il provvedimento davanti al giudice ammini- strativo e lo fa annullare, ma qui il legislatore ha compiuto una scelta a favore dell'interesse pubblico quando ha deciso che il provvedimento amministrativo illegittimo dovesse essere considerato comunque efficace per- ché ha ritenuto che fossero preminenti le ragioni di interesse pubblico e che quindi questi giustificassero co- munque un'efficacia del provvedimento anche non conforme a legge. Nel caso di provvedimento amministrativo soggetto alla fase integrativa dell'efficacia noi abbiamo un provve- dimento legittimo, ma non ancora efficace. Quindi importante è non confondere questi due profili che sono certamente collegati, ma che non coincido- no: quello relativo alla validità e quello relativo all'efficacia del provvedimento amministrativo, perché anche i provvedimenti amministrativi invalidi sono efficaci, vi sono viceversa provvedimenti amministrativi legittimi che non sono ancora efficaci perché sottoposti a questa fase integrativa eventuale. Quali sono le fasi ulteriori a atti o comunque operazioni che l'amministrazione compie per assegnare efficacia ad un provvedimento che non l'ha ancora acquistata per disposizione di legge? Ovviamente vengono subito in mente quelle operazioni di controllo che possono essere esercitate sul provvedimento emanato da un orga- no diverso rispetto a quello che ha adottato il provvedimento, in quanto nella funzione di controllo sta pro- prio insita l'esigenza che il controllore sia diverso dal controllato; affinché si possa parlare di controllo ci deve essere una diversità di soggetti, il controllore non può mai essere lo stesso soggetto che è controllato. Dun- que, possiamo ben dire che anche questo innesca una fase di sub procedimento, cioè, di procedimento inter- no quello principale per cui l'atto deve essere trasmesso all'organo di controllo, si può instaurare un momento di contraddittorio tra il soggetto controllante e soggetto controllato e poi viene adottata la misura da parte dell'organo di controllo e nel momento in cui viene adottata la misura, questa misura viene comunicata anche all'amministrazione procedente. Se il controllo è preventivo significa che l'efficacia dell’atto è sospesa fino a
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