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DIRITTO TRIBUTARIO, Dispensa - I Tributi: i principi costituzionali e lo statuto del contribuente - Vecchio Ordinamento, Dispense di Diritto Tributario

Dispense del corso di Diritto Tributario. I principi costituzionali e lo statuto del contribuente. Vecchio Ordinamento

Tipologia: Dispense

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giak82
giak82 🇮🇹

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Scarica DIRITTO TRIBUTARIO, Dispensa - I Tributi: i principi costituzionali e lo statuto del contribuente - Vecchio Ordinamento e più Dispense in PDF di Diritto Tributario solo su Docsity! versione ottobre 2008 1 Capitolo II - I TRIBUTI: I PRINCIPI COSTITUZIONALI E LO STATUTO DEL CONTRIBUENTE SOMMARIO: 1. I tributi come copertura delle pubbliche spese - 1.1. La misurazione giuridica della capacità economica - 1.2. Il diritto tributario nel modello giuridico del diritto amministrativo - 1.3. La diversa individuabilità e determinabilità della capacità economica.- 1.4. L’art. 53 della costituzione e la determinazione della capacità economica - 2. Il controllo della Corte costituzionale sulle scelte di politica tributaria e la c.d. «discrezionalità legislativa» - 3. Applicazioni del principio di capacità contributiva - 4. La riserva di legge di cui all’art. 23 cost. – 4.1. La relatività della riserva di legge, le fonti normative secondarie e le ricadute sulla attività amministrativa in materia tributaria - 5. Lo Statuto del contribuente e codificazione - 6. Le leggi regionali e quelle statali in materia di tributi locali - 7. Le fonti comunitarie e i trattati internazionali - 8. Le circolari dell'Amministrazione finanziaria 1. I tributi come copertura delle pubbliche spese I tributi servono a soddisfare le esigenze pubbliche, dalla difesa, alla giustizia, alle infrastrutture, alla sanità, all’istruzione, al pagamento degli interessi sul debito. I tributi sono oggi il principale strumento per finanziare la spesa pubblica 1 degli stati moderni. Sono, infatti, ormai secondarie le entrate dovute a cespiti patrimoniali di proprietà collettiva, ai profitti di aziende pubbliche, alle espropriazioni, alle requisizioni, alle confische, alle sanzioni, etc2. 1 Le esigenze pubbliche, dalla difesa, alla giustizia, alle infrastrutture, alla sanità, all’istruzione, agli interessi sul debito etc., richiedono risorse finanziarie, e sono molto rigide, essendo composte in buona di “spese fisse”, come stipendi, pensioni, e interessi sul debito. 2 Le entrate pubbliche “non tributarie”, cioè derivanti dalla gestione dei beni appartenenti allo stato e agli enti territoriali, erano invece molto importanti nei secoli passati — quando le necessità finanziarie erano minori per via del minor intervento pubblico nella vita sociale (si trattava della c.d. finanza patrimoniale basata ad esempio sui proventi dell'affitto di terre pubbliche o della concessione di miniere); qualcosa del genere resta però nei paesi in cui l'abbondanza di risorse naturali, come l'estrazione del petrolio, consente di finanziare abbondantemente le spese pubbliche, arrivando talvolta persino a fare a meno dei tributi. versione ottobre 2008 2 Nell’affermare che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, l’articolo 53 ricorda una caratteristica generale dei tributi. Capacità contributiva vuol dire infatti capacità economica e l’articolo 53 riprende un tradizionale riferimento dei tributi a circostanze valutabili sul piano economico riconducibili in ultima analisi ai concetti di reddito, consumo, patrimonio. L’art. 53 della Costituzione si dirige al legislatore, e non ai singoli, che non devono reinterpretare il concetto di capacità economica, ma prenderlo come lo ha specificato il legislatore, con i suoi bilanciamenti, relativi ai singoli tributi, tra precisione, semplicità, certezza, sui quali torneremo più avanti in relazione alle varie forme di produzione e circolazione della capacità economica. Altre entrate pubbliche per espropriazioni, confische, sanzioni, bottini di guerra, spoliazioni di altri popoli, oppure compensi per l’uso di terre e risorse pubbliche, non riguardano la determinazione della capacità economica, ma la diretta acquisizione di un bene, la punizione di un illecito, la conseguenza patrimoniale di una vittoria di guerra3, della punizione di un individuo «bandito», o di una prestazione dietro corrispettivo, tutte accomunate dal rivolgersi a soggetti estranei alla comunità o dalla funzione di punire membri della comunità stessa, “caduti in disgrazia”. L’oggetto economico del diritto tributario non deriva dal fatto che i tributi vengano pagati con denaro o altre entità economicamente valutabili4, ma perché questo pagamento è commisurato prima di tutto ad una capacità economica « a monte». 3 Il saccheggio, il bottino di guerra, il riscatto dei prigionieri, che pure procuravano entrate a un certo gruppo sociale, gravavano su gruppi sociali “alieni” rispetto a quelli che ne beneficiavano. 4 Se fosse per questo, anche le sanzioni, o altre prestazioni pecuniarie, sarebbero pagate in questo modo. versione ottobre 2008 5 I tributi sono destinati ad enti pubblici, che agiscono in veste di autorità, e quindi hanno natura non sinallagmatica (non corrispettiva). Nei secoli passati l’attività amministrativa degli apparati pubblici era essenziale per acquisire il gettito: l’autorità politica di vertice indicava le manifestazioni economicamente rilevanti cui collegare i tributi, e quindi funzionari pubblici o loro incaricati quantificavano la ricchezza di specifici contribuenti e riscuotevano il tributo. Si trattava di una mera attività amministrativa, contro la quale solo in casi limite, di vessazioni o soprusi, potevano attivarsi gli strumenti di tutela generali esperibili, nelle varie società, contro gli abusi dei pubblici poteri. La situazione oggi è diversa, non tanto per l’avvento dello stato di diritto, dove pure le tutele contro gli abusi del fisco sono state ampliate e regolamentate, ma per il riferimento del tributo a manifestazioni economiche più precise e raffinate, determinate dagli stessi contribuenti in modo tendenzialmente «analitico-contabile». Oggi esiste una trama di rapporti economici “emersi” sufficiente ad affidare agli stessi contribuenti l’autodeterminazione delle imposte, riservando all’amministrazione funzioni di controllo selettivo e dissuasivo. Da una “amministrazione che agisce per riscuotere i tributi” si passa a un’amministrazione che controlla gli adempimenti dei privati, ne rileva l’omissione e applica sanzioni. Resta fermo, anche rispetto al passato, che l’amministrazione, come tutte le autorità pubbliche, procede attraverso atti unilaterali autoritativi, che eventualmente il singolo deve impugnare davanti al giudice. Rispetto al passato, però, si sono affermati doveri di imparzialità, trasparenza e collaborazione che devono comunque caratterizzare l’azione versione ottobre 2008 6 amministrativa, e che di recente sono stati proposti con forza dallo Statuto del contribuente: lo Statuto (L. 212/00) appartiene a quella categoria di disposizioni che, per la loro enfasi, vengono talvolta chiamate «leggi manifesto», con una espressione che non le sminuisce affatto, ma mette in risalto che la loro preoccupazione di affermare principi spesso ne ostacola la coerenza concettuale, l’applicabilità concreta, la flessibilità applicativa. Sta di fatto che l’apporto dello Statuto alla civilizzazione dei rapporti tra contribuenti e uffici fiscali è stato notevole: malgrado, infatti, esso denunci alcune carenze tecniche e rigidità inutili (che talvolta possono ritorcersi contro il contribuente)6, si tratta senz’altro di un segnale del clima di collaborazione che si è venuto a creare con il passaggio all’autodeterminazione del tributo da parte dello stesso contribuente. Con l’autodeterminazione, infatti, all’A.F. residua solo un potere deterrente di controllo, mentre il gettito arriva per lo più attraverso le grandi organizzazioni da cui (o come reddito o come consumo) transita la maggior parte della ricchezza7; dunque, non solo l’attività di controllo non è direttamente collegata all’afflusso delle risorse all’Erario, ma anzi sarebbe estremamente autolesionistico il comportamento di un fisco che fosse “sleale” nel corso di accessi, ispezioni e verifiche. Ciò perché il sistema dell’autodeterminazione, a ben vedere, si regge anche sul clima di fiducia e collaborazione reciproca tra Fisco e contribuenti; nel momento in cui lo Statuto venisse disatteso ed i contribuenti dovessero sentirsi “traditi”, costoro sarebbero irrimediabilmente indotti all’evasione, con conseguente perdita di gettito. 6 Ad es., la previsione secondo cui la verifica non può superare i trenta giorni di durata può essere mortificante per il contraddittorio tra verificatore e verificato, danneggiando in sostanza quest’ultimo. 7 Si può parlare in proposito di “grandi sostituti d’imposta” in senso atecnico. 8 Come verrebbe da dire guardando semplicisticamente al principio di capacità contributiva, e pensando che esso si dirigesse direttamente al contribuente. versione ottobre 2008 7 1.3. La diversa individuabilità e determinabilità della capacità economica Il dovere concreto di pagare le imposte non nasce in base alla mera titolarità di una qualche entità economicamente valutabile8, ma è necessario che il legislatore vi colleghi in concreto un'imposta. Le circostanze potenzialmente rilevanti sul piano economico sono però numerosissime, anche se tutte riportabili ai concetti di reddito, consumo e patrimonio. Il legislatore deve quindi assumere alcune di queste circostanze a presupposto economico del dovere giuridico di pagare il tributo. Il primo passaggio compiuto dal legislatore a tal fine è contemperare la precisione rispetto alla capacità economica con altri fattori, come la certezza9, la semplicità, la realizzabilità concreta del prelievo, la cautela contro evasioni e frodi, la praticabilità di affidabili controlli, etc.. Questa mediazione non avviene in astratto, ma in relazione alla diversa individuabilità e quantificabilità della capacità economica. Per questo alcune forme di capacità economica sono soggette a tassazione, e altre non lo sono, e – tra quelle soggette a tassazione - alcune sono determinate in modo analitico ed altre, secondo varie sfumature, in modo forfettario. Lasciare queste decisioni agli organi preposti all’applicazione del tributo provocherebbe troppa incertezza e confusione, e per questo, gli stati di una certa dimensione e complessità hanno sempre introdotto i tributi con atti legislativi o di rango corrispondente a quello delle attuali leggi, emanati cioè dall’autorità politica di vertice, come il monarca, l’assemblea dei nobili, dei 9 Sancire per legge tributi che nessuno paga, e che lo stato non ha modo di controllare, mortifica –oltre certi livelli- la stessa certezza del diritto e il prestigio della legge. versione ottobre 2008 10 scelti per determinare la capacità economica sono troppo sfasati rispetto alle sue modalità di circolazione, e ai suoi punti di emersione, la legge rischia di restare lettera morta, ovvero essere eccessivamente favorevole rispetto ad altre categorie di contribuenti, nei cui confronti la determinazione è più precisa. Quanto precede spiega, di fronte a ricchezze difficili da individuare e determinare, l’adozione di criteri d’imposizione forfettaria, come ad esempio il catasto. 2. Il controllo della Corte costituzionale sulle scelte di politica tributaria e la c.d. «discrezionalità legislativa» Spetta al legislatore contemperare i profili indicati al paragrafo precedente; la scelta legislativa se avere tributi “più semplici ma meno precisi”, oppure “più precisi ma più complessi”, dipende soprattutto dalle caratteristiche delle manifestazioni economiche sottostanti, cioè dalle modalità di produzione, circolazione ed “emersione” delle varie forme di ricchezza. Il primo obiettivo della legislazione in materia tributaria è quindi individuare quali forme di capacità economica tassare, e come questa capacità economica deve essere determinata giuridicamente, in modo da salvaguardare la ragionevolezza del tributo, una certa perequazione tra categorie di contribuenti, evitando distorsioni di mercato (neutralità), evitando facili evasioni (cautela fiscale), salvaguardando il gettito e lo sviluppo. Nella definizione legislativa (e quindi giuridica) della capacità economica, occorre bilanciare la precisione con la snellezza, la certezza, la semplicità, e tanti altri profili che influiscono sulle modalità di tassazione e che in gran parte dipendono da come si formano, circolano e vengono detenute le varie forme di ricchezza. versione ottobre 2008 11 A rigore, quindi, le considerazioni di gettito giungono in un secondo momento anche se si tratta di aspetti interdipendenti, in quanto la scelta di aliquote troppo elevate potrebbe innescare un’evasione, a fronte della quale i controlli, e persino le sanzioni, potrebbero essere insufficienti. Qualche volta le modalità di determinazione della capacità economica hanno riflessi sul gettito, in relazione alla difficoltà di controllare in concreto gli abusi, come ad esempio la deduzione come costi di produzione dei redditi di spese che in realtà hanno natura di consumo personale, ad esempio automobilistiche, telefoniche, di viaggio etc. Anche la determinazione dell’IVA col sistema della detrazione o dell’auto-fatturazione può avere importanti ricadute sul gettito in relazione al fenomeno delle c.d. frodi carosello. Anche i criteri per coordinare la tassazione dei soci con quella delle società, o per coordinare la tassazione in Italia e quella all’estero, pur essendo eminentemente concettuali hanno importanti ricadute sul gettito. C’è quindi una dialettica tra la fase di determinazione della capacità economica e la fase distinta e successiva della acquisizione del gettito. Una volta determinata la capacità economica, nulla vieta che il Fisco sia utilizzato come strumento di politica tributaria; è infatti del tutto fisiologica l'utilizzazione di aumenti o diminuzioni di tassazione per incentivare o disincentivare determinate attività, consumi o investimenti. Sono quindi in linea di principio legittime, anche alla luce del principio di capacità contributiva, le disposizioni tributarie che perseguono finalità di politica economica (o extrafiscali), come il sostegno a settori meritevoli di tutela o socialmente apprezzabili. Qui si esplica maggiormente la scelta politica del parlamento, nello scegliere le spese deducibili dal reddito complessivo in relazione ad aspetti della vita economica e sociale ritenuti meritevoli (acquisto versione ottobre 2008 12 di prime case, spese mediche ed altri profili che vengono dopo la determinazione della capacità economica). Le scelte legislative che precedono sono soggette ad un controllo di legittimità costituzionale, collegata al corretto esercizio di un potere politico ampiamente discrezionale (tanto è vero che si parla di discrezionalità politica del legislatore per sottolinearne la maggiore ampiezza rispetto alla discrezionalità amministrativa). La posizione del legislatore di fronte alla Costituzione è quindi caratterizzata da ampi margini di scelta politica: una scelta legislativa sarà infatti costituzionalmente illegittima, in relazione a principi come la capacità contributiva e l’uguaglianza, quando il legislatore sconfini in soluzioni irrazionali o contraddittorie, travalicando i confini della propria discrezionalità politica. Il bilanciamento di esigenze di gettito, di politica economica e sociale, di semplicità negli adempimenti, di praticabilità dei controlli può avvenire secondo moltissimi criteri, e soluzioni differenti possono essere tutte egualmente rispettose della Costituzione, in quanto nessuna di esse travalica le indicazioni che la Carta fondamentale fornisce al legislatore ordinario10. In diritto tributario valgono le regole ordinarie, secondo cui un giudice investe la Corte Costituzionale della questione di legittimità di una certa disposizione, la quale –se dichiarata incostituzionale- cessa di avere efficacia; la dichiarazione di incostituzionalità lascia però impregiudicate, in nome della stabilità delle vicende giuridiche, le situazioni ormai definite (c.d. rapporti esauriti), ad esempio per via di una sentenza passata in giudicato o per la mancata impugnazione degli atti dell'amministrazione (avvisi di accertamento 10 Se, ad esempio, come ritiene la maggior parte della dottrina, sono legittime imposte ordinarie sul patrimonio, ciò non vuol dire che sia incostituzionale un sistema in cui tali imposte mancano, o dove esistono, ma colpiscono solo alcune categorie di cespiti (vedasi Corte Cost. 22 aprile 1997 n. 111 in tema di Ici). versione ottobre 2008 15 Per questo, l’attribuzione “riservata” della materia fiscale all’organo politico di vertice ha prima di tutto una funzione organizzativa, ed è giustificata indipendentemente dalla forma di stato e di governo, sia democratico, sia autoritario o addirittura totalitario. Col passaggio dallo stato assoluto a quello democratico, l’autorità politica di vertice è rappresentata dalle assemblee legislative; l’art. 23 Cost. ribadisce il ruolo del Parlamento nella legislazione tributaria, stabilendo che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. Solo il parlamento assicura infatti la rappresentanza dei cittadini nel loro complesso e anche se il governo possiede la maggioranza in parlamento, le scelte parlamentari sono comunque più rappresentative di quelle governative. Questo filtro parlamentare viene esercitato su tutti gli “atti aventi forza di legge”, che come tali rispettano l’art. 23, cioè leggi in senso formale, decreti legge e decreti legislativi. La distinzione tra questi tre atti aventi forza di legge si basa sulle loro modalità di elaborazione. La legge in senso formale segue infatti l'ordinaria procedura parlamentare (disegno di legge, di iniziativa parlamentare o governativa, esame da parte delle commissioni14 passaggi in aula etc....). Nel decreto legislativo, emanato dal governo, l'intervento parlamentare avviene a monte, in quanto il parlamento approva una legge delega, che fissa principi e criteri direttivi (art. 76 Cost.), cui dovrà attenersi il decreto delegato, redatto dal governo. All'interno dei principi direttivi, fissati dal legislatore 14 Le decisioni del parlamento in materia tributaria, ancor più che in altri settori meno tecnici, avvengono di solito nel ristretto ambito delle commissioni parlamentari, mentre le assemblee plenarie si limitano in genere a ratificare le scelte delle commissioni (commissioni finanze e tesoro della Camera e del Senato). In materia fiscale è particolarmente evidente che “ il legislatore ” è una entità astratta e che una pluralità di persone diverse, che spesso neanche si conoscono tra loro, intervengono nei processi legislativi. versione ottobre 2008 16 delegante, il governo dispone di notevoli margini di scelta politica per concretizzare le indicazioni, spesso molto generali, contenute nella delega. Il decreto legge, emanato dall'esecutivo in casi di necessità e di urgenza, acquista forza di legge con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ma è destinato a perdere efficacia se non convertito in legge dal parlamento entro 60 giorni. In materia fiscale vi si ricorre soprattutto per impedire manovre speculative durante i lunghi tempi necessari per discutere le leggi in senso formale15. 4.1. La relatività della riserva di legge, le fonti normative secondarie e le ricadute sulla attività amministrativa in materia tributaria Al paragrafo precedente abbiamo individuato, alla base della riserva di legge in materia tributaria due esigenze, quella di organicità e certezza nell’individuazione della capacità economica e quella di controllo democratico parlamentare sulla ripartizione delle spese pubbliche. Il controllo del Parlamento sulla legislazione tributaria opera soprattutto sulle scelte politiche di fondo, che riguardano la distribuzione/redistribuzione, attraverso il fisco, di risorse tra le varie categorie sociali. Basti pensare a tutto quello che è politicamente caratterizzante sul piano della meritevolezza economico-sociale, al livello delle aliquote, alle deduzioni per carichi di famiglia, al regime della “prima casa”, alla scelta degli oneri deducibili. Il diritto e la politica non sono compartimenti stagni l’attuale regolamentazione in via legislativa di tanti aspetti puramente concettuali della legislazione tributaria di dettaglio comporta quindi un coinvolgimento 15 L'utilizzazione dei decreti legge è fisiologica per introdurre nuove imposte su prodotti di largo consumo, come i derivati del petrolio. L'immediata entrata in vigore del decreto legge impedisce gli accaparramenti che altrimenti potrebbero verificarsi nei lunghi tempi di approvazione di una legge ordinaria. versione ottobre 2008 17 parlamentare su aspetti sostanzialmente irrilevanti per le assemblee legislative, e che in realtà vengono disciplinati quasi del tutto dal Ministero dell’Economia, con trascurabili modifiche in sede parlamentare. Il controllo del Parlamento sulla legislazione tributaria opera soprattutto sulle scelte politiche di fondo: l’attuale regolamentazione in via legislativa di tanti aspetti puramente concettuali della legislazione tributaria di dettaglio comporta quindi un coinvolgimento parlamentare su aspetti sostanzialmente irrilevanti per le assemblee legislative, e che in realtà vengono disciplinati quasi del tutto dal Ministero dell’Economia, con trascurabili modifiche in sede parlamentare. Il controllo parlamentare si giustifica per le grandi scelte di politica tributaria, ma puo’ essere dispersivo se si tratta dei numerosi aspetti di dettaglio necessari alla specificazione della ricchezza, alla regolamentazione della fiscalità specialistica, e ad altri aspetti politicamente neutri dell’applicazione dei tributi. La riserva di legge prevista dall’art. 23 della Costituzione è quindi una “riserva relativa”, contrapposta alle “riserve assolute”, dove l'intera disciplina va stabilita dalla legge: si ritiene perciò che il requisito della “imposizione in base alla legge” di una prestazione patrimoniale sia soddisfatto quando la legge determina sufficientemente i soggetti passivi, il presupposto dell'imposta16, i principali criteri per la determinazione dell'imponibile, i criteri per passare dall'imponibile all'imposta, di solito basati su un'aliquota o una fascia di aliquote, e infine le sanzioni. Ne discende che sarebbe incostituzionale, per violazione dell'art. 23, una legge che non predeterminasse i suddetti elementi . 16 Per “presupposto dell'imposta”, si intende la manifestazione di capacità contributiva (cioè di ricchezza) cui si ricollega il prelievo. versione ottobre 2008 20 costituzionale21; ne consegue che le sue previsioni, ad esempio quelle sulla necessità di deroga espressa alle norme contenute nello Statuto stesso, possono formalmente essere disattese da qualsiasi successiva legge ordinaria. Ciononostante, lo Statuto si sta dimostrando, per la sua organicità e — se si vuole — per la sua solennità, un riferimento interpretativo importante nella prassi amministrativa e giurisprudenziale. Osserviamo come lo statuto confermi quella collocazione pubblicistica del diritto tributario che si è più volte sostenuta: fare appello alla correttezza e alla trasparenza nell'esercizio dei poteri autoritativi è una riprova dell'assetto strutturalmente amministrativistico del diritto tributario. Uno dei maggiori inconvenienti del diritto tributario, rilevato in modo unanime dalla dottrina, è la mancanza di un “codice tributario”, cioè di un corpus legislativo che regoli in modo generale ed organico l'operato degli uffici fiscali, l'esercizio dei relativi poteri, i diritti dei contribuenti, il regime delle prove, le vicende del debito d'imposta, etc.; tali aspetti sono di solito regolati in modo frammentario all'interno di singoli tributi, o nel migliore dei casi in discipline riguardanti un gruppo di tributi, come avviene per le imposte sui redditi. La mancanza di un “codice” non deriva tanto da inerzia legislativa, ma dalla carenza di modelli interpretativi generalmente riconosciuti sui numerosi aspetti sotto cui si presentano le funzioni del legislatore, delle amministrazioni pubbliche, degli stessi contribuenti e dei giudici. Il migliore contributo a un codice non è l’invocazione al legislatore, perché lo faccia cadere dall’alto come la manna dal cielo, ma passa per la costruzione di una sensibilità diffusa, ed è 21 Sul piano formale, infatti, l’efficacia che lo Statuto del contribuente si autoattribuisce, affermando che le proprie disposizioni possono essere derogate solo in modo esplicito da leggi successive, non ha supporti tecnici, visto che lo Statuto non è una legge costituzionale. La ragione di questo mancato rango costituzionale della legge in esame va ricercata nella lunghezza dei tempi di approvazione delle leggi costituzionali. versione ottobre 2008 21 preferibile farne a meno, se deve trattarsi di un testo improvvisato, dovuto alla generica volontà politica di qualche ministro. Accenniamo infine ad altre disposizioni costituzionali che si occupano di tributi. L'articolo 75 della Costituzione vieta il referendum abrogativo in materia tributaria. Alla base di tale divieto c'è il timore di referendum demagogici, che suggestionerebbero l'elettorato con la promessa di riduzione delle imposte. Il divieto, sancito dall'articolo 81 della Costituzione, di introdurre nuovi tributi con la legge di approvazione del bilancio statale viene di solito aggirato approvando tale legge subito dopo alcune leggi di accompagnamento alla manovra annuale di bilancio, come la c.d. “ legge finanziaria ”. 6. Le leggi regionali e quelle statali in materia di tributi locali La potestà normativa tributaria è di fatto esercitata in misura prevalente dallo Stato, ma alcuni aspetti della normativa tributaria sono disciplinati anche dagli enti locali, e negli ultimi anni le disposizioni costituzionali hanno molto allargato le potestà (teoriche) degli enti territoriali in materia. Le Regioni hanno potestà legislativa in materia tributaria, riconosciuta a partire dalle riforme costituzionali del 200022, ed oggi ribadita dall’art. 117 della Costituzione, che riserva allo Stato la legislazione in materia di “sistema tributario e contabile dello Stato”, e poi considera “materia di legislazione concorrente” quella relativa al coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. La sintesi è che i principi del sistema tributario devono 22 Il vecchio testo dell'art. 119 della Costituzione, secondo cui tali enti “ hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti dalle leggi della repubblica ” e secondo cui alle regioni “ sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali ” non aveva dato luogo all’attribuzione alle regioni di apprezzabili tributi , salvo quelli in materia di concessioni regionali e di occupazioni di spazi e aree pubbliche. versione ottobre 2008 22 discendere dalla legge statale, mentre le leggi regionali possono svolgere una funzione di coordinamento della finanza regionale e locale. Gli altri enti locali, non dotati costituzionalmente di potestà legislativa, cioè comuni e province, possono esercitare una sfera di autonomia teoricamente abbastanza ampia, secondo il nuovo articolo 119, negli spazi loro riservati dalle imposte locali, introdotte con legge statale o regionale. Al di là delle prerogative loro riservate dalla costituzione, gli enti locali sono restii ad introdurre tributi in via autonoma, ed il rafforzamento del sistema dei tributi locali è in concreto avvenuto in base a leggi statali. Persino l'Irap e l’ICI sono state introdotte con leggi statali. Nel quadro appena descritto i comuni, le province e le stesse regioni gestiscono numerosi tributi locali, introdotti con leggi statali. Il principale elemento che gli enti locali possono utilizzare per avere margini di autonomia nella propria politica fiscale è senza dubbio l'aliquota, che consente margini di autogoverno nel decidere in quale misura avere più spese, con oneri fiscali più gravosi, oppure meno oneri fiscali contenendo la spese23. Le piccole strutture degli enti locali sono infatti in grado di gestire esclusivamente forme di capacità economica facilmente individuabili e fortemente collegate al territorio, come gli immobili. Un modo di conciliare l'autogoverno fiscale con la snellezza procedurale, sta nell'utilizzazione di addizionali locali alle imposte statali, che si sta diffondendo negli ultimi anni. 23 L'esempio più noto è quello dell'ICI, introdotta con legge statale con la possibilità dei comuni di determinarne l'aliquota. Altri atti dell'ente locale sono invece meno caratterizzati politicamente, come quelli che fissano le modalità di dichiarazione o di versamento. versione ottobre 2008 25 E’ ormai affermato, dalla giurisprudenza interna e comunitaria, l’obbligo del giudice nazionale di disapplicare il diritto interno in contrasto con le suddette disposizioni comunitarie. Ove non sia chiaro se questo contrasto sussista, il giudice nazionale dovrà trasmettere gli atti del processo alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, che si pronuncerà in proposito. Le convenzioni internazionali in materia tributaria (esempio tipico quelle destinate ad evitare le doppie imposizioni sui redditi) non comportano alcuna eccezione all'attribuzione allo Stato della potestà normativa tributaria, in quanto l'efficacia nel nostro ordinamento di tali convenzioni si fonda su un provvedimento legislativo di ratifica, non distinguendosi quindi dagli altri atti aventi forza di legge. La prevalenza delle disposizioni convenzionali sulle regole impositive ordinarie si basa quindi sul principio di specialità, per il carattere derogatorio assunto da tali atti rispetto alla disciplina generale. 8. Le circolari dell'Amministrazione finanziaria. Le circolari e le risoluzioni dell’amministrazione finanziaria non hanno invece valore di “fonte del diritto”, ma rappresentano una interpretazione, per quanto autorevole ed assai importante, per via del principio gerarchico, all’interno dell’amministrazione finanziaria. Gli uffici devono, infatti, attenersi, nell’interpretazione delle disposizioni legislative e regolamentari, alle indicazioni provenienti dal vertice della loro struttura. Nella fiscalità basata sull’autotassazione e quindi sull’iniziativa dei contribuenti, l’amministrazione finanziaria è fortemente impegnata a fornire chiarimenti interpretativi, su cui i contribuenti possano fare affidamento ai fini degli adempimenti cui sono chiamati. versione ottobre 2008 26 Queste interpretazioni, provenienti di solito da uffici centrali dell'amministrazione finanziaria (Agenzia delle Entrate), sono contenute in atti di vario tipo, come istruzioni ai modelli di dichiarazione, circolari e risoluzioni, anche emesse in risposta agli “interpelli” di cui diremo più avanti. Le circolari hanno la funzione di commentare in generale una certa normativa, le risoluzioni sono risposte riguardanti questioni interpretative specifiche, ma la rilevanza giuridica è grosso modo la medesima. Le interpretazioni suddette giovano al contribuente, se positive, ma non gli nuociono se negative, in quanto, come già rilevato, esse non sono vincolanti all'esterno dell’amministrazione fiscale, ed i giudici possono disattenderle. Gli uffici finanziari, sottoposti per subordinazione gerarchica all'interpretazione dei superiori, devono invece attenervisi, rispettando il legittimo affidamento che i contribuenti hanno fatto su di esse. Quando l'interpretazione ministeriale è favorevole al contribuente, l’ufficio non può disattenderla, e potrebbe solo considerarla non pertinente al caso esaminato, riferendola a situazioni diverse. Il contribuente non è invece vincolato dalle interpretazioni amministrative a lui sfavorevoli, e può confidare nel giudizio imparziale delle commissioni tributarie, ovviamente non subordinate gerarchicamente all’autorità fiscale. Può quindi essere controproducente, nel sostenere in contenzioso una certa tesi, cercare di rafforzarla facendo riferimento all’interpretazione dell’amministrazione finanziaria centrale; questi riferimenti rischiano, infatti, di infastidire i giudici, che sono organi indipendenti, estranei alla struttura gerarchica dell’Agenzia. versione ottobre 2008 27 Talvolta l’autorità fiscale riesamina precedenti interpretazioni, e le modifica a danno dei contribuenti26, nel qual caso si pone il problema delle dichiarazioni già presentate, ma ancora soggette a rettifica, in cui il contribuente si era attenuto alla circolare poi revocata. Trattandosi di interpretazioni, e non di disposizioni legislative, la nuova soluzione sarebbe teoricamente applicabile anche per il passato, con la prospettiva di accertamenti di maggiori imposte e relativi accessori. In tale ipotesi l'ufficio non deve peraltro infliggere sanzioni amministrative, sia per elementari principi in tema di correttezza dell'azione amministrativa, tutela dell'affidamento e rispetto della buona fede che caratterizzava il contribuente, sia per esplicite disposizioni legislative. L'art. 10 comma 2 del c.d. statuto del contribuente vieta all'amministrazione, in queste ipotesi, di infliggere sanzioni amministrative, ed alla stessa conclusione si giunge in base all'art. 6 del d.lgs. 472-1997 sulla inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettiva incertezza sull'interpretazione della norma tributaria 27. In definitiva, per non incrinare il principio di correttezza nei rapporti col contribuente, la soluzione più ragionevole è quella di recuperare l'imposta 28, ma non le sanzioni. 26 Anche l’amministrazione fiscale potrebbe emanare una nuova interpretazione, che non rettifica la precedente, ma ne dà una lettura più ristretta di quella che le avevano attribuito i contribuenti. In questo caso il ministero non corregge la sua precedente interpretazione, ma afferma che i commentatori ne avevano travisato il significato. 27 Una modifica interpretativa dell'amministrazione finanziaria è sufficiente perché una questione possa considerarsi obiettivamente incerta. Analoghe disposizioni esistevano anche in passato, ma si dirigevano agli organi del contenzioso tributario. Questo era sufficiente perché il ministero delle finanze, con scelta molto formalistica e poco coraggiosa, evitasse di applicare tale esimente in prima persona. 28 Allo stato attuale della legislazione, nonostante gli spunti che potrebbero trarsi dall'art. 11 comma 2 della legge n. 212-2000, (statuto del contribuente) appare piuttosto debole la tesi secondo cui l'amministrazione dovrebbe astenersi anche dal recuperare l'imposta; l’inapplicabilità dell’imposta riguarda esclusivamente i soggetti destinatari di uno specifico “interpello” dell’amministrazione finanziaria, che possono beneficiare dei relativi effetti fino a che il medesimo non viene revocato.
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