Scarica DIRITTO INTERNAZIONALE PANEBIANCO (1) e più Appunti in PDF di Diritto Internazionale Pubblico solo su Docsity! DIRITTO INTERNAZIONALE INTRODUZIONE Il diritto internazionale ha tre anime: ordinamentale (insieme di norme, decisioni, prassi e istituzioni), positivistica (insieme di istituti propri e peculiari) e realistica (insieme di relazioni della vita internazionale). Tale analisi non trova ampio spazio però nella trattazione manualistica italiana, che tralascia l'anima ordinamentale perchè troppo rigida e quella realistica in quanto relegata al contenuto proprio delle norme. Con le sue tre dimensioni universale, regionale e interstatuale, l'ordinamento internazionale è, fin da tempi antichi, particolarmente complesso. Diviene obbligatorio cercare, tra le varie tendenze, un equilibrio fra internazionalismo dei valori e internazionalismo particolaristico, che si concreti in un primato dei principi generali dell'ordinamento complessivo su quelli degli ordinamenti particolari o settoriali. La manualistica italiana parte dal XIII secolo con opere sul diritto della guerra e della pace per giungere, con Westphalia, all'importante riconoscimento del principio di nazionalità come fondamento di ius gentium. Solo nel secolo scorso, con la cd. Scuola Romana, si può parlare dell'ancoraggio a un giuspositivismo statualistico, fondando il diritto internazionale sulla volontà espressa dagli Stati. Dalla Scuola romana si sono poi creati vari filoni: la Scuola romano-milanese, focalizzata sul positivismo istituzionistico e spontaneistico, e quella Romano-napoletana, fondata sull'analisi anche psicologica della prassi giuridica internazionale. Prende oggi soprattutto piede la forma del manuale post-normativistico o decisionistico, basato sull'analisi dei "casi" giurisprudenziali. Ciò è frutto dell'influenza della scuola delle relazioni internazionali, peraltro recepita anche dalla dottrina-angola americana, fatti salvi principi generali ritenuti irriducibili. Il presente manuale compara la dottrina italiana con quelle europee ed extra-europee, nel contesto di un diritto internazionale in rapida evoluzione con un'esaltazione delle Organizzazioni e del recente allargamento a Stati ex-coloniali ed ex-socialisti del processo di autodeterminazione, che porta a un neo- statualismo che riconosce indipendenza e uguaglianza dei soggetti e a una esaltazione e ripensamento del diritto internazionale. CAPITOLO PRIMO: VALORI FONDAMENTALI Diritto internazionale Il diritto internazionale è la più alta espressione di diritto pubblico, poichè si occupa di creare una grande comunità politica che si riconosce nel perseguimento di finalità essenziali. Si tratta di un diritto di sistema o di scenario, riferibile sia a regole giuridiche che a relazioni internazionali, nel quale operano come soggetti giuridici gli Stati in condizioni di parità. I valori che l'ordinamento persegue sono il nucleo essenziale di una società giusta, pacifica e non violenta, cioè scopi civili, economici e sociali (pace, diritti umani, solidarietà) che i diversi ordinamenti Statali non sarebbero in grado di gestire autonomamente in modo efficiente per l'intera comunità. Oggi il termine diritto internazionale si riferisce indifferentemente alle tre dimensioni che attualmente lo compongono (Comunità, Organizzazioni ed Integrazioni internazionali). E' usato in tutto il mondo con traduzioni identiche o equivalenti, con l'uso promiscuo di specificazioni interne, ed è figlio di quello ius gentium divenuto in epoca moderna diritto internazionale delle genti. Diritto della Comunità, dell'Organizzazione e dell'Integrazione internazionale L'ordinamento internazionale odierno si presenta come un multi-sistema e multi-ordinamento composto da tre livelli: Comunità (inter-statuale, tra Stati), Organizzazione (sovra-Statuale, al di sopra degli Stati) e Integrazione (infra-statuale, sotto lo Stato). Ciò deriva dal dato storico delle diverse fasi di sviluppo delle comunità nello spazio e nel tempo (si pensi al diritto internazionale medievale, nei livelli inter-imperiale e inter-statuale) e rappresenta l'allargamento della sfera giuridica internazionale a discapito di quella interna. Di conseguenza, il diritto internazionale si riferisce agli Stati in un duplice senso: come Stati-soivrani, titolari di un apparato di governo (vita interstatuale) e come Stati-comunità, vita privata internazionale di persone in forma individuale o associata (vita interindividuale). Tale doppia accezzione è fatta propria anche dalla nostra Costituzione. Il diritto internazionale si riferisce sempre alle comunità nazionali in via mediata, come sottoposte alle autorità Statali, a differenza del diritto delle Organizzazioni internazionali, proprio delle attività multi-stautali delle stesse, all'interno delle quali l'attività dei singoli assume un rilievo uti universi, ma la cui disciplina è comunque posta sotto controllo Statuale. Diritto internazionale universale-globale Con tale termine si definisce la costruzione unica o monistica dell'intero ordinamento, fenomeno che va inteso 1 come fondamentale di fronte al persistere di tradizioni regionali e concezioni particolari. La vita internazionale si diversifica in tre segmenti: relazioni interstatuali multilaterali (tra Stati), relazioni sovrastatuali fra enti e unioni collettive o organizzate (tra Organizzazioni) e relazioni transnazionali (tra soggetti pubblici e privati che integrano o sostituiscono gli altri perchè operanti con funzioni trasversali, sussidiarie o strumentali rispetto a Stati e Organizzazioni: si pensi ai partiti politici transnazonali). Resta a tutti e tre i livelli sancito il ruolo fondamentale degli Stati, dei quali le Organizzazioni restano un instrumentum regni. Risultano da tali premesse tre livelli normativi in posizione vertiale, coesi e coerenti (Stati e Organizzazioni esprimono una legislazione eteronoma e vincolante nei confronti degli individui, i soggetti privati transnazionali sono invece portatori di un potere trasversale). Eventuali incompatibilità e incoerenze fra i soggetti protagonisti hanno in passato portato al recupero da parte dei soggetti Statali delle funzioni dismesse. Diritto internazionale universale-decentrato Secondo una formula meno attuale, possono essere presenti ordinamenti parziali e decentrati del diritto internazionale. Il decentramento non può sussistere senza autorità rappresentative dell'unanimità o istanze maggioritarie di Stati o gruppi di Stati. La civitas maxima si scompone infatti in una pluralità di soggetti, detti civitates gentium, che si riconoscono in quel nucleo fondamentale di valori internazionali. Operazioni di decentramento avvennero soprattutto nel passato, quando centralizzazione e decentralizzazione venivano indicate coi termini diritto naturale e diritto delle genti, in particolare con l'estensione progressiva del diritto internazionale europeo al continente Americano e a quello Africano, sulla base di una libera e spontanea recezione che ha portato a identificarlo come diritto internazionale tout-court, con una spinta alla centralizzazione speculare a quella odierna, dove il decentramento conduce a una articolazione del diritto internazionale su basi di autonomia. Diritto internazionale particolare-pluralistico Non bissogna però dimenticare che fondamento e scopo del diritto internazionale rimane il pluralismo dei soggetti Statali, suoi soggetti primari ed essenziali, che agiscono come ordinatori della vita internazionale e partecipano alla formazione del suo diritto. In base a tale principio, unitamente a quello di autodeterminazione, esistono norme che sono espressione della sola volontà di alcuni Stati o regioni di Stati e che quindi incidono su una sfera circoscritta di rapporti. Le diversità sono di fatto prevalenti sia per quanto riguarda la società internazionale pubblica o degli Stati che quella internazionale privata o degli individui. Tale dualismo è espresso anche nel linguaggio giuridico internazionale, nel cui ambito gli accordi internazionali concernenti aspetti politici sono definiti trattati regolatori mentre quelli concernenti i diritti umani sono detti Convenzioni. Il dualismo (portata giuridica geneale/particolare) del sistema giuridico internazionale viene recepito anche dalla nostra Costituzione. Ciò sancisce il particolarismo del sistema internazionale e l'autonomia normativa dei soggetti statali, che resiste ai tentativi di de-statualizzare o de-sovranizzare la vita pubblica internazionale, processi permessi solo in limitati casi di emergenza internazionale. Diritto internazionale pubblico e Diritto pubblico internazionale Con il temine Diritto pubblico internazionale ci si riferisce a quel diritto di origine interna agli ordinamenti Statali concernente la materia internazionale. E' un ambito distinto e correlato al Diritto internazionale pubblico, anche se in entrambi i casi si manifesta la partecipazione degli Stati alla vita internazionale. Col termine equivalente di Diritto statuale in materia internazionale ci si riferisce a questo complesso normativo fondato sul diritto costituzionale in materia di relazioni pubbliche internazionali, diritto in materia penale o processuale concernente i rapporti con le autorità giurisdizionali straniere e i reati commessi all'estero, legislazione amministrativa, finanziaria e tributaria in materia di collaborazione con autorità estere e altri corpi specializzati e la legislazione concernente l'integrazione Europea. Con l'esprezzione di Diritto statuale esterno ci si riferisce in particolar modo alle norme che disciplinano l'inserimento dello Stato nei contesti di relazione internazionale attraverso organi di rappresentanza (potere di partecipazione orizzontale) e attraverso la partecipazione alle Organizzazioni di cui fa parte (potere di partecipazione verticale), nonchè alle norme interne di applicazione e attuazione di norme internazionali. Con la riforma del Titolo V della Costituzione, rilevano per il diritto pubblico internazionale anche gli enti locali, in base al principio del cd. multilevel. Oggi appare consolidato anche il cd. diritto interno in materia comunitaria, concernente le leggi interne di attuazione o applicazione delle norme comunitarie, veri e propri atti paralleli a quelli comunitari. Altre norme sui rapporti internazionali dello Stato sono inoltre quelle costituzionali ad hoc e atti del Parlamento in occasioni di dibattito sulle leggi di autorizzazione dei Trattati dell'UE. Inoltre rileva anche il cd. Diritto processuale internazionale sui rapporti fra giurisdizioni civili, commerciali, amministrative, penali e tributarie, definito restrittivamente Diritto internazionale privato. . Diritto internazionale dei Privati destatualizzato e comunitarizzato 2 Si ha così una combinazione fra esercizio dell'autonomia normativa e autotutela individuale e collettiva. Infine, come espressione dei procedimenti normativo-decisionali, si constata la finalità aggregativa di gruppi di Stati in funzione della loro capacità rappresentativo-istituzionale (Grandi Potenze in seno al Consiglio ONU, G8). Prassi Per prassi internazionale si intende il comportamento singolo o collettivo statale di partecipazione alla formazione, all'esecuzione e all'accertamento delle norme internazionali. Per prassi delle relazioni giuridiche internazionali ci si riferisce alla serie di atti e comportamenti quantitativamente verificabili, precedenti e successivi alla nascita delle norme di diritto internazionale, cioè all'azione politica degli Stati nell'attivare il processo legislativo e all'attuazione delle norme internazionali. In tal modo, il diritto internazionale rileva nel suo dinamico e concreto modo di essere, e oggi la dottrina è concorde nel ritenere che sia indispensabile valutare insieme diritto e relazioni internazionali, dando rilevanza alla base sociale-istituzionale delle regole giuridiche e dei relativi procedimenti di formazione e di tutela. Per studiare la prassi si usano i medoti di analisi determinati comparazione e casistica. Si parla di macro-prassi come studio di aree geografiche comuni a gruppi di Stati e di micro-prassi come analisi di singoli fattori grazie ai quali le norme giuridiche nascono o si modificano. Si studia insomma la prassi invece delle fonti per comprendere come essa incida sulla nascita, mutamento ed esecuzione delle norme. Prassi statuale comparata La prassi costituzionale concerne i vari aspetti organizzativi, procedurali e decisionali delle relazioni esterne. Oggi, si è avuto un ampliamento notevole delle competenze internazionali degli organi statali, per cui la struttura costituzionale interna ha subito un riordinamento e un'internazionalizzazione in forza della quale risulta compressa nelle sue funzioni ma espansa per il suo irradiarsi nella vita internazionale, e ciò porta spesso a conflitti tra obblighi interni ed internazionali. Nella funzione legislativa del parlamento si sono moltiplicati gli atti a vocazione internazionale, così come pure nei decreti legislativi (tipici l'allestimento di testi unici) e decreti legge (per fronteggiare situazioni di urgenza internazionale) del governo. Anche la funzione amministrativa ha compito di indirizzo e coordinamento nei settori internazionali, e talune potestà legislative in merito spettano agli enti locali; nei conflitti di attribuzione hanno competenza escolusiva gli organi giurisdizionali nazionali. Prospicua rilevanza ha il diritto comunitario comparato quale strumento di analisi per lo studio del diritto dei gruppi di Stati organizzati e non: si dinstinguono nell'analisi regimi politici, economici e democratici diversi nell'esaltazione dell'autonomia e del pluralismo. La teoria internazional-comparativistica trova una prima applicazione nei settori del diritto internazionale e delle Organizzazioni sovranazionali e comunitarie, grazie anche allo sviluppo degli istituti di ricerca interni. La comparazione ha portato spesso ad acquisire il consenso internazionale o a marcarne il dissenso, esaltando il ruolo giuridico del sistema europeo perchè dotato di una certa capacità di imporsi come effettivo e capace di creare "international consensus", valutando l'atteggiamento di Stati extra-europei ai fini della manifestazione del dissenso e di permanente prassi divergente (persistent objector). Invece, la teoria comparativistica dovrebbe impegnarsi nel riconoscimento che esistono "altri diritti internazionali" tutti ugualmente validi. Operatori dell'Opinio iuris Nella prassi costituzionale, gli operatori pubblici mantengono comportamenti motivati da una opinio iuris intesa come coscienza o convinzione della sussistente legalità: sono essi stessi indici rivelatori dell'opinio iurs internazionale. La convinzione si forma attraverso l'azione di leaders (parlamenti, capi di stato o di governo ritenuti espressione dell'opinione di un Paese in sedi ufficiali), opinion leaders (rappresentanti istituzionali dell'opinione pubblica di un paese) e legal advisers (consiglieri giuridici inseriti all'interno dei vari organi come consiglieri diplomatici). La teoria prassistica ha collocatto l'indagine scientifica sul piano della ricostruzione dell'opinione giuridica espressa dagli operatori professionali. A tal proposito, è da notare come sia il ruolo dei consiglieri giuridici (dei Ministeri degli Affari esteri o delle corrispondenti figure all'interno delle organizzazioni) a determinare l'opinio iuris individuale e collettiva, come accaduto ad esempio per quanto riguarda la legalità nel conflitto armato in territorio iracheno. Status degli individui Nello status internazionale degli individui, in base a un auto-ordinamento integrativo sussidiario rispetto a quello nazionale, i livelli di protezione interni risultano integrati da livelli di maggiore o ampia protezione internazionale. Ciò avviene nel segno della cd. re-internazionalizzazione dei diritti umani, scomparsa con la nascita degli Stati moderni ed espressa attraverso le convenzioni internazionali universali o regionali, che configurano un secondo livello normativo suffragato dall'opera di controllo investigativo e giudiziario di organi indipendenti (giurisdizione internazionale dei diritti umani). In sintesi, i grandi valori della vita internazionale risultano protetti da soggetti 5 non Statuali privati che integrano o concorrono quelli pubblici. Si consolidano così i diritti civili, economici e sociali ma soprattutto quelli politici come diritti fondamentali di cittadinanza. A questi si integrano violazioni civili e penali lesive di interessi di gruppi internazionalmente protetti: nasce così il diritto internazionale penale e della giurisdizione internazionale penale per la repressione dei crimini commessi in tempo di gerra o di pace attraverso tribunali ad hoc. Diritto internazionale e Diritto statale I rappori tra i due diritti sono governati da regole appartenenti ai due sistemi in senso universalismo monistico (primato del primo sul secondo) e dualistico (separazione dei due sistemi). Dall'esperienza storica si ricava che il primo senso è molto "debole", così si è pensato di riformare i rapporti fra i due sistemi trasfondendo forme di Stato e di Governo interne alla realtà internazionale (in modo da rafforzarla, attraverso la nascita di Organizzazioni e unioni di Stati), il che ha portato a privilegiare valori come il rispetto dei diritti umani che garantiscano l'omogeneità della comunità internazionale. Oggi il monismo di cui prima si è dunque trasformato in una pluralità di centri di governo della Comunità internazionale attraverso i quali si esprime nel senso di un federalismo internazionale (ONU, Società delle nazioni, Organizzazioni di tipo comunitario e il sempre più importante ruolo delle cd. pseudo-organizzazioni). In senso dualistico, il pluralismo della Comunità si esprime attraverso la nascita di ordinamenti particolari interposti fra quello generale e quelli Statali. Di dualismo si può parlare anche in funzione del fatto che le Organizzazioni internazionali pubbliche si contendono con i soggetti internazionali privati il governo della realtà internazionale attuale, nella quale entrrambi sono indispensabili. Adattamento e "dis-adattamento" rispetto al diritto internazionale: Costituzione, Legge e Sentenza L'adattamento è una funzione del diritto statuale che gli consente di conformarsi alle norme di diritto internazionale, appartenenti ad un altro ordinamento. Può essere riproduttivo (riprodurre fedelmente la norma internazionale) o interattivo (in funzione dell'incompletezza delle disposizioni originarie). Il criterio di coordinamento si trova nella specialità della procedura. L'adattamento compensativo rispetto a norme generali e consuetudinarie può essere garantito solo da Organizzazioni internazionali. Il non adattamento al diritto internazionale è frutto di difficoltà interpretative o applicative e può derivare da conflitti normativi ovvero da contrasti, antinomie o incompatibilità fra norme. Può concernere qualsiasi elemento: durata nel tempo, contenuto, forza cogente o permissiva. Si apre intorno ad essi una procedura contenziosa, con la regola del previo esaurimento dei mezzi interni di ricorso rispetto a quelli internazionali. Il mancato adattamento si configura come una illegalità e comporta responsabilità internazionale. L'adattamento può essere costituzionale, legislativo, governativo-amministrativo e giurisdizionale. CAPITOLO TERZO: ISTITUZIONI INTERNAZIONALI CLASSICHE E CONTEMPORANEE Istituzioni del Diritto internazionale classico Il diritto internazionale classico si esprime attraverso fonti consensualistiche (trattati e consuetudini) e strutture complementari (accordi extra-pattizi ed extra-consuetudinari). L'uso generalizzato di trattati e consuetudini ha consentito la nascita ed il consolidamento di istituzioni internazionali. L'autonomia degli Stati assume una funzione ordinatrice mediante l'espressione di una volontà. La Comunità assume una Costituzione a base volontaria basata sulla sovranità, l'eguaglianza e l'indipendenza dei suoi soggetti. La volontà degli Stati può esprimersi anche in forma Organizzata ed Integrata. La creazione della Comunità internazionale come la conosciamo oggi è frutto della pace di Westphalia (1648) Il modello europeo si occupò a quei tempi di giuridicizzare l'uso regolato del conflitto mediante il riconoscimento di forme di autonomia. Il decentramento del sistema europeo, allargatosi successivamente a tutto il mondo, non è stato impositivo, ma frutto di una ricezione spontanea delle regole europee frammiste a quelle proprio delle varie regioni mondiali e si è protratto fino al XX secolo con la cd. decolonizzazione e democratizzazione. Dopo il 1989 si è assistito alla permanenza del regime generale coesistente con regimi giuridici particolari (es: reti di accordi sulla soluzione di conflitti artmati). Teoria delle fonti normative La prime scuole di dottrina internazionalistica sono quelle classiche groziana e post-groziane: queste ultime si sono articolate in una corrente giusnaturalista e giuspositivista. Con riguardo alla prima, secondo la quale l'ordinamento internazionale è fondato sulla ragione e regolato dall'esercizio delle volontà statali, la teoria della volontà comune agli Stati ne configura quattro livelli: volontà normativa o istituzionale (espressa dall'intera società come volontà di tutti o della maggior parte, che in forza di ciò si estende anche alle minoranze), volontà comune o collettiva (manifestazione dell'auto-disciplina collettiva di Stati), volontà di auto-limitazione (ciascuno Stato limita il proprio potere con accordi e consuetudini) e volontà di auto-determinazione (ciascun soggetto sovrano si costituisce come tale). Le scuole giuspositivistiche si occupano invece di legittimare il sistema 6 internazionale in base alla presenza di soggetti sovrani e di correlate potestà.Si articola in tre filoni: positivismo diplomatico (studio del diritto degli Stati a stipulare Trattati), positivismo istituzionale (studio dei trattati e delle leggi come espressione della volontà Statale) e positivismo organizzato (ordinamento complessivo in senso monistico organizzato mediante proprie istituzioni: questa tendenza è alla base del sistema universale regionale contemporaneo caratterizzato da Organizzazioni Internazionali). Queste scuole furono fondamentali per la moderna teoria delle fonti normative; quella giusnaturalistica definiva il trattato come espressione della natura sovrana, pluralistica e paritaria della Comunità internazionale: i diritti Statali e religiosi, in una prospettiva pluralistica, perdevano il primato sull'ordinamento internazionale derivato dal diritto naturale. Ciò apriva la strada alla visione europea della coesistenza interstatuale, in un nuovo ordine internazionale democratico e paritario. Di immensa importanza sono le raccolte generali dei trattati internazionali dell'epoca classica perchè documentano le fonti grazie alle quali il diritto internazionale classico si è formato, senza vincoli con le Sfere di azione degli Stati (a differenza delle raccolte Statali) ma vincolate a cronologie pre-determinate di continuità temporale e quindi fonte di neutralità. Le raccolte generali di Trattati a carattere universale e addirittura pontificio fioriscono a partire dal XVIII secolo. Raccolte generali di Trattati (1648 – 1918) Le raccolte storiche dei trattati dell'epoca classica sono due: il "Corps universel diplomatique du droit des gens" di Jean Dumont (1726-31), comprendente documenti rilevanti per il diritto internazionale e quello "esterno" degli Stati, e il "Recueil des principaux traites d'alliance de pax, de treve, de neutralitè, de commerce, de limites, d'echange" del De Martens (1791), raccolta di trattati delimitati in senso giuridicamente più rigoroso. L'opera del Dumont è una raccolta organica e sistematica di atti aventi natura diplomatica, a portata universale in quanto comprendente anche trattati regolatori dei rapporti nei confronti degli Stati extraeuropei. L'opera copre quasi un millennio di storia europea a partire da Carlo Magno e raccoglie atti prelevati da fonti di diversi Stati, senza intenti partigiani. Proprio la natura composita dell'opera ratione materiae dimostra l'impossibilità di addivenire ad una vera e propria raccolta universale. L'opera del Martens nasce nel segno della prosecuzione temporale e come completamento della precedente, in quanto allarga ad altri paesi europei e soprattutto a quelli extraeuropei l'ambito della trattazione nella prospettiva di un'indagine internazionalistica globale fondata sul diritto positivo dei trattati. Le due opere, ponendosi come raccolte ufficiali, miravano allo studio completo del diritto internazionale comprendente qualsiasi forma di relazione internazionale estesa a tutto il mondo; la prassi di raccolta fu dal 1648 opera di raccoglietori e collezionisti privati e pubblici fino a quando non diventà compito ufficiale della Società delle Nazioni e poi dell'ONU. Per quanto riguarda i trattati compilati dal 1648 al 1918, una risoluzione delle Nazioni Unite del 1952 autorizzò la pubblicazione della Raccolta ufficiale delle Collezioni. Gli atti successivi invece sottostanno al niuovo regime di pubblicità internazionale che sostituisce quello Statuale, a cura della Società delle Nazioni e poi dell'ONU. Raccolte nazionali di Trattati, Governo della Politica estera e controllo parlamentare Anche dopo la nascita delle Nazioni Unite, il reperimento dei Trattati risultava difficile. Per vari motivi (periodo transitorio fra vecchio e nuovo regime, Stati contestatori della posizione in Trattati precedenti) l'enorme mole di Trattati rendeva difficili le ricerche: si pensò così di mettere ordine catalogando i trattati per collezioni generali Statuali. Queste sono coeve alla nascita dello Stato costituzionale di diritto, secondo iniziative pubbliche istituzionali fondamentali per l'esercizio della politica estera da parte dei governi e i relativi controlli da parte delle assemblee parlamentari. Attualmente, nel nostro ordinamento, l'inserimento del Parlamento nella procedura di formazione dei Trattati mediante leggi di autorizzazione alla ratifica e ordine di esecuzione interna fà si che questi atti vengano stampati nella Gazzetta ufficiale. Dal 1984 inoltre, un'iniziativa legislativa impone la pubblicazione di supplementi trimestrali e annuali alla Gazzetta ufficiale contenenti nuovi Trattati, insieme a una pubblica notizia da parte del Ministero degli Esteri sulle vicende proprie degli stessi. Fondamentagli sono gli indici posti al termine delle raccolte o in documenti autonomi, talvolta elevati al rango di repertori comuni di più trattati. Unica raccolta contemporanea dei Trattati 1648-1918 è la raccolta storica monumentale di Clive Perry, in ben 231 volumi. I trattati sono strumento unico di politica estera e di influenza nazionale come presentazione dell'immagine di ciascun paese e contributo alla creazione di uno "spirito comunitario". Raccolte di Trattati continentali (sec. XIX e XX) Esistono raccolte di trattati a base nazionale ma con vocazione continentale europea o extra-europea. Sono raccolte o collezioni aventi natura ufficiale destinate ad un pubblico di diplomatici ma soprattutto rivolte all'informazione dell'opinione pubblica. Coprono l'intera rete mondiale degli Stati partendo da un centro di irrradiazione ancora europeo. La gran parte riguarda la formazione e l'evoluzione del sistema europeo degli Stati, mentre quelle successive riguardano questioni nazionali e coloniali o il continente africano. La novità assoluta sono le raccolte dedicate a Stati non-europei ed a trattati di origine o vocazione extra-europea. Il diritto 7 indipendenza). Per funzioni extra-territoriali si intende invece l'esercizio della politica estera o internazionale, espressioni della politica di potere statale sia in materia pubblica (rapporti diplomatici, consolari) che privata (attività sindacali, imprenditoriali, dei lavoratori migranti). CAPITOLO QUARTO: ISTITUZIONI INTERNAZIONALI REGIONALI Verso un sistema universale di unioni regionali Il movimento regionalista ha prodotto un Sistema universale di unioni generali combinatorio dei principi dell'universalità (centralismo del modello regionale) e del pluralismo (pluralità di unioni regionali). Ciò portà alla riscoperta di antiche tradizioni regionali diverse dal modello euro-centrico: il movimento pan-europeo (nato dalla dissoluzione della Res Publica Christiana), il particolarismo del sistema americano (tendenze autonomistiche), il modello pan-asiatico (sistema complesso in forza della pluralità delle sub-regioni del continente) e pan-africano (regionalismo organizzato nel segno del pluralismo). Le unioni regionali attuali hanno un minimo comun denominatore come spazi di difesa dei diritti umani: per perseguire tali obiettivi, è necessaria la loro integrazione con altri ordinamenti internazionali pubblici e privati (soggetti concorrenti di quelli Statali sono anche i titolari di altri poteri normativi trasversali come le confessioni religiose, associati alla governance orizzontale). Ordinamento regionale: Norme generali e particolari Con l'espressione ordinamento internazionale regionale si intende un fenomeno di regionalismo e regionalizzazione in virtù del quale le fonti classiche si accompagnano a nuove fonti secondarie o derivate dalle prime. Si discute se si tratta di un solo ordinamento regionale radicato in quello generale oppure di una pluralità di ordinamenti distaccati rispetto al primo. Molti sottovalutano quest'aspetto, che è invece essenziale per la peculiarità della normazione secondaria propria dello stesso. Ci sono al propostto tre teorie: – Teoria del diritto della Comunità internazionale generale: il diritto internazionale è l'insieme della società internazionale generale e delle società internazionali particolari, fra le quali sono comprese quelle regionali. – Teoria del diritto delle comunità internazionali regionali: il diritto delle comunità regionali è l'insieme dell'Ordinamento delle Organizzazioni universali e regionali, con le distinzioni derivanti dalla loro diversa tipologia e dall'autonomia logico-giuridica della seconda in quanto dotata di fonti normative proprie e di una capacità normativa indipendente dalla volontà degli Stati. – Teoria del diritto comunitario e del diritto dell'integrazione: il diritto internazionale regionale è un'evoluzione del diritto internazionale classico e di quello dell'Organizzazione. Rileva nella propria autonomia logico-giuridica, in base alla quale ogni comunità regionale possiede una propria Costituzione normativa, segnata da un'identità di valori più forte rispetto a quella delle "associazioni" regionali. Tre sono gli elementi fondamentali dell'Organizzazione regionale: territorio, istituzioni di governo rappresentative e società inesa come base sociale. Il territorio regionale è uno spazio giuridico a contenuto variabile ma determinato (prevalentemente si tratta di aree economiche e di mercato). La comunità politica regionale viene intesa come superamento dello Stato nazionale e come stadio intermedio per la creazione del governo internazionale (si pensi alle unioni economiche e monetarie che assoggettano tutti i soggetti regionali). L'Organizzazione regionale è anche indice di rilevazione di una identità culturale fondate su valori a tradizioni comuni che sviluppano il passaggio a forme sempre più intense di unione (community building). Valore comune alle varie forme regionali è oggi considerata l'internetional democracy, come diritto alla democrazia civile e politica. Sistema multi-polare di Comunità, Organizzazioni e Integrazioni regionali di Stati L'ordinamento regionale è un sistema multi-polare suscettibile di assumere più forme che realizzano cooperazione, organizzazione o integrazione. Tali forme hanno tre caratteri comuni: l'autonomia normativa che riflette valori inderogabili ed esclusivi dell'area, in base al principio di identità autonoma: il pluralismo che pone gli ordinamenti regionali, che appaiono a composizione ed a modello varaibili, in rapporto di indipendenza, coordinamento e compatibilità; la medietà, in base alla quale l'ordinamento giuridico regionale risulta intermedio fra quello universale e quello statuale, assumendo una legittimazione universale-generale per il perseguimento di fini meritevoli e una legittimazione nazionale che si concreta nel rispetto della giurisdizione domestica o costituzionale-statuale. Le varie organizzazioni possono essere classificate in base a criteri geografici o funzionali. Le categorie di comunità internazionali regionali si possono individuare secondo le divisioni classiche del mondo in "spazi o aree geografiche"; i confini si classificano in senso continentale, non continentale (oceanico, marittimo), sub-continentale o intercontinentale. Si distinguono così, con criterio geo-politico post-1989, gruppi di Paesi occidentali, centrali o intermedi e del terzo mondo (perplessità sulla legittimità di tale criterio). Con criterio geo-economico si distinguono i gruppi di paesi in base ad indici o indicatori di sviluppo: regioni industrializzate o 10 sviluppate, paesi a mercato globale o mondiale, regioni in via di sviluppo. In base a un criterio istituzionale si distinguono dalle altre le comunità regionali raggruppate, cd. Comunità di comunità; gruppi maggiori possono infatti assorbire gruppi minori o creare strumenti associativi di allargamento. Si tende da tempo ad esempio ad associare le Organizzazioni regionali al lavoro delle Nazioni Unite e ad incorporarle con lo status di membri delle nuove organizzazioni progettate o costituite (Organizzazioni di Organizzazioni). Le organizzazioni regionali infine variano a seconda della forma dell'atto costitutivo: si distinguono organizzazioni fortemente istituzionalittate su base pattizia (hard law), organizzazioni non istituzionalizzate su base consuetudinaria (soft law), organizzazioni su base convenzionale ed a legislazione derivata completata da regolamenti comuni e organizzazioni su base convenzionale completata da emendamenti successivi. Autonomia e limiti delle Funzioni normative regionali L'autonomia della funzione normativa regionale si manifesta mediante norme limitatrici della sua sfera di validità materiale o temporale. A tale scopo provvedono norme sostanziali o materiali oppure di coordinamento con altri ordinamenti, che determinano la competenza e la validità materiale di ciascun ordinamento. L'autonomia può essere funzionale (riguardare qualsiasi materia), organizzativa (riguardare qualsiasi istituzione idonea allo scopo) e formale (diversità rispetto ad altri gruppi regionali). Trattati istitutivi e legislazione derivata risultano di applicazione unilaterale e limitata, cioè si riferiscono solo a ciascuna Organizzazione senza effetto estensivo. Dal 1945 al 1989, la presenza di altri ordinamenti multilaterali organizzati ha fatto si che fossero contemplate anche cause di incompatibilità di valori giuridici. I limiti temporali dei rapporti tra ordinamenti rilevano in senso sincronico e diacronico: nel primo, tutti gli ordinamenti regionali sono nati "a gruppi" secondo generazioni precedenti, contemporanee e successive. In senso diacronico, ciascuna comunità può rispondere a cirteri inter- temporali di gradualità (attuazione progressiva dei regimi previsti dagli accordi), di successione (di un'Organizzazione ad un'altra) e reversibilità (es. Trattato costituzionale dell'UE). La successione normativa tra trattati istitutivi può avvenire mediante il criterio delle integrazioni ed emendamenti successivi oppure mediante la tecnica abrogazionista (sostituzione di testo unico ai precedenti), con previsione di tabula rasa o continuità giuridica. Ambiti di applicazione infra, sub e inter-regionali I confini spaziali di esercizio dell'autonomia regionale sono segnati mediante norme di coordinamento le quali realizzano la compatibilità alle norme di altri gruppi: tali collegamenti sono espressi da indicazioni presenti nei trattati delle varie comunità regionali. Si distitnguono tre tipi di limiti o livelli spaziali: al livello infra-regionale (all'interno della regione), vi è il limite della compresenza di altre comunità regionali, dele quali l'Organizzazione può riconoscere la riserva delle competenze in alcune materie, oppure escluderle tramite cd. clausole di escolusione o ancora renderle compatibili con clausole di compatibilità (es: competenza giurisdizionale europea divisa fra Corte di Lussemburgo e Corte di Strasburgo). A livello sub-regionale (al di sotto della regione), non sempre le Organizzazioni sub-regionali hanno bisogno della legittimazione delle Organizzazioni di area: il più delle volte, sono però frutto della funzione di promozione e di indirizzo delle stesse. Più organizzazioni possono invece vivere in forma integrata: si riscontra nelle stesse una comune identità perchè esprimono modelli di civiltà condivisi. A livello inter-regionale, infine, le Comunità regionali possono essere chiuse o aperte (se esistono meccanismi di relazione interregionale). Più che di coordiamento, si ha oggi la tendenza a concretizzare vere e proprie forme di concertazione attuata con strumenti di vario genere (conferenze, accordi di cooperazione). Quasi tutti i pafti di sicurezza colletiva contengono un richiamo all'art. 51 ONU (legittima difesa collettiva), altri si rifanno ai principi del nuo ordine economico internazionale. Sempre più spesso si concludono accorti interregionali con gli Stati e le Organizzazioni vicine, ma anche lontane. Istituzioni regionali continentali Il processo di regionalizzazione si identifica con l'evoluzione degli ordinamenti regionali nel tempo e nello spazio. Già nell'antichità il sistema europeo si identificava come tale e differente rispetto agli altri per il suo proprio modello di vita politica incentrato sulle Città-stato (polis); già la Res Publica Cbristiana aveva un proprio sistema regionale organizzato. A seguito della formazione degli Stati moderni si è poi creato un sistema euro-americano basato sul sistema degli Stati-repubblica, sulla base di garanzie democratiche, differente rispetto a quello delle altre zone del mondo. Successivamente, gli sviluppi extra-europei del diritto internazionale generale hanno portato agli Stati americani federali (Repubblica di Repubbliche), che hanno avuto come effetto la nascita di Organizzazioni internazionali americane del secolo XX, e agli Stati latino-americani, riunitisi a partire dal 1825 in successive conferneze che ne hanno sancito l'autonomia regionale. Tutt'altro discorso si deve fare per le comunità regionali di Stati del mondo afro-asiatico, che sono distinte secondo antiche categorie continentali oppure da comunità regionali si Stati di aree arabo-islamiche create a cavallo fra i due continenti. Più recentemente, il regionalismo ha assunto dimensioni più propriamente continentali come garanzia riservata a qualsivoglia regione 11 geografica del mondo nella Carta delle Nazioni unite all'interno del sistema generale di mantenimento della pace (Capo VIII). E' nel modello ONU che si riscontra infatti la base giuridica del regionalismo, che ne ha favorito lo sviluppo in senso continentale (comunità di sicurezza regionale e di integrazione economica e sociale). Più recentemente ciò ha portato allo sviluppo di Organizzazioni internazionali regionali, divenute produttrici di legislazione internazionale regionale primaria e secondaria. Dinamiche normative di revisione L'ordinamento regionale è sottoposto a processi di revisione normativa continui ed incisivi: tutto ciò porta oggi a un regionalismo aperto o globale. Il nuovo ordine internazionale generale distingue aree politiche ed economiche in centrali e periferiche, con una forte integrazione dei Paesi del cd. Terzo mondo o almeno cooperativo con essi, nel permanere di standards regionali diversificati. All'origine del momento attuale c'è la crisi dell'universalismo organizzato; essa si riflette sul regionalismo organizzato secondo tre tendenze. La prima porta alla richiesta di un ordine internazionale centrale revisionato su basi universal-regionali secondo criteri di rappresentatività e proporzionalità. Ciò nel segno dell'espansione degli spazi regionali organizzati, che oggi gestiscono compiti superiori rispetto a quelli originali, che porta ad un sistema multilaterale globale multipolare e decentrato che privilegia lo sviluppo delle comunità regionali. Si affievolisce così la natura di Organizzazioni chiuse propria di quelle regionali: si pensi al ruolo dell'CSCE nei rapporti fra blocco orientale ed occidentale. Una seconda tendenza opposta alla prima cosiddetta ultra-regionale porta all'allargamento della competenza territoriale regionale a zone fuori area per effetto di iniziative nazionali individuali o collettive: si pensi all'intervento NATO in Afghanistan, o alla riforma dei rapporti dell'Unione Europea che hanno portato a sostituirla alla CE. Una terza tendenza è data dalla nascita di nuove regioni sorte per dissoluzione di Stati ex-federali (ex-URSS) o per altri motivi (Medio Oriente allargato come area di sicurezza politico-militare). Organizzazioni e pseudo-Organizzazioni regionali europee Le spinte di revisione indicate sopra hanno interessato l'europa in maniera sensibile: si è assistito infatti alla nascita di nuove pseudo-Organizzazioni su base consuedutinaria, con la conseguenza che lo spazio di riorganizzazione si divide in una molteplicità di organismi a geometria circolare (Europa occidentale-centrale- orientale) e concentrica (Europa baltica, nordica e mediterranea). Nel quadro sub-regionale euro-occidentale, si assiste al fenomeno dell'integrazione funzionale tra le Organizzazioni preesistenti congiunto a un allargamento della base associativa ai paesi dell'europa centro-orientale. Tali processi emergono mediante l'allargamento di tre soggetti organizzati primari (UE, NATO e Consiglio d'Europa) nonchè nella più ampia regione europea (OSCE). L'UE si è allargata con l'annessione di dieci stati nel 2004, mentre la NATO si è allargata con l'annessione di Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria e ha stretto rapporti di partenariato con gli Stati dell'ìex URSS. Comprende gli stessi stati dell'UE meno Irlanda, Svezia e Finlandia e con Turchia e Islanda: restano esclusi gli Stati balcanici. Il Consiglio d'Europa, oggi organo dell'UE, comprende 57 Stati europei. Per quanto riguarda le Organizzazioni euro-centro-orientale, risultanti dello sfrangiamento del vecchio mondo organizzato, esse sono molteplici collocate sul continente europeo o con le parti euro-asiatiche dello stesso (area baltica, area Centro-Europea ecc.). Ulteriore modello di minori Organizzazioni è rappresentato dall'area organizzata degli Stati del Mar Mediterraneo, di notevole importanza perchè influenzata da varie realtà, che unifica in un quadro unitario: le componenti euro- unionistiche, i paesi euro-mediterrani non aderenti all'Unione, i Paesi arabi della sponda euro-asiatica ed euro- africana e l'Autorità nazionale palestinese. Si tratta di processi organizzativi in itinere composti da pseudo- organizzazioni; oggi si è approdati alla creazione di una Unione euro-mediterranea secondo la Dichiarazione di Parigi del 2008, che si è occupata del conflitto sulla striscia di Gaza. Vi sono tre livelli di prassi politico- diplomatica: il 1995 ha visto la nascita dell'Euromed, come modello di partenariato globale fra Unione Europea e Paesi terzi mediterranei con lo scopo di realizzare un'area di pace nella regione consolidandone i processi democratici e creare entro il 2010 una zona di libero scambio e di crescita economica. A tale partenariato è risultato propedeutico il ruolo del Forum mediterraneo instaurato nel 1994 da un gruppo di Paesi Mediterranei: si tratta di un organo di concertazione informale più ristretto rispetto all'Euromed dove si può meglio confrontare opinioni e mettere a fuoco posizioni comuni. Il Processo euro-magrebino, costituito a Roma nel 1990 come modello 4+5 (Italia, Francia, Spagna, Portogalli + Algeria, Tunisia, Marocco, Libia e Mauritania) poi divenuto 5+5 con l'aggiunta di Malta e perseguente il dialogo politico e l'instaurazione di una politica economica, subì una battuta d'arresto nel 1999 a causa di sanzioni imposte dall'ONU alla Libia, ma oggi viene rilanciato per reinserire la Libia nel concerto internazionale. Oggi la politica euro-mediterrana è oggetto di integrazione nel'ambito della nuova Politica europea di vicinato. Organizzazioni e pseudo-Organizzazioni americane. Altre Organizzazioni afro-asiatiche Per quanto riguarda l'America, più che di nuove Organizzazioni si parla di trasformazione delle Organizzazioni pan-americane e latino-americane che sviluppano regimi complementari su base giuridica varia. Gli Stati del 12 La Santa Sede esprime una posizione radicalmente pacifista ee condivide l'uso dei mezzi diplomatici e giuridici per la soluzione dei conflitti (buoni uffici, mediazioni, conciliazioni, arbitrati). Si oppone ai mezzi moderni e classici della guerra e favorisce il disarmo nucleare e non, promuovendo altresì la riduzione delle cause politiche, economiche e culturali delle controversie. La Santa Sede svolge un ruolo attivo nella protezione della popolazione civile durante i conflitti armati (diritto internazionale umanitario, che tiene anche conto delle forme di "guerriglia"), come in quella del patrimonio storico ed artistico di ciascun paese. Con riferimento ai processi di pace post-bellica, si segnalano, dopo il primo conflitto mondiale la politica concordataria della Santa Sede e dopo la seconda le cd. clausole di democratizzazione nei trattati conclusivi (con annessa creazione di partiti cattolici per la salvaguardia della democrazia). Nel periodo successivo al 1989 si segnalano le operazioni di pace nella costruzione della democrazia nei paesi dei Balcani, in Medio Oriente e nell'Asia Centrale. CAPITOLO SESTO: FONTI NORMATIVE Allargamento della sfera delle Fonti normative Nell'ordinamento internazionale odierno si assiste all'ampliamento del numero delle fonti di natura collettiva a scapito di quelle derivanti dalla volontà unilaterale degli Stati. Secondo la teoria classica, le fonti del diritto internazionale corrispondono alla lista stretta e chiusa contemplata dall'articolo 38 della Corte internazionale di Giustizia, mentre per la teoria moderna sono allargate ad un elenco aperto a fonti non tipizzate: ciò è confermato dal ridimensionamento delle dottrine statualistiche. A tal fine non appare adeguata neanche la funzione di autolimitazione dello Stato singolo (teorie para-statualistiche) ridotto ad un minimo standard di competenze, a cui sono correlate le dotttrine internazionalistiche neo-istituzionalistiche, che mirano allo studio di più ampi spazi giuridici caratterizzati dalla pari dignità di Stati ed Organizzazioni private. A tale tendenza va riportata quella di un unico ordinamento globale all'interno del quale si collocano le fonti classiche e contemporanee e in cui gli stessi Stati si prsentano nella loro veste di personalità garantite da operatori giuridici locali. L'ordine internazionale assicura la legalità internazionale, contribuisce cioè a creare un sistema giuridico di coesistenza, cooperazione, concertazione e integrazione tra gli ordinamenti particolari dei suoi soggetti Statuali, istituzionali e individuali. Utilizza per tali finalità precetti che conferiscono i poteri per attuare i procedimenti normativi e organizzativi (norme potestative) o norme che impongono obblighi e recano diritti alla verie categorie di soggetti (norme internazionali di relazione). Per l'esecuzione delle norme di diritto internazionale, la regola classica prevede l'esecuzione nazionale o interna affidata agli organi nazionali di ciascun Stato: tale procedura è sempre stata criticata perchè la difformità delle condizioni dell'attuazione porterebbe ad una conseguente debolezza, spesso causa di controversie internazionali fra Stati e di eventuali responsabilità per violazioni delle norme internazionali dovute a esecuzioni nazionali incompatibili o difformi. Nel diritto contemporaneo esiste poi un esecuzione definita collettiva, a carico di gruppi internazionali di Stati, ed una esecuzione diffusa come attuazione dello ius cogens internazionale (diritto super-consuetudinario e super-convenzionale) per la salvaguardia di interessi erga omnes: si tratta di norme ritenute inderogabili e che quindi si applicano nei confronti di qualsiasi Stato violatore da parte della Comunità internazionale nel suo insieme. La conseguenza di quanto appena detto è che il regime di esecuzione è oggi piuttosto variegato e può sfociarre in forme di unilateralismo. Per quanto riguarda l'applicazione delle norme internazionali, risulta affidata all'auto-tutela degli Stati; la riserva del monopolio dell'ordine giudiziario interno è prevista dall'art. 80 della Costituzione secondo il quale un'autorizzazione del Parlamento è necessaria per sottoporre il paese a mezzi di giurisdizione internazionale, previo esaurimento dei mezzi interni. Il diritto internazionale prevede poi procedure e mezzi idonei alla soluzione spontanea e concordata di controversie (buoni uffici, mediazioni, conciliazioni). Tuttavia, a partire dal 1945 il sistema precedente è stato sostituito da regole di giustizia internazionale polarizzate intorno ad una pluralità di organi giurisdizionali, specializzate per competenza territoriale e materia e raffigurabili in un sistema così ripartito: Corti internazionali a competenza generale e particolare e Corti internazionali regionali a competenza particolare. Funzione fondamentale dell'Ordinamento internazionale è infine quella di legittimazione e riconoscimento delle stituazioni di fatto mediante decisioni con le quali i soggetti sono riconosciuti o disconosciuti ad avere uno status ordinario: se nel passato la soggettività internazionale era intesa in senso monistico (un ordinamento-un soggetto unico (Stato)), oggi vi è la coesistenza di una pluralità di soggetti internazionali a personalità "differenziata" (soggetti destinatari di norme in parte comuni e in parte speciali). Tale mutamento della soggettività da assoluta a relativa è funzionale all'ordinamento: essa è uno standard, cioè una somma di norme grazie alle quali anche altri soggetti possono al loro livello inserirsi utilmente nella vita di relazione (personalità internazionale multilevel). Le tre riconosciute strutture soggettive della società internazionale attuale sono: gli Stati, che restano il luogo centrale, da cui partono movimenti di accentramento verso l'alto (Organizzazioni) e verso il basso (enti minori, Individui); tale gradualità trova origine nelle tre potestà internazionali riconosciute dell'ente Stato: territoriale, personale e funzionale. Delle tre, solo quella territoriale è immutabile nelle Costituzioni nazionali; le altre potestà funzionali allargano le frontiere giuridiche oltre i confini 15 nazionali, mediante appunto il ruolo di Organizzazioni e Individui (cd. deterritorializzazione). Sistema classico e contemporaneo delle Fonti: hard law e soft law Le fonti classiche del diritto internazionale governavano una società composta da Stati indipendenti e non organizzati fra loro: nella società odierna, globalizzata e fortemente organizzata, i nuovi rapporti fra Stati sono regolati da livelli ulteriori rispetto ai tre livelli classici: principi generali di diritto, diritto pattizio-consuetudinario e diritto giurisprudenziale e dottrinale. Si tratta di due nuovi livelli: il diritto delle Organizzazioni internazionali universal-regionali, derivato o secondario rispetto ai trattati e alle consuetudini istitutive di Organizzazioni, e il diritto cd. di international soft law, o diritto della prassi, non-pattizio e non-consuetudinario, formatosi principalmente nell'ambito dell'Organizzazione dei raggruppamenti internazionali di Stati (G8, OSCE) come esigenza di modernizzazione collegata alla rapidità ed immediatezza. Infatti i procedimenti legati al soft law sono rapidi ed efficaci; tale efficacia si fonda sulla valenza del consenso unanime e la tendenza a darne spontanea attuazione non necessitata (atti non vincolanti). Tale diritto è complementare rispetto a quello convenzionale e consuetudinario. Si parla, infine, di diritto "onusiano" con riguardo a quel diritto formato in seno all'ONU da regole derivanti dalla maggioranza di Stati patrocinati da Stati del Terzo Mondo; nasce per coinvolgere maggiormente questi Stati nel processo internazionale, non sempre con ottimi risultati (Protocollo di Kyoto). Norme primarie di struttura: Principi generali di Diritto L'allargamento del numero dei soggetti internazionali ha agito sulla qualità e quantità delle procedure di formazione delle varie categorie di regole: le norme primarie, che disciplinano la struttura della società pluralistica di Stati e altri soggetti, governano l'intera filiera della legislazione internaziionale particolare e frammentata. Ciò significa che rispetto a norme dipendenti dall'autonomia normativa dei soggetti (consuetudinarie, pattizie o derivate), esistono regole fondamentali o primarie con valenza universale su cui esse riposano. I principi generali di diritto trovano la loro originaria e sommaria disciplina nell'art. 38, par. I lett. c) dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, che li definisce "principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili". Tale disposizione è stato oggetto di dure critiche, in funzione dell'ampiezza del loro "riconoscimento" e della definizione di "Nazione civile": l'interpretazione correttiva storico-evolutiva, riconoscendo che l'esuberanza della disposizione era dovuta al contesto storico della Società delle Nazioni, ha condotto a ritenere i principi generali principi universali tout court, sganciandoli dalla competenza della Corte internazionale di Giustizia e considerandoli strumenti di indirizzo, direzione e controllo delle altre fonti di produzione normativa. Esistono diverse letture dei principi generali di diritto internazionale: 1. Principi extra-pattizi e extra-consuetudinari: i principi generali del diritto internazionale hanno un ruolo solamente complementare od esterno rispetto ai trattati ed alle consuetudini internazionali: è il giudice internazionale che, di fronte all'inesistenza di norme pattizie e consuetudinarie, le integra mediante trasfusione delle norme interne degli ordinamenti statuali (i principi così desumibili devono essere di generale osservanza internazionale); in tal modo si risolve il pericolo del non liquet, si appianano le lacuna juris e si ricostruiscono principi essenziali. 2. Principi di diritto pattizio e consuetudinario: i principi generali di diritto sono frammisti ai principi generali del diritto pattizio e consuetudinario: per consuetudine, infatti, i principi di base del diritto pubblico e privato fanno oggi parte di un diritto comune (diritti umani, diritto dei contratti ecc.): in questo modo si "costruiscono" norme generali, astratte e e corredate da lunga osservanza e diffusa convinzione. 3. Principi di jus cogens di natura sovrapattizia: esistono principi positivi di diritto riconosciuti come generali da appositi trattati internazionali a valenza generale o particolare: tali principi sono superior alle altre norme e produttivi di effetti erga omnes. Si ricorda in proposito l'art. 10 della Costituzione Italiana che sancisce l'incostitzionalità di leggi interne incompatibili prima coi principi generali di diritto e poi coi singoli trattati e consuetudini. 4. Principio di diritto dell'Organizzazione Internazionale e di integrazione fra Stati: variante della lettura precedente secondo la quale la difesa dei principi normativi è rappresentata dalle Dichiarazioni generali o di principio dell'Assemblea Generale delle NU. Ciò perchè le cd. norme-base dell'Ordinamento Internazionale, prima frutto di assunzione interna al mondo giuridico internazionale, sono oggi positivizzate mediante l'attività di produzione delle Assemblee internazionali ed europeo. I principi presentano un effetto inter partes ed erga omnes, se inseriti in una serie continua rupetuta e diffusa comune a più Stati costituendo una prassi internazionale consolidata: gli autori più recenti non hanno l'esigenza di testimoniare l'esistenza di un accordo generali fra gli Stati: è tutto scritto. 5. Principi o standards pre-giuridici: i principi sono suscettibili di rilevazione ed integrazione diffusa da parte degli operatori giuridici internazionali: tuttavia, parte della dottrina è incline a ritenere che tali principi sono mera finzione, ovvero immagine riflessa di consuetudini e convenzioni generali (posizione giuspositivistica). Tuttavia l'esistenza di principi giuridici internazionali fondamentali è acclarata dai fatti, 16 Diritto consuetudinario a formazione spontanea: Prassi e Opinio Il diritto consuetudinario è il diritto della pratica o del costume internazionale, o ancora il diritto dei comportamenti collettivi. Esso ha una vocazione unanimistica e maggioritaria, ma può avere anche portata continentale. Ha, come i principi generali, un ruolo formatore o informatore del diritto internazionale generale. La procedura consuetudinaria internazionale si esprime attravero una volontà per così dire passiva e cioè mediante un procedimento imitativo o adesivo da parte degli Stati rispetto a standards giuridici già vigenti. Il comportamento consuetudinario non richiede la voluntas juris, ma l'opinio juris (la dottrina parla appunto di diritto spontaneo), cioè la convinzione giuridica di essere tenuti ad un certo comportamento; la volontà consuetudinaria è prodotta da un insieme di atteggiamenti derivabili da condotte statuali da parte di organi esterni dello Stato che di organi interni. La Scuola del diritto consuetudinario o spontaneo si occupò di spiegare la nascita e l'evoluzione delle norme di regole non scritte e non formalizzate. Secondo la visione giusnaturalistica, il diritto consuetudinario internazionale non è altro che una forma di ricezione del diritto pregresso, osservato quale alta autorità storica che può coincidere con l'intero mondo ma anche con zone più ristrette; spetta agli Stati, su base volontaria, decidere se seguire o meno dette regole. Secondo la visione giuspositivistica, le norme consuedutinarie come inconsapevolmente formate possono essere abrogate o derogate, ma senza necessità di un processo volontario, quanto di desuetudine. Le dottrine normativistiche e post-normativistiche dichiarano che fra dichiarazioni ed effettività della prassi è quest'ultima a prevalere. E la consuetudine si rifà sempre a norme pregresse, penetrate profondamente nel costume dei popoli; tuttavia, ciò non significa che, fra atteggiamenti assenzienti e dissenzienti, dette regole non possano anche modificarsi sensibilmente. Per quanto riguarda la componente soggettiva e oggettiva del diritto consuetudinario, l'art. 38, par. I lett. b) dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia le combina definendo la norma consuetudinaria come prova di una pratica generale, internazionalmente riconosciuta come diritto. Ciò è punto di arrivo di una rilevazione dovuta ad un triplice criterio oggettivistico (uso, tradizione e durevolezza) e soggettivistico (opinio juris, prassi diplomatica e normativa). Non sempre i due criteri coincidono: possono sussistere scollamenti fra il dire e il fare. Per questo la dottrina ritiene la traditio unico elemento costitutivo della consuetudine e giudica irrilevane l'opinio iuris. Al di la di ciò, la consuetudine è dotata di una grande evidenza prammatica e può essere rilevata sul piano storico. Gli elementi rivelatori della convinzione Statale però sono contraddittori ed oscuri: questo per calcolo politico o ossequio alla tradizione. Quindi l'interprete deve porre particolare attenzione ai fatti e considerare unicamente le opinioni conformi ai fatti, fra le varie che gli si presentano all'analisi. Diritto dei Trattati La funzione pattizia rappresenta il modo primario di produzione di norme giuridiche internazionali. I trattati possono produrre diritto generale o universale o, viceversa, particolare a due o più Stat. Sono il mezzo ideale per la formazione di coalizioni. Le norme Costituzionali disciplinano l'affidamento delle negoziazioni a un corpo specializzato del Ministero degli affari esteri e agli organi rappresentativi dello Stato che ne impegnano la volontà sul piano esterno (Presidente del Consiglio, Presidente della Repubblica, Parlamento). A partire dall'epoca della Società delle Nazioni, il diritto generale dei trattati è divenuto esperienza di codificazione mediante la Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati (23 maggio 1969), come convenzione di codificazione del diritto internazionale consuetudinario sul diritto dei trattati. Le regole di diritto interno sono meno rilevanti: esisteno materie a disciplina mista che concernono la rappresentanza e la competenza a negoziare, stipulare ed obbligare lo Stato nelle relazioni pattizie: esse sono conclusione dei trattati, effetti dei trattati e sospensione ed esinzione dei trattati. Tali regole si applicano anche agli accordi fra Organizzazioni internazionali e fra Stati ed Organizzazioni (salve norme speciali presenti negli statuti, come quelle dedicate all'integrazione di funzioni). La Convenzione di Vienna definisce il trattato un atto internazionalmente obbligatorio risultato da uno o più testi collegati, nonchè da quello di pieni poteri. Sono esclusi dunque gli accordi politici contenutti in testi non costituenti trattato in senso stretto, dei quali spesso rappresentano la preparazione. Il trattato è il mezzo centrale di determinazione della Comunità internazionale; la linea di produzione del diritto classico era infatti definita volontaristica o consensualistica, e il trattato era espressione e presidio della natura sovrana, pluralistica e paritaria della Comunità internazionale e della sua base sociale; si esprimeva così una società individualistica di soggetti politici con legami di autonoma, libera e spontanea cooperazione e associazione. Il diritto internazionale moderno è risultato così diritto volontario o positivo, con fonti di produzione trattati e la stessa consuetudine come tacita conventio. Dalla nascita delle dottrine moderne, è derivata la tendenza a considerare la volontà statuale idonea a creare strutture normative grazie ai quali possano nascere norme giuridiche di carattere volontario (neo-volontarismo). Esiste dunque un'autorità normativa come centro di produzione giuridica facente capo a variabili coalizioni o gruppi di stati ma possibilmente istituzionalizzato intorno al sistema delle Organizzazioni internazionali. Alla volontà dei gruppi vengono assegnate disinte funzioni: raccolta del consenso giuridico, mobilitazione delle forze giuridiche coalizzate di sostendo o di contrato, formazione dei procedimenti tipici e differenziati di produzione giurridica volontara e produzione di norme giuridiche definite pattize, consuetudinarie o di concertazione. 17 dell'organizzazione interna. L'ordinamento unionistico è inoltre favorevole alla formazione di principi di diritto comune. Atti normativi derivati di Organizzazione ed Integrazione L'ordinamento delle Organizzazioni internazionale è formato anche da un "secondo livello" detto sub- convenzionale, espressione di un potere regolamentare conferito da una norma dell'atto istitutivo dell'ente. Tale diritto equivale a "legislazione" e "regolamentazione" internazionale su basi di eteronimia. Ha una doppia valenza di legittimazione del comportamento dei destinatari o di vera e propria imposizione decisionale nei confronti degli Stati (diritto dell'integrazione), degli individui come soggetti di mercato o titolari di organi (diritto interno delle Organizzazioni) o degli individui in quanto tali (diritto sovranazionale). Una parte della dottrina, detta antinomistica, riconosce alla base di questi atti un consensus della maggioranza degli Stati membri, così come nell'esecuzione: tuttavia, la prevalente dottrina istituzionalistica li considera veri e propri atti dell'Organizzazione. Bisogna distinguere gli atti internazionali e sovranazionali da quelli "interni" alle varie Organizzazioni: riguardo questi ultimi, anche se le Organizzazioni di solito prendono risoluzioni non obbligatorie e dichiarazioni confermative o dispositive, talvolta prendono decisioni vincolanti: atti deliberativi (di attuazione dei trattati), atti di modifica statutaria (che non comportano accettazione degli Stati perchè non producono nuovi obblighi) e atti di integrazione dei trattati istitutivi (approvati a maggioranza, richiedono l'accettazione degli Stati che hanno espresso dissenso). Diverso il discorso riguardante gli atti delle Organizzazioni cd. sovranazionali, dotati di natura obbligatoria ed efficacia diretta negli Stati membri: hanno una posizione di primato sulle norme interne e il controllo di legalità su di essi è assicurato da appositi organi giurisdizionali. Ad esempio nelle Organizzazioni di integrazione di tipo comunitario-unionistico si individua una funzione normativa (mediante atti con valenza generale o particolare), una funzione di indirizzo e coordinamento (mediante atti non obbligatori che sollecitano condotte statali) e una funzione giurisdizionale). Infine, vanno considerati gli atti cd. di soft law, non obbligatori, delle Organizzazioni, multifunzionali (funzione normativa di indirizzo, funzione operativa di riconoscimento di situazioni di fatto e funzione organizzativa). Auto-normazione transnazionale: Carte dei Diritti e Codici di Condotta Esistono Organizzazioni pubbliche e private diverse da quelle formate dagli Stati: sono dette Organizzazioni non inerstatuali o non governative (ONG). Esse sono proprie dei soggetti transnazionali privati, operanti in diversi settori in maniera trasversale rispetto agli Stati. Essi sono dotati di autonomia normativa ed autotutela, talvolta con veri e propri organi giurisdizionali, e sono presi in considerazione da ogni Stato. Lo status delle ONG è riconosciuto dalle stesse Organizzazioni internazionali, che spesso le ammettono ad assistere ai propri lavori, talvolta in maniera importante: si pensi ai rappresentanti sindacali, ai partiti politici Europei. I settori di auto- normazione di tali soggetti sono diversi: tutela dei diritti fondamentali, ma soprattutto autodisciplina mediante codici di condotta, a tutela di interessi di categoria che possono anche prevedere rimedi giurisdizionali propri (class actions). CAPITOLO SETTIMO: SOGGETTI Allargamento della sfera dei Soggetti La soggettività come titolarità astratta a partecipare al processo normativo si lega al concetto di personalità internazionale, che misura titolarità di diritti e doveri. Nella dottrina classica, i poteri internazionali erano considerati come sottoposti a competenza statuale, super-statuale o de-statuale. Nella dottrina contemporanea, si è aperta la strada a definizioni oggettivistiche che hanno dato vita a dottrine anti-statualistiche, centrate sulla figura degli Individui nella triplice veste di organi di Stati, di Organizzazioni e di destinatari degli uni e degli altri. Recentemente si è assistito ad un allargamento della sfera dei soggetti (Stati enti primari, Organizzazioni enti secondari e Individui enti strumentali), dotati di multi-personalità basata sul presupposto della competenza flessibile avente un ambito ultra-territoriale e nazionale. I diversi soggetti si distinguono in base alla diversa potestà normativa, in base alla quale si relazionano. Tale potestà non è nella nostra realtà internazionale solo coercitiva territoriale, propria degli Stati, ma può essere anche funzionale, come di fatto è quella delle Organizzazioni e degli Individui. Conseguenza di ciò è che la società internazionale è personificabile grazie ai soggetti in essa coesistenti (sovranità Statale rispetto alla quale gli individui rilevano come sudditi e soggetti collettivamente organizzati che perseguono finalità particolari). Esiste una sola società internazionale dotata di un'unica entità, l'uomo-individuo agente, mentre diversi sono gli ambienti all'interno del quale tale entità agisce: vita statuale, extra-statuale o de-statualizzata. Tali "ambienti" sono messi in rapporto fra loro in base a diversi criteri: relazioni in senso geometrico o interazioni secondo procedure scandite per fasi. Nel concreto operare di tali relazioni si dice che la vita internazionale contemporanea appare complessivamente globalizzata. 20 Stati La sovranità è l'insieme dei poteri propri di un'entità chiamata Stato come potestà multipla sul territorio. Si può parlare pertanto di sovrantà statale non coercitiva solo in relazione all'obbligo del non uso della forza armata e del divieto della coerzicione politica ed economica nelle relazioni fra Stati. Nel diritto internazionale contemporaneo, la sovranità da spazio statuale si trasforma in multistatuale. Con tale termine si internde l'esercizio collettivo del potere sovrani nel quadro di Organizzazioni internazionali universali-regionali, nonchè di integrazione europea. In tale quadro la sovranità subisce un allargamento sul piano esterno (partecipazione alla decisione collettiva) e un restringimento su quello interno (ruolo esecutivo della normativa comune). Si parla in tal senso di Stato euro- globale come tipo di Stato a sovranità integrata. Ne consegue un doppio titolo di legittimazione della sovranità, dall'ordinamento Statuale e da quello inter o sovra-statuale reciprocamente integrati. La trasformazione della sovranità la dilata in uno spazio variabile multiplo e plurimo; l'efficacia degli atti normativi, legislativi e amministrativi interni infatti si espande anche in territori altrui e comuni; si pensi all'applicazione delle norme sulla concorrenza fra imprese. Le due espressioni distinte potestà normativa territoriale-personale ed extra- territoriale vengono spesso usate in modo promiscuo: in realtà, la prima si riferisce a quanto detto sopra, mentre la potestà normativa extra-territoriale funzionale si riferisce allo statuto delle istituzioni ovvero dei soggetti di organi di Stati, di Organizzazioni internazionali e soggetti transnazionali: con tale mezzo si tutela l'immunità degli organi rispetto all'interferenza normativa di altri Stati, denegata solo nel caso di abuso di funzione e violazione di diritto internazionale pubblico (cd. universalità della giurisdizione penale per i crimini internazionali). Statualità, territorialità ed ultra-territorialità L'esercizio del potere sovrano può avvenire mediante competenza territoriale o ultra-territoriale: sono gli stessi codici civile e penale, nonchè l'identità costituzionale dello Stato a prevedere la possibilità per la giurisdizione domestica di risolvere illeciti privati e pubblici di rilevanza internazionale, secondo la tripartizione di statuto territoriale, funzionale ed universale degli individui. Ci si riferisce al diritto penale internazionale (statale) o al diritto internazionale penale (sovrastatale), la cui relativa sovranità giurisdizionale è modulabile su tre livelli: nazionale, internazionale o universale. Alcuni valori universali o umani non possono essere che tutelati da tutti e tre i livelli, mentre altri reati possono essere salvaguardati da due soli livelli anche con misure di cooperazione giudiziaria fra Stati. La giurisdizione penale nazionale si trova a confrontarsi con criminalità internazionale, transnazionale o europea e sarebbe in evidente difficoltà se dovesse affrontare tali problemi da sola. L'intreccio tra livelli superiori a quello nazionale dunque opera per uniformare sostanzialmente diritto civile e penale, uniformandone l'interpretazione delle norme comuni, ma anche concentrando il giudizio in un'unica sede giudiziaria superiore. Tutte le altre ipotesti di giurisdizione statale tollerano un secondo livello di giurisdizione internazionale; le Corti sovranazionali esercitano la propria competenza nei rapporti fra Stati ma anche fra Stati ed invidivui. Organizzazioni internazionale Le Organizzazioni internazionale non menzionano, salvo rare eccezioni, la propria capacità (e soggettività) internazionale nei trattati istitutivi; tuttavia, dal diritto internazionale comune e dalla prassi si evince che esse hanno una soggettività di natura funzionale, criterio valido per la imputabilità degli atti alle Organizzazioni: esse infatti hanno dei limiti di capacità in base alla divisione delle proprie competenze rispetto agli Stati che affiancano (cooperazione) o ai quali si sostituiscono (integrazione). Ogni Organizzazione ha dunque caratteri propri e peculiari; tuttavia, esistono criteri generali identici divenuti veri e propri standards che danno vita a un modello logico-giuridico generale di Organizzazione. In particolare, lo status di membro segue l'organizzazione nelle sue fasi di vita e disciplina la condotta degli Stati stessi nell'ambito del rapporto associativo. Si distingue fra Stati fondatori e Stati ammessi (solitamente con condizioni speciali per l'ingresso quali una forma di governo democratica o condizioni economiche o geografiche) e si riconoscono tipi minori di status a stati cd. associati o cooperatori. Membri fondatori possono essere di norma solo gli Stati, mentre lo status di membro possono assumerlo anche soggetti non statali come le Organizzazioni. Allo status di membro vengono ricondotti la nascita di diritti (i più comuni sono quelli di rappresentanza, partecipazione e voto che può essere uguale per tutti o ponderato in base a diversi criteri) e di obblighi graduabili ratione personae (in base a differenziazioni economico- finanziarie), ratione materiae (salvaguardia di settori sensibili che può portare ad esenzioni) o rationae temporis (periodo transitorio prima di applicazione integrale). Una categoria unitaria di status minore è dato dalla cd. partnership, che configura un rapporto a contenuto elastico, e individua un legame tra appartenenti a gruppi non organizzati ma anche una particolare posizione all'interno di realtà organizzate. La struttura isittuzionale delle Organizzazioni è tradizionalmente interstatuale o intergovernativa, tuttavia di recente col processo di "democratizzazione" delle stesse accanto ali "organi di Stato" appaiono "organi di individui" che rappresentano una comunità di popoli. Il modello più semplice di organizzazione, a due organi, è oggi scarsamente riscontrabile: molto più spesso, come nel caso dell'ONU, si riscontrano modelli a tre organi, che in generale prevede un organo 21 di rappresentanza generale e uno o più organi a rappresentanza ristretta; tali organi possono avere molteplici competenze, a volta la loro composizione non è meramente intergovernativa ma comprende una rappresentanza socio-professionale, come nel caso del Comitato economico e sociale dell''UE. Ciò detto, è evidente che gli organi di un'organizzazione debbano avere fra loro rapporti di cooperazione nella distribuzione delle competenze normative: in generale, si può avere una prevalenza degli organi intergovernativi o di organi interindividuali, a seconda che l'organizzazione abbia una tendenza antiparlamentare o viceversa. Organizzazioni di legislazione, amministrazione e giurisdizione internazionale Le Organizzazioni hanno personalità intesa come insieme di competenze legislative, esecutivo-amministrative e giurisdizionali, e svolgono tale funzione nell'ambito dell'ordinamento proprio rivolto agli Stati, nell'ordinamento degli Stati membri e nei rapporti con Stati terzi (azione esterna). La funzione normativa, secondaria e derivata rispetto alle norme istitutive, viene attribuita come competenza legislativa ad hoc ratione materiae, di norma ad organi di vertice, anche più di uno, che controbuiscono secondo apposite procedure alla formazione degli atti normativi che non prendono il nome di leggi. Accanto agli atti dell'Ente esistono anche atti espressione della volontà collettiva degli Stati membri (accordi internazionali interni o esterni all'Organizzazione). La funzione amministrativa può essere svolta a gestione diretta (da parte di Organi interni secondari costituiti da rappresentanti degli Stati e semplici funzionari ed impiegati) o indiretta, da parte degli stessi Stati mebmri. Gli atti amministrativi possono avere natura generale o particolare, obbligatoria o decisionale o non obbligatoria, normativa o puramente operativa e gestionale (vigilanza sul rispetto delle norme a livello Statale). Le strutture amministrative generalmente sono regolate secondo i criteri della gerarchia e della competenza (competenza multilevel). Alcune organizzazioni hanno anche una funzione giurisdizionale esperibile tramiti appositi organi ad hoc indipendendi rispetto agli Stati membri, che esercitano un controllo sul rispetto delle regole primarie e secondarie secondo regole di procedura nell'ambito di controversie interstatuali, interorganiche o interindividuali. I tipi di giurisdizione possono mirare alla verifica di eventuali violazioni con conseguenti provvedimenti (contenzioso di responsabilità) oppure all'annullamento di atti normativi o alla loro emanazione di fronte all'inattività (contenzioso di annullamento e in carenza). A volte gli stessi organi possono essere chiamati a fornire semplici pareri consultivi non vincolanti su alcune questioni. Tutto ciò non esclude però i controlli giurisdizionali interni a ciascuno Stato membro; giudici costituzionali per violazione di norme internazionali da parte del legislatore oppure giudici ordinari per controversie fra privati o fra privati e PA. Individui: Diritti fondamentali, Cittadinanza e Democrazia Gli Individui rilevano nel diritto internazionale come individui-organi o individui-persona. Sotto la prima veste, appaiono come immedesimati nella struttura o nell'apparato organizzativo statuale, tali da meritare speciale attenzione nelle norme internazionali (Capo dello Stato, ecc.); in tal caso però non assumono una personalità internazionale. Come individui-persona invece assumno personalità differenziata ma autonoma, distinta e separata da quella statuale. Nel diritto internazionale classico gli individui rilevavano per la posizione civile e politica, economico-sociale e militare; erano tutelati poi collettivamente, come componenti di nazioni e di minoranze nazionali. Nel diritto internazionale moderno, la posizione internazionale degli individui si è estesa al campo dei cd. diritti umani o fondamentali; sono le stesse Costitiuzioni che prevedeno oltre a una loro elencazione una secondo sussidiario livello di protezione internazionale, evidenziato da apposite Carte spesso "solenni". La soggettività degli individui rileva particolarmente all'interno di Organizzazioni internazionali (con espressioni quali "diritti umani", "diritti fondamentali" ecc., disciplinati da trattati isttutivi, atti complementari ecc.). Nelle organizzazioni classiche i privati godono di protezioni giuridiche riflesse, perchè tali organizzazioni impongono il rispetto agli Stati membri e agli Stati-nazione: in organizzazioni più recenti, nelle quali sono creati spazi autonomi di tutela apposita, gli individui possono esercitare forme di auto-protezione, soprattutto se inseriti in categorie di diritti fondamentali: in quel caso, gli Stati hanno dovere all'astensione e alla salvaguardia o di prestazione attiva nei casi di diritti economici e sociali. Nel diritto dell'Unione Europea, si parla di cittadinanza come status dell'individuo di eguaglianza, non discriminazione e parità di trattamento. Tale status si distingue in cittadinanzia economica o di mercato (connessa alla libertà di circolazione di merci, lavoratori, capitali, al diritto di accesso ai mercati e alla concorrenza) e cittadinanza politico-democratica (connessa ai diritti politici di partecipazione alla vita pubblica). La cittadinanza dell'Unione Europea è sussidiaria e secondaria rispetto a quella nazionale e ne segue le vicende. Si ha così una legittimazione duale. (segue) Crimini internazionali In base a un principio di jus cogens, gli Individui hanno responsabilità internazionale nei casi di crimini di guerra e contro l'umanità: rilevante in tal senso è l'istituzione della Corte penale internazionale (2002), tribunale permanente per i cd. crimini internazionali degli Individui, che pur nei limiti soggettivi ed oggettivi ha un importante ruolo di contrato alla grande criminalità polittica, militare e terroristica operata da gruppi di "individui- 22 coordinamento, regolatrici dei conflitti di leggi e di competenza, espressione dei più generali conflitti di interessi (si pensi alla disciplina economica). Funzioni organizzative di Cooperazione e Integrazione La funzione principale della maggior parte delle Organizzazioni internazionali è quella di cooperazione istituzionale: con tale termine, che si lega indissolubilmente al principio democratico, si vuole intendere che i soggetti coesistono all'interno delle Organizzazioni in modo cooperativo, evitando atteggiamenti di blocco o di egemonia (fatte salve situazioni particolari e limitate). Secondo la Carta ONU il contenuto della cooperazione può essere politico, economico, sociale, culturale ed umanitario. Un campo particolarmente significativo è quello dello sviluppo economico e sociale dei popoli: tale fine ha accomunato diverse diverse organizzazioni anche precedenti alla nascita dell'Organizzazione mondiale. Nelle NU l'instaurazione di un nuovo ordine economico mondiale è stata perseguita mediante la Carta dei doveri e dei diritti economici degli Stati, che impone doveri di cooperazione allo sviluppo e definisce uno status di eguaglianza compensatrice in capo ai paesi in via di sviluppo: a tali finalità si sono dovute adeguare diverse organizzazioni regionali. La funzione di integrazione, invece, designa un processo tendente a formare una più stretta associazione, unione o federazione fra Stati, avente tre caratteristiche fondamentali: comunità di soggetti (soggetti ordinamento interno = soggetti ordinamento comunitario), comunità di poteri (comandi degli organi comunitari con efficacia diretta) e comunità di garanzie (i soggetti di diritto interno possono adire direttamente gli organi e le giurisdizioni comunitarie). Oggi alcune Organizzazioni di integrazione hanno perso alcune caratteristiche "sovranazionali" iniziali dando vita a forme miste di integrazione- cooperazione: è rilevante poi anche il fatto che organizzazioni di cooperazione presentino organi sovranazionali di individui. In sostanza, l'unica caratteristica peculiare della funzione di integrazione è la sovranazionalità del potere nei confronti degli individui, cioè l'efficacia del diritto comunitario nei confronti dei soggetti dell'ordinamento interno. Il richiamo all'integrazione è esplicitato soprattutto nei trattati latino-americani. Funzioni politiche, economiche e amministrative Le Organizzazioni politiche, ex art. 1 e 57 ONU, hanno competenza generale volta alla gestione dell'ordine politico ma anche economico-sociale: la comune finalità è il mantenimento della pace e della sicurezza. Invece gli Istituti specializzati vengono individuati in funzione dei compiti svolti (organi delle NU, Organizzazioni regionali). L'obiettivo della pace internazionale può essere interpretato secondo due dimensioni: quella universal- individuale, propria dell'ideale dell'Organizzazione mondiale voluta dagli Stati fondatori ONU, e quella universal- regionale, affermatasi in base alla "interpretazione" effettuata dall'Assemblea Generale (ispirata ai principi del Movimento dei non allineati) con la Dichiarazione sui principi del diritto internazionale del 1970: essa è incentrata sulla difesa della sovranità nazionale e dell'auto-determinazione contro l'uso della forza e dell'intervento esterno, con la preclusione della partecipazione ad Organizzazioni militari. L'obiettivo della giustizia internazionale invece è stato interpretato nel senso che l'uguaglianza formale può lasciare il posto a diseguaglianze dovute a qualità fattuali: ne è un esempio il favor nei confronti dei paesi in via di sviluppo dovuto alla specificità della loro situazione economica. Per quanto riguarda le Organizzazioni con funzione economica, si possono catalogare in vari modelli funzionali: area di libero mercato (economia di mercato), arie preferenziale (di libero scambio), unione doganale (tariffa comune), mercato comune (libera circolazione delle merci), comunità economica (mercato comune con politiche comuni), unione economica e monetaria (con politiche comuni nel settore monetario e finanziario), mercato unico (senza frontiere) e area di mutua assistenza (socialista, oggi scomparsa). Le Organizzazioni a funzione finanziaria sono invece fondi e banche internazionali che amministrano e mobilitano risorse finanziarie per raggiungere scopi validi. Un esempio è la Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo delle aree ex-socialiste, ma soprattutto il Fondo Monetario e la Banca Mondiale. Le funzioni tecnico-amministrative vengono invece svolte da diversi tipi di unione amministrativa che allestiscono servizi e prestazioni in settori specifici (Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica, Autorità internazionale dei fondi marini ecc.) Norme sulla partecipazione nazionale L'ordinamento italiano assicura il coordinamento normativo con le Organizzazioni Internazionali mediante l'autorizzazione alla ratifica dei trattati istitutivi e mediante attività normativa ordinaria rivolta ad assicurare cooperazione. Può inoltre mantenere relazioni con Organizzazioni delle quali non è membro e attuare politiche di favor rispetto a determinate Organizzazioni. L'appartenznza dell'Italia alle Organizzazioni internazionali è regolata da norme che ne disciplinano la competenza ai vari livelli e concernono la disciplina delle relazioni estere dello Stato. Col doppio atto "autorizzazione alla ratifica + ordine di esecuzione" si rende possibile la partecipazione italiana agli organi di ciascun Ente mediante una presenza appropriata e i successivi atti interni che si rendessero necessari. Per il diritto derivato delle Organizzazioni sovranazionali, inoltre, è prevista un attività normativa interna di "secondo livello" esecutiva degli atti comunitari, a seconda della distinta efficacia giuridica 25 delle varie categorie di atti. Le vicende dell'ammissione italiana all'ONU sono molto complesse: dopo la legge interna di autorizzazione del 1975 non furono mai emenati provvedimenti legislativi in esecuzione di proveddimenti adottati dall'ONU fino all'inizio degli anni '90 (Guerra del Golfo). La nostra Costituzione recepisce i principi umanitari della Carta delle NU: il nostro paese ha contribuito nel tempo a svilupparli, soprattutto a livello europeo, con riferimento ai diritti delle donne e dei minori ma anche della cooperazione allo sviluppo che è oggi parte integrante della politica estera dell'italia. Anche se molti rapporti l'Italia li intrattiene in modo indiretto mediante Organizzazioni internazionali universali e regionali, nel settore della cooperazione allo sviluppo mantiene rapporti individuali e diretti per esempio mediante partecipazioni a organismi e banche internazionali regionali. Interessante è il riordino della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero affari esteri (l. 49/1987). Peculiare è l'aspetto della cooperazione concernente la garanzia dello status internazionale degli Istituti specializzati nell'ordinamento giuridico italiano: la ratifica per la Convenzione sui privilegi era stata autorizzata ma mai divenuta operativa per una esplicita riserva sul trattamento degli Istituti specializzati con sede sul territorio italiano. Tale posizione fu superata da una dichiarazione del 1985 che attribuiva al governo la facoltà di concludere con dette Istituzioni accordi che precisassero i limiti dell'immunità giurisdizionale e dell'esenzione dalle imposte. Un accordo importante fu concluso con la FAO che recepisce praticamente tutte le direttive della predetta Convenzione. Partecipazione comunitaria dell'Italia La partecipazione dell'Italia all'Unione Europea si segnala per l'esistenza di un vero e proprio diritto parallelo interno che segue passo per passo l'esperienza unionistica, con un costante adeguamento alla sua evoluzione. Il sistema di partecipazione, così come messo a fuoco dopo un'esperienza pluridecennale, è stato disciplinato dalla legge 86/1989 (legge La Pergola), sostituita dalla legge 11/2005 (legge Buttiglione), che disciplinano l'esecuzione degli obblighi comunitari nella duplice fase ascendente (assunzione degli obblighi) e discendente (esecuzione interna). Secondo tali leggi, gli Organi competenti alla partecipazione ed esecuzione degli obblighi comunitari sono: il Parlamento (indirizzo politic-legislativo), il Consiglio dei ministri (indirizzo e coordinamento), il Presidente del Consiglio dei Ministri (promuove e coordina l'azione di Governo), la Conferenza Stato-Regioni (organo consultivo sugli indirizzi generali), il Segretario generale della Presidenza del Consiglio (responsabile dell'apparato burocratico), il Ministro per le politiche comunitarie, il Comintato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE, concorda linee politiche) e altri organi. Le procedure di esecuzione sono invece di tre tipi: legislative, regolamentari-amministrative e di controllo. In via legislativa si privilegia la legge comunitaria (o di esecuzione programmata annauale), una legge quadro rispetto ai singoli provvedimenti comunitari già emanati, mentre in via regolamentare-amministrativa si privilegia la delefigicazione; l'esecuzione a livello regionale è prevista in via legislativa e l'esecuzione in via giurisdizionale concerne l'esecuzione degli atti normativi comunitari e del diritto italiano di esecuzione. La legge comunitaria annuale rispetto all'esecuzione del diritto delle altre Organizzazioni ha tre meriti: è globale (si riferisce a tutti gli atti normativi dell'Unione), periodica (adattamento annuale) e polifunzionale (attua le funzioni di adattamento a tutti i livelli di attività). L'adattamento successivo agli atti comunitari si svolge mediante legge comunitaria annuale, esecuzione in via regolamentare e attuazione in via amministrativa. CAPITOLO NONO: NAZIONI UNITE Dalla Società delle Nazioni alle Nazioni Unite Il modello di Organizzazione internazionale del XX secolo, come ente polifunzionale di legislazione, amministrazione e giurisdizione, nasce con la Società delle Nazioni, istituita in base ad un accordo internazionale adottato dalla Conferenza della pace del 1919 e dichiarata estitna nel 1946. L'obiettivo era quello di perseguire gli scopi storici della cooperazione fra Stati e la garanzia della pace e della sicurezza, ma con mezzi parzialmente nuovi: ricorso limitato all'uso della forza e rispetto rigoroso del diritto internazionale. La Società delle nazioni rileva come apripista di una nuova era nelle relazioni internazionali; costituiva una società o comunità di stati tendente a coincidere con la comunità universale, su base rappresentativa e quindi democratica, con forma di governo interstatuale e intergovernativa ma senza la pretesa di creare un super-stato. L'ordinamento si conforma a due diverse concezioni, unite dal principio democratico: per gli internazionalisti era sufficiente fermarsi ai principi di diritto delle Organizzazioni internazionali, mentre per gli istituzionalisti si doveva trasferire il modello organizzativo degli Stati liberali nell'Organizzazione. La Società fallì per i suoi evidenti limiti: deficienze per la debolezza del sistema di sicurezza internazionali e la mancata previsione di sistemi di siturezza regionale. In particolara, la limitazione della sua competenza esclusivamente politica fu motivo di critica da parte degli USA, che non sottoscrissero l'accordo perchè a loro parere l'unico modo per eliminare le controversie era eliminarne le cause, e cioè la mancata libertà di commercio che rendeva l'interdipendenza degli Stati particolarmente ardua. Gli USA combatterono anche per la messa al bando totale della guerra, che restava lecita in ipotesi precise (mancata 26 unanimità del Consiglio ecc.); troppa libertà veniva comunque lasciata agli Stati. La Società non aveva mezzi per far rispettare le sue leggi: modi, tempo e luoghi di intervento venivano scelti dagli Stati membri, che continuarono a gestire gli eserciti anche dopo il cd. Patto Briand-Kellog che formalmente rendeva obbligatoria per gli Stati la rinuncia alla guerra. Altra immensa debolezza del sistema era la concorrenza con le Organizzazioni regionali che perseguivano gli stessi obiettivi (Europa, Commonwealth). Tutti questi problemi portarono all'impossibilità per la Società di prevenire il secondo conflitto mondiale e quindi al suo scioglimento. La Società delle Nazioni La Società delle Nazioni aveva tre elementi nuovi: un'Assemblea, un Consiglio e una Corte permanente di giustizia; si introdusse nelle relazioni il principio democratico (eguale rappresentanza degli Stati membri) e si rese pubblica la diplomazia multilaterale. Quattro poteri la rendevano un'associazione sui generis: assemblea, governo, amministrazione e giurisdizione. Per quanto riguarda il parlamentarismo, frutto dell'idologia liberal-democratica, vi fu la ferma volontà di trasferire sul piano internazionale l'idea moderna dello Stato-parlamentare e democratico da parte di governi e parti sociali con la democratizzazione delle assemblee. Il modello di governo invece rimase quello del Concerto europeo, basato sul metodo del negoziato permanente: il Consiglio della società fu un governo internazionale che gestiì numerose diatribe con interventi conclusi con esito positivo o meno. Per quanto riguarda l'amministrazione, furono accolte o collegate alla società le varie preesistenti unioni specializzate in vari settori amministrativi (a struttura binaria: Conferenza tecnica + Segretariati): l'unico neo era l'incompetenza nel settore delle relazioni sociali ed economiche. Il pacifismo internazionale si sviluppò invece grazie all'Unione Interparlamentare, organismo esterno composto da rappresentanti dei parlamenti nazionali per la pace e la collaborazione fra i popoli: tra le sue competenze anche quella giurisdizionale, in base a norme internazionali come i trattati elaborati dalla Società in sede di Conferenza della pace dell'Aja (uno sulla soluzione pacifica e tre sul disarmo). Sopravvivenza di Principi organizzativi Della Società delle Nazioni sopravvisero alcuni principi organizzativi: universalismo, regionalismo, funzionalismo e statalismo. Universalismo: l'art. 1 sanciva che la Società tendeva all'universalità: gli Stati membri si dividevano in originari (firmatari del trattato di Pace ed invitati ad accedere al patto) e ammessi (singolarmente con delibera dell'Assemblea Generale, previa verifica dell'esistenza di determinati requisiti democratici e di accettazione della limitazione sugli armamenti). Gli Stati membri potevano recedere volontariamente dalla Società (passati due anni e avendo adempiuto a tutti gli obblighi) o esserne esclusi. Regionalismo: il Patto conteneva una clausola di compatibilità e salvaguardia in favore di accordi regionali sottratti alla competenza della Società. Ciò era una deroga evidente alla universalità del Patto e al suo regime di prevalenza sugli altri obblighi o intese. Il regionalismo normativo fu florido sotto il ventennio di vita della Società (Patto renano ecc.). Funzionalismo: le funzioni diverse da quella di mantenimento della pace (cooperazione internazionale nei settori di interesse nazionale ed individuale) erano fissate dalle disposizioni finali del Patto: si tratta di tutela dei diritti individuali (diritti dei lavoratori, diritti di libertà morale, diritti di libertà economica), tutela dei diritti dei popoli (sottoposti all'amministrazione coloniale degli Stati membri) e salvaguardia dei popoli non ancora capaci di autodeterminazione (sottoposti al regime dei mandati; i mandatari erano fissati dal trattato, mentre le categorie dei mandati erano di tre categorie: tipo A, tipo B e tipo C). Statualismo: gli Stati membri si facevano portatori dello status giuridico fondamentale della Società in base al quale nascevano diritti e doveri nei confronti degli altri Stati nell'ambito dell'Organizzazione (diritto di voto, alla integrità territoriale) oppure riservati nei confronti dell'Organizzazione (diritti all'autotutela e alla legittima difesa ecc.): si ricordano i diritti di partecipazione sociale, di emendamento (per la modifica del patto), diritto di voto (unico ed unanime), diritto dell'integrità territoriale (disconoscimento misure di annessione ecc.). Le Nazioni Unite La Carta di San Francisco del 1945 istituisce non solo l'ONU, ma un nuovo assetto proprio di una Comunità internazionale organizzata a tendenza universalistica: in tale scenario, la Carta afferma il proprio primato normativo, rendendo l'ONU un'organizzazione di vertice rispetto alle altre. La vocazione universale delle Nazioni Unite, nate come alleanza di guerra, si concretizzò fino al 1945 nell'obiettivo di spingere gli Stati non membri a conformarsi ai propri principi. Dopo il 1945, invece ci fu una spinta ad allargare l'ambito del modello di Organizzazione oltre alla comunità ancora fondamentalmente euro-centrica, con la decolonizzazione e la moltiplicazione progressiva dei nuovi Stati. Dopo la fine della contrapposizione in "blocchi" e della guerra fredda, l'ONU si allargò a tal punto da divenire un'Organizzazione con maggioranza dei Paesi del cd. Terzo Mondo, che detengono la maggioranza in Assemblea ma non nel Consiglio, dove vale ancora il principio di veto delle quattro potenze. Per quanto riguarda il funzionalismo, la Carta indica solo alcuni principi generali: si può parlare in tal senso di universalismo funzionale, con progressiva espansione delle funzioni unionistiche. A tale scopo, grazie 27 venne aggiunta solo come richiamo a un principio che alcuni dei partecipanti alla Conferenza avevano voluto positivizzare, senza configurarne un sistema di garanzia (per volere degli USA e dell'URSS): per togliere ogni dubbio sulla omnicomprensività del divieto fu aggiunta la frase finale "in qualunque altro modo incompatibile coi fini delle NU", che rende altresì lecito l'uso della forza in base a una delibera del Consiglio di Sicurezza in esecuzione dell'art. 42. Certamente la normativa ONU fu di ostacolo alla guerra di aggressione: di fatto la Comunità internazionale aveva tolto agli Stati il loro tradizionale "ius belli", declassandolo ad una semplice facultas bellandi alla quale in effetti gli Stati si appellavano nell'uso lecito della forza armata (sostituendo lo ius ad bellum: legittima difesa, rappresaglia armata). Il divieto era inoltre rinforzato dai patti di sicurezza collettiva regionale (NATO, OSA); le procedure di reazione collettiva dell'ONU (o delle Organizzazioni regionali) prescindono dalla definizione preventiva dell'aggressione, difficile da accertare in breve tempo, e si giustificano come misure di polizia internazionale tendenti all'immediata cessazione delle attività (solo se permane l'attualità dell'attacco si elabora un giudizio collettivo con seguente dichiarazione di illegittimità). Con la "Dichiarazione relativa ai principi di diritto internazionale sulle relazioni amichevoli e la cooperazione fra gli Stati conformemente alla Carta delle Nazioni Unite" del 1970, adottata con risoluzione dell'Assemblea Generale, furono riesaminate le disposizioni della Carta alla luce della prassi post-1945 (permanere di conflitti contenuti o di Stati minori). La dichiarazione rappresenta quasi una nuova carta dei diritti e doveri politici degli Stati. Passano al primo posto il divieto dell'uso della forza, l'obbligo della soluzione pacifica delle controversie e del non- intervento; l'eguaglianza dei popoli e degli Stati passa in secondo piano come strumento di cooperazione internazionale. Viene così precisata e specificata la portata del divieto di uso della forza; resta lecita solo la legittima difesa (è vietata anche la propaganda della forza armata). Importantissimo è il principio di non- intervento negli affari interni degli Stati, non espressamente definito dall'art. 2 della Carta NU, inteso come divieto degli interventi diretti od indiretti (armati, ma anche politici ed economici) negli affari interni od esterni di un altro Stato. Tale principio è mitigato da forme di cd. ingerenza umanitaria. A corollario di tale regime, conseguenza della Carte è il disarmo come legittima restrizione o limitazione od esclusione della forza armata, sia atomica che non atomica degli Stati della comunità: la definizione è lasciata all'Assemblea Nazionale, mentre spetta al Consiglio di Sicurezza formulare piani a riguardo. Parallelo al disarmo degli Stati doveva essere il riarmo dell'ONU come "governo mondiale". E' ovvio che la disciplina attuale risente del "potere di veto" delle 5 Grandi Potenze nel Consiglio di Sicurezza: così l'arma atomica non è illecita di per sè ma ne è vietato l'uso: le armi convenzionali sono invece state "riabilitate" e quindi diffuse negli Stati (i nuovi Stati vengono dotati con commercio internazionale di armi per il rinnovamento tecnologico). La sola limitazione dell'armamento atomico, unito a quanto detto, ha portato a una crisi dell'attuale regime internazionale del disarmo. Misure di soluzione delle Controversie (Capi VI, VII e VIII) Il sistema di sicurezza collettiva è caratterizzato dal monopolio dell'azione coercitiva da parte dell'Organizzazione. La Carta a tal fine predispone un sistema inteso ad attuare il diritto: la responsabilità principale è attribuita al Consiglio di Sicurezza, con competenza sulla soluzione pacifica delle controversie (Capi VI, funzione conciliativa esplicata con raccomandazione), sulla "azione" a tutela della pace violata (Capo VII, funzione esplicata con decisioni vincolanti). Inoltre, anche accordi od Organizzazioni regionali vengono ritenuti idonei ad intervenire in vece dell'ONU (Capo VIII). Il ruolo centrale e predominante del Consiglio di Sicurezza è stato fonte di accesi dibattiti, a causa del potere di veto delle 5 Grandi Potenze che di fatto ha bloccato a lungo la Carta NU. I poteri articolati del Consiglio nei Capi VI e VII sono successivi al potere di indagare (art. 34) sulle controversie per determinare se siano suscettibili di ledere la pace internazionale: anche se tale disposizione si trova nel Capo VI, si considera preliminare a tutti i tipi di intervento del Consiglio. Il ruolo del Consiglio si articola in cinque successivi articoli della Carta: il 34 (potere di indagine), il 36 (potere di emanare raccomandazioni per risolvere la questione), il 37 (potere di raccomandare una soluzione ritenuta adeguata), il 39 (decidere misure coercitive non implicanti l'uso della forza, 41, o implicanti l'uso della forza, 42 o fare raccomandazioni) e il 40 (potere di invitare le parti ad ottemperare alle misure provvisorie prima di addivenire alle sanzioni). Sul piano logico-giuridico, questi articoli tracciano una via graduale all'operato del CdS, mentre sul piano pratico-politico pongono a carico del CdS di esperire i suoi poteri nello stretto ordine cronologico conciliativo-sanzionatorio. L'Assemblea, del canto suo, può in sostanza adottare tutte le possibili misure previste dal Capo VI (per il combinato disposto con l'art. 14 e 11.2, che le assegna il potere di discutere questioni riguardanti il mantenimento della pace), come ad esempio esperire il proprio potere di inchiesta, emettere raccomandazioni e istituire organi di buoni uffici. Le relazioni tra i due organi, in effetti, appaiono molto flessibili e si traducono nella pratica in forti divergenze e prese di posizione, in forza dell'art. 24 (che non definisce una irresponsabilità dell'Assemblea), dell'art. 11 (l'Assemblea deve riferire al Consiglio su ogni questione: anche quelle ex Capo VII?) e dell'art. 12 (l'Assemblea non emette raccomandazioni su una controversia o situazione). a) ex Capo VI 30 il Capo VI, che mira alla soluzione pacifica delle controversie, è stato criticato per scarsa chiarezza. Si può affermare con certezza che nella composizione pacifica delle divergenze l'ultima parola spetta agli Stati interessati, visto che il Consiglio può solo raccomandare la conciliazione, indicandone i procedimenti (art. 36 e 37). Le fattispecie disciplinate sono dette controversie (un soggetto pretende un comportamento da altri Stati) o situazioni (più Stato fanno la stessa richiesta). Condizione essenziale per l'attività del Consiglio è l'esistenza di una disputa, fatto salvo il limite sostanziale della domestic jurisdiction per le materie di competenza Statale (eccetto fenomeni di cirsi con ripercussioni internazionali). L'intervento va dalla sollecitazioni delle parti alla ricerca della soluzione di una controversia con mezzi pacifici (art. 33; negoziato, inchiesta, mediazione, buoni uffici ecc.) alla raccomandazione di specifici metodi (art. 36) alla definizione di termini di regolamento per la soluzione nel merito della controversia (art. 37). b) ex Capo VII Disciplina l'azione a tutela della pace violata con poteri progressivamente crescenti e risolutivi. L'art. 39 stabilisce il potere di fare raccomandazioni in alternativa alle misure coercitive, quando esiste una minaccia per la pace. Vi è l'obbligo di astensione dal voto per lo Stato interessato. L'art. 40 prevede da parte del Consiglio l'adozione di misure provvisorie per prevenire l'aggravarsi della situazioni: tali misure, come il cessate il fuoco, non hanno priorità cronologica sulle sanzioni. Discusso è il carattere vincolante di tali delibere, che riposerebbe sulla parte conclusiva dell'articolo (il CdS prende in debito conto il mancato ottemperamento a tali missure provvisorie). L'art. 41 disciplina invece le misure sanzionatorie non implicanti l'uso della forza, adottate dal Consiglio nei confronti di Stati che turbino la pace: principalmente consistono nell'interruzione delle relazioni economiche e sono vincolanti (decisioni), assegnando ampi poteri decisionali al Consiglio, che non sempre ha saputo sfruttare tale sua prerogativa a causa di divisioni interne (che hanno fatto spesso si che molte misure di questo tipo fossero emanate con semplici raccomandazioni): tale fenomeno pare però dissoltosi con la caduta dell'Unione Sovietica (si pensi alle risoluzioni contro la Libia, la Somalia, l'Iraq e l'ex-Jugoslavia). L'art. 42, che disciplina invece le misure sanzionatorie implicanto l'uso della forza armata, non è mai stato applicato per un semplice motivo: l'inesistenza di un contingente armato sotto il controllo ONU. L'intervento in Corea nel 1950 non è inquadrabile in tale fattispecie perchè era una sorta di "delega" dell'uso della forza concessa a Stati membri, così come non lo sono le Risoluzioni del 1960 e 1964 riguardanti Congo e Cipro, in quanto promulgate con l'appoggio dello Stato territoriale (posizione della Corte Internazionale di Giustizia). ex Capo VIII L'art. 52 prevede il ricorso alle Organizzazioni regionali come mezzo di regolamento pacifico delle controversie. L'art. 53 si occupa delle Organizzazioni regionali che perseguono scopi di difesa, prevedendone l'utilizzazione da parte del CdS la cui autorizzazione è richiesta per ogni azione coercitiva: rilevano in tal caso come organi decentrati delle NU. Ciò ha finito per sostituire parzialmente il sistema di sicurezza collettiva ex. Capo VII (paralizzato dal disaccordo delle cinque potenze), dimostrando peraltro una efficacia superiore dovuta alla maggiore aderenza ai problemi concreti degli Stati membri. Tipologia delle Forze di polizia internazionale (peace-building-keeping-enforcing) Per il ristabilimento dell'ordine pubblico internazionale violato, l'ONU si serve di un'unitaria organizzazione di corpi militari predisposti ad hoc, con una triplice categoria di operazioni distinte a seconda che tendano al mantenimento della pace (peace-keeping), al ripristino della pace (peace-making) e esecuzione forzata della pace (peace-enforcement). Particolare importanza rivestono le Peace-Keeping Operations (PKO), non esplicitamente previste dalla Carta NU ma istituite in virtù della prassi: sono corpi militari con funzioni tipizzate e variabili (le forze di pace delle NU sono note come "Caschi blu"). Il Segretario delle NU ha definito le PKO "impiego di personale militare e civile per mantenere fuori dallo scontro Stati o comunità in conflitto". Possono fare uso della forza solo per autodifesa ed espletare molteplici funzioni (osservazione, indagine, supervisione, assistenza ecc.). Vanno esaminate modalità operative, aspetti politici e prospettive delle PKO. La dilatazione delle loro funzioni le porta quasi a sovrapporsi alla promozione della pace (peace-making) predisponendo soluzioni negoziali al conflitto. La procedura di formazione delle PKO parte dalla maturazione del consenso delle parti in causa, a cui segue una enabling resolution del CdS (o dell'Assemblea Generale) per iniziativa di Paesi membri: così nasce l'operazione. Entra allora in gioco il Segretario Generale, responsabile del funzionamento operativo delle PKO, che, previo rapporto sulle funzioni e i principi della costituenda Forza e approvazione finanziaria dell'Assemblea Generale, nomina il Capo della Missione di Osservatori Militari, cui sono sottoposti gli Osservatori inviati dagli Stati e i contingenti nazionali (le intese per l'ingaggio sono stipulate dal Segretario): le PKO agiscono come organi sussidiari al CdS. Cinque sono i requisiti fondamentali: accordo delle parti, accordo da parte della Comunità Internazionale, natura non coercitiva, imparzialità e base volontaria di Osservatori e Contingenti. 31 Trasformazione del regime delle Operazioni di Pace (cd. Capi VI ½ – VII ½) Le PKO riempiono il vuoto esistente fra disposizioni conciliative (Capo VI) e coercitive (Capo VII): rappresentano il "Capo VI ½" della Carta, secono il Segretario; la loro base concettuale è rinvenibile nell'art. 21 che pone poteri impliciti al CdS qualora gli scopi delle NU lo richiedano. Le PKO non possono essere ricomprese tra le sanzioni dell'art. 42 per la necessità del consenso delle parti: alcuni autori le riconducono alle misure provvisorie ex art. 40, mentre altri le riconducono ai metodi pacifici di risoluzione delle controversie ex art. 33. In realtà è più corretto ritenere che la loro legittimità si fonda su una prassi consuetudinaria conforme ai principi e alle finalità della Carta; sono frutto del potere funzionale delle NU di dare vita a nuovi apparati e organi sussidiari, quali appunto sono le PKO. Stante il fallimento delle peace-enforcing operations ex Capo VII, le PKO hanno rappresentato lo sviluppo del concetto di sicurezza collettiva basata sul consensus e sono oggi unanimamente accettate. Per Capo VII ½ si intende invece riferirsi alla prassi delle operazioni autorizzate con delega ad organismi regionali o a raggruppamenti regionali di Stati in sostituzione delle peace-enforcing operations: è sempre necessaria in tal caso l'autorizzazione del CdS, che è stata anche frutto di interpretazione estensiva. Autorizzazione alla Legittima Difesa individuale e regionale e Legittima Difesa preventiva non autorizzata L'art 51, nell'alveo del Capo VIII, regola il diritto di autodifesa estendendolo all'autotutela collettiva, consentendo l'uso eccezionale della forza anche agli Stati che intervengono in aiuto allo Stato oggetto dell'attacco. Deve esistere in ogni caso un precedente vincolo fra i due Stati, oppure una esplicita richiesta da parte della vittima o il suo previo consenso. La storia ha registrato diversi mutamenti nel diritto alla legittima difesa: fino al XIX secolo, era considerata mezzo di autogestione, con frequente uso ed abuso delle cd. guerre difensive. Nel XX secolo, il diritto fu riconosciuto dal common law: Kellog lo riteneva lecito come risposta ad un attacco armato contro il territorio proprio di uno Stato. Tale formulazione "in bianco" è recepita dall'art. 51 della Carta e va "completata" dall'azione istituzionale svolta dall'ONU. Ne consegue la necessità di un collegamento con i patti di sicurezza regionale (regime sostanziale nelle singole regioni) e di interpretazione relativamente alle classi di ipotesi in cui è attuabile. L'art. 51 è una norma di chiusura sull'uso lecito della forza, aggiuggendosi a quelle ex Capo VII. E' ovvio che rappresenta un diritto parziale, limitato e ad esercizio controllato da parte del CdS, ed è ovvio che si qualifica come risposta ad un attacco armato, escludendosi la difesa preventiva ad un attacco armato. Detto questo, sono due le interpretazioni plausibili dell'art. 51: norma derogatrice e di eccezione al divieto dell'uso della forza e norma aperta al diritto internazionale classico e moderno, coincidente con la classica disciplina dell'autotutela rispetto a forme minori dell'attacco armato. L'art. 51, concretamente, ha subito un processo a "metà" fra le due strade: da norma eccezionale si è trasformata in norma speciale, che autorizza l'esercizio della forza a titolo di ordinaria esecuzione delle condanne ex art. 39. In sostanza, le ipotesi e i casi di ammissibilità della legittima difesa sono stati notevolmente ampliati (allargamento del reigme di resistenza dai conflitti internazionali a quelli interni), con definizione fatta dall'Assemblea Generale e ricomprendente tutta la fenomenologia dei conflitti fra Stati (forme di aggressione, attacchi minori, terrorismo; si può reagire quando sono violati il divieto al non-uso della forza armata, alla non-aggressione e al non-intervento). Detto questo, gli effetti esecutivi dell'istituto sono tendenzialmente definiti a livello regionale o locale: insomma l'ONU è stato ridotto a sistema di sola legittimazione della sicurezza collettiva; l'esecuzione spetta a unioni regionali o singoli Stati. L'apertura ai sistemi regionali con rinvio al diritto interregionale, fa ricadere in capo agli Stati membri del gruppo un diritto-dovere all'esercizio della legittima difesa. Si ha quindi una progressiva sostituzione degli organismi regionali di sicurezza collettiva all'ONU. L'autotutela può svolgersi nei conflitti internazionali e interni, a sostegno della legittima difesa in zona o fuori zona all'area geografica coperta dal Trattato istitutivo dell'Organizzazione e contro gli attacchi provenienti da Stati membri o terzi rispetto all'Organizzazione. Esistono tuttavia controversi limiti del regime di legittima difesa: può essere esperita solo nell'ipotesi di attacco armato contro uno Stato, diretto (conflitti internazionali) o indiretti (conflitti interni). Per "attacco armato", però, si intende anche l'attività di gruppi terroristici, con esercizio della repressione interna e di collaborazione penale e di polizia. Gli atti di terrorismo sono tendenzialmente colpiti sotto il duplice profilo di violazione personale del diritto interno e internazionale nei confronti di Stati tolleranti o sostenitori. La reazione si attua mediante mezzi pacifici o "altri mezzi" (restrizione libertà di movimento agenti diplomatici e cittadini stranieri, fino alla sospensione di rapporti economico-finanziari). Sono lecite fattispecie minori di intervento dello Stato per la tutela dei cittadini all'estero o degli stranieri per ragioni di umanità: tali fattispecie giustificano l'invasione di territorio altrui solo se autorizzate dal CdS, sempre conformandosi ai criteri generali (proporzionalità, non pregiudicabilità dello Stato straniero). CAPITOLO DECIMO: USI COLLETTIVI E MINORI DELLA FORZA Usi collettivi della Forza nella gestione dei Conflitti armati internazionali Nell'ultimo ventennio si è assistito all'ampliamento della gestione dell'ordine giuridico concernente l'uso collettivo 32 fondamentalisti islamici dell'Asia Centrale. Il seguente appello al mondo occidentale, euro.americano ed a quello americano-asiatico ha portato ad una nuova allenaza globale con effetto di "schiaccianoci" sul nucleo duro degli Stati ritenuti terroristici. Ne conseguì un intervento di polizia internazionale nell'area (guerra afgana, 2001-2002) che ha visto associarsi i due vecchi campi filo-USA e filo-URSS con l'adesione da parte degli Stati asiatici una volta non allineati. Nella nuova Grande Alleanza americano-russo-cinese si segnala il Gruppo di Shangai (che associa alla Repubblica popolare cinese 5 Stati dell'ex Unione Sovietica), il cui scopo è il contenimento del fondamentalismo islamico, nonchè il Triangolo dei cd. Stati moderati dell'Asia Centrale (Turchia, Pakistan e India). Con queste collaborazioni si riuscì a conquistare Kabul, il 13 Novembre 2001 con ingresso delle forze alleate. Il nuovo pericolo derivante dal terrorismo, proveniente da un gruppo a-statuale di soggetti privati, ha portato a un governo internazionale de facto delle società globale sotto la leadership anglo-americana, rispetto alla quale le Organizzazioni internazionali hanno un ruolo di mero consensus e di esecutori materiali di decisioni prese altrove. Usi minori della Forza: a) Interventi globali multifunzionali; b) Rappresaglie non armate e contromisure L'insorgere di problemtiche trasversali (che riguardano tutti i Paesi con soluzioni multilaterali) ha investito il peace-keeping, esteso nelle sue finalità di sostegno in favore dell'amministrazione governativa e della popolazione civile degli Stati destinatari dell'interventi. Inoltre le PKOs vengono sempre più spesso utilizzate con come mezzi di osservazione anticipata lungo le frontiere "calde", in base al principio della diplomazia anticipativa, nonchè come interventi collettivi tendenti a ricostruire apparati Statali, civili, militari con operazioni che finiscono per identificare gli strumenti dei piani di pace (piani di ricostruzione democratica, ecc.): le operazioni di pace sono perciò dette multifunzionali. Rileva in modo particolare l'istituto della rappresaglia, che sembrava di fatto estinto in forza del divieto dell'uso della forza: invece esso rappresenta un rimedio minoris generis (come male minore) che permette agli Stati di svolgere funzioni di supplenza per il mantenimento dell'ordine internazionale. La Società delle Nazioni e le NU ne hanno fagtto largo uso, non implicanti l'uso della forza armata. Attualmente, la rappresaglia nella sua nozione tecnico-giuridica prende il nome di conromisura: si intende con tale termine, secondo la Commissione di diritto internazionale, un comportamento di per sè illecito che diviene lecito in quanto posto in essere in contrasto ad un illecito altrui. Tali "comportamenti in deroga" hanno il fine di persuadere lo Stato violatore a ripristinare la situazione originale. La contromisura è sottoposta a precisi limiti: quello della proporzionalità, che vieta un'eccessiva sproporzione tra la violazione scatenante e la contromisura, e quello delle norme di ius cogens internazionale che per loro natura sono inderogabili. Altri limiti sono imposti ad esempio da discipline particolari previste da trattati istitutivi delle Organizzazioni internazionali che impongono di esperire le misure di giustizia predisposte dalle stesse oppure le vietano se non in situazioni espressamente disciplinate (contromisure = sanzioni economiche appartenenti alla sfera di intervento di ciascuna Organizzazione). Nella prassi, insomma, con contromisura si intende ogni forma di autotutela della legalità internazionale. Il regime generale delle rappresaglie è confermato dai regimi regionali adottati in sede europea ed extra-europea. Per quanto riguarda i regimi statuali, di norma concernono l'ambito politico-economico, lasciando quello politico-militare alle unioni regionali. CAPITOLO UNDICESIMO: REGIME INTERNAZIONALE DELLA PERSONALITA' E DELLA RESPONSABILITA' DEI SOGGETTI Diritti e Doveri nelle relazioni internazionali La vita internazionale consente ai soggetti di esercitare diritti e doveri, nonchè di sottoporsi al relativo regime di responsabilità. Anche se i rapporti soggettivi rappresentano soltanto il modo di operare delle norme giuridiche internazionali, ne costituiscono il riferimento costante nell'ordine creato prima e dopo il 1945 dalle NU. Lo Statuto dei relativi soggetti è sancito da tre fondamentali Dichiarazioni: la Dichiarazione sulle relazioni amichevoli fra gli Stati e Carta dei diritti economici degli Stati (1970-1974, Statuto degli Stati), la Dichiarazione sull'autodeterminazione e sul diritto dei Popoli (1960, Statuto dei Popoli) e la Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo e Patti di attuazione (1948-1967). Per quanto riguarda la distinzione fra Stato e Popoli, il diritto internazionale è un diritto fra Stati, quindi il bilanciamento fra autodeterminazione dei Popoli e unità Statale si risolve a favore di quest'ultimo; ne è prova il dato empirico che non ogni situazione di tutela delle minoranze può condurre a creare Stati autonomi e distinti; le minoranze sono solitamente protette a livello costituzionale. Gli Individui invece rilevano in merito alla tutela dei diritti dell'uomo, garaniti e codificati anche a livello multi- statuale collettivo con la compilazione di Carte o documenti solenni. Tali Patti internazionali sono eterogenei nella diversa rilevanza che danno ai diritti civili e politici rispetto a quelli economici e sociali (con ruolo attivo dello Stato). Diritti e Doveri degli Stati 35 I diritti politici degli Stati, immagine della loro personalità internazionale, sono sanciti nei principi fondamentali della Carta, ma è la Dichiarazione del 1970 dell'Assemblea Generale ONU che ne rappresenta l'interpretazione ufficiale. In base ad essa, il diritto di sovranità si manifesta come indipendenza e come dovere di non intervento da parte di Stati terzi, con l'unica eccezione di insorti di un popolo impegnato in una guerra di liberazione coloniale (in base al principio di autodeterminazione). Altro profilo della sovranità è il dovere di cooperazione internazionale egualitaria che da scopo delle NU diviene vero e proprio dovere in base al quale gli "Stati hanno il dovere di cooperare gli uni con gli altri, malgrado le differenze esistenti tra i sistemi politici, economici e sociali", che ha come sua naturale specificazione l'uguaglianza economico-sociale degli Stati. Il principio di eguaglianza si riferisce ugualmente ai diritti degli Stati e dei Popoli: in tal senso i diritti dei Popoli vengono parificati a Stati "nascenti": ciò si esprime sostanzialmente nel sostegno ai processi di decolonizzazione e di trasferimento di poteri costituzionali alle popolazioni sotto dominio coloniale. Il principio di eguaglianza si configura come eguaglianza giuridica e di diritti garantiti sul piano formale. Viene poi sancito il diritto alla pace, inteso congiuntamente alla nozione di Stato pacifico come limitazione sia dello ius pacis che dello ius belli statale. Il diritto alla pace è poi esteso anche ai Popoli e agli Individui e rileva come diritto umano della cd. terza generazione. Come rispetto dei doveri, i diritti politici rilevano nel contenzioso internazionale concernente controversie politiche fra Stati. Diritti e Doveri economici I diritti e doveri economici degli Stati sono una categoria molto ampia che abbraccia le espressioni della politica economica nazionale e i suoi indirizzi particolari. La disciplina è "codificata" nella Carta dei diritti e doveri economici degli Stati del 1974 (risoluzione dell'Assemblea Generale), della quale rileva la secnda parte dedicata ai diritto e doveri economici e cioè: diritti individuali (libera scelta sistema economico, sovranità sulle risorse naturali, libertà di commercio ecc.), diritti collettivi (cooperazione, organizzazione e integrazione economica internazionali, possibilità di dar vita ad accordi e autorità comuni) e diritti economico-politici (sviluppo tecnologico, liberalizzazione commercio mondiale, disarmo, liberazione sfruttamento economico coloniale). La carta ha di fatto cristallizato le esigenze di gruppi di Paesi all'epoca definiti non allineati o del terzo mondo, segnatamente al loro sviluppo. Anche i diritti economici hanno grande rilevanza nel contenzioso internazionale, nel quale ruolo particolare hanno le controversie di natura ambientale. Diritti dei Popoli: diritto all'Autodeterminazione Con diritto alla Autodeterminazione si intende la capacità che le popolazioni hanno di disporre di sè stesse; è distina in interna (liberazione da forze di dominazione: decolonizzazione) ed interna (autogoverno democratico: democratizzazione). I problemi e le dispute dottrinarie sorte in merito alla definizione (diritto positivo o principio morale?) si sono esaurite con i processi di decolonizzazione: oggi è consentita l'applicabilità del principio ad ipotesi di dominazione diversa da quella coloniale. Nella Carta ONU, tale principio venne sancito come risultato di compromesso fra URSS (anticolonialista) e potenze colonialiste (con successivo allargamento ai movimenti di liberazione), in base al quale esso non configurava un obbligo da attuare ma un generico programma di azione: veniva assai limitata la competenza delle NU a controllare che le disposizioni ex Capi Xi e XII (obblighi degli Stati e benficio dei popoli sottoposti) fossero attuate (raccomandazioni dell'Assemblea Generale, l'obbligo di trasmizzioni a carattere informativo al Segretario Generale delle potenze coloniali sulla questione). Nella Carta (art, 1, 2 e 55), il principio di autodeterminazione si rivolge agli Stati, consolidandone la posizione con norme che ne proteggano la libertà (non come accadeva nel diritto internazionale classico, che non proteggeva la personalità e l'indipendenza degli Stati). Il nuovo regime dei diritti dei Popoli subìta un'evoluzione progressiva, si basa oggi sull'eguaglianza delle nazioni grandi e piccole e sul diritto a non vedere attentata la loro sovranità. Vi è uno strettissimo legame fra auto-determinazione, indipendenza e integrità territoriale dello Stato: infatti, il principio di determinazione si basa sul divieto dell'uso della forza e di intervento nella domestic jurisdictio degli Stati: da ciò consegue che le forme classiche di occupazione Straniera violano il diritto di autodeterminazione dei popoli, con relative conseguenze (intervento armato ONU e legittima difesa). Autodeterminazione interna Per quanto riguarda l'autodeterminazione interna, rileva come tale ogni processo di democratizzazione grazie al quale gruppi ed Individui divengono titolari di diritti fondamentali civili e politici. L'autodeterminazione coinvolge quindi i diritti dell'uomo e le libertà fondamentali che lo Stato deve garantire: a tal proposito rilevante appare l'autodeterminazione delle minoranze e delle singole etnie di Stati, intesa come diritto a una pluralità di prestazioni quali diritti e libertà fondamentali, partecipazione al regime rappresentativo e preservazione di caratteristiche razziali e tradizioni. L'ordine internazionale ritiene quindi obbligato lo Stato a permettere al Popolo di autodeterminarsi, fino all'estrema ratio di rimozione di un regime non democratico. L'autodeterminazione è un diritto collettivo dell'intera comunità nazionale; componente fondamentale sono dunque i diritti alla democratizzazione (rappresentanza elettorale, partecipazione in partiti ecc.) nel quale particolare rilevanza hanno i 36 partiti politici, come espressione peculiare dell'autodeterminazione democratica che godono di uno speciale Statuto e di una zona propria del diritto transnazionale. Ne consegue che oggi appare impossibile scindere l'autodeterminazione dal riconoscimento internazionale dell'esistenza di un nuovo Stato e di un nuovo governo: tale riconoscimento è infatti condizionato ad un fattore di democraticità comprovato e comprovabile. Vi è dunque il passaggio dalla tradizionale "internazionalizzazione democratica" (nella quale i diritti democratici erano subordinati alle esigenze di integrità territoriale) alla "democratizzazione internazionale" (nella quale i diritti fondamentali di un popolo prevalgono sull'unità Statale fino a comprendere eventuali forme di scissione). Movimenti di Liberazione Nazionale Un Movimento di Liberazione Nazionale è un apparato organizzativo complesso avente come suo scopo una lotta di liberazione nazionale da una dominazione esterna o interna. In origine i paesi socialisti diedero un'interpretazione restrittiva delle situazioni cui si applica il principio di autodeterminazione, riservandola unicamente ai Popoli che "lottano contro la dominazione coloniale e l'occupazione straniera e contro i regimi razzisti". Con la Dichiarazione del 1970 (nonostante il fallimento dell'interpretazione estensiva in base alla quale il diritto di autodeterminazione potesse essere rivendicato da chiunque non si sentisse rappresentato da un governo), si aprì uno spiraglio per la legittimazione dei movimenti di liberazione nazionale che si battono per una secessione da uno Stato ritenuto oppressore di una minoranza o di una etnia: la Dichiarazione abbraccerebbe sia l'autodeterminazione verso l'esterno che verso l'interno. Tale interpretazione parrebbe confermata dall'Atto findale della Conferenza di Helsinki per la sicurezza e la cooperazione in Europa (1975) (tutti i popoli hanno il diritto di stabilire quando e come desiderano il loro regime politico) e dalla Carta africana dei diritti dell'Uomo e dei Popoli (tutti i Popoli oppressi hanno il diritto all'autodeterminazione). In Europa ciò si è canalizzato soprattutto nella democratizzazione dei Paesi dell'Europa centrale ed orientale (si pensi a Solidarnosc in Polonia). Diritti fondamentali degli Individui: Dichiarazioni e Patti internazionali I Diritti fondamentali degli individui a livello internazionale sono sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo approvata dall'Assemblea Generale nel 1948, che tuttavia non è giuridicamente vincolante ma si presenta più che altro come documento programmatico. I due Patti approvati invece nel 1976, in quanto Convenzioni internazionali, sono vincolanti per tutti gli Stati che li hanno ratificati. La visione di fondo è quella occidentale (per questo la Dichiarazione non fu approvata dagli Stati socialisti), ancora maggioritaria in seno all'Assemblea. I due Patti (ai quali si aggiunge un protocollo opzionale) hanno un Preambolo identico concernente il diritto all'autodeterminazione (art. 1), l'eguaglianza dei sessi (art. 3) e le salvaguardie contro le limitazioni ai diritti umani (art. 5): il Patto sui diritti civili e politici salvaguarda il diritto alla vita, la libertà di movimento, l'egualianza davanti alla legge, il diritto alla libertà di coscienza, alla vita, la libertà d'epressione ecc. Invece, il Patto sui diritti economici, sociali e culturali sancisce il diritto al lavoro, alle associazioni sindacali, alla sicurezza sociale ecc. Tali diritti possono essere soggetti per legge a limitazioni entro precisi confini per proteggere la sicurezza nazionale e l'ordine pubblico (non possono essere assolutamente oggetto di limitazioni il diritto alla vita, l'irretroattività della legge penale ecc.). Attuazione e controlli internazionali I meccanismi di controllo a tutela dei diritti umani sono essenzialmente di due tipi: previsti da apposite Convenzioni internazionali o attuati da alcuni organi previsti dalla stessa Carta delle NU. Alla prima categoria appartiene il CERD, Comitato previsto dalla Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (18 membri a elezione quadriennale). Molto più rilevante appare invece il Comitato dei diritti dell'uomo, previsto dall'art. 28 del Patti sui diritti civili e politici (18 membri a titolo personale). Le sue competenze sono: lo studio dei rapporti sulle misure che gli Stati hanno adottato per rendere effettivi i diritti riconosciuti dal Patto (tali rapporti hanno, in base a direttive, una struttura fissa: una parte generale e una parte più specifica; possono partecipare rappresentanti degli Stati che emanano i rapporti; il Comitato si riserva l'opportunità di chiedere sempre elementi addizionali), con conseguente trasmissione agli altri Stati parti e al Consiglio economico e sociale; lo svolgimento di azioni preliminari di mediazione per la risoluzione di dispute fra Stati, con la possiblità di istituire Commissioni di conciliazione (solo per gli Stati che ne abbiano riconosciuto la competenza al Comitato); fare annualmente rapporto sulla sua attività all'Assemblea Generale (tramite il Consilio economico e sociale). Inoltre, gli stati ratificanti il Protocollo Opzionale assegnano al Comitato la competenza di esaminare le comunicazioni presentate da singoli individui che lamentino la violazione di uno dei diritti riconosciuti nel patto, con conseguente trasmissione di un proprio parere. Per quanto riguarda invece gli organi delle Nazioni Unite, una forma di controllo è attuata dalla Commissione (ora Consiglio) dei diritti umani e dalla Sottocommissione minoranze. La loro azione, che ha valore per tutti i paesi ONU, si può definire politica ed ha dato vita a procedure e tecniche nuove di controllo. Fondamentale è la Risoluzione 1235-XXLII, con la quale il Consiglio economico e sociale autorizza Commissione e Sottocommissione ad esaminare le informazioni relative alle violazioni flagranti 37 quelle costituzionali e quelle legislative), diritto comunitario (artt. 11 e 117) (riserva di competenza legislativa in favore delle autorità europee) e diritto dei trattati internazionali costituzionalmente protetti (prevalenza rispetto alle leggi interne dei trattati espressione di consuetudine internazionale, protettivi dei diritti umani ed aventi natura unionistica; gli altri non sono prevalenti a leggi speciali interne). I ricorsi individuali si distinguono in ricorsi di legittimità (garanzia del rispetto degli obblighi internazionali e comunitari) e su conflitti di attribuzione (nell'esercizio delle loro funzioni ai fini dell'attuazione in via legislativa degli obblighi internazionali e comunitari). I giudizi di legittimità coinvolgono anche la determinazione delle competenze amministrative, e possono prevedere l'impugnazione di atti amministrativi per vizi di legittimità e di merito. Restano salve le possibilità di ricorsi amministrativi in via non giurisdizionale e le facoltà a tutela della legalità comunitaria dell'azione pubblica centrale o locale. Il ruolo del giudice interno come organo di attuazione del diritto internazionale è ridimensionato dal fatto che il suo sindacato può essere richiesto solo per l'insorgenza di una questione incidentale in una controversia. Si può avere tuttavia un rinvio ordinario cd. pregiudiziale di interpretazione di una norma per consolidare la giurisprudenza, perfezionata con l'osservanza da parte del giudice della stessa, anche internazionale e comunitaria. La graduazione della tutela funziona meglio per le fonti a rango costituzionale primario che per quelle con forza legislativa ponderata proprie del diritto euro-internazionale. Ricorsi internazionali e comunitari Una prima tipologia di ricorsi è quella dei cd. ricorsi diplomatici. Essi si basano sull'uso dello strumento politico- diplomatico che mira a risolvere i conflitti all'interno di una soluzione pattizia. E' un'attività congiunta delle amministrazioni statali finalizzata ad un accertamento consensuale di una situazione di fatto o di diritto, avente come rimedi non condanne ma buoni uffici, conciliazioni e mediazioni. Di tutt'altro tenore sono i ricorsi giurisdizionali nell'ambito delle Organizzazioni internazionali ed europee, presso tribunali specializzati regionali e settoriali. Tali giurisdizioni mirano ad una dichiarazione di inadempimento rispetto a una norma o alla condanna dello Stato responsabile. Risultano facilitati i ricorsi individuali nei confronti di Stati ed organi di Stati, ma anche Organizzazioni e loro organi. Ai fini dell'accertamento della responsabilità, l'azione si presenta quasi sempre come svincolata dal singolo soggetto leso; il locus standi spetta a organi di vigilanza o di controllo della stessa Organizzazione. L'esempio della Corte Internazionale Penale rileva come eccezione che conferma la regola (Individui come soggetti attivi e passivi dell'azione penale). Nel livello giurisdizionale europeo rilevano soprattutto i ricorsi previsti dalla Convenzione europea (CEDU). In merito, l'effettività della tutela è garantita dall'azionabilità diretta da parte dei soggetti direttamente interessati, mentre perplessità suscitano i limiti di una totla circoscritta a misure indennitarie o di ristoro dei diritti lesi, senza alcun obbligo di attuare le necessarie riforme amministrative interne in assenza delle quali il contenzioso può ripetersi all'infinito. Gli organi europei di controllo sono la Corte europea dei Diritti dell'Uomo e il Comitato dei Ministri; la prima, cui possono fare ricorso Individui e Stati, emana sentenze obbligatorie e definitive a cui gli Stati hanno obbligo di confromarsi (ma che non hanno autonoma forza esecutiva interna) e di cui il Comitato dei Ministri sorveglia l'esecuzione. Tale Comitato svolge inoltre un ruolo nella configurazione dell'ambito e della portata propria della procedura esecutiva (policy-making: suggeritore di proposte innovative). CAPITOLO DODICESIMO: DIRITTO INTERNAZIONALE DELL'ECONOMICA Ambito del diritto internazionale dell'Economia Uno degli ambiti storici del diritto internazionale è quello dell'economia e delle relazioni economiche risultante dal contesto di funzioni normative Statli o delle Organizzazioni (ordinamenti concorrenti) e da strumenti di coordinamento, ravvicinamento o armonizzazione delle stesse. In tali ambiti si assicura la disciplina della produzione, circolazione e distribuzione di beni, servizi e monete. Si può mirare alla liberalizzazione dei mercati oppure a politiche di mercato governate da Organizzazioni di integrazioni (accordi di commercio, stabilimento di imprese ecc.); in forza di tali trattati la disciplina interna veniva sottoposta a cd. vincoli esterni del commercio internazionale, ma dalla metà del secolo scorso si ha una vera e propria destratualizzazione con riserva di sfere di competenza al potere normativo delle Organizzazioni e realtà di integrazione economica. L'oggetto della disciplina economica internazionale può avere denominazione unica (diritto commerciale internazionale) o multipla, divisa in più settori (commercio internazionale, migrazioni internazionali, imprese e servizi internazionali, valute internazionali). Varie sono le istituzioni internazionali settoriali, mentre solo di recente si sono create Conferenze istituzionalizzate a competenza generale all'interno del sistema delle NU ovvero extra- onu: è tuttavia difficile ridurre la disciplina ad unità in quanto molteplici sono le esigenze diversificate in seno alla stessa per parti della disciplina (economia VS ambiente) e per aree economiche (Nord VS sud): vi è dunque l'esigenza di una disciplina differenziata e preferenziale. La norma base dell'ordine economico internazionale è l'art. 55 della Carta ONU che include fra le condizioni necessarie per la convivenza pacifica un elevato tenore di vita con impiego della manodopera e la soluzione dei problemi internazionali economici. Su questa base si fonda 40 la "Costituzione" della cd. ONU economica con i suoi Istituti specializzati. La ricostruzione economica, abbandonando il principio del liberismo economico internazionale, ha dato vita a forma nuove di regolazione centralizzata dell'economia con conseguente limitazione della sovranità economica statuale. Emerge così un sistema di cooperazione internazionale economica e sociale e finanziaria facente capo ad Istituzioni quali il GATT, la WTO, il FMI e la Banca internazionale per lo sviluppo. Istituzioni economiche internazionale Con il fallimento dell'ITO (per la mancata ratifica degli USA), la disciplina internazionale del commercio fu disciplinata dal GATT (General Agreement on Tariffs and Trades); in base a una serie di accordi di liberazione del commercio internazionale, si mirava a garantire l'eguaglianza di trattamento fra gli imprenditori, l'abbassamento delle tariffe doganali, l'eliminazione delle restrizioni quantitative e il divieto del dumping e degli aiuti generalizzati alle imprese. Le debolezze del GATT erano l'esclusione di alcuni prodotti peculiari (agricoli, tessili, servizi) dal proprio regime e l'adesione selettiva ai diversi accordi da parte degli Stati membri. Fu così istituita la WTO (World Trade Organization), che inglobava gli impegni GATT all'Uruguay round, e li configurava come unico accordo complessivo da accogliere o rifiutare in blocco. Istituzionalmeente, la WTO ha una struttura forte comprendente anche un organo per la risoluzione delle controversie, e rivede parialmente alcuni regimi GATT come l'antidumping, perfezionato, e soprattutto l'ampliamento della sfera di applicazione a tutti i settori. Il GATT prevedeva un regime preferenziale per le esporazioni in favore dei Paesi in via di sviluppo (Parte IV), poi amplicato a seguito di una Conferenza istituzionalizzata permanente (UNCTAD). Tutto questo portò alla nascita dell'UNIDO, Organizzazione internazionale per lo sviluppo industriale che persegue con mezzi operativi gli obiettivi dell'industrializzazione dei Paesi emergenti e della nascita del diritto all'industrializzazione esercitabile anche in forma collettiva. Per quanto riguarda le istituzioni monetarie e finanziarie della famiglia delle NU reilevano la Banca mondiale per la ricostruzione e lo sviluppo e il Fondo Monetario Internazionale (FMI), nato con la Conferenza di Bretton Woods allo scopo di creare una riserva di mezzi di pagamento internazionale agli Stati con uno squilibrio nella bilancia dei pagamenti. Il FMI funziona come una banca e in origine richiedeva agli Stati gli obblighi della parita e converbilità monetaria, intesa come libero scambio delle monete al tasso fisso della loro parità. Tuttavia, col regime dei cambi flessibili attuale, la FMI assume piuttosto una funzione di sostegno alla stabilità dei prezzi e ha il potere di obbligare lo Stato debitore a firofme nella legialzione nazionale per evitare il reiterarsi di richieste di prestito. Conferenze economiche internazionali Accanto ad Organizzazioni ed Istituti specializzati, anche le Conferenze economiche internazionali hanno un ruolo importante: queste perseguono un fine di convergenza del dirito internazionale dell'economia con il diritto internazionale dell'ambiente umano, col fattore unificante del principio del cd. sviluppo sostenibile. Fondamentale è in questo senso la Conferenza delle nazioni unite sull'ambiente e lo sviluppo del 1992, che ha portato a una convergenza fra sviluppo e ambiente con due Dichiarazioni non vincolanti, due Convenzioni internazionali e l'approvazione dell'Agenda 21, un piano di azione durevole nel corso del Xxi secolo non vincolante, sotto il controllo di una Commissione per lo sviluppo durevole. Del problema si occupa anche il G7-G8, pur se tale competenza non è mai stata espressamente formalizzata; ciò in forza del suo ruolo di centro di coordinamento dello sviluppo economico mondiale. Pur avendo natura di soft-law, il diritto presidenziale o di vertice (in forza dell'autorevolezza dei paesi membri) si pone come vera e propria istanzia di orientamento in grado di esprimere linee guida e criteri di orientamento dell'azione Statale e delle stesse Organizzazioni internazionale che più volte ne hanno seguito le direttive. Commercio internazionale Il diritto del commercio internazionale, un istituto classico della vita inter-statuale ed inter-individuale, è collegato alla nascita dello Stato nazionale come garante dello scambio internazionale delle merci. Di norma fa capo ad unioni regionali consistenti in una zona di libero commercio fra gli Stati membri o di libera circolazione delle merci; favorendo la fusione di mercati nazionali, le unioni favoriscono la nascita di società multinazionali. Lo Stato a mercato nazionale è divenuto Stato a mercato comune, con un potere doganale comune. Il regime normativo ha natura tariffaria (abolizione dei dazi interni e adozione di una tariffa doganale comune verso l'esterno), amministrativa (amministrazioni doganali competenti alla realizzazione di un traffico comune e all'eliminazione delle restrizioni) e commerciale (mercati settoriali quali i prodotti agricoli i cui scambi sono ostacolati da regolamentazioni nazionali divergenti). Esistono anche mercati a regime pubblico, la cui libertà è condizionata (monopoli pubblici, mercato a prezzi regolamentati), a causa della disciplina dei cd. contratti di Stato (fornitura, appalo, concessione), che favoriscono gli imprenditori nazionali sempre nell'ottica della trasparenza. Diritti di Accesso e di Mobilità sui Mercati 41 Dal punto di vista dell'imprenditore, il diritto commerciale internazionale rileva come diritto di accesso al mercato generale o particolare (solo in singoli settori): esso si sostanzia nel diritto di mobilità geografica (senza intralci dovuti ai dazi doganali) e nel diritto di mobilità professionale (senza intralci dovuti al divieto per quantità e qualità). Rilevano due regimi giuridici: il "mercato generale", come mercato di concorrenza perfetta, e il "mercato settoriale" come mercato di concorrenza imperfetta delle varie categorie di operatori a causa della diversa quantità e qualità delle merci offerte su un singolo tipo di mercato. I diritti di mobilità geografica tendono a soddisfare i differenti bisogni economici degli imprenditori, mentre i diritti di mobilità professionale, sorti in corrispondenza delle varie forme e settori di mercato, garantiscono uniformità di trattamento agli imprenditori. Questa nuova metodologia tende a proteggere la produzione nazionale e a falsare la concorrenza mediante norme sulla qualità alimentari dei prodotti agricoli o su standard di produzione fissi. Migrazioni internazionali e Circolazione dei lavoratori Il movimento di libera circolazione dei lavoratori tende a creare continuità nei rapporti tra datori di lavoro e lavoratori subordinati. Le norme costituzionali parallele sul diritto all'immigrazione dei lavoratori stranieri e all'emigrazione di quelli nazionali sono superate nella libera circolazione dei trattati di lavoro e di migrazione, che sancisono il principio dell'uguaglianza legislativa tra cittadini e stranieri. Beneficiari sono i lavoratori subordinati che, migranti, godono del principio di uguaglianza di trattamento e non discriminazione con i lavoratori locali. Non va confusa la mobilità del migrante rispetto a quella dei dipendenti di imprese, o gruppi di imprese, internazionali e multinazionali. La famiglia del lavoratore beneficia degli stessi diritti di mobitlià, nonchè dei diritti culturali alle stesse condizioni dei cittadini dello Stato di residenza (alloggio, formazione scolastica, ecc.). Accesso al Mercato e Diritti previdenziali Nel regime internazionale di libera circolazione dei lavoratori si combinano i tre principi della territorialità, personalità e continuità delle legislazioni statali di previdenza e sicurezza sociale. L'interesse protetto è quello dell'allacciamento dei periodi svolti nelle varie fasi lavorative per assicurare l'anzianità delle carriere previdenziali, assicurando la continuità del trattamento giuridico, l'acquisizione dei diritti o la conservazione dei diritti quesiti. Per lungo tempo è stato applicato unicamente il principio di territorialità del diritto, inidoneo a soddisfare le esigenze dei lavoratori. Esso garantisce eguaglianza di trattamento tra cittadini e stranieri, ma limita la sfera di incidenza delle norme a un unico territorio. Il principio di personalità delle assicurazioni invece tende a tutelare il lavoratore anche oltre i confini statali, allo scopo di colmare un vuoto o integrare una lacuna di altri ordinamenti. Invece il principio tecnico della continuità, attuato mediante coordinamento fra ordinamenti, fa si che si possano accumulare benefici e prestazioni fra più ordinamenti (legislazioni statali o accordi internazionali). Imprese, Società e Concorrenza sui Mercati La libera circolazione delle imprese singole ed associate si esprime in due modi: diritto di stabilimento (libera costituzionee o trasferimento della sede della società o delle sue sedi secondarie) e libera prestazione dei servizi (circolazione internazionale degli stessi, col distacco di opere e di attività dalla sede proiettate verso clienti esteri). L'ammissione nel mercato internazionale è condizionata dal rispetto delle norme previste dal paese di origine e di destinazione. Nelle unioni economiche regionali e internazionali, il rispetto delle regole di mercato (anti- monopolistiche, anti-trust) è garantito da Autorità indipendenti. Le norme di tutela, invece, sono norme statali comuni (armonizzazione e ravvicinamento di legislazioni nazionali) o di mutuo riconoscimento (degli effetti prodotti dalle stesse nei vari settori). L'uso degli strumenti normativi di regolazione è tipizzato da convenzioni internazionali o atti di Organizzazioni. Dette norme si applicazioni ugualmente alle imprese pubbliche e private. Esse inoltre costituiscono corpi normativi speciali, detti "codici" (dei consumatori, delle telecomunicazioni ecc.) frutto dell'autonomia normativa dei soggetti commerciali e professionali, recepiti e cristallizati in codificazioni delle Autorità indipendenti, causando un profondo processo di rinnovamento normativo del diritto commerciale e societario (nuova codificazione di impresa). Il frazionamento delle fonti, tuttavia, sembra suggerire l'esigenza di un codice delle Autorità indipendenti che perfezioni le competenze delle stesse. Circolazione dei Capitali in Aree economic-monetarie ottimali I mercati di natura monetaria sono finalizzati alla libera circolazione di capitali pubblici e privati e concentrati in aree cd. ottimali all'interno delle quali vi sono valute preferite per finalità contrattuali ed altre addirittura escluse. La coesistenza di Stati a moneta forte e debole determina la pratica di transazioni tendenti a garantire la dinamicità di tali rapporti (nuova lex debitoria internazionale di cancellazione del debito di alcuni paesi). Negli anni Novanta si sono consolidate aree economiche monetarie egemoni che mantengano la stabilità del valore della moneta: l'area euro (moneta collettiva), l'area del dollaro (NAFTA) e dello yen (APEC). L'Unione Economia e moneetaria, area economica e monetaria collettiva, è condizionata dall'esistenza di tre regole comuni: garanzia di convertibilità totale delle monete, liberalizzazione dei movimenti di capitali e eliminazione dei margini di 42 riconducibilità alla nozione di accordo) e della self-regulation (con la quale i gruppi esercitano la loro autonomia collettiva). Le manifestazioni di soft law sono tipizzabili a vari livelli: livello generale o globale (partecipazione alla Organizzazioni e ai gruppi organizzati di Stati), livello continentale (autoorganizzazione dell'intera società degli Stati) e livello internazionale vero e proprio (accordi internazionali a firma degli organi rappresentativi delle istituzioni integrate). Integrazione globale ("Euro-G8") L'integrazione su scala globale-universale si è progressivamente congiunta alle pseudo-organizzazioni internazionali, con devoluzione di potere non ad Organizzazioni esterne ma agli sstessi gruppi e alle loro articolazioni istituzionali (integrazio inter o meta-nazionale). E' quanto accade nel G8 (Italia, Gran Bretagna, Francia, Germania, Stati Uniti, Canada, Giappone, Russia), o nella sua forma allargata G20 (quadricontinentale); i due gruppi sono oggi anche formalmente distinti. Le regole procedurali si sostanziano in riunioni annuali dei Presidenti e infra-annuali dei Ministri. Si sono avuto fino ad oggi cinque cicli di conferenze, uno dei quali ha visto l'aggiunta dell'URSS agli altri Stati membri come partner. I vertici del G8 sono competenti ad elaborare strategie economico-politiche nell'esigenza di raccogliere consenso in cerchi sempre più ampi della Comunità internazionale (che non esclude posizioni differenziate). Le dichiarazioni G8 sono espressione di un consenso già raggiunto e generalizzato, manifestazione di un'opinio iuris. La sintonia con le Nazioni Unite assicura una sorta di consenso istituzionale alle dichiarazioni di vertice. Il diritto del G8 è detto infatti top law o diritto di vertice, caratterizzato dall'autonomia speciale del Gruppo; tale carattere speciale è confermato dal livello altamente rappresentativo delle sue riunioni. Le fonti regolatrici del gruppo sono denominate Dichiarazioni Finali, Piani di Azioni: le competenze possono essere generali o particolari. Integrazione interregionale cooperativa (NAFTA – APEC) Gli Stati hanno recentemente sfruttato lo strumento dell'integrazione, che manifesta una capacità di governance esterna-interna, per dare vita a cd. Dialoghi istituzionalizzati, incontri o riunioni internazionali di rappresentanti di Stati nell'ambito di gruppi ad hoc, i quali hanno due compiti: rappresentare un foro negoziale internazionale e sottolineare un ruolo collettivo di leadership nel perseguimento dei fini della Comunità internazionale. Particolarmente importanti in tal senso sono i Dialoghi istituzionalizzati di cooperazione interregionali tra organismi regionali, caratterizzati dalla presenza di Trattati istitutivi. Il primo polo di cooperazione Nord- Americana è il NAFTA (North American Free Trade Agreement), su base pattizia, composto da Stati Uniti, Canada e Messico. L'apparato istituzionale, volutamente debole, ha due istituzioni principali: la Commissione di libero commercio (supervisiona l'implementazione dell'accordo, controlla il lavoro dei Comitati e organi ausiliari) e il Segretariato (organo amministrativo su base decentrata), rispetto alle quali i vari Comitati e gruppi di lavoro sembrano avere addirittura un compito predominante di controllo e facilitazione della cooperazione, anche se la gestione complessiva del programma è assicurata dai coordinatori dei Paesi membri. La NAFTA ha competenza anche, nell'emergere di Dialoghi istituzionalizzati a latere, in tematiche ultra commerciali o extra commerciali come la protezione ambientale e del lavoro, ambito nel quale sono stati sviluppati diversi programmi trilaterali in materia di sicurezza e tutela della salute. La soluzione delle controversie è articolata in tre fasi progressive ed eventuali: consultazioni tra le Parti (entro trenta giorni, quarantacinque se interviene un'altra Parte), riunione con la Commissione (che può utilizzare per la soluzione buoni uffici, mediazioni e conciliazioni) e deferimento ad un collegio arbitrale. Il NAFTA ha dato e dà inoltre vita a Dialoghi istituzionalizzati con gli organismi rappresentativi delle aree economiche continentali minori (come il Mercosur). L'APEC (Asia-Pacific economic cooperation), gruppo informale di dialogo a livello ministeriale, è il primo polo di integrazione economica del Nord del mondo ed oggi dopo un processo di allargamento comprende 21 Stati, fra i quali anche gli USA, la Russia, la Cina e il giappone. Esso si pone come esperienza preparatoria del nuovo ordine commerciale mmondiale come risposta allo sviluppo del regionalismo economico: i suoi obiettivi sono graduati in senso temporale in base all'industrializzazione degli Stati. All'APEC manca volutamente un apparato istituzionale per la scarsa volontà di istituzionalizzare la cooperazione. Solo col tempo e la nascita di una vis coesiva fra i partecipanti al processo si è avuta un'evoluzione in tal senso, con la nascita di un Segretariato e di un Committe on Trade and Investiments. L'APEC assume un ruolo di sostegno e rafforzamento del processo di deregulation, in base a un'interdipendenza regionale informata ad un'integrazione guidata dai privati e dal mercato. Integrazione regionale convergente (MERCOSUR – ASEAN – SACU) Sono definiti Dialoghi istituzionali di concertazione e convergenza quei Dialoghi particolarmente duttili e flessibili, derivanti dall'esigenza di non contrattualizzare i rapporti economici tra Stati all'interno di grandi aree. Il MERCOSUR (Mercado Comun del Sur), su base pattizia comprendente Argentina, Brasile, Paraguay ed Uruguay, realizza un'integrazione orientata verso l'esterno con l'obiettivo finale di un mercato comune pensato per aiutare gli Stati membri a diventare maggiormente competitivi e ad inserirsi nelle relazioni interregionali. Il processo 45 integrativo annovera la nascita di una Comunità sud-americana di Nazioni che intensifichi la collaborazione fra i paesi del MERCOSUR e della Comunità andina chee fa progredire il processo di convergenza ed è volto a stabilire un'area di libero commercio sud-americana. L'ASEAN (Association of South East Asian Nations), su base pattizia, comprende Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore, Thailandia e altre nazioni successivamente aggiuntesi con l'obiettivo della promozione della pace e della cooperazione economica, col fine di creare una regione stabile e competitiva sul piano economico, in forza del quale nel tempo si è creata una libera circolazione delle merci. La struttura istituzionale è volutamente debole. Infine, la SACU (South African Customs Nations) si colloca in un quadro a geometria variabile, con diversi regimi dovuti al ruolo dello Stato leader della Repubblica Sud Africana rispetto alla quale gli Stati manifestano tendenze centrifughe o di integrazione affievolita. La SACU ha l'ambizione di divenire un polo di attrazione dell'Africa orietnale e dell'Africa centrale ed occidentale. La struttura istituzionale appare abbastanza articolata. La SACU partecipa ai progetti di costituzione di un'area economica africana su base multipolare tendente ad affievolire l'egemonia della Repubblica sud-africana. CAPITOLO QUATTORDICESIMO: DIRITTO INTERNAZIONALE DELL'INTEGRAZIONE EUROPEA Integrazione comunitaria-europea tra Forma di Unione e Forma di Governo Particolare esperienza è l'integrazione europea, venutasi a formare progressivamente con una propria forma di integrazione e di governo dell'integrazione. Protagonista di tale processo è lo Stato nazionale qualificato come euro-comunitario ed euro-unionistico, ben equilibrato tra le tre dimensioni occidentale, orientale e mediterranea, che è poi divenuto Stato euro-globale che segue gli stessi percorsi in una prospettiva tendente ad una visione unitaria del mondo (partenariato con Statoi extra-Unione ed extra-NATO). Il processo di integrazione è embrionale nei Trattati delle Organizzazioni europee, che presentano una finalità ultima o comune, malgrado la differente natura; nei vari preamboli infatti i quadri di azione e i caratteri strumentali delle Organizzazioni sono definiti in termini europei (OECE, UEO, Consiglio d'Europa). Di vera e propria integrazione si parla in merito alle Comunità Europee (apparati, competenze e poteri integrati), che segnalano anch'esse la volontà di partecipare a una più ampia Unione dei popoli dell'Europa. Da questi presupposti nasce l'UE: laddove le Organizzazioni europee di tipo cooperativo avevano fallito, le Comunità si sono dimostrate più dinamiche, e la finalità unionistica ha finito per tradursi in una loro competenza. Il sistema si è così evoluto nella bipartizione tra diritto comunitario e diritto unionistico europeo; l'Unione nasce con l'adozione di un metodo cooperativo o convergente parallelo a quello comunitario, ad esso complementare, in base a un metodo informale di negoziato continuo e di intese governative e di cooperazione (Vertice di Bad Godesberg, 1961); il diritto dell'UE in questa prima fase è consuetudinario e non scritto. Successivamente i vertici dell'Aja e di Parigi stabilirono competenze e forma di governo dell'Unione: venne istituita un'istituzione stabile e permanente che prese il nome di Consiglio Europeo (riunione di Capi di Stato e di Governo + Ministri degli Esteri). Il Ministro Belga Tindemans ricevette l'incarico di definire il concetto e le competenze di Unione Europea: ne individuò di comunitarie (competenze implicite delle Comunitò, art. 236 Trattato CEE) e di extracomunitarie (intese di cooperazione in sede di Consiglio Europeo). Nel rapporto Tindemans l'UE si configurava come unione politica, unione economica e monetaria, unione sociale e unione giuridica. I Trattati comunitari (Trattato di Roma, 28 marzo 1957 e Atto Unico europeo, 17-28 febbraio 1986) Dopo una fase su base non pattizia e consuetudinaria, con la Dichiarazione sulla unione europea del 1983, che esprimeva l'opinione concertata del Consiglio Europeo, l'Unione Europea venne ricondotta nell'alveo di una procedura pattizia svolta nel decennio successivo. La Dichiarazione sanciva quattro principi: l'Unione è una riunione di popoli e Stati membri della Comunità europea, la partecipazione alle Comunità europee postula il mantenimento della democrazia ed il rispetto dei diritti umani; la costruzione dell'Europa deve essere orientata vero obiettivi politici generali e il progresso dell'Unione deve essere sia economico che politico ed interessare lo sviluppo delle Comunità Europee, il rafforzamento della cooperazione politica e la sua estensione ad altri settori. Per quanto riguarda invece gli organi, l'Unione doveva "sfruttare" gli stessi delle Comunità europee, vale a dire Consiglio europeo (istituzionalizzato come organo comune e rinnovato con l'ingresso del Presidente della Commissione), Consiglio dei Ministri, Parlamento, Commissione e Corte di giustizia, che però venivano distinti per quanto riguarda competenze e procedure regolate da norme di due regimi giuridici diversi. Sancito così il legame indissolubile fra Comunità Europee e Unione Europea (termine ancora formalmente improprio), si procedette con un primo progetto di Trattato istitutivo della nuove entità nel 1984, fallito per motivi tecnici, che procedeva lungo una strada federalista poi parzialmente abbandonata, in base alla quale i popoli e territori degli Stati membri avrebbero dovuto esserlo anche dell'Unione, sottoposta ad un apparato di governo dotato di poteri superiori a quelli nazionali dai quali avrebbe dovuto derivare una funzione legislativa (esercitata da Parlamento, Consiglio e Commissione) e addirittura con un proprio potere militare. Era prevista inoltre transitoriamente la 46 coesistenza di Comunità ed Unione. Il primo vero e proprio Trattato in materia fu invece l'Atto unico europeo del 1987, che si pone in rapporto di continuità con il diritto comunitario e con la cooperazione politica. Il testo era diviso in un Titolo I sulle disposizioni comuni (artt. 1-3), un Titolo II sulle modifiche ai Trattati istitutivi delle Comunità (artt. 4-29), un Titolo III sulla cooperazione in materia di politica estera (art. 30) e un Titolo IV sulle disposizioni generali e finali (artt. 31-34). Al di là delle sostanziali modifiche ai Trattati preesistenti, l'Atto Unico ha il merito di istituzionalizzare le procedure di cooperazione elaborate in precedenza e di riunire in un unico testo disposizioni aventi diverso oggetto e natura, configurando un'Unione internazionale mista di integrazione e cooperazione, con i caratteri di un regime di transizione. Con riguardo alla cooperazione, essa era divenuta a tutti gli effetti concertazione, con il passaggio da un mero coordinamento di poteri a una comunità di intenti regolata da atti unilateriali degli Stati sulla base di semplici dichiarazioni a valenza politica, il cui sviluppo era previsto dall'Atto Unico come in parte di natura pattiza e in parte di natura extra-pattizia, governato non dal diritto comunitario ma da quello internazionale. In conclusione l'Unione si configurava con caratteri di dualismo normativo (diritto convenzionale e non convenzionale), dualismo istituzionale (organi comunitari e organi intergovernativi) e dualismo giurisdizionale (giustiziabilità del diritto comunitario e incompetenza su quello cooperativo); dualismo la cui massima espressione era il Consiglio Europeo. Il Trattato unionistico (Trattato di Maastricht, 7 febbraio 1992) Il Trattato di Maastricht del 1992 istituisce l'Unione Europea. Esso è frutto di due conferenze intergovernative aperte entrambe a Roma nel 1990, concernenti la prima, a carattere comunitario, l'Unione economica e monetaria (UEM) e la seconda, di ascendenza intergovernativa, l'Unione politica (UP). Ad entrambe parteciparono anche gli organi comunitari; fu proprio il presidentè del Consiglio della CE che alla fine decise di fondere i due progetti in un unico Trattato. Il negoziato sull'UP si avviò successivamente e in conseguenza a quello sulla UEM, nella convinzione che la questa unitamente alla disgregazione dell'URSS imponesse all'Europa un rinnovamento e una nuova dotazione di strumenti politici. Il frutto dei lavori fu appunto il Trattato di Maastricht, che si divideva in disposizioni cumuni sull'UE (Titolo I), disposizioni modificative dei Trattati delle Comunità (Titoli II-IV), disposizioni riguardanti la PESC e la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni (CGAI) e disposizioni finali concernenti diritto comunitario e diritto dell'Unione (Titolo VII) e istituiva di fatto l'Unione Europea. Il risultato più importante fu l'UEM, basata sul sistema europeo di banche centrali, l'instaurazione di una moneta unica ed il coordinamento delle politiche economiche; furono inoltre stabiliti i cd. Parametri di Maastricht, indispensabili alla stabilità dell'UEM (rapporto inferiore al 3% tra disavanzo pubblico e PIL e interiore al 60% fra debito pubblico consolidato e PIL). I principi regolatori dell'Unione sono l'equilibrio dei poteri fra istituzioni comunitarie e nazionali (principio di sussidiarietà) e garanzia dei diritti umani ai cittadini dell'Unione. Il tipo di rappresenta un'evoluzione rispetto all'Atto Unico: infatti viene divisa in tre settori giuridici, quell'dell'integrazione, della cooperazione e il nuovo diritto dell'Unione di unificazione, armonizzazione e coordinamento. Questo nuovo settore configura l'Unione come tendenzialmente monistica per l'unificazione progressiva dei sistemi di integrazione e cooperazione. Sei sono i fattori unificanti: unificazione istituzionale (Unione = CE + Cooperazione), unificazione sistematica (revisione e sviluppo), unione organizzativa (quadro istituzionale unico), unione di indirizzo politico (Consiglio Europeo), unità di governo e unità dei principi democratici e costituzionali. Restano residuali due principi dualistici: il dualismo giurisdizionale (giurisdizione della Corte di giustizia che esclude il diritto dell'Unione e della cooperazione politica) e il dualismo pattizio (autonomia fra Trattati Comunitari e il Trattato dell'Unione). Dimensione euro-nazionale (Trattato di Amsterdam, 2 ottobre 1997) Il Trattato di Amsterdam confermò l'impianto unionistico costruito su tre pilastri, con una parziale comunitarizzazione della CGAI divenuta Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale e una maggior rilevanza attribuita ai diritti umani. Il testo risulta composto da tre parti: emendamenti ai Trattati esistenti, semplificazione dei Trattati Comunitari e disposizioni generali e finali. Il Trattato ha altresì adottato alcuni Protocolli, in particolare il n. 30 che precisava il contenuto della doppia norma 3B – B dei TCE e TUE in merito ai principi di sussidiarietà e proporzionalità, richiamando un Accordo interistituzionale e due Conclusioni del Consiglio Europeo in merito, con la fissazione di alcuni criteri sostanzial-procedurali: acquis comunitario e principi generali dell'ordinamento, autonomia e dinamismo dell'azione comunitaria, indicazioni di quantità e qualità, guide linea economico-sociali, motivazione degli atti, scelta preferenziale della direttiva e rispetto dei sistemi giuridici nazionali. Venne altresì rinforzato il ruolo del Consiglio Europeo nella PESC, l'ampliamento del ruolo del Parlamento e la semplificazione delle procedure di revisione, nonchè l'introduzione della cooperazione rafforzata (possibilità, senza esplicita opposizione, di alcuni Stati di instaurare una più stretta cooperazione). Inoltre i valori democratici diventano requisito costitutivo della partecipazione degli Stati all'Unione: questi vengono precisati con rinvii a Patti ONU e soprattutto alla CEDU, oppure alle Costituzioni nazionali. Le disposizioni istituzionali rimasero sostanzialmente invariate con una restrizione dei casi di voto all'unanimità. 47 Le immunità rispetto alla giurisdizione territoriale statale nascono allo scopo di assicurare le relazioni inter- istituzionali tra apparati governativi statali. Si sono sviluppati in tale contesto statuti di immunità e privilegi a tutela di organi supremi degli Stati, immunità sulle relazioni diplomatiche e consolari e immunità assicurate alle delegazioni permanenti degli Stati membri di Organizzazioni internazionali. Le fonti regolatrici sono consuetudinarie (una norma riconosciuta tutela Stati e suoi organi nell'esercizio delle loro funzioni) o convenzionali. La sovranità sulle risorse del territorio difende gli atti di pubblicizzazione della proprietà privata: l'espressione più alta della tutela internazionale concerne la protezione delle funzioni normative, amministrative e giudiziarie Statali. Per quanto riguarda le immunità consolari e diplomatiche, sono regolate dalla Convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni diplomatiche e dalla successiva del 1963 sulle relazioni consolari. In base a tali Convenzioni, le rappresentanze Statali all'estero e nelle Organizzazioni internazionali sono esentate dalla giurisdizione civile e penale degli Stati. In merito occorre distinguere l'immunità funzionale da quella individuale: tendenzialmente, si ha una restrizione alla prima sfera. Sui beni mobili e immobili, sono poi ammesse le funzioni non invasive dell'autonomia della funzione protetta mentre sono vietate tutte le altre. Accanto all'immunità giurisdizionale va tenuta distinta quella derivante da regimi analoghi, come il dovere di non intervento e non ingerenza degli Stati terzi negli affari interni e nel suo indirizzo politico, con l'unica esclusione del riconoscimento delle leggi estere aventi natura politica repressiva o lesiva dei diritti fondamentali. Per quanto riguarda le Organizzazioni Internazionali, il regime immunitario tende alla protezione degli atti e dei beni finalizzati all'esercizio delle funzioni; si esplica ad esempio come protezione diplomatica per danni arrecati da terzi e prevede forme di autotutela a scopo di risarcimento del danno. Il suo spazio immunitario risponde ad esigenze diverse rispetto a quello Statale. Diritto del Mare Il classico regime del mare, con il controllo statale della zona territoriale e la totale anarchia nel resto dlela superficie, creava una naturale egemonia sugli stessi dei paesi più forti. La situazione è stata risolta da tre Conferenze: La Conferenza di Ginevra (1958) (che codificò la piattaforma continentale e l'esercizio dei diritti dello Stato costiero sulla stessa), la Conferenza dell'Aja del 1960 (fissò l'ampiezza del mare territoriale e istituì la zona di pesca) e soprattutto la fondamentale Conferenza di Montego Bay del 1973-1982 che portò all'omonima Convenzione, che disciplina tutti gli aspetti del diritto del mare (mare territoriale, zona contigua, regime giuridico e larghezza della zona economica esclusiva, definizione della piattaforma continentale, patrimonio comune dell'umanità, status giuridico dell'Area e sue risorse). L'Italia si è ampiamente conformata a tali direttive, fissando l'ampiezza del mare territoriale a 12 miglia. Mare territoriale Il mare teritoriale è la fascia di mare equiparata al territorio e sottoposta all'esclusivo potere dello Stato costiero. E' una zona adiacente le coste del territorio dello Stato costiero e può misurare fino a un limite massimo di dodici miglia marine a partire dalle linee di base (all'interno di tale limite spetta allo Stato deciderne l'effettiva ampiezza). La linea di base rappresenta il confine di misurazione fra le acque interne e il mare territoriale, corrisponde alla linea di bassa mare lungo la costa, oppure alla linea che collega i punti più sporgenti della costa (metodo delle linee di base diritte) oppure quella che congiunge i punti estremi delle isole più esterne di uno Stato-arcipelago (linee di base arcipelagiche rette", laddove con Stato-arcipelago si intende uno stato formato da uno o più arcipelagi, la cui sovranità si estende anche alle acque comprese all'interno delle linee di base arcipelagiche). Appare ancora irrisolto il problema delle baie storiche. L'unico limite alla sovranità esclusiva Statale è rappresentato dalla garanzia del passaggio inoffensivo delle navi straniere, fintanto che non arrechi pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato. Anche in tal caso, lo Stato può emanare leggi e regolamenti per disciplinare il passaggio di dette navi (imponendo ad esempio un traffico marittimo in corsie obbligate) e può anche eccezionalmente interromperlo. E' suo dovere non ostacolare il transito delle navi che trasportano merci o persone. Alto Mare Il regime giuridico dell'alto mare si configura come disciplina multizona finalizzata alla tutela di interessa differenziata: vi è la designazione del confine fra mare territoriale e mare libero, comprensiva di mare di superficie e risorse in esso contenute (zona contigua – zona archeologica – zona economica esclusiva – zona di pesca) nonchè delle proiezioni del suolo e sottosuolo marino ed oceanico (piattaforma continentale – fondi marini). Nella zona contigua, che si estende per 24 miglia marine dalla linea di base, lo Stato può esercitare controlli di polizia doganale, fiscale, sanitaria e di contrasto all'immigrazione clandestina e reprimere le infrazioni nel merito con attività di avvistamento, abbordaggio, intercettazione, sequestro e confisfa di navi e natanti stranieri. Può inoltre inseguire tali soggetti anche nelle acque internazionali. La nozione di zona archeologica, che ha la stessa estensione della zona contigua, nasce per la salvaguardia del patrimonio storico-artistico di uno Stato 50 e si collega alla possibilità dello Stato di considerare la rimozione dal fondo del mare di oggetti di carattere archeologico e storico quale violazione delle leggi e regolamenti cui si riferisce l'articolo sulla zona contigua: lo Stato può quindi esercitare nella zona contigua diritti funzionali in materia di protezione del patrimonio storico- artistico archeoligico marino. La zona economica esclusiva, estendentesi non al di là delle 200 migla dalla linea di base, è una di alto mare in cui lo Stato costiero ha l'esclusiva dell'esplorazione e dello sfruttamento, della conservazione e della gestione delle risorse naturali, biologiche e non biologiche. La zona può quindi essere da questo sfruttata economicamente, mentre resta sancita sulla stessa la libertà di navigazione, di sorvolo, di posa di cavi sottomarini. I conflitti sui diritti residuali devono essere risolti tramite equità, considerando gli interessi in gioco. La zona economica esclusiva nasce prevalentemente per la disciplina giuridica dell pesca: in merito, è previsto che lo Stato costiero stabilisca il volume ammissibile delle catture e determina la propria capacità di sfruttamento delle stesse. Se il primo supera il secondo, può stringere accordi con altri Stati per autorizzarne lo sfruttamento. L'Italia non ha previsto una zona economica esclusiva, ma zone di protezione ecologica per prevenire e reprimere forme di inquinamento. Sono dette zone di pesca le zone di alto mare sottoposte ad un doppio regime economico e di protezione ambientale. Tali zone sono presenti anche nel cd. mare libero; in esse gli Stati hanno l'obbligo di cooperare alla conservazione e gestione delle risorse biologiche. Esistono appositi organismi internazionali regionali di competenza marittima ed ecologica che vigilano sulle quote di pesca per ciascuno stato nelle diverse zone di alto mare per la conservazione delle risorse ittiche. La piattaforma continentale ha invece due differenti nozioni e regimi giuridici: la prima, sancisce che è piattaforma continentale la zona di fondo e sotto suolo marino con ampiezza pari a duecento miglia marine dalla linea di base; è zona di diritto esclusivo di sfruttamento delle risorse minerali e biologiche ai senti dell'art. 77 della Convenzione. La seconda invece stabilisce che la piattaforma è ad ampiezza variabile a seconda della conformazione geologica del fondo (dalle duecento alle trecentocinquanta miglia): i suoi limiti sono valutati da un'apposita Commissione, che fa opportune raccomandazioni al riguardo. Nel merito, la disciplina dell'art. 77 va integrata con quella dell'art. 82, che stabilisce che per lo sfruttamento delle risorse situate oltre le duecento miglia dalla costa vanno effettuati pagamenti o contributi in natura in relazione all'intera produzione, poi smistati dall'Autorità internazionale dei fondi marini agli Stati firmatari della Convenzione in base a diversi criteri. Sono state riconosciute poi alcune zone di mare come patrimonio comune dell'umanità (Risoluzione dell'Assemblea ONU, n. 2749 del 1970), in partcolare il fondo e il sottosuolo posto oltre la giurisdizione Statale. Tale criterio trovò diverse forme e graduazioni di attuazione: un esempio ne rappresenta il predetto regime sulla piattaforma continentale oltre le duecento miglia dalla costa: si tentò di bilanciare la competenza dello Stato costiero con l'interesse della Comunità internazionale (l'Area è patrimonio comune dell'umanità). La Convenzione prevedeva altresì che sullo sfruttamento dei giacimenti sottomarini contenenti combustibile solido, liquido e gassoso, lo sfruttamento avrebbe dovuto essere diviso in due parti uguali: una allo Stato che aveva scoperto il fondo e l'altra all'Autorità attraverso il suo organo operativo, l'Impresa, sfruttando però gli impiantio costruiti dagli Stati. Gli Stati industrializzati osteggiarono tale regime, e ottennero un Accordo di applicazione della Parte XI della Convenzione che lo modificava; l'Impresa avrebbe deve essere costituita solo quando iniziano le attività di sfruttamento e deve operare in joint ventures con le imprese Statali (autonomamente solo quando avrò i fondi sufficienti). Pare così attenuata l'applicazione del principio del patrimonio comune dell'umanità anche per ritardata attuazione dell'Autorità. Spazio Aereo ed extra-atmosferico La disciplina dello spazio aereo segue il regime del suolo e del mare sottostante (Convenzione di Chicago, 1944) (la zona aerea nazionale costituisce un'area di transito, avvistamento, sorvolo e traffico: la zona aerea contigua può essere zona di limitazione del libero volo per garantire la difesa del proprio territorio: si pensi all'identificazione aerea, soprattutto militare). Per quanto riguarda lo spazio extra-atmosferico, esso, per una serie di risoluzioni ONU, è considerato patrimonio dell'umanità. Varie convenzioni sono state stipulate sul tema, a partire dal Trattato sullo spazio del 1967, per cui oggi l'istituto viene ad assumere vari principi: libertà di esplorazione, inassoggettibilità a sovranità nazionali, cooperazione internazionale, sovranità e giurisdizione dello statto immatricolatore sul veicolo spaziale e relativa responsabilità per danni a terzi, obbligo di soccorso agli astronauti in pericolo e di restituzione dell'ogetto spaziale. L'attività spaziale è diretta al bene di tutti i paesi. La Luna gode di una propria convenzione regolatrice risalente al 1979, che ne sancisce l'inoccupabilità, lo sfruttamento economico da devolversi all'intera umanità, libertà di indagine scientifica, rispetto dello stato dei luoghi e smilitarizzazione. In realtà la prassi ha parzialmente smentito il regime outer space, soprattutto in merito allo sfruttamento economico, con riguardo alle telecomunicazioni per cui il predetto principio di beneficio della comunità è stato inteso come applicabile ai popoli utenti desitnatari della comunicazione globale (sfruttamento nazionale delle frequenze delle ondde elettormagnetiche radiofoniche e televisive). L'orbita geostazionaria, perpendicolare alla linea dell'equatore, è stata oggetto di tentativi di sovranizzazione; oggi il suo regime è definito all'interno di programmi convenzionale di cooperazione scientifica e tecnologica. Pertanto il regime dello spazio 51 va oggi letto in chiave di sovranità aerea e di esercizio concorrente della sovranità nazionale negli spazi extra- atmosferici. Fiumi e Commissioni fluviali Sono fiumi internazionali i corsi d'acqua caratterizzati dalla localizzazione in più Stati. Una prima loro regolamentazione si ebbe nel Congresso di Vienna, che affidava a Commissioni nominate dagli Stati il compito di dare applicazione ai principi comuni di navigazione fissati. Due successive convenzioni istituirono la Commissione centrale del Reno; regime analogo venne stabilito dal Trattato di Parigi del 1856 per il Danubio, inizialmente limitato ai diritti per la copertura delle spese dei lavori; successivamente, dopo l'adesione Rumena e Turca, fu istituita nel 1921 anche una Commissione internazionale dell'Alto Danubio. Il Trattato di Versailles del 1919, che confermò l'istituzione di un regime di commissioni fluviali per i fiumi europeo, non trovò attuazione, nè maggiore successo ebbe la Convenzione generale di Barcellona. La materia è in realtà di assoluta rilevanza per l'importanza degli interessi economici in gioco. La Commissione del reno, regolata dalla Convenzione di Mannheim del 1868, è stata integrata dall'accordo di Berna del 1963 (istituente una Commissione internazionale sull'inquinamento che opera distintamente ma in collegamento con la principale), l'Accordo di Strasburgo del 1963 (uguaglianza di rappresentanza in Commissione) e suo protocollo addizionale (superante le disparità tra Reno e Danubio e assicurante uguaglianza di trattamento nel settore dei trasporti) e la Convenzione di Bonn del 1976 sui prodotti tossici. Per quanto riguarda il Danubio, le Competenze della Commisisone sono meramente consultive, con riserva delle competenze nazionali; questo ha causato la mancata partecipazione di diversi Stati (hanno peraltro libertà di circolazione assoluta solo le navi nazionali all'interno di uno Stato). Non esistono protocolli addizionali per il contrasto dell'inquinamento, è la stessa Commissione a limitarsi a proprorre raccomandazioni. Fuori dall'Europa, il regime dei pincipali fiumi africani e asiatici è di libera navigazione, con accordi complementari riguardanti la ripartizione delle acque per finalità economiche. Solo alcuni accordi hanno portata multilaterale, con la creazione di veri e propri organismi permanenti ti integrazione e cooperazione che prendono il nome di Commissioni o Organizzazione di Stati (la portava più o meno sovranazionale è data dalla tendenza diversa in favore di processi di organizzazione). Si ricordano l'Autorità del Bacino del Niger che sostituisce la Commissione del fiume Niger, l'Organizzazione per lo sviluppo del Senegal, la Commissione per il coordinamento delle ricerche nel Bacino del basso Mekong. Per quanto riguarda l'America, i regimi rispondono alle diverse esigenze dell'America settentrionale (fiumi-frontiera tra Stati, a regime bilaterale) e Sud America (Stati interessati all'integrazione fisica del continente, regime multilaterale). Per quanto riguarda quest'ultimo regime, si evidenziano il Trattato del Bacino del Plata che accomuna i cinque Stati rivieraschi per lo sfruttamento integrato, razionale ed armonico del sistema idrografico, costituendo un accordo-quadro che va completato dagli Organi previsti dall'Accordo, di carattere sovranazionale. Il Trattato di cooperazione Amazzonica, nato per iniziativa brasiliana, per la gestione del Rio delle Amazzoni, che configura quasi un sistema regionale di Stati, ha anch'esso natura di un accordo quadro, ma gli Organi (riunione dei Ministri degli Esteri e Consiglio di cooperazione amazzonica) non hanno caratteristiche sovranazionali ma cooperative, lasciando agli Stati membri il compito di attuare le scelte attraverso specifiche Commissioni internazionali incaricate. Stretti Nel XIX secolo, si cominciò a sviluppare l'idea dell'apertura degli stretti alla libertà di passaggio. Tale idea fu recepita da diverse convenzioni ad hoc (accordo del 1881 sullo stretto di Magellano) e infine incanalata come principio generale nella Convenzione di Barcellona del 1921. Tale regime fu però presto superato a causa di problematiche politiche e difficoltà tecniche, nonchè dalla peculiarità di ciascuno stretto. Cosi nella Convenzione di Ginevra del 1958, venne affidato agli Stati il potere di limitare o sospendere il diritto di passaggio inoffensivo attraverso i propri stretti, a meno che essi non congiungano due zone di alto mare o una zona di alto mare e una di mare territoriale di un altro Stato. Successivamente, in diversi stretti i controlli dello Stato divennero di fatto più pressanti. La Convenzione delle Nazioni Unite del 1982 previde invece un duplice regime: il regime del passaggio inoffensivo viene sostanzialmente confermato, ma solo per gli stretti che congiungono il mare territoriale di uno Stato alla zona economica esclusiva di un altro o all'alto mare e agli stretti formati dal territorio continentale di uno Stato e da un'isola ad esso appartenente. In tutti gli altri stretti, salvo accordi pregressi, si attua il nuovo regime del passaggio in transito (libertà di navigazione e di sorvolo), sottoposto a limiti strettamente elencati e quindi sostanzialmente molto più liberalista del regime di passaggio inoffensivo. Nella zona del mediterraneo tale regime è poco presente per l'esistenza di accordi prregressi alla sua entrata in vigore. Canali I canali sono vie di comunicazione internazionale localizzati fra due o più Stati; sono marittimi, vie navigabili che mettono in comunicazione due zone di mare libero. I canali naturali seguono la disciplina delle zone di mare, mentre quelli artificiali sono disciplinati da accordi internazionali ad hoc per ciascuno di essi e appartengono 52