Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Indici di subordinazione: distinzione tra rapporti di lavoro subordinato e a progetto, Appunti di Diritto del Lavoro

Come la giurisprudenza ha cercato di distinguere i rapporti di lavoro subordinato da quelli a progetto attraverso l'identificazione di indici di subordinazione. anche del decreto Biagi e la procedura di certificazione volontaria per evitare controversie in materia di qualificazione.

Tipologia: Appunti

2019/2020
In offerta
20 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 08/03/2020

alessandra50
alessandra50 🇮🇹

4

(13)

56 documenti

1 / 9

Discount

In offerta

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Indici di subordinazione: distinzione tra rapporti di lavoro subordinato e a progetto e più Appunti in PDF di Diritto del Lavoro solo su Docsity! Il lavoro subordinato ha come norma di riferimento l’art. 2094. Innanzitutto noi non abbiamo una definizione di lavoro subordinato. Nel nostro codice troviamo la definizione del prestatore di lavoro subordinato e quindi noi ricaviamo a contrario quale potrebbe essere la definizione più congeniale del lavoro subordinato. Prestatore di lavoro subordinato. É prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuali alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore. Da questa norma si evince, innanzitutto, qual è la causa di questo rapporto di lavoro subordinato. Da un lato abbiamo il lavoratore che presta la propria attività in lavoro intellettuale o manuale e dall'altro lato la retribuzione cui è tenuto il datore di lavoro quale obbligo specifico e che, quindi, in estrema sintesi, rappresenta anche quella che è la causa del contratto di lavoro. Ovviamente la causa di questa tipologia contrattuale. Poi studierete altre tipologie di contratto, laddove si parlerà di causa mista o di causa qualificata, perché accanto alla tradizionale causa, scambio di retribuzione contro prestazione manuale o intellettuale che sia, si aggiunge un elemento rappresentato dalla formazione. Per esempio il contratto di apprendistato: svolgerò lo stesso lavoro che avrei svolto se fossi stato assunto come lavoratore subordinato, però, siccome si tratta di un lavoro rispetto al quale non ho tante competenze, il legislatore prevede che il datore di lavoro mi possa assumere e mi paghi. Io effettuerò la prestazione lavorativa, però sul datore di lavoro e sul lavoratore grava un obbligo in più che è quello della formazione. Quindi il datore di lavoro è tenuto a darmi la formazione adeguata, in modo tale che io possa raggiungere una soglia di professionalità adeguata rispetto al lavoro per il quale sono stato assunto e il lavoratore dà la propria disponibilità accanto alla sua prestazione lavorativa, di effettuare questa formazione sia in azienda che all’esterno. Vediamo adesso come nel lavoro subordinato, la causa è semplicemente scambio di prestazione contro retribuzione. È questo lo si evince da subito nell’art 2094. Da questo articolo quali altri profili emergono, affinché possiamo considerare una fattispecie lavorativa sub specie iuris di lavoro subordinato? Che il lavoratore collabora nell’impresa, ma, attenzione, sotto la direzione e alle dipendenze dell’imprenditore o del datore di lavoro. E questi sono elementi di non poco conto, perché il lavoratore non gode di autonomia nell’espletamento della sua prestazione lavorativa, ma, anzi, al contrario, vi è quella che viene definita etero direzione, ossia: lui si dovrà attenere a quelle che sono le prescrizioni e le indicazioni che il datore di lavoro darà di volta in volta in relazione alla prestazione lavorativa da eseguire. Questo si riflette in tutta una serie di poteri che avrà il datore di lavoro, cosiddetti poteri datoriali che sono: direttivo, di controllo e disciplinare. - Direttivo: il datore di lavoro dovrà impartire tutte quelle direzioni che sono utili al lavoratore e rispetto alle quali il lavoratore sarà vincolato, poiché lui collabora, ma è sotto la direzione. - Di controllo: il datore ha la possibilità di verificare se il lavoratore si comporta seriamente, se effettua la prestazione lavorativa, se segue le mie indicazioni. - E poi l'altro potere che è un effetto dell'eventuale inadempienza rispetto alle prescrizioni e indicazioni ricevute, è il potere sanzionatorio o disciplinare. Dall'art. 2094 ci sono quindi, tutta una serie di elementi che ci consentono di tracciare un quadro approssimativo della prestazione di lavoro subordinato. Il lavoratore collaborerà in azienda e questo è importante, perché significa che è inserito in quella realtà che è elemento integrante: la sua figura deve trovare una collocazione che sia congeniale rispetto alle dinamiche aziendali proprie della sua realtà lavorativa. È una parte del tutto, non un corpo estraneo. Questa è una norma del ’42, però negli anni ci si è resi conto, soprattutto vista anche l’evoluzione dell’abbandono dei luoghi di lavoro, delle nuove tecnologie, che ancorarsi a questi indici risultava fuorviante, poiché spesso non si riusciva a cogliere, di fronte a un caso concreto, se effettivamente questo potesse rientrare nell’area della subordinazione con tutte le conseguenze che ne derivano in materia di tutela verso i licenziamenti, di diritti dei lavoratori. Il lavoratore autonomo non gode delle stesse tutele del lavoratore subordinato e anche il lavoratore parasubordinato, per certi aspetti, non ha una tutela così forte, però certamente a qualche tutela in più anche dal punto di vista previdenziale rispetto al lavoro autonomo e anche a quello parasubordinato. Quindi, siccome il confine era abbastanza labile, soprattutto grazie alla giurisprudenza, sono stati individuati tutta una serie di indici, cosiddetti indici di subordinazione, attraverso i quali la giurisprudenza ha cercato di individuare alcuni elementi, la cui presenza in un determinato rapporto di lavoro erano sinonimi di subordinazione perché, per esempio: se Tizio tutti i giorni, alla stessa ora è per le stesse ore andava sul posto di lavoro era indice di lavoro subordinato? Certamente si. Ovviamente chi è un lavoratore autonomo o parasubordinato non ha questo vincolo, può anche effettuare la prestazione lavorativa a casa o nel suo studio professionale, non ha la necessità di andare tutti i giorni in quell’azienda, quindi se io formalmente risultavo lavoratore autonomo, parasubordinato o lavoratore a progetto, tutti i giorni andavo in azienda, rispettavo lo stesso orario e timbravo, formalmente ero un lavoratore a progetto, ma nei fatti ero un lavoratore subordinato e quindi il datore di lavoro aveva utilizzato lo strumento del contratto a progetto solo perché gli conveniva dal punto di vista economico, contributivo e fiscale. E quindi hanno simulato un rapporto di lavoro a progetto, ma in realtà era di tipo subordinato. Quindi questo è uno degli indici individuati dalla giurisprudenza. Gli orari e anche lo stesso nomen iuris è stato abbandonato come criterio, perché ovviamente, tu puoi qualificarlo come vuoi un rapporto di lavoro, ma il principio cardine in materia di diritto del lavoro sono gli effetti pindarici e, laddove il rapporto prevale sempre sull’atto, io posso scrivere e certificare ciò che voglio, ma se poi nei fatti faccio tutt'altro, ecco che questo principio metterà a tacere qualunque documento scritto che attesti il contrario. Al lavoro subordinato è speculare il lavoro autonomo. Norma di riferimento è l’art. 2222, che non è propriamente riferita al lavoro autonomo. Tant'è vero che è probatorio, avrò diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a progetto a lavoro subordinato. In questo caso però, l’efficacia sarà ex nunc. Quindi la differenza tra le due fattispecie ipotizzate dal primo e dal secondo comma dell'art 69, sarà solo dal punto di vista dell’efficacia della sentenza del giudice. Nel primo caso sarà dal momento della costituzione del rapporto, nel secondo invece, dal momento della domanda. Quindi già dell'art 69 comma 2 si evince il principio di effettività. Era questa l'area più problematica dal punto di vista dell’individuazione della tipologia contrattuale cui si fa riferimento di fronte ad un rapporto lavorativo controverso. Il legislatore per evitare che sorgessero troppe controversie in materia di qualificazione del rapporto di lavoro, nel 2003, nell’emanare il decreto Biagi, introduce un nuovo istituto definito certificazione, che aveva come scopo evitare il più possibile il contenzioso in materia di qualificazione del rapporto di lavoro. Questa finalità non è nemmeno celata dal legislatore, perché se noi prendiamo l'art 75 della legge Biagi, questo fine specifico è espressamente annunciato. Art.75.FINALITÀ. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro le parti possono ottenere la certificazione dei contratti in cui sia dedotta direttamente o indirettamente la prestazione di lavoro secondo la procedura volontaria stabilita... Da questo primo articolo ricaviamo la ratio che spinge il legislatore ad introdurre nel nostro ordinamento questo istituto e qual è l’oggetto della procedura in questione, vale a dire, la certificazione dei contratti di lavoro. Innanzitutto è procedura volontaria, significa che queste parti sono libere di scegliere se sottoporsi a questa procedura di qualificazione o meno: non è un obbligo, ma una mera facoltà che il legislatore vuole riservare alle parti in modo tale che in futuro non sorgano dubbi o questioni relative alla qualificazione giuridica di quel determinato rapporto di lavoro. L'art 76. ORGANI DI CERTIFICAZIONE, ci indica che sono organi abilitati alla certificazione del contratto di lavoro le commissioni di certificazione istituite presso specifici enti espressamente indicati dall’art 78. Possono procedere alla certificazione: - enti bilaterali costituiti nell'ambito territoriale di riferimento, ovvero a livello nazionale, quando la commissione di certificazione sia costituita nell'ambito di organismi bilaterali a competenza nazionale. Quindi, innanzitutto abbiamo degli enti bilaterali che possono avere sua una rilevanza territoriale, sia nazionale; -direzione provinciale del lavoro e la provincia, secondo quanto stabilito all'apposito decreto del ministro del lavoro, quindi anche la direzione provinciale e le province al cui interno ci sia la commissione di certificazione; -le università pubbliche e private, comprese le fondazioni universitarie; -il ministero del lavoro e delle politiche sociali, i consigli provinciali dei consulenti del lavoro. Ora vediamo i requisiti per ottenere l'abilitazione a certificare i contratti di lavoro. Ad esempio: nel caso delle università, il secondo comma dell’art 76 prevede che, per essere abilitati alla certificazione, le università sono tenute a registrarsi presso un apposito albo istituito presso il ministero del lavoro e delle politiche sociali che sono tenute a inviare, all'atto della registrazione(ogni 6 mesi), studi ed elaborati contenenti indici e criteri giurisprudenziali di qualificazione del contratto di lavoro con riferimento alle tipologie di lavoro indicate dal ministero del lavoro. Quindi tra tutti gli enti che possono certificare, all'università viene chiesto un quid iuris, cioè alle università. Vediamo ora la competenza, cioè: io che ho un'impresa a Reggio, dove devo certificare? A tal proposito, l’art 77 dice: nel caso in cui le parti intendano presentare l'istanza di avvio per la procedura di certificazione presso le commissioni di cui all'art 76, le parti devono rivolgersi alla commissione nella cui circoscrizione si trova l'azienda o la sua dipendenza alla quale sarà addetto il lavoratore. Nel caso in cui le parti intendano presentare l'istanza della comunicazione istituite su iniziativa degli enti bilaterali, essi devono rivolgersi alle commissioni costituite da rispettive associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro. Queste le ipotesi più particolari. Un'ipotesi più semplice dell'imprenditore di Reggio che deve certificare, ci dice che può farlo presso una commissione delle tante però lo deve fare presso una commissione nella cui circoscrizione si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale sarà addetto il lavoratore. Vi possono essere imprenditori di grandi imprese che abbiano più sedi, l’importante è che io mi rivolga alla commissione del luogo dove si trova l'azienda o comunque dove c'è una dipendenza e dove andrà ad effettuare la prestazione lavorativa quel soggetto. Vediamo il procedimento di certificazione. Ci dice l'art 78 comma 1 che la procedura di certificazione è volontaria e consente obbligatoriamente a un’istanza scritta comune delle parti del contratto di lavoro. Quindi si tratta di una procedura volontaria non già unilaterale perché vi vuole un’istanza scritta comune delle parti del rapporto di lavoro. L'intento è di evitare che ci diano delle controversie in materia di qualificazione del rapporto di lavoro. Per quanto riguarda la procedura, innanzitutto, l’inizio del procedimento deve essere comunicato alla direzione provinciale del lavoro che provvede poi, ad inoltrare la comunicazione alle autorità pubbliche. Il procedimento di certificazione deve concludersi entro il termine di 30 giorni dal ricevimento dell’istanza, quindi è un procedimento abbastanza rapido. L’atto di certificazione, inoltre, deve contenere esplicita menzione degli effetti civili, amministrativi, previdenziali e fiscali in relazione ai quali le parti richiedono la certificazione. L’atto di certificazione deve essere motivato, quindi la commissione cui ci si è rivolti dovrà necessariamente motivare quel provvedimento. Ed inoltre il termine dell’autorità cui è possibile ricorrere. Quindi i conti non tornano, perché io introduco uno strumento deflativo, per eliminare il contenzioso e poi do la possibilità alle parti di impugnare questo provvedimento? Sembrerebbe paradossale, poiché impugnandolo instaurerò un nuovo contenzioso che è quello che volevo evitare con la finalità espressa nell'art. 75. Parliamo dell’efficacia giuridica della certificazione. Gli effetti dell’accertamento dell’organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro permangono, anche verso i terzi fino al momento in cui sia stato accolto con sentenza di merito uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili ai sensi dell’art. 80 fatti salvi i provvedimenti cautelari. Quindi se prima avevamo un sospetto ora abbiamo avuto la conferma, poiché questo art.79 laddove si fa espressa menzione di quelli che sono gli effetti che produrrà l'atto di certificazione, ci dice: cari consociati, cari lavoratori, gli effetti di questo procedimento di certificazione, si, è vero, sono civili, amministrativi, fiscali e quant'altro e valgono anche nei confronti dei terzi, ma fino a quando? Fino a quando tu, eventualmente, non avrai impugnato l'atto di certificazione di fronte alle sedi istituzionali di cui all'art.80 e quindi quel pezzo di carta risulta essere cartastraccia, perché non ha efficacia di giudicato, non dispiega quell’ efficacia che noi potremmo dire preclusiva rispetto a quel rapporto lavorativo, quindi preclude qualunque indagine successiva, quindi io ho statuito commissioni di certificazione del rapporto di lavoro subordinato, o un rapporto di lavoro a progetto o di apprendistato e quindi è incontrovertibile e ha efficacia di giudicato. No, perché io attribuisco alle parti la possibilità di impugnare quel provvedimento, tant’è vero che si dice produce effetti anche nei confronti dei terzi, ma fin quando non interverrà una sentenza di merito. Quindi si rischia di creare un doppio contenzioso. Il giudizio di merito potrà essere o davanti al giudice del lavoro o al Tar a seconda dei casi. Art.80 vediamo quali sono i rimedi esperibili di cui si faceva riferimento nell'art 79. Nei confronti dell’atto di certificazione, le parti e i terzi nella cui sfera giuridica l’atto stesso è destinato a produrre effetti, quindi, abbiamo anche un ampliamento dell’area dei soggetti legittimati ad agire, poiché non sono soltanto le parti, ma anche i terzi che hanno interesse rispetto a quella qualificazione erronea del rapporto di lavoro possono proporre ricorso presso l'autorità giudiziaria di cui all'art 413 c.p.c. che al primo comma fa riferimento all’impugnazione dell'atto di certificazione innanzi al giudice del lavoro. È la prima possibilità che abbiamo. Prima di vedere quando ci si può rivolgere al giudice del lavoro è importante fare una premessa perché prima dice quali sono i rimedi esperibili, però poi al quarto comma, ci dice che chiunque presenti ricorso giurisdizionale contro la certificazione ai sensi dei precedenti commi, dove nell’ 1 c'è il ricorso al giudice del lavoro e nel 3 al tar, deve previamente rivolgersi obbligatoriamente alla commissione di certificazione che ha prodotto l'atto per espletare un tentativo di riconciliazione ai sensi dell'art 410 c.p.c. Ovviamente questo tentativo di conciliazione è previsto perché il legislatore stesso si è reso conto che così facendo non si è ridotto il carico di lavoro, anzi, si rischia di creare questa duplice procedura. Io per impugnare l'atto devo innanzitutto individuare la commissione competente, poi devi presentare questa dichiarazione scritta congiuntamente lavoratore e datore di lavoro, la quale verrà inoltrata alla direzione provinciale del lavoro, dopodiché entro 30 giorni si concluderà questa procedura ad esito della quale io avrò questa certificazione del rapporto di lavoro. Vediamo quali sono i motivi di ricorso dinanzi al giudice del lavoro indicati dall’art 80 comma 1. -erronea qualificazione del contratto; -difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione (ipotesi più frequente): io certifico che c'è un contratto a progetto, ma nei fatti non è così, quindi c'è difformità tra quello che io ho dichiarato che avveniva e la sua
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved