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Appunti linee guida Fibrillazione atriale, Guide, Progetti e Ricerche di Cardiochirurgia

fibrillazione atriale

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2010/2011

Caricato il 26/10/2011

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Scarica Appunti linee guida Fibrillazione atriale e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Cardiochirurgia solo su Docsity! 7G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 2011 Linee guida AIAC 2010 per la gestione e il trattamento della fibrillazione atriale Antonio Raviele (Chairman)1, Marcello Disertori (Chairman)2, Paolo Alboni3, Emanuele Bertaglia4, Gianluca Botto5, Michele Brignole6, Riccardo Cappato7, Alessandro Capucci8, Maurizio Del Greco2, Roberto De Ponti9, Matteo Di Biase10, Giuseppe Di Pasquale11, Michele Gulizia12, Federico Lombardi13, Sakis Themistoclakis1, Massimo Tritto14 1Dipartimento Cardiovascolare, Centro Aritmologico e per la Fibrillazione Atriale, Ospedale dell’Angelo, Mestre-Venezia 2U.O. di Cardiologia, Ospedale S. Chiara, Trento 3U.O. di Cardiologia, Ospedale Civile, Cento (FE) 4U.O. di Cardiologia, Ospedale Civile, Mirano-Venezia 5U.O. di Cardiologia, Ospedale S. Anna, Como 6Dipartimento Cardiologico-Centro Aritmologico, Ospedale del Tigullio, Lavagna (GE) 7Centro Aritmologico ed Elettrofisiologico, IRCCS Policlinico San Donato, Milano 8Clinica di Cardiologia, Università Politecnica delle Marche, Ancona 9Dipartimento di Cuore, Cervello e Vasi, Ospedale di Circolo e Università dell’Insubria, Varese 10Dipartimento Cardiologico, Università degli Studi, Foggia 11U.O. di Cardiologia, Ospedale Maggiore, Bologna 12Dipartimento Cardiologico, Ospedale di Garibaldi-Nesima, Catania 13U.O. di Cardiologia, Ospedale San Paolo, D.M.C.O., Università degli Studi, Milano 14Istituto Clinico Humanitas Mater Domini, Castellanza (VA) G Ital Cardiol 2011;12(1 Suppl 1):7-69 INTRODUZIONE Queste linee guida sono un aggiornamento 2010 delle linee gui- da AIAC 2006 per il trattamento della fibrillazione atriale (FA)1. Molti aspetti delle linee guida precedenti sono stati rivisti alla lu- ce delle evidenze più recenti e nuovi capitoli sono stati aggiunti. Circa le classi di raccomandazione ed i livelli di evidenza si è se- guito lo schema classico delle linee guida delle Società Scientifi- che che prevede tre classi di raccomandazione e tre livelli di evi- denza (Tabella 1). I seguenti capitoli principali sono stati inclusi in queste ultime linee guida: • Aspetti generali e clinici • Valutazione clinico-strumentale del paziente • Strategia di controllo del ritmo versus controllo della fre- quenza • Considerazioni generali del trattamento della fibrillazione atriale e flow-chart: • Conversione a ritmo sinusale – cardioversione farmacologica – cardioversione elettrica • Profilassi delle recidive – farmaci antiaritmici – trattamento upstream con farmaci non antiaritmici – ruolo di pacemaker e defibrillatori impiantabili – ablazione transcatetere della fibrillazione atriale – ablazione chirurgica della fibrillazione atriale • Controllo della frequenza ventricolare: – mediante farmaci – ablazione e stimolazione • Terapia farmacologica antitrombotica per la prevenzione del- le tromboembolie • Dispositivi per la chiusura dell’auricola sinistra. ASPETTI GENERALI E CLINICI Definizione La FA è una tachiaritmia sopraventricolare caratterizzata da un’attività elettrica atriale caotica ed irregolare che determina la perdita della funzione meccanica della contrazione atriale. La diagnosi di FA è elettrocardiografica: • il primo elemento che caratterizza la FA all’elettrocardio- gramma (ECG) è la scomparsa delle onde di attivazione atriale (onde P), che vengono sostituite da rapide oscilla- zioni della linea isoelettrica, dette onde di fibrillazione (on- de f). Le onde f sono del tutto irregolari, con continue va- riazioni di forma, di voltaggio e degli intervalli f-f, hanno frequenza molto elevata (400-600/min) e durano per tutto il ciclo cardiaco (sono continue), determinando un aspetto frastagliato della linea isoelettrica; • il secondo elemento che caratterizza la FA è l’irregolarità degli intervalli R-R. In corso di FA un grande numero di im- pulsi di origine atriale raggiunge la giunzione atrioventri- colare (AV), ma solo una parte di essi si trasmette effettiva- mente ai ventricoli. La quantità di impulsi che raggiunge i ventricoli dipende, infatti, dalle caratteristiche elettrofisio- logiche del nodo AV e delle altre porzioni del sistema di conduzione, dalla presenza di eventuali vie accessorie, dal Per la corrispondenza: Dr. Antonio Raviele Dipartimento Cardiovascolare, Centro Aritmologico e per la Fibrillazione Atriale, Ospedale dell’Angelo, Via Paccagnella 11, 30174 Mestre-Venezia e-mail: araviele@tin.it LINEE GUIDA G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 20118 A RAVIELE ET AL sono stati effettuati tentativi di cardioversione o, se effet- tuati, non hanno avuto successo per mancato ripristino del ritmo sinusale o per recidive precoci dell’aritmia che scon- sigliano ulteriori tentativi di cardioversione. È chiaro come le diverse forme di FA non siano mutua- mente esclusive nello stesso paziente e come nel tempo ogni forma possa virare in un’altra. In questi casi l’aritmia va eti- chettata tenendo conto di qual è la forma di FA più frequente- mente osservata. È anche evidente come una forma parossisti- ca rischi a volte di essere classificata come persistente solo per il fatto che, per motivi vari (compromissione emodinamica, ne- cessità di evitare la terapia anticoagulante, ecc.), si è deciso di eseguire un tentativo di cardioversione prima che si sia atteso il tempo necessario per il ripristino spontaneo del ritmo sinu- sale. Rimane, comunque, utile il tentativo di caratterizzare e definire la FA nel momento in cui giunga alla nostra osserva- zione, anche al fine di una reciproca comprensione. Eziopatogenesi Numerose teorie sono state proposte per spiegare la genesi del- la FA. Le tre principali teorie elaborate al riguardo sono 1) la teoria dei rientri multipli; 2) la teoria dell’attività focale ad alta frequenza; 3) la teoria dei rientri localizzati (rotors) con condu- zione fibrillatoria. La prima teoria, proposta da Moe et al.4 e poi confermata da altri autori5, spiega la FA sulla base della pre- senza di molteplici contemporanei circuiti di rientro, capaci di dare origine a numerosi fronti d’onda di depolarizzazione. Tali fronti d’onda, propagandosi attraverso il tessuto atriale, si fram- mentano e danno origine ad ulteriori numerose onde di attiva- zione, in grado così di perpetuare l’aritmia. Ciò è possibile per un’abnorme dispersione della refrattarietà atriale, che condi- ziona in alcune aree fenomeni di blocco di conduzione, che a loro volta, in presenza di una ridotta velocità di propagazione dell’impulso elettrico e di una massa miocardica atriale critica- mente aumentata, determinano l’instaurarsi di una serie di cir- cuiti di rientro. Questa ipotesi è stata avvalorata da studi elet- trofisiologici effettuati con registrazioni simultanee in punti di- versi del tessuto atriale6. La seconda teoria presuppone l’esi- stenza di uno o più foci atriali dotati di aumentata automatici- tà e capaci di generare impulsi elettrici ad alta frequenza. La sede abituale di questi foci è nelle vene polmonari7,8, dove le fi- bre muscolari non raramente hanno attività automatica e sono spesso caratterizzate da un periodo refrattario molto breve9,10, condizioni favorenti l’innesco e il mantenimento della FA. Altre zone di origine dei foci di attivazione sono la parete posteriore dell’atrio sinistro, il legamento di Marshall, il seno coronarico, la vena cava superiore e la cresta terminale11. La veridicità di questa ipotesi si basa sull’osservazione che l’individuazione e l’eliminazione dei foci anomali mediante le tecniche di abla- zione transcatetere comporta la scomparsa dell’aritmia stes- sa8,11. La terza teoria12 è fondata sulla presenza di un’“onda madre” o “rotore” principale ad elevatissima frequenza, situa- to in atrio sinistro nella regione antrale in vicinanza dello sboc- co delle vene polmonari, che guida e mantiene l’aritmia e si propaga al rimanente miocardio atriale attraverso “onde figlie” in modo irregolare, tanto che un’attività elettrica completa- mente desincronizzata di tipo fibrillatorio viene registrata a di- stanza dal rotore principale, soprattutto in atrio destro. Al momento attuale, appare chiaro come queste differenti teorie sulla genesi della FA abbiano tra loro molteplici punti di at- trito e come ciascuna teoria, presa singolarmente, non possa uni- tono del sistema nervoso autonomo e dall’azione di farmaci concomitanti. Tutte queste variabili contribuiscono alla co- stante variazione di durata degli intervalli R-R. In sintesi, i due elementi fondamentali per la diagnosi di FA sono rappresentati dall’assenza di onde P e dall’irregolarità de- gli intervalli R-R. Classificazione Sono state proposte numerose classificazioni della FA, alcune basate sulle caratteristiche elettrocardiografiche ed elettrofi- siologiche, altre sulle caratteristiche cliniche; tuttavia nessuna di esse risulta in grado di comprendere pienamente tutti i diversi aspetti dell’aritmia e ad oggi non esiste accordo su quale sia la migliore classificazione da adottare. Una classificazione univer- salmente accettata appare, peraltro, assolutamente necessaria, al fine di rendere confrontabili gli studi sulla FA e sull’efficacia delle strategie terapeutiche impiegate nelle diverse forme. La classificazione, oggi, più comunemente usata è la se- guente2,3. • FA di nuova insorgenza: comprende le forme di FA che so- no documentate per la prima volta, indipendentemente dalla presenza di sintomi, dall’eventuale riconversione spon- tanea a ritmo sinusale, dalla durata dell’episodio o da even- tuali precedenti episodi non documentati; • FA ricorrente: comprende qualsiasi forma di recidiva di FA; • FA parossistica: comprende le forme di FA che terminano spontaneamente, generalmente entro 7 giorni (la maggior parte entro le prime 24-48h); • FA persistente: comprende le forme di FA di durata supe- riore a 7 giorni o di durata minore ma che non si interrom- pono spontaneamente e che necessitano di interventi tera- peutici (cardioversione farmacologica o elettrica) per la lo- ro riconversione a ritmo sinusale; • FA persistente di lunga durata: comprende le forme di FA che durano più di 1 anno; • FA permanente: comprende le forme di FA nelle quali non Tabella 1. Classi di raccomandazione e livelli di evidenza. CLASSI DI RACCOMANDAZIONE Classe I Evidenza e/o accordo generale sull’utilità e sull’effi- cacia di una procedura o di un trattamento Classe II Evidenza meno consolidata e/o divergenza di opi- nione sull’utilità e sull’efficacia di una procedura o di un trattamento Classe IIa Peso delle evidenze e delle opinioni a favore del- l’utilità e dell’efficacia Classe IIb Utilità ed efficacia meno ben stabilite Classe III Evidenza e/o accordo generale sull’inutilità, sul- l’inefficacia e/o la pericolosità di una procedura o di un trattamento LIVELLI DI EVIDENZA Livello A Dati derivati da più studi clinici randomizzati o me- tanalisi Livello B Dati derivati da un singolo studio clinico randomiz- zato o da studi non randomizzati di grandi dimen- sioni Livello C Dati derivati da consenso di opinione degli esperti e/o da piccoli studi, studi retrospettivi, registri di sintomi, la classe II a sintomi lievi senza compromissione del- la normale attività giornaliera, la classe III a sintomi severi con compromissione della normale attività giornaliera e la classe IV a sintomi disabilitanti con interruzione della normale attività giornaliera. Nello stesso paziente la FA può manifestarsi in ma- niera sintomatica o silente in occasioni diverse e a volte episo- di di FA silente possono precedere quelli sintomatici (nel 17% dei casi)79. La frequenza di riscontro della FA asintomatica varia notevolmente in letteratura in funzione, soprattutto, del me- todo di registrazione elettrocardiografico utilizzato e del con- testo clinico del paziente. Si passa da percentuali del 16-25% come riscontro fortuito nell’ECG standard26,36,77 al 56-70% del monitoraggio elettrocardiografico transtelefonico durante te- rapia con farmaci antiaritmici80,81, al 51-74% delle registrazio- ni fatte dalle memorie dei pacemaker e dei defibrillatori82-84. Dopo ablazione le percentuali sono più basse (0-20%) anche quando si impiegano sistemi di registrazione sofisticati, quali la trasmissione transtelefonica giornaliera, l’Holter di 7 giorni e le memorie dei dispositivi impiantati85-92. L’elevata prevalenza della FA asintomatica ha implicazioni importanti sulla strategia terapeutica da adottare, in particola- re sulla necessità di proseguire la terapia anticoagulante orale (TAO) nei pazienti ad elevato rischio di eventi ischemici cere- brali, pur in presenza di ritmo sinusale. Va, comunque, detto al riguardo che deve essere ancora chiarito qual è il reale signifi- cato clinico e prognostico di episodi sporadici e brevi (da qual- che secondo a meno di 24h) di FA asintomatica. In base ad al- cuni dati della letteratura84,93,94, infatti, solo episodi recenti di FA di durata consistente (>5-24h) sono associati ad un maggiore rischio tromboembolico. L’impatto della FA sulla qualità di vita è influenzato dal ti- po di paziente analizzato, dato che alcuni pazienti sono com- pletamente asintomatici36. Tuttavia, i dati disponibili in lettera- tura mostrano una ridotta qualità di vita dei soggetti con FA ri- spetto ai controlli sani, con un punteggio più basso del 16- 30% di tutti i parametri comunemente presi in esame95,96. In numerosi studi è stato, inoltre, dimostrato come interventi mi- rati al mantenimento o al ripristino del ritmo sinusale, mediante terapia farmacologica, cardioversione elettrica (CVE), terapia ablativa transcatetere o chirurgica, siano associati ad un mi- glioramento della qualità di vita, valutata mediante questiona- ri SF-36 sullo stato di salute o score specifici per pazienti affet- ti da FA95-102. Il peggioramento della qualità di vita dei sogget- ti con FA è simile o addirittura più accentuato di quello dei pa- zienti sottoposti ad angioplastica coronarica o dei pazienti con infarto miocardico o scompenso cardiaco96. Mortalità e morbilità La FA è associata a un rischio aumentato di mortalità, eventi ischemici cerebrovascolari e scompenso cardiaco. Nello studio di Framingham è stato dimostrato come la pre- senza di FA aumenti il rischio di morte di 1.5 volte negli uomi- ni e 1.9 volte nelle donne, in maniera indipendente dalla pre- senza di altre eventuali patologie cardiovascolari concomitanti o dalla fascia di età considerata103. Nello studio AFFIRM, la mor- talità a 5 anni dei pazienti fibrillanti (età >65 anni) è stata di circa 4.5% per anno104. La mortalità è maggiore nei pazienti cardiopatici, ma anche in soggetti senza patologie di rilievo, la presenza di FA sembra comportare, di per sé, un maggior ri- schio di morte73. In metà/due terzi dei casi la causa del deces- so nei pazienti fibrillanti è un evento cardiovascolare39,105, so- prattutto ictus o scompenso cardiaco. La FA è un fattore di rischio indipendente per ictus. Il tasso annuale di complicanze tromboemboliche è considerevolmente più elevato nei pazienti con FA (4.5%) rispetto ai soggetti di controllo (0.2-1.4%)106,107, con un aumento di 5 volte27 e con un’incidenza di ictus invalidante del 2.5%106. Tale percentuale sale ad oltre il 7% se si sommano anche gli attacchi ischemici transitori (TIA) e gli ictus silenti108-112. La FA è responsabile del 15-18% di tutti i casi di ictus32,113. Circa una persona su 3 affetta da FA nel corso della vita va incontro a ictus. Inoltre, gli ictus do- vuti a FA comportano una prognosi peggiore, con una maggio- re prevalenza di invalidità a distanza (rischio aumentato del 50%) e una maggiore mortalità (33% a 3 mesi contro 20% nei pazienti senza FA)113,114. Il rischio di ictus nei pazienti con FA au- menta con l’aumentare dell’età e passa da 1.5% nei pazienti con età compresa tra 50 e 59 anni a 23.5% nei pazienti con età compresa tra 80 e 89 anni27. Oltre all’età avanzata, i principali fattori clinici predittivi di ictus nei pazienti con FA comprendo- no lo scompenso cardiaco, l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito e un pregresso evento cerebrovascolare (TIA o ictus)115. Quest’ultimo rappresenta il fattore di rischio più importante as- sociato ad un’incidenza annua di ictus >5%, tale da giustifica- re, di per sé, l’indicazione alla TAO. Altri fattori di rischio “mi- nori” sono il sesso femminile, l’età tra 65 e 74 anni, la cardio- patia ischemica, in particolare un pregresso infarto, la vasculo- patia periferica e la presenza di placche aortiche116. Il rischio annuale di ictus per i pazienti con FA parossistica (2.6-3.2%) è paragonabile a quello dei pazienti con FA perma- nente (2.9-3.3%)117-120. La FA sembra associata anche ad un aumentato rischio di perdita di memoria, decadimento cognitivo e demenza121-124. In base allo studio di Framingham, l’incidenza cumulativa di de- menza dopo il primo riscontro di FA è del 2.7% a 1 anno e del 10.5% a 5 anni122. Infarti cerebrali silenti multipli sono stati con- siderati responsabili di questi disturbi109,110,112,125. Altre possibili cause sono lo scompenso cardiaco generato dalla FA e la dis- funzione microcircolatoria determinata dall’ipertensione arte- riosa che spesso coesiste con la FA124. FA e scompenso cardiaco sono due condizioni che spesso coesistono. Circa un terzo dei pazienti con FA ha storia di scom- penso cardiaco23 e dal 10% al 30% dei pazienti scompensati ha storia di FA2. La prevalenza della FA nello scompenso cardiaco aumenta con l’aumentare della classe funzionale NYHA (da 4% in classe I a 50% in classe IV)2. La frequente coesistenza di FA e scompenso cardiaco è giustificata dal fatto che entrambe le con- dizioni condividono gli stessi fattori di rischio e che la presenza dell’una predispone allo sviluppo dell’altra. In effetti, una volta che una delle due condizioni si manifesta, l’altra fa seguito con una progressione abbastanza rapida: 3.3% per anno per quan- to riguarda lo scompenso cardiaco in pazienti con FA e 5.4% per quanto riguarda la FA in pazienti scompensati126. In base allo stu- dio di Framingham, la comparsa di scompenso cardiaco nei pa- zienti con FA comporta un incremento di mortalità del 2.7% ne- gli uomini e del 3.1% nelle donne126. Allo stesso modo, l’insor- genza di FA nei pazienti con scompenso cardiaco aumenta la mortalità dell’1.6% negli uomini e del 2.7% nelle donne126. Molti meccanismi possono spiegare la coesistenza e lo stret- to legame tra FA e scompenso cardiaco. La perdita del contri- buto atriale al riempimento ventricolare, l’elevata frequenza, l’ir- regolarità di durata dei cicli cardiaci e il ridotto tempo di diasto- le durante FA portano ad una riduzione della portata cardiaca127 e le aumentate pressioni di riempimento nello scompenso car- diaco favoriscono lo stress di parete, la dilatazione128 e la fibro- 11G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 2011 LINEE GUIDA AIAC 2010 PER LA GESTIONE E IL TRATTAMENTO DELLA FA si atriale. Anche l’aumento del tono adrenergico e l’attivazione bioumorale tipiche dello scompenso cardiaco cronico contribui- scono a determinare quelle modificazioni del substrato elettrico che sono considerate responsabili dell’insorgenza della FA129. Infine la FA è la causa più comune della cosiddetta tachi- cardiomiopatia, una cardiomiopatia dilatativa che si sviluppa nei pazienti con FA persistente o permanente ad elevata fre- quenza di risposta ventricolare (>90-100 b/min a riposo), ca- ratterizzata da severa disfunzione ventricolare sinistra parzial- mente o totalmente reversibile dopo ripristino del ritmo sinusale o adeguato controllo della frequenza130. I meccanismi alla ba- se dello sviluppo della tachicardiomiopatia non sono chiari, tut- tavia modelli animali suggeriscono un possibile ruolo per l’ischemia miocardica e l’accumulo di calcio intracellulare130. Impatto economico Essendo la FA una condizione così diffusa e in continua cresci- ta nella popolazione generale, ed essendo, per la sua morbili- tà, causa frequente di accesso alle strutture ospedaliere e di ri- covero, risulta ovvio come essa abbia un impatto notevole nel- l’utilizzo delle risorse economiche. Al di là delle cure iniziali ne- cessarie al momento della diagnosi dell’aritmia, il costo com- plessivo è inoltre fortemente influenzato anche dalla gestione cronica dei pazienti, in particolare dall’impiego e monitoraggio della TAO e dalla profilassi farmacologica delle recidive. Lo studio francese COCAF ha stimato il costo annuale di ogni singolo paziente pari a circa 3000 euro131. Le ospedalizzazioni influiscono per la maggior parte della spesa complessiva (52%), seguite dai farmaci (23%), visite specialistiche (9%) ed indagini strumentali (8%). Dati analoghi sono stati riportati per il Regno Unito dove i costi per l’assistenza dei pazienti con FA hanno in- ciso nell’anno 2000 per lo 0.9-2.4% dell’intera spesa sostenuta dal servizio sanitario nazionale132. Negli Stati Uniti la FA rappre- senta la causa dell’1% di tutti i ricoveri ospedalieri e il 34% di tutti i ricoveri per aritmie133,134. Nell’anno 2001 il numero di ri- coveri per FA come diagnosi principale sono stati circa 350 000, con una degenza media di 3.6 giorni ed una spesa annua glo- bale di gestione dei pazienti con FA di 6.65 miliardi di dollari135. È interessante notare come il numero dei ricoveri per FA negli Stati Uniti è aumentato di 2-3 volte nel periodo di tempo che va dal 1985 al 1999136. I recenti risultati dello studio Euro Heart Sur- vey sulla FA hanno permesso di stimare l’impatto economico del- la FA in 5 paesi europei: il costo medio per ogni ricovero ospe- daliero è risultato di 1363, 5252, 2322, 6360 e 6445 euro ri- spettivamente in Grecia, Italia, Polonia, Spagna e Olanda e il co- sto medio annuo per paziente è stato di 1507, 3225, 1010, 2315 e 2328 euro137. I più importanti determinanti della spesa sono ri- sultati le ospedalizzazioni e le procedure interventistiche, che in- fluiscono per il 70% della somma totale. Il costo complessivo an- nuo in Italia per i pazienti con FA è risultato di 3286 milioni di eu- ro, decisamente maggiore della spesa sostenuta dagli altri 4 pae- si coinvolti nello studio (272 milioni per la Grecia, 526 milioni per la Polonia, 1545 milioni per la Spagna e 554 milioni per l’Olan- da). La differenza è riconducibile essenzialmente alla maggiore durata e costo della degenza ospedaliera (4 giorni)137. Un precedente studio italiano, lo studio FIRE138, aveva già sottolineato il notevole impatto della FA sulle strutture ospe- daliere. La FA infatti ha rappresentato l’1.5% di tutti gli acces- si al Pronto Soccorso ed il 3.3% di tutti i ricoveri ospedalieri nel periodo di osservazione di 1 mese. Dei pazienti presentatisi al Pronto Soccorso con FA, la maggior parte (62%) è stata rico- verata. La degenza media è risultata di 7 giorni e il 42% dei soggetti ammessi in Cardiologia sono stati ricoverati in unità di cura intensiva o semi-intensiva. In conclusione, dai dati presentati si può concludere come i pazienti con FA richiedano un utilizzo massiccio di risorse sani- tarie, considerando gli accessi al Pronto Soccorso, i ricoveri ospe- dalieri, le visite ambulatoriali, l’impiego di farmaci, le procedu- re interventistiche e gli esami di laboratorio. A questi costi van- no inoltre aggiunte tutte le risorse utilizzate per la gestione del- le complicanze legate alle conseguenze invalidanti degli eventi cerebrovascolari, sicuramente una quota non trascurabile. VALUTAZIONE CLINICO-STRUMENTALE DEL PAZIENTE La valutazione iniziale del paziente con FA certa o sospetta in- clude l’anamnesi, l’esame obiettivo e alcuni accertamenti (Ta- bella 2). Anamnesi ed esame obiettivo L’indagine anamnestica è rivolta a stabilire i sintomi legati alla FA, l’eventuale presenza di sintomi di natura cardiaca al di fuo- ri dell’accesso tachiaritmico (es. dispnea, dolore precordiale) e di sintomi di altra natura. Debbono, inoltre, essere definiti, nei limiti del possibile, il pattern aritmico (primo episodio, FA pa- rossistica, persistente, persistente di lunga durata o permanen- te), la data del primo episodio (o la data del riscontro se il pa- ziente è asintomatico), la frequenza degli episodi, la loro dura- ta, l’eventuale presenza di fattori scatenanti, la modalità di in- terruzione della tachiaritmia (spontanea, mediante farmaci o CVE), la risposta alla somministrazione di farmaci, la presenza di una cardiopatia sottostante e di fattori extracardiaci poten- zialmente responsabili (es. ipertiroidismo, abuso di alcool) e l’eventuale familiarità per FA. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 201112 A RAVIELE ET AL Tabella 2. Valutazione clinico-strumentale del paziente con fibrillazio- ne atriale (FA). INDAGINI DI MINIMA Anamnesi ed esame obiettivo Familiarità per FA Sintomi legati alla FA ed eventuali altri sintomi Tipo di FA (primo episodio, FA parossistica, persistente, permanente) Data del primo accesso o del riscontro della FA Frequenza e durata degli accessi Eventuali fattori precipitanti e modalità di interruzione della FA Risposta clinica alla somministrazione di farmaci Presenza di una cardiopatia sottostante o di fattori extracardiaci po- tenzialmente responsabili (es. ipertiroidismo, abuso di alcool) Indagini strumentali Elettrocardiogramma Ecocardiografia transtoracica Esami di laboratorio (TSH, FT4, emocromo, elettroliti sierici, esami che esplorano la funzionalità renale ed epatica) ULTERIORI INDAGINI DA VALUTARE CASO PER CASO Rx torace Test da sforzo Monitoraggio elettrocardiografico (Holter di durata variabile, event recorder, loop recorder esterno, telemetria ambulatoriale, trasmis- sione transtelefonica, loop recorder impiantabile) Ecocardiografia transesofagea Studio elettrofisiologico Coronarografia Tomografia assiale computerizzata/risonanza magnetica cardiaca L’esame obiettivo può far sorgere il sospetto di FA median- te il riscontro di un polso aritmico o di pulsazioni irregolari al giugulo o di variazioni di intensità del primo tono cardiaco. Può, inoltre, svelare la presenza di una cardiopatia sottostante, in particolare una valvulopatia o uno scompenso cardiaco. Indagini di minima Gli esami che devono essere sempre eseguiti in un paziente con FA sono, oltre all’ECG, alcuni esami di laboratorio e l’ecocar- diogramma. L’utilizzo di altri accertamenti va valutato caso per caso (Tabella 2). La diagnosi di FA richiede una documentazione elettrocar- diografica in almeno una singola derivazione registrata du- rante l’aritmia. L’ECG fornisce informazioni, oltre che sul rit- mo cardiaco, anche sulla presenza di ipertrofia ventricolare, preeccitazione ventricolare, blocchi di branca, necrosi miocar- dica, aritmie concomitanti e sulla durata e morfologia dell’on- da P139. L’ecocardiografia transtoracica è di estrema utilità per valu- tare l’esistenza di una cardiopatia sottostante; tale indagine consente infatti di definire la presenza di una valvulopatia e la sua gravità, le dimensioni degli atri, ipertrofie o dilatazioni ven- tricolari, la funzione ventricolare sinistra e destra, le pressioni polmonari ed un eventuale versamento pericardico. Gli esami di laboratorio da eseguire sono gli ormoni tiroidei (TSH, FT4), gli elettroliti sierici, l’emocromo e gli esami che esplo- rano la funzionalità renale ed epatica, anche ai fini dell’even- tuale scelta di un farmaco antiaritmico140. Ulteriori indagini da valutare caso per caso Di volta in volta possono essere indicati ulteriori accertamenti (Tabella 2). L’Rx torace è utile in presenza di dispnea per valutare se ta- le sintomo è di origine cardiaca, attraverso l’analisi del circolo polmonare. Consente inoltre di svelare patologie polmonari che in qualche modo possono essere in rapporto con la FA (es. BPCO). Importante ricordare al riguardo la possibilità di svelare con l’Rx torace un’interstiziopatia polmonare indotta da amio- darone. Il test da sforzo è indicato in presenza di segni e/o sintomi sospetti di cardiopatia ischemica, o per escludere un’ischemia miocardica inducibile prima di iniziare un trattamento antiarit- mico con farmaci di classe IC, o per valutare il comportamento della frequenza cardiaca durante esercizio fisico in pazienti con FA permanente e palpitazioni e/o dispnea da sforzo. Quando necessario, tale test può essere seguito da un esame corona- rografico. Il monitoraggio elettrocardiografico ambulatoriale con tec- niche differenti è indicato in pazienti con palpitazioni tachi- aritmiche sospette per una FA parossistica ma senza prece- dente documentazione elettrocardiografica dell’aritmia141. Il monitoraggio secondo Holter (di durata variabile da 24h a 7 giorni) o il loop recorder esterno o un sistema di telemetria cardiaca mobile ambulatoriale sono i sistemi da preferire in ca- so di sintomi frequenti; l’event recorder o un sistema di tra- smissione transtelefonica intermittente dell’ECG o il loop re- corder impiantabile sono, invece, i sistemi migliori in caso di sintomi rari (un episodio ogni mese o più sporadicamente)142. Il loop recorder impiantabile, nella sua versione più recente, è apparso sufficientemente sensibile (96.1%) e specifico (85.4%) per il riconoscimento della FA ed ha, inoltre, il van- taggio di poter essere utilizzato per periodi di tempo prolun- gati (oltre 3 anni)143. In uno studio randomizzato, l’impianto precoce di questo dispositivo, in pazienti con palpitazioni di origine sconosciuta, è risultato più costo–efficace di una stra- tegia diagnostica tradizionale comprendente Holter, event re- corder, loop recorder esterno e studio elettrofisiologico intra- cavitario144. I vari sistemi di monitoraggio ambulatoriale del- l’ECG sono anche utili per svelare eventuali episodi asintoma- tici di FA e stabilire, di conseguenza, il reale successo del trat- tamento (farmaci o ablazione) e la necessità di continuare una TAO145. Infine, il monitoraggio secondo Holter viene spesso impiegato in pazienti con FA permanente per valutare il com- portamento della frequenza cardiaca prima o dopo la sommi- nistrazione di farmaci. L’ecocardiografia transesofagea è indicata quando si inten- de eseguire una CVE dopo 48h dall’inizio della FA, in pazienti che non sono già in TAO, al fine di identificare formazioni trom- botiche in atrio sinistro146,147. L’esame è anche raccomandato allo stesso scopo prima di una procedura di ablazione transca- tetere della FA. L’ecocardiografia transesofagea, infine, per- mette, di quantificare la velocità di flusso in auricola sinistra e la presenza di ecocontrasto spontaneo, fattori predittivi impor- tanti di aumentato rischio tromboembolico. Lo studio elettrofisiologico è generalmente di scarsa utilità nei pazienti con FA. Appare indicato qualora si sospetti che la FA sia innescata da un’altra tachicardia, in particolare una ta- chicardia parossistica sopraventricolare reciprocante o un flut- ter atriale; in presenza di tale riscontro lo studio elettrofisiolo- gico può offrire importanti informazioni ai fini terapeutici. In rari pazienti nei quali emerge un chiaro rapporto fra in- sorgenza della FA e disturbi gastroenterici possono essere indi- cati esami atti a definire la natura dell’affezione gastroentero- logica (grastroduodenoscopia, ecografia addominale, ecc.). Va rilevato tuttavia che nella pratica clinica corrente, soprattutto nei reparti di Medicina Interna, vi è un abuso nell’utilizzo di queste indagini che, quando eseguite sistematicamente, non risultano di utilità diagnostica. Fra gli esami emergenti è opportuno citare la tomografia assiale computerizzata multistrato e la risonanza magnetica car- diaca, utili per definire con precisione l’anatomia dell’atrio sini- stro e delle vene polmonari in previsione di procedure inter- ventistiche di ablazione transcatetere o chirurgica della FA. È opportuno sottolineare che tutti questi accertamenti, al di fuori di quelli di minima, vanno eseguiti con un approccio cri- tico, evitando esami che non aggiungano informazioni utili a quelle già in nostro possesso e riservando la loro esecuzione a reali scopi diagnostico-terapeutici fondati e utili per il singolo paziente. STRATEGIA DI CONTROLLO DEL RITMO VERSUS CONTROLLO DELLA FREQUENZA Dalla fine degli anni ’80 si e sviluppato un vivace dibattito su quale sia la strategia migliore in pazienti affetti da FA persi- stente: se sforzarsi a tutti i costi di ripristinare e mantenere il ritmo sinusale attraverso ripetute cardioversioni elettriche e l’uso di farmaci antiaritmici, o se trattare questi pazienti con farmaci depressori del nodo AV per rallentare la risposta ven- tricolare in corso di FA che è la principale responsabile dei sin- tomi. Queste due strategie terapeutiche hanno oggi preso il nome di controllo del ritmo e controllo della frequenza e sono state oggetto di confronto in 6 diversi studi randomizzati (Ta- bella 3). 13G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 2011 LINEE GUIDA AIAC 2010 PER LA GESTIONE E IL TRATTAMENTO DELLA FA Corollario a quanto detto è che il trattamento della FA do- vrebbe essere personalizzato e che la scelta tra strategia di controllo del ritmo e strategia di controllo della frequenza do- vrebbe tener conto nei singoli pazienti di una serie di variabi- li. Tra queste, le più importanti sono il pattern della FA, la na- tura, frequenza ed intensità dei sintomi e degli episodi aritmi- ci (compresi quelli asintomatici), la durata dell’aritmia, le di- mensioni atriali sinistre, l’esistenza di una cardiopatia organi- ca associata e di comorbilità, in particolare scompenso car- diaco, la risposta e la tollerabilità dei farmaci antiaritmici, l’età dei pazienti e la volontà degli stessi. Dagli studi eseguiti è an- che emerso che la TAO, indipendentemente dal ripristino del ritmo sinusale e dalla strategia terapeutica prescelta, è indica- ta a tempo indeterminato in tutti i soggetti ad elevato rischio tromboembolico, a causa della possibilità di recidive aritmiche asintomatiche2. Nella Tabella 4 vengono riportate le raccomandazioni ge- neriche per la scelta tra strategia di controllo del ritmo e stra- tegia di controllo della frequenza. CONSIDERAZIONI GENERALI DEL TRATTAMENTO DELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE E FLOW-CHART Il trattamento di un paziente con FA richiede innanzitutto una conoscenza degli aspetti di presentazione dell’aritmia e della situazione clinica di base. Solo successivamente possono esse- re prese decisioni riguardo all’opportunità o meno di un tenta- tivo di ripristino del ritmo sinusale, le modalità per effettuare la riconversione e il successivo mantenimento del ritmo sinusale (Figura 1). Al primo riscontro di FA, anche se asintomatica, è general- mente indicato almeno un tentativo di ripristino del ritmo sinu- sale, compatibilmente con l’età del paziente e la presenza di co- patologie (Figura 1). Se l’aritmia è di recente insorgenza (<48h) ed in assenza di importante cardiopatia, la prima scelta tera- peutica per la riconversione è costituita dai farmaci antiaritmici. In caso di durata maggiore dell’aritmia o di cardiopatia impor- tante in atto o di instabilità emodinamica, la prima scelta tera- peutica diventa invece la CVE. Indipendentemente dalla tecni- ca usata per il ripristino del ritmo sinusale, dovrà essere posta grande attenzione al rispetto dei protocolli per la prevenzione del rischio tromboembolico, tenendo conto di diverse variabili, prima fra tutte il tempo intercorso dall’inizio dell’aritmia. Dopo il ripristino del ritmo sinusale, talora non è necessaria alcuna profilassi delle recidive (es. FA da causa correggibile o primo episodio di breve durata ed emodinamicamente ben tol- lerato). Se, invece, in base al quadro clinico la profilassi viene considerata opportuna, il primo step terapeutico è general- mente costituito dai farmaci antiaritmici, assunti al bisogno o in cronico (Figura 1). In caso di inefficacia o intolleranza ai farma- ci debbono essere prese in considerazione o la cronicizzazione della FA o l’ablazione transcatetere della FA (Figura 1). Come nella fase di ripristino del ritmo sinusale, anche in quella di profilassi delle recidive o di cronicizzazione dell’arit- mia è indispensabile un’attenta valutazione del rischio trom- boembolico per instaurare una corretta profilassi antitromboti- ca (vedi oltre). Tutti questi argomenti saranno trattati in dettaglio in que- ste linee guida. È importante ricordare che, per alcune situa- zioni, possono porsi in alternativa approcci terapeutici diffe- renti, ma con lo stesso livello di raccomandazione. In questi ca- si la decisione deve tener conto delle scelte del paziente, ade- guatamente informato, considerando anche le motivazioni psi- cologiche e professionali. CONVERSIONE A RITMO SINUSALE La conversione della FA a ritmo sinusale può essere ottenuta con farmaci antiaritmici (cardioversione farmacologica) o con DC-shock (CVE). CARDIOVERSIONE FARMACOLOGICA I farmaci antiaritmici costituiscono un mezzo terapeutico effi- cace per l’interruzione della FA. La percentuale di ripristino del ritmo sinusale è, tuttavia, in stretto rapporto con la durata del- l’aritmia. Infatti, l’efficacia dei farmaci è molto elevata se sono impiegati entro 48h dall’inizio dei sintomi; dopo 48h la loro ef- ficacia diminuisce progressivamente con il passare del tempo (Tabella 5). G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 201116 A RAVIELE ET AL Tabella 4. Raccomandazioni generiche per la scelta della strategia di trattamento della fibrillazione atriale (FA). Classe di Livello di raccomandazione evidenza • La strategia di controllo del ritmo è la strategia di prima scelta nei pazienti al primo episodio di FA I C • La strategia di controllo del ritmo va mantenuta come prima scelta nei pazienti con FA ricorrente I C sintomatica in cui la probabilità di mantenere il ritmo sinusale sia elevata o in cui non sia possibile mantenere un adeguato controllo della risposta ventricolare media o nei quali la FA determini un deterioramento emodinamico • La strategia di controllo della frequenza è da preferire nei pazienti refrattari alla terapia I C farmacologica antiaritmica, che hanno presentato numerose recidive ai tentativi di cardioversione e che non abbiano indicazione all’ablazione transcatetere, o nei pazienti in cui, per motivi anagrafici o per la presenza di una cardiopatia sottostante, non sia possibile seguire la strategia di controllo del ritmo • La strategia di controllo della frequenza è da preferire nei pazienti anziani, asintomatici I C o paucisintomatici, con FA persistente e buon compenso emodinamico • La strategia di controllo della frequenza è da preferire nei soggetti anziani, con FA ricorrente, I C scompenso cardiaco e bassa frazione di eiezione Nel valutare l’efficacia dei farmaci antiaritmici, va sempre tenuto presente come la FA di recente insorgenza presenti un’alta percentuale di ripristino spontaneo del ritmo sinusale (fino al 60%). L’efficacia dei farmaci deve, quindi, essere sem- pre valutata nel confronto con il placebo, o con un altro far- maco noto, e non in assoluto per evitare di attribuire al farma- co percentuali di successo maggiori di quelle reali. Praticamente tutti i farmaci antiaritmici delle diverse classi di Vaughan-Williams sono stati utilizzati per la conversione del- la FA a ritmo sinusale. Non tutti questi farmaci, comunque, so- no disponibili in Italia al momento attuale (vedi chinidina, pro- cainamide e dofetilide). Il dronedarone, nuovo farmaco anti- aritmico disponibile esclusivamente per via orale, ha indicazio- ne solo per la profilassi della FA e non per la cardioversione. Le raccomandazioni descritte in queste linee guida per il ripristino del ritmo sinusale si riferiscono, quindi, esclusivamente alle mo- dalità di cura impiegabili nel nostro Paese, in base ai farmaci disponibili. Benché vi sia accordo sul fatto che la terapia farmacologi- ca, per cardiovertire la FA a ritmo sinusale, dovrebbe essere ef- fettuata preferenzialmente in ospedale onde evitare eventuali effetti proaritmici negativi, negli ultimi anni è stata anche avan- zata la possibilità di utilizzare flecainide e propafenone in dose di carico orale come soluzione extraospedaliera, cosiddetta stra- tegia “pill-in-the-pocket”157 (Tabella 5). Qui di seguito vengono riportati i risultati ottenibili con i di- versi farmaci antiaritmici per il ripristino del ritmo sinusale. Farmaci di sicura efficacia Flecainide La flecainide, somministrata per via endovenosa (e.v.) o per via orale, è uno dei farmaci più efficaci nel ripristinare il ritmo si- 17G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 2011 LINEE GUIDA AIAC 2010 PER LA GESTIONE E IL TRATTAMENTO DELLA FA Tabella 5. Raccomandazioni per la cardioversione farmacologica della fibrillazione atriale (FA). Classe di Livello di raccomandazione evidenza • FA di recente insorgenza (<48h), in alternativa a cardioversione elettrica I C • FA con compromissione emodinamica o sintomi mal tollerati IIb C • FA di durata >48h in paziente in appropriata terapia anticoagulante orale IIb C • Autosomministrazione di propafenone e flecainide (strategia “pill-in-the-pocket”) in pazienti IIa B con episodi infrequenti e ricorrenti di FA senza o con lieve cardiopatia nei quali il trattamento proposto sia risultato efficace e sicuro in ambito ospedaliero FA 1° episodio Ripristino RS Recidive Decidi strategia Controllo FCControllo ritmo No/lieve card. IVS+ CI Scompenso No DVS DVS Dro/1C/ Sot Non anziani Anziani Dro/ Amio Dro/ Sot/ Amio Amio Abl Abl Abl Abl Abl NYHA III/IV Considera controllo FC Ca ant o BB Dig e/o BB Dro Amio Non anziani Considera Abl Anziani AnzianiNon anziani A&P Considera Abl A&P TRC NYHA I/II Dro Amio Amio Abl Figura 1. Flow-chart per il trattamento dei pazienti con fibrillazione atriale. 1C, farmaci antiaritmici di classe 1C; A&P, ablate and pace; Abl, ablazione; Amio, amiodarone; BB, betabloccanti; Ca-ant, calcioantagonisti; card, cardiopatia; CI, cardiopatia ischemica; Dig, digitale; DVS, disfunzione ventricolare sinistra; Dro, dronedarone; FA, fibrillazione atriale; FC, frequenza cardiaca; IVS, ipertrofia ventricolare sinistra; RS, ritmo sinusale; Sot, sotalolo; TRC, terapia di resincronizzazione cardiaca. / nusale. Quando data per via e.v., la percentuale di cardiover- sione di una FA di recente insorgenza è del 57-78%158-163. Per via orale, alla dose di carico di 300 mg, l’efficacia è simile (57- 68% a 2-4h e 75-91% a 8h)164, ma l’azione è più lenta a com- parire (55 vs 110 min)165. Da ricordare che, in una minoranza di pazienti, il farmaco può indurre importanti effetti proaritmici quali flutter atriale con rapida risposta ventricolare, e bradicardia post-cardiover- sione. Inoltre, per l’effetto di depressione della velocità di con- duzione a livello sotto-hissiano, la flecainide è sconsigliabile nei pazienti con disturbi di conduzione intraventricolare. Va, infine, segnalato l’effetto inotropo negativo che ne controindica l’im- piego nei pazienti con cardiopatia strutturale soprattutto con depressa frazione di eiezione ventricolare sinistra2. La flecainide va considerata un farmaco di prima scelta nel trattamento della FA di recente insorgenza (<48h) in pazienti senza cardiopatia o con cardiopatia lieve (raccomandazione di classe I, livello di evidenza A) (Tabella 6). Il farmaco può anche essere utilizzato al di fuori dell’ospe- dale per ripristinare il ritmo sinusale (approccio “pill-in-the- pocket”) quando l’efficacia e la sicurezza per via orale sono sta- ti precedentemente testati con successo in ambito ospedaliero. La dose consigliata in questi casi è di 200 mg (peso <70 kg) o 300 mg (peso >70 kg) in un’unica somministrazione orale157,166. Devono essere esclusi da questo tipo di trattamento i pazienti con disfunzione sinusale o blocco AV, blocchi di branca, allun- gamento dell’intervallo QT, sindrome di Brugada o cardiopatia strutturale157. Propafenone Numerosi studi randomizzati e controllati con placebo hanno dimostrato che il propafenone, quando somministrato per via e.v. o per via orale, è in grado di ripristinare il ritmo sinusale in pazienti con FA di recente insorgenza. L’effetto, dopo sommi- nistrazione e.v., si manifesta entro 1h, mentre dopo sommini- strazione per via orale si manifesta dopo 2-6h. La percentuale di successo varia dal 41% al 91% per la cardioversione e.v.159,161,167-171 e dal 56% all’83% per la cardioversione orale (600 mg)172. Il propafenone ha effetti proaritmico ed inotropo negativo simili a quelli della flecainide per cui è controindicato nei pa- zienti con cardiopatia strutturale2. Esso, al pari della flecainide, è raccomandato per il ripristi- no del ritmo sinusale in pazienti senza rilevante cardiopatia e con FA insorta da poco (<48h) (raccomandazione di classe I, li- vello di evidenza A) (Tabella 6). Come la flecainide, il propafenone può essere impiegato per l’approccio “pill-in-the-pocket” alla dose di 450 mg (peso <70 kg) o 600 mg (peso >70 kg) in un’unica somministrazione orale157. Ibutilide L’ibutilide è utilizzabile solo per via venosa. Nel confronto con il placebo, il farmaco è risultato discretamente efficace nell’inter- ruzione della FA con percentuali di successo del 34-47%173,174. Il farmaco, inoltre, può anche essere impiegato per ripristinare il ritmo sinusale in pazienti che non sono stati cardiovertiti dal propafenone175 o che hanno presentato delle recidive aritmiche durante trattamento con flecainide o propafenone176. Una pe- culiare caratteristica dell’ibutilide è che essa è efficace non solo nella FA di recente insorgenza ma anche nelle aritmie atriali di durata maggiore (fino a 90 giorni). Il farmaco è, poi, particolar- mente utile nella cardioversione del flutter atriale (percentuali di successo del 38-63%). L’ibutilide può essere usata nei pazienti con cardiopatia strutturale. La complicanza più grave della som- ministrazione di ibutilide è la torsione di punta riportata nel 3- 6% dei casi173,174. Dato questo rischio si consiglia di non som- ministrare il farmaco a pazienti con QT allungato o disionie od insufficienza cardiaca. La complicanza avviene generalmente nella prima ora dopo la somministrazione del farmaco, ma è prudente monitorare i pazienti per almeno 4h. L’ibutilide è raccomandata come terapia di prima scelta per la cardioversione farmacologica della FA di recente insorgenza (<48h) in pazienti senza cardiopatia o con cardiopatia lieve (rac- comandazione di classe I, livello di evidenza A) (Tabella 6). Il far- maco è anche raccomandato nella FA di durata >48h e nei pa- zienti con cardiopatia strutturale (raccomandazione di classe IIa, livello di evidenza A) (Tabella 6). Amiodarone L’amiodarone è un farmaco antiaritmico complesso dotato di azioni comuni a più classi, anche se l’effetto principale è quel- lo del prolungamento del potenziale d’azione. I dati sull’effica- cia di questo farmaco nel ripristinare il ritmo sinusale sono con- trastanti soprattutto perché l’amiodarone può essere sommini- strato sia per via e.v. che per via orale e gli effetti cambiano no- tevolmente in rapporto alla via di somministrazione. Vari studi hanno confrontato l’efficacia dell’amiodarone rispetto al pla- cebo o ad altri farmaci antiaritmici177-179. Per via e.v., l’amiodarone è superiore al placebo se si consi- dera un intervallo dalle 6 alle 24h dall’inizio della somministra- zione, mentre non vi è alcuna differenza nelle prime 2h177-179. Questo suggerisce un’azione lenta del farmaco. In una meta- nalisi di 18 studi clinici180, l’efficacia dell’amiodarone per via e.v. è risultata compresa tra il 34% e il 68% dopo singolo bolo (3- 7 mg/kg) e tra il 55% e il 95% quando al bolo ha fatto segui- to un’infusione di 900-3000 mg/die. Se si fa il confronto con al- tri farmaci antiaritmici, l’amiodarone non è più efficace e il suo G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 201118 A RAVIELE ET AL Tabella 6. Raccomandazioni per la cardioversione farmacologica della fibrillazione atriale (FA) di durata <48h e >48h. Classe di Livello di raccomandazione evidenza FA DI DURATA <48h Pazienti senza cardiopatia strutturale o con lieve cardiopatia Flecainide I A Propafenone I A Ibutilide I A Amiodarone IIa A Pazienti con cardiopatia Ibutilide IIa A Amiodarone IIa A FA DI DURATA >48h Pazienti senza cardiopatia strutturale o con lieve cardiopatia Flecainide IIa A Propafenone IIa A Ibutilide IIa A Amiodarone IIa A Pazienti con cardiopatia Ibutilide IIa A Amiodarone IIa A shock con forma d’onda bifasica è consigliabile anche nei pa- zienti pediatrici204 e nei pazienti con flutter atriale207. L’impedenza transtoracica è più bassa utilizzando le tradi- zionali placche metalliche associate a pasta conduttrice rispet- to alle placche adesive monouso212,217; queste ultime, tuttavia, consentono il posizionamento in sede antero-posteriore (tra la regione infra-clavicolare destra e l’apice della scapola sinistra), che è risultata più efficace rispetto alla posizione antero-apica- le (tra il margine sternale destro e l’apice ventricolare sinistro) nel convertire a ritmo sinusale i pazienti in FA (96 vs 78%)213-215. Efficacia assoluta e clinica L’efficacia della CVE della FA è riportata essere tra il 70% e il 99%222-225. Questa ampia variabilità è determinata da diversi fattori, quali caratteristiche dei pazienti, forma d’onda utilizza- ta per lo shock e definizione di successo. Le variabili cliniche che influenzano il risultato della CVE so- no: 1) presenza di cardiopatia225,226; 2) durata della FA199,213,225,226; 3) dimensioni dell’atrio sinistro227; 4) proteina C- reattiva ad alta sensibilità228,229; 5) presenza di sindrome delle apnee notturne229. Tuttavia, non sono identificabili variabili che di per sé sono in grado di predire in modo assoluto l’insucces- so della CVE224. Sui vantaggi derivanti dall’utilizzo della forma d’onda bifa- sica si è già discusso in precedenza. Importante è la definizione di successo della CVE. L’ineffi- cacia tecnica della CVE è definita come l’impossibilità di otte- nere il ripristino del ritmo sinusale per almeno un battito. L’in- successo tecnico va distinto dall’insuccesso clinico nel quale, dopo una CVE efficace, si assiste ad un’immediata (entro pochi minuti) o precoce (entro 15 giorni) recidiva della FA. L’ineffica- cia tecnica e le recidive immediate si verificano in circa il 25% dei pazienti sottoposti a CVE e le recidive precoci in un altro 25%230,231. L’insuccesso tecnico della CVE transtoracica deriva dal fat- to che solo una minima quantità dell’energia erogata (4%) rag- giunge il miocardio232. Per questo motivo negli ultimi anni so- no state proposte delle modalità alternative per aumentare la quantità di energia in grado di raggiungere il miocardio atria- le: la CVE interna233 e la CVE transesofagea234. La CVE interna è stata la prima ad essere proposta, soprattutto in pazienti obe- si o con BPCO233,235,236. Si tratta di una tecnica invasiva, costo- sa, e non priva di rischi. Inoltre, la probabilità di recidiva di FA è risultata sovrapponibile a quella osservata dopo la CVE tradi- zionale237,238. L’avvento della forma d’onda bifasica, aumen- tando di molto l’efficacia della CVE transtoracica, ha determi- nato di fatto l’abbandono della CVE endocavitaria. Per ragioni simili anche la CVE transesofagea oggi ha indi- cazioni estremamente limitate239. In un caso clinico, l’utilizzo contemporaneo di 4 placche adesive ha permesso l’interruzione della FA in una paziente re- frattaria a multipli shock con forma d’onda bifasica a 200J240. Nei pazienti molto sintomatici, un altro modo per aumen- tare il successo clinico è quello della ripetizione seriata della CVE, metodo che si è dimostrato in grado di mantenere a rit- mo sinusale dopo 12 mesi sino al 55% dei pazienti241. La cardioversione elettrica nei pazienti portatori di dispositivi impiantabili La CVE nei pazienti portatori di pacemaker e defibrillatori im- piantabili è sicura se vengono osservate alcune semplici pre- cauzioni205. Pacemaker e defibrillatori impiantabili sono costruiti in mo- do da resistere ad improvvise scariche elettriche esterne. Tutta- via, la programmazione del dispositivo potrebbe essere altera- ta dall’energia ricevuta. Il dispositivo deve essere interrogato prima e dopo la CVE per verificarne il funzionamento. Nei pa- zienti totalmente dipendenti dal pacemaker è prudente au- mentare al massimo l’uscita dell’impulso ventricolare prima del- la CVE. Nei pazienti portatori di defibrillatore impiantabile de- vono essere disattivate le terapie antitachicardiche. L’elettricità condotta lungo l’elettrodo impiantato può cau- sare un danno miocardico localizzato che a sua volta può in- nalzare la soglia di stimolazione con conseguente perdita di cat- tura ventricolare. Per questo motivo: 1) le placche da defibril- lazione devono essere posizionate il più possibile lontano dal dispositivo; 2) l’asse ideale delle placche deve essere ortogona- le rispetto all’asse longitudinale degli elettrocateteri. Questo si- gnifica che, nei pazienti con il dispositivo posizionato in sede in- fra-clavicolare sinistra, la configurazione delle placche più sicu- ra è quella tra la regione infra-clavicolare destra e la regione compresa tra le due scapole a livello della colonna vertebrale; al contrario, nei pazienti con il dispositivo posizionato in sede infra-clavicolare destra la configurazione più sicura è quella tra 21G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 2011 LINEE GUIDA AIAC 2010 PER LA GESTIONE E IL TRATTAMENTO DELLA FA Tabella 7. Dosaggi consigliati e potenziali effetti collaterali dei farmaci antiaritmici di sicura efficacia nella cardioversione della fibrillazione atriale. Sostanza Via di Dosaggio Potenziali eventi avversi maggiori somministrazione Flecainide e.v. 2 mg/kg in 10-20 min (max 150 mg) Ipotensione, flutter atriale 1:1, per os 200-300 mg singola dose scompenso cardiaco Propafenone e.v. 2 mg/kg in 10-20 min (max 150 mg) Ipotensione, flutter atriale 1:1, per os 450-600 mg singola dose scompenso cardiaco Ibutilide e.v. 1 mg in 10 min; ripetere dopo 10 min 0.5-1 mg Prolungamento QT, torsioni di punta in 10 min se necessario Amiodarone e.v. 5-7 mg/kg in 60 min, seguiti da 15 mg/kg in 24h Ipotensione, bradicardia, per os carico con 600 mg/die per 2-3 settimane allungamento QT, flebiti (e.v.) (o 10 mg/kg per 10 giorni) quindi 200 mg/die Vernakalanta e.v. 3 mg/kg in 10 min; ripetere dopo 15 min 2 mg/kg Ipotensione, blocco atrioventricolare in 10 min se necessario completo afinora valutato solo in trial clinici; recentemente approvato. la regione compresa tra le due scapole a livello della colonna vertebrale e l’apice ventricolare sinistro. Va ricordato che nei pazienti portatori di defibrillatore im- piantabile è consigliabile provare ad interrompere la FA ero- gando uno shock endocavitario comandato dallo stesso dispo- sitivo prima di procedere alla CVE. Rischi e complicanze della cardioversione elettrica I rischi della CVE sono legati essenzialmente alla possibilità di sviluppare aritmie cardiache e al tromboembolismo. Differenti aritmie possono manifestarsi dopo CVE, preva- lentemente di tipo bradiaritmico242,243. Tachicardia o fibrillazio- ne ventricolare possono svilupparsi dopo lo shock in caso di ipokaliemia o intossicazione digitalica, possono essere favorite dal pretrattamento con farmaci della classe IA, IC e III, e non di- pendono dalla quantità di energia erogata242,244,245. La presen- za di una FA a bassa risposta ventricolare in assenza di terapia dromotropa negativa, può sottendere la presenza di un distur- bo di conduzione AV: in questi casi il paziente deve essere at- tentamente valutato prima della CVE al fine di evitare la com- parsa di bradicardie clinicamente rilevanti242. L’incidenza di eventi tromboembolici e le indicazioni alla te- rapia anticoagulante nei pazienti con FA sono discusse nel pa- ragrafo successivo. Talora, al termine della CVE si può osservare un transitorio sopraslivellamento del tratto ST, e i livelli ematici di creatinchi- nasi (CK) e CK-MB possono dimostrarsi elevati anche in assen- za di un evidente danno miocardico246,247. Il movimento degli enzimi cardioselettivi è di minor entità utilizzando la forma d’onda bifasica248,249. Prevenzione del tromboembolismo nei pazienti con fibrillazione atriale sottoposti a cardioversione elettrica Non esistono studi randomizzati che abbiano valutato l’effica- cia della terapia anticoagulante nei pazienti sottoposti a CVE. Tuttavia, studi osservazionali e controllati hanno dimostrato che in assenza di terapia anticoagulante il rischio di eventi trombo- embolici durante CVE raggiunge il 7%250-252 e che, invece, l’uti- lizzo di un trattamento anticoagulante efficace (INR compreso tra 2.0 e 3.0) per 3-4 settimane riduce questo rischio allo 0.5%253,254. È quindi buona pratica clinica iniziare almeno 3 set- timane prima della CVE un trattamento anticoagulante effica- ce in tutti i pazienti con FA di durata >48h o non chiaramente databile. Per ulteriori approfondimenti su questo tema si rimanda al capitolo specifico sulla terapia antitrombotica della FA. Farmaci per aumentare il successo della cardioversione elettrica Nella pratica clinica è frequente la prassi di utilizzare i farmaci antiaritmici contestualmente alla CVE per aumentare l’effica- cia tecnica della procedura (riducendo l’energia richiesta per la cardioversione) e per prevenire le recidive immediate e precoci di FA. A tale scopo, la somministrazione per via orale del farmaco selezionato dovrebbe iniziare con anticipo, a domicilio, per per- mettere il raggiungimento di un’adeguata concentrazione pla- smatica. Questa strategia, comunque, aumenta il rischio di com- plicanze aritmiche durante la CVE242,243. Se i farmaci antiaritmi- ci vengono somministrati per via e.v. subito prima della CVE è prudente controllare il paziente per almeno 24-48h dopo la pro- cedura255. Tuttavia il ruolo dei farmaci antiaritmici nell’aumen- tare il successo tecnico e clinico della CVE è ancora dibattuto. L’efficacia della procainamide e della chinidina è controver- sa80,256-258. La flecainide innalza la soglia di defibrillazione259; il propafenone riduce le recidive precoci (entro 48h) riducendo la complessità del trigger extrasistolico260. Il sotalolo abbassa la so- glia di defibrillazione261 e riduce le recidive immediate262. L’amio- darone ha effetti differenti dipendenti dalla via di somministra- zione. Il pretrattamento prolungato per via orale aumenta l’ef- ficacia tecnica della CVE e ne previene le recidive263, mentre la somministrazione acuta per via e.v. prima della CVE aumenta l’incidenza di bradiaritmie255. L’ibutilide, somministrata per via e.v. subito prima della CVE alla dose di 1 mg, abbassa la soglia di defibrillazione aumentando il successo tecnico della proce- dura, che raggiunge il 100% anche quando si utilizza una for- ma d’onda monofasica264,265. L’uso routinario di questa strategia è limitata dai costi del farmaco, e soprattutto dal rischio di tor- sione di punta, che raggiunge il 3% nella popolazione genera- le, e sale nei pazienti con depressa funzione ventricolare sini- stra264. I dati riguardanti il pretrattamento per via orale con cal- cioantagonisti non diidropiridinici (verapamil, diltiazem) sono ancora più discutibili: questi farmaci non aumentano l’efficacia tecnica della CVE e il loro ruolo nella prevenzione delle recidive precoci è tutt’ora controverso230,266-272. In conclusione, il pretrattamento farmacologico per au- mentare il successo clinico della CVE deve essere individualiz- zato per ciascun paziente. In particolare è consigliato nei pa- zienti già sottoposti a CVE, soprattutto quando la cardiover- sione è risultata clinicamente inefficace per recidive immediate o precoci. Le raccomandazioni per la CVE della FA sono riportate nel- la Tabella 8. PROFILASSI DELLE RECIDIVE La profilassi delle recidive di FA include misure farmacologiche e non farmacologiche. Le misure farmacologiche comprendo- no sia farmaci antiaritmici che farmaci non antiaritmici (cosid- detto trattamento upstream). Le misure non farmacologiche sono, a loro volta, rappresentate da pacemaker/defibrillatore, ablazione transcatetere ed ablazione chirurgica. Consideriamo separatamente queste diverse possibilità terapeutiche. FARMACI ANTIARITMICI I farmaci antiaritmici sono una terapia di prima scelta nel caso si opti per una strategia di controllo del ritmo. In questo caso l’obiettivo principale del trattamento è quello di incrementare la possibilità di mantenimento del ritmo sinusale dopo una car- dioversione farmacologica o elettrica. Molti studi clinici hanno dimostrato l’efficacia dei diversi far- maci antiaritmici (amiodarone, azimilide, chinidina, disopirami- de, flecainide, propafenone, sotalolo) contro nessun trattamen- to, placebo o digitale273,274. Appare evidente dall’analisi di que- sti studi che i farmaci antiaritmici sono in grado di aumentare la percentuale di persistenza del ritmo sinusale a distanza, ma no- nostante ciò recidive aritmiche ad 1 anno si osservano in circa il 30-60% dei pazienti trattati. Inoltre, va tenuto presente che la decisione di iniziare una profilassi farmacologica deve essere sempre attentamente valutata considerando anche i potenziali effetti collaterali dei farmaci e il possibile incremento di morta- lità riportato in particolari sottogruppi di pazienti275,276. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 201122 A RAVIELE ET AL In Italia, nella comune pratica clinica sono utilizzati preva- lentemente farmaci di classe IC o di classe III. A questi ci riferi- remo nella presente sezione. Inoltre, faremo un cenno al ruolo dei betabloccanti e della digitale e tratteremo del nuovo far- maco antiaritmico, dronedarone. Efficacia dei diversi farmaci antiaritmici Flecainide La flecainide possiede, al pari di altri farmaci antiaritmici come la chinidina e la disopiramide, un effetto vagolitico277. In nu- merosi studi ha dimostrato un’efficacia superiore al placebo (percentuali di successo del 31-61 vs 7-39%) e alla chinidi- na278-282. Nello studio CAST, la flecainide ha indotto un aumen- to della mortalità improvvisa nei pazienti con pregresso infarto miocardico283. Per questa ragione e per i noti effetti inotropi e dromotropi negativi, è controindicata nei pazienti con cardiopa- tia ischemica, con disfunzione ventricolare sinistra e con gravi turbe dell’eccitoconduzione. Costituisce, invece, un trattamento di prima scelta nei soggetti senza o con lieve cardiopatia nei qua- li non appare responsabile di significativi effetti proaritmici284. Propafenone Il propafenone ha un’efficacia superiore al placebo e simile a quella della disopiramide e del sotalolo, essendo efficace ad 1 anno nel 30-50% dei pazienti285-289. Come la flecainide, con la quale ne condivide la classe farmacologica, è controindicato nei pazienti con cardiopatia ischemica, con disfunzione ventricola- re sinistra e con gravi turbe dell’eccitoconduzione. Il suo uso è di prima scelta nei soggetti non cardiopatici o con cardiopatia non significativa. Sotalolo Il sotalolo possiede una doppia azione, antiaritmica di classe III e betabloccante. La sua efficacia è superiore al placebo e si- mile a quella della chinidina e del propafenone290-293. È ne- cessario notare come, in uno studio su una casistica limitata (47 pazienti), il sotalolo a bassa bose (160 mg/die) non si sia dimostrato superiore al betabloccante (atenololo 50 mg)294. Il sotalolo ha indicazione nei pazienti con cardiopatia ischemi- ca nei quali ha un’efficacia simile a quella dell’amiodarone181, ma non è stato sufficientemente indagato nei pazienti con dis- funzione sistolica. Presenta il vantaggio di rallentare la fre- quenza ventricolare in caso di recidiva di FA. Prolunga l’inter- vallo QT, in particolare nei pazienti con disfunzione sistolica o grave cardiopatia, nei quali può indurre torsione di punta. Amiodarone L’amiodarone sembra essere il farmaco antiaritmico più effica- ce. Si è rivelato infatti superiore, oltre che al placebo, alla chini- dina, al propafenone e al sotalolo181,273,274,295,296. La sua efficacia nel prevenire le recidive sintomatiche di FA ad 1 anno è stata del 70% sia nello studio CTAF296 che nello studio SAFE-T181. La potenzialità di induzione di effetti collaterali extracardiaci è un severo fattore limitante, specialmente nell’utilizzo in cronico e può talora vanificare gli effetti favorevoli sul mantenimento del ritmo; per queste ragioni l’amiodarone viene considerato far- maco di seconda scelta in molte situazioni cliniche297-299. L’uti- lizzo di un basso dosaggio (1-1.4 g/settimana) riduce notevol- mente l’incidenza di tali effetti297. Non deprimendo la contratti- lità miocardica e inducendo solo raramente effetti proaritmici rilevanti, viene reputato farmaco di prima scelta nei pazienti con disfunzione sistolica, con scompenso cardiaco o comunque con grave cardiopatia e in quelli con pregresso infarto miocardico. Betabloccanti e digitale I betabloccanti non sono considerati antiaritmici in senso stret- to e sono stati poco indagati nella prevenzione delle recidive di FA. In uno studio controllato con placebo300, il metoprololo al dosaggio di 200 mg/die ha ridotto di poco, anche se signifi- cativamente, l’incidenza delle recidive di FA a 6 mesi (60 vs 49%), ma lo studio appare criticabile circa il metodo di verifi- ca dell’avvenuta ricorrenza (è possibile che il farmaco, effica- ce nel controllo della frequenza cardiaca durante recidiva, ab- bia solo ridotto gli accessi di FA sintomatica). La digitale non è utile nella prevenzione della FA parossistica301. Dronedarone Il dronedarone è un derivato non iodato dell’amiodarone che, come il precursore, ha effetti su molteplici canali ionici e recet- tori302. La dose giornaliera utilizzata nella prevenzione delle re- cidive di FA è di 800 mg303 ed è stata testata in due trial ge- melli (EURIDIS e ADONIS) che hanno incluso complessivamen- te 1237 pazienti304. In questi trial, il dronedarone ha ridotto, ri- spetto al placebo, il tempo alla prima ricorrenza di FA del 25% 23G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 2011 LINEE GUIDA AIAC 2010 PER LA GESTIONE E IL TRATTAMENTO DELLA FA Tabella 8. Raccomandazioni per la cardioversione elettrica della fibrillazione atriale (FA). Classe di Livello di raccomandazione evidenza • FA di recente insorgenza (<48h), in alternativa alla cardioversione farmacologica I C • FA con compromissione emodinamica, indipendentemente dalla durata dell’aritmiaa I C • FA di durata >48h in paziente già in appropriata terapia anticoagulante orale I C • FA di durata >48h, previa adeguata terapia anticoagulante orale per almeno 3 settimaneb I C • FA in presenza di preeccitazione ventricolare IIa C • FA sintomatica quando i periodi di ritmo sinusale tra una cardioversione elettrica e l’altra III C sono di breve durata, nonostante trattamento farmacologico antiaritmico adeguato • FA in presenza di ipokaliemia ed intossicazione digitalica III C ase durata dell’aritmia non databile o >48h somministrare eparina frazionata e.v. o eparina a basso peso molecolare sottocute e contestualmen- te iniziare terapia anticoagulante orale. bse FA recidivante, prima di eseguire nuovamente la cardioversione elettrica, iniziare trattamento farmacologico antiaritmico. venzione delle recidive di FA300. I farmaci di prima scelta sono, il dronedarone, il sotalolo e l’amiodarone. Nei pazienti con dis- funzione sistolica severa, comunque, l’unico farmaco utilizzabi- le con tranquillità è l’amiodarone. Scompenso cardiaco In questa situazione, in cui molti farmaci antiaritmici sono con- troindicati perché possono indurre un peggioramento della fun- zione di pompa e/o gravi proaritmie ventricolari, il farmaco di prima scelta è l’amiodarone. Il dronedarone è controindicato in caso di scompenso cardiaco avanzato (classe funzionale NYHA III-IV)309. Sindrome di Wolff-Parkinson-White In caso di sindrome di Wolff-Parkinson-White con episodi di FA il trattamento di prima scelta è rappresentato dall’ablazione transcatetere. Nei rari casi in cui tale procedura fallisca oppure sia rifiutata dal paziente si può ricorrere alla flecainide o al pro- pafenone che rallentano la velocità di conduzione e prolunga- no il periodo refrattario nella via anomala. In questi pazienti so- no decisamente controindicati i farmaci che rallentano soltan- to la conduzione nel nodo AV quali i calcioantagonisti, la digi- tale, i betabloccanti ed anche l’amiodarone e il dronedarone, in quanto facilitano la conduzione dagli atri ai ventricoli attraver- so il bypass, con conseguente marcato aumento della fre- quenza cardiaca in corso di FA. L’indicazione ai vari farmaci antiaritmici nelle diverse situa- zioni cliniche è riportata nella Tabella 12. Sull’utilizzo dei farmaci antiaritmici in associazione non esi- stono dati consistenti in letteratura e pertanto le associazioni di tali farmaci non possono rappresentare un’indicazione corrente. Problematiche particolari L’impiego di farmaci antiaritmici richiede particolare attenzione e competenza in determinate condizioni qui di seguito elencate. Post-intervento cardiochirurgico L’incidenza di FA dopo intervento cardiochirurgico appare piut- tosto elevata, variando nella maggior parte degli studi fra il 20% e il 40%316. Tra i principali fattori predisponenti dell’arit- mia vanno menzionati l’età avanzata, una storia di FA ricorren- te, un intervento per valvulopatia, l’ingrandimento atriale sini- stro, il cuore polmonare cronico e il mancato uso di betabloc- canti317-321. Questi ultimi farmaci, pertanto, debbono sempre essere somministrati prima e dopo l’intervento cardiochirurgi- co al fine di ridurre l’incidenza della FA. Altri farmaci che si so- no dimostrati efficaci a questo scopo sono il sotalolo e l’amio- darone, iniziati prima dell’intervento. La FA post-intervento cardiochirurgico compare per lo più nei primi giorni dopo l’intervento, soprattutto entro il secon- do, e spesso si risolve spontaneamente. L’incidenza di recidi- ve di FA dopo la dimissione è stata scarsamente indagata. I pochi dati disponibili al riguardo suggeriscono che le recidive sono piuttosto frequenti nel primo mese dopo l’intervento (12-34%) e diventano poi rare essendo state osservate nei me- si successivi soltanto nel 2-5% dei pazienti322-324. Pur in as- senza di trial sul trattamento post-dimissione delle recidive, appare ragionevole somministrare un farmaco antiaritmico ai pazienti con storia di FA ricorrente pre-intervento, mentre in quelli senza tale storia appare indicato un trattamento limita- to ad un paio di mesi, a meno che in tale periodo non com- paiono recidive. Infarto miocardico acuto In era trombolitica l’incidenza della FA in corso di infarto mio- cardico acuto è di circa il 10% e circa la metà dei pazienti ha una storia di FA prima dell’evento acuto53,54,325,326. In un quarto dei pazienti la FA è presente all’ingresso in ospedale; nei rimanenti compare durante il ricovero327. I fattori associati alla comparsa dell’aritmia sono un’età più avanzata, una frazione di eiezione ventricolare sinistra più bassa, una classe Killip più alta, prece- denti episodi infartuali, diabete mellito e storia di ipertensione arteriosa325,327-329. Circa l’incidenza di ictus i dati sono contra- stanti: in alcuni studi tale incidenza è risultata più elevata nei pazienti con FA rispetto a quelli in ritmo sinusale327, mentre in al- tri non è emersa una differenza significativa329. La durata del ri- covero è più prolungata nei pazienti con FA327. Inoltre, la FA rap- presenta un predittore indipendente di mortalità sia ospedalie- ra che a lungo termine325,327-329, e ciò sembra vero anche nei pa- zienti con infarto non Q e con angina instabile330. L’angioplasti- ca primaria non modifica il significato prognostico della FA in corso di infarto331. Il trattamento della FA associata all’infarto miocardico è stato pochissimo indagato. Se la tachiaritmia è per- manente ci si limita a rallentare la frequenza cardiaca; se invece G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 201126 A RAVIELE ET AL Tabella 12. Raccomandazioni per la profilassi farmacologica antiarit- mica della fibrillazione atriale. Classe di Livello di raccomandazione evidenza Pazienti senza cardiopatia o con lieve cardiopatia o con ipertensione arteriosa senza importante IVS Dronedarone I A Propafenone I A Flecainide I A Sotalolo I A Amiodarone IIa A Chinidina IIa A Disopiramide IIb B Betabloccanti IIb B Pazienti con ipertensione arteriosa e importante IVS Dronedarone IIa A Amiodarone IIa A Betabloccanti IIb B Pazienti con cardiopatia ischemica Dronedarone IIa A Sotalolo IIa B Amiodarone IIa B Betabloccanti IIb C Pazienti con scompenso cardiaco classe NYHA I/II e/o FEVS <40% e/o senza recente instabilizzazione emodinamica Dronedarone IIa C Amiodarone IIa A Betabloccanti IIa C Pazienti con scompenso cardiaco classe NYHA III/IV e/o recente instabilizzazione emodinamica Amiodarone IIa A Betabloccanti IIa C FEVS, frazione di eiezione ventricolare sinistra; IVS, ipertrofia ventrico- lare sinistra. NB: sono stati inseriti sia i farmaci di comune impiego che quelli di im- piego più raro o non facilmente reperibili in Italia. è di recente insorgenza il farmaco più indicato appare l’amio- darone e.v. È opportuno dimettere il paziente in ritmo sinusale. Non è mai stata indagata l’incidenza delle recidive di FA nei pa- zienti che accusano tale tachiaritmia in corso di infarto miocar- dico acuto. Appare ragionevole non prescrivere alcun farmaco antiaritmico alla dimissione nei pazienti senza storia di FA prima dell’evento acuto; si può iniziare eventualmente tale tratta- mento se compaiono recidive dopo la dimissione. Gravidanza La FA rappresenta un’evenienza rara in corso di gravidanza e si osserva quasi esclusivamente in soggetti con valvulopatia mi- tralica, con cardiopatia congenita o con ipertiroidismo332-335. Qualora la tachiaritmia presenti una frequenza cardiaca molto elevata, può avere conseguenze emodinamiche rilevanti sia per la madre che per il feto. La frequenza cardiaca può essere con- trollata con i betabloccanti, la digitale o i calcioantagonisti336- 338. I farmaci antiaritmici attraversano la barriera placentare e dovrebbero essere pertanto evitati. In alcuni piccoli studi sono stati utilizzati con successo per la cardioversione a ritmo sinu- sale la chinidina, la flecainide, il sotalolo o l’amiodarone333-343, ma non è possibile trarre conclusioni certe sul loro utilizzo. In caso di marcata compromissione emodinamica si può ricorrere al DC-shock che non comporta un rischio di compromissione fetale344; se non è presente compromissione emodinamica ap- pare opportuno limitarsi a controllare la frequenza cardiaca e demandare la cardioversione a dopo il parto. TRATTAMENTO UPSTREAM CON FARMACI NON ANTIARITMICI Negli ultimi anni, alla luce dei risultati non entusiasmanti dei farmaci antiaritmici classici, altri farmaci non propriamente an- tiaritmici sono stati presi in considerazione per il trattamento della FA, con l’intento di correggere il substrato alla base del- l’aritmia e di prevenirne così l’iniziale manifestarsi e le recidive. È questo il cosiddetto trattamento upstream o “a monte” del- la FA. Tale trattamento include farmaci quali gli inibitori del- l’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE), i bloccanti dei recettori dell’angiotensina II (ARB), le statine e gli n-3 acidi gras- si polinsaturi (PUFA). È noto (vedi capitolo dell’eziopatogenesi) che la FA determi- na di per sé delle modificazioni elettriche13,14 e strutturali degli atri13,14,345,346 rappresentate essenzialmente da un accorciamento del potenziale d’azione, ingrandimento atriale e fibrosi (cosid- detto rimodellamento), che rendono, poi, più problematico il ri- pristino del ritmo sinusale e il suo successivo mantenimento. Il trattamento upstream ha lo scopo di contrastare e/o ri- tardare questo processo di rimodellamento agendo a diversi li- velli e con differenti meccanismi, quali blocco del sistema reni- na-angiotensina, effetto antinfiammatorio, riduzione dello stress ossidativo, ecc. Inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina e bloccanti dei recettori dell’angiotensina II È accertato che lo stiramento atriale e l’infiammazione au- mentano il livello di angiotensina II nel cuore e che l’angioten- sina II, a sua volta, determina sovraccarico di calcio e fibrosi atriale, due condizioni essenziali per i cambiamenti elettrofisio- logici (accorciamento della refrattarietà e rallentamento della conduzione) che favoriscono l’innesco e il mantenimento della FA. Il blocco del sistema renina-angiotensina ha, pertanto, i pre- supposti per impedire la comparsa e la progressione della FA. Alcuni studi sperimentali, in realtà, hanno comprovato che sia gli ACE-inibitori347 che gli ARB348-350 sono in grado di preve- nire il rimodellamento, elettrico e meccanico, che si osserva nel- la FA. In clinica, le sottoanalisi di alcuni grandi trial randomizzati e controllati eseguiti con ACE-inibitori o con ARB in vari conte- sti clinici (TRACE351, con trandolapril, nei pazienti con cardio- patia post-infartuale; SOLVD352, con enalapril, in pazienti con scompenso cronico; LIFE353, con losartan, in pazienti con iper- tensione e ipertrofia ventricolare sinistra; Val-HeFT354, con val- sartan, in pazienti con scompenso cardiaco) hanno mostrato una riduzione statisticamente significativa degli episodi di FA di prima insorgenza nei pazienti randomizzati al trattamento at- tivo. Questi dati sembrano avvalorare il ruolo di ACE-inibitori e ARB nella prevenzione primaria della FA. Per quanto riguarda la prevenzione secondaria della FA (pre- venzione delle ricorrenze in pazienti con precedenti episodi del- l’aritmia) vi sono alcuni studi prospettici di piccole dimensioni nei quali l’associazione di ACE-inibitori o ARB al trattamento antiaritmico con amiodarone ha determinato una riduzione sta- tisticamente significativa delle recidive aritmiche355-358. Il dato, però, non è stato confermato in altri studi con ARB in assenza dell’amiodarone359. Recentemente sono stati pubblicati i risul- tati del GISSI-AF, il primo grande trial prospettico, randomizza- to contro placebo, sull’impiego di un ARB (valsartan) nella pre- venzione secondaria della FA360,361. Lo studio, che ha arruolato 1442 pazienti, non ha evidenziato alcuna efficacia del valsartan nel ridurre il numero delle recidive aritmiche in un follow-up di 12 mesi. Nel gruppo valsartan, il 51.4% dei pazienti presenta- va almeno una recidiva di FA vs il 52.1% del gruppo placebo. Per quanto riguarda la presenza di più di una recidiva di FA, queste erano documentate nel 26.9% del gruppo valsartan vs il 27.9% del gruppo placebo. Neppure le sottoanalisi già pre- viste nei gruppi con associato amiodarone o ACE-inibitore, mo- stravano un’efficacia del valsartan nella prevenzione delle reci- dive di FA. In base ai risultati su riportati e a quelli di una recente me- tanalisi362, sembra che ACE-inibitori e ARB (come prevedibile) possano modificare la cardiopatia di fondo e ridurre, in questo modo, l’incidenza di episodi di FA di nuova insorgenza (pre- venzione primaria). Oggigiorno il loro uso, invece, appare po- co giustificato nella prevenzione secondaria delle recidive di FA (raccomandazione di classe IIb, livello di evidenza A), almeno al di fuori di quelle che sono le altre indicazioni all’impiego di que- sti farmaci. Statine Le statine, oltre a ridurre la colesterolemia, hanno alcuni effet- ti pleiotropici che possono agire favorevolmente sul substrato della FA e sul rimodellamento atriale, quali un’azione antin- fiammatoria e antiossidante363. Inoltre, aumentando la sintesi del nitrossido a livello endoteliale possono svolgere un effetto protettivo sulla matrice extracellulare. In effetti, in alcuni studi sperimentali, le statine hanno di- mostrato di ridurre, a livello atriale, i processi infiammatori e la formazione di tessuto fibroso, di prevenire l’accorciamento dei periodi refrattari e il rallentamento della conduzione e di ridur- re la durata degli accessi di FA rispetto ai controlli364,365. In clinica, esistono alcuni studi retrospettivi e prospettici sul- l’efficacia clinica delle statine nella prevenzione primaria e se- 27G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 2011 LINEE GUIDA AIAC 2010 PER LA GESTIONE E IL TRATTAMENTO DELLA FA condaria della FA366-369. I dati sono contrastanti e ottenuti pre- valentemente dagli studi retrospettivi mentre gli studi prospet- tici sono di piccole dimensioni. Dati discordanti sono osservabili anche nelle metanalisi. Ad esempio, la metanalisi di Fauchier et al.370 riporta una riduzione significativa del rischio di FA nei pazienti trattati con statine (p=0.02), in particolare nella pre- venzione secondaria e dopo cardiochirurgia, ma questo dato non è stato, poi, confermato in altre metanalisi e nei successi- vi studi371-373. Al pari, quindi, degli ACE-inibitori e ARB, le statine posso- no modificare la cardiopatia di base e ridurre l’incidenza di epi- sodi di FA di nuova insorgenza, ma al momento non sembra- no esservi dati sufficienti per raccomandare il loro impiego nel- la prevenzione secondaria della FA (raccomandazione di classe IIb, livello di evidenza B). Acidi grassi omega-3 Come le statine, gli n-3 PUFA hanno un’azione antinfiamma- toria e antiossidante e migliorano la funzionalità endoteliale363. In realtà, in studi sperimentali, gli n-3 PUFA hanno dimo- strato di ridurre la formazione di collagene a livello atriale, la vulnerabilità atriale e la durata degli episodi di FA374-376. Esistono ormai numerosi dati sull’efficacia degli acidi gras- si omega-3 nelle aritmie ventricolari. I dati, invece, per quanto riguarda le aritmie atriali sono limitati. Lo studio più ampio, di tipo osservazionale riguardante 4815 soggetti di età >65 anni seguiti in un follow-up di 12 anni377, ha evidenziato una ridu- zione del 28-31% dell’incidenza di FA fra i soggetti con rego- lare assunzione di pesce nella dieta. Questi dati, tuttavia, non sono stati confermati in due studi successivi378,379. In un altro trial randomizzato di Calò et al.380, relativo a 160 pazienti, si è visto come la somministrazione di n-3 PUFA, du- rante ospedalizzazione per chirurgia coronarica, sia in grado di ridurre l’incidenza postoperatoria di FA del 54.4%. Anche qui, però, il risultato non è stato confermato in uno studio poste- riore381. Infine, un recente trial randomizzato, eseguito dopo car- dioversione, non ha mostrato alcuna efficacia degli n-3 PUFA nella prevenzione delle recidive di FA durante il successivo fol- low-up di 1 anno382. Pertanto, alla luce di questi risultati, al momento non vi so- no dati sufficienti per proporre la terapia con n-3 PUFA nella prevenzione secondaria della FA (raccomandazione di classe IIb, livello di evidenza B), al di fuori di quelle che sono le indicazio- ni convenzionali all’uso di questi farmaci. Le raccomandazioni per la profilassi farmacologica non an- tiaritmica delle recidive di FA sono riassunte nella Tabella 13. RUOLO DI PACEMAKER/ DEFIBRILLATORI IMPIANTABILI Pacemaker È noto che la FA è spesso associata a disfunzione del nodo del seno o a blocco AV. In questi casi, l’indicazione all’elettrosti- molazione definitiva è dettata dalla presenza della bradiaritmia (raccomandazione di classe I, livello di evidenza A)383. Al di fuo- ri di questo contesto non esistono, al momento attuale, dati sufficienti in letteratura che giustificano l’impianto di pacema- ker con il solo obiettivo di prevenire o trattare la FA. Quando si decide per l’elettrostimolazione definitiva in pa- zienti con FA, è necessario considerare alcuni punti fondamen- tali, quali la modalità di stimolazione, l’utilizzo degli algoritmi di pacing per la profilassi e l’interruzione dell’aritmia e l’eventua- le scelta di siti non convenzionali di stimolazione atriale. In que- sta sezione esamineremo questi vari aspetti. Modalità di stimolazione Gli effetti della modalità di stimolazione sull’incidenza della FA ed altri outcome clinici sono stati oggetto, nel corso degli an- ni, di numerosi studi, in particolare nei pazienti che hanno im- piantato un pacemaker per malattia del nodo del seno o bloc- co AV. Gli studi iniziali osservazionali, non randomizzati e non con- trollati hanno suggerito che il pacing ventricolare è associato ad un rischio elevato di FA, se paragonato al pacing atriale o bica- merale384,385. Questi studi hanno stimolato una serie di altri stu- di successivi, randomizzati e controllati di confronto tra stimo- lazione atriale o bicamerale e stimolazione ventricolare386-395. Una metanalisi di questi studi396, relativa ad oltre 7000 pazien- ti seguiti per circa 5 anni di follow-up, ha confermato che il pa- cing atriale o bicamerale è superiore al pacing ventricolare. I pazienti assegnati a pacing atriale o bicamerale, infatti, hanno mostrato una riduzione significativa del 20% dell’incidenza di FA (p=0.00003) e una riduzione borderline del 19% dell’inci- denza di ictus (p=0.035). Non sono state osservate, invece, dif- ferenze significative per quanto riguarda lo scompenso cardia- co e la mortalità totale. Nell’ambito del pacing “fisiologico” la stimolazione atriale sembra, poi, dare dei risultati migliori della stimolazione bica- merale. Ad esempio, nel registro svedese, la stimolazione atria- le è risultata associata ad una riduzione significativa del 30% del rischio di sviluppare FA di prima insorgenza dopo l’impian- to del pacemaker e ad una riduzione borderline del 12% del ri- schio di mortalità per qualsiasi causa397. Lo stesso era stato os- servato da Kristensen et al.398 che avevano riportato, in uno stu- dio randomizzato, una riduzione significativa dell’incidenza di FA nel gruppo assegnato a stimolazione atriale rispetto al grup- po assegnato a stimolazione bicamerale (7.4 vs 17.5-23.3%). L’inferiorità della stimolazione bicamerale rispetto a quella atriale si spiega probabilmente con l’azione dannosa della sti- molazione dall’apice del ventricolo destro che crea un asincro- nismo di attivazione e contrazione dei ventricoli, simile a quel- lo che si osserva nel blocco di branca sinistra, con ripercussioni negative non solo di tipo meccanico ed emodinamico399,400 ma anche di tipo aritmico. Una conferma indiretta di questa ipote- si ci viene offerta da un’importante analisi post-hoc dello stu- dio MOST401 che ha mostrato come, nei pazienti con pacema- ker DDDR, la percentuale di tempo in cui il ventricolo destro viene stimolato correla con un maggior rischio di FA e scom- penso cardiaco. In particolare, ad un aumento del 10% della G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 201128 A RAVIELE ET AL Tabella 13. Raccomandazioni per la profilassi farmacologica non anti- aritmica delle recidive di fibrillazione atriale. Classe di Livello di raccomandazione evidenza Inibitori dell’enzima di conversione IIb B dell’angiotensina Bloccanti dei recettori IIb A dell’angiotensina II Statine IIb B Omega-3 IIb B vene polmonari, che sono le sedi più comuni di trigger per l’in- sorgenza di FA; inoltre sedi meno comuni di trigger, come ve- na e legamento di Marshall e parete posteriore dell’atrio sini- stro, possono essere interessate da questo tipo di lesioni abla- tive. Le lesioni circonferenziali possono anche modificare il sub- strato aritmogeno eliminando porzioni di tessuto adiacenti al- le giunzioni atrio–vene polmonari che sono essenziali per l’in- nesco e il mantenimento della FA, o riducendo la massa critica di tessuto atriale necessario per sostenere il rientro. Infine il complesso delle lesioni circonferenziali può interrompere le fi- bre nervose simpatiche e parasimpatiche provenienti dai gan- gli del sistema nervoso autonomo, che sono stati identificati come possibili trigger per FA460,461. Indicazioni per l’ablazione transcatetere della fibrillazione atriale Attualmente il motivo principale per eseguire una procedura di ablazione di FA è migliorare la qualità di vita dei pazienti elimi- nando i sintomi causati dall’aritmia. Anche se sono possibili al- tri benefici, quali riduzione del rischio di ictus cerebrale e di scompenso cardiaco e un aumento della sopravvivenza, questi non sono ancora stati dimostrati da trial clinici randomizzati. Altri elementi da tenere in considerazione nell’indicazione dell’ablazione sono il tipo di FA (persistente vs parossistica), la durata della FA (>12 mesi), l’età (il rischio di perforazione e complicanze tromboemboliche è maggiore nei pazienti molto anziani), la dilatazione atriale (>50 mm), l’ipertensione arterio- sa e la presenza di estese cicatrici atriali, che riducono la pro- babilità di successo della procedura462-468. In base alle raccomandazioni recentemente pubblicate dal- la Task Force congiunta della Heart Rhythm Society/European Heart Rhythm Association/European Cardiac Arrhythmia So- ciety (HRS/EHRA/ECAS)3, l’ablazione transcatetere della FA non dovrebbe essere considerata come terapia di prima scelta per il trattamento della FA, rappresentata solitamente dai farmaci an- tiaritmici. Il suo uso, pertanto, tranne che in alcune rare situa- zioni cliniche, dovrebbe essere riservato solo ai casi in cui al- meno un tentativo di trattamento con tali farmaci è già fallito. Tecniche di ablazione della fibrillazione atriale I successi delle procedure chirurgiche di ablazione proposte da Cox et al.6,469 nei primi anni ’90 avevano stimolato gli elettrofi- siologi a riprodurre la procedura chirurgica Maze con approc- cio transvenoso, mediante lesioni lineari prodotte da cateteri con radiofrequenza. Questi tentativi tuttavia ottennero scarsi successi, per cui gli elettrofisiologi si rivolsero verso strategie at- te a colpire i trigger focali della FA. Ablazioni mirate alle vene polmonari L’identificazione di trigger che iniziano la FA nel tratto ostiale delle vene polmonari spinsero a prevenire le ricorrenze di FA con ablazioni nella sede di origine del trigger7,8,470. L’ablazione diretta dei trigger era limitata dalla scarsa frequenza con cui l’inizio della FA poteva essere riprodotto durante la procedura di ablazione. Un’ulteriore limitazione di questo approccio è che comunemente si osservano molteplici sedi di foci triggeranti. Per superare queste limitazioni Haissaguerre et al.471 pro- posero un differente approccio inteso ad isolare elettricamen- te il miocardio prossimo alle vene polmonari. Questa tecnica di isolamento segmentale delle vene polmonari includeva l’iden- tificazione e l’ablazione sequenziale dell’ostio delle vene pol- monari prossimo ai punti più precoci di attivazione delle fibre muscolari delle vene polmonari. L’endpoint di questa procedu- ra era l’isolamento elettrico di almeno tre vene polmonari. Successivamente Pappone et al.472,473 svilupparono una stra- tegia di ablazione di encircling delle vene polmonari guidata da un mappaggio elettroanatomico tridimensionale. La possibile comparsa di stenosi vascolari come complican- za dell’applicazione di radiofrequenza nell’interno delle vene polmonari e il riscontro che le sedi di innesco e/o mantenimento della FA erano spesso localizzate nell’antro delle vene polmo- nari determinarono un cambiamento di strategia dell’ablazio- ne, mirata cioè all’isolamento del tessuto antrale piuttosto che delle vene polmonari. L’ablazione in queste sedi era eseguita a segmenti, guidata da un catetere mappante circolare471,474 po- sizionato vicino all’ostio delle vene polmonari o mediante una lesione circonferenziale continua creata per circondare le vene polmonari destre o sinistre472,473. La linea di ablazione circonfe- renziale veniva guidata o dal mappaggio elettroanatomi- co459,473,475 o dalla fluoroscopia476 o dall’ecocardiogramma in- tracardiaco458,477. L’endpoint di questa procedura consiste o nel- la riduzione dei voltaggi nell’interno delle aree ablate473,475, o nell’eliminazione dei potenziali delle vene polmonari registrati da uno o due cateteri mappanti circolari o da un catetere basket nelle vene polmonari ipsilaterali458,459,476,478-481 e/o da un blocco d’uscita dalle vene polmonari482. Per quanto le strategie di ablazione a livello delle vene pol- monari rimangano fondamentali per la terapia della FA paros- sistica e persistente, altri tentativi sono stati fatti e sono in cor- so per individuare strategie addizionali al fine di aumentare i successi delle procedure ablative. Una di queste strategie con- siste nel creare lesioni lineari addizionali nell’atrio sinistro se- condo schemi diversi483,484. Ablazioni non mirate alle vene polmonari In circa un terzo di pazienti inviati per ablazione di una FA pa- rossistica possono essere identificati trigger non localizzati nel- le vene polmonari484-488 e in pazienti selezionati la sola elimina- zione di questi trigger ha determinato la scomparsa della FA11,486,489. Le sedi di origine di questi trigger atriali possono es- sere la parete posteriore dell’atrio sinistro, la vena cava supe- riore, la cresta terminale, la fossa ovale, il seno coronarico, lun- 31G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 2011 LINEE GUIDA AIAC 2010 PER LA GESTIONE E IL TRATTAMENTO DELLA FA Tabella 15. Raccomandazioni all’impianto di un defibrillatore duale per la prevenzione e il trattamento della fibrillazione atriale (FA). Classe di Livello di raccomandazione evidenza • Pazienti con indicazione all’impianto di un defibrillatore per la prevenzione della morte improvvisa, IIa B che soffrano di malattia del nodo del seno e/o abbiano avuto episodi di FA refrattari alla profilassi farmacologica e che necessitino di cardioversione elettrica, specie se accompagnati a sintomi di insufficienza ventricolare sinistra go il legamento di Marshall, le adiacenze degli anelli delle val- vole AV. Diversi studi hanno dimostrato che aree atriali, in cui si regi- strano elettrogrammi complessi frazionati (complex atrial frac- tionated electrograms, CAFE) di basso voltaggio (0.06-0.25 mV), rappresentano un substrato aritmogeno per la FA e quindi costi- tuiscono un target per l’ablazione della FA461,490,491. Gli endpoint principali di questa strategia ablativa sono la completa elimina- zione delle aree con CAFE, la conversione della FA in ritmo sinu- sale e/o la non inducibilità della FA al termine delle procedure. Il successo delle procedure di ablazione può essere aumen- tato aggiungendo come obiettivo l’ablazione dei gangli plessi- formi460,461, che sono principalmente localizzati nel grasso epi- cardico in prossimità degli antri delle vene polmonari. Attuali punti cardine dell’ablazione transcatetere della fibrillazione atriale Come definito dai due documenti di consenso internazionale, Venice Chart e HRS/EHRA/ECAS3,145, nell’approccio all’ablazio- ne transcatetere della FA vanno tenuti presenti i seguenti pun- ti cardine: 1. le strategie ablative che si indirizzano alle vene polmonari e/o agli antri delle vene polmonari costituiscono il requisito base ed imprescindibile per la massima parte delle proce- dure di ablazione della FA; 2. un’accurata identificazione degli osti delle vene polmonari è indispensabile per evitare l’ablazione all’interno delle ve- ne polmonari, che comporta un aumentato rischio di ste- nosi delle vene polmonari; 3. quando il target è rappresentato dalle vene polmonari, l’obiettivo è l’isolamento completo; 4. quando, durante una procedura di ablazione, si identifica un trigger focale al di fuori delle vene polmonari, questo dovrebbe essere eliminato; 5. quando si eseguono linee di lesione addizionali, la comple- tezza di tali linee dovrebbe essere dimostrata con metodi di mappaggio o pacing; 6. l’ablazione dell’istmo cavo-tricuspidale è raccomandata so- lo in pazienti con storia di flutter atriale tipico o con flutter atriale inducibile, istmo cavo-tricuspidale-dipendente; 7. qualora si trattino pazienti con FA persistente di lunga du- rata (>12 mesi), il solo isolamento dell’ostio delle vene pol- monari può non essere sufficiente. Per quanto specificato al punto 2, è fortemente consigliato l’utilizzo delle più recenti tecnologie (ecografia intracardiaca, mappaggio elettroanatomico con integrazione delle immagini) che consentono una precisa visualizzazione della posizione del- l’elettrodo ablatore relativamente all’anatomia delle vene pol- monari, che frequentemente può presentare importanti varia- zioni individuali. Per quanto specificato al punto 3, è importan- te inserire in atrio sinistro per via transettale anche un catetere mappante circolare multipolare per la verifica in tempo reale del blocco bidirezionale della conduzione atrio–venosa. Per quanto specificato al punto 5, infine, è fondamentale la dimostrazione del blocco bidirezionale della conduzione per tutta la lunghezza della linea di ablazione, in quanto la quasi totalità delle tachi- cardie da macrorientro post-ablazione può sfruttare per il man- tenimento del circuito di rientro un gap di conduzione lungo la linea di ablazione492. Si tenga presente come, al di fuori del- l’istmo cavo-tricuspidale, la dimostrazione di blocco completo di conduzione lungo una lesione lineare possa non essere facile. Energie utilizzabili La fonte di energia utilizzata più frequentemente per effettua- re l’ablazione transcatetere è certamente la radiofrequenza, an- che se negli ultimi anni le energie criotermica, ad ultrasuoni e laser sono state impiegate con tecniche e dispositivi particola- ri, ma sono ancora in fase di valutazione493-497. I cateteri utilizzati sono fondamentalmente di due tipi: ca- teteri irrigati in punta (3.5-5 mm) e cateteri convenzionali con punta di 8 mm. Nel caso dei cateteri irrigati in punta, il limite di temperatura è generalmente settato a 43-48°C e la poten- za utilizzata varia tra 25 e 30 W per l’isolamento delle vene pol- monari, e non oltre i 40 W per l’effettuazione di lesioni lineari. L’uso di cateteri irrigati, rispetto a quelli convenzionali (4 mm) inizialmente usati, ha consentito di produrre lesioni significati- vamente più profonde e soprattutto di ridurre drammatica- mente i rischi di formazione di trombi intracavitari498. I cateteri convenzionali con punta di 8 mm sono stati utilizzati nei pro- tocolli di isolamento anatomico circonferenziale; la temperatu- ra target è di 60°C e la potenza erogata varia tra 40 e 100 W. Tecniche ablative Isolamento segmentale delle vene polmonari Un catetere da mappaggio circonferenziale a diametro variabi- le (15-25 mm) è inserito tramite un introduttore lungo per via transettale in atrio sinistro e posizionato sequenzialmente al- l’ostio delle quattro vene polmonari. Il catetere d’ablazione vie- ne posizionato all’ostio delle vene sul versante atriale; viene quindi effettuata una serie di lesioni segmentali nei siti identifi- cati come sede di conduzione atrio-venosa fino all’ottenimento dell’isolamento della vena (scomparsa dei potenziali venosi sul catetere mappante circolare) e l’impossibilità di cattura atriale stimolando le fibre miocardiche delle vene polmonari470,499,500. L’ablazione può essere eseguita in ritmo sinusale o durante FA. Isolamento circonferenziale delle vene polmonari guidato da mappaggio tridimensionale Il protocollo procedurale prevede l’effettuazione di lesioni cir- colari continue intorno agli osti delle quattro vene polmonari guidate anatomicamente dal sistema di mappaggio elettro- anatomico con o senza integrazione con immagini preacquisi- te con tomografia assiale computerizzata o risonanza magne- tica473,501-506. L’utilità della ricostruzione anatomica dell’atrio si- nistro ottenuta dai sistemi di navigazione tridimensionale è du- plice e serve a: 1) verificare che la lesione intorno agli osti del- le vene polmonari sia effettuata sul versante atriale, possibil- mente a livello dell’antro, in modo da ridurre il rischio di stenosi polmonare e da includere nell’ablazione zone dell’atrio sinistro potenzialmente aritmogene per la presenza di foci periostiali, rotori e gangli parasimpatici145,460; 2) accertare che la lesione sia il più possibile completa e senza soluzione di continuo, re- quisito importante per ridurre il rischio di tachiaritmie atriali ia- trogene post-ablazione. Le lesioni circolari attorno allo sbocco delle vene polmona- ri possono poi essere unite tra loro mediante lesioni lineari a li- vello dell’istmo mitralico499, della parete posteriore e/o del tet- to dell’atrio sinistro e/o essere estese a zone atriali sede di atti- vità elettrica complessa frammentata ad alta frequenza490. L’av- venuto isolamento delle vene polmonari deve essere docu- mentato mediante l’utilizzo di un catetere mappante circolare come nel paragrafo precedente500,507. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 201132 A RAVIELE ET AL Ricerca di foci extrapolmonari In alcuni casi (persistenza di parossismi di FA o extrasistolia atria- le dopo isolamento delle vene polmonari), può essere necessa- rio ricercare e ablare eventuali foci extrapolmonari. L’isolamen- to della vena cava superiore destra può essere talora necessa- rio, ma non viene effettuato di routine508-510. Lesioni lineari La presenza di blocco completo della conduzione attraverso le lesioni lineari deve essere definita dalle modalità della propaga- zione dell’impulso osservate durante una nuova ricostruzione elettroanatomica dell’atrio sinistro473,499. La reale utilità delle le- sioni lineari è comunque ancora oggetto di discussione145,511. Procedura guidata contemporaneamente da mappaggio tradizionale e da ecografia intracardiaca Il protocollo operatorio prevede l’utilizzo contemporaneo sia dei cateteri di mappaggio circonferenziale, sia dell’ecografia in- tracardiaca, con o senza sistemi di navigazione tridimensiona- le458, oltre al catetere ablatore. Anticoagulazione Un’adeguata anticoagulazione dei pazienti prima, durante e dopo la procedura di ablazione è fondamentale per evitare eventi tromboembolici, che rappresentano una delle più gravi complicazioni dell’ablazione della FA. D’altra parte l’anticoa- gulazione favorisce alcune delle più comuni complicanze della procedura, come l’emopericardio e le complicanze vascolari. Occorre pertanto porre molta attenzione nel raggiungimento di livelli ottimali, ma sicuri, di anticoagulazione. Prima e dopo la procedura di ablazione viene eseguita un’anticoagulazione secondo le linee guida comunemente ac- cettate2,3,145 che si applicano a tutti i pazienti in FA e ai candi- dati alla cardioversione. Occorre ricordare che il rischio trom- botico è maggiore nei pazienti sottoposti ad ablazione rispetto a quelli sottoposti a semplice cardioversione, in quanto l’abla- zione danneggia aree di endocardio atriale di varia estensione, favorendo così la formazione di trombi. Alcuni protocolli sug- geriscono l’impiego di anticoagulanti orali anche in soggetti con CHADS2 score pari a 1 in fase pre-procedurale, ma tale in- dicazione non è supportata da un’evidenza clinica512. Oltre all’anticoagulazione pre-procedurale vi è attualmente un consenso ampio ad eseguire un ecocardiogramma trans- esofageo per escludere la presenza di trombi atriali, che po- trebbero essere mobilizzati dalle manovre dei cateteri in atrio si- nistro145. Il protocollo di anticoagulazione prevede la somministra- zione di enoxaparina o di analoghi fino alla sera precedente l’ablazione. Recentemente, comunque, una strategia senza in- terruzione dell’anticoagulante orale, al momento della proce- dura, è stata proposta con soddisfacenti risultati513,514. Duran- te la procedura, in genere dopo la puntura transettale, viene somministrata eparina e.v. in bolo seguita da boli successivi co- sì da mantenere il tempo di coagulazione attivato (activation clotting time, ACT) fra i 250 ed i 350 s, a seconda della strate- gia dei vari centri. Alla fine della procedura, prima di rimuove- re gli introduttori, è consigliabile la sospensione di eparina al raggiungimento di un ACT <200 s. Dopo alcune ore dalla ri- mozione viene ripresa l’infusione e.v. di eparina o iniziata la somministrazione sottocutanea di eparina a basso peso mole- colare. Nella giornata successiva, in assenza di complicanze emorragiche, viene ripresa la terapia orale con dicumarolici. La somministrazione di eparina verrà quindi sospesa al raggiungi- mento del valore terapeutico di INR. La TAO verrà poi prose- guita per 3-6 mesi o a lungo termine nei pazienti che hanno un CHADS2 score ≥23,145. Recenti evidenze, provenienti da uno stu- dio non randomizzato, suggeriscono di poter sospendere la te- rapia anticoagulante anche in pazienti con CHADS2 score ≥2 dopo un’ablazione efficace515. Tale pratica, però, prima di po- ter essere raccomandata, abbisogna di ulteriori conferme da studi randomizzati con un numero adeguato di pazienti. Sedazione La procedura di ablazione della FA comporta uno stress psico- fisico importante per il paziente che, peraltro, deve rimanere immobile per diverse ore sul tavolo operatorio. Inoltre varie fa- si della procedura possono comportare stimoli dolorifici inten- si o reazioni vaso-vagali, in particolare durante le erogazioni di radiofrequenza a livello della parete posteriore dell’atrio o a li- vello di zone ricche di fibre del sistema nervoso autonomo. Vie- ne pertanto indotto uno stato di sedazione più o meno pro- fonda a seconda delle preferenze del laboratorio e della dispo- nibilità di assistenza anestesiologica. In casi particolari, ad esem- pio pazienti obesi affetti da sindrome delle apnee notturne o pazienti con cardiopatia severa ad elevato rischio di sviluppare edema polmonare, oppure per scelta del centro, si preferisce eseguire la procedura in anestesia generale con ausilio di intu- bazione orotracheale. Modalità di valutazione dei risultati in acuto Oltre agli endpoint elettrofisiologici definiti in precedenza, al- cuni autori certificano il successo acuto anche mediante il ri- pristino del ritmo sinusale durante l’ablazione e la mancata in- ducibilità di FA alla fine della procedura516. Non esistono, però, dati univoci in letteratura circa l’utilità e il significato progno- stico di tale parametro517. In alcuni laboratori l’inducibilità è uti- lizzata per valutare se sia necessario associare all’isolamento puro delle vene polmonari l’effettuazione di lesioni lineari o la ricerca di foci extrapolmonari518. Modalità di valutazione dei risultati nel follow-up A tutt’oggi la valutazione dell’efficacia clinica a medio-lungo termine delle procedure di ablazione transcatetere per la cura della FA si basa in larga parte sulla presenza o meno durante il follow-up di sintomi (palpitazioni) riferiti dal paziente, spesso confermati dalla registrazione elettrocardiografica. Poiché la grande maggioranza dei pazienti che si sottopone all’ablazione transcatetere ha episodi sintomatici di FA, l’assenza di sintomi durante il follow-up è considerata da molti come indicatore di efficacia della procedura. Tuttavia, è noto che i pazienti con FA possono avere anche episodi asintomatici dell’aritmia, che sug- geriscono l’utilità e la necessità di un follow-up più attento nel monitoraggio delle recidive aritmiche85-92. A questo proposito possono essere usati, anche se attualmente non codificati, pro- tocolli che prevedano visite cardiologiche ambulatoriali periodi- che ravvicinate (es. 1, 3, 6, 12 mesi), l’impiego di sistemi di te- lecardiologia con trasmissione transtelefonica giornaliera e in presenza di sintomi di un ECG, l’esecuzione periodica ambula- toriale di ECG dinamico secondo Holter tradizionale per 24h o, se necessario, continuo per più giorni (Holter di lunga durata). In generale, aumentando la densità dei periodi di registra- zione elettrocardiografica si documenta un progressivo au- mento del numero di recidive e se ne definiscono con maggior precisione alcune importanti caratteristiche, come la durata e la 33G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 2011 LINEE GUIDA AIAC 2010 PER LA GESTIONE E IL TRATTAMENTO DELLA FA cessante, sono poco tollerate e scarsamente rispondenti alla te- rapia farmacologica574. Per prevenire l’insorgenza di queste arit- mie, molti autori hanno proposto di eseguire durante la proce- dura iniziale di ablazione, oltre alle lesioni circolari attorno allo sbocco delle vene polmonari, anche lesioni lineari a livello del- la parete dell’atrio sinistro (a livello dell’istmo mitralico, parete posteriore e tetto)484,511. La reale utilità di tali lesioni è comun- que ancora oggetto di controversia e, secondo l’opinione di al- cuni autori, possono di per sé favorire le tachiaritmie atriali post-ablazione invece di prevenirle (effetto proaritmico)568,572,574. Considerazioni conclusive Molte delle informazioni riguardanti i vari aspetti delle procedu- re di ablazione della FA derivano dall’esperienza di grandi centri ospedalieri-accademici, i cui risultati potrebbero non corrispon- dere a quelli di centri di minore esperienza. Attualmente riman- gono comunque ancora irrisolti parecchi quesiti, in particolare: l’efficacia a lungo termine (5-10 anni) delle tecniche ablative; l’impatto dell’ablazione sulle dimensioni e funzione dell’atrio; il beneficio relativo dell’ablazione nei pazienti con vari tipi di pa- tologia cardiaca e non cardiaca; la strategia ablativa ottimale per la FA persistente di lunga durata; la valutazione di sicurezza ed efficacia delle tecniche ablative di più recente introduzione (ul- trasuoni, laser). Oltre a questi, molti altri quesiti non hanno an- cora potuto avere una risposta dai dati attualmente disponibili e costituiscono uno stimolo per condurre studi clinici con disegni specifici, adeguati a fornire una risposta ai problemi irrisolti. Le raccomandazioni per il trattamento della FA mediante ablazione transcatetere sono riassunte nella Tabella 20. ABLAZIONE CHIRURGICA DELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE Il trattamento chirurgico della FA attraverso la creazione di “barriere elettriche” biatriali fino alla formazione di una sorta di labirinto (Maze), così come proposto da Cox et al. nel 1987, rappresenta l’applicazione in senso terapeutico dei concetti svi- luppati fino allora riguardo ai meccanismi elettrofisiologici alla base di questa aritmia6,575,576. Anche grazie ai lusinghieri risul- tati ottenuti, questo approccio terapeutico ha indicato una di- rezione che ha profondamente ispirato la nascita e l’evoluzio- ne dell’ablazione transcatetere della FA. La tecnica di Cox-Maze è stata quindi ottimizzata dallo stes- so gruppo nel numero e tipo di lesioni atriali fino alla Cox-Ma- ze III del 1992 che è considerata il gold standard del tratta- mento chirurgico della FA con una percentuale di conversione a ritmo sinusale del 97-99%577-579 e di prevenzione di recidive aritmiche, in follow-up prolungati, >90%580-583. Nonostante la dimostrata efficacia, la Cox-Maze non ha però trovato una pro- porzionale diffusione nella pratica chirurgica a causa della com- plessità e delle difficoltà tecniche nell’esecuzione, restando di pertinenza di pochi centri esperti. Nel tentativo di semplificare la procedura, anche grazie allo sviluppo di nuove tecnologie, si è cercato di sostituire le classiche incisioni “taglia e cuci” della Cox-Maze con linee di ablazione utilizzando una varietà di sor- genti di energia quali radiofrequenza, crioablazione, ultrasuo- ni, laser e microonde584-586. Ognuna di queste energie ha di- mostrato vantaggi e limitazioni anche in virtù della modalità d’erogazione, unipolare o bipolare, che può condizionare il rag- giungimento dell’obiettivo principale, cioè la possibilità di crea- re una lesione “transmurale”. Parallelamente l’evoluzione ver- so un approccio chirurgico “mini-invasivo” ha condizionato in molte esperienze l’esecuzione dell’originario schema di linee della Cox-Maze a favore di un numero ridotto di linee di abla- zione o del solo isolamento elettrico delle vene polmonari. Que- sta eterogeneità nel tipo di intervento effettuato (e spesso an- che delle popolazioni arruolate) rende non sempre univoca l’in- terpretazione dei risultati degli studi che hanno valutato l’effi- cacia della terapia chirurgica della FA. Ablazione chirurgica della fibrillazione atriale associata ad intervento cardiochirurgico L’ablazione chirurgica della FA viene solitamente effettuata in concomitanza con procedure cardiochirurgiche ed in partico- G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 201136 A RAVIELE ET AL Tabella 20. Raccomandazioni per il trattamento della fibrillazione atriale (FA) mediante ablazione transcatetere (raccomandazioni ricavate dai da- ti di centri ad alto volume di procedure). Classe di Livello di raccomandazione evidenza • FA parossistica/persistente, senza cardiopatia o con cardiopatia lieve, sintomatica I A (con compromissione significativa della qualità di vita), refrattaria ad almeno un farmaco antiaritmico, quando la strategia clinica preferibile sia il mantenimento del ritmo sinusale stabile • FA persistente di lunga durata, senza cardiopatia o con cardiopatia lieve, sintomatica IIa C (con compromissione significativa della qualità di vita), refrattaria ad almeno un farmaco antiaritmico, quando la strategia clinica preferibile sia il mantenimento del ritmo sinusale stabile • FA parossistica/persistente con cardiopatia organica, sintomatica (con compromissione significativa IIa C della qualità di vita), refrattaria ad almeno un farmaco antiaritmico, quando la strategia clinica preferibile sia il mantenimento del ritmo sinusale stabile • FA parossistica/persistente o persistente di lunga durata, quando la comparsa e la persistenza IIa B dell’aritmia comportano un significativo peggioramento della funzione di pompa del cuore, nonostante adeguata terapia farmacologica antiaritmica e per l’insufficienza cardiaca • FA persistente di lunga durata, con cardiopatia organica, sintomatica (con compromissione IIb C significativa della qualità di vita), refrattaria ad almeno un farmaco antiaritmico, quando la strategia clinica preferibile sia il mantenimento del ritmo sinusale stabile • Pazienti che opportunamente resi edotti dei vantaggi e rischi delle diverse opzioni terapeutiche IIb C scelgono la terapia ablativa per motivi psicologici o professionali lare con interventi di sostituzione/riparazione valvolare (gene- ralmente mitralica)582. A favore di questo approccio vi è il fatto che la FA è un fattore di rischio indipendente di mortalità do- po intervento cardiochirurgico587-591, anche se finora non è sta- to ancora dimostrato con sicurezza che l’aggiunta della Cox- Maze è in grado effettivamente di migliorare la sopravvivenza nei pazienti operati592,593. Al contrario, l’effetto della Cox-Ma- ze sul controllo delle recidive sintomatiche di FA sembra certo, con percentuali di successo fino oltre il 90% ad 1 anno594-599. In- teressante è anche il fatto che il risultato clinico non appare es- sere criticamente correlato al tipo e alla metodologia operato- ria impiegata, ad esempio all’uso di fonti di energia per abla- zione rispetto alla tecnica originale “taglia e cuci”584,600,601. Va comunque detto che lesioni estese negli atri in genere com- portano una percentuale di mantenimento del ritmo sinusale più alta nel corso del follow-up rispetto al solo isolamento del- le vene polmonari602. Nonostante la complessità, l’aggiunta del- la Cox-Maze non incrementa la mortalità e la morbilità opera- toria581,603. In particolare, la procedura di Cox-Maze classica, an- che quando combinata ad intervento di sostituzione valvolare con protesi meccanica, si associa nel corso del follow-up ad una bassa incidenza di eventi ischemici cerebrali (<1% a 10 anni). Non è noto, però, se questo effetto sia ascrivibile solo al man- tenimento della contrazione atriale o anche alla associata chiu- sura/rimozione dell’auricola sinistra580,581,604,605. Procedure chirurgiche “stand-alone” per il trattamento della fibrillazione atriale La procedura di Cox-Maze è stata proposta fin dagli esordi an- che in soggetti con FA ma senza indicazione ad intervento car- diochirurgico per altri motivi (chirurgia stand-alone per la FA), Anche in questa situazione la procedura avrebbe un’elevata ef- ficacia circa il mantenimento del ritmo sinusale nel corso del follow-up (92% di soggetti asintomatici a 14 anni di cui 80% senza farmaci antiaritmici e/o anticoagulanti)606. L’avvento del- le tecniche di chirurgia mini-invasiva e la disponibilità di speci- fici dispositivi tecnologici per l’ablazione hanno riportato inte- resse per questo approccio terapeutico607-610. Non sono però al momento disponibili risultati solidi in popolazioni ampie né da- ti di confronto con l’ablazione transcatetere. Conclusioni In conclusione possiamo dire che l’ablazione chirurgica della FA è praticata con risultati positivi da oltre 20 anni, nel corso dei quali essa è andata incontro a una progressiva evoluzione verso una minore invasività, anche se sono stati sostanzial- mente mantenuti i principi che hanno ispirato l’originaria pro- cedura di Maze, così come proposta da Cox. La dimostrazio- ne dell’effettiva efficacia e sicurezza dell’ablazione chirurgica della FA è stata riportata in numerosi studi, soprattutto retro- spettivi, che hanno esaminato la Cox-Maze combinata a in- tervento cardiochirurgico per altri motivi (per lo più di sostitu- zione/riparazione valvolare). L’ablazione chirurgica della FA non associata ad intervento cardiochirurgico per altri motivi (co- siddetto stand-alone) è, invece, meno supportata da evidenza scientifica. In base a queste conclusioni si possono proporre come rac- comandazioni all’ablazione chirurgica della FA quelle riassunte nella Tabella 21. CONTROLLO DELLA FREQUENZA VENTRICOLARE Il controllo della frequenza ventricolare, al pari della profilassi delle recidive di FA, include misure farmacologiche e non far- macologiche. Le misure farmacologiche comprendono farmaci che, deprimendo la conduzione AV, riducono il numero di im- pulsi che in corso di FA vengono trasmessi dagli atri ai ventrico- li. Le misure non farmacologiche, invece, comprendono l’abla- zione della giunzione AV associata alla stimolazione ventricola- re destra o biventricolare (cosiddetta terapia di ablate and pace). CONTROLLO DELLA FREQUENZA VENTRICOLARE MEDIANTE FARMACI Razionale La risposta ventricolare durante FA dipende dalle caratteristi- che elettrofisiologiche del sistema di conduzione e dal tono neurovegetativo. Pertanto, farmaci in grado di influenzare tali parametri possono risultare utili al fine di ridurre i sintomi pro- dotti dall’elevata ed irregolare frequenza cardiaca, principal- mente rappresentati da palpitazioni, astenia e ridotta capacità di esercizio. Più raramente, soprattutto in presenza di vie ac- cessorie della conduzione AV dotate di elevate capacità con- duttive, l’elevata risposta ventricolare può determinare presin- cope e/o sincope. Inoltre, in soggetti predisposti, essa può es- sere responsabile di una disfunzione ventricolare sinistra di gra- do più o meno severo nota con il nome di “tachicardiomiopa- tia”611-614. La modalità di somministrazione dei farmaci ad ef- fetto dromotropo negativo è solitamente orale, tranne nei ca- si in cui la somministrazione e.v. si ritiene più opportuna al fi- ne di ottenere l’effetto terapeutico in un tempo più breve. Il controllo della risposta ventricolare dovrebbe essere per- seguito nelle forme parossistiche/persistenti (in attesa dell’ar- resto spontaneo e/o della cardioversione farmacologica o elet- trica) e, soprattutto, nei pazienti con FA permanente. Obiettivo Ad oggi non è dato di sapere quale sia la frequenza cardiaca ot- timale che dovrebbe essere ottenuta nei pazienti in FA sulla ba- 37G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 2011 LINEE GUIDA AIAC 2010 PER LA GESTIONE E IL TRATTAMENTO DELLA FA Tabella 21. Raccomandazioni per l’ablazione chirurgica della fibrillazione atriale (FA). Classe di Livello di raccomandazione evidenza • Pazienti con FA sintomatica, sottoposti a concomitante intervento cardiochirurgico I A (sia di sostituzione/riparazione valvolare che di rivascolarizzazione miocardica) • Pazienti con FA sintomatica refrattaria alla terapia medica e/o all’ablazione transcatetere IIb B o in cui l’ablazione transcatetere non può essere eseguita e che non hanno indicazioni concomitanti per intervento cardiochirurgico se dei dati della letteratura scientifica. Studi emodinamici sug- geriscono che la frequenza ventricolare durante FA dovrebbe essere di poco superiore a quella in ritmo sinusale, al fine di compensare la perdita del contributo atriale. Generalmente si ritiene che un obiettivo ragionevole sia quello di mantenere una frequenza ventricolare compresa tra 60 e 90 b/min a riposo e tra 110 e 130 b/min durante esercizio fisico moderato104. Va, comunque, detto che, in un recente studio randomizzato (RACE II), una strategia mite di riduzione della frequenza ven- tricolare (frequenza a riposo <110 b/min) non è apparsa infe- riore ad una strategia aggressiva (frequenza a riposo <80 b/min e durante esercizio moderato <110 b/min), per quanto riguar- da un endpoint composito costituito da mortalità cardiovasco- lare, ospedalizzazione per scompenso cardiaco o ictus, embo- lie sistemiche, emorragie ed eventi aritmici minacciosi per la vi- ta615. In ogni caso, il raggiungimento della frequenza target do- vrebbe essere controllato periodicamente mediante registra- zioni Holter di 24h, test ergometrico submassimale o test del- la camminata di 6 min. Controlli aggiuntivi dovrebbero essere eseguiti in caso di sintomi riferiti dal paziente, possibilmente correlati ad un inadeguato controllo della risposta ventricolare. Qualora ciò fosse vero, è opportuno modificare la posologia e/o il tipo di farmaco somministrato. Infine, nei casi in cui non sia possibile ottenere un adeguato controllo della risposta ven- tricolare con i farmaci, dovrebbero essere considerati l’ablazio- ne transcatetere della giunzione AV e l’impianto di un pace- maker (Figura 1). Efficacia Sebbene un efficace controllo della risposta ventricolare con i farmaci possa essere ottenuto nel 64-80% dei pazienti104,616, il beneficio clinico è tuttora controverso. Alcuni studi, infatti, han- no dimostrato una significativa riduzione delle palpitazioni617 o, in maniera aneddotica, una regressione della disfunzione ventricolare sinistra indotta dall’aritmia611,613,614. Al contrario, nei grandi trial randomizzati e controllati, nessun beneficio si- gnificativo in termini di miglioramento della qualità di vita e/o di tolleranza all’esercizio è stato dimostrato a fronte di un otti- male controllo della risposta ventricolare104,615,618. Il mancato ef- fetto sulla capacità di esercizio potrebbe essere spiegato dalla perdita del contributo atriale non compensato dall’aumento della frequenza cardiaca, nonché dal detrimento emodinamico provocato dall’irregolarità degli intervalli RR. Farmaci utilizzabili per il controllo della risposta ventricolare Digitale La digitale riduce la frequenza cardiaca in maniera significati- vamente maggiore rispetto al placebo; tale effetto è ottenuto attraverso un’azione sul tono vagale e, per questo motivo, es- sa non è in grado di influenzare la risposta ventricolare duran- te esercizio fisico. La riduzione media della frequenza cardiaca a riposo è del 10-20%619,620. Studi clinici hanno dimostrato l’inefficacia del farmaco nel controllo della frequenza ventrico- lare in soggetti con FA parossistica621,622, così come nell’au- mentare la tolleranza allo sforzo623,624. Al contrario, in virtù del- la sua azione inotropa positiva, la digitale è il farmaco di prima scelta per il controllo della risposta ventricolare in soggetti con insufficienza cardiaca. Se somministrata per via e.v., l’azione rallentante della digitale si manifesta dopo circa 60 min e rag- giunge il picco dopo circa 6h. Calcioantagonisti non diidropiridinici Verapamil (160-240 mg/die) e diltiazem (120-240 mg/die) han- no una simile efficacia nel controllo della risposta ventricolare e dei sintomi. Il loro effetto è paragonabile alla digitale a ripo- so, ma superiore durante esercizio fisico625-630. In particolare, il verapamil riduce la frequenza di 8-23 b/min a riposo e di 20-34 b/min durante sforzo620. Questi effetti benefici si traducono in una migliore tolleranza all’esercizio fisico630,631. Se usati per via e.v., la durata d’azione è relativamente breve e una sommini- strazione continua potrebbe essere necessaria per prolungare l’effetto sulla frequenza di risposta ventricolare. A causa del lo- ro effetto inotropo negativo, questi farmaci dovrebbero essere usati con estrema cautela o evitati in soggetti con disfunzione ventricolare sinistra sistolica. Al contrario, potrebbero essere preferiti ai betabloccanti nei pazienti con asma bronchiale o broncopneumopatie ostruttive. Betabloccanti Come i calcioantagonisti, anche i betabloccanti (alle posologie terapeutiche comunemente impiegate per le diverse molecole) producono un rallentamento della risposta ventricolare para- gonabile a quello della digitale a riposo, ma superiore durante esercizio fisico626. Tuttavia, a causa del loro effetto inotropo ne- gativo, possono talora ridurre la tolleranza allo sforzo632,633. Ta- le effetto non è presente con tutti gli agenti; infatti, il labeta- lolo, grazie alla sua azione combinata alfa- e betabloccante, ha determinato in uno studio un aumento del 13% della tolle- ranza allo sforzo634. In maniera simile, la capacità di esercizio non viene modificata dal sotalolo per effetto del prolunga- mento della durata della fase di ripolarizzazione del potenzia- le d’azione e della vasodilatazione indotta635. Nei pazienti con insufficienza cardiaca, i betabloccanti devono essere preferiti ai calcioantagonisti per il loro effetto favorevole sui sintomi dello scompenso e sulla sopravvivenza. Tuttavia, la dose sommini- strata deve essere opportunamente graduata al fine di evitare di precipitare episodi di insufficienza ventricolare sinistra pro- vocati dall’effetto inotropo negativo. Amiodarone A causa dell’effetto calcioantagonista ed antiadrenergico non selettivo, l’amiodarone rallenta la conduzione a livello del no- do AV favorendo quindi il controllo della risposta ventricolare durante FA. Sebbene sia stato studiato prevalentemente per la sua azione antiaritmica ai fini del ripristino/mantenimento del ritmo sinusale, in uno studio clinico l’amiodarone si è dimo- strato in grado di ridurre del 25% la frequenza cardiaca a ri- poso636. Tuttavia, a causa degli importanti effetti indesiderati, questo farmaco deve essere considerato di seconda scelta e uti- lizzato, a questo proposito, solo quando altri presidi si siano di- mostrati inefficaci o non tollerati. Dronedarone Il dronedarone è un recente derivato dell’amiodarone che, co- me il capostipite, ha effetto su più canali ionici (potassio, sodio e calcio) ed esercita un’azione antiadrenergica non competiti- va. In virtù di tutto ciò, il dronedarone è in grado di rallentare la risposta ventricolare durante FA. In uno studio multicentri- co, randomizzato e in doppio cieco, condotto in 174 pazienti con FA permanente, il dronedarone alla dose di 800 mg/die (in 2 somministrazioni) si è dimostrato in grado di ridurre signifi- cativamente la frequenza ventricolare media all’Holter di 24h eseguito a 2 settimane (-11 vs +0.7 b/min nel gruppo placebo) G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 201138 A RAVIELE ET AL Ablazione del giunto atrioventricolare e terapia di resincronizzazione cardiaca Occorre considerare due situazioni cliniche: TRC in pazienti can- didati ad ablazione del giunto AV ed ablazione del giunto AV in pazienti candidati a TRC. Terapia di resincronizzazione cardiaca in pazienti candidati ad ablazione del giunto atrioventricolare In pazienti che necessitino di controllo della risposta ventrico- lare mediante ablazione del giunto AV (vedi sezione preceden- te), l’aggiunta di TRC (upstream) è giustificata dal fatto che i be- nefici emodinamici derivanti dalla regolarizzazione del ritmo cardiaco possono essere parzialmente contrastati dagli effetti avversi della stimolazione non fisiologica del ventricolo de- stro655,669. Infatti, durante stimolazione del ventricolo destro, la sequenza di attivazione ventricolare assomiglia a quella del blocco di branca sinistra, cioè il ventricolo destro è attivato pri- ma del ventricolo sinistro (“dissincronia interventricolare”) e il setto interventricolare prima della parete libera del ventricolo si- nistro (“dissincronia intraventricolare”). Si è visto che la stimo- lazione del ventricolo destro induce dissincronia del ventricolo sinistro sia in studi in acuto670 che in cronico671 in circa il 50% dei casi. Alcuni piccoli studi659,672, inoltre, suggeriscono che il pacing biventricolare può esercitare un effetto emodinamico benefico additivo a quello della regolarizzazione del ritmo ven- tricolare ottenuta mediante ablazione del giunto AV. In sintesi, nei suddetti studi si osservò che l’ablazione del giunto AV as- sociata al pacing del ventricolo destro fu in grado di aumenta- re la frazione di eiezione e di ridurre l’entità del rigurgito mi- tralico ma che il pacing biventricolare raddoppiò tali effetti. Tre studi randomizzati653,673,674, per un totale di 347 pazien- ti, confrontarono i risultati clinici a breve termine della stimola- zione biventricolare con quello della stimolazione del ventricolo destro. Individualmente questi trial non furono in grado di di- mostrare un miglioramento statisticamente significativo riguar- do a sopravvivenza, ictus, ricoveri o riduzione dei costi. Il pacing biventricolare causò miglioramento significativo della frazione di eiezione e della capacità di sforzo in due studi. D’altra parte, l’upgrading a pacing biventricolare in quei pazienti che svilup- parono scompenso cardiaco mesi o anni dopo ablazione del giunto AV e pacing del ventricolo destro risultò in un grande be- neficio clinico in studi osservazionali non controllati675,676. Per esempio, Leon et al.675 aggiunsero la stimolazione biventricolare a 20 pazienti che erano diventati gravemente sintomatici 17 me- si dopo l’ablazione del giunto AV ottenendo un miglioramento della classe NYHA del 29%, del punteggio del Minnesota Living with Heart Failure Questionnaire del 33% ed una riduzione dei ricoveri dell’81%. Risultati simili furono ottenuti da Valls-Bertault et al.676. In conclusione, i dati a disposizione non permettono nessuna conclusione definitiva e sono necessari i risultati di trial clinici di maggiori dimensioni con lungo follow-up. Ablazione del giunto atrioventricolare in pazienti candidati a terapia di resincronizzazione cardiaca Nei pazienti con scompenso cardiaco che hanno indicazione a TRC, la regolarizzazione del ritmo ventricolare mediante abla- zione del giunto AV permette di ottimizzare la stimolazione bi- ventricolare. I grandi trial sulla TRC non hanno incluso i pazienti con FA. Una possibile spiegazione deriva dal fatto che la FA riduce po- tenzialmente i vantaggi offerti dalla TRC. Anzitutto viene per- sa la possibilità di una resincronizzazione AV e quindi i benefi- ci che possono derivare dall’allungamento della fase di riempi- mento diastolico, potendo quindi essere solo corretta la dissin- cronia intra- ed interventricolare. In secondo luogo, l’efficacia della TRC può essere compromessa dalla presenza di un’eleva- ta frequenza cardiaca intrinseca che rende incompleta la sti- molazione biventricolare. In un piccolo studio con controllo Hol- ter677 soltanto il 47% dei pazienti ebbe stimolazione biventri- colare completa in >90% dei battiti, avendo gli altri pazienti battiti di fusione (16% dei battiti) e pseudo-fusione (24% dei battiti); i pazienti con cattura completa risposero clinicamente meglio alla TRC (responder 86 vs 67%, p=0.03). L’ablazione del nodo AV è la migliore soluzione per permettere un com- pleto controllo della frequenza cardiaca e, nello stesso tempo, per ottenere un ritmo ventricolare regolare. Inoltre, tale proce- dura offre il vantaggio, ancora più rilevante, di garantire un’ef- fettiva TRC mediante una stimolazione biventricolare costante. Gasparini et al.678 hanno confrontato l’efficacia della sti- molazione biventricolare in 48 pazienti con FA permanente non sottoposti ad ablazione del giunto AV perché la frequen- za ventricolare era apparentemente ben controllata dai farmaci 41G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 2011 LINEE GUIDA AIAC 2010 PER LA GESTIONE E IL TRATTAMENTO DELLA FA Tabella 24. Raccomandazioni per il controllo della risposta ventricolare mediante ablazione del giunto atrioventricolare ed elettrostimolazione dal- l’apice del ventricolo destro. Classe di Livello di raccomandazione evidenza • Pazienti anziani con FA parossistica/persistente o FA permanente refrattaria alla terapia I A farmacologica, responsabile di sintomi severi (con compromissione significativa della qualità di vita), quando la strategia clinica preferibile sia il controllo della frequenza • Pazienti anziani affetti da malattia del nodo del seno tipo tachicardia-bradicardia, I C già portatori di pacemaker con episodi sintomatici frequenti di FA ad alta frequenza ventricolare, non sensibile a trattamento farmacologico • Pazienti anziani con FA parossistica/persistente o FA permanente responsabile IIa B di tachicardiomiopatia, quando la strategia clinica preferibile sia il controllo della frequenza • Pazienti anziani affetti da malattia del nodo del seno tipo tachicardia-bradicardia, con indicazione IIb C all’impianto di pacemaker ed episodi sintomatici frequenti di FA ad alta frequenza ventricolare, non sensibile a trattamento farmacologico, quando la strategia clinica preferibile sia il controllo della frequenza FA, fibrillazione atriale. (>85% dei battiti erano stimolati in modo biventricolare) con 114 pazienti che avevano, invece, eseguito stimolazione bi- ventricolare dopo ablazione del giunto AV. Durante i 4 anni successivi di follow-up, miglioramento della frazione di eiezio- ne, rimodellamento inverso ed aumento della capacità di sfor- zo furono osservati solo nei pazienti sottoposti ad ablazione. Il miglioramento osservato fu di entità simile a quello osserva- to nei pazienti in ritmo sinusale. Analogamente, nello studio di Ferreira et al.679 la percentuale di pazienti responder (52%) era significativamente minore nei pazienti con FA non sottoposti ad ablazione del giunto AV che nei pazienti sottoposti ad abla- zione (85%) o a quelli in ritmo sinusale (79%). In effetti Koplan et al.680 hanno dimostrato che l’efficacia clinica della TRC è proporzionale alla percentuale di stimolazione biventricolare raggiunta. I pazienti che avevano dal 93% al 100% dei loro battiti stimolati in biventricolare ebbero una riduzione del 44% del rischio di eventi nel follow-up in confronto ai pazienti che avevano dallo 0% al 92% di stimolazione biventricolare (p<0.001). I pazienti con storia di tachiaritmia avevano mag- giori probabilità di avere <92% dei battiti stimolati in biventri- colare. Non mancano, tuttavia, studi in cui gli effetti favorevoli del- la TRC sono emersi anche in assenza dell’ablazione del giunto AV. Alcuni autori681,682 hanno riportato analoghi risultati in ter- mini di mortalità e capacità funzionale nei pazienti con FA ri- spetto a quelli in ritmo sinusale non sottoposti ad ablazione del giunto AV. In uno studio multicentrico683 non vi erano diffe- renze in termini di capacità funzionale e rimodellamento ven- tricolare tra i pazienti sottoposti e quelli non sottoposti ad abla- zione del giunto AV durante TRC. In conclusione, pur in assenza di studi controllati conclusi- vi, i presupposti della fisiopatologia e i risultati clinici suggeri- scono che l’ablazione del giunto AV è utile per ottenere buoni risultati clinici in tutti i casi in cui la frequenza intrinseca impe- disce la stimolazione biventricolare costante. Le raccomandazioni per il controllo della risposta ventrico- lare mediante ablazione del giunto AV e TRC sono riassunte nella Tabella 25. TERAPIA FARMACOLOGICA ANTITROMBOTICA PER LA PREVENZIONE DELLE TROMBOEMBOLIE Il rischio tromboembolico nella fibrillazione atriale La FA comporta un aumento del rischio di morte di 1.5 -1.9 vol- te, prevalentemente a seguito di fenomeni tromboembolici si- stemici e indipendentemente da concomitanti malattie cardio- vascolari103. In oltre il 70% dei casi gli emboli, a partenza da trombosi dell’atrio sinistro o dell’auricola sinistra, interessano la circolazione cerebrale, dando luogo a ictus di solito estesi, gra- vati da un’elevata mortalità in fase acuta e con esiti spesso in- validanti684. Il rischio di ictus non è tuttavia uniforme, variando ampiamente dallo 0.4% al 12% per anno, a seconda del con- testo clinico e del profilo di rischio del paziente. Pertanto è im- portante una corretta valutazione del profilo di rischio trombo- embolico dei pazienti con FA ai fini delle scelte terapeutiche. Stratificazione del rischio tromboembolico Un’accurata stratificazione del rischio tromboembolico costitui- sce il primo step per la scelta della terapia antitrombotica nel sin- golo paziente, limitando la terapia anticoagulante ai soggetti a rischio elevato. Può essere realizzata sulla base di fattori di ri- schio clinici ed ecocardiografici, identificati in numerosi studi che hanno arruolato pazienti affetti da FA non valvolare684-686. Attualmente per la stima del rischio tromboembolico ven- gono applicati diversi sistemi a punteggio, tra cui l’AFI, lo SPAF, il CHADS2 (Tabella 26) e il Framingham risk score, elaborati sul- l’esperienza di grandi trial e ampi registri684,687,688. I fattori clini- ci indipendenti di rischio tromboembolico maggiormente rico- nosciuti e comuni a tutti i suddetti sistemi a punteggio sono: età, ipertensione arteriosa, diabete mellito, scompenso cardia- co, disfunzione ventricolare sinistra, valvulopatia mitralica reu- matica, protesi valvolari, pregresso ictus/TIA. Tali fattori, distin- ti in maggiori e minori, vengono sommati e in relazione al pun- teggio ottenuto viene raccomandata la TAO o quella antiag- gregante piastrinica. Recentemente il Working Group dello Stroke Risk in Atrial Fibrillation ha confrontato 12 schemi per la stratificazione del rischio tromboembolico pubblicati in letteratura dal 1995 al 2006. La percentuale di soggetti ad alto rischio di ictus è risul- tata variare dal 20% all’80% con conseguenti notevoli riper- cussioni cliniche689. Si evince pertanto che la stratificazione del rischio tromboembolico non sia standardizzata e necessiti di ul- teriori approfondimenti. Una spiegazione potrebbe derivare dal fatto che tra i fattori di rischio considerati nei sistemi a pun- teggio, solo alcuni sono stati validati come predittori indipen- denti di ictus (età avanzata, ipertensione arteriosa, diabete mel- lito e precedenti eventi tromboembolici)690. Recentemente sono stati pubblicati in letteratura alcuni la- vori che hanno evidenziato una correlazione statisticamente si- gnificativa tra il rischio tromboembolico e la durata degli episodi G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 201142 A RAVIELE ET AL Tabella 25. Raccomandazioni per il controllo della risposta ventricolare mediante ablazione del giunto atrioventricolare e terapia di resincroniz- zazione cardiaca. Classe di Livello di raccomandazione evidenza • In pazienti anziani con FA parossistica/persistente/permanente refrattaria alla terapia farmacologica, IIa B responsabile di sintomi severi (con compromissione significativa della qualità di vita) e disfunzione ventricolare sinistra, in cui vi sia indicazione a regolarizzazione della frequenza cardiaca mediante ablazione del giunto AV, la TRC può essere indicata per prevenire la dissincronia ventricolare causata dalla stimolazione dall’apice del ventricolo destro • In pazienti con scompenso cardiaco refrattario, in cui vi sia indicazione a TRC con o senza aggiunta IIa B di defibrillatore, l’ablazione del giunto AV è indicata quando il ritmo intrinseco, nonostante terapia ottimizzata, impedisce una stimolazione biventricolare costante AV, atrioventricolare; FA, fibrillazione atriale; TRC, terapia di resincronizzazione cardiaca. della FA, essendo il rischio 3 volte maggiore in caso di FA di du- rata >12h84. Inoltre è stata documentata un’accuratezza maggiore nel- la stratificazione del rischio tromboembolico correlando il CHADS2 risk score con la ricorrenza e la durata della FA93. In particolare con il monitoraggio quotidiano mediante ECG Hol- ter, è stato rilevato che l’assenza di episodi ricorrenti di FA in concomitanza di un CHADS2 risk score ≤2 o la presenza di pa- rossismi di FA della durata di 5 min in associazione ad un CHADS2 risk score ≤1 è garante di una bassissima incidenza di fenomeni tromboembolici, rispetto a episodi di FA della dura- ta di più di 24h unitamente ad un CHADS2 risk score =0 (0.8 vs 5%). Da questo lavoro deriverebbe quindi la rilevante ripercus- sione clinica di non candidare alla TAO i pazienti a basso rischio tromboembolico, non esponendoli in tal modo al rischio di eventi emorragici. Inoltre recentemente è stato pubblicato in letteratura il CHA2DS2-VASc score, elaborazione del CHADS2 risk score, che stratifica in maniera più accurata i pazienti a rischio trombo- embolico intermedio-basso, che peraltro costituiscono la mag- gioranza (circa il 60%) dei soggetti affetti da FA non valvola- re116. Con l’aggiunta nel sistema a punteggio di altri fattori cli- nici di rischio tromboembolico (precedentemente chiamati mi- nori), quali età compresa tra 65 e 74 anni, precedenti vascola- ri anamnestici e sesso femminile (Tabella 27), un numero con- sistentemente maggiore di pazienti (circa il 75% vs il 10% ri- portato in altri algoritmi) risulta avere uno score di rischio trom- boembolico elevato (≥2) ed è quindi da candidare alla TAO. Al contrario i pazienti effettivamente a basso rischio tromboem- bolico costituiscono soltanto circa il 9%. Le più recenti linee guida europee ed americane della FA2,684 raccomandano la terapia anticoagulante con warfarin nei sog- getti con un fattore di rischio elevato (precedente ic- tus/TIA/embolia sistemica, stenosi mitralica, protesi valvolare) o con almeno due fattori di rischio moderato (età ≥75 anni, iper- tensione arteriosa, scompenso cardiaco, diabete mellito, fra- 43G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 2011 LINEE GUIDA AIAC 2010 PER LA GESTIONE E IL TRATTAMENTO DELLA FA Tabella 26. CHADS2 risk score. Fattori di rischio tromboembolico Punteggio C Scompenso cardiaco 1 H Ipertensione arteriosa sistemica 1 A Età ≥75 anni 1 D Diabete mellito 1 S2 Precedente ictus/attacco ischemico transitorio 2 CHADS2 Rischio di ictus CHADS2 TAO raccomandata risk score annuo (%) livello di rischio 0 1.9 Basso No 1 2.8 Moderato Sì, in alternativa ad aspirina 2 4.0 Moderato/alto Sì 3 5.9 Alto Sì 4 8.5 Alto Sì 5 12.5 Alto Sì 6 18.2 Alto Sì TAO, terapia anticoagulante orale. Tabella 27. CHA2DS2-VASc risk score. Fattori di rischio tromboembolico Punteggio Punteggio Rischio di ictus annuo attribuito a CHA2DS2-VASc rapportato al punteggio singolo fattore complessivo complessivo 0 0% C Scompenso cardiaco congestizio/disfunzione 1 1 1.3% ventricolare sinistra (≤40%) H Ipertensione 1 2 2.2% A2 Età ≥75 anni 2 3 3.2% D Diabete mellito 1 4 4.0% S2 Ictus/TIA/tromboembolismo 2 5 6.7% V Malattia vascolare – coronaropatia, pregresso infarto miocardico, 1 6 9.8% arteriopatia periferica, placca aortica A Età 65-74 anni 1 7 9.6% Sc Sesso femminile 1 8 6.7% 9 15.2% TIA, attacco ischemico transitorio. Il punteggio può variare da un minimo di 0, in assenza di fattori di rischio tromboembolico, ad un massimo di 9, in presenza di tutti i fattori di rischio tromboembolico. Un punteggio ≥2 configura un rischio alto, un punteggio = 1 un rischio intermedio ed un punteggio = 0 un rischio basso. CVE effettuata in assenza di TAO, e dello 0.8% nei casi di ri- pristino del ritmo sinusale in TAO250,684. È pertanto attualmen- te raccomandato l’utilizzo della TAO dose-adjusted (range INR 2-3) prima della CVE in considerazione del fatto che nella mag- gior parte dei casi i trombi atriali si formano ed embolizzano nelle prime 72h dalla procedura. Questo fenomeno è stato con- fermato con l’applicazione dell’ecocardiografia transesofagea, che ha dimostrato come la somministrazione della TAO per al- meno 3 settimane prima della CVE possa facilitare la risoluzio- ne del trombo endocavitario o comunque ne possa favorire l’adesione-organizzazione sulle pareti atriali684. Inoltre gli stes- si studi osservazionali hanno dimostrato che anche il periodo immediatamente successivo alla CVE (4 settimane) è a rischio per la formazione di trombi atriali, in seguito alla disfunzione contrattile atriale722,723. Pertanto si raccomanda di proseguire dopo il ripristino del ritmo sinusale la TAO per almeno 1 mese, da continuare indefinitamente in caso di elevato profilo di ri- schio tromboembolico (CHADS2 risk score ≥2), anche in consi- derazione delle frequenti recidive asintomatiche della FA. Quando la FA data più di 48h dall’insorgenza, in alternativa ad un’adeguata profilassi tromboembolica con la TAO per la du- rata di 3 settimane, può essere attuata una strategia eco-guida- ta. Infatti mediante l’esecuzione di un ecocardiogramma transe- sofageo, escludendo formazioni trombotiche endocavitarie o ele- menti pretrombotici in atrio e in auricola sinistra, si può proce- dere a CVE in associazione ad infusione di eparina non frazionata con un tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT) target di 60 s (range 50-70 s). Lo studio randomizzato ACUTE, confron- tando queste due strategie, non ha rilevato alcuna differenza724. Nel caso in cui l’ecocardiogramma transesofageo sia positivo per fenomeni trombotici, la cardioversione deve essere procrastina- ta e la TAO continuata a tempo indeterminato. Prima di un ulte- riore tentativo di ripristino del ritmo sinusale, deve comunque essere ripetuto un controllo ecocardiografico transesofageo. Nei casi in cui la FA sia insorta da meno di 48h, l’atteggia- mento abituale è rappresentato dall’immediata CVE senza ef- fettuare preliminarmente un esame ecocardiografico transeso- fageo o un periodo prolungato di TAO periprocedurale684. Tut- tavia, dal momento che alcuni studi hanno segnalato la possi- bilità di formazione di trombi in soggetti con FA insorta da me- no di 48h (13% dei casi) e in considerazione del fatto che sia durante la CVE che nel periodo immediatamente successivo si possono formare trombi atriali, solitamente la CVE viene effet- tuata contemporaneamente all’infusione di eparina non fra- zionata (target aPTT di 60 s, range 50-70 s) o alla sommini- strazione sottocute di eparina a basso peso molecolare a dosi piene684,725. L’ecocardiografia transesofagea viene riservata sol- tanto ai pazienti ad elevato rischio di trombosi atriale (es. an- ziani o con precedenti episodi di FA). Per la cardioversione del flutter atriale valgono sostanzial- mente le stesse regole di profilassi tromboembolica della FA (Ta- bella 30). G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 201146 A RAVIELE ET AL Tabella 29. Raccomandazioni per la terapia antitrombotica. Terapia antitrombotica raccomandata Classe di raccomandazione e livello di evidenza FA con CHADS2 o CHA2DS2-VASc risk score 0 Terapia antiaggregante: Aspirina 81-325 mg/die I B oppure Nussuna terapia I B FA con CHADS2 o CHA2DS2-VASc risk score 1 Terapia anticoagulante orale: Dicumarolici (INR 2-3) I B Dabigatran IIa B oppure Terapia antiaggregante: Aspirina 81-325 mg/die I B FA con CHADS2 o CHA2DS2-VASc risk score ≥2 Terapia anticoagulante orale: Dicumarolici (INR 2-3) I A Dabigatran IIa B FA, fibrillazione atriale; INR, international normalized ratio. Tabella 30. Raccomandazioni per la terapia antitrombotica in corso di cardioversione elettrica/farmacologica. Terapia antitrombotica raccomandata Classe di raccomandazione e livello di evidenza FA insorta <48h Cardioversione senza anticoagulazione IIa C FA insorta ≥48h o non databile Terapia anticoagulante orale per 3 settimane per insorgenza pre-cardioversione e per 4 settimane post-cardioversione (indefinitamente in caso di CHADS2 o CHA2DS2-VASc ≥2) I B FA insorta ≥48h o non databile Strategia eco-guidata seguita da terapia per insorgenza anticoagulante orale per 4 settimane post-cardioversione (indefinitamente in caso di CHADS2 o CHA2DS2-VASc ≥2) I B FA, fibrillazione atriale. Profilassi antitrombotica dopo ablazione transcatetere L’ablazione transcatetere, pur essendo considerata un tratta- mento risolutivo della FA, è gravata da una non piccola per- centuale di recidive sintomatiche ed asintomatiche3,145. Inoltre è da sottolineare il fatto che il rischio tromboembolico è mag- giore nei pazienti sottoposti ad ablazione transcatetere rispet- to a quelli sottoposti a semplice cardioversione, in quanto la ra- diofrequenza danneggia estese aree di endocardio atriale, fa- vorendo in tal modo la formazione di trombi. Pertanto rimane aperto il problema della durata della TAO post-procedurale. Le linee guida3,145 in tal senso non specificano raccomandazioni particolari, se non quella di continuare la TAO nei pazienti ad alto rischio tromboembolico per un periodo prolungato/indefi- nito fino a dimostrazione di assenza di parossismi di FA. In un recente studio non randomizzato è stata confrontata la sicurezza della sospensione vs il proseguimento della TAO a 3-6 mesi dalla procedura di ablazione su un’ampia casistica di oltre 3000 pazienti515. Al termine di un follow-up della durata di circa 2 anni, non sono emerse differenze statisticamente si- gnificative nella frequenza degli eventi tromboembolici (0.07% nei soggetti non trattati vs 0.45% nei soggetti trattati con TAO) nei due gruppi di pazienti, sovrapponibili per CHADS2 risk sco- re. Al contrario si sono verificati 13 casi (2%) di emorragie mag- giori nel gruppo in TAO vs 1 caso (0.04%) nel gruppo non sot- toposto a TAO (p<0.0001). Tale evidenza costituisce la pre- messa per la possibile sospensione della TAO dopo 3-6 mesi dalla procedura di ablazione, purché in presenza di documen- tata attività meccanica atriale e in assenza di recidive di FA sin- tomatiche/asintomatiche ad un monitoraggio prolungato. Stu- di osservazionali precedenti su un numero più limitato di pa- zienti avevano già suggerito una tale possibilità491,726,727. Sono comunque necessarie ulteriori conferme mediante trial clinici randomizzati di ampie dimensioni728. Profilassi antitrombotica dopo stenting coronarico Approssimativamente il 70-80% dei pazienti affetti da FA ha in- dicazione alla TAO a lungo termine, e tra questi il 20-30% ha una coronaropatia associata. Nella pratica clinica è pertanto di- venuto frequente trattare tali pazienti con angioplastica coro- narica con impianto di stent (PCI-S), con successiva necessità di doppia terapia antiaggregante piastrinica (aspirina e tienopiri- dina: ticlopidina o clopidogrel) per un periodo variabile, com- preso tra 1 e 12 mesi a seconda del tipo di stent utilizzato729. Il trattamento antitrombotico ottimale in tale sottogruppo di pazienti non è noto, data l’assenza di consistenti dati basati sull’evidenza, ed è stata recentemente riportata una notevole variabilità nelle strategie adottate730. In attesa che studi clinici e registri di ampie dimensioni producano l’evidenza necessaria alla gestione ottimale di questa problematica, le strategie anti- trombotiche da impiegare attualmente dopo PCI-S nei pazien- ti con indicazioni a TAO vanno in parte derivate da casistiche di piccole dimensioni, non controllate ed analizzate retrospettiva- mente731-738. Conseguentemente le raccomandazioni derivano da consensi di esperti739. Poiché la duplice antiaggregazione piastrinica è meno efficace della TAO nelle condizioni in cui quest’ultima è indicata706 e la TAO (anche associata ad aspirina) è inferiore alla duplice antiaggregazione piastrinica nella pre- venzione degli eventi cardiaci avversi dopo PCI-S740, la combi- nazione di TAO e duplice antiaggregazione piastrinica costitui- sce la strategia più razionale nei pazienti sottoposti a PCI-S e/o con sindrome coronarica acuta, nei quali coesiste un’indicazio- ne all’anticoagulazione a lungo termine. La triplice terapia, tuttavia, viene generalmente considera- ta a rischio elevato di complicanze emorragiche (incidenza com- presa tra 0% e 21% nelle varie casistiche). In generale, una durata di trattamento con TAO e duplice antiaggregazione piastrinica limitata ad 1 mese (in caso di im- pianto di stent non medicato) appare associata ad una minore incidenza di sanguinamenti maggiori (<5%) rispetto a una du- rata di 12 mesi (>10%) (nei casi di impianto di stent medicato). D’altra parte il rischio tromboembolico dopo sospensione della TAO per la FA risulta compreso tra 1% e 7%/anno. Per- tanto nei pazienti a rischio tromboembolico basso è adeguata la semplice sospensione pre-procedurale della TAO e la sua so- stituzione con la duplice antiaggregazione piastrinica741. Appa- re peraltro ragionevole evitare, per quanto possibile, l’impian- to di stent medicati per i quali viene attualmente raccomanda- to un periodo di duplice antiaggregazione piastrinica protratto (almeno 12 mesi)742 anziché di un solo mese, come prescritto in caso di impianto di stent non medicato. Nei casi a rischio tromboembolico medio-elevato, la pro- secuzione dell’anticoagulazione è essenziale, e pertanto si rac- comanda la triplice terapia con aspirina, tienopiridina e TAO per l’intero tempo previsto per la riendotelizzazione dello stent, mantenendo l’INR ai limiti più bassi del range terapeutico (2.0- 2.5). In seguito il trattamento antitrombotico a lungo termine da raccomandare nei pazienti con indicazione a TAO per FA e sot- toposti a PCI-S è rappresentato dall’associazione di TAO a mo- derata intensità (INR 2-3) e aspirina 75-100 mg/die o clopido- grel 75 mg/die, indipendentemente dal rischio tromboemboli- co739. Gestione perioperatoria della terapia anticoagulante orale In occasione di interventi chirurgici o manovre invasive l’inter- ruzione della TAO può aumentare il rischio tromboembolico, mentre la sua continuazione può aumentare il rischio di emor- ragie. La scelta della strategia più idonea dipende dal rischio trom- boembolico inerente alle diverse situazioni cliniche, per le qua- li è stata prescritta la TAO, e dal rischio tromboembolico speci- fico del paziente, nonché dal rischio emorragico legato alla TAO perioperatoria, al tipo e sede di intervento, alle comorbilità as- sociate (epatopatia, nefropatia), all’assunzione di farmaci in- terferenti con l’emostasi e alla possibilità di adottare idonee mi- sure emostatiche locali. Infine non sono da trascurare nella scel- ta della strategia più idonea, conseguenze cliniche di un even- tuale evento tromboembolico o emorragico. Nei pazienti a rischio elevato di tromboembolismo, ovvero portatori di: – protesi meccanica mitralica, – protesi meccanica aortica non recente o associata a FA, – protesi valvolare con pregresso tromboembolismo arterioso, – FA con pregresso tromboembolismo arterioso o valvulopa- tia mitralica, – tromboembolismo venoso recente (<1 mese), in caso di necessità di temporanea sospensione della TAO è rac- comandata l’instaurazione di una terapia antitrombotica bridge, che viene normalmente condotta mediante embricazione con eparina non frazionata per via e.v., da iniziare 3-4 giorni prima della procedura, dopo sospensione della TAO per almeno 48h (tempo necessario per il raggiungimento di un INR <2) e da pro- 47G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 2011 LINEE GUIDA AIAC 2010 PER LA GESTIONE E IL TRATTAMENTO DELLA FA seguire, dopo reintroduzione della TAO, fino all’ottenimento dell’INR target741. Data la scarsa maneggevolezza dell’eparina non frazionata, è stato esplorato l’impiego delle eparine a basso peso moleco- lare743. Pur riconoscendo la scadente qualità dei dati disponibi- li, che provengono da casistiche di dimensioni relativamente piccole, esaminate prospetticamente ma senza gruppo di con- trollo, l’efficacia e la sicurezza dell’impiego delle eparine a bas- so peso molecolare per via sottocutanea (al dosaggio del 70% di quello terapeutico, in duplice somministrazione giornaliera) nel trattamento antitrombotico bridge sono risultate assai sod- disfacenti (incidenza di eventi tromboembolici ed emorragici maggiori rispettivamente pari allo 0.3-0.9% e 1-7%)743. Per- tanto attualmente viene raccomandato come terapia anti- trombotica bridge l’impiego dell’eparina a basso peso moleco- lare (eccetto che in pazienti con significativa insufficienza re- nale) con le stesse modalità dell’utilizzo dell’eparina non fra- zionata741. Nei pazienti a rischio tromboembolico lieve-moderato è pre- visto il medesimo schema di embricazione con eparina a basso peso molecolare, ma a dosi profilattiche in monosomministra- zione giornaliera. La TAO al contrario non va sospesa in caso di chirurgia cu- tanea, intervento di cataratta in anestesia locale, procedure odontoiatriche semplici (singola estrazione dentaria), punture di vene e arterie superficiali. DISPOSITIVI PER LA CHIUSURA DELL’AURICOLA SINISTRA Le complicanze tromboemboliche nei pazienti con FA general- mente sono dovute alla formazione di trombi in atrio sinistro ed in particolare nell’auricola sinistra. Quest’ultima rappresen- ta la sede più comune di formazione di trombi con un’inci- denza del 91% nei pazienti con FA non valvolare2,744,745. La TAO, nonostante i suoi dimostrati benefici107,111,694-698,746,747, è mal tollerata dai pazienti e sottoutilizzata nella pratica clinica a causa di controindicazioni assolute o relative rappresentate so- prattutto dal rischio di eventi emorragici748. Essa infatti è uti- lizzata solo nel 25% della popolazione totale con FA749 e nel 55% dei pazienti con FA ad alto rischio tromboembolico750. L’efficacia di tale terapia dipende inoltre dal tempo trascorso in range terapeutico il quale, nonostante il frequente monitorag- gio dell’INR e il relativo aggiustamento della dose di anticoa- gulante orale, è risultato in media del 50-68%751,752 e molto variabile tra i centri passando dal 44% al 78%752. Inoltre, una scarsa aderenza ad assumere dosi appropriate di warfarin è sta- ta riportata nel 22% dei casi749 e fino al 38% dei pazienti han- no sospeso tale terapia695. Per tali ragioni recentemente si sono sviluppati metodi al- ternativi alla TAO nei pazienti che presentano controindicazio- ni alla stessa o in cui essa non è risultata efficace nel prevenire gli eventi tromboembolici. Uno di essi è rappresentato dall’oc- clusione meccanica dell’auricola sinistra in modo da escluderla dalla circolazione sistemica. In passato l’esperienza chirurgica aveva dimostrato che l’amputazione o la chiusura dell’auricola sinistra, in corso di intervento di sostituzione o riparazione del- la valvola mitrale oppure come parte del trattamento chirurgi- co della FA, era efficace nel ridurre il rischio tromboemboli- co604,753,754. Tuttavia, mancano ampi studi randomizzati e gli stu- di osservazionali hanno mostrato risultati controversi per cui dati conclusivi circa l’efficacia e la sicurezza dell’amputazione od occlusione chirurgica dell’auricola sinistra non sono ancora disponibili604,753-757. Negli ultimi anni sono stati sviluppati diversi sistemi per chiudere l’auricola sinistra per via percutanea accedendo al- l’atrio sinistro per via transettale. Tale tecnica, rispetto alla chiu- sura chirurgica tradizionale, ha il vantaggio di essere meno in- vasiva, riduce i tempi di recupero post-intervento ed i poten- ziali rischi emorragici. Il primo di tali sistemi è stato il PLAATO (ev3 Inc., Plymouth, Minnesota) disegnato per sigillare il collo dell’auricola sinistra in modo da escluderla dal flusso sangui- gno proveniente dall’atrio sinistro758-764. Questo dispositivo è composto da una gabbia autoespandibile di nitinolo ricoperta da una membrana di fluoroetilene espanso. Diversi studi han- no riportato l’efficacia del PLAATO nel ridurre il rischio di ic- tus759-764. Tuttavia si tratta di studi non randomizzati e con com- plicanze periprocedurali maggiori variabili dall’1.6% all’8%. La complicanza più frequente è stata il versamento pericardico con o senza tamponamento cardiaco (fino al 6.7%). Ussia et al.763 hanno riportato una mortalità periprocedurale dell’1.4% con- seguente alla migrazione del dispositivo che ha determinato un’occlusione acuta del tratto di efflusso del ventricolo sinistro. Ostermayer et al.761 hanno testato l’efficacia e la sicurezza di tale dispositivo in uno studio multicentrico che ha arruolato 111 pazienti. L’impianto del PLAATO è stato eseguito con successo nel 97% dei casi, ma è stato associato ad un considerevole nu- mero di complicanze. In particolare, sono stati riportati 7 even- ti avversi maggiori (6.3%) in 5 pazienti rappresentati da: mor- te per cause cardiache o neurologiche in 4 pazienti (3.6%), 2 ictus (1.8%) e 1 complicanza cardiovascolare correlata al di- spositivo richiedente chirurgia cardiaca (0.9%). Inoltre sono sta- ti osservati 3 TIA (2.7%) ed altri 9 eventi avversi non conside- rati tra i maggiori (8%) e rappresentati da versamento pericar- dico o tamponamento cardiaco (4 casi), emotorace (1 caso), versamento pleurico (1 caso), dispnea richiedente intubazione (1 caso), trombosi venosa profonda (1 caso), paralisi del plesso brachiale (1 caso). Nel follow-up di 17 mesi è stata osservata un’incidenza di ictus del 2.2% per anno dopo impianto effica- ce con una riduzione teorica del rischio relativo del 65% in con- siderazione del rischio atteso per la popolazione studiata sulla base del punteggio CHADS2. Block et al.762, in un altro studio non randomizzato ma con follow-up più lungo (5 anni di du- rata), hanno confermato l’efficacia di tale dispositivo con una frequenza di ictus/TIA del 3.8% per anno rispetto a quella at- tesa sulla base del CHADS2 score del 6.6% per anno. Attual- mente il PLAATO è stato superato da altri dispositivi di secon- da generazione rappresentati dal Watchman (Atritech Inc., Ply- mouth, Minnesota) e dall’Amplatzer Cardiac Plug (AGA Medi- cal Corporation, Plymouth, Minnesota). Il Watchman è disponibile in diverse misure in modo da po- terlo adattare alle dimensioni dell’auricola sinistra ed è costitui- to da una struttura autoespandibile di nitinolo ricoperta sul ver- sante atriale da una membrana permeabile di polietilene, men- tre sul versante auricolare si continua con delle barbe che ne consentono l’ancoraggio alla superficie interna dell’auricola stessa. La membrana permeabile che riveste il versante atriale del dispositivo consente, a differenza del PLAATO, il flusso del sangue mentre impedisce la fuoriuscita dall’auricola sinistra di eventuali trombi764. Tale dispositivo è stato inizialmente testato in uno studio multicentrico su 75 pazienti765. Esso è stato im- piantato con successo nell’88% dei casi e dopo un follow-up di circa 25 mesi il 93% dei dispositivi impiantati chiudeva effica- cemente l’auricola sinistra. In questo studio sono state tuttavia G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 201148 A RAVIELE ET AL 51G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 1 2011 LINEE GUIDA AIAC 2010 PER LA GESTIONE E IL TRATTAMENTO DELLA FA The long- and short-term impact of elevated body mass index on the risk of new atrial fibrillation: the WHS (women’s health study). J Am Coll Cardiol 2010;55:2319-27. 50. Aviles RJ, Martin DO, Apperson- Hansen C, et al. Inflammation as a risk fac- tor for atrial fibrillation. Circulation 2003;108:3006-10. 51. Wang TJ, Larson MG, Levy D, et al. Plasma natriuretic peptide levels and the risk of cardiovascular events and death. N Engl J Med 2004;350:655-63. 52. Mitchell GF, Vasan RS, Keyes MJ, et al. Pulse pressure and risk of new-onset atrial fibrillation. JAMA 2007;297:709-15. 53. 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