Scarica Domande che aiutano a capire e più Dispense in PDF di Linguistica solo su Docsity! Le domande che aiutano a capire Nigris INTRODUZIONE Spesso quando si è bambini ci si pone, e si pone molte domande e ci si chiede se a volte si possa osare fare certe domande e troppe volte le domande dei bambini restano chiuse nella loro mente. Anche quando le domande riescono a uscire non sempre trovano risposte e questo può provocare diverse emozioni dalla rabbia, alla curiosità, all’amarezza fino all’incompletezza. Troppe volte i bambini vorrebbero farci delle domande ma non si sentono legittimati a farlo per diverse motivazioni, altre volte invece ci pongono domande che trovano però derisione o valutazione perché gli adulti le reputano banali, ovvie o non sufficientemente intelligenti. Purtroppo, troppo spesso, rispondiamo distrattamente, falsamente, in modo irrispettoso o svalutante. Altrettanto spesso capita che non sappiamo rispondere alle domande che i bambini ci pongono e, così, finiamo per giudicarle assurde, incomprensibili solo perché ci spiazzano. Sia in contesti informali che a scuola poniamo delle domande ai bambini che crediamo complesse e di difficile risposta e che i bambini, al contrario, considerano banali. Altre volte poniamo domande che speriamo aprano una discussione e che, invece, cadono nel nulla. Bisogna cercare di costruire un contesto educativo in cui i bambini si sentano sempre legittimati a fare domande che ritengono fondamentali per la loro crescita, senza paura di rimanere delusi. Il terreno delle domande è un terreno minato sul quale bisogna muoversi con cautela, ma senza perdere la spontaneità nella relazione con i bambini. I modi in cui gli adulti pongono domande, soprattutto a scuola, sottendono il modo in cui vengono contestualizzate le relazioni e il processo di insegnamento-apprendimento. La formulazione di domande operata dagli allievi viene ritenuta il segnale dell’attività di esplorazione e comprensione di un fenomeno, poiché corrisponde alla volontà di dare senso a quello che i ragazzi stanno imparando e alla loro capacità di articolare questioni e problemi da analizzare a riguardo. I BAMBINI SONO FILOSOFI? Rita Milittello 1. Dalla geometria alla filosofia passando per la linea retta Il primo capitolo si apre con una testimonianza di un’azione didattica incentrata sul far comprendere ad una classe 3’ elementare il concetto di infinità della linea retta; per farlo la maestra racconta una storiella “ un professore chiede ad uno studente di disegnare una linea retta, lo studente inizia a disegnare sulla lavagna ma al prof. non basta, allora continua sul muro ma ancora non basta, allora apre la porta e il professore invita l’alunno ad uscire e ritornare solo quando avrà studiato che cos’è una retta” Una bambina però è rimasta più affascinata dall’idea che una retta sia infinita e dà inizio a quella che diventerà una discussione (vedi pag 9-10) È una discussione spontanea e, come tante di queste discussioni, se lasciate libere possono diventare preziose fonti di suggerimenti per l’insegnante. Le domande di questi bambini di 3’ elementare hanno una connotazione filosofica “ciò che immaginiamo è reale? Ma cos’è reale? Se una cosa non ha né inizio né fine come fa ad esistere?” Ma cosa c’entrano bambini di 3’ elementare con la filosofia? 1 Inoltre, in questa discussione i problemi filosofici veicolano una forte carica emotiva perché il problema di immaginare senza vedere non è solo un problema ipotetico per qualcuno, ma è molto vicino al vissuto personale di una bambina. Il piano emotivo è inscindibile da quello cognitivo. 2. Le mille e una… domanda dei bambini L’idea di bambino indagatore e curioso costituisce quella che in pedagogia viene definita “la rivoluzione copernicana” realizzata con la scuola attiva (Dewey) vivo interesse nei confronti della natura biofisica del bambino caratterizzata da bisogni, interessi, processi psicologici… I grandi educatori (es. Montessori e Malaguzzi) sono partiti proprio dalla curiosità naturale dei bambini che li fa essere “bambini costruttori” in grado di costruire oggetti, fantasie, pensieri e conoscenze se solo si da loro la possibilità di far lavorare la mente. Con l’acquisizione del linguaggio si sviluppa istinto naturale di porre domande; crescendo la tipologia di domande cambia passando dal mondo esterno al mondo interno, dal concreto all’astratto. Partendo dall’osservazione sorgono domande di tipo descrittivo (perché il fuoco brucia?) e da qui iniziano a riscontrare analogie e differenze (perché il cane annusa e io no?) oppure domande più impegnative riguardanti la sfera dell’affettività. Inoltre non è raro che le osservazioni dei bambini siano ricchi di metafore e analogie che spesso rendono umane realtà inanimate (dove va il sole quando va a dormire?). Ci sono poi domande circa il linguaggio (cosa significa qst parola?); domande che sembrano aprire infinite possibilità (come sarei io se fossi nato in un altro paese?) MA COSA INNESCA IL DOMANDARE NEI BAMBINI? È il contatto primitivo con l’esperienza lasciata libera di immergersi nel presente e di distaccarsene per aprire nuovi spazi che potrebbero costituire nuova esperienza di apprendimento e di riflessione. 3. Bambini e filosofia: uno strano binomio Fino a 30 anni fa pensare di accostare bambini e filosofia era impossibile e folle tuttavia oggi questo modo di pensare non è più considerato assurdo in quanto è avvenuta una trasformazione, ovviamente non dei bambini, ma negli occhi di chi li osserva che ha profondamente modificato il modo di leggerli, interpretarli e di relazionarci con loro. E in che senso i bambini hanno a che fare con la filosofia? Da sempre la storia della pedagogia e della didattica ha considerato il mondo infantile come “terreno di conquista” e su di loro si sono abbattute le teorie più strane trovando nel mondo dell’infanzia un terreno fertile per la sperimentazione (dal lasseiz-faire all’attivismo…). Il mondo infantile è stato “terreno di conquista” perché ha un legame con tutto ciò che rappresenta “l’altra metà del cielo”; “il non bambino”, lo strutturato in opposizione all’originario, dell’imprevedibile che il bambino da sempre rappresenta. Si potrebbe pensare che la filosofia è l’ennesima sperimentazione sul terreno dell’infanzia, ma in realtà è bene ragionare circa questo strano binomio e interrogarsi sulla natura di alcune domande che i bambini pongono; esiste una naturale propensione alle domande filosofiche? E se così fosse come possiamo rispondere a quelle domande così grandi e a volte così difficili e imbarazzanti? 4. Bambini: piccoli filosofi? 2 1. Del “fare domande” Pina Bausch (ballerina e coreografa) “metodo delle domande” : interrogativi posti a raffica a volte erano vere e proprie domande altre proponeva solo argomenti. I ballerini potevano rispondere liberamente anche divagando, perché le loro divagazioni potevano diventare nuovi stimoli. Attraverso questa pratica riusciva a mettere i ballerini in contatto con se stessi, anche perché le domande non erano mai direttive o troppo dirette tant’è che i ballerini erano liberi di non rispondere alle domande se queste li mettevano in difficoltà. La Bausch oltre ad essere un’artista è anche una maestra che decide consapevolmente di utilizzare le domande per formare i propri ballerini. Il metodo è risultato efficace grazie alle condizioni e alle modalità con cui veniva proposto e applicato infatti non predeterminava le risposte o il modo in cui avrebbero dovuto rispondere (era un modo per stimolare la creatività e i ballerini potevano reìispondere a parole, con gesti p altre modalità espressive), ma aveva bene in mente l’obiettivo che voleva raggiungere e per questo concedeva ai propri ballerini di rispondere nella modalità espressiva che preferivano e i loro percorsi potevano essere differenti. Questo metodo può essere utilizzato in ambiti di insegnamento prettamente cognitivi? De Vecchi e Cremona-Magnaldi sostengono che le DOMANDE siano PIU’ IMPORTANTI delle RISPOSTE. “Si comincia a costruire il sapere quando ci si può porre una domanda”. È ormai appurato che il processo di insegnamento-apprendimento sia un’attività interattiva. Ma a seconda delle società vengono evidenziati aspetti differenti: -comunicazione non verbale -acculturamento attraverso processo osservazione/imitazione; -nella nostra società industrializzata: -comunicazione verbale -con l’uso delle parole insegnanti e alunni svolgono attività diverse di cui il sistema domanda/ risposta costruisce la struttura portante per l’acquisizione di conoscenze. Tuttavia le modalità di porre domande possono essere molto varie, a seconda degli argomenti, del clima e della metodologia utilizzata. 2. Domande vere o false? Non tutte le domande (sia di alunni che di insegnanti) vengono ascoltate, recepite o comprese. Non tutte le domande dei docenti sono AUTENTICHE. Esistono domande vere e domande false, o meglio, secondo De Vecchi e Carmona-Magnaldi “c’è un modo di interrogare che neutralizza la risposta giusta. (…) L’allievo si conforma alle aspettative del maestro”. Si cerca di farli parlare, ma non di farli esprimere. Già Dewey sosteneva che bisognasse proporre ai ragazzi PROBLEMI GENUINI perciò ogni insegnante dovrebbe riflettere se le domande che pone potrebbero davvero essere genuinamente poste dai ragazzi per assicurarsi di costruire una conoscenza SIGNIFICATIVA. In caso contrario si finisce, come dice Dillon, che chi fa le domande (insegnante) non riflette attraverso esse il desiderio di conoscenza dei ragazzi. Mentre chi è interessato alla conoscenza (allievi) non fanno domande. Prima degli studi veri e propri incentrati sulle domande già con Chomsky nel 1957, con la sua analisi generativa-trasformativa delle domande, c’è stata una vasta produzione nei vari ambiti di ricerca. Es.: studi linguistici modo di formulare le domande conferma che alcune domande non costituiscano quesiti autentici, ma esprimono info e opinioni di chi parla. - Domande retoriche si conosce già la risposta. (pag 35 conversazione) - Domande si/no inducono una risposta in base a come sono formulate - Domande introdotte dal “perché” tendono ad esprimere criticismo o un’obiezione più che chiedere un parere. Le risposte diventano spesso repliche o proteste (perché non hai fatto i compiti?). 5 Quando facciamo una domanda dobbiamo chiederci se la risposta è già interamente o parzialmente indicata dalla domanda o se cerchiamo davvero di fare la domanda che apra a diverse possibili risposte. Studi hanno dimostrato che la domanda, il più delle volte, rifletta le opinioni di chi la formula e in tal modo chiede all’interlocutore di adeguarsi ai propri schemi. Solo se i presupposti della domanda corrispondono alla realtà e/o possono essere condivisi dai due soggetti, la domanda può considerarsi VALIDA. 3. Domande per controllare Gli adulti spesso usano le domande con i bambini come metodo per confermare la propria superiorità e il proprio controllo. RAPPORTO DI AUTORITA’ tanto che alle volte gli alunni, in una posizione di subordinazione, addirittura chiedono “scusa” prima di porre una domanda. Spesso le domande degli insegnanti non hanno come scopo la ricerca di un’informazione, ma di ottenere l’attenzione su qualcosa di significativo per l’adulto.(in qst contesti i bambini danno risposte brevi ). Il modo di formulare le domande ci parla del modello di insegnamento che l’insegnante decide di assumere, ci descrive anche il pattern relazionale entro cui l’insegnante colloca l’azione didattica e attribuisce significato alle parole ed ai gesti dei protagonisti dell’azione. De Vecchi : pedagogia dell’indovinello (pedagogia del doganiere) Modello di insegnamento in cui il compito dell’allievo è di indovinare le risposte riproducendo il sapere che ha in mente l’insegnante. (controlla come un doganiere che non ci sia merce non autorizzata di conoscenze non previste). Lucia Lumbelli: diversi studi circa l’interazione in classe. Sostiene che le domande servano per ribadire una posizione di potere e attraverso il doppio legame mette l’alunno in condizione di non poter rispondere alle sue domande mettendolo in una posiziona di down. (sminuito sapere b.) Es. : - ins: dimmi una nazione del Sudamerica a tuo piacere - b: L’Uruguay - ins: Ma scegli sempre gli argomenti più semplici. Il bambino è, quindi, schiacciato tra la richiesta di dire quello che pensa e l’impossibilità di farlo. Per sottolineare ulteriormente il potere di controllo della classe perché l’insegnante decide chi, quando, come deve parlare. Non è necessario, inoltre, che i suggerimenti sul come rispondere derivino dalla comunicazione verbale ma questo è possibile anche attraverso la comunicazione non verbale (enfatizzazione di alcune parole, pause, gesti,versi…) [ Esempio Ernesto e il racconto delle vignette, 2 stili differenti con 2 risultati differenti pag.41/44] 4. Domande e metodologie di insegnamento Diversi studi hanno dimostrato che, a seconda delle attività in cui sono inserite, le domande degli insegnanti cambiano di significato. -lezione monologo/conferenza: domande poste più dagli insegnanti, domande per lo più retoriche, rare domande degli alunni e nel caso a fine lezione, interrogazioni per ottenere la risposta giusta (solo una) verificare conoscenze e il loro livello. Conoscenza informativa. Lucia Lumbelli parla di “tripletta comunicativa” (triadic dialogue): modello trasmissivo insegnante fa domanda ragazzo risponde insegnante verifica esattezza e giudica. Le domande, anche quelle apparentemente aperte, sono fatte per una sola risposta esatta (secondo linea di pensiero dell’insegnante). Le domande alunni sono pressochè assenti. 6 Se si adotta questo modello si rischia che gli studenti falliscano perché non capiscono le intenzioni. Gli alunni possono fallire in modi diversi: 1. cambiare risposta per insicurezza; 2. rispondere non in modo sincero: cercando di rispondere quello che credono si aspetti l’insegnante; per noia; per demotivazione; per sfida… 3. eccessiva fiducia e affetto nei confronti dell’adulto, si adeguano alle sue aspettative per fargli piacere 4. non comprendono le parole utilizzate. Risulta palese che non è sufficiente cambiare il tipo di domande, ma bisognerebbe ripensare al proprio stile/modello di insegnamento. • Lezione dialogata/ discussione in grande gruppo: conoscenza non solo nozionistica, si pongono domande anche per stimolare la comprensione e la riflessione. Il docente dovrebbe accettare di buon grado le domande degli studenti e, se necessario, modificare il proprio programma inserendo gli spunti suggeriti dai ragazzi. La costruzione della conoscenza non deve avere come fine la memorizzazione, ma la comprensione anche di concetti complessi. In contesti di questo genere prevalgono le domande degli alunni non ci si cimenta in problemi assurdi, inesistenti o comunque molto lontani dal vissuto e dall’interesse dei ragazzi. Il docentre cerca di stimolare il pensiero critico e divergente dell’alunno. • Poi nel piccolo gruppo il ruolo dell’insegnante dovrebbe essere defilato, perché insieme gli alunni ponendosi domande reciproche possono arrivare a sviscerare anche grosse questioni tenendo presente che oltre agli obiettivi conoscitivi ci sono anche le capacità di stare e lavorare in gruppo. (es. pag 48-49-50) Dove c’è un apprendimento cooperativo con un insegnante socio-costruttivista le domande possono essere DAVVERO utili e costituire un VERO strumento per conoscere. (non più strumento di potere). 5. Domande per conoscere “Il fare domande” costituisce lo stile di base del processo di insegnamento. Esistono diverse tipologie di domande: -drills, per verificare il livello di attenzione; -domande per avviare o controllare la discussione; -domande per guidare lo studio; -domande delle interrogazioni. Tuttavia resta il problema di come classificare le domande in funzione della ricaduta sugli alunni. Secondo Wong il problema è chiedersi come le domande vengono poste, quando e la loro relazione con l’argomento. Es: domande aperte più interventi e risposte più lunghe, ma le domande che riguardano fatti ricevono risposte più concise rispetto alle domande su concetti o circa opinioni studenti. (esempi pag.51-52) Inoltre se la domanda riguarda quanto il bambino sta dicendo o un lavoro di cui i bambini sono protagonisti questo li porta ad essere più facilmente coinvolgibili. Inoltre (es. pag 53-54) il coinvolgimento può anche venire da una situazione in cui la difficoltà segnalata da un’alunna diventa occasione per progettare insieme e correggere la consegna dell’adulto. 6. Domande e pensiero riflessivo Cognitive Revolution: ha improntato il modello costruttivista anche nella riflessione relativa al provesso di insegnamento-apprendimento e alla gestione della classe. 7 Rogers suggeriva di adattarsi in un primo momento allo stile comunicativo dell’interlocutore, per poi portarlo in un secondo momento a codici più elaborati e formali. Il linguaggio utilizzato dagli adulti più quindi costruire una barriera nella comunicazione con i bambini: spesso gli insegnanti sono troppo concentrati sul contenuto che sulla capacità di farsi capire dai bambini. Come insegnanti dobbiamo porre la nostra attenzione sulla coerenza fra le domande che formuliamo e il senso che esse assumono rispetto all’esperienza e all’enciclopedia del ragazzo. Harris e Williams sostengono che le domande e il discorso scientifico/disciplinare vanno inserite in una trama narrativa, che connetta fenomeni e osservazioni, osservazione e linguaggio, codici ed elaborazione del pensiero. Il dialogo in classe potrebbe essere collaborativo. Le domande possono/ devono essere inserite in un questo contesto, in cui i ragazzi trovano una collocazione. Il contesto comunicativo in cui viene posta la domanda è quello che più influisce sulla sua comprensione. Importante che questi contesti siano significativi per i bambini. I bambini posseggono delle preconoscenze non sempre appropriate, per questo motivo è necessario trovare un luogo di incontro fra i codici del docente e quelli dei ragazzi, un linguaggio capace di valorizzare e destrutturare al tempo stesso queste conoscenze. per questi motivi se l’insegnante è al centro della discussione, la comunicazione verte più sul concetto scientifico. Se invece viene lasciata in mano agli allievi, la conversazione di sposta su concetti, fenomeni e curiosità di questi. In classe bisogna lasciare spazio a queste teorie ingenue in modo che si esprimano, si confrontino e possano infine stimolare la riflessione sulle eventuali contraddizioni interne del pensiero ingenuo. PARTIRE DALLE DOMANDE DEI BAMBINI. 2. Si può imparare dalle domande degli allievi? Anche bambini molto piccoli si rendono conto del valore delle domande nel costruire le relazioni e la loro conoscenza del mondo. La letteratura ha illustrato come la capacità di generare domande costituisca una delle chiavi fondamentali del processo di costruzione della conoscenza. L’insegnante deve permettere ai bambini di porre domande genuine che derivano dalla loro volontà di conoscere, senza svalutarle o giudicarle. Spesso i bambini tendono a non fare domande a causa dell’eccessivo controllo esercitato dall’insegnante. Inoltre spesso anche il comportamento non verbale o il tono di voce di squalifica delle domande poste dai ragazzi finisce per scoraggiare il desiderio di questi di porre le loro idee. Capita che quando i ragazzi pongono domande con lo scopo di sollevare dubbi o criticità, queste finiscono per imbarazzarlo e innervosirlo e questo comportamento scoraggia chi le formula. COME PROMUOVERE IL PENSIERO AUTONOMO DEL RAGAZZO? LE DOMANDE QUANDO SI SBAGLIA di Letizia Franciolini 1. Verso una didattica dell'errore Spesso la presenza dell'errore nel processo di insegnamento apprendimento viene vista come naturale e scontata. Solitamente si cerca di evitare che gli errori siano troppi e si cerca di risolverli nel minor tempo possibile, per evitare stati d'ansia e di preoccupazione. Quindi visto così, sarebbe quasi meglio se gli errori non venissero proprio commessi. Ma è davvero possibile la costruzione di una conoscenza che non passi attraverso l'errore? Il pensiero pedagogico e didattico contemporaneo crede che l'errore sia un elemento indispensabile nel processo di insegnamento- apprendimento, non inevitabile, bensì necessario. Non è qualcosa che disturba, ma qualcosa di costruttivo. L'errore è necessario perchè è un modo che gli allievi hanno di trovare, passo dopo passo, le proprie risposte in modo autonomo. Riguardo a ciò, esistono due cornici teoriche del pensiero-pedagogico didattico entro le quali l'errore è ritenuto utilissimo: la didattica 10 costruttivista e il fallibilismo popperiano, la seconda delle quali ha una matrice più scientifica che pedagogica. Quest'ultima è stata poi raccolta da Perkinson negli anni '70, e ripresa poi da Baldini negli anni '80, parlando addirittura di PEDAGOGIA E DIDATTICA DELL'ERRORE. La didattica costruttivista L’errore si relaziona con una concezione di apprendimento molto dinamica e complessa, in cui i saperi non si devo trasmettere, ma si devono costruire, offrendo al bambino il tempo e lo spazio necessari per procedere in modo autonomo e consapevole nel suo percorso di formazione. Una delle cose più importanti che il maestro deve fare in questa situazione, è riconoscere prima di tutto la differenza tra un ERRORE e uno SBAGLIO. Il primo emerge quando si è impegnati in processi di ricerca e scoperta, quando si cerca di costruire una teoria e si è coinvolti in strategie e procedimenti inventivi e creativi; lo sbaglio invece è l'applicazione scorretta di una regola o di una teoria che pensiamo di conoscere. L'errore ovviamente trova spazio per maturare nel momento in cui a scuola si adottano delle scelte didattiche che presuppongano una concezione costruttivista del processo ins-appr. Il bambino è messo nelle condizioni di costruire questa conoscenza attraverso esperienze e situazioni-problema che lo stimolano a farsi delle domande e a verificare le risposte con l’aiuto del maestro e soprattutto dei compagni. Ovviamente non basta far emergere l'errore, esso deve anche permettere al bambino di imparare. È compito dell' insegnante accogliere l'errore come risorsa, avendo un atteggiamento non punitivo ne giudicante, ma accogliente e costruttivo. Il fallibilismo di Popper Secondo Perkinson è con Popper che il rapporto tra errore e educazione trova una sua compiutezza. Popper scardina l'idea tipica del metodo scientifico induttivo secondo cui bisognerebbe ricercare una verità assoluta; secondo Popper, invece, esiste solo una verità provvisoria che mette l'uomo nelle condizioni di continuare a fare congetture per capire una realtà che non è mai data a priori e in modo definitivo; l'unico atteggiamento possibile in questo caso è proprio quello FALLIBILISTA, che si basa sul fatto che l'uomo e le sue teorie sono sempre soggette a disconferma e niente può dirsi definitivamente giusto né definitivamente sbagliato. L'errore quindi, è inevitabile nella vita umana, e il rapporto con esso non può che essere positivo e ovviamente faticoso. Solo trasformando e superando l'errore possiamo raggiungere una conoscenza migliore, quindi l'obiettivo del educatore fallibilista è il MIGLIORAMENTO e non la perfezione, che non esiste. L'educatore fallibilista non sopprime gli errori, ma li fa parlare. Gli errori aiutano a capire lo studente, a capire il suo modo di ragione e di rapportarsi alla realtà. Queste due cornici teoriche dialogano facilmente tra di loro, entrambe chiedendo all'insegnante e al bambino un rapporto diretto con il processo in cui l'errore prima emerge, poi viene riconosciuto e esplorato, e infine viene trasformato in conoscenza, seppur provvisoria. In tutto questo sistema, come si inseriscono le domande? Quale rapporto si instaura tra domande e errore? 2. Errori e domande: una relazione complessa Tanto l'approccio costruttivista che quello fallibilista attribuiscono alle domande un ruolo essenziale, e necessario; le domande sono una strategia che serve soprattutto a stimolare e a far crescere la discussione e il confronto, la domanda è indagare su qualcosa. Tuttavia la relazione 11 domande-errore non è stata esplorata a fondo, e quindi alcune domande restano aperte: quali domande scaturiscono di fronte a un errore? Come formularle? Chi le pone? Esempi di ricerca • Barksdale-Ladd e King raccolgono una serie di considerazioni che evidenziano la difficoltà degli insegnanti nel confrontarsi con l'errore dei bambini. Gli insegnanti dichiarano di lasciar spazio ai ragazzi per le autocorrezioni e le correzioni tra pari, oppure sostengono che un modo per correggere l'errore sia quello di fare domande. Eppure l'idea è ben diversa dai fatti. Per esempio, osservando questi ins. All' opera, molti di loro interrompono il bambino che, leggendo, commette un errore per fornirgli la risposta corretta o per chiedere un'autocorrezione. Sono convinti che senza la correzione il bambino non possa capire a fondo il testo e che quell'errore non meriti ulteriori approfondimenti. L'intervento dei pari non sembra affatto venire promosso. Le uniche domande usate sono chiuse, a scopo puramente correttivo. Tra le dichiarazioni di intenti e il riscontro pratico c'è un abisso. • Un'altra ricerca è stata eseguita da Albanese, Fiorilli e Gnisci, che hanno suddiviso gli insegnanti in “poco costruttivisti” e “molto costruttivisti”. I risultati sono sconcertanti: il turno di parola è dominato dall'insegnante, con scarso uso di domande, senza avere differenze significative tra il gruppo dei “poco” e “molto” costruttivisti. Gli interventi degli insegnanti raramente sono rivolti a stimolare la riflessione, anche se in questo caso la differenza che emerge sembra rispettare le aspettative, perche i “molto costruttivisti” usano maggiormente interventi volti a migliorare la riflessione. Chiedersi se domandare Il processo di GESTIONE DELL'ERRORE si sviluppa in una dinamica continua e circolare, che comprende diversi momenti: • l'emergere dell'errore • il riconoscimento dell'errore, sia da parte dell'insegnante che degli alunni • la gestione dell'errore, modalità con cui viene accolto • la trasformazione dell'errore è nella fase della gestione dell'errore che ci interessa capire quanto sono importanti le domande di insegnanti e bambini. ♦ Le domande correttive una possibile scelta comunicativa e didattica dell'insegnante di fronte a un errore, spesso e volentieri è la CORREZIONE. La domanda spesso è chiusa e rivolta solo al bambino che ha sbagliato. Ovviamente in un momento simile difficilmente l'errore sarà utilizzato come risorsa di apprendimento. (es. pag. 122-123). altre volte, invece, l'errore non viene sanzionato, ma accolto e riproposto alla classe formulando una domanda la cui struttura, però, suggerisce in parte la risposta. Margutti le chiama alternative questioni. Dipende molto anche dal tono di voce del maestro; se due sono le risposte, il tono servirà a indirizzare l'attenzione su quella giusta. Esiste poi quello che viene chiamato rispecchiamento rogersiano: il maestro ripete sottoforma di domanda quello che il bambino ha affermato. Serve a sospendere il giudizio, valorizza l'intervento e stimola ulteriori sviluppi proprio a partire dalla frase rispecchiata. Peccato che molti insegnanti, nel fare la domanda, usino un tono di voce che presuppone la presenza di uno sbaglio in quello che il bambino ha detto, e ciò basta a consigliare al bambino di rivedere subito la sua riposta (spesso senza neanche capire dove ha sbagliato). ♦ Le domande per riflettere 12