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Le fonti della retribuzione, Tesi di laurea di Diritto del Lavoro

Excursus sulle fonti normative dell'istituto della retribuzione.

Tipologia: Tesi di laurea

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Scarica Le fonti della retribuzione e più Tesi di laurea in PDF di Diritto del Lavoro solo su Docsity! CAPITOLO I LE FONTI DELLA RETRIBUZIONE La retribuzione costituisce la prestazione fondamentale a cui è obbligato il datore di lavoro nei confronti del lavoratore come termine di scambio della prestazione lavorativa. Di fatto, la retribuzione indica il corrispettivo del lavoro prestato e cioè il complessivo trattamento economico che spetta al lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro come diritto soggettivo irrinunciabile sancito e tutelato dalla Costituzione stessa1. Nell’ art. 36 della Costituzione si rinvengono, infatti, i principi della proporzionalità e della sufficienza della retribuzione a tutela della funzione economica di sostegno del lavoratore e della sua famiglia. Ulteriori riferimenti normativi si rinvengono nell’art. 2099 c.c., mediante il quale il legislatore stabilisce le varie forme di retribuzione; nell’art. 20942 c.c., laddove si definisce l’onerosità del rapporto di lavoro subordinato3; ma in generale è la contrattazione collettiva che si pone come fonte primaria di disciplina del rapporto dal punto di vista retributivo. L’obbligo retributivo del datore di lavoro costituisce un elemento fondamentale del rapporto di lavoro che ha quindi natura onerosa e si configura all’interno di un contratto di scambio o a prestazioni corrispettive in cui la prestazione del datore di lavoro è strutturalmente e funzionalmente correlata alla esecuzione della prestazione di lavoro. Il contratto di lavoro si differenzia dagli altri contratti a prestazioni corrispettive perché la disciplina generale dei contratti deve essere rapportata alla posizione di contraente debole del lavoratore. PAGE 36 1 F. DEL GIUDICE, Diritto del lavoro, Edizioni giuridiche Simone, XXVII Edizione, Napoli, 2010, pag. 259. 2 “ E’prestatore di lavoro subordinato colui che si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. 3 F. MORTILLARO, Retribuzione, in Enc. Giur. Treccani, vol. XXVII, Roma, 1991, pagg. 86 e ss. Il contratto di lavoro è infatti caratterizzato da una corrispettività sui generis che sembrerebbe riferita più che all’apporto lavorativo in sé considerato, alla dedizione personale che esso comporta4. Infatti nel rapporto di lavoro sono previste significative deroghe al principio di corrispettività, nelle quali la disciplina contrattuale impone al datore di corrispondere la retribuzione anche in assenza di prestazione (malattia, infortunio, richiamo alle armi, puerperio, etc.) o in misura non strettamente legata al lavoro svolto. Sulla base di tali premesse una parte della dottrina5 ritiene che la retribuzione, in relazione ad esigenze sociali costituzionalmente riconosciute, abbia natura mista e complessa, e cioè non solo corrispettiva (nel senso di compenso per il lavoro prestato), ma anche previdenziale. Pertanto la dottrina è solita fare una distinzione tra: - retribuzione diretta, strettamente corrispettiva e cioè correlata alla prestazione eseguita dal lavoratore quale compenso per il lavoro prestato; - retribuzione indiretta, che ricomprende le attribuzioni corrisposte a titolo previdenziale, indipendentemente dalla esecuzione della prestazione lavorativa (artt. 2108 c.c.: riposo settimanale; 2109 c.c.: ferie annuali; 2110 c.c.: malattia, infortuni, gravidanza, puerperio) o differite nel tempo ( ad es. il Trattamento di fine rapporto). In passato, la giurisprudenza ha cercato di elaborare una nozione giuridica di retribuzione partendo da alcuni requisiti che la caratterizzano6: la determinatezza o determinabilità, l’obbligatorietà, la corrispettività e soprattutto la continuità7. Tale orientamento può oggi dirsi superato, in quanto dottrina e giurisprudenza8 concordano sul fatto che la continuità non possa essere elemento essenziale ed imprescindibile della retribuzione9. PAGE 36 4 F. DEL GIUDICE, Diritto del lavoro, cit., pag. 259. 5 Ibidem, Diritto del lavoro, cit., pag. 260. 6 F. CARINCI, Diritto del lavoro. Il rapporto di lavoro subordinato, Utet, Torino, 1998, pag. 324. 7 M. ROCCELLA, I salari, Bologna, 1986, pag. 112. 8 Ibidem, I salari, cit., pag. 112. 9 Infatti se la continuità fosse elemento essenziale, se ne desumerebbe l’esclusione di compensi che hanno rilievo economico notevole nel salario, pur non avendo questa caratteristica (ad es. i compensi per il lavoro straordinario). Negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale incomincia a prendere piede l’idea che lo Stato debba intervenire nel mercato fissando uno standard minimo dei salari per impedire l’effetto di distorsioni marginali19. I primi interventi a riguardo si manifestano sul piano sovranazionale: la convenzione O.I.L. n. 26 del 1928, impone allo Stato membro ratificante di “istituire o mantenere metodi che consentano di fissare saggi minimi di salario per i lavoratori occupati nelle industrie20 o parti di industrie qualora non esistano norme efficaci per la fissazione dei salari mediante contratto collettivo o altrimenti e laddove i salari siano eccezionalmente bassi”. Il terzo comma dell’art. 3 della stessa convenzione enuncia poi il “principio dell’inderogabilità in pejus del minimo salariale fissato nelle forme – legislativa, amministrativa o negoziale collettiva – previste da ciascun ordinamento nazionale”. Quindi, secondo l’autore, la Convenzione si impegna soltanto a creare uno scudo ai lavoratori contro distorsioni marginali che abbiano l’effetto di ridurre il livello del salario al di sotto di un livello che possa essere considerato normale, e non a promuovere la crescita generale delle retribuzioni. Dopo la caduta del regime fascista e la nascita della Repubblica Italiana i patres conscipti iniziarono i lavori preparatori per la stesura della Carta Fondamentale nella quale venne elaborato l’attuale precetto costituzionale in materia di “giusta retribuzione”. Se fosse possibile ignorare del tutto i lavori preparatori dell’articolo 36 della nostra Costituzione21, potrebbe apparire che la nozione di “giusta retribuzione” in esso contenuta possa considerarsi sostanzialmente identica alla nozione di “saggio minimo di salario” contenuta nella convenzione del 1928; il riferimento al costo di una vita PAGE 36 19 Per l’autore le tipologie di distorsioni nel mercato sono due: monopsonistica (nel mercato del lavoro), si verifica quando esiste un solo soggetto che domanda lavoro; monopolistica (nel mercato dei beni), si verifica quando esiste un solo produttore di beni e servizi. 20 Nell’ art.1 della convenzione si chiarisce che con l’espressione “industrie” si indicano non soltanto le manifatture, ma anche le attività commerciali. 21Per l’autore “ la norma è frutto della convergenza tra le istanze di parte socialista e comunista, e le istanze dei democristiani progressisti, i quali si fanno in quella sede portatori della lettura più incisiva e interventista della dottrina sociale cattolica. La norma nasce dunque dall’incontro fra le due correnti di pensiero che più di ogni altra, intorno alla metà del secolo scorso, attribuiscono un ruolo rilevante allo Stato e alla coalizione sindacale, nella determinazione e incremento degli standard di trattamento dei lavoratori”. familiare “normale”, potrebbe addirittura apparire come un omaggio del legislatore costituente alla “legge bronzea dei salari” enunciata dagli economisti dei secoli XVIII e XIX. Sennonché il riferimento ai lavori preparatori complica le cose, mostrando come nell’intendimento originario del legislatore costituente vi era un “intervento correttivo della retribuzione risultante dal libero gioco del mercato, in funzione della progressiva elevazione delle condizioni di vita della classe lavoratrice”. 1.1.2 I requisiti di proporzionalità e sufficienza nell’art.36 della Costituzione Il problema di cui si deve preliminarmente far menzione è la querelle dottrinale che sorse negli anni’50 sul “valore” da dare all’articolo 36, ovverosia sulla sua natura programmatica oppure precettiva. I sostenitori della tesi precettiva ritenevano la norma costituzionale direttamente applicabile, e perciò direttamente vincolante nei confronti dell’autonomia privata; gli altri, al contrario, ne postulavano il carattere generale e la conseguente necessità di ulteriori specificazioni di legge22. Queste controversie furono risolte da decise prese di posizione della giurisprudenza che sancì la precettività del suddetto articolo23, sottraendolo a pericolose valutazioni politiche contingenti da parte della dottrina. Tale disposizione stabilisce inoltre i due requisiti che caratterizzano la retribuzione del lavoratore subordinato: la proporzionalità e la sufficienza24. In virtù del carattere della proporzionalità, la retribuzione deve essere determinata secondo un criterio obiettivo di equivalenza alla quantità e qualità del lavoro prestato. Il connotato della quantità è relativo alla durata del tempo della prestazione lavorativa, l’elemento della qualità si riferisce invece al valore professionale della prestazione lavorativa, in considerazione all’apporto dato al raggiungimento degli obiettivi aziendali. PAGE 36 22 A favore della precettività: S. PUGLIATTI, La retribuzione sufficiente e le norme sulla Costituzione, in Riv. Giur. Lav., 1950, I, pag. 189; contra M. SCORZA, Il diritto al salario minimo e l’art 36 Cost., in Dir.lav. II, pagg. 450 e ss. 23 Cass. 21 febbraio 1952, n.461, per la riaffermazione di tale principio v. Cass. 26 febbraio 2002, n.2861, in Giust. civ. Mass., 2002, pag. 327. 24 L. ZOPPOLI, L'articolo 36 della costituzione e l'obbligazione retributiva, in B. CARUSO - C. ZOLI - L. ZOPPOLI (a cura di), La retribuzione. Struttura e regime giuridico, vol. I, Napoli, 1994, pagg. 102 e ss. Il requisito della sufficienza impone, invece, una misura minima di livello retributivo idonea ad assicurare non solo al lavoratore, ma anche alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa (libera nel senso di salvaguardare l’esigenza di non essere oppressi dal bisogno economico; dignitosa nel senso di godere di un tenore di vita decoroso)25. Quest’ultimo principio è da sempre stato inteso in senso relativo, mutando chiaramente a seconda del periodo storico di attuazione del principio costituzionale26. Come osserva parte della dottrina27, si tratta di due principi che impongono valutazioni di segno diverso, in quanto la proporzionalità fa riferimento all’equivalenza oggettiva dello scambio fra lavoro e retribuzione, mentre la sufficienza pone l’attenzione ad elementi esterni del contratto. Secondo parte della dottrina, il principio della proporzionalità e sufficienza, pur essendo distinti e come tali dotati di separato ambito di applicazione28, nondimeno si caratterizzano per le reciproche interazioni e per tanto sono da considerarsi sullo stesso piano. La stessa Corte Costituzionale, fin dagli anni sessanta, ha affermato la reciproca integrazione dei due principi in diverse sentenze29, precisando inoltre che la retribuzione deve essere commisurata non soltanto alla quantità e qualità del lavoro prestato, ma anche alle esigenze minime di vita del lavoratore e della sua famiglia30. Un’altra parte della dottrina ritiene che tra i due principi ci sia un rapporto gerarchico31 nel quale la proporzionalità assume una posizione prioritaria, imponendo al giudice di individuare il c.d. “valore di mercato” della prestazione lavorativa; invece al principio della sufficienza viene assegnata la posizione di “correttivo”, cioè di soglia minima della retribuzione al sotto della quale si lederebbe il principio del rispetto delle necessità “essenziali”. PAGE 36 25 F. DEL GIUDICE, Diritto del lavoro, cit., pag. 261. 26 L. ANGIELLO, La retribuzione, Giuffrè, Milano, 2003, pag 26. 27 F. CARINCI (commentario diretto da), Diritto del lavoro, vol II, Utet, Milano, 2007, pagg. 854 e ss. 28 S. GRASSELLI, Pluralità di rapporti di lavoro e applicazione dell'art. 36 Cost.., in Massimario della giurisprudenza del lavoro, 1971, pag. 3 e ss. 29 Corte Cost., 4.5.60 n. 30, in Massimario della giurisprudenza del lavoro, 1960, 306. 30 Corte Cost., 26.4.62 n. 41, in Massimario della giurisprudenza del lavoro, 1962, 169. 31 E. GHERA, Diritto del lavoro, Cacucci, Bari, 2004, pagg. 250 e ss. certa area, della situazione ambientale e della zona in cui viene resa la prestazione40 e delle condizioni personali e familiari del lavoratore41. Se il contratto di lavoro individuale non è conforme ai principi di sufficienza e proporzionalità, la relativa pattuizione deve essere ritenuta nulla per violazione di norma imperativa. In tal caso interviene la tutela apprestata in favore del lavoratore dal disposto dell’art 2126 c.c. - che, pur in presenza di una causa di invalidità del contratto di lavoro, facendone salvi gli effetti per il periodo in cui la prestazione lavorativa risulta essere stata di fatto espletata e sancendo di conseguenza in favore del lavoratore sia il diritto alla retribuzione, sia quello al versamento dei contributi assicurativi - è negata soltanto nel caso in cui il contratto sia contrario all’ordine pubblico42. Deve essere precisato che: la giurisprudenza maggioritaria43, quando determina la “giusta retribuzione”, di regola non considera tutti gli elementi del trattamento economico del contratto nazionale, ma solo la paga base, l’ex indennità di contingenza e la tredicesima mensilità. Solamente queste voci vengono fatte rientrare nel concetto di “retribuzione minima” da garantire a qualsivoglia lavoratore subordinato, perché le altre previste dal contratto di categoria sono considerate istituti economici espressione di autonomia contrattuale, pertanto applicabili solo ai rapporti regolati dal contratto collettivo in conseguenza dell’affiliazione sindacale delle parti. L’orientamento giurisprudenziale minoritario44 contrapposto a quello appena enucleato ritiene che nel determinare la retribuzione minima il giudice debba considerare come parametro il trattamento economico complessivo previsto dal contratto nazionale. Tale interpretazione è maggiormente coerente con l’idea dei costituenti, sottesa all’art. 36 PAGE 36 40 Cass., 25 febbraio 1994, n. 1903, in Riv. Giur. Lav., 1994, II, 409 ss.; Pret. Vallo della Lucania, 16 ottobre 1987, in Lav. Prev. Oggi, 1988, 863 ss. 41 Cass., 28 agosto 2004, n. 17250, in Giust. Civ., Mass., 2004, 7. 42 G. CIAN e A. TRABUCCHI, Commentario breve al Codice civile, ottava edizione a cura di Giorgio Cian, Cedam, Padova, 2007. 43 Cass., 5 novembre 2008, n. 26589, in Guida al Dir., 2008, 49, 66 ss.; Cass., 9 giugno 2008, n. 15148, in Giust. Civ., Mass., 2008, 896; Cass., 20 giugno 2008, n. 16866, in Foro It., 2008, 2811, in cui il giudice richiama solo i minimi tabellari e l’ex indennità di contingenza, ma non la tredicesima mensilità; Cass., 26 ottobre 2005, n. 20765, in Dir. & Giust., 2006, 38 ss.; Cass., 28 agosto 2004, n. 17250, in Giust. Civ., Mass., 2004, 7; Cass., 7 luglio 2004, n. 12250, in Giust. Civ., Mass., 2004, 7; Cass., 13 maggio 2002, n. 6878, in Giust. Civ., Mass., 2002, 827. 44 Cass., 24 novembre 1999, n. 13093, in Mass. Giur. Lav., 2000, 234 s.; Cass., 25 novembre 1994, n. 10029, in Riv. Giur. Lav., 1995, II, 470 ss., in dottrina condividono questo secondo orientamento C. ZOLI, voce Retribuzione (impiego privato),in Dig. Disc. Priv.,Comm., XII, pag. 431; M. MAGNANI, Il salario minimo legale, in Riv. It. Dir. Lav., 2010, I, pag. 777 e ss. Cost., di garantire tramite la retribuzione minima non solo le esigenze di sostentamento dei prestatori di lavoro, ma un’esistenza libera e dignitosa. In tale valutazione la giurisprudenza non dà rilievo alla consistenza delle singole voci retributive, ma al trattamento complessivo, comprendente la parte di retribuzione eventualmente erogata in forma fissa e quella variabile45; quindi non sorgono problemi finché la retribuzione, quand’anche sia interamente flessibile, garantisce ai prestatori un trattamento economico complessivo superiore ai minimi46. Il dettato costituzionale, e in particolare i principi di eguaglianza e di non discriminazione, hanno spinto a sostenere l’esistenza con riguardo all’obbligo retributivo, del c.d. “principio di parità retributiva”, in base al quale ai lavoratori, a parità di mansioni di anzianità, spetterebbe un medesimo trattamento retributivo, senza alcuna possibilità per il datore di trattamenti preferenziali47. Tuttavia, secondo la prevalente giurisprudenza e dottrina, fermo il limite del divieto di discriminazione, deve escludersi l’esistenza di un generale ed assoluto principio di uguaglianza retributiva48. In particolare, la Cassazione49, nel ripercorrere il complesso iter giurisprudenziale50, ha affermato che nel nostro ordinamento giuridico non può assolutamente parlarsi di un principio di parità retributiva dei lavoratori a parità di mansioni, negando la sussistenza di un’automatica equazione qualifica-retribuzione: gli unici limiti esistenti sono quelli della garanzia del minimo retributivo e quello di non discriminazione51. 1.2 LA RETRIBUZIONE TRATTATA DAL CODICE CIVILE La retribuzione ha una struttura complessa in quanto comprende una serie di attribuzioni patrimoniali che presentano forma, funzioni e denominazioni differenziate52 . PAGE 36 45 Cass., 7 luglio 2004, n. 12512, in Giust. Civ., Mass., 2004, 7. 46 Cass., 10 gennaio 1994, n. 162. 47 F. DEL GIUDICE, Diritto del lavoro, cit., 261. 48 Corte Cost., sentenza 103/1989. 49 Cass., sent. 6030/1993. 50 Cass., sent. 2853/1987; Cass., sent. 4011/1988; Cass., sent. 1888/1990; Cass., sent. 5590/1991. 51 Cass., sent. 4570/1996. 52 F. DEL GIUDICE , Diritto del lavoro, cit., pag. 264. L’art. 2099 c.c. prevede che: “la retribuzione del prestatore di lavoro può essere stabilita a tempo o a cottimo e deve essere corrisposta nella misura determinata dalle norme corporative53, con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito”. Inoltre al comma 3 codifica che: “il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con la partecipazione agli utili o ai prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura”. Parte della dottrina54 ha affermato che l’art. 2099 c.c. non è “foriero di una diversa funzione della retribuzione, quanto di una differente modalità retributiva”. Quando la norma fu emanata nel 1942, cioè prima dell’entrata in vigore della costituzione, le forme retributive elencate dall’art. 2099 c.c. esprimevano diverse modalità, che potevano anche essere pienamente alternative l’una all’altra, di remunerare i lavoratori subordinati. Ciò non escludeva che la scelta dell’una o dell’altra modalità retributiva dipendesse dalla volontà dell’impresa di valorizzare una diversa funzione del trattamento economico. Per fare un esempio, l’adozione di un sistema di retribuzione a cottimo pieno si poneva come modalità alternativa alla retribuzione a tempo, ma aveva anche la funzione di incentivare i lavoratori ad accrescere il rendimento ed il ritmo produttivo. In considerazione di ciò, non si nega che l’art. 2099 c.c. contempli diverse modalità retributive, ma nemmeno che esse siano espressione di diverse funzioni del trattamento economico. L’art. 2099 c.c., tramite la retribuzione a tempo, quella a cottimo e la provvigione, ammette che il collegamento prestazione/retribuzione venga realizzato in modi eterogenei per migliorare lo scambio fra le parti. Diversamente, con la partecipazione agli utili evidenzia come una parte del trattamento economico possa essere “sganciata” dalla prestazione lavorativa svolta, per essere legata all’andamento dell’impresa. Tali sistemi costituiscono dei metodi per calcolare l’ammontare della retribuzione, a sua volta determinata dai contratti collettivi o, anche, dagli accordi individuali. Passando alla disamina dei vari sistemi retributivi, si distingue tra forme ordinarie di retribuzione, che comprendono la retribuzione a tempo ed a cottimo, e forme speciali che includono gli altri sistemi indicati dal comma 3 dell’art. 2099 c.c. PAGE 36 53 Le espressioni che fanno riferimento alle norme corporative sono da considerarsi abrogate dal R.D.L. 9 agosto 1943, n.721 e dal D.L.vo Lgt. 23 novembre 1944, n.369. 54 M. VITALETTI, La retribuzione variabile, Roma, Aracne, 2010, pag 3 e ss. 1.2.2 La retribuzione a cottimo La retribuzione a cottimo costituisce l’altro fondamentale sistema di retribuzione previsto dall’art. 2099 c.c., in cui si tiene conto, nella determinazione della retribuzione, non soltanto del tempo impiegato ma anche del risultato, della produttività del lavoro, quindi, del rendimento fornito dal lavoratore63. Storicamente la retribuzione a cottimo si distingueva dalla retribuzione a tempo, in quanto la prima prevedeva una commisurazione della retribuzione in base al risultato del lavoro64, e non in relazione alla durata della prestazione. Nel corso del tempo l’evoluzione dell’istituto si è caratterizzata per una progressiva modificazione della originaria concezione volta a commisurare il salario in funzione del risultato produttivo, per passare ad una diversa impostazione che al posto dello stesso valorizzerebbe il rendimento65. La funzione del cottimo è, quindi, quella di adeguare la retribuzione al modo di organizzare la prestazione lavorativa, con l’ulteriore effetto che il rischio della produttività del lavoro, pur restando a carico del datore per ciò che concerne la quantità della prestazione. Può dirsi, dunque, che nel cottimo la retribuzione è commisurata alla quantità della prestazione lavorativa, determinata in base non alla durata, ma all’intensità del lavoro66. La retribuzione a cottimo ha subito una lunga evoluzione nel corso degli anni, e di seguito vengono riportati brevi cenni. Originariamente si diffuse maggiormente nell’ambito del lavoro manuale: il cottimo nel periodo pre-corporativo era già ampiamente conosciuto, nonostante abbia trovato la sua massima utilizzazione con l’espandersi dell’industria meccanica. L’intensificazione e la razionalizzazione dei processi produttivi, dovuto principalmente alla necessità di intensificare la velocità del lavoro richiesta dalle nuove lavorazioni “a catena”, culminò nell’introduzione di un particolare tipo di cottimo, il PAGE 36 63 Ibidem, Diritto del lavoro, cit., pag 265. 64 G. GIUGNI, Organizzazione dell’impresa ed evoluzione dei rapporti giuridici. La retribuzione a cottimo, in Riv. Dir. Lav, 1968, pag. 7. 65 Ibidem, Organizzazione dell’impresa ed evoluzione dei rapporti giuridici, cit., pagg. 80 e ss. 66 F. DEL GIUDICE, Diritto del lavoro, cit., pag. 265. Bedaux, che commisurava il salario al rendimento valutato sulla base di tempi standard assegnati a singole operazioni e movimenti67. Mentre negli anni ’20 il cottimo attraversa la fase della più intensa deregolamentazione ed utilizzazione arbitraria, al contrario gli anni del regime fascista (1937-1945) cercarono di regolamentarlo giuridicamente, non senza contraddizioni. Il sistema che ne derivava non eliminava il problema della determinazione unilaterale delle tariffe e comunque l’assenza dei rappresentanti dei lavoratori nella determinazione delle stesse68. Gli anni ’60 sanciscono il riconoscimento formale dei cottimi nel sistema di contrattazione articolata, in particolare rileva l’espressa ammissione della contrattazione aziendale per quanto riguarda i sistemi ad incentivo come il cottimo ed il premio di produzione. A cavallo tra gli anni ’60 e ’70 il cottimo entra in un periodo di grave crisi, concernente sia l’aspetto economico, sia la sua funzione tipica. In sostanza, i lavoratori a cottimo subiscono una drastica diminuzione dei guadagni medi derivanti dal cottimo sul salario complessivo, ed anche la funzione tipica muta. Essa si allontana gradualmente dalla tipica funzione incentivante, fino ad evolversi verso “più raffinate concezioni e funzioni”, soprattutto come incentivo alla “non passività” dell’operaio nei confronti del buon andamento della produzione ed al mantenimento dei livelli di produttività standard69. Infine è da rilevare che, negli ultimi anni le innovazioni tecnologiche e produttive, i diversi criteri di organizzazione del lavoro ed i mutamenti del rapporto fra produzione e produttività hanno portato a mettere in crisi il cottimo come forma di retribuzione incentivante legata alla misurazione del rendimento individuale. Ad esso si vanno sostituendo, come vedremo nel successivo capitolo, altri meccanismi incentivanti, che: da un lato, tendono a ridurre l’assenteismo (c.d. premi di presenza), subordinando delle volte il premio anche a quote di presenza collettiva; dall’altro, collegano parte della retribuzione alla produttività aziendale (c.d. premi di produzione). PAGE 36 67 A. ALAIMO, Sistemi partecipativi e incentivanti di retribuzione: l’evoluzione storica in italia, in Dir. rel. Ind.,1991, I, pag. 18. 68 A. ALAIMO, Sistemi partecipativi e incentivanti di retribuzione, cit., pag. 19. 69 A. ALAIMO, Sistemi partecipativi e incentivanti di retribuzione, cit., pag. 25. In linea di principio, il cottimo costituisce espressione del potere unilaterale e discrezionale del datore di lavoro di determinare, in relazione all’organizzazione dell’impresa, il tipo e le modalità concrete della prestazione70. Più spesso, però, la retribuzione a cottimo si combina con la retribuzione a tempo: viene distinto generalmente in cottimo pieno (o puro) e cottimo misto. La forma del cottimo pieno comporta che la retribuzione viene determinata interamente in base al rendimento ottenuto o, secondo altre opinioni, in base al risultato ottenuto. Nel cottimo misto, invece, la retribuzione è data da una combinazione tra la forma del cottimo e quella a tempo: il lavoratore percepisce un importo fisso ( o minimo di paga base), al quale si aggiunge una parte variabile collegata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto (c.d. percentuale o utile di cottimo). In concreto nel cottimo misto la retribuzione si suddivide in tre fasce: paga base, pari alla retribuzione a tempo; cottimo minimo garantito; cottimo effettivo, che oscilla di volta in volta. Nella pratica però, tale distinzione non ha più ragione di esistere, in quanto il cottimo pieno è desueto e trova applicazione soltanto nel lavoro a domicilio71 per il quale costituisce la forma retributiva obbligatoria72. Occorre evidenziare anche come il cottimo pieno potrebbe in talune ipotesi incorrere addirittura nella violazione dell’art. 36 Costituzione: il lavoratore potrebbe non percepire una retribuzione, o percepirne una che non rispetti il requisito della sufficienza. Tali problemi non si pongono neppure nell’ottica del cottimo misto, perché al lavoratore viene assicurata una quota minima fissa. Nel cottimo misto, distinguendo la parte fissa della retribuzione e la parte variabile, gli esperti sono giunti a determinare quest’ultima parte della retribuzione mediante la c.d. “curva di cottimo”, rappresentante la funzione matematica che collega il guadagno di cottimo al rendimento di cottimo73. Sulla questione dei rapporti tra rendimento e retribuzione, la Corte di Cassazione ha ritenuto che “nel cottimo misto, la previsione di un minimo rendimento è connaturabile al sistema, non potendo altrimenti giustificare, il fatto che al lavoratore sia stata assicurata una retribuzione fissa, costituita dalla paga oraria maggiorata in PAGE 36 70 F. DEL GIUDICE, Diritto del lavoro, cit., pag. 265. 71 Art.8 legge 877/1973. 72 E. GHERA, Diritto del lavoro, cit., pag. 251. 73 P. ICHINO Lezioni di diritto del lavoro. Un approccio di labour law and economics, Milano, Giuffrè, 2004, pag. 112. La giurisprudenza ha sostenuto che, per aversi cottimo obbligatorio, la prestazione lavorativa richiesta deve essere superiore a quella del lavoratore a tempo, il quale non è legato alla presenza in azienda di determinati ritmi produttivi86. Negli ultimi anni però le elaborazioni dottrinali prevalenti si rifanno ad una più recente giurisprudenza di merito, che ha escluso qualsiasi nesso tra il cottimo e realizzazione di un determinato rendimento87. In questa prospettiva, si ritiene in primo luogo che il cottimista non debba osservare una diligenza superiore a quella gravante su ogni lavoratore, ma soprattutto che il rendimento ottenuto dal lavoratore a cottimo debba essere comparato ai rendimenti di cottimo medi del reparto, e non al rendimento del lavoratore a tempo88. Il primo comma dell’art. 2101 c.c. demanda alla contrattazione collettiva la competenza di stabilire le regole per la fissazione dell’unità di cottimo e quindi, in concreto, la retribuzione. Le regole fissate dal suddetto articolo per determinare le tariffe di cottimo sono dirette a garantire il lavoratore da alterazioni unilateralmente introdotte dal datore nei tempi di cottimo per ridurre i tempi di lavoro (c.d. taglio dei tempi)89: - “l’imprenditore deve comunicare preventivamente ai prestatori di lavoro i dati riguardanti gli elementi costitutivi della tariffa del cottimo, le lavorazioni da eseguirsi ed il relativo compenso unitario, nonché i dati relativi alla quantità di lavoro eseguito e al tempo impiegato”. Questi obblighi sono finalizzati a conseguire il controllo da parte dei dipendenti sui risultati di lavoro a cottimo, al fine di verificare l’esattezza della determinazione della retribuzione90. - inoltre “le tariffe possono essere sostituite o modificate soltanto se intervengono mutamenti nelle condizioni di esecuzione del lavoro, e in ragione degli stessi”; - ed, infine, “la tariffa non diviene definitiva se non dopo un periodo di esperimento” stabilito dai contratti collettivi. La ratio di questa scelta legislativa è da ricercarsi ancora una volta nella tutela della parte debole del rapporto, ossia il lavoratore. La norma, infatti, lo tutela da possibili modificazioni arbitrarie delle tariffe da parte dell’imprenditore e consente PAGE 36 86 Corte di Appello di Firenze del 21 luglio 1967, in Mass. Giur. Lav., 1967. 87 R. SANTAGATA (a cura di), Selezione di massime in tema di retribuzione incentivante: vent’anni di giurisprudenza, in Dir. Lav. Mercati, 2003, 2, pagg. 540 e ss. 88 In tal senso Pret.Monza 11 dicembre 1992, in RIDL, 1993, II, pag. 460. 89 F. DEL GIUDICE, Diritto del lavoro, cit., pag. 266. 90 G. GHEZZI – U. ROMAGNOLI, Il rapporto di lavoro, Bologna, 1995, pag. 214. l’intervento della contrattazione collettiva ogni qual volta vi sia l’esigenza di modificare le tariffe di cottimo91. 1.2.3 La retribuzione in natura La retribuzione in natura viene qualificata, al pari delle altre tipologie previste al comma 3 dell’art. 2099 c.c., come speciale. Si tratta di una ipotesi residuale che trova applicazione in certe forme di lavoro domestico, agricolo e nel settore della pesca. È stata valutata con sfavore dal legislatore per le forme di sfruttamento cui dava adito nelle originarie esperienze industriali, poiché addossava al lavoratore il rischio della sua trasformazione in denaro92. Di regola le forme di retribuzione in natura si aggiungono ad una retribuzione base monetaria: è il caso del lavoro domestico e del portierato nei quali la fornitura di taluni beni (vitto, l’alloggio riscaldamento, illuminazione o altro) è strettamente legata all’esecuzione della prestazione. La determinazione del valore pecuniario della prestazione in natura viene solitamente stabilito dalla contrattazione collettiva: in questo caso, le relative pattuizioni devono essere rispettate dalle parti che si sono vincolate e dal giudice, sollecitato a valutare l’equivalente della prestazione in natura. Quando avverrà una mutazione di mercato o altre esigenze di qualsiasi carattere, le associazioni sindacali o il legislatore interverranno per adeguare quel valore, stabilito in via pattizia, al cambiamento degli indici sovracitati93. Se il contratto collettivo non dispone nulla a riguardo, si tiene conto del prezzo medio del mercato, oppure del prezzo di costo (nel caso di beni e servizi prodotti dallo stesso datore di lavoro)94. Nonostante l’espresso enunciato normativo95, si ritiene pressoché concordemente che la retribuzione non possa essere corrisposta integralmente in natura96; questo per PAGE 36 91 B. CARUSO - G. RICCI, Sistemi e tecniche retributive, cit., pagg. 52 e ss. 92 F. DEL GIUDICE, Diritto del lavoro, cit., 267. 93 F. CARINCI (commentario diretto da), Diritto del lavoro, seconda edizione, vol.II, Utet, Milano, 2007. 94 L. ANGIELLO, La retribuzione, cit., pag. 123. 95 “Il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte….con prestazioni in natura”. 96 F. CARINCI (commentario diretto da), cit., pag. 898. evitare che possa essere fonte di sfruttamento e di abuso e anche per le difficoltà di trasformazione, del prodotto corrisposto in natura al prestatore di lavoro, in denaro. La marginalità sociale della retribuzione in natura, come già detto circoscritta solo in alcuni ambiti, ha fatto si che su di essa non sorgessero particolari contrasti dottrinali o giurisprudenziali. 1.2.4 La provvigione La provvigione, dall’esame della contrattazione collettiva, si applica alla trattazione di affari e consiste nella percentuale sugli affari conclusi, condotti a buon fine, o soltanto promossi dal prestatore nei casi in cui l’oggetto della prestazione consista appunto nella trattazione di affari in nome e per conto del datore di lavoro (es. rappresentanti, piazzisti, venditori in genere). La provvigione, a guisa del cottimo misto, costituisce una integrazione della retribuzione, giammai una forma esclusiva di essa, in quanto la sua aleatorietà non garantirebbe il rispetto e la realizzazione dei caratteri generali previsti e garantiti dalle norme di legge97. Secondo la giurisprudenza98, essa può costituire oggetto tanto di un contratto di lavoro subordinato, quanto di un contratto di lavoro autonomo. Ciò spiega perché la provvigione sia caratteristica dei rapporti di collaborazione autonoma e di parasubordinazione, ma non sia incompatibile, seppur in via residuale, con il lavoro subordinato99. L’istituto ha il pregio di aggiungere alla componente partecipativa un quid incentivante100, consentendo al lavoratore una percezione più diretta del guadagno che può derivare dalla positività del suo comportamento di lavoro. Questo aspetto la differenzia dalla partecipazione agli utili, dove l’esclusiva incidenza della componente partecipativa rende solo mediato il rapporto tra lo svolgimento della mansione richiesta ed il maggior compenso salariale. La corresponsione delle provvigioni avviene soltanto se il prestatore abbia effettivamente adempiuto la propria obbligazione nei confronti del datore di lavoro. PAGE 36 97 F. DEL GIUDICE, Diritto del lavoro, cit., pag. 267. 98 Cass. 17.12.1982, n.6988. 99 F. CARINCI (commentario diretto da), Diritto del lavoro, cit., pag. 907 e ss. 100 G. Z. GRANDI, La retribuzione, fonti struttura funzioni, Napoli, 1996, pag. 291. giudiziale” della retribuzione a fronte dell’inerzia degli amministratori nel redigere la proposta di bilancio. Tra le oscillazioni dottrinarie, sembra che la tesi prevalente sia quella che accorda al giudice la possibilità di redigere il c.d. “bilancio giudiziale”. In entrambi i casi, comunque, si discute se il prestatore possa impugnare la delibera di approvazione del bilancio112. La tesi affermativa si fonda sull’art 2379 c.c., che prevede l’impugnabilità da parte di chiunque vi abbia interesse delle deliberazioni nulle. Più difficile è sostenere l’ammissibilità, per il lavoratore, compensato con la retribuzione agli utili, a provare l’annullabilità delle deliberazioni. Nonostante questo potere, si deve riscontrare nella pratica una certa inefficacia di tale controllo, non essendo il prestatore in grado di sincerarsi della veridicità dei dati del bilancio. È da ricordare comunque come l’art. 2102 c.c. si ponga su un piano diverso rispetto all’ art. 46 Cost., che disciplina la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, e sul quale torneremo nei paragrafi successivi. Ci basti per adesso sapere come, in nessun caso, il lavoratore pagato con parte degli utili partecipa alla gestione dell’azienda113. Tale impossibilità gestionale ha reso poco diffusa questa forma retributiva nei contratti collettivi ed ha dato origine ad una scarsa giurisprudenza in merito, nonostante sia stata di ispirazione per nuove tecniche incentivanti. Alla luce di tutto questo, non si può certo ritenere che tale sistema retributivo possa effettivamente incentivare il lavoratore ad una migliore prestazione. L’art. 2099 comma 3 c.c. prevede che i lavoratori siano retribuibili “in tutto o in parte” tramite le forme appena descritte. La disposizione codicistica si giustifica perché è antecedente all’emanazione della costituzione, a seguito della quale l’art. 36 Cost. riconosce al lavoratore il diritto ad una retribuzione minima che deve essere sempre garantita. 1.3 LA RETRIBUZIONE NELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA Esiste un legame fortemente sinergico fra retribuzione e contratto collettivo114 poiché quest’ultimo ha fra i suoi compiti principali quello di determinare il trattamento PAGE 36 112 B. FARGNOLI, La retribuzione nel rapporto di lavoro subordinato, cit., pag, 247. 113 G. SANTORO-PASSARELLI, Noz. Dir. lav., 1963, pagg. 190 e ss. 114 G. FERRARO, Retribuzione e assetto della contrattazione collettiva, in Riv. It. Dir. Lav., 2010, I, pagg. 693 e ss. economico dei lavoratori subordinati, tanto da essere stato inizialmente definito “concordato di tariffa”115. Ed infatti, le prime negoziazioni collettive furono negoziazioni “per la tariffa”116, ed è stata la società dei tipografi di Torino fondata nel 1848 da Vincenzo Steffenone che, nello stesso anno della sua fondazione, riuscì ad ottenere la prima tariffa, ossia il primo contratto collettivo. 1.3.1 Il contratto collettivo Il contratto collettivo costituisce il principale strumento di regolamentazione dei c.d. rapporti collettivi di lavoro117, ossia il complesso di relazioni industriali tra le organizzazioni di rappresentanza degli imprenditori e dei lavoratori subordinati circa la determinazione concordata delle retribuzioni e delle condizioni di lavoro (contenuto economico e normativo), la regolazione della stessa attività sindacale e dell’esercizio dei diritti sindacali. In mancanza di una nozione legislativa, la dottrina118 definisce il contratto collettivo di lavoro come “l’accordo tra un datore di lavoro, o gruppo di datori di lavoro, ed una o più organizzazioni di lavoratori, allo scopo di stabilire il trattamento minimo garantito e le condizioni di lavoro alle quali dovranno conformarsi i singoli contratti individuali stipulati sul territorio nazionale”. Lo scopo principale dei contratti collettivi119 è quello di stabilire condizioni uniformi e obbligatorie valide per tutti i prestatori e datori di lavoro di una determinata categoria, onde evitare una possibile e dannosa concorrenza tra i primi, i quali, pur di ottenere il lavoro, sarebbero disposti ad accettare un trattamento economico inferiore a quello pattuito dai sindacati, e tra i datori di lavoro, i quali potrebbero, in mancanza di un contratto collettivo di riferimento, applicare condizioni svantaggiose ai lavoratori e quindi creare concorrenza sleale con gli altri imprenditori. PAGE 36 115 G. MESSINA, I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, in Riv. Dir. Comm., 1905, I, pagg. 458 e ss. 116 L.M. RIVA SANSEVERINO, Contratto Collettivo di lavoro, in Enc. Dir., Giuffrè, Milano, 1962, vol. X, pag. 56. 117 F. DEL GIUDICE, Diritto del lavoro, cit., pag. 71. 118 G. GIUGNI, Diritto sindacale, Cacucci, Bari, 2010, pagg. 125 e ss. 119 F. DEL GIUDICE, Diritto del lavoro, cit., pag. 72. Il IV comma dell'art. 39 della Costituzione prevede la possibilità che i sindacati “stipulino contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”120. Come è noto l'inattuazione del programma di registrazione e di riconoscimento dei sindacati, i quali mai hanno assunto personalità giuridica, ha impedito la concreta attuazione della norma in esame121. Va, comunque, considerato che la mancata attuazione dell’art. 39 Cost. ha permesso all’azione e all’organizzazione sindacale “di esplicarsi secondo modelli via via diversi, per tener conto delle profonde modificazioni intervenute nelle stesse relazioni industriali in conseguenza della evoluzione del contesto politico, economico e sociale nel quale quelle relazioni si svolgono”122 e di costituire un sistema sindacale di fatto, che si basa su un diritto sindacale “senza norme”123 ma anche “senza lacune”124. In dottrina125 e in giurisprudenza è ormai consolidata la tesi che riconosce al contratto collettivo natura negoziale privatistica, definito per questo “di diritto comune”, in quanto regolato dalle norme di diritto comune in materia contrattuale126; per cui, tale contratto, vincola esclusivamente gli associati alle organizzazioni sindacali di datori e lavoratori che lo hanno stipulato e non ha quindi efficacia erga omnes. L’estensione del contratto collettivo di diritto comune anche al di fuori dei limiti della sua efficacia è stata operata in applicazione del principio di sufficienza della retribuzione sancito dall’art. 36 Cost. Infatti, il giudice ha utilizzato e utilizza i parametri retributivi contenuti nei contratti collettivi anche quando il lavoratore non è iscritto a nessuna organizzazione sindacale o, in ogni caso, quando il datore di lavoro PAGE 36 120 La nostra Carta Fondamentale prevedeva quindi che i sindacati registrati potevano stipulare contratti con efficacia erga omnes, richiamando così molti aspetti del contratto collettivo corporativo istituito nel periodo fascista in Italia. 121 G. PERA, Diritto del lavoro, Cedam, Padova, 1980, p.170. 122 M. PERSIANI, Diritto Sindacale, Padova, 2009, pag. 26. 123 G. PROIA, Dalle origini al nuovo millennio, in BESSONE (diretto da) Trattato di diritto privato, vol. XXIV, CARINCI (a cura di), Il lavoro subordinato, Tomo I, PROIA (coordinato da), Il diritto sindacale, Torino, 2007, pag. 20. 124 M. DELL’OLIO, Il diritto del lavoro italiano e le sue fonti, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., n. 96, 2002, pag. 518. 125 F. DEL GIUDICE, Diritto del lavoro, cit., pag. 75. 126 Libro V del c.c. : art. 1322 in particolare. sindacale e della corrispondente attività, collegamento che le stesse associazioni sindacali pongono, mediante statuti o altri idonei atti di limitazione”138. Lo scopo principale dell’autonomia collettiva deve essere quindi quello di condurre ad una generale uniformità di trattamento minimo retributivo, eliminando quelle aree che non sono state tutelate. L’autonomia collettiva, nella determinazione del trattamento retributivo, è circoscritta però da limiti normativi di diversa natura. Se da un lato troviamo il limite costituito dell’invalicabilità dell’art. 36 della Costituzione, dall’altro ve ne sono altri che possono essere ricostruiti sia in sede di determinazione della c.d. “retribuzione- corrispettivo”, sia della c.d. “retribuzione-parametro”139, ovverosia la retribuzione di riferimento. Tuttavia, la giurisprudenza più recente140 ha constatato che nonostante il principio della giusta retribuzione si basi sul libero apprezzamento, da parte del giudice, dei parametri ricavabili dalla contrattazione collettiva, il magistrato ha un potere discrezionale amplissimo, tale da essere limitato soltanto dalla necessità di un’adeguata motivazione. Le molteplici variabili territoriali e culturali che possono influenzare il giudizio del giudice sono state oggetto anche di un intervento della Corte di Cassazione, che ha sottolineato a titolo di avvertenza e quindi con valore non vincolante, la necessità di corroborare lo spostamento dai minimi fissati dalla contrattazione collettiva con elementi concreti ed affidabili141. Secondo la legislazione vigente quindi, l’unico modo di limitare tale arbitrio è una maggiore valorizzazione dell’autonomia collettiva, qualunque sia il livello in cui essa si articoli. Nella definizioni delle regole concernenti la struttura della contrattazione collettiva non si può non annoverare “l’Accordo sul costo del lavoro” del 23-7-1993 tra Governo e parti sociali, con cui si perseguiva “l’obiettivo di conseguire una crescente equità nella distribuzione del reddito, contenendo l’inflazione, e di favorire lo sviluppo economico e la crescita occupazionale”. Oltre a perseguire tali finalità, l’accordo disciplina in modo compiuto la contrattazione collettiva, costituendo la vera pietra miliare del vigente sistema di PAGE 36 138 Cass. n. 13544/2008. 139 L. ANGIELLO, La retribuzione, op. cit. pag. 82. 140Cass. 26 luglio 2001, n. 10260; Cass. 15 novembre 2001, n. 14211, in RIDL, 2002. 141 Cass. 26 luglio 2001, n. 10260, cit. relazioni industriali: è stato definito, infatti, “il sistema costituzionale delle relazioni industriali”142. Il Protocollo del 1993143 ha individuato due differenti livelli144 in cui è articolata la contrattazione collettiva, indicando anche, i soggetti collettivi abilitati secondo i vari livelli. L’accordo ha, altresì, stabilito i tempi della contrattazione145 ed ha introdotto un meccanismo di recupero della perdita del potere di acquisto dei salari, il c.d. riallineamento dell’inflazione146, in sostituzione del meccanismo della c.d. scala mobile. Questo modello contrattuale è stato applicato per oltre 15 anni, fino al 2009, anno in cui è stata data vita ad una riforma degli assetti contrattuali: l’accordo-quadro del 22-1-2009, sottoscritto da 25 sigle sindacali, ad eccezione della CGIL147. Le linee di riforma principali del modello contrattuale sono state le seguenti148: - la contrattazione collettiva distinta su due livelli, il contratto collettivo nazionale (CCNL) e il contratto collettivo territoriale o aziendale (c.d. di secondo livello); - la durata del contratto collettivo è stata mutata, essendo fissata in 3 anni sia per la parte economica che normativa149; - è stato modificato il meccanismo di recupero del potere d’acquisto delle retribuzioni, infatti la determinazione dei minimi salariali avverrà in base al nuovo indice IPCA150; - a livello decentrato gli aumenti salariali sono connessi all’incremento della produttività delle imprese mediante negoziato, a livello aziendale o territoriale, sui premi di produttività (punto che riprenderemo nel capitolo successivo), oppure opererà PAGE 36 142 T. TREU, L’accordo del 23 luglio 1993: assetto contrattuale e struttura della retribuzione, in Riv. Giur. Lav., 1993, pag. 215. 143 Per un’analisi dettagliata del Protocollo del 23 luglio 1993 : T. TREU, L’accordo del 23 luglio 1993, cit., pagg. 215 e ss.; C. ZOLI, Struttura della contrattazione collettiva e rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, in Istituzioni e regole del lavoro flessibile, Napoli, Editoriale scientifica, 2006, pagg. 301 e ss. 144 In specie essi sono: il livello nazionale di categoria e il livello aziendale. 145 Durata quadriennale per quanto riguarda la parte normativa e biennale per quanto concerne la parte economica del contratto nazionale di categoria. 146 In pratica i soggetti sindacali, ogni due anni, devono procedere alla comparazione tra inflazione programmata e inflazione effettiva: sulla base dello scarto registrato si negozia l’incremento dei livelli retributivi per il secondo biennio. 147 Pertanto si parla anche di accordo separato. 148 F. DEL GIUDICE, Diritto del lavoro, cit., pag. 93. 149 G. GIUGNI, Diritto sindacale, cit., pag. 168. 150 “Indice dei prezzi al consumo armonizzato” in ambito europeo per l’Italia. un elemento retributivo di garanzia (ERG) in quelle realtà in cui non è attiva la contrattazione di secondo livello151; - è stato previsto che i contratti decentrati possano derogare anche in peius la disciplina degli istituti dettati dal contratto nazionale, ove ciò sia funzionale a governare situazioni di crisi o a favorire lo sviluppo economico: si tratta delle c.d. “clausole di uscita o di riapertura” che ora possono essere inserite nel CCNL152. Dunque, l’A.I. del 15 aprile 2009 conferma il sistema di contrattazione collettiva fondato su due livelli, ma riduce il ruolo dell’accordo nazionale in materia retributiva nell’intento di favorire la diffusione del secondo livello contrattuale153: all’accordo nazionale viene riconosciuto esclusivamente il compito di salvaguardare il potere di acquisto delle retribuzioni154, mentre quello di accrescere in termini reali il trattamento economico viene affidato totalmente al secondo livello contrattuale155. Da ultimo è intervenuto l’A.I. del 28-06-2011 con il quale è stata nuovamente ritrovata e raggiunta l’unità sindacale. L’A.I. del 28 giugno 2011, ha portato la dottrina156 ad interrogarsi sui rapporti fra questo e i due precedenti. La vigenza delle intese del 1993 e del 2009 rimane tuttora controversa157, in quanto l’A.I. del 28 giugno 2011 non interviene su una serie di questioni regolate dai precedenti accordi. Proprio per questi aspetti si ritiene tuttora vigente l’A.I. del 2009, in quanto la disciplina ivi contenuta “non sembra singolarmente incompatibile con le misure concordate nel 2011”158. In merito alla nostra ricerca si deve citare che l’A.I. del 2011 non disciplina la retribuzione variabile, ma ha modificato la regolamentazione delle “clausole di uscita” sancite dal precedente Accordo: in tal caso l’ultima disciplina prevale su quella antecedente. PAGE 36 151 F. DEL GIUDICE, Diritto del lavoro, cit., pag. 96. 152 G. GIUGNI, Diritto sindacale, cit., pag. 169. 153 V. BAVARO, Contrattazione collettiva e relazioni industriali nell’”archetipo” FIAT di Pomigliano d’Arco, in Quad. Rass. Sind., 2011, 3, pagg. 2 e ss. 154 G. FERRARO, Retribuzione e assetto della contrattazione collettiva, in Riv. It. Dir. Lav., 2010, I , pagg. 707 e ss. 155 T. TREU, Le forme retributive incentivanti, in Riv. It. Dir. Lav., 2010, 1, pagg. 640 e ss. 156 F. CARINCI, L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011: armistizio o pace, in Arg. Dir. Lav., 2011, pagg. 457 e ss. 157 C. ZOLI, L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, saggio sulla relazione tenuta al Seminario di Bertinoro, Bologna, 26-27 ottobre 2011, sul tema “All’inseguimento di un Sistema stabile ed effettivo”: dall’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 all’art. 8 della legge di conversione del D.L. n. 138/2011”, pag 6. 158 C. ZOLI, L’accordo interconfederale..., op. cit., pag. 7. collettiva la facoltà di escludere dal computo voci retributive, anche se di origine contrattuale, allorché ciò contrasti con gli anzidetti criteri legali imperativi”168. Anche la giurisprudenza più recente ha costantemente sottolineato “la mancanza di un principio generale ed inderogabile di omnicomprensività della retribuzione”169. Tuttavia, sono previste due deroghe170 al divieto di omnicomprensività. La prima riguarda l’art. 36 Cost. : se la remunerazione non è equa, allora si può considerare l’interazione tra diversi emolumenti. La seconda eccezione può, al contrario, essere formulata dal legislatore, come nel caso dell’indennità di anzianità e di preavviso, o dalle stesse parti, che nell’esercizio della loro autonomia collettiva o individuale, prevedano specifici accordi basati sul criterio dell’omnicomprensività per il calcolo di determinati istituti indiretti171. 1.3.4 Gli elementi costitutivi della retribuzione Prima di trattare il fondamento della ricerca, ossia la retribuzione variabile- incentivante, non si può tralasciare l’analisi degli elementi costitutivi della c.d. retribuzione di fatto172. La paga base, definita anche retribuzione normale minima o minimo tabellare, è l’ammontare determinato dai contratti collettivi. La stessa è costituita da un valore di partenza piuttosto basso, rapportato a ciò che complessivamente il lavoratore percepisce (la c.d. retribuzione di fatto) in relazione alla categoria e alla qualifica attribuita al lavoratore. Si aggiungono alla retribuzione normale minima, e ne costituiscono parte integrante, gli scatti di anzianità173 corrisposti al lavoratore come premio di fedeltà dimostrata all’azienda174; la peculiarità di questa voce retributiva è l’essere totalmente disgiunta dai meriti del lavoratore e comunque legata soltanto al decorrere del tempo. PAGE 36 168 Cass. S.U. n. 1614/1989. 169 Cass. n. 19425/2005. 170 B. FARGNOLI, La retribuzione nel rapporto di lavoro subordinato, cit., pag. 453. 171 Cass. 3.11.1995, n. 11424. 172 E. GHERA, Diritto del lavoro, cit., pag. 152. 173 Tali scatti costituiscono aumenti periodici di retribuzione (di solito biennali e proporzionati alla paga base) stabiliti dai contratti collettivi che ne determinano: il numero massimo, le cadenze di maturazione, le percentuali di calcolo, gli eventuali assorbimenti. 174 F. DEL GIUDICE, Diritto del lavoro, cit., pag. 269. La paga base può essere eventualmente aumentata mediante i rinnovi dei contratti collettivi, in occasione dei quali si possono stabilire degli aumenti in misura fissa. Dal 1-1-1992 è stato soppressa l’indennità di contingenza: automatismo retributivo sorto nell’immediato dopoguerra che ebbe la funzione di ancorare il potere d’acquisto della retribuzione al costo della vita mediante l’adeguamento del valore nominale della retribuzione a quello reale175. Il concetto di retribuzione base è altresì molto importante per determinare il calcolo delle componenti retributive c.d indirette o differite176. Oltre alla paga base o minimo tabellare, la contrattazione collettiva include nella struttura della retribuzione una serie di componenti: i c.d. elementi accessori ed integrativi della retribuzione177. Si tratta per lo più di attribuzioni corrisposte in via saltuaria o più frequentemente continuativa in aggiunta alla retribuzione normale minima. In base alla loro natura le “attribuzioni patrimoniali accessorie” si distinguono178 in tre macro gruppi. - Attribuzioni retributive: costituiscono un corrispettivo della prestazione di lavoro e qualora assumano carattere continuativo devono essere comprese, a tutti gli effetti, nella retribuzione (art. 2121 c.c.)179. - Attribuzioni non retributive: le quali, a differenza delle precedenti non hanno carattere corrispettivo, anche se sono di natura continuativa180. - Assegno unico al nucleo familiare: gli importi che il lavoratore riceve a titolo di assegno per il nucleo familiare non hanno natura retributiva ma previdenziale, in quanto costituiscono prestazioni di assicurazione sociale. Dall’aggiunta di tutte le suddette integrazioni si risale alla retribuzione complessivamente corrisposta al lavoratore: la c.d. retribuzione globale di fatto. PAGE 36 175 Riferimento all’istituto della c.d. scala mobile. 176 Le componenti indirette sono corrisposte in un periodo successivo rispetto alla loro maturazione, sia esso annuale come ad es. la 13°e la 14° mensilità, sia esso alla fine del rapporto come nel TFR. 177 E. GHERA, Diritto del lavoro, cit., pag. 151. 178 F. DEL GIUDICE, Diritto del lavoro, cit., pag. 271. 179 Nelle attribuzioni retributive rientrano: le maggiorazioni per il lavoro notturno, straordinario e festivo; i premi di operosità, di rendimento, di produzione; le gratifiche e le mensilità eccedenti la tredicesima; i compensi per ferie e festività non godute; le indennità, i superminimi e il terzo elemento. 180 Nelle attribuzioni non retributive rientrano essenzialmente i “rimborsi spese”. Il concetto di “retribuzione globale di fatto” è stata utilizzata per la prima volta dalla contrattazione collettiva181, successivamente ha ottenuto un riconoscimento normativo di significativa rilevanza per effetto della L. 108/1990, che, nel riformulare l’art. 18 dello St. Lav., ha definito che “per retribuzione globale di fatto deve intendersi il complesso degli emolumenti corrisposti a carattere continuativo, ed in particolare, oltre quelli che integrano la retribuzione ordinaria (stabilita a livello nazionale dalla contrattazione collettiva) anche quelle ulteriori componenti definite dalla contrattazione aziendale ed individuale”. PAGE 36 181 CCNL del 1990 per l’industria metalmeccanica privata.
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