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Il Medioevo: dalla polemica alla mitizzazione - Storia Medievale, Sintesi del corso di Storia Medievale

Storia Medievale - Il Medioevo: dalla polemica alla mitizzazione<br />

Tipologia: Sintesi del corso

2011/2012

Caricato il 07/10/2012

joedo
joedo 🇮🇹

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Scarica Il Medioevo: dalla polemica alla mitizzazione - Storia Medievale e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! STORIA MEDIEVALE MEDIOEVO: I caratteri originali di un’età di transizione INTRODUZIONE Il Medioevo: dalla polemica alla mitizzazione L’idea del Medioevo nasce con l’Umanesimo (XIV-XV secolo) quanto intellettuali e artisti presero consapevolezza di star vivendo un’epoca di grandi trasformazioni dal punto di vista culturale, morale ed estetico. L’orgoglio di vivere in questa epoca di cambiamento determinò una varietà di atteggiamenti nei confronti dell’epoca precedente che fu da molti definita come media tempestas, media aetas, medium aevum. Gli umanisti francesi e tedeschi non considerarono mai negativamente i secoli del Medioevo proprio perché in quel periodo erano nate le fondamenta delle loro nazioni; i riformisti protestanti tedeschi evidenziarono invece come la Chiesa di Roma in quel periodo si era nettamente allontanata dai principi evangelici. La discussione sul Medioevo comunque assunse i caratteri più forti nel corso del Settecento quando gli illuministi criticavano alcuni aspetti delle istituzioni politiche e sociali, considerate come residui della barbarie dell’età medioevale. Lo spirito polemico alimentò una ricca ricerca storica; molti furono gli eruditi che individuarono nel Medioevo caratteri basilari anche del mondo moderno e molti furono gli studiosi che compirono studi interessanti; alcuni furono: • Giambattista Vico: il filosofo napoletano nel testo Scienza nuova identificò nel Medioevo un’epoca caratterizzata da una mentalità precisa e da peculiari istituzioni sociali e politiche; • Ludovico Antonio Muratori: lo storico modenese trovò un collegamento tra il pensiero illuministico con la cultura medioevale individuando in Italia una certa continuità nella tradizione culturale; • Francois-Marie Aoruet Voltaire: il pensatore francese propose un’interpretazione laica della storia poiché secondo lui uno storico doveva prima di tutto indicare l’apporto dato dagli uomini nelle varie epoche storiche; • William Robertson: il pastore protestante inglese oltre che cogliere le grandi trasformazioni della società dopo il Mille ebbe un vivissimo senso della continuità storica. Fu durante il Settecento che in Germania si superarono le polemiche sul Medioevo poiché: • per filosofi e letterati fu un’epoca di serenità spirituale; • per i cristiani fu il periodo in cui operò la forza creatrice dell’Europa; • per gli storici del diritto e dell’economia fu l’età durante la quale si organizzò l’economia tedesca. Anche in Italia si diede vita a un interessante dibattito storiografico sul Medioevo; il dibattito si concentrò sul rapporto tra latinità e germanesimo e sul ruolo svolto dal papato in quei secoli: • Machiavelli pensava che l’unificazione d’Italia non era stata resa possibile dalla presenza del papato; • Pietro Giannone e gli storici “neo-ghibellini” nel Settecento ripresero la teoria di Machiavelli caratterizzando negativamente l’operato del papato che in un certo senso ostacolò ogni tentativo di unificazione anche chiamando nel territori potenze straniere; • ci furono anche storici “neo-guelfi” (Manzoni, Balbo, Capponi) i quali al contrario videro nell’operato del papato medioevale aspetti positivi in quanto aveva custodito il patrimonio di Roma e la cultura latina. Benedetto Croce fu un esponente degli storici cattolici-liberali (neo-guelfi); secondo lui l’unità d’Italia non era mai esistita ma erano esistiti i papi che avevano contrastato gli stranieri e appoggiato le leghe nazionali e i Comuni. Si può dire infine che il Medioevo nel corso del Settecento fu certamente rivalutato oltre che in Germania e in Italia anche in Francia e Inghilterra i cui Dal 1956 la direzione della rivista fu affidata a Fernand Braudel; nella sua opera Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II egli distingue nello svolgimento della storia tre parti: • tempo geografico: quello di lunga durata, rapporto uomo/ambiente • tempo sociale: quello delle strutture economiche, sociali e politiche • tempo degli eventi: quella degli eventi, più superficiale ma ricca di umanità. Unità e articolazione del Medioevo Tra il 1993 e il 1998 l’European Science Foundation ha promosso un progetto al quale hanno partecipato numerosi storici e studiosi per delineare un quadro completo che ci aiuti a capire il passaggio dall’Antichità al Medioevo. Alla fine si è voluta lanciare una provocazione: il mondo romano non è finito ma durante il III e il IX secolo si è trasformato in seguito all’arrivo di nuovi popoli. Secondo Paolo Delogu la tesi di spingere l’Antichità fino all’epoca carolingia è improponibile poiché nel corso del VII secolo la società e tutte le sue strutture (sociali, culturali, politiche, religiose ed economiche) erano molto cambiate facendo pensare più a un processo di completa riorganizzazione piuttosto che di trasformazione. (Il libro segue questa ipotesi) Tra la fine dell’Antichità e l’inizio dell’Età moderna ci fu un’età intermedia dotata però di caratteri originali, con elementi propri che si vennero formando nell’arco di diversi secoli. La storiografia italiana tradizionalmente colloca tra la fine dell’Impero romano d’Occidente e l’inizio della modernità quattro periodi: I periodo: TARDA ANTICHITA’, dal IV al VII secolo Il mondo romano lentamente si trasforma e perde le sue componenti caratteristiche: unità politica, integrazione economica, alto livello di urbanizzazione e acculturazione. In questo periodo avvenne la definizione completa del Cristianesimo che cominciò a organizzarsi in modo più compiuto dal punto di vista dottrinale e organizzativo e l’Europa fu devastata dalle invasioni di Visigoti, Unni, Avati, Bulgari e Slavi. II periodo: ALTO MEDIOEVO, dall’VIII all’XI secolo Gli europei vivono in condizioni di precarietà e insicurezza a causa delle invasioni di Normanni, Ungari e Saraceni; in questi secoli nacquero i rapporti feudali e i sovrani carolingi (seguiti dagli imperatori tedeschi) tentarono di riunire le tradizioni romane, cristiane e germaniche. III periodo: PIENO MEDIOEVO, dall’XI al XIII secolo Periodo che vede la piena realizzazione degli ideali medievali in tutti i settori: vita sociale, religiosa, politica, economica, artistica, culturale. IV periodo: TARDO MEDIOEVO, dal XIV al XV secolo Furono i secoli della crisi demografica ed economica. Ci furono molti processi di trasformazione con la nascita di nuovi modelli culturali, nuovi valori religiosi e morali; gli ideali di papato e impero entrano in crisi. Il 1492 segna uno spartiacque simbolico in quanto le frontiere del mondo conosciuto si allargarono e fecero scoprire nuove terre, nuove culture e nuovi modi di rapportarsi con la realtà. I caratteri originali della civiltà medioevale I caratteri del Medioevo furono ben definiti e godettero di continuità per tutti i periodi sopra elencati. Il Medioevo fu un’epoca profondamente religiosa. Alla Chiesa era affidato il compito di diffondere il messaggio di Cristo; se da una parte si prodigò per l’evangelizzazione, la solidarietà e la carità dall’altro non evitò che si verificasse la compenetrazione tra autorità politica e religiosa. Durante il Medioevo potere politico e religioso si sostengono a vicenda e questa “collaborazione” toccò il suo apice durante l’età carolingia. La collaborazione e la compenetrazione tra le due autorità però non si mantenne stabile nel tempo provocando conflitti e tensioni che sfociarono nella lotta per le investiture, in scontri violenti e nella crisi morale della Chiesa. Il Medioevo fu caratterizzato anche dallo spirito comunitario delle società germaniche. I Germani era un popoli dalla cultura militare, era un popolo di seminomadi che non conosceva la rigida divisione sociale dei Romani e neanche la proprietà fondiaria visto che tutto veniva diviso tra i clan. Pian piano questo spirito comunitario si affievolì. Tutto il Medioevo è segnato dalla presenza di uno spirito comunitario secondo il quale venivano anche regolate le attività di semina, raccolto, allevamento, ecc. Inoltre durante quest’epoca nacquero: - i quartieri, luogo di solidarietà di vicinato e articolazione amministrativa; - le parrocchie, luoghi dove poter partecipare attivamente alle iniziative religiose; - le confraternite, organizzazioni religiose con finalità di mutuo soccorso tra gli aderenti; - le arti e le corporazioni, organizzazioni di coloro che svolgevano lo stesso mestiere; riti religiosi, manifestazioni pubbliche (bandiere, gonfaloni, stemmi), eventi o oggetti per creare uno spirito di appartenenza. La realtà del Medioevo era ricca di simboli. Il mondo medioevale fu un mondo prevalentemente rurale. La maggior parte delle persone traeva dalla terra i beni per la propria sussistenza e viveva seguendo regole dettate dalla consuetudine. Nelle campagne spadroneggiavano i nobili che gestivano i loro feudi, e le persone che vi risiedevano, secondo le loro priorità. Durante il Medioevo fu scarsa l’incidenza dello Stato. La vita della società era regolata da strutture locali; lo Stato assicurava servizi minimi poiché la società medievale espresse una vitalità crescente che le permise di creare equilibri sempre diversi e dinamici e di funzionare anche senza l’intervento significativo di uno Stato. Componenti sociali, politici, religiosi ed economici si combinarono spesso dando vita e situazioni diverse. Tra il XIV e il XV secolo la società ha fatto un grande sforzo per darsi un ordinamento più stabile attraverso la creazione di istituzioni politiche ed ecclesiastiche in grado di poter operare in territori più vasti e diversificati. Questo lungo e lento processo ha portato all’Età moderna. popolazioni latine, in quello che Giovani Tabacco ha definito il connubio latino- celtico, volto a contenere le pressioni che i Germani, popolazione di lingua indoeuropea stanziati già nel secondo millennio a.C. nelle regioni dell’Europea settentrionale e centrale. Al tempo di Traiano erano schierate lungo il Danubio dieci legioni. L’opera difensiva Che però somiglia di più alla Muraglia cinese fu il vallo di Adriano, di 118 km, fatto costruire dall’imperatore Adriano tra il 122 e il 127 d.C. in Britannia che così fu tagliata in 2 parti. 1.2. Il mondo delle città Il limes separava due realtà molto diverse tra loro: da un lato c’era il mondo urbanizzato e organizzato dei Romani e dall’altro il mondo delle foreste e delle valli fluviali dell’Europa centrale e settentrionale abitato da popolazioni nomadi che avevano una struttura molto semplice. Il merito dei Romani non fu tanto quello di aver creato le città ma piuttosto quello di aver esteso il modello urbano e la cultura ellenica a tutte le aree sotto il suo dominio. Questo fu possibile grazie ai numerosi scambi commerciali tra le zone del Mediterraneo e le altre aree romanizzate che favorivano anche scambi sociali e culturali. La città romana aveva una struttura precisa, inizialmente non avevano mura difensive che furono costruite solo dopo le prime minacce di invasioni; altre zone della città erano: - l’urbs: il centro cittadino dove si svolgevano tutte le funzioni amministrative, politiche e commerciali, - la civitas: territorio dove c’erano le abitazioni sia dei contadini che le grandi ville, - il suburbio: la zona intermedia tra il nucleo cittadino e la campagna dove si trovavano gli impianti artigianali, gli anfiteatri, le necropoli e ville lussuose, - la campagna: organizzata in un reticolo razionale di campi di forma geometrica. La società romana era caratterizza tata dalla presenza di una classe aristocratica che conducevano un agiato stile di vita grazie alle risorse che provenivano dalla costruzione dei grandi latifondi coltivati dagli schiavi. Tali uomini praticavano la filantropia, si esercitavano in dibattiti sulla letteratura e sulla filosofia infatti in ogni villa signorile si potevano trovare testi greci e latini(l’ unico esempio di biblioteca privata è la Villa dei papiri di Ercolano, sommersa dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.). Che i libri fossero importanti nello stile di vita aristocratico-borghese è dimostrato dal personaggio di Trimalcione nel Satyricon di Petronio il quale, per fare sfoggio di cultura, dichiara di avere una biblioteca greca ed una latina. Luciano scrisse un trattato dal titolo Contro un ignorante che si compra molti libri e Seneca ammonì i bibliofili semianalfabeti, per i quali i libri non erano strumenti di lavoro, ma ornamento delle sale da pranzo. 1.3. La diffusione del Cristianesimo Tra il I e il II secolo si verificò un interessante fenomeno: la diffusione della scrittura anche tra le classi meno abbienti; questo fenomeno fu accompagnato dall’arrivo di nuove dottrine orientali come lo Stoicismo e il Neoplatonismo che fecero entrare in crisi le religioni ufficiali basate sul politeismo. Tali dottrine cercavano di dare una risposta ai problemi relativi alla morte e al dolore cercando delle reali soluzioni nell’impegno morale e in una concreta religiosità interiore. Verso il IV secolo tra le molte dottrine di questo tipo assunse una rilevanza particolare il Cristianesimo; questa dottrina inizialmente si era diffusa tra il comunità giudaiche, successivamente (sotto il dominio di Costantino) si allargò anche tra il popolo romano. Il Cristianesimo incontrò il favore anche dei ceti dirigenti romani perché la sua organizzazione poggiava su una stabile gerarchia sacerdotale formata da presbiteri, vescovi e diaconi. La diffusione del Cristianesimo fuori dalla Palestina fu merito dell’operato apostolico di Paolo di Tarso, chiamato anche “lì apostolo delle genti” poiché visitò, diventando un punto di riferimento, molte comunità cristiane sparse per tutto l’impero. Fulcro dell’evangelizzazione furono però le città e ciò comportò che le campagne rimasero isolate e legate ai culti tradizionali mentre la classe sacerdotale stringeva sempre più stretti legami con le elitè cittadine dalle quali venivano pure scelti i vescovi. Tale fenomeno creò le basi per la nascita di un connubio tra autorità religiosa e politica che provocò un veloce allontanamento dagli ideali della Chiesa primitiva che invece si basava sulla carità e sulla semplicità di vita. 1.4. La crisi del III secolo e le persecuzioni contro i cristiani Il percorso di affermazione del Cristianesimo non fu però facile ma dovette affrontare la difficile prova delle persecuzioni; l’intolleranza più che religiosa era politica poiché i cristiani venivano identificati con gli ebrei i quali più volte avevano manifestato intolleranza verso l’impero. Le ostilità divennero maggiori tra il II e il III secolo in concomitanza con una profonda crisi dell’impero originatasi dall’enorme crescita delle città e dal corrispettivo spopolamento delle campagne. Questo fenomeno causò una forte riduzione della produzione agricola che costrinse lo stato ad acquistare frumento dall’Egitto ma tali spese risultarono essere troppo gravose per l’impero che vide aumentare spesa pubblica e inflazione che a loro volta causarono una svalutazione della moneta e l’aumento dei prezzi. A ciò seguirono carestie ed epidemie e l’impero sembrava cadere proprio per questo si decise di accentuare l’intervento dello Stato in ogni settore della vita: politico, economico e sacrale. L’autorità imperiale divenne fondamentale per ristabilire unità, stabilità e pace e in questo periodo si susseguirono imperatori dalle grandi personalità, uno di questi fu Diocleziano il quale attuò un progetto politico e sociale di grande portata infatti: - legò i contadini alla terra e gli artigiani alle loro attività - fissò prezzi e salari Poiché tale dottrina si stava diffondendo velocemente e la Chiesa non era ancora dotata di un organismo capace di prendere decisioni importanti l’imperatore Costantino convocò per il 325 a Nicea un Concilio ecumenico. A tale concilio parteciparono 300 vescovi proveniente per la maggior parte dalle province orientali e le decisioni che furono prese valsero per tutte le comunità cristiane; in tale occasione la dottrina di Ario fu condannata all’unanimità ma non tanto per motivi dottrinali ma per lo stesso volere di Costantino che non voleva assolutamente mettere a rischio quell’unità religiosa che si era già creata in Asia e che si stava diffondendo nel resto dell’impero. Quello legato all’eresia ariana fu però solo un primo episodio di un fenomeno che continuò a lungo nel tempo visto che le eresie ( dottrine opposte alle verità della Chiesa) si svilupparono parallelamente alla nuova ideologia cristiana che identificava nell’imperatore il garante della fede ortodossa. L’Arianesimo fu per il momento sconfitto ance se si riaffermò prepotentemente durante il Medioevo tra le popolazioni germaniche che ne accolsero nella loro cultura socio-politica gli aspetti basilari. A quello di Nicea seguirono diversi concili ecumenici che invece di trovare idee comuni e univoche provocarono sempre più gravi lacerazioni all’interno delle comunità cristiane che furono assunte anche come finte giustificazioni per rivolte all’interno delle province romane. Tale fu l’episodio legato al Donatismo, una contestazione religiosa nata in seno alla provincia africana che nascondeva però una contestazione etnico-sociale contro l’impero. Proprio nel V secolo i Siria e in Egitto oltre alle tendenze separatiste sorsero diatribe in riferimento al rapporto tra l’umanità e la divinità di Cristo. Le tensioni religiose ebbero come argomento di scontro anche la figura di Maria; i Nestoriani, ad esempio, la chiamavano solo “Madre di Cristo” e non “Madre di Dio” poiché erano convinti della separazione tra la natura umana di Cristo e quella divina di Dio. Una soluzione a questo problema fu trovata a Calcedonia nel 451 quando si dichiarò Cristo vero Dio e vero uomo, dotato di due nature distinte ma inseparabili. 1.7. Le origini del monachesimo Mentre si svolgevano questi dibattiti e l’apparato ecclesiastico delle Chiesa si andava consolidando prima in Oriente e poi in Occidente si sperimentò un altro modo di vivere gli ideali cristiani che si basava sul totale distacco dalla società. Questa pratica al suo primo apparire sembrò marginale ma col passare dei secoli invece diventò una vera e propria forza che plasmò la Chiesa: il monachesimo. Il fenomeno dell’eremitismo non nacque nel mondo ellenico-romano ma alcuni episodi di tal genere si erano già verificati in India dove i monaci buddisti vivevano girovagando e chiedendo al prossimo le risorse per il loro sostentamento. Scopo degli eremiti era quello di poter giungere ad avere un incontro con Dio dopo un percorso di ascesi e penitenza. Nel mondo greco esperienze di isolamento furono condotte dai filosofi e nel mondo giudaico dalle comunità degli Esseni e dai Terapeuti. Il monachesimo cristiano nacque in Egitto nel III secolo ma nella sua maturità espresse in sintesi la maggior parte delle esperienze precedenti. In un primo momento il monachesimo si diffuse soprattutto tra le classi sociali più basse; questi uomini nutrivano una completa sfiducia per tutti i ragionamenti intellettuali e decidevano di fuggire da ogni forma di civiltà rifugiandosi in luoghi solitari come caverne, tombe abbandonate e deserti, alcuni arrivarono alle scelte estreme di vivere stabilmente sulla cima di un albero (dendrìtai) o in cima a una colonna (stiliti). A questa forma di esperienza estrema di ascesi si affiancarono presto nuove esperienze come quelle delle colonie di eremiti che vivevano non lontani gli uni dagli altri; successivamente nacque la prima forma di cenobitismo grazie a Pacomio che fondò a Gerusalemme un monastero dove chi avesse voluto avrebbe potuto condurre una vita ascetica caratterizzata dalla moderazione, dalla preghiera e dal lavoro. Il vescovo di Cesarea, Basilio, ebbe inoltre una forte influenza sulla costituzione del monachesimo visto che promosse la fondazione di vari monasteri ma soprattutto perché scrisse delle Regole con l’intento di dare un ordinamento stabile alle comunità cenobitiche; un esempio è la nuova figura dell’abate che aveva il compito di guidare tutta la comunità e dare l’esempio agli altri monaci. 1.8. La diffusione del monachesimo in Italia e nel resto d’Occidente Le esperienza cenobitiche risultarono più adeguate ad essere accettate e assorbite dalla civiltà ricca e aristocratica dell’impero romano; in Occidente arrivarono velocemente le notizie delle nobili gesta degli eremiti e molti membri dell’aristocrazia organizzarono dei vero e propri pellegrinaggi per andare a vedere questi uomini di persona e alcuni di loro – spesso le nobildonne- fondarono comunità latine in Palestina. Ben presto dei monasteri furono costruiti anche in Occidente, una figura chiave per questa svolta fu Gerolamo il quale dopo aver studiato a Roma si fece battezzare e passò molto tempo da eremita in Siria. Ritornato a Roma divenne una guida per molte donne che conducevano uno stile di vita ascetico all’interno delle loro case. Dopo queste prime esperienze anche a Roma e in altre parti dell’impero furono costruiti monasteri e anche altri esponenti importanti esponenti della Chiesa appoggiarono tale fenomeno come Ambrogio di Milano e Paolino di Nola. Un’ultima, ma importante, esperienza di monachesimo in Italia è quella di Cassiodoro, collaboratore del re ostrogoto Teodorico che nel 540 si ritirò in Calabria dove fondò un monastero che non fu però un luogo di ascesi bensì un centro di cultura dove si svolgeva un’attività si studio per cercare di conciliare cultura sacra e profana. Il suo obiettivo era quello di salvare l’antica cultura romana trapiantandola nei monasteri ma tale progetto non era realizzabile e non continuò dopo la morte di Cassiodoro. In Gallia il monachesimo si diffuse grazie all’operato di Martino, vescovo di Tours che riuscì a conciliare gli ideali monastici con il suo ruolo pastorale di vescovo. 1.9. Il monachesimo benedettino Il monachesimo benedettino costituisce il punto d’arrivo di tutte le esperienze di monachesimo in Occidente. suolo con il fuoco, metodo che senza pratiche di concimazione rendeva presto improduttivo il terreno e costringeva le tribù a continui spostamenti. Le tribù germaniche erano organizzate in clan, non c’erano proprietà private e l’unica gerarchia esistente era quella dei duces che erano dei capi militari appartenenti a delle stirpi detentrici di poteri magico-sacrali. Si credeva che il valore militare di trasmettesse in maniera ereditaria perciò gli appartenenti a questi clan avevano molti poteri (anche se sempre sottoposti al controllo degli anziani) sia durante i periodi di guerra sia durante i periodi pacifici ma ciò però non li rendeva superiori agli alti uomini liberi. Dei cambiamenti in questa struttura iniziarono a manifestarsi dopo i primi contatti con i Romani che in un cero senso trasmisero il loro modello sociale fondato su rigide gerarchie sociali; fu così che nacquero le prime elitè di guerrieri e monarchie tribali a carattere militare. 2.2. La pressione sui confini dell’impero A partire dal I secolo i Germani divennero un elemento essenziale per l’impero romano che reclutava delle intere legioni da utilizzare nelle operazioni difensive dei territori periferici resi sempre meno sicuri a causa delle continue incursioni dei popoli germanici. Dopo appena due secoli, nel III secolo, la presenza dei Germani era prevalente nelle schiere dell’esercito e alcuni membri erano riusciti pure ad avere importanti funzioni ai vertici dell’esercito. L’impero romano riuscì a superare il momento critico dello spopolamento e della poca sicurezza dei territori periferici accogliendo in tali territori le tribù dei Franchi, degli Alamanni e dei Burgundi. Nei progetti dei Romani a questo accoglimento doveva poi seguire la conversione al Cristianesimo di queste popolazioni e in effetti presto si raggiunse un equilibrio tra i due mondi. Tale equilibrio fu però messo in crisi dall’arrivo di una nuova minaccia: l’arrivo degli Unni dalle steppe orientali. Gli Unni erano dei cavalieri nomadi non organizzati però in un vero e proprio esercito; questi travolsero Alani, Ostrogoti e Visigoti che ottennero dai Romani il permesso di stanziarsi in Tracia (l’attuale Romania). Lo stanziamento dei Visigoti in Tracia però generò molti problemi poiché la popolazione indigena si ribellò a questa decisione e anche perché i Visigoti praticarono razzie nelle città per procurarsi viveri che pretendeva gli fossero inviati da Roma. Fu così che iniziò una guerra che si concluse nel 378 con la clamorosa sconfitta romana ad Adrianopoli dove morì lo stesso imperatore Valente. Questo episodio ebbe un forte impatto sull’opinione pubblica del tempo tanto che alcuni studiosi lo definiscono come l’inizio della fine dell’impero. 2.3. La divisione definitiva dell’impero Le fratture all’interno dell’impero, soprattutto tra la parte occidentale e la parte orientale, divennero sempre più marcate; l’imperatore Teodosio tra il 392 e il 395 riuscì a ripristinare una labile forma di unità che però si concluse definitivamente alla sua morte quando l’impero venne diviso tra i due suoi giovani figli Onorio e Arcadio. A Onorio, posto sotto la guida del generale vandalo Stilicone, spettò la parte occidentale con capitale Milano mentre ad Arcadio, posto sotto la guida del goto Rufino, fu assegnata la parte orientale con capitale Costantinopoli. Teodosio scelse due tutori germanici perché voleva dare un preciso segno di apertura verso tali popolazioni e di accoglimento all’interno delle strutture politiche e militari di membri germanici. In Occidente questa politica, inizialmente osteggiata dalle famiglie aristocratiche, col tempo portò dei frutti individuabili nella convergenza tra le famiglie senatorie e le gerarchie militari grazie alla politica conciliante di Stilicone. Stilicone era contrario a una politica basata sulla forza ma il suo ruolo era molto delicato e lo divenne ancor di più quando negli ambienti di corte riprese una certa ostilità verso i barbari. Una situazione molto delicata si creò anche in Oriente a causa della ripresa da parte degli Unni delle incursioni a danno dei Visigoti e di altri popolazione germaniche che erano stanziati nelle zone periferiche dell’impero e diventavano sempre più inquieti e pericolosi. Costantinopoli incoraggiò gli Unni nel tentativo di liberarsi una volta per tutte della minaccia dei Germani; alla fine del 406 avvenne un altro episodio chiave per la storia di Roma: il superamento del confine del Reno da parte di Valdali, Alani e Svevi che si diressero verso la Gallia e la Spagna. Questo episodio causò una caduta del prestigio di Stilicone il quale perse molti consensi e fu ucciso da un gruppo di nazionalisti romani. Dopo la sua morte i Visigoti, guidati da Alarico, riuscirono a penetrare in Italia e il 24 agosto 410 arrivarono a Roma e la saccheggiarono per tre giorni. Il saccheggio di Roma ebbe profondi effetti psicologici sulla popolazione perché Roma era stata da sempre considerata una città inviolabile e sacra e il suo saccheggio segnava quasi la fine dell’impero che per i pagani era stata causata dall’avvento del Cristianesimo e dall’apertura verso i barbari. Sicuramente il superamento del Reno e il sacco di Roma costituiscono due momenti fondamentali che diedero inizio a un percorso tutto in discesa per l’Occidente che perse autorità e territori. Nel 411 Alarico morì e i Visigoti risalirono la penisola stanziandosi come federati in Aquitania; anche gli altri popoli germanici come Vandali, Alani e Svevi, ebbero riconosciuto il titoli di federati e si stanziarono in territori imperiali. I proprietari romani dovettero applicare l’istituto dell’hospitalitas che prevedeva l’obbligo per i proprietari di cedere ai federati un terzo dei loro possedimenti; questi erano ormai autonomi, avevano delle leggi proprie e sottostavano solo all’autorità del loro re. I popoli germanici erano ormai liberi e senza controllo tanto che i Vandali guidati dal re Genserico si spostarono prima i Africa, poi cominciarono a razziare le isole del mediterraneo arrivando a saccheggiare Roma nel 455. Teodorico oltre a mantenere gli ordinamenti giuridici distinti, rimise in vigore una legge romana che vietava i matrimoni tra Romani e barbari e sostenne la religione Ariana professata dal suo popolo. Dal punto di vista politico il Senato rimase un presidio della romanità mentre gli aristocratici Goti entrarono a far parte del consiglio del re; gli Ostrogoti vissero soprattutto nella Pianura Padana in abitazioni rurali mantenendo le loro tradizioni e la loro cultura bellicosa. Teodorico non fece nulla per agevolare un processo di integrazione tra il suo popolo e i Romani perché era consapevole che tra i due popoli esistevano troppe differenze perciò si sarebbe dovuto aspettare che i Goti si elevassero al livello dei Romani e che i Romani si aprissero di più alla cultura dei Goti; naturalmente operò sempre in modo che la cultura germanica non venisse mai soffocata di fronte a quella latina. Il sogno di Teodorico fu quello di essere «custode della libertà e propagatore del nome romano» ma alla fine si verificarono eventi che non ne permisero la piena realizzazione. Teodorico infatti aveva stretto alleanze matrimoniali con molti popoli germanici come Vandali, Franchi e Visigoti ma ben presto dovette fare i conti con il re dei Franchi Clodoveo che portò avanti una politica estera molto aggressiva. Contemporaneamente il papato strinse nuovi rapporti con l’impero d’Oriente, questa nuova alleanza fece sì che l’aristocrazia guardò con rinnovata fiducia all’imperatore e con diffidenza Teodorico che non aveva mai rinunciato a professare la religione ariana. Teodorico divenne molto diffidente e arrivò al punto di far incarcerare lo stesso pontefice Giovanni I; questo re morì nel 526 e con la sua morte iniziò la parabola discendente della storia degli Ostrogoti in Italia che toccherà il suo punto massimo nel 535 con l’arrivo in Italia di Giustiniano. 2.6. Gli altri regni romano-barbarici Prima di giungere in Italia Giustiniano (tra il 533 e il 534) sconfisse definitivamente i Vandali. Questo popolo si era stanziato in Africa ma i rapporti con gli indigeni non erano mai stati buoni poiché: - le confische erano state brutali e senza rispettare i principi dell’hospitalitas, - avevano effettuato persecuzioni ai danni dei cristiani ed effettuato pesanti sconfitte ai danni della Chiesa. La spinta delle tribù berbere resero questo popolo ( già privato della figura del suo re Genserico) più debole e fu così che Giustiniano li sconfisse facilmente. Dal disfacimento dell’impero romano d’Occidente nacquero due solidi organismi politici: il regno dei Visigoti e quello dei Franchi che furono guidati da sovrani capaci di creare una convergenza di interessi sia con l’aristocrazia romana che con la Chiesa. I Visigoti dopo aver saccheggiato Roma, si stanziarono in Aquitania e da lì cercarono di espandersi in Provenza e nella penisola iberica; il loro progetto espansionistico fu però fermato dai Franchi i quali li sconfissero a Voillè nel 507. I Visigoti furono respinti definitivamente nel territorio iberico e tutti i loro territori passarono in mano dei Franchi. In Spagna i Visigoti usufruirono dell’hospitalitas nella misura di due terzi e non di un terzo ma nonostante ciò l’aristocrazia non gli fu ostile ma anzi si creò un solido connubio tra le due parti. Grazie a tale unione si potè attuare anche un unico ordinamento giuridico (caso unico nell’Occidente di quel tempo) e fondare una monarchia sul modello di quella romana anche se i Goti preferivano sempre una successione elettiva e non dinastica cosa che a volte provocò problemi e contrasti tra le due popolazioni. La storia dei Visigoti in Spagna segnò un periodo di collaborazione e integrazione ma tale periodo di stabilità fu interrotto nel 711 con l’invasione degli Arabi. 2.7. Il regno dei Franchi In origine il popolo dei Franchi non era unito e coeso ma esistevano tanti piccoli aggregati lungo il bacino del Reno che furono inglobati a partire dal 482da Clodoveo, iniziatore della dinastia dei Merovingi. Clodoveo pian piano allontanò i Romani dalla Gallia, tolse l’Aquitania ai Visigoti, riuscì a espandersi a danno di altri popoli germanici e di piccoli gruppi etnici; solo Teodorico riuscì in parte a contrastarlo ma dopo la sua morte anche la Provenza e i territori oltre il fiume Reno furono conquistati dai Franchi. I punti di forza dei Franchi erano: - il dinamismo militare - la collaborazione con l’aristocrazia gallo-romana - la coesione con la Chiesa. Clodoveo capì subito quanto poteva essere importante l’appoggio della Chiesa così favorì una veloce conversione dal politeismo al Cattolicesimo; questa scelta cancello ogni diffidenza verso Clodoveo e il suo popolo e accelerò sia il processo di formazione di uno Stato basato sul modello romano sia l’integrazione fra aristocrazia romana e gota e poi fra i due popoli. I capi dei clan franchi impararono a gestire i grandi possedimenti fondiari e li utilizzarono non solo per scopi rurali ma anche per costruire monasteri e chiese mentre gli appartenenti all’aristocrazia gallo-romana pian piano assimilò gli elementi culturali e gli stili di vita dei Franchi. Anche i vescovi, scelti dal re tra i laici, mutarono il loro modo di pensare ma non mancarono esempi di alta spiritualità come fu Gregorio di Tours. Lo stato dei Franchi si sviluppò forte e coeso e l’ordinamento pubblico fu organizzato in distretti governati dai conti. Alla morte di Clodoveo il regno fu diviso tra i suoi 4 figli, si crearono così: - la Neustria tra la Loira e la Senna - l’Austrasia nel cuore della Germania - l’Aquitania dalle tradizioni gallico-romane - la Borgogna antico regno dei Burgundi. Queste quattro regioni oltre ad avere caratteristiche geografiche diverse presentarono ben presto molte differenze anche dal punto di vista politico, etnico e storico. Questa sparizione territoriale provocò lotte per la successione, frenò il dinamismo espansivo del regno e creò molta instabilità. terre nelle ani dei latifondisti; le città inoltre erano più popolose e numerose ma soprattutto erano più dinamiche dal punto di vista commerciale visto che i traffici nel Mediterraneo favorirono molti scambi e lo sviluppo del ceto mercantile. La classe aristocratica non fu più una casta chiusa e inaccessibile visto che chiunque poteva entrare a farne parte dopo aver ottenuto prestigio nella pubblica amministrazione, o nelle professioni o nelle attività economiche. L’assenza di un’aristocrazia chiusa, gerarchica e opprimente favorì inoltre una situazione più ottimale e libera per il governo imperiale che applicava le riforme in un clima sereno. Altri elementi differenti furono: il controllo dello Stato sulle Chiesa, la formazione di un esercito addestrato e il rafforzamento della flotta. 3.2. La crescita impetuosa di Costantinopoli L’11 maggio 330 l’imperatore Costantino nominò Costantinopoli nuova capitale dell’impero; la città sul Bosforo conobbe un rapido sviluppo che presto la mise in concorrenza con Roma che invece viveva una fase di declino. Costantinopoli acquistò il pieno titolo il ruolo di capitale perché fu dotata di tutte le strutture e di tutti i servizi che c’erano anche a Roma: - Costanzo II (337-361) istituì il senato, - fu creata l’annona per la distribuzione del grano alla popolazione, - furono allestiti i giochi nel circo, - fu costruito un ippodromo collegato al palazzo imperiale. La figura dell’imperatore fu sempre più sacralizzata e fu identificato con il difensore della dottrina cristiana; egli appariva al popolo a scadenze fisse e la sua figura era circondata da un alone di mistero. Gli uomini di chiesa orientali furono gli artefici di questo nuovo ruolo dell’imperatore che divenne anche arbitro delle contese riguardanti le dottrine di fede, a lungo andare finì con presiedere i concili ecumenici, nominare i vescovi delle più importanti sedi vescovili dell’Oriente e la stessa cerimonia di incoronazione si allontanò dalla tradizione romana assumendo invece sempre più una valenza religiosa. Tutti questi fattori favorirono una progressiva divaricazione tra Oriente e Occidente; una tappa iniziale di questa frattura fu la divisione dell’impero tra Onorio e Arcadio nel 395 ma fu la questione barbarica a segnare un punto di non ritorno in quanto in quanto l’Occidente vide un inserimento dei Germani nell’esercito e nelle strutture dirigenti di Stato e Chiesa in Oriente ci fu una chiusura netta verso i barbari ai quali fu negato l’accesso a qualsiasi alta carica sia civile, che militare, che ecclesiale. 3.3. Giustiniano e la ripresa dell’iniziativa imperiale Sia Zenone che Anastasio I (491-518) risolsero il problema delle invasione dei Germani orientali verso l’occidente ma dovettero affrontare due gravi problemi interni: 1. le continue rivolte del popolo suddito degli Isauri 2. i contrasti di origine religiosa che continuavano nonostante i vari pronunciamenti dei concili ecumenici. Il problema degli Isauri fu risolto con la deportazione di massa mentre i problemi religiosi continuarono a creare molti problemi come ribellioni a Costantinopoli e tensioni con la Chiesa di Roma. Quando Giustiniano salì al potere (527-565) ideò il progetto di riunire nuovamente sotto il potere di un unico imperatore Oriente e Occidente ma per far ciò era fondamentale ricucire i rapporti compromessi con il papa. Questa riconciliazione fu però ostacolata dalla questione dei Monofisiti, i quali erano sostenuti dalla moglie Teodora; Giustiniano fu convinto a concedere a questi delle libertà dottrinali e, su loro richiesta, tra il 543-544 emanò l’editto dei «Tre capitoli» con il quale condannava gli scritti di tre teologi nestoriani che invece erano stati approvati al Concilio di Calcedonia. Questo provocò la rottura con la Chiesa romana guidata dal papa Vigilio, proprio mentre era in corso la guerra con i Goti in Italia; il papa si rifiutò di ratificare l’editto e Giustiniano nel 546 lo fece rapire e portare a Costantinopoli dove fu costretto a piegarsi alle decisioni dell’imperatore creando così un vero scisma tra la Chiesa orientale e quella occidentale. Giustiniano mentre era ancora impegnato nella campagna militare in Italia volse i suoi interessi verso la Spagna dei Visigoti; l’occasione per intervenire gli fu presentata dallo stesso re visigoto e filo-cattolico Atanagildo, il quale chiese aiuto a Giustiniano per sconfiggere il vecchio re filo ariano Agila. L’esercito bizantino non ebbe perciò difficoltà a conquistare la parte costiera a sud della penisola fatto molto importante perché con questo ultimo pezzo di costa il Mediterraneo tornava ad essere “un lago romano” con ampi riflessi nei commerci internazionali. La restaurazione dell’impero universale infatti aveva come obiettivo quello di fare di Costantinopoli un collegamento tra tre continenti ma per fare ciò erano necessarie molte risorse finanziarie che l’imperatore reperì potenziando l’apparato amministrativo e i poteri dei funzionari e cercando invece di limitare i poteri e le ambizioni dell’aristocrazia che stava cominciando a mostrare interesse verso la creazione di grandi latifondi com’era avvenuto in Occidente. Sempre per iniziativa di Giustiniano nacque il Corpus iuris civilis con il quale si riorganizzò il grande patrimonio giuridico dei romani. 3.4. Dall’impero universale all’impero bizantino Giustiniano regnò per circa 40 anni, egli impiegò questo tempo per restaurare il vecchio impero sul piano politico, militare e ideale ma alla fine non riuscì a coronare il suo sogno ma al contrario si capì bene che nessuno mai sarebbe riuscito a farlo perché troppe e troppo forti erano le forze, sia interne che esterne, che separavano le due parti. I problemi interni riguardavano diversi aspetti; prima di tutto c’era la questione religiosa caratterizzata dalle numerose tensioni che l’imperatore non era riuscito a sedare e che al contrario alimentavano tendenze separatiste nelle province. quanto tutto l’impero mostrò le sue debolezze di fronte ai popoli che pressavano sui confini e specialmente ai Persiani. Furono proprio i Persiani che, presentandosi come protettori delle minoranze religiose perseguitate, approfittarono della situazione per occupare le province orientali, conquistarono infatti importanti città come Antiochia, Gerusalemme e Alessandria d’Egitto. Nel 610 Eraclio riuscì a deporre Foca e avviare una profonda riforma militare e amministrativa e cercò di riappropriarsi del potere nelle province orientali dell’Asia Minore che furono divise in circoscrizioni territoriali (i temi) con a capo uno stratega. Sempre Eraclio ebbe l’idea di legare gli uomini alle terre che difendevano motivandoli appunto con il possesso di tali terre in questo modo oltre ad essere soldati erano pure colonizzatori e piccoli proprietari fondiari. Questo intervento, e qui sta la novità, interessò oltre che i soldati anche ex mercenari, ex schiavi, contadini e immigrati che fuggivano dalle loro terre a causa dell’avanzata persiana. Tra il 626 e il 630 Eraclio riuscì a sconfiggere definitivamente i suoi nemici grazie all’appoggio della Chiesa, alla ritrovata identità patriottica, civica e religiosa, alla sua audacia e alla sua astuzia. Mentre infatti i Persiani, con il loro numeroso esercito formato da Slavi ed Avari, stavano attaccando Costantinopoli (città però capace di resistere a lunghi e pesanti assedi) Eraclio con il suo esercito si diresse nel cuore dell’impero persiano, la capitale Ctesifonte, e la conquistò facilmente in quanto era rimasta sguarnita delle sue difese. A questo punto Eraclio impose un trattato di pace che prevedeva: - la restituzione di tutti i territori occupati (Armenia, Mesopotamia, Egitto, Siria, Palestina), - il pagamento di un’indennità di guerra, - la restituzione delle reliquie rubate dai Persiani a Gerusalemme. Ristabilito l’equilibrio esterno Eraclio rivolse la sua attenzione ai problemi interni che riguardavano le questioni religiose e soprattutto le tensioni con i monofisiti che rappresentavano una buona parte della popolazione della Siria e della Palestina. Grazie all’aiuto del patriarca Sergio, nel 638 fu elaborata una formula teologica di compromesso tra le soluzioni del Concilio di Calcedonia e le idee dei monofisiti; tale formula affermava l’esistenza di Cristo nelle due nature (umana e divina) come detto a Calcedonia ma le presentava unite da una sola volontà (Monotelismo). Questa teoria, essenzialmente eretica, fu approvata anche dal pontefice romano Onorio ma i pontefici successivi capirono la vera natura di tale teoria e la osteggiarono; uno di questi pontefici fu Martino I che per volere di Costante II, nel 653, fu arrestato e deportato a Costantinopoli dove poi morì. Nel 680 Costantino IV trovò un accordo con il papa Agatone; si decise di tenere due sinodi (uno a Roma e uno a Costantinopoli) per decidere definitivamente sulla questione del Monotelismo. Alla fine dei sinodi il Monotelismo fu nuovamente condannato a favore delle dottrine elaborate nel 451 a Calcedonia. L’ostilità dei monofisiti costò però cara ad Eraclio, questi infatti delusi dall’imperatore, confidando nella loro tolleranza religiosa, accolsero con favore gli Arabi che conquistarono la Siria e la Palestina nel 638 e l’Egitto nel 640. 3.7. La funzione storica di Bisanzio Eraclio fu uno dei più grandi imperatori bizantini, purtroppo non riuscì a contenere l’inarrestabile avanzata araba che segnò la perdita di moltissimi territori; alla fine dell’VIII secolo del grande impero bizantino restavano solo i territori dell’attuale Turchia, la Tracia orientale e i territori italiani scampati alla conquista longobarda. Passata la fase critica (tra il IX e il X secolo), anche se con i confini molto ridimensionati, l’impero bizantino trovò le energie per riprendere una politica estera nei Balcani e in Italia; i bizantini civilizzarono anche gli Slavi e proprio da questa bizantinizzazione si è formata la cristianità slavo-ortodossa che ha influenzato la cultura dell’Europa orientale. CAPITOLO 4 L’Italia tra Bizantini e Longobardi 4.1. La guerra greco-gotica Nel 535 Giustiniano avviò la riconquista dell’Italia ; protagonista della prima fase di questa guerra contro i Goti fu il generale Belisario che riuscì a ricacciare oltre il Po i Goti. Nel 542 il re goto Totila tentò di formare un grande esercito arruolando anche contadini e schiavi ma anche in questo caso i Bizantini, comandati dal generale Naserte, riuscirono ad avere la meglio uccidendo sia Totila nel 552 che il suo successore Teia. Alcuni reduci dei Goti resistettero fino al 555 arroccandosi suo monti dell’Appennino ma non riuscirono comunque a fermare i Bizantini che ottennero il controllo sulla penisola. Giustiniano avviò un riassettò amministrativo, ogni genere di legge attuata da Totila in poi fu annullata mentre restarono valide quelle emanate durante il regno di Teodorico. Le terre estorte dai Goti ritornarono ai vecchi proprietari, i beni delle chiese ariane passarono a quella cattolica; l’Italia fu divisa in distretti affidati per il settore amministrativo a un iudex e per quello militare a un dux. Si mise in piedi un organizzato apparato amministrativo e si ridussero le spese pubbliche riducendo le risorse destinate ai soldati e ai poveri; questa scelta però risultò essere sbagliata in quanto favorì il diffondersi di un sentimento di delusione tra le truppe e di abbandono tra il popolo. 4.2. I Longobardi e la rottura dell’unità politica dell’Italia I Longobardi erano un popolo originario della Scandinavia, nel 568, guidati da loro re Alboino, giunsero in Italia passando dal Friuli; la loro fu una vera dominazione straniera perché il loro arrivo non fu concordato con l’imperatore né venne attuato il principio dell’ospitalità. Per dare un’impronta unitaria a tutta la Chiesa occidentale Gregorio Magno riordinò la liturgia romana, introducendo anche i canti che da lui hanno preso il nome (gregoriani), organizzò un’intensa missione di evangelizzazione a livello europeo tra i pagani e gli ariani (Visigoti e Longobardi) che ebbe come risultato più importante il battesimo del re inglese Etelberto. Tra le sue attività ci furono anche quelle legate alla difesa di Roma sostituendosi all’autorità imperiale; non mancarono infatti le occasioni durante le quali salvò la città dagli attacchi dei duchi longobardi facendo appello sia al suo prestigio che alle sue risorse finanziarie. La Chiesa possedeva molte risorse finanziarie che provenivano dallo sfruttamento di immensi patrimoni fondiari che Gregorio riorganizzò e utilizzò per assistere la popolazione romana e sostenere le attività missionarie in tutta Europa. 4.4. La fine del regno longobardo Solo un anno prima della sua morte, nel 603, Gregorio Magno riuscì ad assistere al battesimo con rito cattolico dell’erede di Agiulfo, Adaloaldo. Questo fu possibile perché la regina Teodolinda era cattolica e cercò di far diffondere tra il suo popolo questa religione anche se al battesimo non seguì una conversione di massa come si sperava. I duchi restarono sempre molto legati ai loro riti tradizionali e ciò comportò la creazione di due schieramenti, quello filo-cattolico e quello nazionalista, e l’alternarsi al trono di re cattolici e ariani. Al cattolico Adaloaldo per esempio seguì l’ariano Rotari (636-652) il quale fece mettere per iscritto le antiche leggi longobarde (editto di Rotari) e riprese con forza l’offensiva contro i Bizantini conquistando i territori liguri. Uno tra i più importanti sovrani longobardi fu però il cattolico Liutprando (712-744); durante il suo regno i Longobardi si convertirono definitivamente al cattolicesimo, si superò la divisione etnica tra Longobardi e Romani e si operò un’apertura dell’ordinamento giuridico. Questa forte coesione interna e i contrasti tra la Chiesa di Roma e Costantinopoli favorirono la decisione di Liutprando di conquistare tutta la penisola italiana; i Longobardi invasero la Pentapoli e l’Esarcato giungendo fino alle porte di Roma qui però papa Gregorio II gli andò incontro e lo convinse a desistere dai suoi propositi e fare un passo indietro. Liutpando accettò ma invece di riconsegnare le terre ai Bizantini nel 728 le consegnò alla Chiesa romana dando inizio al potere temporale dei papi. Con Liutprando e poi con Astolfo (749-756) tutti gli uomini liberi e dotati di reddito rientravano nella tradizione militare nel senso che tutti, sia Longobardi che Romani, dovevano prestare servizio militare. Si realizzò anche un avvicinamento tra mondo longobardo e Chiesa cattolica infatti quasi tutti i vescovi erano scelti tra l’aristocrazia longobarda che, per avere le simpatie della Chiesa, fondava e proteggeva monasteri ed elargiva cospicue donazioni. Una piena convergenza tra potere regio ed episcopato però non si realizzò mai a causa della ferma decisione della Chiesa di Roma di mantenere il proprio carattere universale non volendo perciò entrare a far parte e subire l’influenza del regno nazionale dei Longobardi. Fu questo uno dei motivo che fecero incrinare i rapporti tra queste due entità sotto il regno di Astolfo e di Desiderio (756-774); Desiderio aveva attuato un progetto espansionistico di grande portata e poiché la Chiesa non aveva le forze per contrastarlo chiamò in suo aiuto il popolo dei Franchi guidati prima da Pipino il Breve (754-756) e poi da Carlo Magno. La scelta di chiamare in aiuto i Franchi fu una mossa politica; i re Franchi non erano certo più religiosi dei Longobardi ma i sovrani longobardi fecero l’errore gravissimo di intralciare i disegni politici della Chiesa cosa che impedì qualsiasi tipo di conciliazione. 4.5. L’Italia bizantina Dopo l’invasione longobarda dell’Italia molti proprietari romani e membri del clero si rifugiarono nei territori rimasti sotto il controllo dei Bizantini e anche in questi territori il ceto dominante subì molte trasformazioni. I modelli culturali pian piano si avvicinarono a quelli dell’aristocrazia longobarda che, a sua volta, non potè fare a meno di subire, a partire dal VII secolo, le influenze della civiltà bizantina. Il problema cruciale a cui dovettero trovare una soluzione gli occupanti dei territori bizantini fu quello della difesa; il governo centrale non aveva le risorse militari da inviare in Italia perciò l’aristocrazia che prima aveva potuto condurre una vita agiata e oziosa si trovò costretta ad assumersi obblighi militari e a contribuire economicamente al sostentamento dell’esercito. I Bizantini avevano perso molti territori e quelli che erano rimasti sotto il loro controllo data la loro distanza avevano molte difficoltà di comunicazione; ben presto sorsero sentimenti regionalistici e i militati inviati da Bisanzio strinsero rapporti con l’aristocrazia del luogo creando una nuova classe di proprietari. Questa nuova classe sociale strinse rapporti con la Chiesa che affidava a membri laici del ceto dirigente latino la gestione dei suoi immensi patrimoni fondiari stringendo con essi rapporti di tipo clientelare. 4.6. Le origini dello Stato della Chiesa Alla fine dell’VIII secolo a Roma si ebbero importanti sviluppi politici e sociali infatti ebbe fine la dominazione bizantina e si instaurò il dominio pontificio che si rafforzò con l’appoggio dei Franchi. Questo cambiamento fu reso possibile grazie all’operato dei molti pontefici che si impegnarono a estendere il loro potere su tutto il Lazio stringendo saldi legami clientelari con l’aristocrazia sia romana che bizantina. Il senato di Roma divenne il luogo dove si riuniva l’aristocrazia cittadina fedele al papa; questi uomini davano al pontefice un sostegno politico-militare e si facevano carico dell’organizzazione burocratica del nuovo Stato nascente. Nella zona settentrionale, più a contatto con la Siria e l’Egitto, sorsero dei regnio come quello dei Nabatei che risentirono maggiormente dell’influenza egiziana, greca e romana. La maggior parte della popolazione araba era però costituita dai Beduini, un popolo che aveva i suoi valori nel coraggio, nella fierezza, nella sopportazione dei sacrifici e delle difficoltà. Questo popolo di nomadi era organizzato in tribù, ognuna con un antenato comune; tutti i membri di una tribù si aiutavano e accettavano le decisioni del capo elettivo affiancato da un consiglio e da un giudice. Le donne erano considerate come beni delle famiglie e venivano cedute al marito tramite il pagamento di una dote. La religione prevalente tra queste tribù era il politeismo, si adoravano infatti divinità personificazioni di pianeti, divinità varie e spiriti; le tribù del Nord però veneravano anche una divinità suprema, Allah (il Dio); non mancavano comunque comunità ebraiche e cristiane. Il punto di forza della penisola arabica fu la sua collocazione geografica infatti proprio dai territori della penisola dovevano passare le merci provenienti dall’India e dirette verso il Mediterraneo. Tutto il territorio era segnato dalle piste carovaniere che avevano come tappe le città più ricche dell’Arabia; tra queste assunse sempre più importanza la Mecca, un centro che già nel V secolo aveva una rilevanza per le sue sorgenti, i suoi traffici commerciali e la sua vitalità politica grazie alle attività della tribù dei Quraish. Questa tribù aveva preso il controllo della città, costruito un santuario detto Kaaba per la sua forma a cubo dove avevano riunito tutte le divinità arabe; la città divenne così un centro religioso ma anche politico in quanto tutti i membri delle famiglie più ricche e importanti si riunivano in un senato. La Mecca divenne una piccola repubblica oligarchica di tipo mercantile e qui nacque Maometto tra il 569 e il 571. 5.3. Maometto e la nascita dell’Islam Maometto era il nipote del custode della sorgente Zemzem, rimasto orfano fu allevato da uno zio e poi sposò una ricca vedova e raggiunse una buona posizione economica che gli permise di dedicarsi alla riflessione religiosa. Secondo la storia islamica nel 610 Maometto ebbe l’apparizione dell’arcangelo Gabriele il quale gli annunciò che lui era l’apostolo di Allah; nel 613 cominciò la sua missione evangelizzatrice; il suo messaggio puntava a far riconoscere Allah come unico e vero dio al quale tutti dovevano essere sottomessi e nel dovere si aiutare i poveri. Inizialmente i dirigenti quraishiti non diedero eccessiva importanza a questa nuova dottrina ma quando Maometto cominciò apertamente ad attaccare e prendere le distanze dal politeismo dicendo ai credenti di pregare rivolti verso Gerusalemme cominciarono le ostilità in quanto si temeva di perdere tutte le entrate legate ai pellegrinaggi alla Kaaba. Maometto intanto continuava la sua opera ma nel 622 capì di non poter più rimanere a La Mecca e il 24 settembre giunse nella città della famiglia materna Yathrib che cambiò il suo nome in Medina (città del profeta). Questa data è molto importante perché per i musulmani segna l’inizio di una nuova era; negli anni successivi l’originalità della religione islamica si evidenziò nettamente insieme al suo scopo di radicarsi nella tradizione araba; Maometto apportò molte novità: -nel 624 prese la decisione di sostituire La Mecca a Gerusalemme come punto di orientamento della preghiera, - sottolineò il carattere esclusivistico della fede islamica: l’unica vera fede, -istituì il digiuno nel mese di ramadan in ricordo della rivelazione che aveva ricevuto nella notte tra il 26 e il 27 ramadan. 5.4. Il Corano e i pilastri della fede islamica Il Corano è il libro sacro per i musulmani nel quale nel 632 (circa venti anni dopo la morte del profeta) venne fissato il pensiero di Maometto da coloro che gli erano stati più vicini e avevano vissuto mettendo in pratica i suoi insegnamenti. Nel Corano sono presenti numerosissime norme sia sulla pratica religiosa sia sulla vita sociale dei musulmani; facendo uno studio serio del testo si possono tuttavia estrapolare quelli fondamentali che costituiscono i pilastri della religione musulmana. Il primo pilastro è quello della doppia professione di fede (shahada): «Non c’è altro dio che Allah e Maometto è il suo inviato». Nella prima parte si afferma il carattere monoteistico della religione dicendo appunto che Allah è l’unico Dio mentre nella seconda parte si identifica in Maometto il profeta perfetto distinto dai tanti profeti presenti nell’Ebraismo e nel Cristianesimo. I credenti che si allontanano dall’islamismo compiono un grave peccato punibile con la morte, inoltre un musulmano poteva sposare una donna non musulmana a patto però da impartire la propria religione ai figli mentre invece una domma islamica non poteva sposare un uomo di diversa religione se questo non si convertiva. I pagani e politeisti caduti in mano agli islamici per non essere uccisi dovevano convertirsi mentre gli appartenerti alle altre religioni monoteiste potevano continuare a praticarla a patto di non fare proseliti. Il secondo pilastro è la preghiera; questa deve essere sempre compiuta con il volto rivolto alla Mecca e la si può recitare in forma individuale cinque volte al giorno o in forma comunitaria nelle moschee, il venerdì a mezzogiorno. Durante il raduno del venerdì si ascolta il sermone dell’iman, un direttore spirituale il quale ha il compito di mantenere vivo tra i credenti lo spirito comunitario e di uguaglianza. Il terzo pilastro è il ramadan: il mese consacrato alle pratiche di devozione, lettura del Corano e riflessione; durante questo mese è proibito mangiare ed avere rapporti sessuali prima del tramonto. Il quarto pilastro è il pellegrinaggio alla Mecca, almeno una volta nella vita; questo pellegrinaggio ha una funzione purificatrice e serve a rinsaldare ancora di più la fede. Il quinto pilastro è l’elemosina legale che consiste nel versare un decimo del proprio reddito; con i soldi ricavati si aiutano i fratelli indigenti. Man mano che i territori conquistati aumentavano si capiva bene come la società di uguali sognata da Maometto non poteva realizzarsi: i vecchi clan familiari ripresero vitalità, i capi tribù e di clan acquisivano sempre più potere e vantaggi materiali. I non arabi convertiti all’Islamismo inoltre avevano un trattamento diverso rispetto agli arabi musulmani: dal punto di vista religioso e fiscale non c’erano differenze ma non potevano entrare a far parte dell’esercito, non potevano perciò aver parte ai bottini né all’assegnazione delle terre. Agli inizi del VIII secolo per motivi militari la situazione cambiò; i progetti espansionistici erano molti e c’era bisogno di soldati così fu permesso il reclutamento di questi credenti che venivano pagati con uno stipendio. La dominazione araba era accettata da tutti i popoli sottomessi anche perché non era molto gravosa; Ebrei e Cristiani per esempio pagavano due tasse agli arabi ma poiché non erano gravose e inoltre potevano conservare la loro organizzazione sociale e religiosa non ci furono mai problemi. Anche al governo dei territori conquistati restarono i vecchi funzionari che venivano affiancati da esponenti dell’amministrazione araba; a capo di ogni provincia fu posto un governatore (l’emiro), un corpo di guardie, un giudice e un funzionario per il settore finanziario che aveva il compito di amministrare i bottini e controllare l’entrata di tutte le tasse pagate dagli infedeli e delle elemosine pagate dai musulmani. Il ruolo del califfo andò rafforzandosi sempre di più e molti di essi cercarono di istaurare una successione ereditaria; un primo tentativo fu fatto dal terzo califfo eletto durante il periodo del califfato elettivo: Othman (644-656) del clan degli Omayyadi. Othman favorì l’ascesa verso ruoli importanti ai vertici dello Stato dei membri del suo clan per averne l’appoggio; per assicurarsi anche l’appoggio dei guerrieri procedette con l’assegnazione a questi delle nuove terre conquistate stringendo perciò con essi legami clientelari. La famiglia degli Omayyadi perse il potere dal 656 al 660 ma una volta deposto Alì detennero iniziò la lunga serie dei califfi omayyadi (660-750). 5.7. La ripresa dell’espansione islamica e la crisi della dinastia omayyade La stabilizzazione del potere regnante coincise con una forte ripresa delle spinte espansive e il rafforzamento dell’apparato statale, ordinamento che di tentò di applicare a tutti i territori conquistati. Durante il governo di questa dinastia la capitale fu spostata a Damasco, in Siria, per pressare sempre di più l’impero bizantino e dei problemi interni legati al vitalismo dei clan furono risolti. Gli Arabi cercarono inoltre di espugnare Costantinopoli assediandola sia via terra che via mare ma non ci riuscirono e anzi nel 677 i Bizantini distrussero la flotta araba; la capitale bizantina però fu molto indebolita da questi ripetuti attacchi. Nel frattempo altri Arabi si spinsero nel Mediterraneo orientale occupando le isole di Cipro, Creta e Rodi e infine giunsero anche nel Mediterraneo occidentale. Anche l’Africa non fu risparmiata dall’espansionismo arabo: tutta la parte settentrionale fu conquistata in meno di 50 anni; Cartagine cadde nel 698 e nel 711 gli Arabi giunsero a Gibilterra, penetrarono in Spagna e dopo soli 5 anni erano già in Gallia. Qui però furono fermati nel 732 nella battaglia di Poiters e successivamente rinunciarono a penetrare ancora in Europa e si ritirarono in Spagna. Altro fronte di conquiste durante il califfato degli Omayyadi fu quello dell’Asia centrale e dell’India; anche qui la popolazione si convertì velocemente all’islamismo e l’arrivo degli Arabi favorì lo sviluppo dell’urbanesimo e dei commerci. Proprio in Asia però scoppiarono delle rivolte che furono fatali per la dinastia omayyade, queste nacquero in seguito alla difficile convivenza tra i nuovi convertiti e gli Arabi che concentravano nelle loro mani tutte le ricchezze. 5.8. L’avvento degli Abbasidi e l’apogeo della civiltà araba Nel 747 si verificò un’insurrezione armata che determinò la fine della dinastia degli Omayyadi; questa fu ideata dalla famiglia degli Abbasidi i cui membri si ritenevano i legittimi successori di Maometto in quanto discendenti dallo zio paterno del Profeta. Grazie all’appoggio degli sciiti conquistarono il potere e per prima cosa spostarono il centro dell’impero dalla Siria all’Iraq e qui al-Mansur, primo grande esponente della famiglia abbaside, fondò nel 762 la capitale Bagdad. Le novità apportate da questa nuova dinastia furono molte; prima di tutto si procedette con la riorganizzazione dello Stato su un nuovo modello di assolutismo orientale. Il califfo non fu più considerato semplicemente un sostituto di Maometto ma il rappresentante terreno di Dio stesso; il potere effettivo fu ceduto ai funzionari che riuscirono ad arricchirsi notevolmente. Uno di questi funzionari era il visir che era il responsabile dell’amministrazione centrale dello Stato. Dai cambiamenti non fu risparmiato nemmeno l’esercito; i reclutamenti non furono più fatti in base alle tribù visto che ormai era alta la percentuale di mercenari iraniani, berberi e turchi. Il fatto di limitare il predominio militare dei soli Arabi aveva come scopo quello di far affermare l’uguaglianza di tutti i musulmani di fronte allo Stato. I capi militari (amir) dell’esercito davvero molto importanti e influenti tanto che alcuni di loro si misero alla guida di movimenti secessionistici; per frenare tale tendenza fu istituita un’altra figura quella dell’emiro degli emiri: un capo supremo dell’esercito. Gli Abbasidi posero molta attenzione all’affermazione di un’unica lingua araba poiché questa avrebbe riflettuto l’unità religiosa e culturale oltre ad essere un mezzo di comunicazione tra tutti i popoli entrati nell’orbita islamica. Proprio durante il dominio degli Abbasidi si verificò un’eccezionale fioritura della cultura in nuovi campi: medicina, filosofia, fisica, astronomia e matematica mentre la produzione artistica espressa ad esempio nell’architettura sia civile che religiosa ebbe il massimo sviluppo durante la dominazione degli Omayyadi. Lo sviluppo culturale andò di pari passo con quello economico; il settore trainante fu quello agricolo che si perfezionò sempre di più grazie a molte Nel 1086 in Marocco si affermò la dinastia degli Almoravidi che estese i suoi domini anche in Spagna; a sua volta questa dinastia fu soppiantata da quella degli Almohadi che volle un ritorno all’islamismo puro. In Egitto prevaleva la dinastia dei Fatimiti i quali crearono un califfato autonomo e dominarono anche sul Maghreb e la Sicilia. L’Egitto godeva dei benefici dovuti alla sua posizione geografica che le conferiva un ruolo di rilievo per i commerci tra l’oceano Indiano e il Mediterraneo. 5.11. La Sicilia islamica La Sicilia per quasi tre secoli ha avuto la presenza araba nei suoi territori; già dal 625 gli Arabi operavano incursioni ne suoi territori ma le operazioni di conquista iniziarono nell’827 per iniziativa degli Aghlabiti. Le truppe arabe sbarcarono a Mazara, batterono i Bizantini a Corleone e si diressero a Siracusa che riuscì a resistere all’assedio per quasi mezzo secolo. Nell’831 intanto altre truppe conquistarono Palermo e tutta la Sicilia occidentale mentre tra l’842 e l’843 capitolò anche Messina. Nell’878, dopo un’eroica resistenza, Siracusa fu sconfitta e con essa la gran parte della parte orientale; in mano ai Bizantini restarono delle roccaforti come Taormina che fu conquistata nel 962. Durante la dinastia dei Kalbiti la Sicilia fu dichiarata emirato indipendente e attraversò un periodo di particolare floridezza e ricchezza sia economica e culturale; a testimoniarlo si può citare il rigoglio urbano di diverse città e su tutte di Palermo. Qui vennero costruiti numerosi edifici sacri e profani, si svilupparono numerose attività commerciali e artigianali e nuove tecniche agricole grazie anche all’abbondanza di acqua. In tutta l’isola ci fu un’elevata produzione di grano, frutta, ortaggi, cotone e altri prodotti che venivano esportati; gli Arabi inoltre portarono in Sicilia nuove colture come quella degli agrumi, della palma, del dattero e del papiro. Destinati all’esportazione erano anche molti altri prodotti come la carta-papiro di Siracusa, le stoffe pregiate e i prodotti minerari (oro, argento, ferro, piombo) estratti nei pressi dell’Etna. Dal punto di vista culturale la Sicilia ebbe un ruolo di rilievo sia per l’interpretazione del Corano ma anche per nuovi studi filologici e storiografici. In quasi tre secoli di dominazione la cultura araba ha donato molto e ancora oggi troviamo alcuni elementi arabi in alcuni termini, anche di uso quotidiano. 5.12. Gli Arabi, il Mediterraneo e l’Europa La conquista araba non causò una frattura nel Mediterraneo: i commerci dei prodotti tipici, gli scambi culturali e i contatti diplomatici continuarono sempre. La civiltà araba inoltre ebbe la straordinaria capacità di saper unire civiltà molto diverse tra di loro e in certi casi fu di stimolo all’Occidente nel far sperimentare nuove forme di potere politico e di valori spirituali. CAPITOLO 6: 2)La nascita dell’ Europa Economia e società nell’Alto Medioevo 6.1. Il paesaggio e l’ambiente Tra il VI e l’VIII secolo l’Occidente cristiano attraversò un periodo involutivo che colpì tutti i settori della società. I segni di questo processo furono evidenti: le campagne furono abbandonate, molte città scomparvero e quelle rimanenti videro ridursi la propria estensione visto che gli abitanti preferirono radunarsi nelle zone cittadine meglio difendibili. Oltre alle città scomparvero i numerosi villaggi che i romani avevano costruito lungo le maggiori reti viarie che, a causa della mancata manutenzione, si deteriorarono; le vie non furono più curate poiché non c’era bisogno di utilizzarle visto che i commerci e gli scambi tra le diverse città cessarono quasi del tutto. Questo generale stato di abbandono interessò anche l’ambiente: glia argini dei fiumi non furono più curati, le paludi avanzarono e molte terre non furono più coltivate. 6.2. Il bosco tra realtà e rappresentazione mentale In seguito all’abbandono dei terreni si verificò una dilatazione delle foreste soprattutto nelle regioni al di là del Reno. Le foreste per le popolazioni dell’Alto Medioevo ebbero molta importanza sia materiale ed economico ma anche nell’ambito dell’immaginario. Per quanto riguarda l’importanza materiale si deve dire che la foresta era: - fonte di cibo infatti la caccia era praticata liberamente e inoltre le persone raccoglievano i frutti che nascevano spontaneamente; - la foresta inoltre dava la legna, essenziale per riscaldarsi, costruire case, mobili e attrezzi; Questi contadini erano tenuti a corrispondere al proprio padrone parte del raccolto e alcune giornate lavorative (le corvée) oltre che delle prestazioni in natura come polli, uova o utensili. Concessioni di terre furono fatte anche a favore dei contadini liberi ai quali però veniva chiesta una quota minore del loro guadagno; quando la crisi statale si fece più grave questi coloni divennero piccoli proprietari e la grande proprietà si venne articolando in terre date in concessione ai coloni liberi o di condizione servile (pars massaricia) e in terre gestite direttamente dal proprietario (pars dominicia). Le due parti insieme anche a boschi, prati e terre incolte formava la curtis costituita perciò da tutti i beni che facevano capo al padrone. 6.6. Il ruolo delle prestazioni d’opera Per capire la consistenza effettiva del fenomeno delle prestazioni d’opera bisognerebbe analizzare con cura i polittici, cioè gli inventari dei grandi monasteri dove venivano annotate le proprietà e le attività in essa svolte. Sintetizzando potremmo dire che dagli studi storici compiuti si è arrivati alla conclusione che si cercava di stabilire un certo equilibrio tra le terre date in affitto e quelle date in conduzione diretta, nel senso che l’estensione di queste ultime era in rapporto al numero di prestazioni d’opera, su cui era possibile fare affidamento. Ogni curtis poi gestiva questo problema in modo diverso, secondo le proprie necessità. L’integrazione tra riserva e massaricio fu l’espressione caratteristica dell’economia curtense che non fu, come si crede, interamente votata per l’autoconsumo poiché le eccedenze venivano vendute in cambio di utensili o trasportate in altre curtis di proprietà dello stesso signore. 6.7. Le origini dei poteri signorili Il padrone delle terre deve essere chiamato signore; esso aveva pieni poteri sui suoi servi che gli dovevano obbedienza. In origine la condizione degli schiavi era ben diversa da quella dei coloni liberi; con la diffusione del Cristianesimo (nonostante la Chiesa non condannò mai la schiavitù) le loro condizioni migliorarono e gli fu concesso di farsi una famiglia e possedere qualche bene. I proprietari fondiari divennero invece protettori dei loro dipendenti e cercarono di far valere anche la giustizia: organizzavano la difesa del territorio, decidevano in merito a piccole controversie, prestavano sementi o grano per far fronte alle carestie. In questo modo i piccoli proprietari si trovarono ad essere sempre più dipendenti dal proprietario fondiario di cui riconoscevano l’autorità. 6.8. Economia naturale ed economia monetaria In molti credono che durante l’Alto Medioevo l’Europa tornò a un tipo di economia naturale fondata solo sui baratti e con un esiguo numero di scambi; l’Europa era sì impoverita ma ciò non causò l’assenza totale dei commerci. Le stesse curtis infatti non riuscivano ad avere un’autosufficienza produttiva (si pensi alla necessità di stoffe o metalli); è stata testimoniata l’esistenza di fiere e mercati locali in cui si vendevano i prodotti in eccedenza e durante i quali gli abitanti di villaggi diversi avevano contatti. Anche le città, sebbene molto ridotte, continuavano ad essere sede delle botteghe artigianali e non è vero che in città non andava più nessuno visto che ogni contadino vi si recava per stilare contratti agrari, per portare al signore i prodotti dovuti, per partecipare alle funzioni religiose. Naturalmente il commercio monetario riguardava pochi beni e venivano coniate per la maggior parte monete d’argento di poca valuta; le pochissime monete d’oro venivano utilizzate per acquistare i beni di lusso provenienti dall’Oriente mentre quelle in eccesso venivano fuse per realizzare gioielli o oggetti sacri per la chiese. CAPITOLO 7 L’impero carolingio e le origini del feudalesimo 7.1. L’ascesa dei Pipinidi La storia dell’Europa nell’Alto Medioevo fu segnata anche da una serie di eventi politici che crearono le premesse per una rinascita; alcuni di questi importanti eventi sono legati all’evoluzione del regno dei Franchi. Dopo la morte di Clodoveo il regno era stato diviso in quattro parti: la Neustria, l’Austrasia, l’Aquitania e la Borgogna e ciò aveva causato un indebolimento del potere regio. La società franca era impregnata di valori militari così ben presto si formalizzarono i caratteri di una vera e propria cerimonia che formalizzava l’ingaggio del cavaliere;durante questa cerimonia definita «dell’omaggio» il giovane guerriero (vassus) giurava fedeltà e si legava al suo signore con un vincolo di fedeltà. La ricompensa per questi servizi e per la fedeltà data fu usato il termine di «feudo» che prima indicava gli animali e poi invece cominciò a indicare i beni fondiari; la concessione delle terre avveniva durante un’altra cerimonia, quella dell’investitura. Ogni cavaliere oltre ad avere abilità e buone caratteristiche fisiche doveva avere anche un armamento efficace come cavalli, armature pesanti e armi resistenti. Per avere tutto questo era necessario avere molto denaro ed è per questo motivo che poterono diventare vassalli e guerrieri solo i membri delle ricche famiglie aristocratiche. Al tempo di Carlo Martello i Pipinidi puntarono su un grande ampliamento delle clientele vassallatiche e provvedevano loro stessi all’armamento giovandosi dell’immenso patrimonio che avevano a loro disposizione. Oltre che nominare e dotare di armi nuovi cavalieri Carlo Martello ingaggiò anche membri dell’aristocrazia che potevano da soli fronteggiare le spese per il loro armamento. Questo sistema di clientele politico-militari creò attorno ai Pipinidi un vasto aggregato di alleati che non si opposero quando Pipino spodestò dal trono l’ultimo esponente della dinastia merovingia. 7.3. La ripresa dell’espansionismo franco e la conquista dell’Italia I Franchi avevano perciò un forte potere militare che Pipino il Breve, una volta salito al trono, sfruttò subito per iniziare la sua espansione in Europa. Il primo popolo che i Franchi sconfissero fu quello dei Longobardi; come ben sappiamo i Longobardi si trovavano in Italia e proprio nell’VIII secolo, guidati dal re Astolfo, stavano cercando di completare la conquista di tutti i territori rimasti in mano ai Bizantini. I longobardi fecero l’errore di avvicinarsi troppo ai possedimenti della Chiesa; il pontefice Stefano II nel 754 infatti, sentendosi minacciato, si recò in Francia a chiedere aiuto a Pipino. Stefano II conferì a Pipino il titolo di patrizio dei Romani che aveva il significato di protettore della Chiesa romana. Pipino non si fece convincere subito anche perché a corte c’era un forte partito filo longobardo che era capeggiato dal fratello del re (il monaco a Montecassino) e che si oppose a un intervento franco. Nel 755 Pipino decise di avviare la spedizione militare e subito fu palese la differenza tra l’esercito potente e ben organizzato dei Franchi e quello formato da uomini liberi dei Longobardi. Quest’ultimo fu letteralmente travolto dalle schiere franche alla Chiusa di San Michele, l’esercito si rifugiò poi a Pavia ma cadde dopo un breve assedio. Pipino strappò ad Astolfo la promessa di cedere al papa tutti i territori Bizantini che avevano conquistato e la città di Ravenna ma appena si allontanò dall’Italia Astolfo si rimangiò la promessa e attaccò Roma. Pipino fu allora costretto a intraprendere una nuova missione nel 756 e questa volta sconfisse definitivamente Astolfo il quale fu costretto a cedere gli ex territori bizantini alla Chiesa. Anche dopo questa seconda missione Pipino non richiese nulla in cambio e onorò solamente il suo titolo di protettore della Chiesa tanto che il successore di Astolfo, re Desiderio mostrò propositi pacifici volendo stringere rapporti di amicizia con i Franchi. A sancire questi nuovi rapporti tra i due popoli furono i matrimoni dei due figli di Pipino (Carlomanno e Carlo) con le due figlie di Desiderio (Gerberga e Ermengarda): la pace durò circa 15 anni durante i quali morirono il papa, Pipino e Carlomanno. Carlo, rimasto erede, ripudiò la moglie e scacciò la vedova e i figli del fratello; questi tornarono da Desiderio che per vendicarsi attaccò i territori pontifici e la stessa Roma causando di nuovo l’intervento dei Franchi chiamati dal nuovo papa Adriano I. Anche questa volta i Franchi ebbero la meglio:nel 773 Carlo confisse i Longobardi e dopo aver assediato Pavia per dieci mesi costrinse Desiderio a seguirlo in Francia come prigioniero. Il figlio Adelchi provò a fare qualcosa ma nulla potè contro la potenza franca e fu costretto a cercare rifugio in Oriente mentre invece i duchi longobardi si sottomisero senza opporre resistenza al vincitore al fine di poter mantenere i loro patrimoni. Nel 776 però, in seguito a un tentativo di rivolta dei duchi, Carlo inviò propri funzionari, conti e vassalli franchi che assicurarono al sovrano un maggior controllo sul territorio italiano. 7.4. Le altre conquiste di Carlo Carlo oltre che sul fronte italiano fu impegnato anche su altri fronti sia interni (imporre l’autorità regia su Borgogna e Provenza) che fuori dai confini franchi. Nel 778 con un ingente esercito si recò verso la Spagna con l’obiettivo di mettere fine alla minaccia musulmana dei Mori e dei Saraceni ma dopo la vittoria a Pamplona fu costretto a tornare indietro per fronteggiare una rivolta dei Sassoni. Durante la ritirata il suo esercito cadde in un’imboscata dei Baschi presso Roncisvalle dove persero la vita molti cavalieri tra cui il leggendario Rolando la cui sofferenza di Carlo fu menzionata negli Annales regni Francorum. Nell’801 Carlo intraprese una nuova spedizione in quei territori e nell’813 riuscì a creare il nuovo distretto della Marca hispanica comprendente la Navarra e la Catalogna. Negli anni tra la prima e la seconda spedizione Carlo aveva affrontato dei problemi a Nord e a Est del suo regno: a Nord infatti i sassoni mostravano una fiera resistenza all’autorità franca e alla diffusione del Cristianesimo. Carlo era riuscito a piegare i nobili ma non la grande massa di contadini che si mantennero in armi per molti anni. Solo nell’804 finalmente si raggiunse una situazione pacificata e si potè dare un nuovo ordinamento ecclesiastico. Nella parte orientale in concomitanza con la rivolta sassone c’era stata la rivolta della Frisia e della Baviera rivolte che persero subito vigore dopo la sconfitta dei sassoni; nel 788 Carlo incorporò al suo regno Frisia, Baviera, Carinzia e Austria. Con queste annessioni il regno franco aveva raggiunto notevoli dimensioni estendendosi in tutta l’Europa centrale, in Spagna, nell’Italia centrale, nel bacino dotazione della carica(res de comitatu). Nelle mani di questi funzionari pubblici, che spesso erano anche feudatari del re e che possedevano terre per diritto di famiglia, si concentrò un grande patrimonio fondiario. Per tenere sotto controllo questi funzionari Carlo aveva a sua disposizione dei suoi fedelissimi chiamati vassi dominici i quali erano sottoposti alla giurisdizione del funzionario pubblico ma la loro presenza era segno di equilibrio e della presenza del sovrano. Per mantenere sempre situazioni di equilibrio nei distretti si fece ricorso anche a un antico istituto giuridico romano: quello dell’immunità. All’immunità fiscale che sottraeva dal fisco le terre del demanio imperiale, si aggiunse quella di carattere giurisdizionale: all’interno della contea esistevano delle terre immuni dove solo l’immunità(istituto giuridico nato in età romana) poteva riscuotere imposte o esercitare i poteri giuridici. Queste terre erano come delle isole che riducevano l’autorità dei funzionari pubblici anche se frenava la crescita del distretto. Dal punto di vista dell’ordinamento dell’impero possiamo dire che ci fu un mutamento in positivo in quanto tutto divenne più strutturato e ordinato. L’amministrazione dell’impero aveva la sua sede nel palazzo; con il termine palatium si indicava allo stesso tempo sia la residenza dell’imperatore che l’insieme di tutti i funzionari e dei dignitari del suo seguito. Un ruolo di primo piano era affidato a tre funzionari: 1. l’arcicappellano: preposto a tutti gli affari di natura religiosa 2. il cancelliere: responsabile della redazione di diplomi, lettere del re e testi legislativi 3. i conti palatini: responsabili dell’amministrazione della giustizia e delegati del re in casi eccezionali. Tra i personale di palazzo Carlo sceglieva anche i missi dominici, degli ispettori che inviava in coppia (un laico e un ecclesiale) a visitare una contea e controllare l’operato dei funzionari. Questa organizzazione amministrativa era sì efficiente ma sempre inferiore a quella di Costantinopoli, inoltre la corte non aveva una sede fissa ma si spostava sempre per consumare in loco le risorse delle diverse ville imperiali. Questi spostamenti avevano però il carattere positivo di creare un rapporto più stretto con le comunità locali anche se la corte gravitava sempre nei territori limitrofi ad Aquisgrana. 7.7. L’attività legislativa di Carlo Magno Carlo Magno cercò di dare omogeneità ai suoi domini con un’intensa attività legislativa concretizzata nei capitolari, leggi formate da brevi articoli (capitula) emanate durante i placiti: assemblee che si riunivano circa due volte all’anno. I capitulari trattavano materia di diritto pubblico e l’organizzazione dell’apparato ecclesiastico mentre solo alcuni di essi, i capitularia legibus addenda, erano integrazioni delle leggi nazionali e trattavano perciò anche argomenti di diritto privato e penale. Gli interventi in campo economico furono anche frequenti sia per migliorare la gestione delle ville facenti parte del patrimonio regio ma anche per proteggere piccoli proprietari e ceti rurali dalle pressioni dell’aristocrazia che spesso sfruttava la povertà dei contadini a proprio vantaggio. Sempre per proteggere le classi meno fortunate Carlo cercò di fermare l’aumento dei prezzi ma tutte queste leggi valevano a ben poco visto che il già esiguo apparato amministrativo del re era formato da funzionari pubblici aristocratici che non erano disposti a far rispettare quelle leggi che andavano a colpire la loro classe sociale di appartenenza. I capitolari trattarono anche la materia fiscale e monetaria. L’economia monetaria romana era ormai solo un ricordo e non era ancora possibile dare l’avvio a un sistema di imposte fondiarie così si pensò di regolamentare le imposte dei dazi e dei pedaggi per strade, ponti e valichi anche per non ostacolare quei pochi traffici che esistevano. In campo monetario i funzionari carolingi cercarono di recuperare il pieno controllo di tutte le zecche evitando la produzione di monete di scarso prestigio e favorendo invece la produzione di quelle d’argento. La moneta circolante fu il soldo per le merci di valore elevato mentre il denaro si usò per le transazioni più frequenti. 7.8. La riforma di chiese e monasteri Sia il padre di Carlo come poi anche lui e il suo successore si impegnarono molto nell’opera di restaurazione della Chiesa e questo per motivi politici oltre che religiosi. Per gli ecclesiastici di corte l’impero coincideva con tutta la comunità cristiana che era retta, in comunione di intenti dal papa e dall’imperatore. Da parte sua Carlo sceglieva vescovi e abati tra coloro che gli erano più fedeli proprio perché le istituzioni ecclesiastiche svolgevano un ruolo importantissimo nell’inquadrare la popolazione e dare stabilità al suo dominio. Non a caso quando un nuovo territorio veniva annesso all’impero subito venivano mandati i missionari e veniva introdotto il modello organizzativo della Chiesa franca che si costituiva in province (con a capo gli arcivescovi), diocesi e pievi (circoscrizioni parrocchiali) dove vivevano piccole comunità di chierici. Uguale zelo fu rivolta nell’opera di riforma dei monasteri; la nobiltà franca forniva ai monasteri protezione politica e militare anche perché spesso a capo di questi venivano scelti abati e badesse appartenenti alle stesse nobili famiglie. I monasteri però avevano perso ogni prestigio religioso a causa dell’affievolirsi della disciplina interna e della dispersione dei loro patrimoni a causa della cattiva gestione di abati senza una vera e autentica vocazione. Fu premura di Carlo Magno ristabilire l’antica disciplina e negli anni a lui successivi Ludovico il Pio impose ai monasteri la regola di san Benedetto; la riforma religiosa previde anche un progetto che mirava ad elevare il livello culturale dei monaci e dei chierici attraverso delle scuole presso le chiese e i monasteri dove vennero insegnate Ludovico, con il suo carattere debole e poco intraprendente, non riuscì a fronteggiare le richieste dei figli minori; ne seguirono tensioni e scontri che videro infine tutti e tre fratelli ribellarsi al padre. Ludovico cercò di allargare la sua base di consenso concedendo nuovi benefici ai vassalli facendo impoverire sempre di più il patrimonio del fisco. Anche la Chiesa ebbe un comportamento ambiguo perché da un lato sanciva l’indivisibilità del sacro impero dall’altro però l’arcivescovo di Lione, Agobardo, affermò pubblicamente che quando un imperatore non fosse più stato in grado di governare e garantire stabilità e pace sarebbe stato compito del pontefice intervenire al suo posto. Questa affermazione fu gravida di conseguenza in quanto creò le premesse per gli interventi anche in campo politico della Chiesa. Nell’840 Ludovico il Pio morì e la situazione precipitò a causa degli scontri tra Lotario e i fratelli Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo (succeduto a Pipino); l’alleanza dei due fratelli ebbe la meglio su Lotario che nell’843 fu costretto ad accettare il trattato di Verdum che sanciva la divisione dell’impero: - a Carlo il Calvo andò la parte occidentale (Neustria, Aquitania e marca spagnola), - a Ludovico il Germanico la parte orientale (Carinzia, Baviera, Alemannia, Turingia e Sassonia, - a Lotario la parte centrale (nord Italia, Provenza, Borgogna, Lorena e Olanda) e il titolo imperiale che però era privo di ogni validità fuori dai suoi confini. Lotario si trovò inoltre a dover governare territori molto diversi tra loro, poco omogenei sia culturalmente che linguisticamente; morì nell’855. A Lotario succedette il figlio Ludovico II che morendo nell’876 lasciò il suo regno e la corona allo zio Carlo il Calvo che regnò fino all’884. Poiché né Ludovico II né Carlo avevano lasciato eredi il figlio di Ludovico il Germanico, Carlo il Grosso, potè di nuovo riunire sotto il suo controllo tutto l’impero che aveva conquistato Carlo Magno. Purtroppo Carlo il Grosso non fu capace di fronteggiare le incursioni dei Normanni, gli intrighi di corte tessuti dall’aristocrazia; il suo carattere debole lo indusse ad abdicare nell’887 e ritirarsi in un monastero dove morì l’anno dopo. La parte orientale con la dignità imperiale andò ad Arnolfo di Carinzia; la Francia andò al conte di Angers, re Oddone; il regno d’Italia fu attribuito al marchese del Friuli Berengario il quale era lontanamente imparentato con i Carolingi. 8.2. La dissoluzione dell’ordinamento pubblico Questa volta la dissoluzione dell’impero sembrò veramente definitiva visto che, al contrario delle altre volte in cui si verificarono delle fratture territoriali, la crisi interessò l’intera organizzazione dell’impero e a tutti i livelli. Il potere centrale faceva ormai troppa fatica a frenare i poteri locali, i feudi e le stesse cariche erano diventate ereditarie; si crearono delle piccole realtà anche all’interno delle contee che sfuggirono al controllo del conte il quale riuscì a mantenere una certa autorità solo nei territori del feudo e suoi possedimenti privati. L’unico mezzo che i conti avevano per dare stabilità al loro potere erano i rapporti vassallatici ma spesso superavano i confini delle loro circoscrizioni creando tensioni con le grandi signorie monastiche e vescovili che però tendevano ad espandersi molto forti dell’immunità di cui godevano. Queste immunità creavano Stati nello Stato e causarono la nascita di signorie più o meno ampie all’interno delle quali i titolari svolgevano tutti i compiti di un vero e proprio sovrano (potere militare, fiscale, giudiziario, amministrativo, legislativo). Per indicare queste nuove realtà dell’Europa tra il IX-X secolo si usa l’espressione di «signoria bannale» (banno= potere di comando per una finalità pubblica); spesso grandi proprietari terrieri esercitavano abusivamente i poteri di comando poiché non avevano mai ricevuto deleghe dal re né dai suoi funzionari. Questa grande debolezza dell’amministrazione carolingia era stata causata dal carattere rudimentale del suo ordinamento; il sistema dello stipendio ai funzionari in un regno ancora povero di risorse monetarie aveva infatti indotto i sovrani a ricompensare con le terre i suoi funzionari ma non si era tenuto in conto che ogni funzionario si sarebbe radicato in quel territorio cercando di sottrarlo al patrimonio regio. Tale processo tra la fine del IX secolo e l’inizio del X subì un’accelerazione a causa delle migrazioni di nuovi popoli e delle incursioni dei Saraceni sulle coste francesi e italiane. 8.3. Le invasioni degli Ungari La formazione dell’impero franco non aveva fermato le migrazioni dei popoli seminomadi che continuavano a spostarsi nelle zone che non avevano ancora una sistemazione etnico-territoriale. Durante la seconda metà del IX secolo nell’area che si estendeva dal Baltico fino al Mediterraneo dalla Russia centrale arrivarono gli Ungari; tra l’895 e l’896 di stanziarono in Pannonia (l’attuale Ungheria) e da lì partivano per compiere incursioni predatorie sia nell’Europa carolingia sia in Germania, in Francia (nel 937 raggiunsero Parigi) e in Italia (nell’899 devastarono Pavia e nel 947 giunsero fino in Puglia); nel X secolo gli Ungari si spinsero fino in Spagna e in Belgio. Le formazioni politiche nate dopo la dissoluzione dell’impero furono del tutto inadeguate a far fronte alla minaccia di questo popolo e, poiché non avevano risorse militari, cercarono di fermarli offrendogli denaro e cercando di indirizzarli verso territori nemici. I monasteri, privi di difese e ricchi di beni, furono i più colpiti da questi saccheggi mentre le città non subirono gravi danni poiché i nemici non sapevano organizzarsi per pore la città in assedio per lunghi periodi. La minaccia degli Ungari finì quando in Germania Ottone I riorganizzò il regno di Germania e li sconfisse in una battaglia presso Augusta (955) e quando tra il popolo ungaro si diffuse la religione cristiana (la conversione fu sanzionata nel 1001) che ebbe il merito di dare una forte limitazione alla loro spinta espansionistica. 8.4. Le incursioni dei Saraceni Un’altra minaccia all’Europa cristiana arrivò dai Saraceni; questi dopo aver completato la conquista della Sicilia nel 902 iniziarono ad attaccare e compiere razzie in tutto l’Occidente. Il territorio che venne letteralmente investito dalle razzie arabe fu l’Italia che pagava il prezzo per la sua fragilità causata dalla disgregazione politica; i Saraceni Con la costruzione dei castelli la distribuzione della popolazione nel territorio fu molto modificata in quanto i piccoli agglomerati sparsi cominciarono a unirsi all’ombra della fortezza per essere meglio protetti ne risultò che rimasero in funzione le reti viarie che collegavano i centri fortificati e le pievi rurali scomparvero per far posto alle parrocchie che nacquero nell’ambito territoriale del castello. 8.7. Il groviglio dei diritti signorili e l’evoluzione dei rapporti vassallatico-beneficiari L’Europa del X secolo non fu comunque caratterizzata dalla completa assenza di un ordinamento pubblico che esercitasse un potere sul territorio al contrario la società, abbandonata a se stessa, dava vita a una moltitudine di poteri che entravano in conflitto tra di essi e diedero vita a quel che si definisce «il secolo di ferro». La società dava segni di vitalità e proprio durante questo secolo cominciò a riorganizzare le proprie strutture riorganizzandosi dal basso con nuove metodologie più adeguate alla società di quel periodo. I problemi erano molti, ad esempio una famiglia poteva avere in affitto terre appartenenti a signori diversi, i domini signorili non erano definiti e il territorio risultava perciò molto frantumato. Anche l’istituzione del vassallaggio entrò in crisi poiché subì un profondo cambiamento di significato infatti se in origine il feudo era la ricompensa per una già consolidata fedeltà adesso il processo si era invertito, un signore doveva dare un feudo per avere in cambio la fedeltà di un vassallo. Un cavaliere poteva anche prestare l’omaggio e fedeltà a più signori per ottenere più feudi e se i due signori fossero entrati in conflitto si sarebbe schierato dalla parte del signore che gli aveva concesso il feudo più grande; il feudo, inoltre, divenne patrimonio familiare ed ereditario. Il risultato di questi cambiamenti e la nascita dei nuovi poteri locali ebbe come risultato la nascita di una complessa rete di rapporti politici caratterizzata però dalla frammentarietà e dalla frantumazione politica. Solo i grandi complessi feudali riuscirono a mantenere una struttura più o meno stabile e a far valere i propri principi. In Francia, ad esempio, la famiglia dei Robertingi assunse la corona con Ugo Capeto (987-996) ma il potere regio si esercitava solo su una zona ristretta compresa tra Parigi e Orléans mentre il resto del territorio era strutturato in tanti piccoli organismi territoriali autonomi. 8.8. La crisi dell’ordinamento ecclesiastico All’Europa del X secolo mancarono le risorse materiali ed intellettuali per far funzionare delle grandi strutture organizzative e la prova è data dal fatto che oltre alla crisi dell’ordinamento pubblico carolingio si assistette alla contemporanea crisi dell’ordinamento ecclesiastico. Durante il regno di Carlo Magno e dei suoi immediati successori si cercò di innalzare il livello culturale del clero, di destinare ingenti somme per l’efficiente funzionamento di chiese e monasteri che avevano il compito di evangelizzare e aiutare i poveri. Tra il IX e il X secolo però questa buona riforma fu abbandonata e il clero attraversò un periodo di profonda crisi poiché i vescovi cominciarono ad occuparsi delle questioni materiali tralasciando le attività spirituali e religiose per dedicarsi a intessere rapporti di vassallaggio. Alcuni membri del clero arrivarono al punto di assegnare in feudo le stesse risorse della Chiesa, interferivano nella gestione patrimoniale dei monasteri; i vescovi inoltre avevano il controllo su molte chiese infatti la legislazione canonica prevedeva che il proprietario di una chiesa avesse solo il dovere di presentare al vescovo il chierico che lui aveva scelto ma sia le funzioni di carattere religioso (come i programmi dell’attività pastorale) sia i compiti inerenti all’amministrazione dei beni settavano al vescovo. Nella realtà invece al vescovo restava poco o nulla dei vecchi compiti in quanto poteva opporsi alla scelta dei laici solo in caso di apparente indegnità del candidato; le chiese si sentì forte l’ingerenza dei laici, questo fenomeno si manifesto però anche a livelli più alti visto che re e principi non esitavano a imporre propri prescelti alla guida di diocesi e abbazie per assicurarsi un solo sostegno. In Italia e Germania al tempo di Ottone I alcuni vescovi vennero addirittura nominati conti e furono così direttamente coinvolti in affari di natura temporale. I successori di Lotario riuscirono a controllare anche il papa; Ludovico II esercitò un diretto controllo sulla stessa elezione dei pontefici ma si scontrò con il carattere energico e deciso di Niccolò II (858-867) il quale cercò, senza però ottenere risultati degni di nota, di far nuovamente affermare il primato della Chiesa sui poteri temporali. Il papato era troppo debole e pressato da due fronti: il potere imperiale da un lato e quello dell’aristocrazia romana dall’altra. CAPITOLO 9 L’Italia fra poteri locali e potestà universali 9.1. La frantumazione politica dell’Italia All’interno del complesso quadro socio-politico dell’Europa nel X secolo l’Italia mostrò caratteri particolari; nei suoi territori si verificarono tutti i fenomeni esistenti nel resto dell’Europa ma ciò che la caratterizzò fu la coesistenza di localismo (esasperato particolarismo politico) e universalismo (presenza di autorità con funzioni universali). Il quadro politico della penisola era molto frammentato in quanto esistevano diverse entità sul piano giuridico-politico: • l’Italia settentrionale e quella centrale formavano il Regno d’Italia a cui fu pure associata la dignità imperiale; • Puglia, Basilicata, Calabria meridionale e parte della Campania erano inserite nell’impero bizantino; • i territori meridionali (ducato di Benevento, Salerno e Capua) erano in mano ai Longobardi. • nel 902 gli Arabi avevano completato la conquista della Sicilia. Il fratello del papa, Alberico, promosse però una rivolta popolare per fermare questa incoronazione e fino al 954 governò sapientemente la città e il papato con il titolo di «principe e senatore dei Romani». Alberico non permise a nessun sovrano di entrare a Roma per essere incoronato come imperatore per cui l’impero dal 924 era rimasto vacante; solo suo figlio, salito al seggio pontificio con il nome di Giovanni II, permise nel 962 a Ottone I si ricevere da lui la corona imperiale. Ottone tuttavia nel 963 lo fece dichiarare decaduto da un sinodo. 9.4. Ottone di Sassonia e la restaurazione dell’impero Per Ottone di Sassonia essere incoronato imperatore rappresentava il coronamento di una lunga e intensa attività politico-militare intrapresa prima di lui da suo padre, Enrico Uccellatore (919-936). Ai tempi di Enrico il regno di Germani era costituito dai ducati di Sassonia, Franconia, Svevia, Baviera e Lorena; non si sa con certezza se questi territori avessero una comune base etnica ma quel che è certo che i funzionari pubblici e l’aristocrazia riuscirono a dar vita a grandi formazioni politico-territoriali e a far nascere nella popolazioni una coscienza di appartenenza popolare. Durante il regno di Ottone, nel X secolo, la coscienza nazionale tedesca si radicò ancor di più anche perché Ottone si impegnò ad esercitare la sua autorità in modo omogeneo in tutti i ducati e inoltre mise dei suoi familiari a capo dei ducati anche se a volte la sua fiducia fu mal ricompensata con rivolte che sempre riuscì a sedare. Un altro grande appoggio di cui si giovò Ottone fu quello dei vescovi che il re coinvolse nel governo delle contee e delle città dotandoli anche di nuclei armati e in cambio chiese maggiore rigidità dei costumi religiosi e la ripresa degli studi nelle abbazie e nei monasteri. Il re si configurò come vero capo religioso della Chiesa tedesca in quando aveva piena libertà nella nomina di vescovi e abati che venivano scelte tra i membri delle famiglie a lui più fedeli. L’incoronazione a Roma nel 962 fu paragonata dai contemporanei a quella di Carlo Magno poiché si ripresentarono le condizioni per la ricostituzione di un saldo impero basato su uno stretto connubio tra Stato e Chiesa, sulla ripresa di un’attività culturale, religiosa e su un riordinamento dell’apparato statale. Come fu anche per l’impero carolingio il nuovo impero trasse ispirazione dall’universalismo dell’antica Roma a dalla missione di protettori della Cristianità e del papato. 9.5. La politica italiana degli Ottoni Ottone risedette in Italia dal 961 al 964, negli anni di questa sua permanenza cercò di risollevare le condizioni del papato avvilito dai troppi anni senza una guida forte e in mano all’aristocrazia romana. Per prima cosa depose Giovanni XII e si prese l’incarico di garantire la correttezza dell’elezione papale. Nel 966 Ottone ritornò in Italia e rimase per ben sei anni; nel 967 fece incoronare imperatore il figlio Ottone II e dopo si diresse verso sud per conquistare i territori longobardi e bizantini. Con i Longobardi non ebbe grosse difficoltà visto che i principi di Benevento e Capua si riconobbero suoi vassalli; diversa storia ci fu per Bari infatti nel 968 fu sconfitto e intavolò delle trattative con l’imperatore orientale Niceforo Foca che non ebbero però alcun risultato positivo. Altre trattative si svolsero con il successore di Niceforo, Giovanni Zimisce, il quale nel 972 riconobbe il titolo a Ottone e acconsentì alle nozze tra e Ottone II e la principessa Teofane la quale portava come dote i territori bizantini dell’Italia meridionale. Ottone I morì nel 973 lasciando una costruzione politica abbastanza stabile grazie all’appoggio dei vescovi che aveva ottenuto grazie alla sua lunga residenza in Italia; ma per suo figlio Ottone II governare non fu così facile visto che dovette affrontare molte situazioni difficili: • in Germania i duchi di Lorena, Svevia e Baviera volevano recuperare la loro indipendenza; • in Italia la situazione si complicò in quanto a Roma l’aristocrazia aveva ripreso potere uccidendo il filo imperiale Benedetto VI e eleggendo Bonifacio VII • nella parte meridionale della penisola i Longobardi stavano organizzando rivolte, i Saraceni avevano iniziato a fare le loro incursioni e i Bizantini non si curavano più dei patti stipulati tra Ottone I e Zimisce. Nel 980 Ottone scese in Italia e arrivò a Roma; nel 982 fu sconfitto dai Saraceni in Calabria e nel 983 morì a soli 28 anni. Il suo erede, Ottone III, era ancora piccolo a la reggenza spettò prima alla madre Teofane e poi alla nonna Adelaide; nel 996 compì 16 anni e potè raccogliere l’eredità del padre. Con lui si rinvigorì il carattere universale dell’impero e il suo connubio con la Chiesa. Come primo atto Ottone III nominò pontefice un suo parente, Gregorio V (996-999) e quando questi morì nominò il suo maestro che prese il nome di Silvestro II (999-1003). Per tenere sempre saldi i rapporti con il pontefice Ottone III si trasferì a Roma; il sup programma di restaurazione dell’impero prevedeva la sottomissione di tutte le podestà terrena e si proponeva di guidare la Cristianità alla felicità terrena e alla salvezza eterna. I suoi progetti furono però troppo utopistici e si scontrarono: • con le pretese dell’aristocrazia tedesca scontenta per la poca considerazione avuta dall’imperatore, • con i grandi feudatari italiani che non gradirono la perdita della loro indipendenza, • con l’aristocrazia romana che non accettava di aver perso la supremazia sul papato. Il risultato di questo clima così teso furono varie rivolte: nel 999 ci fu quella dei feudatari capeggiati da Arduino di Ivrea e nel 1001 quella dei Romani che costrinse Ottone a lasciare Roma. Nel gennaio 1002 Ottone III moriva a soli 22 anni senza lasciare eredi. bizantino e nel X secolo per creare un ancora più stabile rapporto con Bisanzio questi tre temi furono inseriti nel catepanato d’Italia con sede a Bari. I Bizantini cercarono anche di avere l’appoggio dei vescovi e di sottometterli all’autorità di Costantinopoli, concessero molti titoli onorifici ai membri del ceto dirigente locale, potenziarono ancor di più l’efficiente struttura amministrativa e cercarono di far diffondere i modelli culturali e spirituali del mondo bizantino. Tutto questo fu messo il atto con il solo obiettivo di dare stabilità alla dominazione bizantina nel sud Italia che di certo appariva molto diverso se confrontato alle formazioni politiche post-carolinge. CAPITOLO 10 Splendore e declino di Bisanzio 10.1. La grecizzazione dell’impero Alla fine dell’VIII secolo i territori bizantini corrispondevano a circa un terzo del territorio del tempo di Eraclio (610-641); le perdite a causa degli attacchi arabi, slavi, longobardi e bulgari erano state molte e solo a partire dal IX secolo le dinastie bizantine iniziarono con rinnovato vigore una politica espansionistica per ritrovare l’antico splendore. Nel periodo più buio comunque vennero attuate diverse riforme come: • quella amministrativa: per dare una struttura organizzata al territorio devidendolo in temi con a capo uno stratega, • quella territoriale, per distribuire in maniera razionale i possedimenti, • quella militare, i soldati (stratioti) erano allo stesso tempo colonizzatori e proprietari delle terre, • quella sociale, venne favorita la nascita di una classe di contadini liberi che potevano godere di piccole proprietà. L’impero bizantino doveva preoccuparsi di difendere i propri confini e si chiuse nelle sue frontiere, perse le sue pretese di universalismo e acquistò un carattere più orientale tanto che anche la lingua ufficiale non fu più il latino ma il greco. Il titolo imperale non fu più imperator, Caesar o augustus ma basileus; nell’ambito del diritto ci si rivolse alla giurisdizione orientale e si attuò sempre più frequentemente una compenetrazione tra vita civile e religiosa. 10.2. La controversia sul culto delle immagini Nelle province orientali dell’impero bizantino (le più influenzate dal Giudaismo e dall’Islamismo) si generò la controversia iconoclasta, la lotta contro il culto delle icone raffiguranti Cristo, la Vergine e i santi poiché la venerazione di immagini veniva considerato peccato di idolatria. Queste province sapevano che la loro posizione periferica e perciò in prima linea contro gli attacchi esterni era importante e cercarono di sfruttare la situazione per avere più autonomia dal potere centrale. Quando al trono salì Leone III l’Isaurico (771-741) gli iconoclasti ebbero esaudite parte delle loro richieste; nel 726, nonostante l’opposizione del patriarca di Costantinopoli e del papa Gregorio III, con un decreto proibì il culto delle immagini nelle icone e ordinò la distruzione di affreschi e mosaici raffiguranti immagini sacre. Anche il figlio Costantino V (741-775) proseguì la strada intrapresa dal padre e questo perché anche lui aveva capito che l’appoggio delle province orientali era decisivo per la stabilità del potere imperiale. Le loro scelte in realtà non furono errate visto che grazie all’appoggio dei territori periferici l’impero riuscì a fermare l’invasione araba e arrestare la crisi dell’impero. 10.3. La fine dell’iconoclasmo e le oscillazioni della politica sociale Nel 784 la politica degli imperatori isaurici ebbe fine poiché fu nominato un imperatore iconodulo, cioè favorevole al culto delle immagini e nel 797 il VII Concilio di Nicea condannò definitivamente l’iconoclasmo come eresia. Un ritorno dell’ideologia iconoclasta si ebbe con Leone V in modo però non vigoroso e solo nell’843 Michele III si richiamò formalmente al concilio del 787 riaffermando la leicità del culto alle immagini. Questo evento non a caso coincise con l’attenuarsi del pericolo arabo e con la ripresa della grande proprietà terriera ad opera di funzionari e burocrati, di membri del clero, dei vertici militari e dei mercanti. Contemporaneamente però il ceto dei piccoli proprietari, stratioti e contadini liberi, entrò in crisi; diversi imperatori dome Romano Lecapeno (920-944), Costantino VII Porfirogenito (944-959) e Romano II (959-963) emanarono leggi in difesa della piccola proprietà: in caso di vendita ad esempio erano agevolato i vicini che non fossero grandi proprietari. Nonostante queste leggi però i contadini, molto impoveriti, preferivano vendere ai grandi proprietari; si ripropose lo stesso processo già avvenuto in Occidente. L’imperatore Niceforo Foca (963-969) al contrario dei suoi successori emanò leggi a favore delle potenti famiglie aristocratiche, alla quale lui stesso apparteneva, e agevolò il concentramento delle terre nelle mani di pochi proprietari. I suoi successori Giovanni Zimisce e Basilio II ripresero una politica antinobiliare; questi cercarono di tenere l’aristocrazia sotto pressione ma un dat6o era ormai evidente e cioè che la maggior parte delle terre erano in mano ai grandi proprietari. Costantinopoli era la più importante città del Mediterraneo e le altre città bizantine come Efeso, Corinto, Neso avevano ruoli altrettanto importanti. La capitale, anche per iniziativa degli imperatori, era sede di un’intensa attività intellettuale e artistica; Leone VI, ad esempio, fu filosofo, teologo e giurista mentre Costantino VII Porfirogenito compose opere di carattere storiografico. Un grande filosofo, teologo, storico e statista bizantino dell’XI secolo fu Michele Psello il quale incoraggiò l’attività delle scuole e fu molto influente a corte. 10.7. L’inizio del declino e il costoso aiuto veneziano Proprio quando il prestigio politico-culturale di Bisanzio era al culmine si manifestarono i primi segni di crisi che condussero l’impero a un rapido declino. Questa crisi fu determinata da vari fattori. 1. La fine della dinastia macedone Morta Teodora di Bisanzio nel 1056 la dinastia macedone si estinse e iniziò una lunga lotta per la successione tra la nobiltà della capitale e i membri della burocrazia contro l’aristocrazia fondiaria. Ad avere la meglio fu l’aristocrazia che legiferò a suo favore non occupandosi più dei contadini. 2. Riacuirsi delle pressioni sulle frontiere Sul fronte orientale i Turchi si erano impadroniti di Baghdad e ciò rappresentava una seria minaccia per Bisanzio visto che questi iniziarono subito un’offensiva verso l’Egitto ripristinando in qualche modo l’antico impero arabo. I turchi conquistarono anche la Siria, la Palestina, la città di Gerusalemme (1070) e lo stesso imperatore Romani IV Diogene fu fatto prigioniero. Già nel 1081 l’impero aveva perso così tanti territori da governare in un territorio corrispondente a meno di un quarto dell’attuale Turchia. Sul fronte dell’Italia meridionale un altro pericolo fu costituito dai Normanni; questi conquistarono i territori bizantini in Italia e dopo aver conquistato Durazzo (in Albania) si mossero verso Costantinopoli. L’imperatore Alessio Comneno chiese aiuto ai Veneziani che riuscirono a fermare i Normanni e che per il loro intervento pretesero da Bisanzio un compenso altissimo. Ai Veneziani furono attribuiti molti privilegi come ad esempio commerciare liberamente nelle città dell’impero senza pagare dazi e tasse e infliggendo così un duro colpo alle finanze dell’impero che presto si trovò con le casse in dissesto. CAPITOLO 11: 3)L’apogeo della civiltà medievale Incremento demografico e progressi dell’agricoltura nell’Europa dei secoli XI-XIII 11.1. L’aumento della popolazione Sul finire dell’XI secolo Normanni e Veneziani inflissero un duro colpo all’impero bizantino; era la prima volta dopo la caduta dell’impero romano che l’Occidente tornava alla conquista dell’Oriente. L’Occidente infatti stava crescendo dopo i secoli bui di inizio millennio durante i quali c’era stato un calo demografico e una stagnazione nei processi di evoluzione delle tecniche e degli studi. Superata questa fase il numero della popolazione ricominciò a salire, crebbe il numero delle terre messe a coltura, vennero praticate bonifiche e disboscamenti, vennero ripopolate le città, furono fondati nuovi villaggi e ripresero i commerci. I processi di crescita variarono molto di zona in zona però si può dire che i primi tre secoli del nuovo Millennio registrarono un aumento della popolazione determinato non da migrazioni ma da un netto miglioramento delle condizioni di vita. 11.2. L’ampliamento dello spazio coltivato e del popolamento rurale Come già detto in questo periodo ci fu una grande estensione delle terre coltivate; in aree come quelle italiane e francesi dove gli insediamenti antichi furono più estesi si dovettero solo recuperare aree abbandonate mentre nell’Europa centrale si dovette procedere con più numerosi disboscamenti e opere di bonifica. Nelle aree già popolate la coltivazione veniva praticate nelle zone incolte vicino il villaggio; il proprietario terriero stipulava un contratto (accordi verbali) con il coltivatore secondo il quale concedeva terra, sementi e materiali per consentire l’avvio dell’attività produttiva in cambio di un canone in natura. Nelle zone incolte monasteri, membri del clero e signori laici si impegnarono ad attirare coloni per valorizzare quelle terre e per avere un numero maggiore di uomini sotto il loro controllo. I religiosi più impegnati in quest’opera di colonizzazione furono i certosini e i cistercensi. I membri di questi due ordini monastici ricercavano la povertà e la solitudine e spesso si rifugiavano nelle foreste dove fondavano i loro monasteri; ben presto attorno ai monasteri sorsero dei villaggi di contadini desiderosi di mettersi sotto la guida spirituale dei monaci. Costruzione di nuovi villaggi e borghi non deve però far pensare che le case rurali scomparvero; molti contadini vivevano in dimore di legno sparse per i campi. In alcuni luoghi, come in Toscana, artigiani e mercanti facevano degli investimenti nelle zone rurali promuovendo la costruzione di case coloniche che diventavano il centro di un’azienda agraria che riunificava varie terre. Le zone dove furono possibili maggiori investimenti furono quelle dove lo sviluppo rurale fu più massiccio mentre altre zone più disabitate e meno ricche ebbero uno sviluppo più lento e difficile. 11.3. Le grandi opere di colonizzazione Dissodamenti, disboscamenti e bonifiche in alcuni casi fecero cambiare radicalmente la natura dei luoghi.
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