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Organizzazione Aziendale, Manuale Corso Universitario Completo (Ed Mcgraw Hill 2004), Dispense di Organizzazione Aziendale

organizzazione aziendale

Tipologia: Dispense

2011/2012

Caricato il 03/05/2012

leune4
leune4 🇮🇹

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Scarica Organizzazione Aziendale, Manuale Corso Universitario Completo (Ed Mcgraw Hill 2004) e più Dispense in PDF di Organizzazione Aziendale solo su Docsity! www.GetPedia.com *More than 150,000 articles in the search database *Learn how almost everything works Presentazione v Capitolo 1 Come nasce il problema organizzativo 1 1.1 Obiettivi e struttura del capitolo 2 1.2 Divisione del lavoro, specializzazione e coordinamento 2 1.3 Il problema si complica 4 1.4 Strategia e struttura 5 1.5 L’ambiente 8 1.6 Gli attori 10 1.7 Le relazioni 11 Il mercato e lo scambio economico 12 Gerarchia-organizzazione 13 Le convenzioni 14 1.8 Soggetti, sistemi e popolazioni 17 Soggetti 18 Sistemi 22 Popolazioni 27 La morfogenesi: una sintesi 29 1.9 La progettazione organizzativa 31 1.10 Conclusioni 32 Indice Progettare i meccanismi di coordinamento 172 Vantaggi e cause di crisi della forma gerarchico-funzionale 173 Unità di comando e sovraccarico del vertice 173 Linea intermedia e opportunismo 174 Specializzazione e conflitti 175 Regole e resistenza al cambiamento 176 In sintesi 176 Far fronte alla crisi della forma gerarchico-funzionale 178 Comitati 180 Gruppi di lavoro 180 Task force 180 5.5 Le forme gerarchico-funzionali modificate 181 La struttura per funzioni con responsabilità di prodotto 183 La struttura per funzioni con organi di integrazione tecnica 186 Autonomia e coordinamento nelle strutture divisionali 191 Coordinamento e controllo 193 Allocazione delle risorse 195 Le transazioni interdivisionali 196 Servizi di supporto alle divisioni 197 Le alternative divisionali 198 Divisionale accentrata 198 Divisionale decentrata 199 Le soluzioni intermedie 201 Gruppi di imprese e holding 202 Vantaggi e cause di crisi della forma divisionale 204 Riduzione della complessità e costi di struttura 204 Atteggiamenti imprenditoriali e opportunismo manageriale 205 Vicinanza al mercato e competizione interna 205 Il rischio del guscio vuoto 206 5.7 Conclusioni 206 Capitolo 6 Le adhocrazie e le forme organizzative ibride 209 6.1 Obiettivi e struttura del capitolo 210 6.2 Forme adhocratiche e struttura a matrice 210 Caratteristiche delle forme adhocratiche 211 Struttura a matrice 213 6.3 Organizzarsi per processi 217 Come passare ai processi 219 Identificare i processi 220 6.4 Alleanze 222 xii Indice Alleanze orizzontali, verticali e trasversali 223 Modalità per fare le alleanze 225 Perché si stringono le alleanze 227 Progettare e gestire le alleanze 229 6.5 Outsourcing 230 Outsourcing e confini organizzativi 233 6.6 Forme a rete 236 Caratteristiche della forma a rete 237 Perché si diffondono le forme a rete 240 6.7 Conclusioni 241 Capitolo 7 Organizzare il lavoro delle persone 249 7.1 Obiettivi e struttura del capitolo 250 7.2 Gli strumenti per progettare le microstrutture 250 7.3 Gli approcci alla progettazione delle microstrutture 255 7.4 Organizzare il lavoro professionale 259 Knowledge worker e professional 262 Professionisti e burocrazia professionale 265 7.5 Nuove tecnologie e organizzazione del lavoro 266 Professionisti e burocrazia professionale 266 Organizzare il telelavoro 269 Dal telelavoro al networking 270 7.6 Conclusioni 274 Bibliografia 275 I maestri dell’organizzazione aziendale 291 Le parole dell’organizzazione 301 Indice xiii L’Organizzazione aziendale come campo di studio nasce con almeno due anomalie genetiche che derivano dai suoi progenitori. La prima risale agli studi di ingegneria applicati all’organizzazione del lavoro e implica una vi- sione chiusa focalizzata sui problemi di efficienza che di volta in volta si pre- sentano. La seconda risale alla tradizione dell’economia politica che non di- sponeva di una teoria dell’organizzazione, ma solo di una teoria dell’impre- sa ridotta ai parametri tecnici di una funzione di produzione, dalla quale il problema organizzativo viene espulso e reso esogeno. Per una buona parte del secolo scorso molti studiosi delle più svariate di- scipline si sono prodigati per modificarne il patrimonio genetico, a volte con un genuino interesse a correggere queste anomalie conservandone le caratte- ristiche di fondo, altre volte inserendo, ora in modo estemporaneo ora in mo- do meditato, prospettive e linguaggi molto eterogenei. Ciò ha alimentato li- nee di ricerca molto articolate e variegate che hanno creato un pluralismo teorico che non può che essere fecondo e contribuire al progresso della cono- scenza, anche se per ora rende difficile persino definire i confini, i contenuti e i metodi della disciplina. Ma questo è solo il riflesso della complessità dei problemi organizzativi, che possono essere affrontati solo con una pluralità di approcci e di strumenti. Questa pluralità, lungi dal disorientare i giovani che si avvicinano per la prima volta a tali studi, ha favorito l’inserimento di Organizzazione aziendale in vari piani di studio di diverse Facoltà, non solo in quelle vocate alle problematiche economiche e manageriali. Del resto, qua- lunque professione eserciti, un individuo finisce col passare, per ragioni di lavoro, di consumo, di studio e di ricerca, di svago o di sopravvivenza, tutta la vita immerso in organizzazioni. Alcune hanno per finalità il profitto, altre la soddisfazione di bisogni, ma tutte hanno il problema di coordinare gli sforzi dei loro membri per raggiungere i migliori risultati impiegando risorse Presentazione Srive A. Smith in Ricerca sopra la natura e le cause delle ricchezze delle nazioni (1776): “Il più grande miglioramento nelle forze produttive del lavoro, e la più grande parte dell’abi- lità, della destrezza e del giudizio con cui ovunque è diretto o praticato, sembrano essere stati gli effetti della divisione del lavoro medesimo [...]. Prendiamo dunque un esempio della divisione del lavoro in una manifattura di poco momento e che spesso è citata, quella, cioè, dello spillettaio. Un operaio non educato in questa manifattura, che a causa della divisione del lavoro ha fatto uno speciale mestiere, non abituato all’uso delle macchine che vi s’impiegano, ed all’invenzione delle quali la stessa divisione del lavoro ha probabilmente dato occasione, con gli ultimi sforzi di sua in- dustria forse appena farà uno spillo in un giorno, e certamente non ne farà mica venti. Ma nel modo, con cui ora si esegue tale manifattura non solo è essa uno speciale mestiere, ma si divide in molti rami, di cui la più gran parte è similmente un mestiere speciale: un uomo tira il filo del metallo, un altro dirizza, un terzo lo taglia, un quarto lo appunta, un quinto l’arrota all’estremità ove deve farsi la testa; farne la testa richiede due o tre distinte opera- zioni, collocarla è una speciale occupazione, pulire gli spilli ne è un’altra, ed un’altra ne è il disporli entro la carta; e in questo l’importante mestiere di fare uno spillo si divide in cir- ca diciotto distinte operazioni, che in alcune fabbriche sono tutte eseguite da distinte mani, benché in altre dallo stesso uomo se ne eseguono due o tre. Ho veduto una piccola fabbri- ca di questa manifattura, ove dieci uomini solamente erano impiegati, ed ove però ciascu- no di loro eseguiva due o tre operazioni. Essi quantunque fossero assai poveri, e perciò non usassero molto le macchine necessarie, pure quando a vicenda vi s’impegnavano fa- cevano dodici libbre di spilli in un giorno. Una libbra contiene più di mille spilli di gran- dezza media. Quei dieci individui dunque potrebbero insieme fare più di quarantottomila spilli in un giorno. Ciascuno di loro dunque, facendo una decima parte di quarantottomila spilli, può essere considerato farne quattromilaottocento in un giorno. Or se essi avessero lavorato separatamente e indipendentemente l’uno dall’altro, e senza che alcuno di loro 1 Come nasce il problema organizzativo CASO DELLA MANIFATTURA DI SPILLI -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 1 1.1 Obiettivi e struttura del capitolo Il brano di Adam Smith (1723-1790) fa capire il modo con cui il padre dell’e- conomia politica vedeva, agli albori della Rivoluzione Industriale, i vantaggi della specializzazione nella manifattura, pur avendo dedicato gran parte del- la sua attenzione alla specializzazione nel mercato. Questo tema sarà ripreso da David Ricardo (1772-1823) con la sua famosa teoria dei vantaggi compa- rati nel commercio internazionale. Nel suo classico esempio, due nazioni hanno convenienza a specializzarsi l’una nella produzione del bene (per esempio, il vino) per il quale ha un vantaggio produttivo e a scambiarlo con un altro bene (per esempio, il grano) in cui si specializzerà l’altra nazione. Attraverso la specializzazione e lo scambio, la quantità di vino e di grano a disposizione delle due nazioni è superiore a quella che si avrebbe se ambe- due producessero entrambi i beni. Il capitolo prende le mosse dai fondamenti economici dell’organizzazio- ne basata sulla divisione del lavoro. La dimensione economica e strutturale è necessaria per capire il problema organizzativo, ma ampiamente insufficien- te. Allora, al fine di costruire il modello con cui verrà affrontata l’organizza- zione aziendale, vengono introdotte altre dimensioni. L’obiettivo è quindi quello di presentare le tre dimensioni di questo modello (attori, ambiente e relazioni) e di fornire il lessico e i concetti necessari per la sua comprensione e il suo uso per scopi di analisi e di progettazione dell’organizzazione azien- dale. Il capitolo si conclude con una veloce panoramica delle principali pro- spettive teoriche con cui può essere guardato il problema organizzativo. Tale panoramica non ha la pretesa di costruire una mappa del pensiero organiz- zativo e serve solo a fornire le coordinate (soggetti, sistemi e popolazioni da un lato, determinismo, pluralismo e sintesi dialettica dall’altro) entro cui col- locare i diversi contributi. 1.2 Divisione del lavoro, specializzazione e coordinamento L’organizzazione, da un punto di vista economico, nasce per effetto della di- visione del lavoro che crea attività specializzate, che si sono dimostrate più 2 Capitolo 1 fosse stato educato ad una speciale operazione, ciascuno di loro non avrebbe potuto com- piere venti spilli, e forse neanche uno in un giorno, cioè certamente non la duecentoqua- rantesima parte, e forse neanche la quattromilaottocentesima parte di quel che sono intan- to capaci di compiere in conseguenza di una bene accomodata divisione e combinazione delle loro differenti operazioni”. [Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XV, pp. 821-822.] -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 2 produttive delle attività generali. Certe forme di divisione del lavoro si tro- vano anche in natura e sono connaturate alle attività umane e alle forme so- ciali affermatesi in diverse epoche storiche. Ma è con la Rivoluzione Indu- striale, nella seconda metà del Settecento, che i princìpi della divisione del la- voro e della specializzazione vengono applicati in misura estesa alla produ- zione manifatturiera soppiantando, come illustra il bellissimo brano di Adam Smith, le forme artigianali fino ad allora prevalenti. Un ulteriore im- pulso venne, agli inizi del Novecento, dall’organizzazione scientifica del la- voro (Box 1), che diede luogo a una seconda Rivoluzione Industriale, con la nascita della produzione di massa, culminata nel Taylorismo e nel Fordismo [Amatori 1996]. Queste forme sono oggi superate e criticate, ma indubbia- mente sono state alla base del progresso economico e sociale del XX secolo. Ciò che è in discussione non è il principio della divisione del lavoro, ma le sue applicazioni più esasperate. Le attività specializzate consentono di accedere a [Di Bernardo 1996]:  economie, per l’appunto, di specializzazione, consentite da macchine e unità produttive dedicate e quindi con rendimenti ottimali;  economie di apprendimento, in quanto l’operatore, limitando il suo orientamento cognitivo a una gamma ridotta di operazioni riesce a esse- re più concentrato e, quindi, ad apprendere più rapidamente attraverso la ripetizione;  economie di scala produttive, in quanto gli impianti specializzati posso- no assumere dimensioni rilevanti e tali da conseguire costi unitari mino- ri, anche grazie alla distribuzione dei costi fissi su una produzione mag- giore; la scala dimensionale raggiungibile dipende però, oltre che da fat- tori tecnici, dalla dimensione del mercato. Le attività specializzate devono essere ricondotte attraverso il coordinamen- to all’unità, che è stata rotta dalla divisione del lavoro. Quanto più estesa è la specializzazione, tanto più importante e complesso è il ruolo del coordina- mento. In questa prospettiva, il coordinamento è l’essenza dell’organizzazio- ne e le varie soluzioni organizzative si differenziano per come lo realizzano. La prima forma di coordinamento è rappresentata dal mercato: la mano invisibile del mercato, attraverso il meccanismo dei prezzi, coordina le attività di tanti singoli produttori specializzati. Il mercato, in questa prospettiva, è la struttura più efficiente di coordinamento, poiché opera con una sola infor- mazione: il prezzo. All’estremo opposto troviamo la gerarchia, in cui è la ma- no visibile del management (l’imprenditore e i suoi delegati) che coordina e ri- porta a unità le attività specializzate raccolte nell’organizzazione interna [Williamson 1975]. Le modalità di realizzazione del coordinamento entro l’organizzazione possono assumere, come si vedrà più avanti, forme diverse e non tutte necessariamente gerarchiche. Tra i due estremi, mercato e orga- Come nasce il problema organizzativo 3 -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 3 biente ha la capacità di modificarsi, evolversi e differenziarsi sotto la spinta di una pluralità di soggetti individuali e collettivi (manager, quadri, operai, gruppi professionali, sindacati, stakeholder: si veda il Capitolo 2). Non è quindi il solo portato delle interdipendenze, ma anche delle strategie di tutti gli attori (interni ed esterni), il cui ruolo sarà differenziato dalla loro capacità di determinare o condizionare le performance dell’organizzazione. L’idea di strategia postula la libertà di colui che decide. Nel caso dell’approccio linea- re, tale libertà è riconosciuta a un solo attore, unitamente alla capacità di im- 6 Capitolo 1 Strategia Struttura Ambiente Ambiente FIGURA 1.3 Approccio interdipendente. Negli anni ’60 l’industria italiana dell’abbigliamento era percorsa da una profonda crisi, al punto da avviarsi a essere considerata un business per Paesi in via di sviluppo. Le gran- di aziende del settore erano alle prese con costi elevati, qualità scadente, scarsa capacità di innovazione, rapporti insoddisfacenti con i fornitori di tessuti e con la distribuzione, con- flittualità endemica con il personale. La loro organizzazione di tipo gerarchico funzionale, ricalcata sul modello della grande fabbrica metalmeccanica, rincorreva le economie di scala attraverso grandi stabilimenti, dove veniva concentrata una manodopera di origine agricola prevalentemente femminile, e sistemi di programmazione sofisticatissimi ma sem- pre inadeguati. I tempi di programmazione erano arrivati in taluni casi a 36 mesi, l’inter- vallo che passava dal momento in cui veniva scelto un determinato tessuto e il momento in cui il capo era disponibile in negozio. In questo quadro, Luciano Benetton lancia l’idea che rivoluzionerà il settore [Nardin 1987]. Il prodotto diviene più informale, da capospalla a casual. Il colore diventa una sua caratteristica fondamentale, associata a una grande varie- tà di proposte stilistiche con cicli di vita abbreviati, in sintonia con un’epoca di grandi e re- pentini cambiamenti sociali e culturali. La produzione viene decentrata a una grande quantità di laboratori artigianali dispersi nella campagna veneta e gestiti dalle famiglie de- gli stessi operai licenziati dalle grandi imprese in crisi. I piccoli problemi operativi vengono risolti autonomamente a livello di laboratorio, da una manodopera che resta inserita nel proprio ambiente e svolge un ruolo attivo, traducendo in un guadagno diretto ogni miglio- ramento di efficienza e di qualità. La distribuzione viene affidata a una rete di negozi in franchising, gestiti da imprenditori che trovano conveniente affiliarsi con Benetton. Il cana- le distributivo diretto evita tutta una serie di costosi passaggi e assicura all’azienda un con- tatto immediato con il mercato e una capacità di reazione impensabile anche con il più so- fisticato sistema di pianificazione commerciale. Benetton si concentra sulla politica del pro- dotto, sulla comunicazione e sulla finanza e pilota una delle crescite più spettacolari della storia dell’industria italiana. CASO BENETTON -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 6 plementare la decisione. Nell’approccio interdipendente essa viene in qual- che modo delimitata per l’appunto dalle interdipendenze, che normalmente subisce e solo raramente gestisce. È necessario un approccio che riconosca l’aspetto creativo e relazionale delle strategie come una caratteristica poten- zialmente attribuita a tutti gli attori, pur entro il sistema di interazioni simul- tanee o successive (path dependence: le decisioni passate interagiscono con quelle attuali). La strategia si misura con la capacità di creare alternative che generano valore attraverso la combinazione di elementi di varietà e variabilità che con- sentono di dominare e sfruttare, piuttosto che subire, la complessità ambien- tale. E, a volte, arriva a conformare e strutturare il contesto ambientale per la valorizzazione di risorse specifiche [Thompson 1967; Winter 1987]. L’ap- proccio che ne discende viene allora qualificato come evolutivo. La relazione tra strategia e struttura passa da circolare a contestuale. In tale approccio, ol- tre all’ambiente, figurano le strategie degli attori e le strutture che governano le relazioni tra gli attori (Figura 1.4). Quindi non solo relazioni interne (gerar- chia) ma anche mercato e convenzioni. L’approccio evolutivo è quello adot- tato in questo libro. Con questo modello, l’organizzazione è collocata in un contesto sociale, istituzionale e politico più ampio, che include l’insieme di regole, convenzioni e sistemi di sanzione storicamente definiti, che fondano le relazioni tra attori. Il modello è evolutivo, poiché permette di cogliere an- che i processi di trasformazione delle forme istituzionali e, in particolare, del- l’organizzazione, considerata essa stessa come istituzione, in rapporto ai cambiamenti delle tecnologie e dei mercati, oltre che delle condizioni sociali e politiche specifiche, in differenti contesti nazionali e diverse epoche stori- che [Di Bernardo e Rullani 1990]. Nei paragrafi che seguono sarà illustrato il modello che si articola secondo tre dimensioni: la dimensione degli attori, la dimensione delle strutture che governano le relazioni tra gli attori, la dimen- sione dell’ambiente (Figura 1.5). Come nasce il problema organizzativo 7 Strategia Struttura Ambiente Strutture di governo delle relazioni Strategie degli attori FIGURA 1.4 Approccio evolutivo. -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 7 1.5 L’ambiente L’ambiente come sistema e come aggregato di sistemi può essere sintetizza- to, ai fini di una rappresentazione rilevante per differenziare le diverse solu- zioni organizzative, isolando alcune variabili. La scelta di tali variabili costi- tuisce essa stessa un’opzione teorica. Senza alcuna ambizione di formulare una meta-teoria, ma con una semplice finalità descrittiva si sono selezionate le seguenti variabili:  i mercati (degli input e degli output);  la tecnologia;  le istituzioni. Mercati I mercati sono luoghi fisici e talora astratti dove s’incontrano la do- manda e l’offerta per realizzare scambi di beni o servizi contro un corrispetti- vo in denaro, definito prezzo di mercato. I mercati nella loro forma pura prati- camente non esistono. In realtà essi sono, in misura più o meno estesa, istitu- zionalizzati, nel senso che sono regolati da norme giuridiche o da usi e costu- mi che ne definiscono il funzionamento. I mercati non sono il solo strumento per realizzare scambi e trasferimenti: si pensi al baratto nelle società primiti- ve o al dono. La scelta dei mercati come parte rilevante dell’ambiente è un’opzione che differenzia una teoria dell’organizzazione economica da una teoria generale dell’organizzazione [Perrone 1990; Grandori 1999]. L’unità d’analisi è l’organizzazione d’impresa, cioè un’entità che trova le sue risorse, anche le risorse di legittimazione, attraverso lo scambio. La dimensione eco- nomica non esaurisce la complessità dell’organizzazione d’impresa, ma ne 8 Capitolo 1 Ambiente Mercati Tecnologia Istituzioni Soggetti Individui Attori individuali Attori collettivi Relazioni Sociali e culturali (convenzioni) Politiche (gerarchia) Economiche (mercato) FIGURA 1.5 Le tre dimensioni dell’organizzazione. -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 8 L’attore può essere individuale o collettivo, a seconda che appartenga o me- no a un’organizzazione formale o a un movimento che dispone di strutture, regole, identità (esplicite o implicite) che inducono comportamenti per l’ap- punto collettivi. Gli attori, individuali e collettivi, possono essere considerati una variabi- le dell’organizzazione o il suo elemento costitutivo [Bianco 1997]. Negli ap- procci soggettivi, gli attori ricevono un’attenzione prioritaria e talora esclusi- va. La psicologia, la sociopsicologia, le scienze cognitive, oltre a fornire gli strumenti per comprendere i comportamenti degli individui e dei gruppi, definiscono teorie che attribuiscono loro gradi diversi di autonomia. Si va dall’estremo di totale autonomia, all’altro di totale determinazione da parte dell’ambiente, delle istituzioni, delle risorse. Gli attori sono esaminati nelle diverse teorie organizzative in maniera di- versa a seconda della rilevanza che queste danno alla dimensione individua- le e a quella collettiva. L’approccio psicologico privilegia l’attore individuale, quello psicosociale pone rilevante attenzione, talora partendo proprio dalle dimensione individuale, ai gruppi, ai comportamenti collettivi, alle relazioni intra- e inter-gruppi [Quaglino 1996]. L’approccio economico privilegia l’at- tore individuale, che viene assunto con una visione semplificata della sua psicologia, delle sue motivazioni, della sua razionalità. I differenti approcci possono essere giustificati con esigenze analitiche e indubbiamente servono a evidenziare aspetti particolari del comportamento. Ma anche in questo campo s’impone una visione integrata capace di sintetizzare le diverse di- mensioni del comportamento dell’attore e di mantenerne la complessità. Questa sintesi è tuttavia ancora lontana. L’analisi approfondita degli attori sarà sviluppata nel Capitolo 2. 1.7 Le relazioni Le strutture sono degli artefatti costituiti da regole, procedure, relazioni con- trattuali, sociali e affettive, ruoli e funzioni, relativamente stabili, che hanno lo scopo di regolare i rapporti tra gli individui e di coordinarne le attività per il raggiungimento dei fini dell’organizzazione e degli individui. Il loro ruolo è duplice. Da un lato hanno il ruolo di gestire la complessità rendendola, at- traverso la scomposizione dei problemi, affrontabile anche con i limiti cogni- tivi e computazionali degli individui. Dall’altro lato, hanno il ruolo di atte- nuare il conflitto e controllare l’incertezza per i singoli membri. L’approccio economico tende a ridurre le relazioni a contratti bilaterali, a transazioni eco- nomiche: l’organizzazione come nexus di contratti [Aoki, Gustafsson e Williamson 1990]. L’esperienza suggerisce che questa visione è riduttiva, an- che se per finalità analitiche mantiene la sua validità, purché sia sempre chia- ro che si tratta di un espediente che semplifica la realtà e ne coglie solo un Come nasce il problema organizzativo 11 -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 11 aspetto. Le relazioni fra attori e fra sistemi sono gli elementi costitutivi della vita organizzativa. L’organizzazione non è altro che la scelta delle strutture e dei sistemi operativi che governano, stabilizzano, regolano queste relazioni [Ménard 1993, p. 23]. In una relazione tra due o più individui possiamo indi- viduare un piano economico, un piano politico e un piano sociale, ideologi- co, culturale e affettivo. A ciascuno di questi piani corrisponde una struttura di governo delle relazioni, astrattamente utilizzabile, anche se è difficile ipo- tizzare che ciascuna struttura influenzi una sola tipologia di relazioni. 12 Capitolo 1 Guby Fashion è un’azienda di abbigliamento con due linee, uomo e donna, di livello me- dio-alto in grande espansione. Dispone di una rete di negozi in franchising presenti nelle principali città europee. A seguito delle dimissioni dell’area manager Germania e Paesi scandinavi, il direttore commerciale ha proposto a Riccardo Zinotto, area manager Italia e Sud Europa, un trasferimento da Roma a Francoforte, accompagnato da un consistente au- mento di stipendio. Il dr. Zinotto è molto contrariato, nonostante il vantaggio economico, per le difficoltà e i rischi che vede nel cambiamento e chiede un colloquio di approfondi- mento. Il problema deve essere visto nei suoi termini economici, come uno scambio. Il dr. Zinotto deve sopportare un disagio nel modificare le sue abitudini, i suoi rapporti con i clienti, le sue competenze e in cambio riceve un aumento di stipendio. Ma il contratto di la- voro subordinato che lo lega all’azienda conferisce al direttore commerciale il potere di or- dinargli il trasferimento. Anche se questi non intende usare questa possibilità, la relazione è politica, nel senso che si basa su un differenziale di potere, in questo caso di potere ge- rarchico. La gerarchia è la struttura che governa questo aspetto della relazione. Il dr. Zinotto sa che non può prescindere da questa circostanza nel valutare la convenienza ad accettare lo scambio. Egli può protestare (voice) e far presenti i disagi cui va incontro e ne- goziare un aumento più elevato, ma se il direttore commerciale insiste ed egli pensa di non poter accettare, non ha altra alternativa che uscire (exit) dalla relazione. Il dr. Zinotto è pe- rò molto identificato nell’azienda, nella quale lavora da subito dopo la laurea e che lo ha sempre molto gratificato in cambio della sua disponibilità e della sua dedizione. Tutto il management dell’azienda si percepisce come un gruppo molto affiatato e coeso attorno al titolare, un leader carismatico. E il dr. Zinotto sente di non poter deludere le aspettative dei colleghi, con i quali ha un ottimo rapporto di fiducia e di cooperazione. Nella sua decisio- ne pesa anche questa dimensione. La relazione è in questo caso regolata da una conven- zione sociale, che crea un condizionamento nel comportamento stimolato da un sistema di attese basate sulla lealtà (loyalty). CASO GUBY FASHION Nel caso Guby hanno quindi operato i tre piani di relazione: una relazione economica di scambio sotto forma di una vera propria transazione economi- ca (anche se non di mercato, poiché ci troviamo in quel particolare mercato che è il mercato interno del lavoro), una relazione politica sotto forma di rap- porto gerarchico che configura una transazione organizzativa e, infine, una relazione sociale e psicologica nell’ambito di una convenzione. L’estensione -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 12 del concetto di transazione al piano politico e al piano sociale ha un fonda- mento anche al di fuori dell’economia dei costi di transazione (Paragrafo 1.8, Sottoparagrafo Sistemi). Si pensi allo scambio politico dei sociologi [Pizzorno 1980] e all’interazionismo simbolico degli psicologici [Blumer 1969]. Questi piani potrebbero essere oggetto di una trattazione autonoma, anche dal pun- to di vista disciplinare, ma, come evidenziato dall’esempio, operano unita- riamente. La separazione è, come si è detto, un espediente analitico utile, an- che perché può utilizzare gli strumenti più appropriati per ciascuna fase. La situazione concreta consentirà di evidenziare il piano di volta in volta più ri- levante, il grado di autonomia di ciascun piano e, in ultima istanza, il piano decisivo. Il mercato e lo scambio economico Nelle elaborazioni dell’economia, il mercato è la prima e fondamentale strut- tura di governo delle transazioni, astrattamente molto efficiente in quanto può funzionare con un minimo di informazione, il prezzo, e con un minimo di collaborazione: lo scambio è contestuale e reciproco e avviene sulla base delle rispettive funzioni di utilità. Nelle elaborazioni dell’economia dell’or- ganizzazione [Ménard 1993] il funzionamento del mercato non è così lineare: la razionalità limitata, le asimmetrie informative e la possibilità di comporta- menti opportunistici inducono dei particolari costi, definiti costi di uso del mercato (ricerca delle informazioni, stesura dei contratti, risoluzione delle controversie sull’applicazione delle clausole contrattuali) che possono diven- tare così rilevanti da rendere conveniente il passaggio ad altre strutture [Williamson 1975; Milgrom e Roberts 1992]. Il mercato non è normalmente la forma idonea ad acquisire servizi uma- ni. Infatti allo scambio di mercato viene sostituito il contratto di impiego, che è alla base della nascita dell’impresa e della struttura di governo delle transa- zioni definita gerarchia-organizzazione. Per transazione, in un’accezione ampia che fa riferimento all’etimologia latina del termine che evoca l’idea di “operare attraverso”, si possono inten- dere gli scambi di energia, informazioni, valori, simboli, oggetti, consenso ecc. che intervengono tra i soggetti. Quando queste “operazioni” avvengono in forza di un accordo reciproco, la transazione assume la forma di un con- tratto (esplicito o implicito, completo o incompleto) che ne regola l’esecuzio- ne. Il termine contratto oltre che in un’accezione tecnico-giuridica, che si pre- sta a un trattamento analitico, in organizzazione è stato usato in un’accezio- ne metaforica. È il caso del contratto psicologico, che può essere definito co- me una certa disposizione interiore ad adempiere un’obbligazione di tipo tecnico-giuridico, o a vivere a una relazione di altro tipo, con spirito di colla- borazione, di fiducia e con un forte commitment a che le attese, implicite ed Come nasce il problema organizzativo 13 -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 13 ora “calcolano”, ora obbediscono a degli ordini gerarchici, ora si conformano a norme sociali. Se si tenta una sintesi dei diversi approcci, come viene qui proposto, si arriva a dimostrare che questi “contenitori sociali” contribuisco- no a generare dei comportamenti microeconomici specifici fondati sul reci- proco adattamento. In altre parole, non ci sarebbe solo un approccio alla ra- zionalizzazione economica basato su una razionalità asociale. Ci sarebbe in- vece l’influenza di saperi condivisi, di rappresentazioni comuni sulla razio- nalità dei comportamenti osservati. Da questo punto di vista, la convenzione può essere considerata un processo cognitivo collettivo, la definizione di un common knowledge. L’ambiente (i mercati o le altre istituzioni) pone all’orga- nizzazione delle norme di performance. Queste vengono traslate in norme interne che sono incorporate nella cultura o, se si preferisce, nell’ideologia dell’organizzazione [Butler 1991, p. 17]. Queste sono le forme di governo delle transazioni che sono state indivi- duate dalla teoria dell’organizzazione e che possono orientare le scelte di 16 Capitolo 1 Senza mercato né gerarchia: come nasce una convenzione Tutto è nato quasi per gioco: Torvalds, studente all’Università di Helsinki, all’inizio degli an- ni ’90 pasticcia con Unix.. Unix è la madre dei migliori sistemi operativi (i programmi che “fanno funzionare” i computer). Ma Unix, nato nei mitici Laboratori della Bell, ha finito per non diventare mai lo standard condiviso a livello di massa, perché ogni softwarehouse che ne ha acquistato i diritti (da Digital a Sun a IBM) ha pensato bene di svilupparne una ver- sione, un dialetto, incompatibile con gli altri. E nessun dialetto di Unix ha mai raggiunto una sufficiente diffusione, una sufficiente massa critica. A tutto vantaggio del DOS prima e di Windows poi, sistemi operativi magari criticabili, ma talmente diffusi da costituire lo standard di fatto. Torvald lavora per tre anni. Nel ’94 la versione 1.0 di Linux è pronta. Il 25 gennaio 1999 è completata la versione 2.2. Il prodotto è valido, ma non è qui che sta la differenza. Due sono i fattori distintivi. Il primo: Torvalds sceglie di rinunciare alla proprietà intellettua- le del suo lavoro. Il codice, l’informazione che è il cuore del prodotto, è e resterà una GNU (General Public License), liberamente utilizzabile da chiunque. Il secondo: Torvalds sceglie di non operare da solo, ma di condividere il lavoro con una miriade di sviluppatori di tutto il mondo, volontari, non remunerati, interessati come lui a crescere partecipando a un pro- getto. Di Linux si sa tutto, Linux è gratuito, ognuno potrebbe crearne una propria versione, incompatibile con le altre, ma a che pro? L’interesse condiviso sta nel far crescere un “pro- dotto” che è una sorta di bene comune, di tutti e di nessuno. In questo, naturalmente, un grande aiuto viene dalla Rete: via Internet può essere coordinato il progetto, possono lavo- rare gruppi virtuali. Un progetto nato per hobby, o per scommessa, privo di scopo di lucro, ha assunto così un non trascurabile rilievo in un mercato dove competono duramente i più agguerriti produttori di software: nel segmento dei sistemi operativi per server, tra il ’97 e il ’98, la quota di mercato di Linux è cresciuta del 215%, contro il 4% delle diverse versioni di Unix e il 27% di Windows NT. [Francesco Varanini, www.bloom. it.] CASO LINUX -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 16 progettazione e gestione dei meccanismi operativi. La scelta degli orienta- menti alternativi, o più realisticamente del loro mix (vedi caso Malaguti), può trovare spiegazione in una serie di contingenze strutturali (tecnologia, incertezza e variabilità dell’ambiente, caratteristiche dei mercati, ambiguità dei risultati e difficoltà di misurare le prestazioni, cultura aziendale, sindaca- le e nazionale, dimensioni d’impresa ecc.), ma anche nella determinazione progettuale degli attori. Il tema delle relazioni sarà sviluppato approfondita- mente nel Capitolo 4. Come nasce il problema organizzativo 17 TABELLA 1.1 Strutture di governo delle relazioni. Struttura Piano di Principio Meccanismo di di governo transazione Relazione motore Strumento funzionamento Convenzioni (per esempio Clan) Gerarchia Mercato Strutture ibride Sociale, psicologico, culturale Politico Economico Mix Adesione, mi- metismo auto- realizzante Subordina- zione Scambio Mix Valori e saperi condivisi Potere Utilità Mix Inclusione Comando Prezzo Mix Loyalty Voice Exit Mix Nata negli anni ‘30 come un piccolo laboratorio di biciclette, alla fine del 1995 l’azienda bolognese produttrice di scooter aveva raggiunto i 230 miliardi di fatturato, di cui oltre il 10% arrivava da esportazioni, anche in mercati difficili come quello tedesco e francese. La Malaguti, come altre aziende del settore, ha un’organizzazione della produzione basata su una grande quantità di fornitori di parti componenti. L’originalità della soluzione orga- nizzativa consiste nel fatto che, in occasione della costruzione del nuovo stabilimento su un’area di 35 000 metri quadri alla periferia di Bologna, l’azienda ha deciso di riunire sotto lo stesso tetto i numerosi artigiani che già lavoravano per l’azienda. La motivazione aziendale è stata quella di aumentare la velocità nell’assemblaggio e quindi nella risposta alle sollecitazioni del mercato, oltre che di ridurre le spese di trasporto e di comunicazione. Ma la soluzione si presta a interessanti considerazioni nell’ibridazione tra mercato e gerar- chia. Gli artigiani pagano un affitto e hanno un’opzione per acquisire una partecipazione nell’azienda. [“Espansione”, n. 7-8/1995.] CASO MALAGUTI 1.8 Soggetti, sistemi e popolazioni Con la nascita dell’impresa, i soggetti operano attraverso una o più strutture che, come si è già detto, sono degli artefatti costruiti per coordinare gli ap- porti individuali verso il raggiungimento degli obiettivi. Le strutture sono -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 17 caratterizzate da gradi diversi di stabilità, autonomia e inerzia e costituisco- no assetti che trascendono le volontà dei soggetti. È importante quindi ap- profondire la relazione tra i soggetti e le strutture. Il modello che è alla base di questo volume propone una sintesi di approcci diversi a questa problema- tica. Nei paragrafi che seguono si cercherà di offrire una panoramica di que- sti approcci, ordinandoli a seconda che si focalizzino sui soggetti, sui sistemi o sulle popolazioni di organizzazioni. Questi diversi orientamenti fanno ca- po a scuole che sono spesso chiuse e in marcata contrapposizione tra loro. Lo spirito migliore per analizzarli non è quello di accentuare le contrapposizioni e nemmeno quello di tentare un ecumenico affastellamento. È piuttosto lo spirito suggerito da Williamson in una famosa intervista: “Occorre esporre i diversi punti di vista e mantenere un confronto amichevole, nel quale si cer- chi di apprendere l’uno dall’altro” [Swedberg 1990, p. 134]. Soggetti Tra le teorie che hanno posto l’attenzione sul soggetto, spiccano quelle colle- gate a una visione economica e quindi deterministica dell’organizzazione. Il soggetto è l’imprenditore della teoria economica neoclassica, portatore di una razionalità che sovrasta tutte le altre. L’organizzazione viene spersona- lizzata e resa oggettiva, sia nel significato di “quantificabile” secondo i cano- ni della misurazione “scientifica”, sia nel significato di “reificata”. Teorie classiche L’organizzazione è un puro mezzo che viene plasmato dai fini di chi detiene il comando, che diviene l’unico soggetto rilevante. Questi opera secondo un principio di razionalità che risponde al criterio efficienti- stico del minimo mezzo e trascura ogni altra considerazione di tipo cultura- le, sociale, psicologico che possa interferire con l’obiettivo della massimizza- zione del risultato [Rullani 1989, pp. 36-37]. In un certo senso, anche l’attore che detiene il potere viene a sua volta “reificato”, in quanto “condannato” al- la razionalità, ridotto a un operatore logico di una funzione massimizzante o, come nel caso della burocrazia, di un’idea di legalità. Si tratta di un insieme di teorie che sono state raggruppate sotto il termine “sistema razionale” [Scott 1981, pp. 77-98] e che vanno dal taylorismo [Taylor 1911] e dal neotay- lorismo alle teorie sulla razionalità burocratica [Weber 1922], dalle teorie microeconomiche alle teorie dei princìpi amministrativi [Fayol 1916, Isotta 1996]. Si suppone che esista un’intercambiabilità dei soggetti e un’adattabilità molto ampia alle condizioni definite dalle scelte tecnologiche e organizzati- ve, assunte come un dato [Rullani 1989, p. 41]. La razionalità dell’impresa co- me organizzazione fondata su se stessa, capace di calcolo oggettivo, sottratta al potere di soggetti esterni, viene applicata alla scelte organizzative. In co- 18 Capitolo 1 -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 18 zione e dalla simulazione anche attraverso laboratori decisionali. Il focus re- sta sull’individuo, anche quando è inserito in una situazione di gruppo. L’applicazione della teoria dei giochi ai problemi decisionali nelle organizza- zioni ha avuto un forte sviluppo (si veda il Paragrafo 3.X?) [Zaninotto 1996]. Teoria degli stakeholder La teoria degli stakeholder fornisce un importante contributo all’articolazione degli attori direttamente e indirettamente coin- volti nelle scelte organizzative. Ciò contribuisce ad arricchire la pluralità di razionalità in gioco [Donaldson e Preston 1995]. Sono considerati stakeholder tutti i soggetti che non solo hanno interessi o aspettative nei riguardi di quel- lo che l’organizzazione fa, di come lo fa e dei risultati che produce, ma hanno anche il potere di condizionarne le scelte [Rullani 1989]. Questi soggetti oltre che interni come gli azionisti, il management e i lavoratori, possono essere esterni come i consumatori, i fornitori, le autorità pubbliche, i sindacati e, in generale, i cittadini. Per molti dei soggetti appena ricordati l’interesse e il po- tere di influenza sono evidenti. Si pensi ai cittadini che hanno interesse a che l’impresa non inquini l’aria: diventano stakeholder in quanto si organizzano per premere sulle autorità locali con controlli più severi o per boicottare i prodotti di quell’impresa o, più semplicemente, intaccando la sua reputazio- ne sociale. Teorie motivazionali Per superare le difficoltà, incontrate fin dal loro primo apparire nelle scuole organizzative che praticano un’idea di razionalità mec- canica con una psicologia rudimentale e semplicistica, nasce il filone di teorie motivazionali che ha preso l’avvio con la scuola delle relazioni umane [Mayo 1945; Zaleznik et al. 1958]. L’uomo nell’organizzazione viene studiato nella sua complessità affettiva e relazionale, nelle sue motivazioni determinate da bisogni fisici, psicologici e sociali [Maslow 1964, Vroom 1964]. Vengono stu- diate le leve organizzative più idonee a indurre i comportamenti richiesti dall’organizzazione [Argyris 1971, Herzberg 1966, Likert 1961]. L’approccio resta nella maggior parte dei casi di tipo individualistico. In successivi svi- luppi, la dimensione individuale viene ulteriormente enfatizzata, fino al punto da negare una realtà fattuale dell’organizzazione, che viene invece as- sunta come costruzione mentale. In altri filoni, la sfera emotiva e relazionale, lungi dal rappresentare un disturbo del processo decisionale razionale, viene assunta come una componente fondamentale delle relazioni organizzative che, se correttamente interpretata e gestita, porta a un miglioramento dell’ef- ficacia e dell’efficienza dei comportamenti organizzativi [Senge, 1990]. Teorie fenomenologiche In contrasto con l’idea che l’organizzazione sia un artefatto fisicamente autonomo e identificabile, oggettivo e misurabile, se- condo i canoni delle scienze fisiche tradizionali, la prospettiva fenomenolo- gica postula che l’organizzazione esiste solo in quanto degli individui la per- Come nasce il problema organizzativo 21 Pa ra gr af o? -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 21 cepiscono come struttura e conferiscono a essa un significato [Ravagnani 1996]. Non esiste quindi una realtà organizzativa esterna ai soggetti e da questi indipendente. L’organizzazione è una realtà costruita dai soggetti at- traverso processi interpretativi che possono essere di tipo individuale o, più spesso, di tipo collettivo (con le parole di Berger e Luckmann [1966]: “La realtà è una costruzione sociale”). Anche se un organigramma può suggerire l’idea di una struttura visibile e formalizzata di compiti, ruoli e responsabili- tà, questi esistono solo in quanto gli attori organizzativi si accordano sul loro significato. Se la persistenza o il cambiamento della struttura dipendono quindi dagli attori organizzativi, fare della progettazione organizzativa, se- condo questa prospettiva, significa agire su di essi. È anche vero che alcuni autori che l’hanno adottata si trovano più a loro agio nell’analisi che nell’in- tervento, nell’interpretare le dissonanze cognitive in una situazione già con- clusa che nel fornire criteri per prevenirle. Un’importante eccezione è rap- presentata da Karl Weick, che analizzando il processo di produzione dei si- gnificati organizzativi (sense making) fornisce criteri non solo per la sua com- prensione, ma anche per la sua modifica [Weick 2001]. Il concetto di enacted environmenent (ambiente attivato, ma l’espressione è praticamente intraduci- bile) [Weick 1979] non dà solo l’idea di una realtà mentalmente costruita. Suggerisce anche la possibilità di intervenire per modificarla agendo non so- 22 Capitolo 1 Three Mile Island è una centrale nucleare dotata di reattori Pwr, raffreddati ad acqua in pressione, e contenuti in edifici di contenimento di cemento armato spesso oltre un metro. In questi tipi di centrali la cosa fondamentale da controllare è l’integrità del circuito prima- rio di raffreddamento, dal quale dipende la temperatura e quindi l’integrità del “nocciolo”. Il 27 marzo 1979, alle 4 di mattina, in una delle due unità della centrale, per la rottura di una valvola del circuito primario, l’acqua di raffreddamento iniziò a uscire dal circuito e andò a riempire di vapore l’edificio di contenimento. I sistemi automatici di sicurezza spen- sero il reattore, e gli altri sistemi intervennero per mettere in sicurezza il sistema. Ma per un leggero difetto del sistema che doveva abbassare la pressione del vapore nell’edificio di contenimento, insieme ad alcune difficoltà incontrate dagli ingegneri di turno nell’interpre- tare i quadri di controllo e nel capire cosa stesse accadendo, si sfiorò il disastro. L. Hirschhorn [1984], analizzando l’incidente, ha dimostrato che il surriscaldamento del nocciolo si stava trasformando in una catastrofe per l’incapacità degli addetti al con- trollo di interpretare eventi, la cui rappresentazione simbolica, codificata nel momento di progettazione del sistema, era inadeguata. Ci si trovò, in altri termini, di fronte a una suc- cessione non prevista di eventi, che avrebbe richiesto una capacità di “teorizzare” la nuova situazione. Gli operatori non solo non erano preparati per questo compito, ma inizialmen- te reagivano nella maniera sbagliata, a causa della loro fiducia nei simboli che apparivano sui quadri di controllo. L’identificazione della situazione reale non poteva che avvenire at- traverso un atto umano e creativo, capace di elaborare nuovi significati, cioè di fornire una diversa rappresentazione dell’esperienza unica e irripetibile che si stava producendo. CASO THREE MILE ISLAND -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 22 lo sulle percezioni e sui significati, ma anche sugli elementi fattuali che in- fluiscono sulle stesse percezioni. Il caso del mancato disastro nucleare di Three Mile Island è un esempio di dissonanza tra realtà fattuale e sua rappre- sentazione simbolica, che può essere spiegata e controllata. Sistemi L’organizzazione, rispetto alle semplificazioni dell’economia politica che po- stulano un mondo economico fatto di singoli attori (individualismo metodologi- co), si misura con l’esistenza di sistemi, che sono quelle entità che si formano per effetto dell’interazione tra gli individui, interazione che ha certamente un fondamento economico, ma anche sociale e psicologico. Il concetto di sistema, che è stato elaborato e usato con specificazioni an- che profondamente diverse da molte discipline, ha costituito comunque un fondamentale progresso nella comprensione del funzionamento di organi- smi complessi [Emery 1967]. Le teorie che si focalizzano sui sistemi, analiz- zano quelle entità che, pur essendo il frutto dell’azione degli uomini, hanno assunto una loro autonomia, sviluppando un’inerzia che le mantiene in vita e ne consente lo sviluppo. “Il sistema è un’entità organizzativa che è dotata di meccanismi di stabilizzazione delle proprie relazioni, i quali, in condizioni normali, tendono a mantenere la forma invariata nel tempo e, dunque, ten- Come nasce il problema organizzativo 23 TABELLA 1.2 Soggetti, sistemi e popolazioni. Approccio Deterministico Possibilistico Dialettico Focus Soggetti Sistemi Popolazioni Homo oeconomicus Teorie classiche del- l’organizzazione Funzionalismo Neoistituzionalismo Teorie evolutive basa- te sulla selezione (Population ecology) Motivazionalisti Teorie della raziona- lità limitata e teoria delle decisioni Teoria degli stakehol- der Teorie fenomenologi- che Teorie contingenti NEI Nuova Economia Istituzionale Teoria della dipen- denza da risorse Teorie evolutive basa- te sull’adattamento Teoria dell’a- zione orga- nizzativa Teoria “atto- re sociale e sistema” Teoria evolutiva morfogenetica -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 23 Non esistono strutture organizzative valide in generale: it all depends è la ri- sposta contingente a the one best way di Taylor. La regola generale è che l’or- ganizzazione deve sviluppare parti specializzate per interagire con specifi- che parti dell’ambiente, sulla base della legge di Ashby della requisite variety, secondo cui il tasso di cambiamento dei sistemi organizzativi deve corri- spondere al tasso cambiamento dei sistemi ambientali [Asby 1956]. Teoria dei costi di transazione Anche la teoria dei costi di transazione (nota anche come New Istitutional Economics, da non confondere con il neoistituzio- nalismo) è focalizzata sui sistemi e, in particolare, sulle strutture di governo delle transazioni (si veda il Paragrafo 1.8). L’organizzazione è la risposta al fallimento del mercato come struttura di governo delle transazioni, che si ve- rifica a causa dell’incertezza, della razionalità limitata e dell’opportunismo delle parti. In presenza di elevata incertezza, di investimenti specifici nella transazione (per esempio un fornitore che deve allestire un impianto dedica- to per rispondere alle specifiche richieste da un solo cliente) e di elevata fre- quenza delle transazioni è conveniente passare dal mercato all’organizzazio- ne interna. La progettazione organizzativa si concretizza nella scelta della struttura più efficiente di governo delle transazioni. L’alternativa secca tra mercato è gerarchia posta dai costi di transazione potrebbe essere vista come una pro- spettiva deterministica. Ma lo studio delle configurazioni concrete dimostra che il mercato è una struttura troppo instabile per affrontare la complessità delle relazioni tra sistemi specializzati. E, per contro, la gerarchia è una strut- tura troppo rigida. Per questa la ragione il ruolo del management è quello di trovare le forme miste tra mercato e gerarchie con cui organizzare il mercato e articolare le gerarchie. Teoria della dipendenza da risorse Anche la teoria della dipendenza da risor- se considera il rapporto tra sistemi. L’organizzazione non è autosufficiente e non è in grado di generare le risorse di cui necessita, per questo deve procu- rarsele interangendo con altre organizzazioni. Il grado di dipendenza è lega- to a criticità, scarsità e intensità delle risorse richieste e dà la misura del pote- re che le organizzazioni che controllano tali risorse hanno sull’organizzazio- ne che le richiede e dell’incertezza cui sono sottoposte. Per ridurre questa in- certezza l’organizzazione cercherà di scegliere l’ambiente in cui operare (si veda il concetto di nicchia nella population ecology) e di acquisire il controllo di risorse che: a) minimizzano la propria dipendenza da altre organizzazioni e b) massimizzano la dipendenza delle altre organizzazioni dalla propria. In questa prospettiva l’influenza dell’ambiente sull’organizzazione è molto for- te, ma viene attenuata dalla possibilità di posizionarsi su segmenti dell’am- biente favorevoli e operare scelte che modificano il grado di dipendenza [Pfeffer e Salancick 1979]. 26 Capitolo 1 -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 26 Le teorie che abbiamo classificato con approccio pluralista, sia quelle focaliz- zate sui soggetti sia quelle sui sistemi, sono state oggetto di discussione in quanto sembrano postulare solo comportamenti di tipo reattivo, indotti da stimoli interni o esterni, e studiare solo le manifestazioni di tali stimoli. Una correzione è introdotta dalla teoria dell’azione organizzativa, che possiamo col- locare a cavallo tra soggetti e sistemi e che trova i suoi precursori in Weber [1922] (l’agire dotato di senso), Barnard [1938] (l’agire cooperativo) e nello stesso Simon [1947] (l’uomo amministrativo, intenzionalmente razionale) [Maggi e Albano 1996]. A Thompson [1967] si deve la sua formulazione com- piuta. In questa prospettiva il comportamento organizzativo non è la risul- tante di una sequenza di stimoli-risposte, ma il portato di una progettualità dell’individuo. Questa progettualità non ha infiniti gradi di libertà, poiché deve misurarsi con la “corposità” delle tecnologie e con le inerzie dell’am- biente e dell’organizzazione. Riesce comunque a creare alternative uniche e specifiche, intervenendo sull’ambiente e sull’organizzazione attraverso le connessioni costruite dall’individuo. Nell’organizzazione si considera conte- stualmente la dimensione oggettiva e quella soggettiva. Parti dell’organizza- zione e delle relazioni con i soggetti interni e con l’ambiente necessitano di determinatezza e di certezza e sono soggette al criterio di razionalità, altre parti sono invece indeterminate, in quanto devono affrontare l’incertezza. Sull’interazione soggetto-sistema si colloca anche la teoria elaborata da Cro- zier e Friedberg [1977], che vede l’organizzazione come un “costrutto di azio- ne collettiva”, come il risultato di un gioco di potere tra attori dotati di risor- se, anche relazionali, che sono alla base del loro potere [Grandori 1993]. L’at- tore organizzativo non ha illimitate opzioni, ma costruisce i suoi gradi di li- bertà cercando di strutturare e regolare le reciproche dipendenze, per indurre la cooperazione ed evitare il conflitto. La capacità di innovare e di definire ul- teriori fini ha un limite nei mezzi che sono stati utilizzati per regolare la co- operazione: è l’effetto sistema che deve essere compreso e rimosso dall’attore. Popolazioni Un terzo focus delle teorie organizzative riguarda le popolazioni di organizza- zioni. A questa prospettiva teorica non interessano le singole organizzazioni ma i loro aggregati, studiati come specie, mutuando, e non sempre solo me- taforicamente, linguaggio e strumenti dalla biologia. Lo studio delle popola- zioni consente di cogliere la loro dinamica evolutiva e di evidenziare le forze che determinano i processi di selezione. Anche in questo caso, si possono di- stinguere due prospettive. La prima, la population ecology, vede la selezione come opera dall’ambiente, che determina le forme organizzative che soprav- vivono. La seconda che vede la selezione come il portato di un processo di adattamento e, quindi, con un grado minore di determinismo ambientale. Come nasce il problema organizzativo 27 -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 27 Population Ecology La population ecology enfatizza la competizione sulle ri- sorse e analizza il ruolo selettivo dell’ambiente nell’attivazione della lotta competitiva [Hannan e Freeman 1988]. L’esito delle pressioni selettive è quel- lo di eliminare le organizzazioni meno efficienti. L’inerzia organizzativa in- terna è vista come l’attitudine alla capacità di cambiare in maniera abbastan- za veloce da rispondere ai cambiamenti ambientali. L’adeguamento è troppo limitato o troppo lento per consentire la sopravvivenza. Quando le organiz- zazioni cambiano nelle loro caratteristiche strutturali e in una fase avanzata del loro ciclo di vita, aumentano i rischi di scomparsa. Cambiamenti a livello di popolazione possono verificarsi quando le organizzazioni con caratteristi- che inadeguate sono sostituite da organizzazioni che adottano nuove forme. La pressione selettiva dell’ambiente produce un effetto di isomorfismo. Poi- ché sopravvivono le organizzazione con le caratteristiche che meglio sfrutta- no le condizioni dell’ambiente, alla fine tutte le organizzazioni finiranno con l’essere simili [Lomi 1996]. La population ecology condivide con il neoistituzionalismo il concetto di isomorfismo, che definisce la tendenza di tutte le organizzazioni che insisto- 28 Capitolo 1 Population ecology Hannan e Freeman [1989] sono i fondatori della prospettiva Population ecology che si propone di studiare l’evoluzione delle forme organizzative attraverso la selezione naturale operata dall’ambiente sulle popolazioni organizzative [Lomi 1996, Aldrich 1999]. La sele- zione agisce mediante l’eliminazione delle organizzazioni più lontane dallo standard otti- male di “armonia” tra organizzazione e ambiente. Esistono forze inerziali, interne o ester- ne all’organizzazione, che limitano la sua capacità di cambiare la propria struttura e i pro- pri comportamenti in modo sufficientemente rapido. L’inerzia organizzativa è l’elemento che consente alla selezione naturale di operare. Il cambiamento aumenta la probabilità di morte di un’organizzazione. Sopporta maggior rischio di morte l’organizzazione che cer- ca di operare modificazioni a livello di elementi core. Ipotizziamo l’esistenza di una popo- lazione di organizzazioni che operano in un certo settore e in determinate combinazioni prodotto-mercato. È l’ambiente che garantisce le risorse indispensabili a ciascuna organiz- zazione per poter sopravvivere. Il tasso naturale di crescita della popolazione è influenza- to dalla quantità di risorse (clienti, risorse umane, risorse finanziarie e così via) che essa rende disponibili e dalla possibilità di accedervi. La nicchia è l’insieme di risorse ambienta- li che consentono alla popolazione di riprodursi. Per definizione, ogni popolazione occupa una sola nicchia e l’aggiunta di ogni nuovo individuo nella popolazione fa aumentare la competizione. L’interazione si ha nel caso in cui la presenza di una popolazione ha effetti sui tassi di crescita dell’altra e viceversa. I risultati che scaturiscono dall’interazione posso- no essere differenti: il risultato può essere negativo e tradursi in competizione quando due specie si “insediano” nello stesso ambiente e competono sulle stesse risorse, oppure positi- vo se le due specie pur insediandosi nello stesso ambiente utilizzano risorse differenti (rela- zione simbiotica). Il risultato dell’interazione tra specie sui tassi di crescita può anche esse- re intermedio rispetto a quelli precedenti, quindi condurre a un incremento nel tasso di cre- BOX 1.2 -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 28 l’ambiente è molto più sviluppato. Il management protegge il nucleo tecnico con le unità di frontiera e sviluppa politiche volte a controllare l’incertezza dell’ambiente, a scegliere segmenti di ambiente più favorevoli e a costruire alleanze. La teoria evolutiva morfogenetica postula addirittura la nascita di nuovi soggetti e di nuovi sistemi. Le prospettive soggetto, sistema, popolazioni possono trovare una sinte- si in un approccio dialettico che fa interagire le tre prospettive. L’azione sog- gettiva, come si è visto, trova delle limitazioni quando opera all’interno di si- stemi fortemente strutturati. Tuttavia, all’interno di questi sistemi possono accumularsi tensioni, e quindi un potenziale di cambiamento che può essere attivato, in particolari contingenze, da azioni soggettive. Nella teoria delle catastrofi [Zeeman 1976], si fa l’esempio di un bambino che spostando un sassolino in una parete rocciosa sul mare ne provoca la caduta. È una forza debole che però attiva tutta l’energia accumulata attraverso l’erosione della base della parete provocata nei secoli dalle maree. A fondamento della morfogenesi c’è l’idea di una razionalità evolutiva che si basa sui seguenti presupposti: a) un’intenzionalità di comportamento; b) la capacità di ridefinire le regole del gioco e delle relazioni tra i diversi soggetti e subsistemi; c) la definizione di strategie inter-soggettive e inter-si- stemiche che prefigurano un nuovo equilibrio dopo un periodo di marcata instabilità [Rullani 1984, p. 58]. La storia di un sistema può essere letta come l’alternanza di periodi di stabilità inerziale cui seguono momenti di forte di- scontinuità, in cui il sistema cambia. “Nella realtà i soggetti intraprendono continui tentativi di piegare le regole dell’organizzazione adattandole ai pro- pri fini e, nei momenti in cui la resistenza e l’autonomia dei sistemi controlla- ti sono minori, realizzano veri propri processi di morfogenesi dei sistemi” [Rullani 1984, p. 59]. I soggetti producono sistemi per i loro fini e i sistemi, at- traverso il loro funzionamento, producono soggetti nuovi che modificano la composizione degli interessi soggettivi presenti nell’organizzazione. Un esempio di morfogenesi lo possiamo trovare nell’introduzione di una tecno- logia rivoluzionaria come Internet, che sebbene nota fin dagli anni ’60 solo negli anni ‘90 scatena tutto il suo potenziale di cambiamento, generando nuove forme organizzative, creando nuove relazioni interpersonali, facendo deperire e sparire tutta una serie di professionalità. 1.9 La progettazione organizzativa La progettazione organizzativa è una complessa attività attraverso la quale l’idea imprenditoriale viene tradotta in strutture, ruoli, procedure, simboli e significati relativamente stabili, in grado di attirare le risorse necessarie e di fornire le prestazioni attese dagli attori e dall’ambiente istituzionale. Pur par- lando di progettazione, bisogna aver ben chiaro che le organizzazioni sono Come nasce il problema organizzativo 31 -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 31 delle astrazioni. Non sempre la progettazione consiste in una decisione visi- bile e delimitata, poiché strutture, ruoli, procedure, simboli e significati sono il risultato di scelte e di processi che si confondono con il fluire delle attività, soprattutto nelle fasi iniziali dell’impresa. Successivamente, con l’aumento della complessità e della dimensione, s’impone uno sforzo di razionalizza- zione che assume la forma di una vera e propria attività progettuale. La pro- gettazione può avere dei momenti formali e deliberati. Essa consiste allora nella definizione del grado di divisione del lavoro, nell’enucleazione di unità ben definite, nell’attribuzione di responsabilità e di obiettivi, nella scelta del- le forme di coordinamento attraverso le idonee strutture e gli adeguati siste- mi operativi (sistemi di controllo, sistemi informativi, sistemi di incentiva- zione), nell’individuazione dei confini organizzativi e delle porzioni di am- biente con cui interagire. Difficilmente, però, l’organizzazione formale coin- cide con quella “reale” e con quella percepita. Per questa ragione progettare organizzazioni non significa solo disegnare organigrammi, definire posizioni e ruoli, stabilire procedure e così via. Significa anche, e soprattutto, capire processi economici, tecnologici e normativi e intervenire su complesse dina- miche interpersonali e interorganizzative. Per questa ragione, l’organizzazio- ne deliberata sarà sistematicamente diversa da quella emergente sulla base di tali dinamiche. Nondimeno si cercherà di progettare organizzazione. Più analiticamente, le variabili oggetto di progettazione organizzativa sono:  missione dell’azienda;  unità organizzative;  confini dell’organizzazione;  accentramento/decentramento;  processi;  organi d’integrazione;  sistema informativo e di comunicazione;  sistemi di controllo;  sistemi di incentivazione. Non tutte le variabili che definiscono un’organizzazione sono plasmabili a piacere e in modo puntuale. Alcune si strutturano nel tempo attraverso un processo di apprendimento per prova ed errore. Nella progettazione organiz- zativa si crea una relazione tra le variabili strutturali e contingenti che nel bre- ve periodo sono assunte come dati. Tra le variabili contingenti si considerano:  la strategia;  la dimensione;  la cultura;  l’ambiente;  la tecnologia. 32 Capitolo 1 -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 32 In una prospettiva dinamica e di non breve periodo, tuttavia, anche queste variabili, in quanto interagiscono con la struttura, possono essere oggetto di intervento. Così, la strategia non è più un dato esterno alla struttura, ma un prodotto della struttura e degli attori; la cultura può essere entro certi limiti modificata; l’ambiente può subire l’influenza della struttura, soprattutto quella parte di ambiente che è oggetto di attivazione (enacted environment) e così via. Alla progettazione organizzativa saranno dedicati i Capitoli da 5 a 7. 1.10 Conclusioni Il problema organizzativo non può essere definito in modo univoco e non ha una soluzione univoca. Le scelte dei criteri di analisi e di progettazione del- l’organizzazione possono rispondere a finalità diverse e cambiare in funzio- ne di queste. L’organizzazione può essere analizzata e realizzata in termini di sistemi formali di autorità e controllo, di conflitto e di cooperazione, di sistemi ope- rativi e funzioni, di cultura, simboli e percezioni, di azione organizzativa e di decisioni, di strutture di governo e di coordinamento. Ciascuna di queste op- zioni può offrire un contributo alla comprensione e al funzionamento delle organizzazioni. Nella stessa organizzazione possono, infatti, convivere strut- ture diverse che realizzano la specializzazione di funzioni e ruoli e il loro co- ordinamento con soluzioni non necessariamente uniformi che hanno gradi diversi di stabilità e mutabilità, di formalizzazione. In questo capitolo si è cercato di sintetizzare i principali concetti che stanno alla base delle scelte or- ganizzative e delle teorie che li supportano. Nei prossimi capitoli saranno approfondite le tre dimensioni del modello qui proposto (ambiente, attori, relazioni) e successivamente verranno analizzati i principali strumenti per la progettazione organizzativa. Come nasce il problema organizzativo 33 -cap 01/costa 15-10-2003 11:41 Pagina 33 Ora è felice? “Mi sento realizzato. Con mia moglie ho aperto un negozio di alimentari. Trasformo il latte, produco formaggi. La mia mente è tornata a volare. Non sono più solo un numero.” Un numero? “Sì, un numero. Due braccia. Due occhi. Nessun cervello. Quando sono entrato in fabbrica nel ’95 pensavo di mettere in pratica ciò che avevo imparato alla scuola profes- sionale.” Quale scuola? “Per fabbro. Ma sono finito a fare il carrellista. Ho lavorato duro per 3 anni. Pensavo ’arriverà il mio momento’. Poi ho cercato di far capire che il lavoro di fabbrica mi stava bene, ma volevo crescere.” E poi? “Mi sono stancato. Timbrare il cartellino era diventato un automatismo. Pensavo solo al- la busta paga. Non speravo più.” Così fino a quando? “Finché ho pensato che solo io potevo cambiare le cose. Ho lasciato ai colleghi le lamentele e sono ’evaso’.” Tanti nella sua condizione? “Sì. Su 180 operai, negli ultimi 90 giorni ce ne siamo andati in tre. Un azzardo, forse. Al Sud avere un posto è tanto. Forse è per questo che gli operai si ac- contentano e scordano di avere un cervello. Spesso anche un futuro.” [“Il Corriera della Sera”, 11 settembre 2003.] 2.1 Obiettivi del capitolo Le storie riportate in apertura del capitolo costituiscono uno spaccato di co- me personaggi molto diversi e con ruoli organizzativi differenti parlano del loro lavoro e si rapportano a questa esperienza. Le gratificazioni o le frustra- zioni che ne ricevono dipendono sia dalla posizione che ricoprono e dalle lo- ro specificità personali sia dalle caratteristiche dell’organizzazione di cui fan- no parte. L’obiettivo di questo capitolo è quello di qualificare gli attori orga- nizzativi sotto aspetti diversi, ma ugualmente rilevanti, per comprenderne e prevederne il comportamento ai fini delle decisioni di progettazione organiz- zativa. Cercheremo allora di qualificare gli attori organizzativi anzitutto in termini di razionalità. Le diverse assunzioni sulla razionalità degli attori co- stituiscono uno spartiacque tra gli approcci economici tradizionali e le mo- derne teorie dell’organizzazione. La complessità dell’uomo organizzativo che progressivamente sostituisce le irrealistiche semplificazioni dell’homo oecono- micus, sarà ulteriormente arricchita attraverso la considerazione delle compe- tenze, intese come potenziale contributo che l’individuo è in grado di appor- tare all’organizzazione, e delle motivazioni che costituiscono il terreno sul quale i bisogni degli individuali e quelli organizzativi possono incontrarsi o scontrarsi. Da ultimo considereremo la dimensione politica e quindi il potere. 2.2 Soggetti e attori Gli individui, con il loro bagaglio di competenze, valori, razionalità, emozio- ni e sentimenti, bisogni e desideri sono una componente fondamentale delle organizzazioni. Per molto tempo gli studi organizzativi si sono sviluppati co- Gli attori delle organizzazioni 37 -cap 02/costa 2-12-2003 8:17 Pagina 37 me se la dimensione individuale fosse una sorta di anomalia, un problema residuale entro l’impianto razionalistico e strutturale dell’organizzazione. Un’anomalia da trattare a parte per raggiungere temporanei compromessi. Attualmente i soggetti, considerati come attori e come individui, sono inte- grati nella stragrande maggioranza degli studi organizzativi. In taluni casi sono addirittura l’unica dimensione considerata. Nel modello posto a base di questo volume costituiscono una dimensione della realtà organizzativa, che interagisce con la dimensione ambiente e la dimensione relazionale. L’organizzazione come sistema ha una propria autonomia rispetto agli individui, che restano ugualmente autonomi rispetto all’organizzazione. L’organizzazione nasce quando singoli individui si pongono in relazione con altri e condividono energie, strumenti e conoscenze per raggiungere un de- terminato fine. Se il fine è economico, o di altro tipo da raggiungere però sot- to il vincolo di economicità nell’impiego di risorse scarse, parliamo di orga- nizzazione aziendale. Questa presenta peculiarità proprie rispetto a una gene- rica organizzazione [Costa 1996; Grandori 1999]. Quando le relazioni tra gli individui si stabilizzano e diventano un’orga- nizzazione, il sistema che ne risulta acquisisce un’esistenza autonoma da quella dei fondatori. Questi continuano ad avere i propri fini, che sono una parte di, ma non coincidono con, quelli del sistema [Rullani 1984, p. 40]. Parlando di sistemi e di attori dobbiamo aver presente che sono astrazioni analitiche che servono per semplificare la complessità della realtà, al fine di spiegarne il funzionamento. I soggetti possono essere considerati sotto diversi aspetti. Un primo aspetto è quello della razionalità: per esempio l’economia considera la loro razionalità intesa come la capacità di decidere in base a una funzione di utili- tà. Gli individui non sono tutti uguali e possono avere diverse competenze e una diversa percezione di queste competenze. Di norma non agiscono da so- li, ma in gruppi, e la stessa nascita delle organizzazioni lo prova. L’azione collettiva fa emergere la dimensione sociale e la dimensione politica, quella cioè del potere: il potere di influenzare i comportamenti degli altri, di condi- zionarli nel raggiungimento dei loro fini. Le loro scelte, inoltre, possono esse- re mosse da bisogni, pulsioni profonde, valori e ideali, motivazioni di vario tipo che esprimono una dimensione culturale del comportamento. Dal punto di vista organizzativo sono state costruite specifiche teorie per tentare di spiegare e di prevedere il comportamento dell’uomo organizzativo. Nei paragrafi che seguono cercheremo di qualificare i soggetti in termini di ra- zionalità, motivazioni, competenze e potere. 2.3 I soggetti e la loro razionalità La razionalità può essere definita come coerenza della condotta di un indivi- duo rispetto ai suoi valori e ai suoi fini. Essa può essere vista in termini so- 38 Capitolo 2 -cap 02/costa 2-12-2003 8:17 Pagina 38 stanziali e quindi come “un modo di comportamento adatto al raggiungi- mento di determinati obiettivi”; oppure in termini procedurali come “una classe di procedure per compiere delle scelte” [March e Simon 1958; March 1994]. La teoria economica tradizionale postula un soggetto dotato di razio- nalità assoluta e, quindi, considerato in grado di:  fissare degli obiettivi sulla base di preferenze univoche e stabili;  individuare tutte le possibili alternative in grado di raggiungere tali obiettivi, sulla base della valutazione delle conseguenze prodotte da ognuna di esse;  scegliere l’alternativa che ottimizza il raggiungimento degli obiettivi pre- fissati. L’ottimizzazione è riferita al rapporto mezzi-fini o comunque alla possibilità di ottenere il massimo dalla scelta di un’alternativa fra più possibilità. In questo contesto decidere significa perciò massimizzare una predefinita fun- zione di utilità sulla base di una perfetta razionalità deduttiva. Questi postulati, evidentemente, sono irrealistici e non spiegano il reale comportamento delle persone. In particolare si mette in discussione la capacità dei soggetti di conoscere tutte le alternative d’azione per raggiungere un obiettivo e tutte le conseguenze a esse collegate. In realtà, infatti:  la conoscenza delle alternative d’azione è incompleta e la conoscenza delle conseguenze associate è frammentaria: non sempre queste cono- scenze sono migliorabili; in genere, l’ottenimento di nuove informazioni è costoso, come minimo in termini di costi-opportunità;  le preferenze degli esseri umani non possono essere rigidamente ordina- te secondo una funzione di utilità e variano nel tempo in modo non pre- vedibile. L’ipotesi di razionalità assoluta è stata sostituita dalla razionalità limitata [March e Simon 1958]. Affermare che le persone sono caratterizzate da razio- nalità limitata significa che hanno difficoltà a formulare le decisioni per loro più convenienti, perché non conoscono tutte le possibili alternative d’azione e tutte le conseguenze che da esse possono derivare, e che hanno una perce- zione imprecisa e mutevole delle loro preferenze. Le persone si costruiscono perciò un modello della realtà semplificato e approssimativo che è soggetto a continue ridefinizioni. Dopo aver fissato gli obiettivi da perseguire, un soggetto raccoglie infor- mazioni dall’ambiente, oppure le seleziona in modo opportuno fra il reperto- rio posseduto, con lo scopo di identificare le alternative risolutive rilevanti. Cerca perciò di tenere conto delle condizioni in cui determinate azioni do- vranno svolgersi: le alternative d’azione considerate sono quelle che hanno Gli attori delle organizzazioni 39 -cap 02/costa 2-12-2003 8:17 Pagina 39 to di un comportamento soddisfacentista e non massimizzante. La razionali- tà, una volta limitata, diventa più praticabile e l’uomo resta intenzionalmen- te razionale. L’organizzazione è lo strumento per superare alcuni dei limiti della razionalità individuale o, quanto meno, per economizzarla. A questo fi- ne, l’organizzazione opera la scomposizione dei problemi e dei programmi, riducendone la complessità, definisce le premesse decisionali che fissano i li- velli di aspirazione da soddisfare consentendo di ordinare le preferenze, se- leziona un repertorio di programmi di azione che possono essere applicati a situazioni date sotto forma di decisioni programmate (o pseudo-decisioni, in quanto non implicano esercizio di discrezionalità), fissa alcune sequenze del processo decisionale che facilitano e legittimano la presa della decisione (ra- zionalità procedurale). 2.4 I soggetti e le competenze Gli individui non sono tutti uguali e non possono essere ridotti a operatori logici che praticano una razionalità più o meno limitata. Le caratteristiche personali, fisiche, psicologiche e sociali ne differenziano i comportamenti la- vorativi, e quindi il valore che potenzialmente sono in grado di apportare in una relazione organizzativa. Ciò richiede di qualificare i soggetti in termini di competenze. Le teorie economiche del capitale umano operano attraverso astrazioni e sono in grado di riconoscere le competenze ex post, solo dopo che si sono manifestate nel mercato attraverso i prezzi. Le teorie organizzati- ve cercano di individuare ex ante il valore del capitale umano, per cercare di anticipare il comportamento organizzativo che viene assunto in tutta la sua complessità che non può essere sintetizzata in un contratto o una qualifica professionale o un salario. Boyatzis [1982] definisce la competenza come “una caratteristica intrinse- ca di un individuo, causalmente correlata a una prestazione efficace”. Egli di- stingue due tipi di competenze: competenze di soglia che sono le caratteristi- che essenziali per coprire un certo ruolo e competenze distintive che sono quel- le caratteristiche che differenziano la prestazione e la portano a un livello su- periore. Le competenze si manifestano con queste modalità [Spencer e Spencer 1993]:  motivazioni: schemi mentali, bisogni, spinte interiori che in modo stabile orientano e inducono le azioni dell’individuo;  tratti: caratteristiche fisiche dell’individuo e una generale disposizione a comportarsi o a reagire in un determinato modo in una certa situazione;  idea di sé: atteggiamenti, valori, concetto di sé;  conoscenze: informazioni, teorie, concetti su un determinato campo disci- plinare; 42 Capitolo 2 -cap 02/costa 2-12-2003 8:17 Pagina 42  skill: capacità di eseguire un determinato compito fisico o mentale. Le motivazioni e i tratti sono difficili da valutare e da sviluppare, mentre le conoscenze e le skill sono più visibili e modificabili attraverso la formazione e l’esperienza. L’idea di sé si trova in una posizione intermedia. Visti attra- verso le loro competenze, gli individui presentano una diversa efficacia nei loro comportamenti organizzativi e quindi assumono un diverso valore, an- che se questo valore non è immediatamente percepibile e non è definibile in maniera univoca. La competenza deve infatti essere contestualizzata attra- verso una relazione, inserita in un sistema di ruoli specializzati e valorizzata in uno scambio. Solo così un valore che è soltanto potenziale può diventare effettivo. Ma in questa trasformazione si esprime la capacità combinatoria dell’organizzazione che può valorizzare in maniera diversa una stessa risor- sa [Costa 1997, pp 23-31; Grandori 1999, pp. 92-97]. Per l’efficacia dei comportamenti organizzativi è rilevante quella che Goleman [1995] definisce intelligenza emotiva. L’intelligenza emotiva è la “ca- pacità di riconoscere le proprie sensazioni e quelle degli altri, per motivare se stessi e per gestire bene le emozioni proprie e quelle che si sviluppano nelle relazioni con gli altri. Si manifesta attraverso due tipi di competenze. La pri- ma è la competenza personale, intesa come consapevolezza e padronanza di sé e dalla motivazione. La seconda è la competenza sociale, intesa come mo- dalità di gestione delle relazioni con gli altri che dipende dall’empatia (capa- cità di calarsi nei pensieri e negli stati d’animo degli altri) e dalle abilità so- ciali. In altri termini, l’intelligenza emotiva è l’abilità di comprendere, speri- mentare e utilizzare le emozioni come fonte di energia umana, di informa- zioni, di relazioni e di influenza [Cooper e Sawaf 1997]. In conclusione, l’insieme delle competenze di un individuo determina l’autonomia di cui può godere in diversi contesti organizzativi, aumentando o diminuendo il suo valore e i margini di libertà rispetto al ruolo assegnato [Bianco 1997]. 2.5 La motivazione Gli attori delle organizzazioni 43 La pietra, la pagnotta e la cattedrale Qua e là degli uomini, seduti per terra, spaccavano grossi frammenti di roccia per ricava- re dei blocchi di pietra da costruzione. Un pellegrino si avvicinò al primo degli uomini. Lo guardò con compassione. Polvere e sudore lo rendevano irriconoscibile. “Che cosa fai?”, chiese il pellegrino. “Non lo vedi?”, rispose l’uomo sgarbato, senza neanche sollevare il capo. “Mi sto ammazzando di fatica”. BOX 2.1 -cap 02/costa 2-12-2003 8:17 Pagina 43 Perché le persone agiscono in un certo modo? Quali sono le “spinte” che gui- dano i loro comportamenti? Rispondere a queste domande significa indivi- duare la loro motivazione, intesa come il processo dinamico che finalizza l’attività di una persona verso un obiettivo. La motivazione può essere analizzata secondo due criteri: in base ai con- tenuti, cioè le ragioni che spingono ad adottare un certo comportamento, e in base al processo, cioè la dinamica attraverso la quale si passa da un insieme di bisogni a una linea di condotta. Tutti questi approcci, sorti come reazione al determinismo delle teorie classiche, che ignoravano le istanze motivazionali del lavoratore, peccano spesso di un eccessivo semplicismo nell’individuare le relazioni tra motiva- zione e sforzo impiegato nell’esecuzione del compito. Inoltre, nonostante l’e- levato livello di sofisticazione di questi studi essi hanno avuto, nel corso del tempo, scarsa conferma empirica e limitati utilizzi gestionali. 44 Capitolo 2 Si imbatté presto in un secondo spaccapietre. Era altrettanto stanco, ferito, impolverato. “Che cosa fai?”, chiese, anche a lui, il pellegrino. “Non lo vedi? Lavoro da mattino a sera per mantenere mia moglie e i miei bambini”, rispose l’uomo. Più avanti c’era un terzo spac- capietre. Era mortalmente affaticato, come gli altri, “Che cosa fai?”, chiese il pellegrino. “Non lo vedi?”, rispose l’uomo, sorridendo con fierezza. “Sto costruendo una cattedrale”. Gli esperimenti di Hawthorne Gli studi sulle motivazioni al lavoro hanno ricevuto un grande impulso dagli esperimenti condotti da Elton Mayo presso la Western Electric’s Hawthorne Works di Chicago (Mayo, 1945). Furono eseguiti da Mayo, tra il 1927 e il 1932 (e proseguirono per altri cinque an- ni) con la collaborazione di un gruppo di studiosi e ricercatori di Harvard che lavoravano con ventimila dipendenti della Western Electric. Tali ricerche presero le mosse da una preci- sa richiesta della direzione aziendale, interessata ad aumentare il rendimento individuale degli operai, sulla base dell’ipotesi che esistesse una significativa relazione fra intensità e caratteristiche dell’illuminazione dell’ambiente di lavoro, da un lato, e rendimento dall’al- tro. Per sottoporre a verifica l’ipotesi si ritenne di ricorrere a un forma di esperimento con- trollato, con un gruppo sperimentale (nell’ambiente di lavoro del quale si variava l’intensità dell’illuminazione) e un gruppo di controllo. Il risultato fu che nel primo gruppo ci fu un net- to aumento di produttività, ma lo stesso risultato fu ottenuto anche dal gruppo, per il quale l’illuminazione non aveva subìto alcun cambiamento. Mayo si spinse oltre, fino ad apportare ben dieci modifiche alle condizioni di lavoro, fra cui riduzione dell’orario di lavoro, varie pause, nonché una serie di incentivi. L’équipe di ricercatori di Mayo trascorreva parecchio tempo con i gruppi di lavoro, ognuno dei quali era formato da sei donne, discutendo delle modifiche prima che queste BOX 2.2 -cap 02/costa 2-12-2003 8:17 Pagina 44 Gli attori delle organizzazioni 47 fettivi e interpersonali gratificanti nell’ambito del gruppo di lavoro, l’appar- tenenza all’organizzazione, la ricerca del riconoscimento personale tra i col- leghi e professionale nell’ambiente lavorativo di riferimento, la realizzazione di un proprio progetto di vita. Questa teoria è stata criticata da più parti perché, nonostante appaia con- divisibile che la motivazione di un comportamento nasca dalla tendenza alla soddisfazione di un bisogno, l’ordine e l’intensità con cui questi bisogni si manifestano non è uguale per tutte le persone. I bisogni superiori, in partico- lare, presentano un’elevata variabilità tra individui e possono addirittura ri- sultare completamente opposti quando si confrontano persone che proven- gono da contesti differenti. Essi, inoltre, si modificano in funzione del mo- mento e delle circostanze in cui ci si trova. Alcuni studiosi hanno tentato di superare il limite del modello di Maslow proponendo di classificare i bisogni in base a categorie che non stia- no in rapporto gerarchico, ma che coinvolgano in modo più complesso la crescita professionale del lavoratore. Il più noto è il modello E-R-G (Existen- ce-Relatedness-Growth) di Alderfer [1972], secondo il quale i bisogni che i la- voratori desiderano maggiormente soddisfare sono quelli di esistenza (cioè fisiologici e di sicurezza), quindi quelli di relazione e infine quelli di crescita professionale e personale. Tra potere e affiliazione McClelland [1961] considera tre ordini di bisogni che sono parzialmente sim- metrici ai bisogni di ordine superiore proposti da Maslow. In particolare, i contenuti delle motivazioni che spingono le persone all’azione sono [Quagli- no, Cortese e Ronco 1997; Kaneklin 1997]:  il successo (achievement need): “è il bisogno di affermarsi confrontandosi con parametri di eccellenza, di successo personale e di realizzazione di performance straordinarie. Il rapporto con l’altro è strumentale a ciò e le componenti affettive della relazione rappresentano un ostacolo”. In ter- mini organizzativi si esprime come bisogno di dimostrare competenza ed eccellenza professionale, che spinge l’individuo a porsi obiettivi im- pegnativi e a lavorare con maggior impegno quando si aspetta di ottene- re dei riconoscimenti personali per lo sforzo. Il prevalere di questo biso- gno può anche indurre nell’individuo un atteggiamento di indifferenza affettiva, che si manifesta con comportamenti evasivi, formali e superfi- ciali;  il potere (power need): “è il bisogno di influenzare l’altro, di indirizzarne il comportamento in funzione di una propria esigenza. Esprime la necessi- tà di conferma della propria possibilità di dominio sociale”. In termini -cap 02/costa 2-12-2003 8:17 Pagina 47 48 Capitolo 2 organizzativi si esprime come bisogno di controllare il lavoro proprio e altrui, esercitando l’autorità sulle persone in modo visibile (in virtù di condizioni quali il livello gerarchico, il possesso di risorse). Una preva- lenza di questo bisogno può indurre anche un atteggiamento di controdi- pendenza, che si esprime in comportamenti di aggressione, manipolazio- ne, autoritarismo;  l’affiliazione (affiliation need): “è il bisogno di stabilire, mantenere o ripri- stinare un rapporto affettivo con un’altra persona; di verificare la positi- vità emotiva di una situazione di rapporto. L’altro è valutato soprattutto quale potenziale occasione di gratificazione o frustrazione affettiva”. In termini organizzativi induce comportamenti volti alla creazione di rela- zioni sociali per evitare l’isolamento, e orienta le persone a instaurare le- gami d’amicizia e confidenziali anche sul lavoro. Il prevalere di questo bisogno può anche generare nell’individuo un atteggiamento di dipen- denza, che si esprime in comportamenti seduttivi volti a far accettare la propria esigenza affettiva e la propria richiesta di rassicurazione. Sebbene ogni persona possieda, in una qualche entità, tutti questi bisogni, solo uno è prevalente in un dato momento e agisce sulla scelta del comporta- mento. A differenza di Maslow, comunque, McClelland afferma che i bisogni Lavoro e gratificazione Alla domanda “Cosa ti gratifica di più nel tuo lavoro?”, posta sul sito web dell’agenzia di lavoro interinale “Ad Interim” nei mesi di giugno e luglio, ha risposto un campione di 2852 lavoratori. Poco più del 30% ha risposto che l’elemento più gratificante è lo stipendio, il 29,3% ritiene di essere più soddisfatto dal contatto con le persone, il 28,5% dal raggiungi- mento di ruoli di maggiore responsabilità e il 9,5% dai complimenti dei propri capi. Gli utenti che si sono registrati nel sito sono 20-35enni, il 55% sono donne e il 45% uomini. Il 9,5% che vede come elemento gratificante di una giornata di lavoro “ricevere i complimen- ti del capo” è la risposta più sibillina da interpretare. Non si parla, e da anni, di autono- mia, iniziativa e leadership come doti richieste anche ai dipendenti? “Se da una parte chi cerca maggiori responsabilità rappresenta la popolazione degli individualisti, di quelli che vogliono contare di più – spiega il presidente di Ad Interim – il 9,5% dei lavoratori che met- tono prima di tutto l’apprezzamento dei capi ancora non ha superato la fase infantile e cer- ca conferme. Sono i più introversi e tengono di più a ricevere un complimento dall’alto che a socializzare con gli altri. Pensiamo alle persone che lavorano in piccoli ambienti, a tu per tu con chi comanda e senza grandi gratificazioni”. Non va nemmeno dimenticato il quid culturale: in Italia è diffusa la necessità di avere una vita sociale al di fuori del nucleo fami- liare, quindi si chiede al lavoro, che occupa molte ore della vita e assorbe tante energie, di essere anche un momento di relazione piacevole. [“Il Sole 24 Ore”, 20 ottobre 2003.] BOX 2.3 -cap 02/costa 2-12-2003 8:17 Pagina 48 Gli attori delle organizzazioni 49 non sono statici nel tempo e possono variare a seconda della storia personale degli individui. Particolare rilevanza organizzativa riveste la distinzione tra high-achiever e low-achiever, i primi fortemente motivati al successo e i secon- di non interessati a questo valore. Gli high-achiever sono caratterizzati da un’elevata autonomia, dalla capacità di gestire uomini e risorse per il rag- giungimento dell’obiettivo, dal desiderio di raggiungere mete difficili e am- biziose. Al contrario, i low-achiever hanno un basso livello di autostima e ten- dono ad attribuire i successi a cause diverse dalle proprie capacità, quali la fortuna, l’aiuto degli altri o la facilità del compito. Alla ricerca di soddisfazione Per rendere dinamica la prospettiva motivazionale è necessario spostare l’at- tenzione dai bisogni dell’individuo ai fattori dell’organizzazione che genera- no soddisfazione e, quindi, un atteggiamento positivo nei riguardi del lavo- ro. In questa direzione è rilevante il contributo di Herzberg [1966]. Nel corso di una ricerca condotta negli anni ’50 su 200 ingegneri e conta- bili, agli intervistati fu chiesto di indicare le situazioni in cui si sentivano sod- disfatti oppure insoddisfatti nello svolgimento del loro lavoro. In base alle caratteristiche delle situazioni descritte, Herzberg [1966] arriva alla conclu- sione che gli elementi che generano insoddisfazione sono strettamente legati al contesto, mentre quelli che generano soddisfazione riguardano il contenu- to del lavoro. I primi, attivi solo quando sono assenti, vengono definiti fattori igienici; i secondi, la cui assenza non genera insoddisfazione ma la cui presen- za origina un atteggiamento positivo nei confronti del lavoro, sono definiti fattori motivanti (Tabella 2.1). TABELLA 2.1 Gli elementi motivazionali nel modello di Herzberg. Fattori igienici Fattori motivanti Riguardano il Se assenti Se presenti Esempi Contesto in cui viene espletato il la- voro Generano insoddisfazione Non generano motivazione Supervisione tecnica Retribuzione Condizioni fisiche di lavoro Relazioni interpersonali Status Sicurezza del proprio lavoro Politiche dell’impresa Contenuto del lavoro Non generano insoddisfazione Generano motivazione Achievement, successo Riconoscimento ottenuto Lavoro in sé Grado di responsabilità Crescita professionale Possibilità di carriera -cap 02/costa 2-12-2003 8:17 Pagina 49 52 Capitolo 2  distorsione cognitiva, che consiste in una rappresentazione modificata dei dati di fatto relativi al proprio contributo e ai risultati;  azione sugli altri affinché modifichino la loro percezione del rapporto contributo/ricompensa;  cambiamento dei termini del confronto. Ove questi non abbiano successo è molto probabile l’uscita dalla relazione (exit) [Hirschman 1971]. Il modello visto basa l’equità su un’idea di scambio equilibrato tra contri- buti e ricompense o di giustizia distributiva. Quando non sono disponibili sufficienti informazioni sui contributi e le ricompense dei soggetti, l’equità percepita si basa su un’idea di giustizia procedurale: è percepito come equo ciò che è stabilito attraverso una procedura [Greenberg 1987]. Motivazioni e soddisfazione: una sintesi dinamica Porter e Lawler [1968] hanno proposto un modello che costituisce un’esten- sione della teoria delle aspettative di Vroom e che ha il pregio di essere dina- mico (quindi rientra fra teorie del processo). Esso si presta a incorporare in modo contingente anche le teorie basate sul contenuto della motivazione, di- mostrandosi particolarmente duttile e atto a formulare una sintesi delle di- verse teorie. La motivazione, secondo questo modello, è la risultante della convergenza di tre fattori:  lo sforzo, inteso come impegno connesso alla tensione espressa dal biso- gno;  la prestazione, azione concreta volta al perseguimento dell’obiettivo rap- presentato dal contenuto del bisogno  la soddisfazione, risultante dalla ricompensa ottenuta per la prestazione. Proviamo a seguire il percorso logico che, secondo Porter e Lawler, mette in relazione la motivazione a compiere uno sforzo con la soddisfazione perso- nale (Figura 2.4). Valore della ricompensaMSono diverse le ricompense che un individuo può ri- cevere in una situazione lavorativa. Queste ricompense possono essere di- versamente apprezzate dai singoli individui a seconda del livello raggiunto nella scala di soddisfazione dei bisogni (Maslow) o a seconda delle caratteri- stiche della loro personalità (McClelland). Probabilità stimata che allo sforzo segua la ricompensaMIl valore della ricom- pensa viene ponderato con la probabilità percepita di ottenerla a fronte di un -cap 02/costa 2-12-2003 8:17 Pagina 52 determinato sforzo. Se un lavoratore è molto motivato ad assumere maggiori responsabilità e attribuisce un valore elevato a una promozione, per esempio 100, ma sa che il sistema di ricompensa è solo parzialmente meritocratico, per cui attribuisce una bassa probabilità, per esempio 0,50, al fatto che il suo sforzo venga ricompensato, il valore ponderato (speranza matematica) della ricompensa diviene 100  0,50 = 50. SforzoMLo sforzo può essere definito come l’energia profusa nello svolgere il compito assegnato. Ma lo sforzo non è sufficiente a definire la performance. Questa dipende dalle variabili che seguono. CompetenzeML’esito dello sforzo dipende dalle competenze, intese sia come caratteristiche di fondo della persona e difficilmente modificali (intelligenza, destrezza, problem solving ecc.) sia come abilità acquisite, quindi modificabili. Percezione del ruolo e contesto organizzativoMAnche il modo in cui l’individuo percepisce il proprio ruolo nello specifico contesto organizzativo, e quindi il modo in cui interpreta il contributo che egli deve fornire congiuntamente al contributo di altri alla realizzazione della performance, concorre a determi- nare il successo dello sforzo. PerformanceMLa performance è il prodotto dello sforzo indotto dal valore ponderato attribuito alla ricompensa e potenziato (o depontenziato) dalle competenze e dalla percezione del ruolo. Ovviamente l’organizzazione è in- teressata alla performance e non allo sforzo. È una scelta organizzativa quel- la di decidere se il miglioramento della performance debba dipendere solo da un aumento dello sforzo o anche da interventi sulle competenze e sul con- testo organizzativo. Gli attori delle organizzazioni 53 Sforzo Competenza Valore della ricompensa Percezione del ruolo e contesto organizzativo Probabilità che allo sforzo segua ricompensa Prestazione Soddisfazione Ricompense intrinseche Ricompense estrinseche Equità percepita FIGURA 2.4 Il modello di Porter e Lawler. -cap 02/costa 2-12-2003 8:17 Pagina 53 54 Capitolo 2 RicompenseMLe ricompense sono la contropartita della performance. Per ri- compense intrinseche si intendono quei fattori del sistema premiante che at- tengono al lavoro in sé, al contenuto stesso del lavoro. Queste sono definite intrinseche in quanto sono in definitiva amministrate dallo stesso lavoratore che, per esempio, si sente gratificato da un lavoro ben fatto (achievement need) o dall’esercizio di potere (power need) e, quindi, dal grado di autonomia, di responsabilità connessi alla posizione. È evidente il riferimento, in termini di contenuti della motivazione, ai fattori motivanti di Herzeberg, ai bisogni di ordine superiore di Maslow e alla classificazione di McClelland. Le ricom- pense estrinseche sono invece quelle amministrate dall’organizzazione e ri- guardano la retribuzione, la carriera ecc. Qui il riferimento è costituito dai fattori igienici di Herzeberg, i bisogni primari di Maslow. La relazione speri- mentata tra performance e ricompensa contribuisce a definire la probabilità associata al valore della ricompensa. Equità percepita delle ricompenseML’equità percepita delle ricompense è defi- nita da quello che i lavoratori ritengono equo e corretto come corrispettivo della loro performance, posto in relazione alla loro valutazione del rapporto performance/ricompensa applicato a loro stessi e ai colleghi. SoddisfazioneMLa soddisfazione è determinata dal grado in cui il lavoratore percepisce come equo quanto ricevuto. Se la ricompensa è inferiore a quanto ritenuto equo il lavoratore è insoddisfatto. La soddisfazione ha un effetto feedback sul valore della ricompensa, in quanto può attivare altri bisogni. Se per esempio il lavoratore trova equa la retribuzione (fattore igienico che sod- disfa un bisogno primario) comincerà ad apprezzare la responsabilità (fatto- re motivante che soddisfa un bisogno di ordine superiore). Attenzione, non necessariamente una ricompensa che eccede il livello percepito di equità aumenta la soddisfazione e quindi incide sullo sforzo profuso. Può anche accadere che in questo caso il lavoratore diminuisca lo sforzo. La teoria delle aspettative nelle sue varie versioni è stata sottoposta a verifi- che empiriche che non sempre l’hanno confermata. La ragione va ricercata nel fatto che dovrebbe essere considerata un mo- dello euristico per tentare di approssimare le variabili che possono influire sulle prestazioni lavorative. Detto in altri termini, serve più a porsi le do- mande giuste a fronte di situazioni concrete che non a dare risposte assolute e a priori [Bass e Barrett 1981, p. 83]. Ogni altro uso è chiaramente distorto. Sarebbe ben strano che gli psicologi, dopo aver negato la razionalità eco- nomica assoluta e aver ricordato che esistono altri aspetti oltre la retribuzio- ne monetaria che determinano il comportamento delle persone, pretendesse- ro di definire i comportamenti con un algoritmo. -cap 02/costa 2-12-2003 8:17 Pagina 54 senza di elementi comuni o simili nel lavoro svolto. Maggiore è la coesio- ne e maggiore sarà il grado di influenza che il gruppo esercita sul com- portamento dei singoli. La coesione può avere anche un ruolo negativo quando induce percezioni stereotipate del gruppo e degli individui esterni, auto-censura, illusione di unanimità, a sottovalutare le minacce esterne e a evitare i conflitti, il cosiddetto groupthink [Janis 1972];  differenziazione dei ruoli che porta ad assegnare, formalmente o informal- mente a seconda delle tipologie di aggregazione, compiti diversi ai mem- bri del gruppo, per esempio il ruolo di leader. Il gruppo si manifesta come una dimensione collettiva dell’essere e dell’agire dei soggetti entro l’organizzazione, come un dato di fatto. Ma può anche es- sere considerato uno strumento organizzativo che viene incorporato nel fun- zionamento dell’organizzazione e deliberatamente finalizzato al raggiungi- mento dei suoi fini. Il gruppo ha, sotto questo aspetto, un dimensione orga- nizzativa. Per esempio, gli esperimenti di Hawthorne hanno dimostrato che il gruppo, inizialmente visto come elemento antagonista dell’organizzazio- ne, in quanto determina i livelli di performance dei lavoratori e fa emergere delle leadership informali contrapposte a quelle formali, può essere trasfor- mato in uno strumento funzionale all’organizzazione in grado di dare una ri- sposta ai bisogni delle persone e ai bisogni dell’organizzazione. Esso può es- sere usato a fini decisionali oltre che a fini di controllo dei comportamenti [Grandori 1999]. Il gruppo ha anche una dimensione politica, in quanto genera e gestisce le asimmetrie di potere entro l’organizzazione e nel rapporto tra attori. In que- sto senso il gruppo può essere visto come una coalizione di soggetti che han- no definito degli interessi comuni, e l’organizzazione come un insieme di coalizioni che concorrono per definire gli obiettivi da perseguire [Cyert e March 1963]. Si affermerà una coalizione dominante, i cui membri cercheran- no di accordarsi con altri gruppi con interessi simili e di giungere ad accordi con quei gruppi i cui interessi sono divergenti, ma la cui partecipazione è ne- cessaria [Scott 1992, p. 340]. La capacità di condizionare gli obiettivi della coalizione o dell’organizzazione attraverso l’affermazione di interessi di cui gli altri “devono tener conto” è un’espressione del potere. L’azione collettiva del gruppo, attraverso la mediazione e la focalizzazione di interessi, perse- gue obiettivi in forma più o meno deliberata. La teoria economica che vede l’impresa come l’espressione degli interessi di un unico attore dominante, l’imprenditore, è stata abbandonata a favore di teorie assumono la formazio- ne di coalizioni [Cyert e March 1963]. Queste restano prospettive individuali di analisi del gruppo e delle coali- zioni. Sono state sviluppate altre prospettive che vedono l’azione collettiva in una dimensione più ampia. Il gruppo viene visto come la manifestazione di una coesione sociale intesa come una qualificazione delle relazioni tra in- Gli attori delle organizzazioni 57 -cap 02/costa 2-12-2003 8:17 Pagina 57 dividui che esprime un’attitudine alla collaborazione reciproca. Ciò richiama un sistema di relazioni che non sono mosse da una capacità individuale di al- cuni di usare la rete sociale. Sono mosse piuttosto dall’esistenza del social ca- pital inteso come l’insieme dei tratti di una comunità (norme, valori condivi- si, fiducia, relazioni di reciprocità), che possono aumentare l’efficienza della vita comune facilitando la realizzazione di azioni condivise [Putnam 1993]. Il social capital è la principale risorsa dell’azione collettiva, ma è anche un po- tenziatore dell’azione individuale. Il social capital è creato da una miriade di interazioni quotidiane tra le persone. Esso non è allocato dentro gli individui o nella struttura sociale, bensì nello spazio tra le persone. Non è proprietà dell’organizzazione, del mercato o dello stato in quanto si origina quando le persone danno vita a connessioni sociali, a network basati su princìpi di fiducia, reciprocità e nor- me di comportamento. Come il capitale fisico e il capitale umano (da cui comunque differisce concettualmente), il social capital è alla base del potenziale produttivo di una società [Putman 1993]. Non sempre le reti di reciprocità sono un vantaggio per l’organizzazione, per processi di crescita e di sviluppo. Ciò accade quan- do i gruppi sono più chiusi che coesi. Il rapporto tra individuo e gruppo ali- menta la coesione quando gli individui rinunciano ai vantaggi immediati dell’azione individuale in cambio dei futuri vantaggi della reciprocità nelle azioni individuali. 2.7 I soggetti e il potere Gli attori possono essere considerati in funzione dell’interazione che posso- no avere con l’organizzazione e quindi astraendo dalla sola relazione con- trattuale. A questo fine viene utilizzato il concetto di stakeholder. Gli stakeholder, letteralmente portatori di interesse, sono tutti i soggetti che hanno appunto in- teresse alla performance dell’impresa, in quanto la condizionano e, diretta- mente o indirettamente, vi contribuiscono e, quindi, si aspettano un ritorno. Alcuni hanno un interesse forte e diretto, poiché sono interni all’organizza- zione. Tra questi consideriamo i proprietari, i dirigenti, i lavoratori. Altri so- no esterni e hanno un interesse mediato e indiretto. Tra questi consideriamo i fornitori, i clienti, i sindacalisti, le comunità locali. Assumere gli stakeholder come attori organizzativi significa allontanarsi dal riduzionismo dell’individualismo metodologico (relazioni bilaterali) e assumere una dimensione politica e sociale dell’organizzazione (relazioni multilaterali). Si parla di dimensione politica poiché lo stakeholder è conno- tato non solo da un interesse alla performance dell’organizzazione ma anche dal potere di condizionarla. 58 Capitolo 2 -cap 02/costa 2-12-2003 8:17 Pagina 58 Gli attori delle organizzazioni 59 Stakeholder interni I proprietari e i managerMI proprietari dell’azienda costituiscono gli stakehol- der che forniscono il capitale, sopportano il rischio e si attendono in cambio non solo la remunerazione per il capitale investito e il rischio sopportato, ma anche il potere di comando. La situazione è relativamente semplice nell’im- presa individuale, in cui proprietà e potere di gestione si concentrano in un’unica persona. Diventa più complessa nell’impresa familiare, dove ruoli familiari e ruoli organizzativi si sovrappongono. E ancora più complessa nel- le società di capitali, dove ci sono azionisti (shareholder) interessati solo al di- videndo e al valore delle azioni e azionisti interessati anche al controllo della società e quindi al suo governo. La regolazione degli interessi e l’esercizio del potere avvengono attraverso gli organi di governance, che solo in tempi relativamente recenti sono stati oggetto di analisi organizzativa [Gubitta 2004]. Il potere di governo, sia che resti frammentato tra gli azionisti (public company) sia che si trovi concentrato in una coalizione di comando, non può essere esercitato direttamente e totalmente dalla proprietà, ma viene delega- to al management, che costituisce una seconda tipologia di stakeholder inter- ni. I manager forniscono competenze ed esperienza e in cambio si aspettano retribuzione, premi, status e potere. Il rapporto tra proprietà e management crea un problema di controllo che è stato studiato dalla Teoria dell’agenzia (ve- di Capitolo 4). I lavoratoriMI lavoratori costituiscono un’altra tipologia di stakeholder inter- ni. Forniscono lavoro, competenze, esperienza, tempo e si aspettano in cam- bio remunerazione, premi, sicurezza di lavoro e crescita professionale. Molti lavoratori sono stakeholder particolari poiché hanno una doppia appetenza e li ritroviamo anche come membri di un sindacato che negozia con l’impre- sa come una terza parte. Stakeholder esterni Tra gli stakeholder esterni troviamo:  i clienti, che sono la fonte delle risorse economiche dell’organizzazione e in cambio si aspettano prodotti e servizi con un rapporto prezzo-qualità conveniente. La natura di stakeholder del cliente emerge con particolare evidenza nelle politiche di fidelizzazione e nelle tecniche CRM (Customer Relations Management) con cui si cerca di stabilire un rapporto di recipro- ca fiducia e di lungo periodo [Busacca 1994, Costabile 2001];  i fornitori, che cedono materie prime, semilavorati, servizi. Per questi le performance dell’organizzazione sono una garanzia per il pagamento, -cap 02/costa 2-12-2003 8:17 Pagina 59 62 Capitolo 2 tere, le articolazioni gerarchiche e funzionali creano dei differenziali struttu- rali di potere. Si tratta di un potere posizionale, cioè basato sulla legittima posizione occupata all’interno dell’organizzazione indipendentemente dalle caratteristiche di chi la ricopre. Il potere legittimato si definisce autorità. L’efficacia nell’esercizio del potere dipende però dal modo con cui esso viene usato. In questo intervengono le caratteristiche personali, l’interazione tra in- dividuo e ruolo e la base stessa del potere [Zanzi 1997]. Le basi del potere possono essere così identificate:  potere legato alla posizione formale che attribuisce a chi la ricopre diritti, responsabilità e privilegi indipendentemente dalla sue caratteristiche;  potere legato al controllo di una risorsa critica, o capacità di fornire un contributo essenziale, per l’organizzazione. Una risorsa critica che è so- vente alla base di differenziali di potere è l’informazione (asimmetrie in- formative);  potere legato al controllo dell’incertezza; l’incertezza entro un’organizza- zione nasce, paradossalmente, per effetto delle regole che vengono create per ridurla quando nell’applicazione di tali regole esistono margini di discrezionalità [Crozier 1963];  potere legato al grado di sostituibilità; maggiore la sostituibilità di una persona e minore sarà il suo potere e viceversa. Le caratteristiche personali e le relazioni interpersonali che possono poten- ziare e alimentare le basi di potere sono:  capacità di influenzare gli altri;  carisma;  motivazioni (si pensi ai bisogni di potere di McClelland);  competenza;  potere di ricompensa o di ritorsione;  stile di leadership. In particolare, lo stile di leadership ha un ruolo rilevante nel sostenere e nel far accettare il potere nella relazione gerarchica. Per McGregor [1960] i dirigenti fanno implicitamente riferimento a due teorie, la teoria X e la teoria Y, nel momento in cui prendono in considerazio- ne la relazione che i loro collaboratori hanno con il lavoro. Secondo la prima, l’uomo non ama il lavoro, fa di tutto per evitarlo, si sforza solo se obbligato e preferisce ricevere ordini piuttosto che comandare. Secondo la teoria Y, al contrario, l’uomo non odia il lavoro ma decide come comportarsi in funzione delle sue esperienze passate, è in grado di assumersi responsabilità e si impe- gna a seconda degli obiettivi che si pone. I capi “illuminati” sono quelli in grado di adottare uno stile di direzione fondato sulle motivazioni, sull’incen- -cap 02/costa 2-12-2003 8:17 Pagina 62 Gli attori delle organizzazioni 63 tivazione e sul riconoscimento dell’individualità, a partire dalla constatazio- ne dell’utilizzo solo parziale, da parte delle organizzazioni, delle potenzialità intellettuali degli individui. Likert [1961] distingue i manager in capi orientati al dipendente e alla produzione. I primi sono collaborativi, democratici, ragionevoli, danno di- rettive di massima e lasciano decidere sui dettagli. I secondi sono rigidi e au- toritari, ma anche più dinamici, veloci e decisi. Le ricerche empiriche condot- te dallo studioso mettono in evidenza come non sempre l’efficienza dimo- strata dai capi orientati alla produzione si trasformi in efficacia lavorativa, suggerendo che la motivazione alla collaborazione è un valido sostegno al successo organizzativo. Le caratteristiche della leadership sono molteplici e differenti sono le aspettative che le organizzazioni alimentano nei confronti dei propri leader. In letteratura, gli approcci a questo tema possono essere raccolti in tre cate- gorie, che costituiscono altrettanti aspetti del ruolo del leader:  aspetto relazionale: in virtù della sua posizione e delle sue caratteristiche personali il leader è colui che maggiormente di altri componenti dell’or- ganizzazione entra in contatto con altre persone all’esterno dell’impresa. In questo senso la leadership è “socialmente costruita” e dipende dalla interazioni, percezioni e comportamenti degli individui in relazione ad altri membri di un gruppo;  aspetto informativo: grazie ai rapporti interpersonali con i suoi dipenden- ti e con le sue numerose conoscenze esterne, il leader rappresenta il cen- tro nevralgico della rete informativa che attraversa l’organizzazione. Egli è dunque colui che ha la “vision” e che deve comunicarla ai collaborato- ri, interpretando i fatti e le informazioni che riceve;  aspetto decisionale: il leader è il protagonista del processo decisionale che permette di determinare la strategia dell’organizzazione, affrontare e ri- solvere i problemi, allocare risorse e responsabilità. Gli attributi della personalità e le abilità innate forgiano gli stili di leadership che orientano la persona nelle scelte e nella guida dei suoi collaboratori. Dal punto di vista del potere, gli attori organizzativi potrebbero essere sche- maticamente raggruppati in due categorie leader e follower. I leader sono co- loro che sono in grado di determinare il comportamento degli altri, le cui scelte vengono conformate alla volontà di chi esercita il potere e risultano co- sì diverse da quelle che avrebbero adottato in assenza di tale influenza. Così posta, la questione è troppo meccanica e non corrisponde a quanto accade realmente nella relazione organizzativa. Anche il follower dispone di un po- tere (Figura 2.5). E non si pensi solo all’eventualità che sia collocato contem- poraneamente in ruolo di subordinazione e di sovraordinazione. Si pensi piuttosto che al fatto che la volontà del leader non può realizzarsi se non at- -cap 02/costa 2-12-2003 8:17 Pagina 63 64 Capitolo 2 traverso la collaborazione del follower. Le organizzazioni dedicano molta più attenzione ai leader che non ai follower, anche se poi le performance del- l’organizzazione dipende in definitiva da quest’ultimi [Ratti 1997]. Il leader efficace sconta questo potere del follwer e ne tiene conto nel momento in cui esercita il proprio. FIGURA 2.5 Il potere tra leadership e followership. I profitti arrivano dai follower? Sono i manager pagati a peso d’oro o i colletti bianchi, cioè i quadri intermedi, a fare la fortuna di un’azienda? Per Wall Street non c’era mai stato dubbio: sono i primi, che perce- piscono dal milione di dollari all’anno in su, pensano solo alla carriera, e cambiano spesso posto. Ma un saggio della “Harvard Business Review” e alcuni libri sostengono il contrario: a far ricche le compagnie sono i secondi, che guadagnano normali stipendi, non sacrifica- no al lavoro la vita privata e restano nella stessa compagnia. Thomas De Long, un economista di Harvard che ha gettato il sasso nello stagno, li chia- ma i “B player”, in contrapposizione ai loro capi, gli “A player”. “Sono quelli che eseguo- no gli ordini”, spiega, “che li eseguono bene, lavorando fino a 60 ore alla settimana, se ne sentono gratificati e pensano di essere compensati adeguatamente”. Secondo Larry Bossidy, ex presidente della Honeywell, i colletti bianchi sono cruciali: “Avere idee è faci- le”, dichiara, “ma realizzarle è difficile. Sono i colletti bianchi che adattano i progetti alla realtà, che adottano le piccole modifiche, che garantiscono il successo di un prodotto” . Bossidy accusa le grandi società di concedere troppi soldi e troppi privilegi a quel 15% dei loro dipendenti che è al top, di eliminare spietatamente il 15% più in basso, e di trascu- rare il 70% al centro, costituito da quella fascia di quadri e impiegati “che sono invece il pi- lastro aziendale”. A suo parere, molti colletti bianchi sono più legati alle società di molti di- rigenti, hanno più coraggio nel denunciarne le pecche e sono meno propensi a lamentarsi. [“Il Corriere della Sera”, 11 settembre 2003.] BOX 2.4 -cap 02/costa 2-12-2003 8:17 Pagina 64 Il nuovo regolamento intende allentare il legame che attualmente affida quasi inevitabilmente i servizi post-vendita al concessionario che ha venduto l’auto, facilitare la nascita di punti vendi- ta multi-marca e rendere meno rigida l’esclusività territoriale dei rivenditori autorizzati. Per la manutenzione post-vendita dell’auto, il costruttore dovrà stabilire dei criteri non discriminatori per attribuire la qualifica di meccanico autorizzato, senza limitare a priori il numero delle offi- cine che potranno offrire il servizio. Per le riparazione non sarà obbligatorio l’uso di parti ori- ginali, ma sarà ammesso l’utilizzo di altre componenti, se omologate e rispondenti ai medesimi criteri di sicurezza e affidabilità. Verrà a cadere l’attuale obbligo di avere società, personale di vendita e show room separate per la vendita di auto di diversi costruttori, che di fatto ha impe- dito in Europa la diffusione dei “supermarket dell’auto” all’americana. Rimarrà però l’obbligo anche per i concessionari multi-marca di mantenere in spazi distinti, seppure all’interno dello stesso locale, le auto prodotte da diverse aziende. I costruttori dovranno optare tra la distribu- zione selettiva, mantenendo la scelta dei rivenditori, o quella esclusiva, affidando aree territo- riali di pertinenza di un solo concessionario. E dal momento che la maggioranza dei produtto- ri sembra incline a optare per la selettiva, dovrebbero aumentare le possibilità per i concessio- nari di farsi pubblicità e concorrenza “fuori zona”. 3.1 Obiettivi e struttura del capitolo La progettazione della forma organizzativa e il suo cambiamento sono inti- mamente legate alle caratteristiche dell’ambiente. L’ambiente comprende tut- ti i sistemi e le istituzioni esterni all’organizzazione che sono potenzialmente in grado di influenzare l’operatività dell’impresa e l’accesso a risorse scarse. Le organizzazioni sono “sistemi aperti” il cui funzionamento efficace non dipende solo dalle attività che vengono svolte all’interno, ma anche dal- la costante interazione con l’ambiente che le circonda. Dall’ambiente esse traggono le risorse materiali, umane, finanziarie e tecnologiche necessarie al raggiungimento dei loro fini e al collocamento dei loro prodotti e servizi. Le regole che disciplinano il comportamento delle imprese possono influenzare la struttura del mercato, la numerosità delle imprese, l’intensità della concor- renza e, quindi, impattare sulle strategie e sulle strutture adottate. D’altro canto, l’ambiente non è uniforme e non tutte le sue parti agiscono con la stessa forza sui vari punti dell’organizzazione. Le decisioni del vertice strategico portano alla selezione di una porzione di ambiente e alla definizione della strategia in relazione a esso, ignorando almeno parzialmente il resto. Per ridurre la dipendenza dall’ambiente, l’or- ganizzazione potrebbe tentare di “inglobarne” una parte, integrandosi verti- calmente oppure stringendo delle alleanze. Questo capitolo, dopo aver considerato le diverse nozioni di ambiente e introdotto la distinzione tra ambiente generale e ambiente transazionale, analizza le possibili azioni dell’organizzazione sull’ambiente. Per indirizzare queste azioni vengono individuate le dimensioni dell’ambiente rilevanti ai fini della progettazione della struttura interna, dei suoi confini e delle inter- facce con l’esterno. Successivamente sono analizzati l’ambiente economico, 68 Capitolo 3 -cap 03/costa 1-01-2004 16:04 Pagina 68 l’ambiente tecnologico e scientifico e l’ambiente istituzionale, cercando di operare una sintesi tra concezioni deterministiche e concezioni soggettive dell’ambiente. 3.2 L’ambiente generale L’ambiente in cui opera un’organizzazione può essere scisso, sia a livello co- gnitivo sia operativamente, in ambiente generale e ambiente transazionale. Il primo è costituito da tutti quegli aspetti che non influenzano in modo diretto le attività quotidiane di una organizzazione e che sono assunti come dati. Il secondo invece ha un impatto più diretto sull’organizzazione ed è quindi og- getto di un’attenzione più precisa, anche al fine commisurare le scelte strate- giche e strutturali. Le forze che agiscono al suo interno sono di diversa natu- ra [Jones 2001, p. 166; Perrone 1991, p. 250]:  i mercati: definiscono l’ambiente economico e sono sintetizzati dai tassi di crescita dell’economia, dall’andamento dei tassi di interesse, dal livello di disoccupazione, che determinano il livello della domanda e i costi dei fattori produttivi. Se si considera l’ambiente economico internazionale, le medesime variabili possono influenzare le decisioni di localizzazione de- gli impianti o le strategie commerciali;  la tecnologia: definisce l’ambiente scientifico e tecnologico che comprende tutte le attività preposte alla produzione e alla diffusione dei saperi e che tracciano le traiettorie della ricerca e dell’innovazione; esse si traducono in tecniche disponibili per lo svolgimento delle attività operative, nella loro duplice veste di insieme di strumenti, impianti e materiali utilizzati nei processi di trasformazione, e di “know-how”, cioè dell’insieme delle conoscenze applicabili al medesimo processo di trasformazione [Grandori 1995, p. 331];  le istituzioni: definiscono a) l’ambiente socio-culturale, che raggruppa i valo- ri, le ideologie e le norme interiorizzate e che nel loro insieme influenza- no i comportamenti degli attori; b) l’ambiente politico e legale, che include gli aspetti relativi alla distribuzione del potere nella società, alle modalità di interazione tra ambito economico e ambito politico, alle norme che di- sciplinano l’operatività dell’impresa e le sue opzioni strategiche. La concezione tradizionale di ambiente È evidente che ciascuno dei sotto-ambienti indicati non è direttamente e pie- namente governabile da una singola organizzazione. Nessuno di essi, d’altro canto, può essere ignorato quando si progetta l’organizzazione. Non si tratta L’organizzazione e i suoi ambienti 69 -cap 03/costa 1-01-2004 16:04 Pagina 69 di un’affermazione scontata, poiché si contrappone alla cosiddetta concezione tradizionale dell’ambiente, che risente dell’approccio tayloristico alla proget- tazione organizzativa. Essa postula che per progettare in modo efficace ed ef- ficiente la struttura di un’organizzazione sia sufficiente definire con chiarez- za gli obiettivi da raggiungere, la strategia da adottare e le attività da com- piere. Successivamente, è sufficiente adottare i noti princìpi economici di progettazione organizzativa e organizzare in modo adeguato il lavoro [Benassi 1997]. All’interno di questa visione, l’ambiente è ininfluente, nel senso che il vertice strategico e in generale tutti i soggetti che operano nell’organizzazione possono ignorarlo senza mettere a repentaglio le performance. Alla base di tale concezione ci sono particolari assunzioni, che è opportuno esplicitare perché, come si vedrà, in alcuni casi e per specifiche funzioni aziendali, di fatto si ragiona proprio in questo modo. Innanzitutto, si ritiene che le problematiche che un’organizzazione si tro- va ad affrontare siano solo di natura interna e quindi, per definizione, tutto ciò che sta “al di là dei confini” può essere tranquillamente non considerato in fase di progettazione. Si pensi, per esempio, a un’impresa che opera in re- gime di monopolio naturale e che produce un bene indifferenziato. Se l’am- biente politico e legale non è particolarmente stringente e la tecnologia è sta- bile (o se l’organizzazione stessa possiede le conoscenze per governarla), il vertice strategico può ragionevolmente porsi l’obiettivo di ottimizzare il fun- zionamento dell’organizzazione interna, visto che i mercati di sbocco sono “costretti” a comprare l’unico prodotto messo in commercio. La stessa logica può essere adottata anche a livello funzionale. In tal caso si può tentare di ot- timizzare i processi di un’unità organizzativa senza correre il rischio che l’ot- timo parziale si traduca in una situazione sub-ottimale a livello generale di impresa. Tali condizioni, com’è ragionevole attendersi, si verificano tuttavia assai raramente. Persino quando Henry Ford organizzò le sue fabbriche per produrre il mitico “modello T”, che vengono spesso citate come un prototipo di modello chiuso (e, in buona sostanza, lo sono) dovette in qualche misura tenere conto dell’ambiente (mercato del lavoro, concorrenti, rapporto tra li- vello dei salari e domanda) (Box 3.1). La seconda ipotesi della concezione tradizionale è relativa all’autosufficien- za dell’organizzazione. Detto in altri termini, si assume che l’impresa sia un sistema chiuso, che può funzionare indipendentemente dalle caratteristiche dell’ambiente esterno. In generale, anche questa condizione non si verifica. Per esempio, una software house potrebbe non dipendere dall’ambiente scien- tifico e tecnologico per quanto concerne l’innovazione dei propri prodotti e la formazione continua dei suoi collaboratori (se dispone di strumenti per la formazione interna), ma non può ignorare le modalità attraverso cui si affer- mano degli standard (un sistema operativo, come nel caso di Windows, o un protocollo di rete). 70 Capitolo 3 -cap 03/costa 1-01-2004 16:04 Pagina 70 zienda ha interesse ad abbandonare il mercato e scegliere la gerarchia (o go- verno unitario) producendo internamente i beni e servizi di cui necessità. L’alternativa tra mercato e gerarchia non è però, nella pratica, così secca. Come si vedrà in modo approfondito nel prossimo capitolo, esiste una vasta gamma di soluzioni intermedie e ibride che rendono i confini dell’organizza- zione interna meno netti di quanto non sembri. A volte l’organizzazione si estende sull’ambiente e sul mercato strutturando gli scambi con relazioni meno occasionali attraverso contratti di medio-lungo periodo, alleanze, for- me di cooperazione sostenute anche dalla rete sociale (Capitolo 6). Altre vol- te è il mercato che s’insinua nell’organizzazione attivando tensioni concor- renziali fra gli attori interni. Tutto ciò rende i confini organizzativi e la sepa- razione tra organizzazione e ambiente entità mobili e suscettibili di continue ridefinizioni. L’azione sull’ambiente L’ambiente transazionale non è un dato ma è il portato di scelte individuali e collettive e dell’azione delle istituzioni. L’impresa può scegliere di collocarsi, attraverso le proprie scelte strategiche, in una determinata nicchia per avere accesso a risorse e mercati (fornitori, consumatori) più favorevoli che consen- tono un migliore sfruttamento delle proprie competenze. L’azione sui confini definisce l’alternativa tra interno ed esterno. Ma esistono altre possibilità in- termedie che, comunque, aumentano il controllo dell’organizzazione sul- l’ambiente o ne riducono la dipendenza. Infatti, l’ambiente transazionale, ol- tre che dalle scelte strategiche di combinazione prodotto-mercato, può essere influenzato da scelte specifiche dell’azienda volte a modificarlo. Nella “ge- stione” dell’ambiente sono utilizzabili i seguenti strumenti [Robbins 1990; Thompson 1967]. ContractingMAccordi collettivi tra produttori, fornitori e clienti possono defi- nire condizioni di funzionamento dei mercati che diminuiscono sia costi di transazione sia quelli di produzione. Volare, compagnia aerea low cost in ra- pida espansione, non solo ha fatto una precisa scelta di nicchia, individuan- do un target di passeggeri non particolarmente esigenti in termini di servizio ma molto sensibili al prezzo, ma ha anche fatto un accordo di lungo periodo con Airbus per la fornitura di aerei di un unico tipo. Ciò le consente di otte- nere prezzi di fornitura e assistenza più favorevoli e di realizzare rilevanti economie nella manutenzione degli aeromobili e nell’addestramento e nella remunerazione dei piloti. AdvertisingMLa pubblicità e la comunicazione esterna possono influenzare la domanda, migliorando la conoscenza sulle caratteristiche intrinseche del L’organizzazione e i suoi ambienti 73 -cap 03/costa 1-01-2004 16:04 Pagina 73 prodotto e la percezione che ne ha il pubblico. Per esempio, In Italia i medici- nali branded continuano a essere preferiti ai medicinali generici pur avendo gli stessi princìpi attivi ma prezzi di vendita molto più elevati. I produttori di medicinali generici e le istituzioni, pur avendo interesse a una loro maggiore diffusione, non fanno, o non sono in grado di fare, uno sforzo comunicativo paragonabile a quello delle grandi imprese farmaceutiche, che riescono così a non subire la gli effetti dell’incertezza generata dalla competizione di prezzo. CooptingMLa cooptazione nella propria organizzazione di soggetti o organiz- zazioni in grado generare incertezza è una modalità molto frequente. L’Alitalia nella crisi del 1996 ha cooptato nel proprio consiglio di ammini- strazione il comandante Augusto Angioletti, leader dell’Anpac, il sindacato dei piloti, e per un certo periodo ha goduto di relazioni sindacali meno tur- bolente e di costi di transazione più contenuti nella definizione dei contratti collettivi. L’attribuzione di cariche sociali rilevanti a banchieri o a ex-funzio- nari dello Stato è una scelta frequente in aziende che devono controllare l’in- certezza dei mercati finanziari e delle istituzioni. Per esempio, Andrea Monorchio, dopo aver lasciato la carica di Ragioniere generale dello Stato, è diventato presidente della Consap, società concessionaria dei servizi assicu- rativi pubblici, e del Collegio sindacale dell’Eni. Molto diffuso anche in Italia è il fenomeno dell’interlocking directorate, cioè la condivisione di membri del Consiglio di amministrazione da parte di Società che possono essere indiret- tamente concorrenti o in potenziale conflitto d’interesse (l’una fornitrice del- l’altra) [Lomi, Corrado e Sandri 1996]. CoalescingMAccordi o fusioni possono essere motivati da esigenze organiz- zative interne volte a beneficiare di economie di scala, integrazione di com- petenze, razionalizzazione dei costi ma hanno spesso il ruolo di ridurre l’in- certezza ambientale e allentare la competizione o la reciproca dipendenza. Motivazioni di questo tipo sono alla base dell’accordo Fiat-General Motors del 2000 (Capitolo 6) o, nel campo della pay tv, la fusione tra Tele+ e Stream che nel 2003 ha dato vita a Sky. Oltre a tentare di gestire l’ambiente con politiche volte all’esterno, l’organiz- zazione deve attrezzarsi internamente per gestire l’impatto dell’incertezza ambientale. La prima scelta è quella di dotarsi di competenze in grado di monitorare l’ambiente e di cogliere con anticipo segnali di cambiamento che possono alterare gli equilibri interni. Si tratta quindi di anticipare i cambia- menti, piuttosto che reagire dopo che si sono manifestati. Il ruolo di monito- rare è affidato a quelle che Thompson [1967] ha definito le unità di confine, che hanno appunto il compito di proteggere il nucleo tecnico (cioè il core pro- duttivo) dall’incertezza e dalle perturbazioni dell’ambiente. Ciò consente al nucleo tecnico di operare in condizioni di stabilità e di concentrarsi sull’effi- 74 Capitolo 3 -cap 03/costa 1-01-2004 16:04 Pagina 74 cienza, come se fosse un sistema chiuso. Appartengono, in questo senso, alle unità di confine le funzioni commerciali, di marketing, di acquisto, di rela- zioni esterne e così via, mentre la funzione produzione fa parte del nucleo tecnico. Nella protezione del nucleo tecnico un ruolo fondamentale è svolto dalle attività di buffering, che consistono nel creare una riserva di risorse o capacità per fronteggiare la variabilità dell’ambiente. Rientra tra le attività di buffer- ing servirsi da più fornitori, tenere scorte di componenti e prodotti finiti, dis- porre di un eccesso di capacità produttiva, formare il personale a svolgere una pluralità di mansioni. In alternativa al buffering, esiste la possibilità di stabilizzare una domanda molto variabile, per esempio per fattori stagionali o connessi all’organizzazione sociale (la distribuzione di attività nella giorna- ta o nella settimana). L’Enel adotta, per l’energia a uso industriale, tariffe dif- ferenziate tese a incentivare l’uso notturno degli impianti e quindi a tagliare i picchi e riempire gli avvallamenti nella distribuzione della domanda (smoo- thing). Politiche tariffarie analoghe sono usate da Telecom Italia e dalle altre compagnie telefoniche. Produttori di panettoni come Bauli o Motta hanno li- vellato la domanda con le merendine e gli snack, prodotti che utilizzano gli stessi impianti e gli stessi canali di distribuzione, ma hanno una diversa sta- gionalità. Il caso della distribuzione di automobili in Europa consente di evidenzia- re il rapporto tra mercati e istituzioni nel definire le caratteristiche dell’am- biente rilevanti ai fini delle scelte organizzative. La normativa precedente ha consentito lo sviluppo di dealer monomarca strettamente dipendenti dai co- struttori, che potevano imporre quantità, prezzi e standard di servizio. Il nuovo regolamento emanato dall’Unione Europea ha la finalità di favorire una maggiore concorrenza nel settore. I concessionari potranno scegliere se diventare autonomi e quindi vendere più marche d’automobili. Avranno cioè l’alternativa tra una strategia generalista o multimarca e una strategia specia- lista o monomarca (Box 3.2). E comunque potranno allargare la loro presenza e la loro azione commerciale anche fuori della loro zona di concessione (am- pliamento della nicchia o scelta di nuove nicchie). Il concetto di nicchia deri- va dalla Population Ecology che distingue tra organizzazioni specialiste, che massimizzano una gamma limitata di risorse fisse e che, in quanto tali, risul- tano particolarmente adatte a operare in ambienti relativamente stabili, e or- ganizzazioni generaliste, che si differenziano dalle prime per l’uso di una gamma di risorse più vasta anche se con risultati specifici inferiori a quelli raggiungibili dalle singole organizzazioni specialiste, ma con una maggiore capacità di sopravvivenza in ambienti variabili. L’assistenza post vendita potrà essere fornita da riparatori indipendenti che potranno utilizzare ricambi non forniti dal costruttore ma da questi omo- logati, il che potrebbe far nascere un certo numero di nuove imprese. Le stes- se aziende costruttrici oltre che scegliere il tipo di rapporto con i concessiona- L’organizzazione e i suoi ambienti 75 -cap 03/costa 1-01-2004 16:04 Pagina 75 dendo con ciò il livello di interdipendenza dell’organizzazione con l’ambien- te. Questo può essere rappresentato come una maglia, formata da elementi diversi (che possono cambiare nel tempo) tra loro connessi in modo più o meno forte (Figura 3.1). In base a queste due variabili si definiscono:  un ambiente placido e casuale, in cui opportunità e minacce sono distri- buite in modo casuale e l’incertezza è limitata e controllabile. In questo contesto le imprese, spesso di piccole dimensioni, apprendono per tenta- tivi e per correzione degli errori fatti;  un ambiente placido e connesso, in cui alcuni elementi o attori che fanno parte del tessuto sono tra loro organizzati, e ciò aumenta il loro potere contrattuale. Acquista quindi importanza il ruolo della pianificazione strategica, che permette di concentrare le risorse e sviluppare una com- petenza distintiva. Questa situazione si riscontra per esempio nel merca- to delle organizzazioni sindacali, caratterizzato da scarsa turbolenza e forti relazioni tra le parti;  un ambiente agitato e reattivo, in cui diverse organizzazioni della stessa specie competono direttamente per le stesse risorse. I manager avviano rapidamente azioni per il miglioramento della posizione competitiva dell’organizzazione e sono pronti a reagire alle contromosse dei concor- renti. Molte delle iniziative imprenditoriali che si sono sviluppate in se- guito all’avvento delle nuove tecnologie (imprese che sviluppano hard- ware, software house, fornitori di contenuti, imprese di telecomunicazio- ni) si sono inserite in questo tipo di ambiente;  un ambiente turbolento, in cui il controllo sulle variabili ambientali è molto difficile a causa dell’incertezza e le imprese attuano strategie colla- borative per resistere al cambiamento. Si pensi per esempio ai recenti cambiamenti nel settore bancario, in cui le organizzazioni per resistere ai mutamenti indotti dall’apertura dei mercati alla concorrenza europea e dalla nuova normativa hanno scelto la strada della creazione di gruppi di grandi dimensioni. 78 Capitolo 3 Forza delle connessioni ambientali Scarsa Considerevole Placido e casuale Agitato e reattivo Placido e connesso Turbolento Scarso ConsiderevoleTa ss o di c am bi am en to FIGURA 3.1 Il modello di Emery e Trist [1965]. -cap 03/costa 1-01-2004 16:04 Pagina 78 La ricchezza ambientale, infine, considera l’ammontare delle risorse disponi- bili all’interno dell’ambiente transazionale dell’organizzazione. Anche in questo caso esiste una precisa relazione con l’incertezza ambientale. In effet- ti, quanto più ricco di risorse è l’ambiente, tanto minore sarà il suo livello di incertezza, in quanto sarà ridotta la concorrenza tra le organizzazioni per ac- caparrarsi le risorse stesse. Il contrario accade quando l’ambiente è povero. La ricchezza ambientale non è una caratteristica oggettiva dell’ambiente, ma dipende anche dalla numerosità delle organizzazioni che operano al suo interno (vedi il concetto di densità nel Box 3.2). A parità di altre condizioni, infatti, i mercati ricchi attirano nuove imprese. Ciò, aumenterà l’intensità della concorrenza, in quanto incrementa la domanda di risorse che, almeno nel breve periodo, non possono essere aumentate. Concezione sistemica e reticolare dell’ambiente La rilevanza di complessità, dinamismo e ricchezza mette ancor più in evidenza l’incapacità della concezione tradizionale di spiegare il comportamento delle organizzazioni. Più efficaci sembrano essere la concezione sistemica e la conce- zione reticolare. Nella concezione sistemica, l’ambiente è l’insieme di fattori e di soggetti che circondano gli attori e che, in relazione a interessi e obiettivi perseguiti, ne determina il comportamento. L’ambiente influenza il compor- tamento degli attori, e perciò le decisioni, perché la loro attività non è autono- ma ma hanno bisogno di procurarsi risorse che non possiedono cedendo altre risorse possedute (per esempio, attività lavorativa), non solo di carattere eco- nomico. Gli attori devono confrontarsi con interlocutori e soluzioni esterne. Condizioni ambientali differenti richiedono modi diversi di funzionare per le organizzazioni e comportamenti diversi per i soggetti. L’ambiente non è unico; scegliendo cosa fare si può stabilire in che campo d’azione operare, ma non si può modificare la sua struttura: ogni specifica tipologia richiede comportamenti abbastanza univoci ma di articolazione variabile. L’ambien- te, infatti, può essere visto come una maglia di interconnessioni formata da elementi diversi, connessi in modo più o meno forte, che possono cambiare nel tempo. La concezione reticolare, in accordo con quella sistemica, mette in eviden- za i rapporti tra un singolo attore e il suo ambiente esterno, ma lo identifica in modo più preciso. Sottolinea in misura maggiore che i contatti attraverso cui si realizzano scambi di risorse non sono né impersonali, né generici, né indistinti, ma assumono la natura di relazioni. Oltre alle relazioni dirette, pe- rò, è importante che gli attori siano consapevoli anche dell’effetto di quelle indirette. L’ambiente diventa quindi uno spazio concettualmente precisabile, per- ché in esso operano altri attori con cui un singolo soggetto o un’organizza- L’organizzazione e i suoi ambienti 79 -cap 03/costa 1-01-2004 16:04 Pagina 79 zione possono intrattenere (o non avere) molteplici rapporti di scambio e di reciproco condizionamento. Particolare rilevanza assumono gli attori con cui si hanno o si potrebbero avere rapporti sufficientemente stabili, reiterati, ri- correnti. Ogni attore è coinvolto perciò in un tessuto relazionale che è essen- ziale per spiegare i suoi comportamenti. Differenziare e integrare Quanto più incerte e diverse sono le relazioni tra un’impresa e i settori am- bientali con cui interagisce, tanto maggiore sarà la differenziazione dell’orga- nizzazione e il conseguente bisogno di integrazione delle diverse parti [Lawrence e Lorsch 1967]. L’ambiente in cui opera l’impresa non è considera- to come un oggetto uniforme, bensì come costituito da aree che possono ave- re gradi differenti di prevedibilità. Lawrence e Lorsch [1967] distinguono tre settori ambientali (scientifico, commerciale e tecnico) cui corrispondono tre diverse aree aziendali (ricerca e sviluppo, marketing e vendite, produzione). Ogni parte dell’organizzazione che interagisce con particolari sottoinsiemi ambientali presenterà proprie particolarità di funzionamento e tenderà a dif- ferenziarsi dalle altre. Sulla base di una ricerca empirica si è rivelato che, per esempio, produzione, uffici commerciali e centri di ricerca e sviluppo sono come dei mondi separati, dove si ragiona e agisce con criteri diversissimi. Ma in che modo l’esigenza di differenziazione, per adattarsi alla diversi- tà ambientale, può conciliarsi con la necessità di integrare le varie parti del 80 Capitolo 3 Sc ie nt ifi co Te cn ic o C om m er ci al e Adattamento OrganizzazioneAmbiente R&S Produzione Vendite FIGURA 3.2 Differenziazione e integrazione nel modello di Lawrence e Lorsch. -cap 03/costa 1-01-2004 16:04 Pagina 80 ne e ambiente. Le teorie economiche classiche e neo-classiche hanno fornito rappresentazioni del mercato del lavoro che non riescono a dare conto delle sue peculiarità rispetto ad altri mercati [Annable 1984]. Tali peculiarità sono così sintetizzabili: 1. esiste una interconnessione molto stretta tra domanda e offerta: infatti, a livello macro-economico “l’offerta di lavoro viene espressa da una certa popolazione che è un dato storicamente determinato proprio dal proces- so economico che si è verificato” [Ferri 1978; Frey 1980]; 2. il mercato del lavoro è gestito, in misura più o meno estesa, da attori col- lettivi (essenzialmente i sindacati) e dalle istituzioni; 3. il mercato del lavoro è “un mercato in cui colui che ha venduto la merce ne rimane in qualche modo in possesso perché la fruizione del suo valore d’uso dipende da una prestazione del venditore” [Napoleoni 1974]. Questi, a differenza degli altri venditori, mantiene un interesse sull’uti- lizzazione che viene fatta della “merce” che ha venduto: infatti non si tratta di un contratto di vendita ma di un contratto di impiego [Simon 1951]; 4. lo scambio di prestazione lavorativa non avviene attraverso un contratto istantaneo (esclusi pochissimi casi), ma attraverso un contratto che impli- citamente prevede una durata indeterminata ed è incompleto nella defi- nizione delle reciproche obbligazioni, a causa della scarsità di informa- zioni e dell’incertezza che caratterizzano il momento della stipulazione del mercato rispetto al tempo futuro in cui avverrà l’erogazione della prestazione lavorativa [Pozzana e Zaninotto 1988]; 5. il mercato del lavoro è segmentato (Box 3.3) e si articola in una pluralità di mercati [Kerr 1954; Doeringer e Piore 1971; Osterman 1984], che sono segmentati in settori non comunicanti, o scarsamente comunicanti: la segmentazione ha una varietà di cause che possono ricondursi a ragioni territoriali (difficoltà di trasporto, costi relativi alla mobilità), informative (costo della raccolta di informazioni sul mercato del lavoro), professiona- li (caratteristiche e origine delle diverse abilità professionali non inter- cambiabili), razziali, politiche e di genere (atteggiamenti discriminatori degli imprenditori), tecnologiche e aziendali (barriere tra mercato inter- no ed esterno del lavoro), culturali e sindacali (sindacati di mestiere). Queste peculiarità possono essere spiegate solo abbandonando le teorie eco- nomiche tradizionali e adottando teorie istituzionali che evidenziano feno- meni quali la disoccupazione, i comportamenti discriminatori, la formazione di segmenti non comunicanti dei mercati del lavoro [Kerr 1977], la rigidità verso il basso dei salari, la competizione tra lavoratori per accedere a certi posti di lavoro (job competition) e non a salari immediatamente più elevati [Thurow 1975]. Particolarmente utili al fine di comprendere le vischiosità dei L’organizzazione e i suoi ambienti 83 -cap 03/costa 1-01-2004 16:04 Pagina 83 mercati del lavoro sono le teorie sul mercato dualistico del lavoro e le teorie sui mercati interni (vedi approfondimento nel prossimo capitolo). Al fine della progettazione organizzativa, la variabile mercati del lavoro viene analizzata a tre livelli: 1. il livello macro-economico (ambiente generale), che parte dai movimenti demografici di fondo e individua lo stato e le tendenze in atto relativa- mente all’offerta e alla domanda di lavoro, considerando le caratteristi- che professionali, culturali, e comportamentali, i livelli retributivi ecc.; 2. il livello settoriale (ambiente transazionale esterno) che considera do- manda e offerta relativamente a un comparto economico o a una porzio- ne territoriale; si tratta, in altri termini, di isolare i segmenti di mercato del lavoro ai quali una specifica impresa ha effettivamente accesso; 3. il livello interno (ambiente transazionale interno), cioè l’ambito in cui so- no attivi i mercati che sono stati definiti interni (Figura 3.3). 84 Capitolo 3 Il dualismo del mercato del lavoro Le teorie sul dualismo del mercato del lavoro distinguono tra un mercato primario e un mercato secondario. Il mercato primario (o nucleo centrale) comprende l’occupazione del- le grandi aziende collocate nell’area urbano-industriale. In tale mercato l’offerta è di nor- ma sindacalizzata e comprende i lavoratori a più elevata professionalità e scolarità com- presi nelle classi centrali di età, che comunque dispongono anche di un’elevata forza con- trattuale individuale (questo spiega la diminuzione in tempi recenti dei tassi di sindacaliz- zazione in quest’area del mercato del lavoro). L’impiego è caratterizzato da elevati salari, buoni condizioni organizzative e ambientali, opportunità di crescita professionale e stabili- tà di occupazione. Il mercato secondario (o fascia periferica) è più concorrenziale dell’altro ed è caratterizzato da bassi salari, precarietà d’impiego, condizioni di lavoro non buone, irrilevanza dell’azione sindacale. È un mercato alimentato da processi migratori interni e internazionali, da fasce marginali dell’offerta di lavoro (che entrano ed escono dal merca- to del lavoro su sollecitazioni congiunturali) e si caratterizza per la sua flessibilità. BOX 3.3 I distretti della creatività Si è spesso detto che in un’era di alta tecnologia la “geografia è morta” e il luogo dove si opera non ha più alcuna importanza. Nulla di più lontano dal vero: osservate come le stes- se imprese high-tech si concentrino in zone particolari, come la Bay Area di San Francisco, o Austin, o Seattle. La localizzazione geografica è divenuta l’unità organizzativa centrale del nostro tempo, assumendo molte delle funzioni che un tempo erano svolte dalle imprese BOX 3.4 -cap 03/costa 1-01-2004 16:04 Pagina 84 L’organizzazione e i suoi ambienti 85 Ambiente transazionale interno ed esterno Mercato del lavoro come dato macroeconomico Fascia periferica Nucleo centrale e mercati interni Ambiente generale Liv ello se tto ria le FIGURA 3.3 L’articolazione dei mercati del lavoro. e da altre organizzazioni. La reperibilità di personale dotato di talento e di creatività rap- presenta oggi per il mondo delle imprese ciò che il carbone e il minerale ferroso rappre- sentavano per le acciaierie. Nel sistema economico attuale il successo di un Paese dipende sempre meno da politi- che industriali e commerciali protezioniste basate su incentivi fiscali o sussidi pubblici per attrarre imprese. Deriva piuttosto dal saper creare un habitat che attragga e mantenga fe- deli i talenti creativi: perché oggigiorno la competizione si basa sulla creatività, sulla capa- cità di inventare nuovi bisogni, nuovi prodotti e processi. Di conseguenza, proprio le per- sone che svolgono lavori basati su capacità e creatività intellettuali – dai programmatori, ricercatori, designer, fino a quelle figure che operano come problem solver di alto livello, come top manager, analisti, economisti ecc. – diventano la risorsa chiave dell’economia. Una classe cosiddetta “creativa”, che oggi costituisce quasi il 30% della forza lavoro nei Paesi industriali più avanzati, superando per dimensione la classe dei “colletti blu”. Centrali i luoghi. Il nostro studio sull’Europa mostra che in Italia, nel 2000, la classe creati- va ammontava a circa 2 800 000 lavoratori, il 13% di tutti gli occupati, raggiungendo i li- velli dei colletti blu. Negli Stati Uniti, dove abbiamo potuto analizzare dati dettagliati ri- guardanti stipendi e salari, il settore creativo dell’economia copre quasi il 50% di tutto il reddito da lavoro, tanto quanto il settore manifatturiero e dei servizi assieme. “Tenetevi pu- re i vostri tagli fiscali e incentivi industriali – ha detto l’ad della Hewlett-Packard ai gover- natori Usa – Noi andiamo dove vanno i talenti e i creativi”. Ma dove vanno i creativi? Dall’analisi che abbiamo condotto, negli States emerge un quadro piuttosto nitido: i creati- vi tendono a localizzarsi in aree culturalmente e socialmente aperte, dove tutte le forme di creatività sono accettate e rispettate e dove le loro idee possono fiorire ed esprimersi. Luoghi con alte concentrazioni di diversità razziale, culturale, con una vasta offerta di op- portunità per esperienze, incontri. Luoghi che noi chiamiamo “centri creativi”. E interessan- te è notare che qui si registrano altissimi tassi non solo di creazione d’impresa, ma anche di ri-locazione, ovvero quando imprese nate e cresciute in altri luoghi decidono di aprire nuovi uffici in questi centri. -cap 03/costa 1-01-2004 16:04 Pagina 85 disegno organizzativo delle produzioni, che si basa su un’articolata divisio- ne del lavoro tra centinaia di piccole e medie imprese. Il loro modo di opera- re si regge su un particolare social capital, costituito da una rete sociale che racchiude un sapere condiviso e diffuso, relazioni informali basate sulla fi- ducia, regole di comportamento non scritte ma efficaci. I distretti sono una realtà significativa dell’economia italiana. Secondo l’Istat alla fine degli anni ’90 ne esistevano quasi 200 e occupavano complessivamente oltre due milio- ni di persone (40% dell’occupazione manifatturiera italiana) (Paragrafo 6.6). Ma esistono altri esempi di sistemi locali dove si concentrano competenze e si formano reti sociali che favoriscono l’insediamento di aziende che trovano in quel contesto condizioni che ne favoriscono lo sviluppo (Box 3.5 e 3.6 3.6 L’ambiente e la tecnologia Per tecnologia s’intende il complesso delle condizioni tecniche e organizzati- ve che presiedono ai processi di trasformazione materiale, spaziale e tempo- rale degli input produttivi. In questa definizione ampia di tecnologia, proces- so tecnico e processo organizzativo risultano strettamente intrecciati [Rosen- 88 Capitolo 3 Etna Valley Anche l’Italia ha le sue “Silicon Valley”, le sue nicchie tecnologiche e una di queste si collo- ca nel Sud della Sicilia vicino al vulcano Etna. Catania e Palermo, in particolare, stanno cominciando a essere osservate con vivo interesse dagli imprenditori e dagli operatori dei settori delle telecomunicazioni e del Web, che vedono queste città come terreno fertile, e anche pronto, di sviluppo. Nel Sud il mercato è aperto agli investimenti economici e, a cau- sa dell’alto tasso di disoccupazione, è possibile trovare e assumere lavoratori in maniera ben più facile di quanto avviene al Nord. Ci sono circa 20 aziende nel settore tecnologico costituite e attive a Catania, Palermo e in altre città siciliane. Fra loro ci sono Nokia, Alcatel, Nortel Networs, Global One, Openline, Global Communication, Antech, Wire Net, IBM, Imtes, Cities on Line, STMicroelectronics e Computer Science Corporation. Dice Pasquale Pistorio, presidente e amministratore delegato di STMicroelectronics: “Contrariamente alla Silicon Valley, la valle dell’ Etna di Catania, con più di 50 000 stu- denti nella sua università, offre l’accesso privilegiato a quella che è la risorsa più importan- te: i cervelli; cervelli altamente capaci e altamente istruiti. In realtà, la pura disponibilità di cervelli non è l’unico vantaggio che Catania possa offrire, le leggi attuali riducono il costo del lavoro di una percentuale significativa con l’esenzione fiscale, senza che siano penaliz- zati i lavoratori. Per noi, allora, l’Italia del Sud è una vera occasione di sviluppo. Ho fornito l’esempio di Catania, perché oggi probabilmente rappresenta nella zona la concentrazione più importante di industria high-tech. Ma il fenomeno della Valle dell’ Etna potrebbe essere riprodotto abbastanza facilmente in altre aree dell’ Italia del Sud: a Napoli per esempio, oppure a Palermo, Bari, Lecce, Reggio Calabria e Cagliari”. BOX 3.5 -cap 03/costa 1-01-2004 16:05 Pagina 88 L’organizzazione e i suoi ambienti 89 Il dibattito attorno alla tecnologia Secondo la teoria neoclassica, la tecnologia è una variabile esogena e indipendente rispet- to il sistema economico. L’innovazione tecnologica non modifica l’assetto del mercato in quanto perfettamente accessibile a tutte le imprese. Non vi sono vincoli alla diffusione del progresso tecnico, il cui rapporto con l’economia si configura in termini quantitativi come aumento di produttività. A livello d’impresa il progresso tecnologico può causare una sosti- tuzione tra fattori di produzione (capitale e lavoro). Gli effetti della tecnologia sul lavoro sono pertanto di tipo quantitativo-occupazionale ma limitati nel tempo, data l’adattabilità del fattore lavoro al riequilibrio imposto dai meccanismi di mercato. Schumpeter in un primo tempo ha adottato l’idea di esogenità della tecnologia, ma il suo concetto di innovazione tecnologica come “distruzione creatrice” segna una svolta ri- spetto ai neoclassici. Il pensiero schumpeteriano si caratterizza e si differenzia dalle prece- denti costruzioni per aver posto la variabile tecnologica come uno dei fattori determinanti dello sviluppo economico [Antonelli 1982]. Il pensiero schumpeteriano passa più tardi a una diversa concezione di capitalismo trustificato e di tecnologia endogena al sistema pro- duttivo. A partire da queste teorie si è sviluppato un approccio neo-schumpeteriano sul te- ma del rapporto tra scienza, tecnologia e sistema economico, secondo cui esiste interdi- pendenza tra i sistemi imprenditoriale e tecnologico. La tecnologia viene monopolizzata dalle imprese e la sua diffusione dipende dall’interazione tra queste ultime e il mercato (ap- proccio demand pull ) [Antonelli 1982]. Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 nuove basi per la comprensione del cambiamento tecnologico, soprattutto alla luce degli enormi passi fatti dal sistema scientifi- co e tecnologico, sono state poste da un gruppo di studiosi definiti “neo-tecnologici” [Freeman et al. 1985]. I neo-tecnologici, pur sviluppando speculazioni anche molto diver- se, sono legati da una comune concezione rispetto a due linee di fondo [Dosi 1985]:  a tecnologia come la scienza possiede una propria autonomia e proprie regole interne;  ’applicazione di determinate tecnologie e la loro diffusione non dipendono esclusiva- mente dalla potenzialità intrinseca di cui dispongono tali tecnologie, ma soprattutto dal modo con cui vengono recepite dalla società e dall’impresa. Sulla base di questi assunti, i neo-tecnologici hanno introdotto negli studi sull’evoluzione e la diffusione delle tecnologie il concetto di paradigma tecnologico (derivato dal concetto di paradigma scientifico di T. Kuhn). Il paradigma tecnologico (o tecno-economico) è un insie- me di princìpi guida che diviene senso comune dirigenziale e progettuale in ogni nuova fa- se di sviluppo. Sotto questo profilo una rivoluzione tecnologica, generata dal cambiamento di paradigma, si identifica per particolari condizioni non solo tecno-economiche ma anche socio-istituzionali e cioè:  drastica riduzione nei costi di molti prodotti e servizi;  opportunità per una gamma interamente nuova di prodotti e servizi e per un notevole miglioramento delle caratteristiche tecniche di molti altri prodotti e processi produttivi;  accettazione politica e sociale;  integrazione ambientale. Le tecnologie dell’informazione, in quanto soddisfanno tutti e quattro i suddetti criteri, costi- tuiscono l’affermazione di un nuovo paradigma tecno-economico e in questi termini rap- BOX 3.6 -cap 03/costa 1-01-2004 16:05 Pagina 89 kopf e Tushman 1992]. Ciò implica, a livello metodologico, una scelta che tenti di evitare i pericoli del determinismo tecnologico e del soggettivismo organizzativo [Goodman e Sproull 1990]. La catena di montaggio di Taylor costituisce, nel significato qui accolto, una tecnologia in quanto ha una di- mensione tecnica (il nastro transfert) e una dimensione organizzativa (la standardizzazione dei tempi e dei metodi basata sulla massima divisione del lavoro). Entrambe le dimensioni sono connesse con il mercato del lavoro (at- tivazione di segmenti del mercato del lavoro a bassa professionalità e a basso costo), con il mercato di sbocco (richiesta di prodotti di massa a prezzi conte- nuti). Risulta evidente che la tecnologia non è un dato di tipo solo tecnico e ingegneristico ma è la sintesi di una serie complessa di rapporti che hanno un impatto particolare sul sistema organizzativo. Per focalizzare le idee sul tipo di impatto si pensi che nell’industria tessile: con la tecnologia della fila- tura a ruota, nel 1750 erano necessarie mille ore di lavoro per produrre un fu- so di dieci kilogrammi, oggi con la tecnologia attuale l’ordine di grandezza è di qualche decina di minuti. A questo abbattimento dei tempi si è arrivati at- traverso almeno cinque innovazioni rivoluzionarie nella tecnologia della tes- situra, ciascuna delle quali è stata accompagnata da modificazioni economi- che, sociali, professionali, politiche, organizzative che hanno cambiato le prospettive di interi gruppi sociali e di intere regioni oltre che l’assetto del- l’industria tessile. La tecnologia può essere analizzata secondo due diverse prospettive: una prospettiva oggettivistica e una prospettiva emergente o fenomenologica [Ci- borra e Pugliese 1997]. I due punti di vista si differenziano per il diverso gra- do di variabilità e per come ne risulta influenzata la progettazione organizza- tiva. La prospettiva oggettivistica, come il termine stesso suggerisce, consi- dera la tecnologia un fattore oggettivo dato. Si tratta, in altri termini, di un insieme di mezzi e metodi legati da relazioni di causalità, attraverso i quali si realizza il processo di trasformazione fisico-tecnica e/o spaziale-temporale dei fattori input (risorse fisiche o immateriali) al fine di realizzare un prodot- to o servizio intermedio o finale. La seconda prospettiva, quella fenomenologica, interpreta la tecnologia co- me un elemento ambiguo, declinato e attivato dagli stessi attori organizzati- vi. Come nel significato attribuito dalla corrente oggettivista, essa rappresenta una catena mezzi-fini, ma a differenza di questa, è socialmente costruita, ov- vero assume il senso che l’organizzazione stessa le attribuisce. 90 Capitolo 3 presentano una rivoluzione tecnologica [Freeman e Soete 1986]. In sintesi, secondo i neo- tecnologici il rapporto tra cambiamento economico e progresso tecnologico è di tipo dina- mico (discontinuità del mutamento tecnologico) e produce effetti non semplicemente quanti- tativi (produttività), ma soprattutto qualitativi di ordine economico, sociale e istituzionale. -cap 03/costa 1-01-2004 16:05 Pagina 90
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