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ESAME DI DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO, Prove d'esame di Diritto Internazionale Privato

prof virzo

Tipologia: Prove d'esame

2011/2012

Caricato il 14/12/2012

cekketto
cekketto 🇮🇹

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Scarica ESAME DI DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO e più Prove d'esame in PDF di Diritto Internazionale Privato solo su Docsity! ESAME: DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO Introduzione La legge 218/95 rappresenta il nostro attuale sistema di diritto internazionale privato. Le sue categorie dogmatiche riprendono quelle del codice civile, cioè, essa contiene norme giuridiche che disciplinano la categoria della famiglia, delle successioni, delle obbligazioni contrattuali o extracontrattuali, quelle delle persone fisiche e giuridiche. Si parla di diritto privato perché il sistema di diritto internazionale privato disciplina le stesse materie contenute nel codice civile. Le fattispecie che vengono disciplinate da questa materia sono definite “fattispecie con elementi di estraneità rispetto all’Ordinamento del foro. Il termine foro deriva dal latino forum che, nel diritto classico, delineava il Tribunale. Quindi, quando parliamo di Ordinamento del foro intendiamo l’Ordinamento dello Stato nel quale si trova il tribunale chiamato a decidere su un determinato caso. Quindi, quando parliamo di fattispecie non totalmente interna all’Ordinamento del foro, intendiamo una fattispecie che presenta un qualche elemento di estraneità rispetto all’Ordinamento cui appartiene il giudice che è chiamato a decidere su un determinato caso concreto. Si pensi al contratto stipulato tra un cittadino italiano ed uno francese; se il giudice italiano si trova di fronte ad una controversia tra le parti di questo contratto, egli non può trattare questo contratto come se fosse un contratto totalmente interno all’Ordinamento del foro, cioè non può applicare sic et simpliciter gli artt. 1321 c.c. Quindi, si parla di fattispecie con elementi di estraneità perché quella fattispecie presenta qualche connotato che la rende estranea all’Ordinamento del foro (quello cui appartiene il giudice che è chiamato a risolvere la controversia) che nel nostro caso è il giudice italiano. L’elemento di estraneità potrebbe essere la cittadinanza, il luogo nel quale si trova un determinato bene giuridico, ecc.. Si pensi ad una successione di un cittadino italiano che ha tutto il suo patrimonio in Francia, questa non è una successione totalmente italiana cui possiamo applicare direttamente le norme del codice civile in tema di successione, ma è una successione caratterizzata da elementi di estraneità, che in questo caso è l’ubicazione del bene. Un’altra differenza fondamentale tra le norme del codice civile e quelle di DIP deriva dal fatto che, quelle del codice civile sono norme di diritto sostanziale, cioè contengono la disciplina materialmente applicabile a quel determinato rapporto. Ad esempio, in materia di contratto, con riferimento alla condizione, si fa una distinzione tra condizione sospensiva, risolutiva, cioè dettano la disciplina diretta, materiale, del rapporto stesso. Invece, le norme di DIP sono caratterizzate dal connotato della strumentalità, cioè non detta una disciplina sostanziale o materiale del rapporto giuridico, ma è una norma strumento, nel senso che si serve di strumenti (i c.d. criteri di collegamento) al fine di individuare, nell’Ordinamento italiano, o negli Ordinamenti stranieri, la disciplina materiale applicabile al caso concreto. E poi, è una norma priva di sanzione, cioè contiene un precetto che è meramente strumentale, nel senso che fa riferimento a dei criteri di collegamento e poi sarà l’interprete (giudice dell’Ordinamento del foro) a verificare la disciplina applicabile al caso concreto. Si pensi ad un contratto stipulato tra un italiano ed un francese, in questo caso, le norme di DIP, non ci offrono la disciplina diretta, materiale, applicabile a questo contratto, ma ci dicono che il contratto è disciplinato dalla legge indicata dalle parti (tale criterio si chiama “lex volutatis”, cioè legge espressa dalla volontà delle parti), quindi, se le parti scelgono l’ordinamento brasiliano, il giudice italiano dovrà applicare il diritto brasiliano e verificare come in quell’ordinamento è disciplinato il contratto. Oppure, con riferimento alla successione, si pensi ad un cittadino italiano che ha i suoi beni in Inghilterra. Anche se quel cittadino nasce e muore in Italia, in caso di controversia tra gli eredi, se questi si recano dal giudice italiano, questo per risolvere tale controversia, non può applicare semplicemente il codice civile, perché è una fattispecie non totalmente interna all’ordinamento del foro, allora si applica la norma di DIP sulla successione, norma strumento, che di dice che “la successione è disciplinata nei suoi vari aspetti, dalla legge del luogo dove i beni si trovano”; quindi il giudice dovrà applicare la legge inglese (il criterio di collegamento in questo caso prende il nome di “lex rei sitae” e cioè legge del luogo dove si trovano i beni). Criteri di collegamento Le norme di DIP contengono tutte dei criteri di collegamento. Questi criteri sono stabiliti dal legislatore in base a considerazioni di tipo politico. Alcuni di questi criteri sono molto rigidi, cioè il criterio del ordine pubblica, ecc.. Se sono rispettate queste condizioni, la sentenza o il lodo può avere riconoscimento anche in Italia, ciò soprattutto a livello di Stato comunitari, in maniera da creare uno spazio unico comunitario di circolazione dei provvedimenti e delle decisioni. Vi sono delle teorie, soprattutto degli internazionalisti statunitensi, che collegano il forum allo ius, ritenendo che qualora sussiste il forum, sussiste anche lo ius (teoria che prende il nome di “home ward trend”). Ad esempio, se il giudice italiano adito riconosce che l’Italia ha la giurisdizione, allora automaticamente dovrà applicare lo ius italiano, quindi si ha l’automatica attrazione dello ius nell’ambito del forum. Questa teoria è stata superata perché ispirata ad un forte nazionalismo, oggi, invece si riconosce la parità degli ordinamenti ed è per questo che si applicano i criteri di collegamento. Le norme di diritto internazionale privato sono norme di conflitto, che risolvono conflitti tra Stati. Queste sono state variamente nominate: ad es. i tedeschi parlano di norme di collisione, proprio perché vi è una collisione tra le discipline dei vari Stati, alcune volte si parla di norme sulla scelta della legge, proprio per sottolineare quella strumentalità delle norme di DIP (Vitta). Profilo storico Nell’età intermedia ci furono dei giuristi medioevali, in particolare Bartolo di Sassoferrato, che cercarono di mettere un po’ di ordine in un periodo caratterizzato da una estrema frammentarietà del diritto. Essi partirono dal Codice Giustinianeo, cioè il corpus iuris civilis; vi era una situazione di grande disordine, posto che vi erano due criteri fondamentali: quello reale e quello personale, cioè vi erano Statuti di disciplina reale, e Statuti di disciplina personale, quindi ad un determinato bene si applicava un determinato Statuto, ad un altro bene, un altro Statuto, ad una categoria di persone (quelle meno abbienti) si applicava un diritto, ad altre (quelle più ricche) si applicava un altro diritto. Quindi, il diritto era frammentato in Statuti. Vi era il sovrano che emanava norme giuridiche ed ogni norma confluiva in uno Statuto. Quindi si affermò il Diritto Statutario, che influì molto sull’elaborazione, nel diritto intermedio, del diritto internazionale privato. Vi era una scarsa uniformità del diritto e quindi i giuristi di tale epoca, si preoccuparono di raccordare tali Statuti e di risolvere eventuali conflitti tra gli stessi. Una teoria che ha influenzato molto l’elaborazione del DIP è la teoria della Comity che in inglese significa gentilezza, cortesia. Questa teoria deriva da Story, un giurista inglese che ha coniato l’espressione DIP, in base al quale, per giustificare il fondamento delle norme di DIP e quindi la risoluzione di conflitti di norme tra Stati, gli Stati stessi accetterebbero tale intrusione, tale limitazione di sovranità, per una ragione di comity e cioè per una ragione reciproca di cortesia, di gentilezza tra Stati. Alcuni giuristi hanno addirittura ritenuto che questa teoria è un principio di ius gentium, cioè di diritto internazionale, quindi si tratterebbe di una norma di tipo consuetudinario, generalmente riconosciuta dall’art. 10 Cost. Altri, invece, hanno criticato tale teoria della norma consuetudinaria dicendo che si tratta di un mero fenomeno sociale, di costume tra Stati e che quindi non si può parlare di norma giuridica. Di tale materia si sono occupati altri due giuristi, uno è Savigny e l’altro è Stanislao Mancini. Quest’ultimo è il padre fondatore, in Italia, del DIP. Savigny, nel suo Sistema di diritto Romano, effettua un tentativo più ambizioso rispetto a quello della comity: mentre i giuristi intermedi, gli statutari, andavano ad individuare i conflitti tra queste norme, e quindi partivano dalle norme materiali, Savigny, per la prima volta, apre la strada a quella strumentalità della norma di DIP, egli intuisce che, il modo migliore per risolvere tali conflitti non è quello di guardare alle norme sostanziali, ma ai criteri di collegamento, cioè trovare delle norme che in maniera più generale ed universale potessero risolvere questi conflitti. Da qui si arriva alla concezione moderna del DIP, che sarà ripresa dal pensiero di Mancini, che si articola in tre punti fondamentali. La preferenza va al criterio della nazionalità o cittadinanza perché l’idea è quella della cd universalizzazione, ciò vuol dire che se noi scegliamo il criterio della cittadinanza, si garantisce a tutti i cittadini italiani, in qualunque parte del mondo si trovino, di ricevere lo stesso trattamento legislativo. Quindi, il tentativo di Mancini è quello di garantire il più possibile, anche oltre i confini dell’Italia, l’applicazione della legge italiana nei confronti dei cittadini italiani. Altro criterio è quello della libertà e cioè le parti stesse possono scegliere la legge che, secondo loro, meglio disciplina il rapporto. L’ultimo criterio è quello della sovranità in base al quale, il cittadino straniero, se la causa viene avviata in Italia, deve sottostare come il cittadino italiano all’applicazione del diritto italiano. Un’altra cosa da dire è che la norma di diritto internazionale privato, nell’assumere una funzione strumentale ha l’attitudine a rinviare ad un altro ordinamento (tecnica legislativa). Un po’ come avviene per il diritto ecclesiastico, dove vi è un conflitto tra ordinamento canonico e quello statale. E’ possibile che in particolari materie la norma opera un rinvio anche al diritto religioso di un determinato stato. E questo fenomeno determina che il diritto religioso assume per effetto del rinvio della norma DIP il carattere di statualità, cioè, la norma di DIP nel richiamare il diritto religioso lo statualizza, lo rende assimilabile al diritto statale. Quando parliamo di un rinvio ad una legge in questa materia, non intendiamo la legge identificata all’ordinamento perché l’ordinamento non è solo la legge, ma esistono altre fonti del diritto. Quindi non è la legge in senso tecnico come fonte primaria ma intendiamo l’ordinamento tout court (leggi, regolamenti amministrativi, ecc..). Fenomeno della transitorietà Il sistema di diritto internazionale privato ha subito un’evoluzione. Le fonti scritte del DIP, le troviamo nella l. 218/95, fonte di rango ordinario. In passato si trovavano nelle disposizioni preliminari al codice civile, ad esempio l’art. 12. Molto importante è l’art. 72 della l. 218/95, che disciplina la transitorietà parziale. Affronta la questione del diritto intertemporale dato che si è avuta una successioni di leggi, perché la l. 218/95 ha abrogato le norme delle preleggi. Adesso ci si chiede come si disciplina il transito. Il legislatore ci ha dato risposta nell’art. 72 identificando un regime di transitorietà parziale. Questa scelta è ispirata alla legge Svizzera che adotta lo stesso criterio intertemporale. E’ una retroattività di tipo processuale, nel senso che la nuova legge si applica soltanto per i giudizi pendenti successivamente al 1 settembre del 1995. Quindi si guarda al momento della pendenza del giudizio, cioè dal momento della proposizione della domanda (la pendenza del processo si ha nel momento in cui la causa viene iscritta a ruolo). Il nostro ordinamento si basa sul principio del “tempus regit actum”, cioè se il caso concreto si è verificato prima dell’entrata in vigore della nuova norma, il caso è disciplinato dalla vecchia norma, se invece si è verificato dopo, si applica la nuova; quindi si guarda a quando il fatto concreto si è verificato. Invece, qui, la Cassazione ha detto che non si applica questo principio nel DIP, ma si applica la retroattività parziale, e quindi anche se i casi si sono verificati prima se le parti scelgono la legge di uno stato che non aderisce alla convenzione, questa non troverebbe applicazione. Però, oggi la convenzione di Roma non è più in vigore ma è stata sostituita da un regolamento comunitario Roma 1, anche se l’art. 57 richiama ancora la Convenzione di Roma. Quindi ci si chiede che succede se il legislatore non modifica l’art. 57. Si può applicare il principio tempus regit actum, cioè per i casi verificatisi prima dell’entrata in vigore del regolamento Roma 1, si applica la convenzione di Roma, mentre, per quelli verificatesi successivamente, il rinvio deve intendersi fatto al regolamento comunitario. Oggi, il problema si intende superato, perché molte delle convenzioni sono state sostituite da regolamenti comunitari applicabili in tutti gli Stati membri. Fonti comunitarie Importante è il trattato del funzionamento dell’UE, modificato dal trattato di Lisbona, che abilita il Parlamento europeo ed il Consiglio ad adottare norme per lo più di diritto internazionale privato per garantire l’uniformità nello spazio giudiziario unico comunitario, delle regole applicabili negli stati membri ai conflitti di legge e di giurisdizione. Quello è il fenomeno della comunitarizzazione del terzo pilastro, cioè quello che fa riferimento alla materia civile e commerciale giudiziaria; il diritto comunitario è intervenuto in questa materia per uniformare il tutto. I principali regolamenti sono: 44/2001 (che ha sostituito la convenzione di Bruxelles); Roma 1 – 2008 - (che ha sostituito la Convenzione di Roma dell’80’); Roma 2 – 2007 - , che riguarda l’obbligazione non contrattuale che presentano elementi di estraneità. Questo fenomeno è stato definito dalla dottrina come “comunitarizzazione del diritto internazionale privato. Il regolamento prevale sulle norme di DIP interne come le convenzioni. La normativa nazionale, contraria ai regolamenti comunitari, va disapplicata. Nel c.c. vi sono delle norme sostanziali (cd. autolimitate) che estendono il loro ambito di applicazione a fattispecie caratterizzate da elementi di estraneità. Queste le troviamo nel codice della navigazione e agli artt. 115 e 116 del c.c. L’art. 116, che fa riferimento al matrimonio dello straniero nello stato stabilisce che lo straniero che vuole contrarre matrimonio nello stato deve presentare all’ufficiale dello stato civile una dichiarazione dell’autorità competente del proprio paese dalla quale risulti che nulla osta al matrimonio nonché un documento accertante il soggiorno nel territorio italiano. L’art. 115 fa riferimento al matrimonio del cittadino all’estero e ci dice che il cittadino è soggetto alle disposizioni previste nella disposizione prima di questo capo anche quando contrae matrimonio in paese straniero nelle forme ivi stabilite. Quindi, le norme italiane sul matrimonio si applicano anche quando un cittadino si sposa all’estero. Quindi la norma si dichiara applicabile anche a fattispecie con elementi di estraneità (norma auto limitativa). Fonti non scritte Sono fonti non scritte le consuetudini o fonti terziarie. In questo caso, la fattispecie caratterizzata da estraneità è regolata dalla prassi. Si pensi alla lex mercatoria, insieme di fonti non scritte che regolano il commercio internazionale dei mercanti. Deve armonizzarsi con i principi costituzionali. La disciplina di Vienna in una norma disciplina gli usi. Ci sono anche degli organismi internazionali, come ad esempio IATA (disciplina trasporto aereo internazionale). Adesso ci si chiede come trovano applicazione tali fonti. Secondo una prima prospettiva (Pagano), non troverebbero applicazione automatica al contratto ma sarebbe necessario sempre il richiamo nella volontà delle parti attraverso clausole negoziali. Altri ritengono che queste fonti non scritte si applicano automaticamente anche se le parti non le richiamano. Si pensi alla regolamentazione dell’e-commerce, cioè delle transazioni che avvengono in rete. La direttiva sul commercio elettronico comunitaria ha stabilito che i codici di condotta che si danno gli operatori che si scambiano beni su internet sono direttamente applicabili al contratto anche se le parti non li richiamano. Autonomia internazionalistica L’autonomia internazionalistica consiste nella possibilità per i privati di scegliere il diritto applicabile alla fattispecie. Però, proprio per questa autonomia, c’è il pericolo di frodare la legge (law shopping). Ad esempio se io so che il diritto francese non tutela la controparte, e voglio ledere l’interesse della stessa, scelgo il diritto francese. Oppure, scelgo la legge più conveniente per me e non alla controparte. O ancora il cd forum shopping, nel quale si sceglie il giudice più clemente della controversia questo è contro il principio della precostituzione del giudice). Per evitare questo, il legislatore introduce l’applicazione delle norme imperative. Altro argomento è quello del Forum prorogatum, cioè sono le parti a scegliersi il foro. Questo è previsto dall’art. 5 della l. 218/95, in base al quale le parti possono stabilire convenzionalmente la giurisdizione italiana a due condizioni: 1) che si tratti di diritti disponibili; 2) che vi sia l’accordo scritto tra le parti. Distinzione tra vari criteri Vi è una distinzione tra i vari criteri: 1) criteri di fatto (es. criteri territoriali); 2) criteri giuridici (quello della cittadinanza o del domicilio o della residenza, nozioni giuridiche che cambiano da stato a stato); 3) criteri soggettivi (riguardano le persone); 4) criteri oggettivi: (riguardano i luoghi); 5) criteri fissi (non variano nel tempo); 6) criteri variabili (variano nel tempo). Questi criteri possono concorre fra di loro per la stessa fattispecie. Ipotesi di concorso di criteri Il concorso di criteri può essere alternativo o successivo. Si parla di concorso successivo di criteri di collegamento, quando il legislatore ha istituito una gerarchia trai criteri. In questo caso il giudice dovrà prima utilizzare un determinato criterio, e soltanto se questo non fosse utile all’individuazione del diritto straniero applicabile, potrà passare al criterio successivo. Il concorso di criteri alternativo emerge a livello lessicale quando il legislatore utilizza la congiunzione “o”. Quindi, nel concorso alternativo è possibile l’applicazione di leggi diverse (ordinamenti), perché un criterio può richiamare un ordinamento e un altro criterio ne richiama un altro; invece, nel concorso gerarchizzato o successivo, si applica un’unica legge e poi, soltanto in via sussidiaria se ne applicherà un’altra. Si parla di cumulo (che oggi non è più utilizzato nella l. 218/95) nell’ipotesi del’applicazione congiunta di più leggi ad una fattispecie tramite il meccanismo del rinvio. Ad es. l’art. 17 delle preleggi (che oggi è stato abrogato), disciplinava le questioni familiari e faceva riferimento alla possibilità di applicare alla fattispecie concreta più leggi contemporaneamente (ad es. se la cittadinanza dei coniugi era diversa, si faceva riferimento alla legge nazionale sia del merito che della moglie). Però, il cumulo poteva determinare degli inconvenienti quando le discipline applicabili simultaneamente meno, perché la legge scelta dalle parti si deve applicare necessariamente. La ratio è quella di rispettare un altro principio che è quello dell’autonomia internazional-privatistica. Nel bilanciamento tra il principio dell’autonomia internazional- privatistica e il principio dell’autocollegamento, il legislatore preferisce il primo altrimenti la volontà delle parti sarebbe frustrata. Metodologie dell’attacco Nell’ambito dela l. 218/95 troviamo quattro metodi di attacco: 1) localizzazione spaziale della fattispecie; 2) riferimento all’ordinamento competente; 3) considerazioni materiali; 4) coincidenza forum-ius (approccio giurisdizionale). Quest’ultimo (nato nei paesi anglosassoni) è il metodo più facile, in base al quale se sussiste il forum e quindi la giurisdizione italiana, automaticamente si applica lo ius italiano (teoria non adeguata). Il metodo della localizzazione spaziale della fattispecie è stato studiato dal giurista tedesco Savigny e consiste nell’individuare la legge più appropriata a disciplinare un determinato rapporto in un quadro di parità tra gli ordinamenti (per spazio si intendono i vari Stati). Questa localizzazione avviene in tre modi: a) localizzazione diretta; b) localizzazione condizionata; c) localizzazione per auto collegamento. Tra queste tre classificazioni, la localizzazione per auto collegamento è quella che meglio rispetta i valori e la volontà dell’ordinamento straniero richiamato. Il metodo delle considerazioni materiali è un metodo di attacco della fattispecie ad un ordinamento che consente al legislatore di realizzare determinati obiettivi di giustizia materiale (cioè cerca di conseguire un determinato risultato). Quindi la norma di DIP non è neutrale ma tende a tutelare determinati interessi, come quelli delle parti in causa (metodo che risale al giurista LEFLAR che parla di better law, cioè di legge migliore applicabile alla fattispecie). C’ tutto un filone dottrinale che parla di norme di DIP e tutela delle parti deboli del rapporto giuridico. Si pensi all’art. 13 della l. 218/95 che disciplina il cd. rinvio in favorem, cioè rinvio in favore di un soggetto che in questo caso è il figlio minore. Il legislatore dispone che noi dobbiamo tenere conto del principio di auto collegamento, cioè delle norme di DIP dell’ordinamento richiamato, solo se queste norme di DIP straniere rinviano ad una legge più favorevole per il minore. O ancora, l’art. 34 in materia di filiazione dispone che: lo stato di figlio legittimo è determinato dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita. E’ legittimo il figlio considerato tale dalla legge dello Stato in cui uno dei genitori è cittadino al momento della nascita. Se per caso la legge nazionale del figlio al momento della nascita non consente di attribuirgli lo stato di figlio legittimo, si applica la legge nazionale di uno dei due genitori. Tutto ciò per garantire la giustizia materiale che è lo stabilimento della filiazione. Si pensi ancora all’art. 35 in tema di riconoscimento del figlio naturale. Questa norma stabilisce che le condizioni per il riconoscimento del figlio naturale sono regolate dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita (criterio della cittadinanza) o, se più favorevole, dalla legge nazionale del soggetto che fa il riconoscimento. Altro metodo è quello del favor valitidatis, a es. l’art. 48 fa riferimento alla forma del testamento e dice che il testamento è valido, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge dello Stato nel quale il testatore ha disposto, o dalla legge dello Stato di cui il testatore, al momento del testamento o della morte, era cittadino, o dalla legge dello Stato in cui aveva il domicilio o la residenza. Quindi, questa norma prevede quattro criteri tutti in concorso alternativo per garantire la salvezza formale del negozio. Un’altra tendenza collegata a questo metodo è quella del frazionamento della fattispecie. La fattispecie non è disciplinata in maniera unitaria (es. matrimonio) ma il legislatore isola singoli frammenti di fattispecie e ne detta una disciplina ad hoc. Si pensi all’aspetto della forma. La forma del matrimonio, del testamento o del contratto sono disciplinate da norme ad hoc. Un’altra ipotesi del metodo delle considerazioni materiali si trova nel caso del favor contestationis. L’art. 33 comma 3 ci dice che lo stato di figlio legittimo, acquisito in base alla legge nazionale di uno dei genitori, non può essere contestato che alla stregua di tale legge. Qui, il legislatore anziché ampliare, restringe i criteri per garantire lo stabilimento della filiazione legittima. Un altro caso in cui si fa riferimento al metodo delle considerazioni materiali lo troviamo nell’art. 63 in materia di responsabilità extracontrattuale per danno da prodotto difettoso che stabilisce che la responsabilità per danno da prodotto è regolata, a scelta del danneggiato, dalla legge dello Stato in cui si trova il domicilio o l’amministrazione del produttore o da quella dello Stato in cui il prodotto è stato acquistato, a meno che il produttore provi che il prodotto vi è stato immesso in commercio senza il suo consenso. Si vuole bilanciare gli interessi del consumatore e quelli del produttore. Giurisdizione L’art. 3 determina la giurisdizione italiana. Il criterio predominante che troviamo anche nella Convenzione di Bruxelles del 1968 (oggi reg. 44/2001) è il domicilio del convenuto (foro generale). Quindi se il domicilio si trova in Italia sussiste la giurisdizione italiana. Il regolamento contiene anche dei fori speciali, e dei fori protettivi (nei casi dei contratti dei consumatori o dei contratti di lavoro e assicurativi). Il foro generale è quello del domicilio. L’art. 4 disciplina l’accettazione e la deroga alla giurisdizione. Si tratta del forum prorogatum, che è quel foro scelto dalle parti, cioè il foro convenzionale ed è disciplinato sia dall’art. 4 che dal regolamento. La giurisdizione italiana sussiste anche quando il convenuto non ha il proprio domicilio o residenza in Italia, se le parti hanno optato per la giurisdizione italiana attraverso un accordo di deroga che deve rivestire la forma scritta e deve riguardare diritti disponibili. L’art. 23 del reg. 2001 stabilisce che qualora le parti abbiano attribuito la competenza a un giudice o dei giudici di uno Stato membro a conoscere delle controversie presenti o future, nate da un determinato rapporto giuridico, la competenza esclusiva spetta a questo giudice o ai giudici di questo Stato membro. Qui abbiamo il fenomeno della competence competence (cioè della competenza giurisdizionale). Le parti non solo individuano la giurisdizione, ma individuano anche il giudice competente. Questa convenzione deve essere conclusa per iscritto in una forma ammessa dalle pratiche che le parti hanno stabilito tra di loro oppure, nel commercio internazionale, in una forma ammessa da un uso. L’art. 5: la giurisdizione italiana è esclusa in ogni caso se i beni si trovano all’estero (norma inderogabile). Quindi se i beni si trovano all’estero, anche se il convenuto ha domicilio in Italia, non sussiste la giurisdizione italiana. L’art. 7 riguarda la litispendenza internazionale, cioè quando una stessa causa è instaurata sia davanti al giudice italiano che straniero. In questo caso si prevede che se vi è la prevenzione, cioè se è stata instaurata preventivamente la causa davanti ad un giudice straniero, il giudice italiano sospende il giudizio. Se una sentenza può essere riconosciuta in Italia, non ha senso, proprio per evitare il contrasto L’art. 13 disciplina il rinvio e l’art. 14 ha introdotto il principio “iura novit curia” (il tribunale conosce la legge). Le teorie del rinvio sono almeno tre: 1) la teoria formale (rinvio formale); 2) la teoria sostanziale o materiale (rinvio materiale); 3) la tesi del rinvio di produzione, quella più accreditata anche in base alle novità introdotte nella l. 218/95. Nel rinvio formale, la norma di dip effettua un rinvio ad una norma straniera che rimane com’è nel suo ordinamento di appartenenza. In questo caso si dice “meramente formale”. Nel rinvio materiale, l’ordinamento rinviante, nel nostro caso l’ordinamento italiano, si appropria della norma straniera come se la prendesse a prestito, portandola nell’ordinamento del foro. In questo caso si parla di cristallizzazione perché la norma che viene presa dall’ordinamento straniero rimane immutabile nel tempo. Nel rinvio di produzione, la norma di dip attraverso il rinvio, attribuisce valore giuridico alla norma straniera nel nostro ordinamento. Senza il rinvio, la norma straniera sarebbe irrilevante per l’ordinamento italiano, cioè resterebbe un mero fatto, mentre con il rinvio si rende valida la norma straniera e la si legittima agli effetti giuridici nel nostro ordinamento. In questa tesi, a differenza di quello che accade nel rinvio materiale, in cui la norma si cristallizza, la norma qui subisce l’evoluzione nel tempo. Appunto la l. 218/95, all’art. 15 stabilisce che il giudice del foro deve applicare la legge straniera tenendo conto del fenomeno della successione di leggi che si sia verificata nell’ordinamento straniero, cioè il giudice italiano deve interpretare la norma straniera come se fosse il giudice straniero. Altro problema del rinvio è l’autocollegamento. Se si accetta questa teoria c’è il rischio di andare da un ordinamento all’altro senza che nessun ordinamento fornisca la disciplina materiale applicabile al rapporto. Un esempio è un caso verificatosi nell’800’ detto Forgo. Un cittadino Bavarese, chiamato Forgo, vissuto in Francia e perciò con residenza e domicilio in Francia, alla sua morte sorge il problema della devoluzione dei suoi beni agli eredi. Forgo muore senza lasciare testimoni e quindi si ha una forma di successione legittima però nell’800 la legge bavarese e quella francese erano diverse. Secondo la legge bavarese i beni dovevano essere devoluti ai parenti collaterali della madre di Forgo; per la legge francese l’eredità doveva essere devoluta allo Stato. Nacque così una accesa disputa che finì addirittura in Cassazione. Come già detto Forgo aveva cittadinanza e domicilio legale bavarese, mentre in Francia, dove viveva da sempre aveva residenza e domicilio di fatto. Ora il giudice francese applica la norma di dip francese in materia di successione e questa norma è un po’ ambigua perché richiama l’ordinamento bavarese dato che la norma di dip diceva si dovesse applicare la legge del domicilio legale. Però, l’amministrazione statale francese fa ricorso sostenendo che questo domicilio legale deve essere interpretato come residenza abituale del soggetto e Forgo aveva la sua residenza abituale in Francia. Si arriva così in Cassazione: qui più che un problema di rinvio è un problema di interpretazione: ci si chiede se il domicilio legale coincide con la residenza abituale. A questo punto l’art. 13 risolve la questione. Nel caso del signor Forgo si parla di rinvio indietro, cioè la norma di dip dell’ordinamento straniero richiamato rinvia all’ordinamento richiamante cioè quello di partenza (francese) e si applica la legge del foro francese. Nel caso del rinvio “oltre”, cioè la norma di dip dell’ordinamento straniero richiamato non rinvia indietro ma rinvia ad un terzo ordinamento, il legislatore per evitare un rinvio all’infinito ha ammesso il rinvio “oltre” però entro il primo grado. Ad esempio se la norma di dip richiama l’ordinamento francese che a sua volta richiama quello tedesco, l’ordinamento tedesco deve disciplinare la fattispecie. Nel caso il terzo ordinamento non accetta di disciplinare la fattispecie, non può a sua volta rinviare ad un altro ma la fattispecie deve essere disciplinata dal secondo ordinamento, nel nostro caso, dal francese. Nel vecchio sistema del 42’ era ammesso solo un rinvio e a decidere doveva essere l’ordinamento rinviato. Ad esempio l’Italia richiama la Francia, si applica l’ordinamento francese. Ci sono tre ipotesi nelle quali il rinvio non è ammesso: 1) il primo caso è quello del criterio della legge voluntatis: ciò quando sono le parti a scegliere la legge applicabile, nell’autonomia internazionale privatistica, salvo che si riscontrano fenomeni di frodi alla legge; 2) il secondo caso è quello della validitatis degli atti: cioè se l’atto è valido in base alla legge richiamata, non c’è bisogno del rinvio; 3) nella terza ipotesi si è parlato di esclusione in blocco cioè quelle fattispecie comprese nella l. 218/95 (promesse unilaterali, adozioni, responsabilità per fatto illecito, ecc..) alle quali il legislatore ha deciso di non tenere conto del rinvio. L’art. 13 nel penultimo comma stabilisce che in tema di filiazione il rinvio è ammesso solo se esso consente lo stabilimento della filiazione: ad es. se per l’ordinamento francese quel soggetto è figlio legittimo allora non si tiene conto del rinvio, se invece l’ordinamento francese rinvia all’ordinamento tedesco e per l’ordinamento francese non è figlio legittimo ma per l’ordinamento tedesco è figlio legittimo allora si tiene conto del rinvio, quindi la scelta di tenere conto o escludere il rinvio è subordinata allo stabilimento della filiazione. L’art. 13si chiude con una disposizione che richiama l’art. 2 della l. 218/95, che stabilisce che in tema di rinvio le convenzioni internazionali prevalgono sulle norme della l. 218; ad es. la Convenzione di Roma dell’80’ in tema di obbligazioni contrattuali contiene una norma, l’art. 15, che escludeva il rinvio, quindi in materia contrattuale il rinvio è escluso proprio per la legge voluntatis che dà alle parti la possibilità di scegliere la legge applicabile al contratto. Nell’art. 14 si dice che il giudice è obbligato, cioè ha il dovere d’ufficio di procurarsi la conoscenza del diritto straniero richiamato dalla norma di dip. Prima dell’introduzione di questo articolo erano le stesse parti tramite i loro avvocati a dover andare a individuare il diritto straniero, scrivendo nei loro atti difensivi quali fossero le norme straniere, cosa dicessero e come le interpretasse la giurisprudenza straniera: il giudice doveva solo recepire quanto dedotto dalle parti. Ma oggi l’art. 14 contempla il principio iura novit curia: il giudice ha il dovere, l’obbligo di conoscere il diritto straniero. Il giudice è possibile controllo, tramite ricorso in Cassazione, in merito all’applicazione del diritto straniero. Qjuindi il giudice deve conoscere anche la giurisprudenza straniera, deve vedere come quella norma viene interpretata nell’ordinamento straniero senza lasciare fuorviare dalla legge del foro. Come dice l’art. 14 il giudice può procurarsi questa conoscenza attraverso istituti specializzati come ad es. l’Unidtroit oppure attraverso gli uffici del Ministero di Grazia e Giustizia che hanno dei settori specializzati nella comparazione o anche per mezzo di strumenti atipici di conoscenza del diritto straniero. Come già detto, secondo queste norme, il giudice è soggetto al ricorso in cassazione per violazione o falsa applicazione delle norme straniere e tra queste norme soggette al ricorso si devono ricomprendere non solo le norme italiane ma anche le norme straniere a tutti gli effetti. Il secondo comma dell’art. 14 affronta il problema di valutare che cosa deve fare il giudice se per caso gli riesce difficile o impossibile procurarsi questa costituzionalità determina l’annullabilità della norma straniera, il giudice dovrebbe emanare una sentenza costitutiva e per questo gli è precluso il controllo sulla norma straniera. Secondo Ballarino in nessun caso i giudice potrebbe occuparsi della questione di legittimità cost. della norma straniera. Secondo la giurisprudenza, il giudice italiano potrebbe prendere atto del problema della questione di legittima cost. della norma perché glielo impone l’art. 15 secondo il quale la norma straniera deve essere interpretata nell’ambito dell’ordinamento di appartenenza. L’art. 15 l. 218/95 e qualificazione L’art. 15 afferma che il giudice deve interpretare la norma straniera secondo i canoni interpretativi dell’ordinamento di appartenenza richiamato e tenendo conto anche del diritto intertemporale (la successione di leggi che si verifichi in quell’ordinamento). L’art. 15 rappresenta la soluzione finale al problema della qualificazione. Co il termine qualificazione si intende l’operazione (sussunzione) di collegare una data fattispecie concreta ad una fattispecie astratta, ad una categoria dogmatica astratta. La l. 218 utilizza le categorie dogmatiche del c.c. italiano: persona, famiglia, filiazione, beni, successioni, obbligazioni contrattuali ed extracontrattuali. Nel caso del dip, il problema nasce dal fatto che le categorie dogmatiche sono diverse. Ad es. davanti all’evento della morte si pone il problema dell’attribuzione dei beni del de cuius, ora, nel nostro ordinamento, automaticamente si qualifica il problema come una questione di successione mortis causa, in altri ordinamenti questa questione rientra nei rapporti patrimoniali tra coniugi quindi si applicheranno le norme del diritto di famiglia. Questo ci fa capire come il problema della qualificazione sia particolarmente complesso e ancor di più per quegli istituti sconosciuti: ad es. il matrimonio poligamico diffuso nei paesi islamici; oppure l’istituto del ripudio della donna. In alcuni stati ancora non è concepibile il divorzio, mentre da noi è stato introdotto nel 1970. Da noi fino a poco tempo fa l’istituto del trust (ipotesi di patrimonio destinato) era un istituto sconosciuto, oggi è stato riconosciuto nel nostro ordinamento. Il teorema del caso Bartholo. Bartin con lo studio di questo caso dimostra come in due ordinamenti a parità di norme di conflitto è possibile che la diversità di qualificazione del caso concreto conduca all’applicazione di due leggi diverse: diversa disciplina, diversa soluzione del caso concreto. Due cittadini maltesi contraggono matrimonio a Malta, poi si trasferiscono in Algeria dove il marito prende la cittadinanza algerina (il diritto algerino coincideva con il diritto francese dato che malta era colonia francese). Bartholo muore in Algeria e dovendo devolvere i suoi beni, questo problema, per il diritto maltese si qualificava come una questione di successione mortis causa; nel diritto algerino e quindi francese, questo era un problema di rapporti patrimoniali tra coniugi (anche oggi nel diritto francese). Bartin assume in via ipotetica che i due ordinamenti presentassero le stesse norme di dip: cioè la norma maltese detta come criterio di collegamento la legge nazionale del defunto, quindi quella algerina; se a risolvere la questione fossero competenti i giudici algerini essi avrebbero qualificato il caso come rapporti patrimoniali tra i coniugi e avrebbero applicato il criterio della legge nazionale comune che nel caso concreto era quella maltese e quindi si applicava il diritto maltese. Sono state elaborate tre ipotesi per risolvere il problema della qualificazione La più semplice è quella della qualificazione “lege fori”, cioè il giudice dovrebbe qualificare sempre e comunque alla luce delle categorie dogmatiche della legge del foro. Altra qualificazione è la “lege causae”, cioè la legge richiamata dalla norma di conflitto: se la norma di dip richiama l’ordinamento francese, la legge causa è la legge francese. Invece la qualificazione secondo la teoria della comparazione deve avvenire in modo da tenere conto di tutti gli ordinamenti giuridici esistenti. A proposito della tesi della qualificazione “lege fori” è una tesi comoda sostenuta dalla corte di cassazione però non in armonia con l’attuale sistema legislativo. Invece, la teoria della qualificazione della legge causa se rispetta il criterio dell’autocollegamento e parte dal presupposto della parità tra gli ordinamenti, presenta un limite detto: della petizione di principio. Il problema qualificatorio non si è posto solo per le norme di conflitto relative alle fattispecie sostanziali ma anche per i titoli di giurisdizione titoli su cui si fonda la giurisdizione degli Stati. Se la norma di dip è contenuta in una convenzione internazionale, occorre interpretare alla luce del diritto convenzionale. Ci sono aspetti che nelle convenzioni internazionali non sono disciplinati: ad es. la vendita internazionale di beni mobili non è disciplinata in tutti i suoi aspetti per i quali occorre applicare la legge del foro. Per i regolamenti comunitari se vi sono norme di dip negli stessi regolamenti, è chiaro che l’interpretazione va condotta secondo il diritto comunitario. La cittadinanza è una materia riservata agli Stati, per cui ciascuno Stato, in base a delle scelte politiche nelle proprie legislazioni, individua le condizioni per attribuire a quel soggetto la cittadinanza di quello Stato. Il problema qualificatorio della cittadinanza nasce dal fatto che sussiste una impossibilità di qualificare il criterio della cittadinanza alla luce della legge fori. La legge svizzera di dip all’art. 22 stabilisce che la cittadinanza di una persona rispetto a uno Stato è determinata secondo il diritto del medesimo Stato, quindi lege causa. Il nostro legislatore ha disciplinato il caso degli apolidi, coloro che non hanno cittadinanza, e quello dei rifugiati, coloro che abbandonano il proprio Stato per motivi politici o religiosi e dei pluricittadini cioè coloro che hanno due o più cittadinanze. Se si tratta di un cittadino apolide o rifugiato che chiede asilo politico, il giudice dovrà fare riferimento al criterio del domicilio e al criterio della residenza secondo una soluzione che era già stata fornita dalle Convenzioni internazionali in materia, per esempio la Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati e la convenzione di New York sullo statuto degli apolidi. Nel caso di cittadino con più cittadinanze vi era stata una teoria prima dell’art. 19 sostenente l’applicazione della legge fori. Così, sulla base di questa teoria, al secondo comma dell’art. 19 si legge che: se tra le varie cittadinanze vi è anche quella italiana, si applica la legge fori, se concorrono più cittadinanze non italiane, si applica il criterio flessibile del collegamento più stretto, per una ragione diplomatica e di rispetto dei rapporti reciproci tra gli Stati. Gli indizi per determinare il collegamento più stretto sono il domicilio, la residenza, la lingua parlata del cittadino o anche la prevalente localizzazione della vita matrimoniale. O anche si può tenere conto della cittadinanza in comune tra marito e moglie, come il caso che si è verificato a Venezia nel 1996 dove un soggetto aveva sia la cittadinanza italiana, sia la cittadinanza francese e nello stesso tempo coniugato con una francese, qui i giudici italiani hanno applicato la cittadinanza comune e quindi hanno applicato alla fattispecie il norma di dip è contraria all’ordine pubblico, non la deve applicare. Perciò si parla di concezione negativa: l’ordine pubblico impedisce, in via successiva, cioè dopo il funzionamento della norma di dip, l’ingresso di valori incompatibili. Si può definire l’ordine pubblico come limite successivo e negativo. L’eccezione di ordine pubblico non necessariamente deve essere sollevata dalle parti ma può essere anche rilevata d’ufficio dal giudice. Le convenzioni internazionali tra cui anche la convenzione di Roma dell’80’, richiedono la manifesta contrarietà, non espressa nell’art. 16. I caratteri fondamentali dell’ordine pubblico sono quello della relatività e immediatezza. L’ordine pubblico una clausola generale e quindi anche in ambito internazionale è un ordine relativo che muta con il tempo, con il mutare della società su cui si basa il nostro ordinamento. Allo stesso tempo è indeterminato perché appartiene alla categoria delle clausole generali. La cassazione, cercando di identificare questa nozione, ha introdotto, nell’ordine pubblico, tutto quel complesso di principi, compresi quelli desumibili dalla Carta costituzionale, che formano il cardine della strutture economico-sociale della comunità nazionale in un dato momento storico. La dottrina ha posto in luce come accanto ai principi costituzionali, l’ordine pubblico ricomprende l’ordine pubblico “realmente” internazionale, cioè un orine pubblico che si identifica con i principi comuni agli stati e alle comunità e anche quelli espressi nei trattati. Ad es. sono state ritenute norme straniere contrarie all’ordine pubblico le norme che ammettevano il divorzio, prima del 70 quando fu poi ammesso pure in Italia; le norme sul ripudio unilaterale della moglie, norme islamiche non applicate dal giudice italiano; le norme che introducono negli ordinamenti stranieri diritti privi di termine di prescrizione certi (da noi la prescrizione è istituto di diritto pubblico); norme che vietano il matrimonio tra cittadini di diversa religione o di razza diversa; norme che permettono la revoca dell’adozione su accordo delle parti; le norme, molto diffuse negli Stati Uniti, che introducono il licenziamento ad nutum, privo di giustificazione. L’art. 16 parla di effetti, cioè la contrarietà va valutata non in astratto ma in concreto: potrebbe verificarsi che in astratto la norma non sia contraria ma se applicata in quel caso concreto, sul piano degli effetti, questa norma genera una contrarietà e dunque non va applicata; viceversa può accadere l’ipotesi contraria. Una volta che la legge straniera risulta contraria all’ordine pubblico, secondo una teoria neolatina, il giudice deve applicare la legge fori. Invece secondo un’altra teoria tedesca, si dovrebbe applicare la norma straniera però riformulandola e rendendola applicabile all’ordine pubblico. Ancora un’altra teoria, quella di Mosconi, in caso di mancata applicazione della norma straniera per contrarietà all’ordine pubblico, il giudice dovrebbe semplicemente rigettare la domanda. La giurisprudenza ha accolto la teoria di una parziale modificazione della norma straniera. Il secondo comma dell’art. 16 risolve la questione: seguendo la tesi di Ballarino che in questi casi faceva riferimento all’analogia legis e all’analogia iuris, così il secondo comma stabilisce che, quando la norma straniera non può essere applicata si applica il criterio dell’analogia cioè la legge richiamata mediante criteri di collegamento previsti. In mancanza si applica la legge italiana. L’art. 17 riguarda le norme di applicazione necessaria, cioè quelle norme che garantiscono in ogni caso l’applicazione della legge italiana. Una prima categoria è quella delle norme autolimitate, quelle norme interne sostanziali che definiscono il loro ambito di applicazione e lo estendono: ad es. quei divieto e impedimenti matrimoniali per i cittadini italiani che contraggono matrimonio all’estero. Queste norme si applicano insieme alla norma straniera. Queste norme autolimitate sono una sottocategorie delle norme di applicazione necessaria. Nelle convenzioni internazionali, in particolar modo nelle convenzione di Roma dell’80 e oggi nel regolamento di Roma, non si parla di norme di applicazione necessaria ma di norme inderogabili (non possono essere derogate dai privati). Queste norme di applicazione necessaria, rappresentano un limite preventivo e positivo, cioè queste norme non sono norme di dip ma norme sostanziali del foro che dettano una disciplina materiale della fattispecie e si applicano a prescindere dal funzionamento della norma di dip. Si tratta dunque di una forma di difesa delle norme del foro e vengono applicate a discrezionalità del giudice per garantire la coerenza interna delle soluzioni. Queste norme disciplinano solo aspetti marginali della fattispecie, con la conseguenza che per gli altri aspetti si applicherà la norma straniera. Si è posto un problema riguardo alle convenzioni internazionali e cioè che le norme necessarie potessero determinare una violazione della convenzione che contiene norme di dip, portando ad un illecito internazionale. Ma la convenzione di Roma dell’80’ ha stabilito che non si può impedire l’applicazione delle norme in vigore nel paese del giudice, le quali disciplinano imperativamente il caso concreto. L’individuazione di queste norme avviene in via interpretativa. Prima dell’entrata in vigore dell’art. 17 erano state elaborate tre teorie: 1) la teoria del criterio formale: bisogna vedere l’ambito applicativo della norma per stabilire se essa sia di applicazione necessaria. Questo criterio formale si applicava alle norme autolimitate perché, andando a vedere l’ambito di applicazione di tali norme, si era in grado di dire se la norma doveva essere applicata anche alle fattispecie estranee all’ordinamento; 2) l’altro è il criterio tecnico, in base al quale sono state considerate norme di applicazione necessaria le norme che disciplinano la responsabilità civile obbligatoria, cioè il codice delle assicurazioni che assembla le vecchie leggi speciali; 3) l’altro criterio è quello funzionale, recepito anche dall’art. 17: definire se una norma è di applicazione necessaria, bisogna guardare alla ratio, cioè alla funzione. Esempi di queste norme si sono ravvisate in tutte quelle norme che esplicano una funzione di garanzia dello stato e tutelano interessi forti, come quello della donna, del lavoratore, della persona… Ancora molte norme di applicazione necessaria si sono rivenute in materia di lavoro e previdenza come quelle che tutelano i minimi salariali o la salute del lavoratore. Morte norme di applicazione necessaria si sono rinvenute in norme di carattere pubblicistico, ad es. le norme che disciplinano gli embarghi, i blocchi alle esportazioni o importazioni, ecc.. L’art. 17 non fa riferimento alle norme di applicazione necessaria straniere, quindi fa riferimento alle norme del foro. Però l’art. 15 ci dice che la norma straniera va interpretata nell’ordinamento richiamato quindi si devono applicare anche le norme di applicazione necessaria degli altri ordinamenti, cioè quelli richiamati. Nel caso la fattispecie presenta un collegamento con un terzo stato, è possibile applicare le norme di applicazione necessaria anche di questo terzo stato. Le norme di applicazione necessaria non sono solo norme privatistiche ma anche a carattere pubblicistico. La concezione manciniana che riteneva queste norme fossero solo quelle privatistiche è oggi sfumata: si pensi alle norme sugli embarghi, a quelle che tutelano i beni soggetti a vincolo che non sono commerciabili, che sono indubbiamente pubblicistiche. Bisogna considerare altre due Il giudizio di delibazione è un giudizio di accertamento dei presupposti svolto dalla corte d’appello competente. I legittimati a chiedere il giudizio di delibazione sono due: il soccombente nel giudizio che si è svolto nello Stato straniero. A seguito della mancata esecuzione spontanea della decisione nello Stato italiano da parte del soccombente, la controparte è costretta a far apporre la formula esecutiva per iniziare l’esecuzione forzata. Le sentenze per avere esecuzione nel nostro Stato devono essere annotate, iscritte o trascritte nei registri di stato civile dell’ufficiale di stato civile. Nel caso queste sentenza non vengono trascritte, prima della l. 218, si ricorreva al giudizio di delibazione, quindi ad un controllo derogando al principio del riconoscimento automatico (art. 67). Il meccanismo proprio dell’art. 67 andrebbe esteso anche ai procedimenti di volontaria giurisdizione. Nell’art. 66 si legge: i provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione sono riconosciuti senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento, sempre che siano rispettate le condizioni di cui all’art. 65. E, a sua volta l’art. 65 enuncia che: hanno effetto in Italia il provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone o all’esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità; purché non siano contrari all’ordine pubblico e siano stati rispettati: diritti essenziali di difesa. In alcune materie, come la capacità delle persone, i rapporti di famiglia, la filiazione o ancora i diritti della personalità, l’art. 65 prevede una forma di riconoscimento particolare, dato che si tratta di casi delicati. Questi provvedimenti non soggiacciono al riconoscimento automatico ma c’è bisogno di svolgere su di essi un controllo perché non siano contrari all’ordine pubblico e al rispetto dei diritti di difesa. E questi provvedimenti devono provenire da Stati da cui la legge è richiamata in quelle materie delle nostre norme di conflitto. L’art. 66 applica l’art. 65 anche ai provvedimenti di volontaria giurisdizione, ma, in caso di contestazione, anche da parte dell’ufficiale di stato civile, si dovrà andare in delibazione e in quel caso verrà applicato l’art. 64. Art. 20 la persona fisica e giuridica Prima dell’entrata in vigore della l. 218/95, il problema principale era quello di verificare la presenza o meno della capacità giuridica o di agire e veniva disciplinato dall’art. 17 delle preleggi, che si applicava ai rapporti familiari, ma esteso anche in tema di persone. La l. 218/95 ha adottato delle disposizioni specifiche. In tema di persone, criterio predominante è quello della legge nazionale, cioè il criterio della cittadinanza. L’esistenza della persona e la sua capacità giuridica e di agire viene individuata sulla base della legge nazionale. I problemi relativi alla morte naturale e alla morte presunta vano risolti alla luce della legge nazionale (art. 22 l. 218). La questione relativa alla commorienza (art. 4 c.c.) rileva quando occorre stabilire rispetto a due persone morte, quale delle due è morta prima, importante ai fini successori. Il problema viene risolto non dalla legge nazionale, ma dalla lex substantiae, cioè dalla legge che disciplina l’aspetto per il quale rileva la commorienza: se la commorienza rileva ai fini successori si applicherà la legge regolatrice in tema di successioni (art. 46 l. 218: presunzione legale di non sopravvivenza, cioè le persone si considerano morte tutte nello stesso momento). Le leggi nazionali in tema di capacità giuridica o di agire, possono essere diverse da quelle italiane. Ad esempio, mentre la legge italiana ci dice che la capacità giuridica si acquista con la nascita, la legge francese prevede che invece si acquista 24 ore dopo la nascita. La capacità è uno di quegli elementi della fattispecie che è soggetto al fenomeno del depecage (frazionamento: la capacità di solito viene isolata come profilo e viene disciplinata da una norma di dip ad hoc). Anche in tema generale di capacità della persona vi sono delle deroghe, per esempio in alcuni casi si applica la lex causae del singolo atto, cioè la norma straniera richiamata in relazione alla singola tipologia di atto che rileva in quel caso (es. capacità per contrarre matrimonio). La l. 218 in tema di capacità privilegia il principio di conservazione degli atti, collegato al metodo delle considerazioni materiali: l’atto rimane valido anche se non è tale per legge nazionale, ma lo è per la lex loci actus, cioè la legge del luogo dove l’atto è compiuto. Sia in tema di contratti che di atti unilaterali, il legislatore del 95 stabilisce che l’incapace non può invocare l’incapacità, al fine di far invalidare l’atto, se questa capacità sussiste alla luce della legge del luogo dove l’atto è stato compiuto. Ad esempio, se un cittadino brasiliano stipula un contratto con un’impresa italiana, ed in base alla legge brasiliana non è capace al momento della conclusione del contratto, però lo è secondo la legge italiana, il contratto è fatto salvo, proprio perché il contratto si è perfezionato in Italia. Però, vi è un eccezione a tale principio, e cioè, il soggetto può invocare la sua incapacità (contemplata dalla sua legge nazionale), chiedendo l’invalidazione dell’atto, se dimostra che la controparte era in mala fede, cioè era in grado di vedere lo stato di incapacità, oppure avrebbe dovuto vederla utilizzando l’ordinaria diligenza. Si vuole bilanciare l’esigenza di tutelare il soggetto debole (l’incapace) e l’affidamento dei terzi. Per quanto riguarda gli istituti a protezione dell’incapace e cioè la curatela, la tutela, l’amministrazione di sostegno, con riferimento al nostro ordinamento si applica l’art. 43, che richiama in questa materia la legge nazionale dell’incapace. Invece, per i minori, si applica il criterio della residenza del minore, che è previsto dalla Convenzione dell’Aja. Quindi, in tema di minori si effettua il rinvio da parte della legge italiana alla Convenzione del’Aja (cd. nazionalizzazione delle convenzioni straniere). La Convenzione applica come criterio base quello della residenza del minore. Sussiste una norma ad hoc che disciplina i diritti assoluti della personalità: il diritto alla vita, all’integrità fisica, alla riservatezza, all’onore. Per il diritto al nome, si applicano le norme di conflitto in tema d diritto di famiglia. Invece, per la violazione dei diritti della personalità, che danno luogo al risarcimento del danno (biologico, esistenziale) si applicheranno le norme di dip in tema di illecito extracontrattuale. Persone giuridiche Prima dell’entrata in vigore della l. 218, non si faceva riferimento alle persone giuridiche. Si diceva in via interpretativa che si sarebbe dovuto applicare la legge del luogo della sede della società o dell’ente. Oggi il legislatore a disciplinato espressamente le persone giuridiche all’art. 25 della l. 218. La legge regolatrice in generale è quella dello Stato in cui si è perfezionata la costituzione dell’ente o della società (quindi il ruolo dove è avvenuta l’iscrizione nel registro delle imprese). Però, vi è un’eccezione: si applica la legge italiana se la sede amministrativa della società si trova in Italia, o se l’attività sociale viene svolta in Italia. I rapporti di famiglia, art. 26 s.s. Prima della legge 218, non vi era una norma ad hoc sulla promessa di matrimonio e si riteneva applicabile l’art. 25 delle disposizioni preliminari al c.c., cioè la norma sulle obbligazioni ex lege. Il criterio previsto era quello della lex loci actus, cioè la legge del luogo dove come criterio base quello della legge nazionale comune. Se però, non si individua la legge nazionale comune, viene introdotto quel criterio flessibile, della prevalente localizzazione della vita matrimoniale, che non coincide con il luogo di residenza, ma il giudice dovrà valutare tutta una serie di elementi, come ad esempio, la lingua parlata dalla prole (genuin link: criterio del collegamento più stretto). Per quanto riguarda i rapporti patrimoniali, l’art. 30 richiama l’art. 29 e quindi sono soggetti alla stessa disciplina dei rapporti personali. I rapporti patrimoniali sono soggetti a pubblicità per opporli ai terzi. Bisogna garantire la buona fede dei terzi che contraggono con i coniugi. I terzi sanno che si applicano la legge nazionale comune o, in assenza di nazionalità comune, il luogo dove è prevalentemente localizzata la vita matrimoniale. Se però i coniugi decidono di assoggettare il regime a leggi diverse, è chiaro che i terzi non lo sanno. Le leggi diverse scelte dai coniugi possono essere applicate e, quindi, opposte ai terzi, solo se questi sono in mala fede o hanno ignorato con loro colpa l’applicazione di tali leggi diverse. La separazione e il divorzio sono basati sugli stessi criteri previsti per i rapporti personali. Se negli ordinamenti stranieri non vi sono questi istituti, si applicherà la legge italiana. Filiazione Per quanto riguarda la filiazione, si utilizza il criterio della legge nazionale del figlio (lex personae del figlio). La Cassazione ha precisato che per valutare i presupposti di ammissibilità del’azione di disconoscimento della paternità, si deve far riferimento alla legge nazionale del figlio che si intende disconoscere, non più, come avveniva prima, la lex fori. In tema di riconoscimento del figlio naturale, vi sono alcune disposizioni da cui emerge quel metodo delle considerazioni materiali del favor filiationis: le condizioni, che agevolano il riconoscimento del figlio naturale, possono sussistere non solo in base alla legge nazionale del figlio, ma anche in base alla legge nazionale del padre (concorso alternativo) se sono più vantaggiose. L’art. 38 fa riferimento all’adozione ed individua come criterio principale, quello della legge nazionale dell’adottate o degli adottanti, se comune. Nel bilanciamento di interessi si è dato prevalenza alla legge nazionale degli adottanti rispetto alla legge nazionale dei genitori biologici. Le norme sull’adozione vigenti in Italia sono considerate dai giudici norme di applicazione necessaria. Un aspetto fondamentale disciplinato dalla l. 218/95, in base al meccanismo del frazionamento, è la forma degli atti. Molte norme disciplinano appositamente la forma degli atti, ad esempio l’art. 56 per la forma della donazione, l’art. 28 per il matrimonio, l’art. 48 per il testamento. In virtù del favor validitatis la tecnica adottata dal legislatore è quella del concorso alternativo, in mancanza di disposizioni espresse in materia formale, si applica la lex substantiae, cioè la legge che disciplina la validità sostanziale, gli eventuali vizi sostanziali dell’atto. La pubblicità degli atti è disciplinata da una norma ad hoc (l’art. 55) che adotta, per l’opponibilità ai terzi, come criterio principale la lex loci actus, cioè la legge del luogo dove si trovano i beni in relazione ai quali bisogna effettuare la pubblicità: questo per quanto riguarda i diritti su beni, quindi i diritti reali. Il Regolamento Roma I Il Regolamento Roma I è dedicato alle obbligazioni contrattuali. Questo regolamento è stato approvato nel 2008 ed è entrato in vigore nel 2009. Nel regolamento abbiamo una norma di diritto intertemporale che ci dice che questo regolamento si applica solo ai contratti internazionali stipulati dopo la sua entrata in vigore. Quindi per i contratti stipulati prima si applicherà la Convenzione di Roma dell’80’. L’art. 24 chiarisce i rapporti tra il Regolamento e la Convenzione di Roma, stabilendo due principi fondamentali: 1) che il Regolamento sostituisce dal 2009 la Convenzione; 2) che nelle disposizioni legislative che richiamano la Convenzione il richiamo ora deve intendersi fatto al regolamento. L’art. 57 della legge del 95’ rinvia in ogni caso alla convenzione e oggi, con l’art. 24 il rinvio deve ritenersi effettuato al Regolamento. Il regolamento si affianca a questa legge, anzi prevale sulla stessa in virtù del principio della Primaria del diritto comunitario sul diritto interno. Questo regolamento, essendo un regolamento comunitario produce effetti in tutti gli Stati membri fatta eccezione per la Danimarca. L’entrata in vigore del regolamento presenta dei vantaggi rispetto alla Convenzione.: il primo è proprio quello della diretta applicabilità del Regolamento rispetto alla Convenzione: l’altro è il primato del Regolamento rispetto al diritto interno, caratteristica propria del diritto comunitario; l’altro è l’appartenenza; un altro vantaggio è l’appartenenza al diritto comunitario, questo implica che man mano che i vari stati entreranno a far parte dell’UE, il reg. si applicherà in automatico a questi Stati, mentre per la Convenzione di Roma c’era bisogno di un atto di adesione da parte degli Stati. Altri vantaggi sono: 1) la possibilità di modificare il Reg. con un altro reg.; 2) la possibilità di devolvere l’interpretazione del Reg. stesso direttamente alla corte di Giustizia delle CE, quindi senza necessità di protocolli; 3) la possibilità di avviare delle procedure di inflazione contro quegli stati che non applichino o applichino in maniera difforme le disposizioni del Regolamento. Questo reg. è nato da una consultazione avviata dalla Commissione Europea con l’emanazione di un libro verde che risale al 2003 e ha dato luogo a un ampio dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza, nel 2005 la Commissione fa una proposta di regolamento che viene emanato nel 2008. L’art. 1 dice che: il presente reg. si applica in circostanze che comportino un conflitto di leggi, alle obbligazioni contrattuali in materia civile e commerciale. Ciò significa che il re. Trova applicazione nella situazione i cui il contratto stipulato tra le parti presenti un elemento di estraneità rispetto all’ordinamento del foro e quindi nel nostro caso, rispetto all’ordinamento italiano. Vi è un’altra ipotesi che viene fatta rientrare in questa prima norma: quella di un contratto totalmente interno al foro, che non presenta elementi di estraneità ma che contiene, ad esempio, una clausola di scelta della legge applicabile. Questa disp. va raccordata all’art. 18 l. 95 sugli ordinamenti plurilegislativi. L’art. 18 si applica solo se le parti non fanno riferimento direttamente a un ordinamento. Nell’art. 2 il reg. presenta un carattere universale “la legge designata dal presente regolamento si applica anche dove non sia quella di uno Stato membro”. Le parti possono scegliere la legge di uno Stato extracomunitario al quale potrà applicarsi il Reg. sempre entro determinati limiti per evitare la frode al diritto comunitario. L’art. 1 stabilisce che in determinate materie non si applica il reg. come: 1) in materia di stato e capacità, quindi nelle materie relative allo status; 2) per le obbligazioni attinenti al diritto di famiglia; 3) le obbligazioni nascenti dal regime patrimoniale; 4) i compromessi, le clausole compromissorie, in caso di arbitrato; 5) le obbligazioni relative al diritto societario perché si li applicheranno le norme sugli enti; 6) le obbligazioni derivanti dal trust, perché li abbiamo la Convenzione del’Aja sul trust; 7) le obbligazioni derivanti dalla mera le leggi sono incoerenti tra loro, non si rispetterà più la scelta delle parti e si applicherà il criterio del collegamento più stretto. Altro aspetto è quello de diritto intertemporale: l’art. 15 fa richiamo ai mutamenti sopravvenuti di legislazione. Però anche qui va rispettata la volontà delle parti: in virtù del mutamento legislativo, le parti potrebbero non ritenere più conveniente a disciplinare i loro interessi e quindi possono cambiarla. Anche in questo caso prevale l’autonomia delle parti. Un altro aspetto importante è il pactum de lege utenda, un contratto che può precedere addirittura la stipulazione del contratto vero e proprio,. Relativamente a questo contratto per quanto riguarda la scelta si applica l’art. 10 sul consenso e la validità sostanziale. La legge substantiae è la legge applicabile in virtù dei criteri di collegamento indicati dal regolamento, quindi la stessa voluntatis. La forma del pactum de lege utenda sarà disciplinato dall’art. 11 che riguarda la forma del contratto. Quindi abbiamo un contratto principale e un contratto accessorio che ricever la stessa disciplina del patto principale. Ci sono delle limitazioni che precludono alle parti di fare ciò che vogliono: la scelta della legge non può essere caotica, arbitraria o ad es. non si può scegliere una legge a danno dell’altra parte. Il pactum è un negozio giuridico a tutti gli effetti, disciplinato dalla legge substantiae, quindi dal regolamento stesso e sconta il giudizio di meritevolezza. Se questo patto di scelta dovesse essere immeritevole per il giudice del foro, il giudice dovrà considerarlo come se non fosse mai stipulato e quindi dovrà ad es. applicare l’art. 4. Si tratta di limitazioni volte a prevenire il fenomeno della frode che si potrebbe realizzare nell’esercizio dell’autonomia internazional-privatistica. Le parti sono libere di scegliere una legge applicabile, però se il contratto che è stato stipulato presenta degli elementi di attacco che lo riferiscono ad un determinato stato, le norme inderogabili di quello stato non possono non essere applicate. E’ stato introdotto nel paragrafo 4 una simile disposizione anche per ciò che riguarda i contratti comunitari. Se ad esempio le parti dovessero scegliere la legge di uno stato extracomunitario e nel caso il contratto presenta tutti gli elementi di attacco con uno stato membro, le norme inderogabili di quello stato membro, troveranno comunque applicazione alla fattispecie. Ricordiamo il caso “Ingmar”: la sentenza è del novembre 2000 e afferma il primato del diritto comunitario quanto alle sue disposizioni inderogabili, cioè afferma l’applicazione in ogni caso delle disposizioni e dei principi che costituiscono l’ordine pubblico comunitario quando il contratto presenta un attacco territoriale con uno stato della CE. Queste disposizioni inderogabili si devono distinguere dalle norme di applicazione necessaria che pure sono disciplinate dal regolamento e in particolar modo dall’art. 9. Le norme inderogabili sono diverse perché molto più ampie rispetto a quelle di applicazione necessaria. Esse potrebbero appartenere a qualunque ordinamento anche ad uno diverso dal foro. Inoltre le norme inderogabili non sono necessariamente del foro, possono appartenere a qualunque ordinamento straniero e non soggiacciono agli stessi criteri di valutazione più rigidi delle norme di applicazione necessaria: è richiesto semplicemente che nell’ordinamento non sia possibile una deroga. Per quanto riguarda le norme non statali, la legge mercatoria, i principi unidroit, questi possono essere richiamati solo in via indiretta cioè se fanno parte dell’ordinamento statale richiamato dalle parti. L’optio legis presenta il vantaggio di ridurre i costi delle controversie e di ridurre i conflitti. L’optio legis non ha solo il classico ruolo conflittuale, ma anche un ruolo sostanziale. Cioè la scelta deve essere operata in buona fede dalle parti senza prevaricare una delle parti e non deve essere in contrasto con gli interessi pubblicistici. I limiti sono le norme imperative semplici, le norme di applicazione necessaria del foro. Altro limite è quello dell’ordine pubblico del foro, arricchito dal regolamento comunitario. L’art. 9 ci dice che le norme di applicazione necessaria sono disposizioni il cui rispetto è ritenuto cruciale per la salvaguardia dei suoi interessi pubblici quale la sua organizzazione politica, sociale o economica, al punto di esigerne l’applicazione a tutte le situazioni che rientrino nel campo di applicazione, qualunque sia la legge applicabile al contratto secondo il presente regolamento (sono esclusi i cd interessi dei privati, per esempio dei consumatori, dei lavoratori, degli agenti commercili, anche se questa esclusione è stata criticata sia in dottrina che in giurisprudenza). Rientrano poi nelle norme di applicazione necessaria le direttive comunitarie in tema di consumo di cosiddetta seconda generazione oppure le direttive CE sul distacco dei consumatori, per la tutela della concorrenza, del mercato, la bilancia dei pagamenti. Art. 9, 10, 11, 12 L’art. 9 ci parla delle norme di applicazione necessaria e le definisce come norme volte a tutelare interessi di tipo pubblicistico e non privatistico, anche se tra esse si devono ricomprendere alcune direttive protettive nei confronti dei privati, come in materia di lavoro, clausole sul mercato unico o in materia commerciale ecc.. le norme di applicazione necessaria cui fa riferimento il Regolamento sono di due tipi: 1) norme che appartengono all’ordinamento del foro; 2) norme che possono essere anche di uno Stato terzo; che rendono illecito l’adempimento del contratto. Sono norme molto particolari individuate in maniera specifica: se l’esecuzione della prestazione è illecita in virtù di determinate norme, queste vengono considerate di applicazione necessaria. L’art. 10 si occupa del profilo sostanziale del contratto, e per constatare che un contratto sia valido, nullo o inesistente, si applica la legge causae e le disposizioni dell’art. 4. C’è un’eccezione: la validità può essere valutata alla luce della legge del Paese di residenza abituale (es. nei casi del contraente che intende dimostrare che non ha prestato il consenso) e quindi il contratto non è valido, tenendo conto della legge del suo Stato si residenza). Art. 11: frazionamento per quanto riguarda la forma. L’art. 13 si occupa delle capacità, in particolare riprende una disposizione in tema di capacità naturale, nelle norme generali delle l. 95. Il problema della capacità deve essere risolto anche alla luce delle norme di dip italiane. Per espresso richiamo dell’art. 3 queste norme si applicano anche al pactum de lege utenda, quindi la validità de patto sulla scelta applicabile, la capacità, la forma, si risolvono alla luce dei criteri di collegamento individuati da questo Regolamento. Per la validità formale si persegue anche qui il favor negotii. Il regolamento distingue tra: contratti inter praesentes e contratti inter absentes. Se il contratto viene stipulato tra parti presenti che si trovano nello stesso Stato, si applicano in concorso alternativo o la legge cause o la legge loci actus, poste sullo stesso piano. Se il contratto è valido per una e invalido per l’altra è comunque ritenuto valido. Se il contratto è stipulato tra persone lontane, si applicano in concorso alternativo la legge cause o la legge di residenza di una delle parti al momento di formazione dell’atto. Oggi si è introdotta una novità, abbiamo tre criteri: 1) la legge della sostanza; 2) la legge del Paese in cui si trova la parte; 3) la legge del Paese in cui una delle parti risiedeva abitualmente (legge della residenza). In alcuni stati le norme sulla delle norme di applicazione necessaria. Nel caso l’imprenditore o il professionista allestisce, un sito web, non si applica l’art. 6 del regolamento, perché, anche se vi è sollecitazione a concludere contratti occorre che il contratto venga effettivamente concluso. Obbligazioni di natura extracontrattuale Mentre per le obbligazioni contrattuali si esamina il Regolamento Roma 1 del 2008, per quelle extracontrattuali si deve analizzare la l. 218/95 e il Regolamento Roma 2 del 2007. La materia delle obbligazioni extracontrattuali veniva disciplinata nel sistema delle preleggi dall’art. 25 che stabiliva quale principale criterio di collegamento, quello della legge del luogo in cui si fosse verificato il fatto-fonte da cui sorgeva l’obbligazione extracontrattuale. Tale norma, però aveva posto particolari problemi come quello relativo ai negozi giuridici unilaterali che non venivano menzionato nell’art. 25 delle preleggi. Ma la dottrina e la giurisprudenza ritenevano applicabili il comma 2 dell’art. 245 anche ai negozi giuridici unilaterali oppure la disciplina internazional-privatistica in tema di contratti. Ciò sulla base del rinvio operato dall’art. 1324 che richiama, in tema di negozi giuridici unilaterali, la disciplina dei contratti in quanto compatibili. A porre fine a tale dibattito è intervenuto il legislatore nel 95 con l’art. 58 della l. 218, che cataloga le promesse unilaterali (promessa al pubblico, promessa di pagamento, ricognizione di debito) sotto la rubrica delle obbligazioni non contrattuali. Il criterio di collegamento dettato dal legislatore è quello della legge del luogo dove è manifestata la promessa. E vi rientrano tutte le categorie di promesse, sia quelle recettizie che non recettizie (cioè conosciute o meno dal destinatario). Per i titoli di credito (assegni, vaglia, cambiali, ecc..) il legislatore ha fatto proprio il criterio del luogo in cui viene emesso il titolo. Anche per la gestione di affari altrui, l’arricchimento senza causa è il pagamento dell’indebito. Anche per questi negozi la legge applicabile è quella del luogo in cui si è verificato il fatto-fonte, cioè il fatto che da luogo all’obbligazione legale. In tema di rappresentanza volontaria si applica il criterio del luogo in cui si trova la sede legale del rappresentante se i terzi conoscono o possono conoscere la sede legale del rappresentante. Se, invece, la sede legale non è conosciuta o conoscibile dai terzi, si applica il criterio del luogo dove il rappresentante esercita concretamente il potere rappresentativo che gli è stato conferito. Nel caso della procura si tiene conto del luogo di rilascio della procura. Obbligazioni da fatto illecito La maggior parte del regolamento Roma 2 è dedicato alle ipotesi generali e speciali di responsabilità civile. Anche qui, prima della legge 218/95, si riteneva che bisognasse applicare l’art. 25 delle preleggi che fa riferimento al criterio territoriale del luogo in cui si è verificato il fatto-fonte dell’illecito civile. Ma si era posto un problema. L’art. 2043 distingue il fatto come condotta che può essere attiva o omissiva e il fatto come evento, inteso come conseguenza dannosa dell’azione arrecata ad un determinato interesse o bene giuridico protetto dall’ordinamento. Il problema che si era posto era se, per risalire al luogo del fatto-fonte, bisognasse fare riferimento alla condotta o all’evento. Il legislatore del 95 ha dettato un criterio inderogabile, che fa riferimento allo Stato in cui si è verificato l’evento. Vi sono delle deroghe. La prima è quella del criterio della residenza abituale comune del danneggiante e del danneggiato i quali se risiedono nello stesso Stato, si applica la legge di quello Stato. La seconda prevede che possa essere il danneggiato stesso a scegliere la legge, però il legislatore può indicare la legge da scegliere (quindi vi sono dei limiti). Art. 62 della l. 218/95 La responsabilità per fatto illecito è regolata dalla legge dello Stato in cui si è verificato l’evento. Però, il danneggiato può chiedere l’applicazione della legge dello Stato in cui si è verificato il fatto che ha causato il danno. In tema di responsabilità per danno da prodotto, all’art. 63, si prevede che il danneggiato può scegliere tra diversi criteri: quello dello stato in cui si trova il domicilio o l’amministrazione del produttore, oppure (concorso alternativo) quello dello stato in cui il prodotto è stato acquistato a meno che il produttore provi che il prodotto vi è stato immesso in commercio senza il suo consenso. Questi sono i fenomeni di autonomia internazional-privatistica non assoluta ma limitata. Ciò perché se da un lavo è vero che si tutela il soggetto leso, dall’altro si tutela il danneggiante o il produttore il quale può prevedere la legge e può prevedere le conseguenze di una sua condotta illecita e le sanzioni cui potrebbe andare incontro. Infine un criterio che si adottava prima del Regolamento Roma 2 è il criterio dello Stato di origine, cioè si guardava il paese di origine del danneggiante. Questo criterio è stato eliminato. Regolamento 864/2007 del Regolamento Europeo e del Consiglio Questo regolamento tratta della negotiorum gestio, dell’arricchimento e dell’indebito, ma la maggior parte delle norme è dedicata alla Responsabilità civile. La nozione di obbligazione extracontrattuale varia da uno Stato membro all’altro, per questo dovrebbe essere intesa come nozione autonoma. Le regole di conflitto di leggi stabilite nel regolamento dovrebbero disciplinare anche le obbligazioni extracontrattuali derivanti da responsabilità oggettiva (la responsabilità oggettiva è la responsabilità sulla base del rischio, disciplinata, nel nostro codice civile all’art. 2047). Questo regolamento si applica ai giudizi instaurati dopo la data 11-01-2009, fatta eccezione per l’art. 29 che si applica a decorrere dal 2008. In più i fatti devono essersi verificati dopo l’entrata in vigore del regolamento che risale al 2007. Il Regolamento Roma II è composto di 32 articoli. I primi tre articoli sono dedicati all’ambito di applicazione, al carattere universale. Dall’art. 4 al 9 abbiamo le vere e proprie norme di conflitto (l’art. 4 detta un criterio di carattere generale) gli art. 5 a 9 sono di carattere particolare che trattano di responsabilità speciali: responsabilità da prodotto, concorrenza sleale e atti limitativi della libera concorrenza, violazione dei diritti di proprietà intellettuale, attività sindacale. L’art. 14 detta un criterio di collegamento molto importante che è quello dell’autonomia delle parti. Dall’art. 15 al 22 abbiamo norme su aspetti generali come le norme di applicazione necessaria, le norme di condotta e sicurezza. Dall’art. 23 al 28 ci sono norme generali sull’ordine pubblico e sull’esclusione del rinvio e quelle sui rapporti con convenzioni internazionali. Dal 29 al 32 ci sono delle disposizioni finali a carattere generale, simili a quelle del reg. Roma I. Il Reg. Roma II si applica alle obbligazioni extracontrattuali in materia civile e commerciale, ne sono escluse le obbligazioni in materia fiscale, doganale o amministrativa, cioè sono escluse quelle obbligazioni di carattere pubblicistico che derivano da atti di imperio della p.a. A queste obbligazioni non disciplinate dal regolamento si applicheranno le norme di conflitto interne. nel quale si trova la sede dell’impresa che ha assunto il lavoratore. Se da una serie di circostanze risulta che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un Paese diverso, si applica la legge di tal diverso Paese. Riassumendo i criteri sono: optio legis con il limite delle norme inderogabili dei Paesi con i quali il contratto presenta stretti collegamenti. In assenza di optio legis abbiamo: 1) locus laboris, Paese in cui viene eseguita la prestazione; 2) criterio della sede dell’impresa; 3) criterio del collegamento più stretto. Ovviamente, in ogni caso ci saranno sempre le norme di applicazione necessaria, l’ordine pubblico, ecc. (es. a tutela del lavoratore abbiamo, le norme previdenziali, specialmente quando l’ordinamento del foro è quello italiano perché in Italia il diritto del lavoro è particolarmente protezionistico. L’art. 61 stabilisce che la gestione di affari altrui, l’arricchimento senza causa, il pagamento dell’indebito e le altre obbligazioni legali, non diversamente regolate dalla presente legge, sono sottoposti alla legge dello Stato in cui si è verificato il fatto da cui deriva l’obbligazioni. Problemi di internazionalità possono sorgere per quanto riguarda la contrattazione telematica tramite internet; i problemi sono quelli dell’individuazione del luogo della conclusione del contratto, e il diritto applicabile. Nel caso tramite internet, di offerta al pubblico e di eventuale acquisto, si applica l’art. 1336: in questo caso il contratto si conclude quando il singolo accetta la proposta. Invece nel caso di sollecitazione tramite mail in base all’art. 1326 il contratto si considera stipulato quando, inviata l’accettazione, la stessa giunge a conoscenza del proponente. In questo scambio telematico di proposta e accettazione si può stabilire con certezza sia il momento, sia il luogo (dove giunge l’accettazione) di conclusione del contratto. La legge applicabile la legge di residenza (comparazione) dell’acquirente. Per quanto riguarda le donazioni via internet, si pensi ai programmi free ware dove il titolare di questi software concede gratuitamente l’utilizzo e, a volte, anche la possibilità di modificare i prodotti; in questo caso si applica l’art. 56 della l. 218/95 cioè la legge nazionale del donante o la legge dello stato di residenza se vi è una dichiarazione espressa. Relativamente ai principi dell’Unidroit ci si pone lo stesso problema, se le parti possono richiamare, tramite l’optio legis, i cosiddetti principi Unidroit, che sono delle fonti caratterizzate da due elementi: 1) l’internazionalità; 2) l’a-statualità nel senso che la fonte non ha carattere statuale. Il problema sta nel fatto che il Regolamento Roma 1 stabilisce che può essere richiamato il diritto di uno Stato, mentre i principi unidroit, che nascono da una organizzazione internazionale, non hanno carattere nazionale. Questi principi sintetizzano due tipi di esperienze: quelle di civil law e quella di common law e si applicano ai contratti commerciali internazionali, sia stipulati tra imprese o tra imprese e consumatori. Uno dei principi fondamentali è quello della buona fede nelle trattative, qui si abbandona un po’ il campo delle norme di dip e si può parlare di disciplina materiale uniforme. Così come da noi, vige l’obbligo di comportarsi in buona fede nelle fasi delle trattative. Un altro aspetto importante è il carattere stragiudiziale dei rimedi contrattuali. Ciò vuol dire che il contratto, a determinate condizioni, può essere risolto in via stragiudiziale. La parte che intende avvalersi della risoluzione può inviare all’altra parte una dichiarazione in cui dichiara risolto il vincolo contrattuale. Questo per i principi unidroit vale sia per la risoluzione sia per es. per l’annullamento per errore. L’intervento del giudice è quindi limitato soltanto ad una fase eventuale e successiva che è quella della contestazione. E’ una forma di autotutela che da noi non è pensabile, salvo le ipotesi del mutuo dissenso. Un’altra peculiarità dei principi unidroit riguarda la cd. penale. In caso di inadempimento viene prestabilito l’obbligo di corrispondere una somma di denaro di ammontare determinato: è la classica ipotesi che da noi prende il nome di clausola penale. La penale viene determinata dalle parti, ha una funzione deterrente o rafforza il vincolo contrattuale. Anche nei sistemi di common law esistono questi meccanismi: abbiamo la distinzione tra liquitaded demages clouses che sono penali valide per i giudici inglesi e Perrality clauses che sono invece clausole invalide (esse contengono un ammontare eccessivo rispetto al danno effettivamente subito e ad esempio, non sono recepite dai giudici italiani in sede di esecuzione delle sentenze straniere). Come da noi la penale può essere ridotta d’ufficio, così anche in Inghilterra e negli Stati Uniti le penality clauses possono essere ridotte dai giudici, salvandole (controllo di equità). Un’altra tematica che i principi unidroit toccano, è quella delle condizioni generali del contratto. Abbiamo la tutela dell’aderente che può essere impresa o consumatore che aderisce alle condizioni unilateralmente predisposte. Qui si è stabilito (non come per noi l’art. 1341: con l’ordinaria diligenza l’aderente avrebbe dovuto conoscerle) che queste clausole devono essere esplicitamente o implicitamente richiamate. Ancora nei principi Unidroit, le clausole a sorpresa sono prive di effetto (quelle conosciute dall’aderente o in ogni caso non potevano essere conosciute). E’ fissata poi la regola interpretativa della interpretatio contra stipulato rem: cioè la condizione generale interpretata contro il predisponente. Per quanto riguarda il principio di equità o di proporzionalità, questo non attiene a tutte le condizioni generali del contratto, ma soltanto ad alcune clausole: 1) la penale che, se iniqua può essere ridotta; 2) le clausole di esonero da responsabilità, cioè tutte quelle clausole che tendono a creare un esonero in favore dell’aderente o della parte più forte del rapporto. Secondo i principi Unidroit sono nulle se inique, cioè se creano uno squilibrio contrattuale (questa tipologia di clausole di esonero si trovano anche nella vendita internazionale). La tecnica del Know out riguarda i contratti del commercio internazionale, una particolare modalità celere di formazione del contratto che prende il nome di Bsattle of Forms che vuol dire battaglia dei formulari. Un’impresa propone all’altra le sue condizioni generali di contratto, l’altra impresa propone le sue condizioni: abbiamo due imprese forti che propongono le loro condizioni generali. Si applica così il cd. principi di conformità (nel nostro art. 1326: l’accettazione deve essere conforme alla proposta) in virtù del quale il contenuto del contratto risulterà dalle condizioni generali compatibili tra loro. Quelle incompatibili si elidono a vicenda. Per quanto riguarda il problema della scelta della legge applicabile ci si chiede se nell’esercizio dell’optio legis si possono richiamare i principi Unidroit. Bisogna distinguere, però, se a giudicare sia il giudice nazionale oppure l’arbitro: 1) nel caso siano i giudici statali a giudicare il richiamato ai Principi Unidroit è da intendersi come rinvio negoziale o come accordo di incorporare questi principi nel contratto. I principi si applicheranno nella misura in cui non interferiranno con le norme statuali, nazionali scelte dalle parti; 2) nel caso in cui decidono gli arbitri, questi, non avendo alcun vincolo istituzionale con lo Stato, possono applicare i principi Unidroit come vera e propria legge regolatrice del contratto. I principi unidroit per l’arbitrato internazionale vengono ritenuti oggetto di una vera e propria norma di conflitto e sono per questo la legge regolatrice del morti. Però in alcuni stati come la Germania e Regno Unito e Svizzera, questi patti sono considerati validi, ma applicando le norme di dip sulla successione, se il de cuius ha cittadinanza italiana al momento della morte, si applicherà la legge fori quindi l patto successorio sarà nullo. Le donazioni sono disciplinate dall’art. 56; il criterio principale è la legge nazionale del donante. L’art. 56 esclude le donazioni atipiche gratuite: si pensi al comodato, al trasporto gratuito, alla sponsorizzazione. Mentre si discute se una serie di donazioni vi rientrino o meno. Come ad es. le donazioni ab nunzial, cioè sottoposte alla condizione che i due soggetti poi contraggono matrimonio. Oppure alle donazioni modali o fra coniugi e qui la risposta tende ad essere positiva. Diciamo che la legge nazionale del donato, quella scelta di residenza, disciplinano un po’ tutti gli aspetti della donazione, effetti, beni, beni non donabili, validità ecc. Mentre ne restano fuori la capacità che sarà disciplinata dalle norme sulla capacità e la forma. Il 3 comma stabilisce che la donazione è valida, quanto alla forma, se considerata tale dalla legge che ne regola la sostanza, cioè la legge nazionale del donante, oppure dalla legge dello stato nel quale l’atto è compiuto (legge loci actus). Per quanto riguarda la pubblicità della donazione ai fini dell’opponibilità ai terzi, invece, non si applica la legge nazionale del donante ma si applica la legge residae (la legge del luogo in cui la cosa si trova). Questa legge, però, presenta degli inconvenienti qualora i beni si trovano in Stati diversi o, trattandosi di cose mobili si potrebbe verificare uno spostamento da uno Stato ad un altro. In questo ultimo caso interviene una legge regolatrice che fa riferimento al momento dell’acquisto del diritto. Un esempio è l’art. 53 che riguarda l’usucapione: l’usucapione dei beni mobili resta regolata dalla legge dello Stato in cui il bene si trova al compimento del termine prescritto per l’acquisto (5, 10 o 20 anni). Anche qui esiste il problema della qualificazione, perché ci che da noi può essere considerato un diritto, una situazione reale, in altri ordinamenti può essere considerato una situazione obbligatoria. E allora anche qui opererà la prequalificazione e poi la qualificazione alla luce della legge causae dell’ordinamento richiamato. Per cui si dovrà applicare la legge residae per mettere in modo la nostra norma di dip, anche qualora poi di fatto quel rapporto nell’ordinamento richiamato non sia qualificabile come un rapporto reale ma per esempio un rapporto obbligatorio. La forma Per quanto riguarda il profilo della forma esiste una forma ad substantiam ed una forma ad probationem, specie per i diritti su beni immobili. Diciamo che, se non vi sono disposizioni specifiche, la legge regolatrice è la legge ad substantiam, cioè la legge residae o la legge del rapporto fondamentale. Diverso è il caso della pubblicità stabilita dall’art. 55: la pubblicità degli atti di costituzione e trasferimento ed esclusione dei diritti reali è regolata dalla legge dello Stato in cui l bene si trova al momento dell’atto. Per quanto riguarda le cose in transito, cioè i beni che vengono trasportati, si applica la legge di bandiera sotto la quale questi beni viaggiano. Se, invece il mezzo non ha la bandiera il legislatore stabilisce che i diritti reali su beni in transito sono regolati dalla legge del luogo di destinazione. Per quanto riguarda i beni immateriali, marchi, brevetti, opere di ingegno, in Italia vige il principio della territorialità che fa da barriera impedendo l’applicazione di leggi straniere. Un es. è l’art. 41 sul diritto d’autore dove si tiene conto del territorio dello Stato italiano in favore del quale i beni immateriali vengono sfruttati economicamente. Questo principio di territorialità ispira anche le convenzioni internazionali in materia di marchi, brevetti, invenzioni, quindi la logica è quella della territorialità assoluta che ha condotto il legislatore della l. 218 a prediligere il criterio della legge dello Stato di utilizzazione. Persone fisiche e giuridiche Il diritto internazionale privato disciplina le persone fisiche dal momento della nascita, a cui segue l’acquisto della capacità giuridica, fino alla morte regolando anche altri istituti successivo come ad es. la commorienza e i diritti della personalità per i quali è previsto un art. specifico: l’art. 24. La capacità, sia giuridica che d’agire, del soggetto persona fisica è disciplinata dagli art. 20 e 23 della l. 218/95 oltre che da alcune convenzioni internazionali come ad es. la convenzione di Roma del 1980. La l. 218 non prevede norme relative all’incapacità naturale cioè quella capacità di intendere e di volere non accertata legalmente e che può dipendere da qualsiasi causa, anche transitoria. L’art. 20 distingue tra una capacità giuridica generale, stabilendo che la capacità giuridica delle persone fisiche è regolata dalla loro legge nazionale e una capacità giuridica speciale. Criterio di collegamento è quindi la cittadinanza. La seconda parte dell’art. 20 disciplina le ipotesi di capacità giuridica speciale, prevedendo un’eccezione rispetto al criterio di collegamento della cittadinanza prevedendo la legge regolatrice del rapporto che può essere ad es. la legge matrimoniale particolare utilizzata da due soggetti o la legge in tema di successione. L’art. 27: la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio. Anche in caso di riconoscimento del figlio naturale, l’art. 35 stabilisce che la capacità del genitore di fare riconoscimento è regolata dalla sua legge nazionale. Ultima eccezione è la capacità di disporre per testamento: l’art. 47 stabilisce che la capacità di disporre per testamento, di modificarlo o revocarlo è regolata dalla legge nazionale del disponente al momento del testamento, modifica o revoca. Quasi identica è la previsione dell’art. 23 rubricato “capacità di agire delle persone fisiche”. Tale capacità normalmente si acquista con il compimento del 18 anno di età, previsione che però non vale per tutti gli stati. La prima parte dell’art. 23 prevede che la capacità di agire delle persone fisiche è regolata dalla loro legge nazionale. Anche qui troviamo il collegamento della cittadinanza. Nella seconda parte dell’art. sono indicate le ipotesi di capacità speciale. Si stabilisce che quando la legge regolatrice di una atto prescrive condizioni speciali di capacità di agire, queste sono regolate dalle stesse leggi. L’art. 21 e 22 si occupano rispettivamente dalla commorienza e della scomparsa. L’art. 21 prevede che quando bisogna stabilire la sopravvivenza di una persona ad un’altra e non si sa quale sia morta per prima, il momento della morte si accerta in base alla legge regolatrice del rapporto rispetto al quale l’accertamento rileva. In tale ipotesi si tratta di legge successionis perché si hanno problemi di eredità tra due soggetti. Diversa è l’ipotesi di scomparsa, assenza e morte presunta. L’art. 22 prevede il criterio di collegamento con la legge nazionale del soggetto o meglio con la sua ultima legge nazionale. Non tutti gli stati regolano come il nostro le ipotesi di scomparsa e di morte presunta; nel nostro ordinamento abbiamo tre diversi passaggi: 1) scomparsa del soggetto che si ha dal momento in cui dove si trasferisce la società mentre nella fusione si prende in considerazione la legislazione dei due stati con lo stato dove le due società si sottopongono alla fusione. Se le società sono costituite nei paesi dell’UE, vi è il principio della libertà di stabilimento confermato anche dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE che ha stabilito il divieto di discriminazione fondata sulla diversa nazionalità delle società con un esplicito riconoscimento per le società fondate in altri stati membri oppure la possibilità di costituire società in uno stato con un regime fiscale più favorevole solo con il limite della “società fantasma”, cioè non si possono costituire in un paese, solo per agevolazioni fiscali delle società che però concretamente non hanno né sede né oggetto. Per quanto riguarda la disciplina delle società costituite all’estero, l’art. 2508 c.c. stabilisce che le società costituite all’estero che stabiliscono nel territorio dello Stato una o più sedi secondarie con rappresenta stabile, sono soggette, per ciascuna sede, alle disposizioni della legge italiana sulla pubblicità degli atti sociali. Per le società estere di tipo diverse da quelle nazionali, si prevede che ad esse si applicano le norme della spa per ciò che riguarda gli obblighi relativi all’iscrizione degli atti sociali nel registro delle imprese e la responsabilità degli amministratori. Fino all’adempimento di queste formalità, coloro che agiscono in nome della società rispondono illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali. Protezione degli incapaci e obblighi alimentari (art. 42) L’art. 42, per l’importanza della materia, fa riferimento non ad un’astratta legge, ma ad una specifica Convenzione che è quella dell’Aja del 1961. Ci sono anche altre convenzioni come quella internazionale in tema di sottrazione di minori o quelle relative al rimpatrio dei minori. La Convenzione dell’Aja stabilisce che la protezione dei minori è in ogni caso regolata da tale Convenzione, sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori, resa esecutiva nell’80. Questa Convenzione, di recente è stata integrata da una nuova Convenzione (1996) che prevede una responsabilità maggiore per i genitori che non tutelano adeguatamente il minore ed in particolare i suoi interessi, l’educazione e l’assistenza. Protezione dei maggiori di età (art. 43) Tale articolo prevede che i presupposti e gli effetti delle misure di protezione degli incapaci maggiori di età, nonché i rapporti tra gli incapaci e chi ne ha la cura, sono regolati dalla legge nazionale dell’incapace (es. interdizione, inabilitazione, amministrazione di sostegno). Il 2° comma prevede che il giudice italiano può, a prescindere dalla cittadinanza del maggiore incapace, adottare misure provvisorie ed urgenti per proteggere la persona e i beni dell’incapace e per fare questo il giudice può adottare le misure previste dalla legge italiana. Sono misure provvisorie, adottate in situazioni urgenti, che devono essere successivamente sostituite con la legge nazionale dell’incapace nel momento i cui viene meno questa urgenza. Convenzione di Vienna dell’80 La Convenzione di Vienna dell’80 (ratificata in Italia nell’88) fa riferimento alla disciplina della vendita internazionale di merci o beni mobili; trova larga applicazione nell’ambito delle vendite internazionali; sono escluse le vendite stipulate tra professionisti e consumatori. Si applica alle vendite tra imprese sul presupposto che esse abbiano una pari forza contrattuale. Non si pone il problema della dipendenza economica e quindi non vi sono misure protettive. Prima dell’entrata in vigore della Convenzione di Vienna, in Italia vi erano altre due convenzioni: le convenzioni dell’Aja che disciplinavano la materia poi superata dalla Convenzione di Vienna che è nata per unificare la disciplina della materia del commercio internazionale delle vendite. Gli Stati potevano non ratificare alcune parti della convenzione; le parti non ratificate erano quelle relative alla disciplina della formazione del contratto e quelle relative agli effetti obbligatori del contratto e quindi agli obblighi a carico del venditore e del compratore. La Convenzione non disciplina gli effetti reali, cioè connessi al trasferimento della proprietà, ma disciplina solo gli effetti obbligatori del contratto, cioè le obbligazioni che sorgono reciprocamente a carico del compratore e del venditore, e poi tutta la parte relativa all’inadempimento, ai rimedi e al risarcimento dei danni. Queste erano le parti cd denunciabili cioè potevano non essere accettate dagli Stati aderenti. L’Italia a ratificato l’intera convenzione, il giudice la potrà applicare per intero. Però, per espressa disposizione normativa, ci sono degli aspetti della vendita internazionale che sono esclusi dalla stessa convenzione, nel senso che la convenzione si dichiara essa stessa non applicabile a determinati aspetti del contratto, in particolare al profilo degli effetti reali e a quello della validità del contratto (se è un contratto nullo o annullabile in base al sistema delle nostre patologie contrattuali). La vendita internazionale presenta una funzione più ampia rispetto alla vendita interna. La nostra vendita interna ha come funzione il “do ut des”, cioè è un contratto di scambio e la funzione è quella di dare, cioè trasferire la proprietà di bene verso il pagamento di un corrispettivo (quindi è esclusa dalla vendita interna ogni obbligazione di fare). Invece, la vendita internazionale è un sottotipo più ampio. Quindi rientra anche l’obbligazione di fare a condizione però che non vi sia prevalenza assoluta del fare sul dare; quindi, dare e cioè il trasferimento deve sempre rimanere la funzione principale. Ad esempio, la disciplina della vendita internazionale si applica anche al caso di vendita di cose da costruire, cioè beni che essendo venduti su scala commerciale non sono ancora presenti ma devono essere fabbricati o costruiti. La convenzione si applica quando i materiali attraverso i quali verrà fabbricato il bene sono forniti dal venditore. In questo caso il dare prevale sul fare perché è il venditore che procura i materiali e li trasforma fino a costruire il bene oggetto del contratto. Se, invece, i materiali vengono forniti dall’acquirente committente, allora in questo caso avremmo una chiama ipotesi di prevalenza del fare sul dare e quindi, avremmo un contratto che assomiglia di più al nostro contratto di appalto. Quindi, in base al criterio della prevalenza la convenzione di Vienna non risulterà applicabile. Messa in opera Il paragrafo 2 della convenzione disciplina l’ipotesi della messa in opera, cioè quando il venditore, oltre a trasferire la proprietà del bene, si impegna, si obbliga ad installare il bene stesso o a montarlo o a fornire il personale per mettere in moto i macchinari se si tratta di bene strumentale. Queste ipotesi sono disciplinate dalla convenzione di Vienna se in base al criterio della prevalenza l’obbligazione di dare risulti preponderante su quella di fare. La convenzione di Vienna si applica quando ci si limita alla semplice installazione, se invece, quella messa in opera è essenziale, il fare prevale sul dare e quindi la convenzione non troverà applicazione. Se invece, le parti stipulano due contratti autonomi, cioè uno di merce con un telex o un telegramma. Il problema di queste comunicazioni è quello di risalire alla paternità del documento. Ad esempio, nel telegramma non c’è una firma o una sottoscrizione (il fax è più sicuro perché vi è una sottoscrizione). Per cui, secondo alcuni non bisognerebbe equiparare alla forma scritta qualsiasi comunicazione (l’Uncitral sotto la cui egida nasce la convenzione è di senso contrario perché proprio per sviluppare il commercio internazionale ritiene che qualunque tipo di debba essere equiparato alla forma scritta). Un problema è quello posto dall’art. 27 il quale stabili che, salvo contraria disposizione espressa dalla presente parte della Convenzione, se una notifica, domanda o altra comunicazione è effettuata da una parte contraente, in conformità alla presente parte e con mezzi appropriati alle circostanze, un ritardo o un errore nella trasmissione della comunicazione o il fatto che non sia pervenuta a destinazione, non priva tale parte contraente del diritto di avvalersene. E’ una norma fondamentale che risente dell’esperienza anglosassone (Common law). Questa regola urta con i nostri principi fondamentali e che richiama la regola inglese che disciplina la formazione del contratto: Mail box rule (principio della spedizione). Quindi, la parte che invia la dichiarazione, in caso di inadempimento può inviare questa lettera di risoluzione e svincolarsi dal contratto. Quindi, la dichiarazione risulta efficace nel momento in cui è spedita. Quindi, vediamo che qualsiasi rischio nella trasmissione, si addossa alla parte a cui è diretta e non a quella che la invia. Però, questo principio non si applica alla fase di formazione del contratto, dove si prevede invece il principio di ricettizietà. Concetto di integrazione e interpretazione L’integrazione riguarda la copertura delle cd lacune interne (cioè con riferimento ai profili disciplinati dalla convenzione) ed esterne (cioè quelle lacune non disciplinate dalla convenzione). Queste lacune vanno colmate attraverso le norme di dip del foro. Per quanto riguarda l’interpretazione, questa deve avvenire nella maniera più uniforme possibile. Per interpretare le norme della convenzione non ci dobbiamo riferire alla lex fori ma al sistema della convenzione che è autonomo alla lex fori perché raggiunge delle soluzioni di compromesso. L’integrazione si realizza attraverso due strumenti fondamentali: la buona fede e gli usi. La buona fede è un principio che viene espressamente richiamato dalla convenzione. E’ una buona fede che tempera gli abusi, è una buona fede oggettiva, quindi garantisce il principio della buona fede dei comportamenti, è una buona fede in executivis, quindi deve precedere l’esecuzione e lo svolgimento del rapporto contrattuale ed è una buona fede integrativa, cioè anche se determinati obblighi non sono stabiliti nel contratto, sono da ritenersi esistenti. Accanto alla buona fede vi sono altri due principi importanti. Uno è quello del “ne venire contra factum proprium”, si ricollega all’abuso del diritto e significa non assumere comportamenti contrari alla buona fede ingenerata nella controparte (si pensi alle trattative quando io recedo). Questo principio significa non tradire gli affidamenti ingenerati perché quello è un comportamento contro la buona fede. L’altro principio è quello della ragionevolezza (inglese): attenzione per le circostanze del caso concreto. L’altro modo di integrare i contratti sono gli usi che vengono disciplinati dall’art. 9: sono regole non scritte adottate dalle parti nei disparati settori commerciali. La Convenzione individua due tipi di usi, gli usi negoziali e quelli individuali. Quelli individuali sono le pratiche che le parti individuate utilizzano nei loro rapporti, quindi se i rapporti sono reiterati si formano tra quelle due parti individuali determinati usi e questi usi, che da noi hanno valenza meramente interpretativa (cioè il contratto viene interpretato secondo gli usi), nella convenzione integrano il contenuto del contratto, quindi diventano parte ed entrano nel regolamento contrattuale. Invece, gli usi negoziali non riguardano le parti specifiche che contraggono, ma sono usi di carattere generale che si considerano conosciuti in base al criterio dell’ordinaria diligenza da tutti gli operatori che operano in quel determinato settore. Sono anche usi internazionali. Quindi, a prescindere dal fatto che le parti riconoscano o meno, sono usi talmente diffusi, talmente conoscibili, che la convenzione li considera automaticamente parte del contratto a prescindere da un richiamo volontario, quindi non c’è bisogno di richiamarli. Le parti possono escludere questi usi, però la volontà delle parti è irrilevante sulla disciplina del regolamento, sulla disciplina secondo gli usi non può nulla la volontà delle parti, però quelle che sono a conoscenza di quegli usi e non vogliono farli entrare nel regolamento li possono escludere. Quindi, la volontà è rilevante in senso negativo e non positivo. Poi esiste il problema della prova è chiaro che la parte che non vuole avvalersi dell’uso dovrà provare che effettivamente l’ha escluso. L’altro profilo è l’interpretazione. Nella convenzione si prevede la prevalenza dell’interpretazione soggettiva su quella oggettiva; quindi la volontà delle parti prevale sul significato obiettivo, soltanto se vi sono contrasti si rinvia in via residuale all’interpretazione oggettiva. Un altro principio cardine in tema di interpretazione del contratto è quello per il quale si tiene conto del comportamento delle parti e della irrilevanza del brocardo in claris non tif interpretatio, cioè dell’insufficienza dell’interpretazione meramente letterale. Lingua del contratto Poiché si tratta di un contratto internazionale, e quindi stipulato tra imprese che hanno sede in stati differenti e che quindi utilizzano lingue differenti, si può porre il problema del cd. dissenso linguistico. La dichiarazione espressa nella propria lingua, può risultare non comprensibile al destinatario. Ci si chiede che cosa succede quando emerge questo dissenso. Secondo alcuni questo determinerebbe la nullità, o l’inesistenza; invece, secondo altri produrrebbe l’annullabilità, quindi, il vizio è sanabile se le parti si metto d’accordo e questo dissenso viene superato. Non ci si può accontentare di un’interpretazione letterale, ma bisogna verificare effettivamente le intenzioni, come le parti hanno recepito le clausole, che cosa hanno capito di quelle clausole, che comportamento hanno assunto nell’esecuzione di quelle clausole. Per evitare questi problemi di fraintendimento, esiste un patto di scelta della lingua, quindi le parti possono scegliere la lingua da applicare al contratto (molto spesso si usa l’inglese). Vendita internazionale-proposta Il principio della mail box rule o della spedizione, non si applica alla fase di formazione del contratto che invece si prevede una disciplina simile alla nostra e cioè è presente il principio di recettizietà delle dichiarazioni. Quindi, si fa riferimento alla proposta e all’accettazione che hanno carattere recettizio. La cosa fondamentale è che si deve trattare di dichiarazioni di una certa serietà, quindi vengono escluse quelle dichiarazioni che non hanno il carattere di una manifestazione definitiva di volontà (es. offerte pubblicitarie: in questo caso non si ha una vera e propria proposta particolare metodica di formazione del contratto soprattutto solecizzante che ben si adatta alla contrattazione di imprese: una sorta di accettazione tacita di comportamenti che sono direttamente esecutivi del rapporto e che quindi valgono come accettazione. Quindi, quando si compiono questi comportamenti il contratto si considera concluso. Il nostro art. 1327 stabilisce che qualora, su richiesta del proponente o per la natura dell’affare o secondo gli usi, la prestazione debba eseguirsi senza una preventiva risposta, il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione. L’accettante deve dare prontamente avviso all’altra parte dell’iniziata esecuzione e in mancanza è tenuto al risarcimento del danno. Questo obbligo di pronto avviso non è previsto dalla Convenzione di Vienna e questo per questioni di celerità e agevolazione. Poi vi è la cd accettazione tardiva che segue, più o meno il nostro regime e cioè anche se tardiva il proponente la può ritenere accettazione lo stesso. Il contratto si conclude in base al principio di recettizietà cioè, l’accettazione deve giungere al proponente: anche qui, come nel nostro ordinamento, per agevolare la prova della conclusione del contratto la conoscenza effettiva è equiparata alla conoscibilità. Quindi, si ritiene che vi sia conoscenza quando la dichiarazione viene consegnata, con qualsiasi mezzo, al destinatario che poi sarebbe la sede legale dell’impresa. Obbligazioni a carico delle parti La Convenzione non disciplina il profilo del trasferimento di proprietà, quindi disciplina solo gli obblighi a carico del compratore e del venditore. Per il compratore quello principale è dato dal pagamento del prezzo. Per il venditore l’obbligazione principale è quella di consegnare il bene o la merce, questo obbligo è importante ai fini del cd. passaggio del rischio. Quindi, quando viene adempiuta l’obbligazione di consegna, il rischio di perimento della merce si trasferisce dal venditore al compratore: se la merce dovesse perire dopo la consegna, comunque il compratore dovrà pagare il prezzo. La consegna si ha non solo quando la merce viene consegnata, ma soprattutto quando i beni vengono affidati al vettore del settore aereo terrestre navale ecc.. quindi quando il venditore ha stipulato tutti i contratti di trasporto necessari per far giungere la merce a destinazione (contratti di spedizione: sono quelli in cui si incarica il vettore di trasportare la merce). L’obbligo di consegna richiama un altro istituto, disciplinato dalla convenzione e che in un certo modo richiama il nostro istituto della mora del creditore. Una volta che viene adempiuto l’obbligo di consegna il rischio passa e quindi il compratore entra in questo stato di mora (mora credendi) quando senza legittimo motivo omette di prendere in consegna i beni. Quindi, l’art. 53 pone a carico del compratore un vero e proprio obbligo di cooperazione nel rapporto, cioè, di adoperarsi a prendere in consegna beni. Il compratore deve compiere tutta quell’attività preparatoria a ricevere in consegna i beni, perché vige il principio di buona fede. Se poi il compratore si disinteressa e non coopera non solo si ha il passaggio del rischio, ma addirittura il venditore può dichiarare risolto il contratto, e quindi determinare con la sua volontà unilaterale lo scioglimento del vincolo. L’altro principio della Convenzione è quello di conservare la merce, nel senso che se una delle parti non è diligente, l’altra parte deve esserlo: la parte non inadempiente la quale ha la disponibilità dei beni deve curarli, custodirli in maniera diligente. Ad es. in attesa di consegnare questi beni alla controparte deve comunque adoperarsi per non far perire la merce. Obbligo del venditore di consegna dei beni conformi, denuncia dei difetti e ipotesi di irregolarità (aliud pro alio e difetto giuridico) Un altro obbligo previsto dalla convenzione a carico del venditore è quello di consegnare i beni conformi. L’art. 35 fa riferimento a varie ipotesi di conformità: in generale la conformità riguarda l’attitudine del bene ad essere poi utilizzato per lo scopo per il quale serve e in particolar modo nell’ambito del difetto della conformità sia la dottrina che la giurisprudenza fanno rientrare l’ipotesi della consegna di un bene totalmente diverso da quello ordinato. La convenzione prevede la denuncia dei difetti, che non deve essere necessariamente scritta ma può essere anche orale. Deve essere realizzata entro un termine definito in base alla ragionevolezza. L’art. 39 stabilisce che il compratore perde il diritto di far valere il difetto di conformità se non lo denuncia al venditore entro un tempo ragionevole che decorre dal momento in cui lo ha scoperto o avrebbe potuto scoprirlo. Il 2 comma stabilisce in ogni caso un termine massimo di 2 anni (a noi 8 giorni) dal momento della consegna. Si tratta di una norma derogabile quindi il venditore il base alla cd garanzia convenzionale, può prestare una garanzia ancora più ampia. Nell’esercizio dei cd poteri di controllo, il compratore che ricevere la merce ha un verro e proprio obbligo di esaminare la merce. Nell’ambito del difetto di conformità si fanno rientrare anche il difetto giuridico, quindi se gravano vincoli giuridici parziali o totali, viene compromessa la regolarità giuridica. Rimedi al difetto di conformità (riparazione, sostituzione, riduzione del prezzo, risoluzione) La Convenzione ha introdotto un vero e proprio principio di gradualità del rimedio, nel senso che prima deve essere esperito il rimedio meno grave, che è quello della riparazione del bene. Sono escluse le ipotesi nelle quali il compratore può riparare il bene, in questo caso non si deve rivolgere al venditore. Se la riparazione è insufficiente a stabilire la conformità della merce, si passa al rimedio successivo che è quello ella sostituzione dei beni. Dopo la riparazione e la sostituzione (che sono due rimedi confluiti nella vendita di beni al consumo) si passa alla riduzione del prezzo e poi alla risoluzione del contratto. Nella convenzione questi sono due rimedi stragiudiziali (da noi bisogna andare dal giudice) nel senso che è possibile ridurre il prezzo risolvere il contratto anche in maniera stragiudiziale tramite una comunicazione che in base all’art. 27 produrrà effetti nel momento in cui la sis spedisce, questo per agevolare il sistema delle vendite internazionali. Il presupposto fondamentale della risoluzione è l’inadempimento, ma non un inadempimento essenziale come nel nostro codice, ma di un grave inadempimento. Quindi quando si va dal giudice, la pronuncia del giudice o dell’arbitro sulla comunicazione di risoluzione, non è mai un pronuncia costitutiva come avviene nel nostro ordinamento, ma è una pronuncia di mero accertamento della risoluzione del contratto che è già avvenuta tra le parti. L’intervento del giudice o dell’arbitro Il ricorso al giudice è necessario solo nel caso del risarcimento dei danni. Invece, la risoluzione può avvenire in via unilaterale e stragiudiziale: il giudice o l’arbitro intervengono con una pronuncia di accertamento e dichiarativa. Uno dei casi in cui si richiede l’intervento del giudice è quello previsto dall’art. 28 che disciplina la cd. azione di adempimento. Il rimedio consiste nell’obbligare la che sono le camere di commercio hanno previsto le clausole modello di hard ship. Quindi, ci sono dei modelli standard di clausole hard ship che le parti richiamano nei loro contratti. La Camera di commercio internazionale si occupa di tutte le questione, inoltre, ha elaborato il cd sistema degli incoterms. Si tratta di clausole che le parti possono introdurre nel contratto internazionale al fine di disciplinare vari aspetti, ad esempio, il passaggio del rischio, quindi l’assicurazione delle merci, la ripartizione delle spese, la tipologia di trasporto e altre formalità accessorie per l’esecuzione del contratto. Tali clausole si aggiornano continuamente e le parti che le intendono porre all’interno del contratto devono richiamare le varie edizioni (l’ultima risale al 2000). Profilo del rischio, dell’assicurazione e cd. impossibilità temporanea Un altro importante profilo è quello del rischio, dell’assicurazione. Se nel trasporto la merce perisce (l’aereo cade, la nave affonda), il venditore si è già assicurato. Quindi in questo caso il compratore non dovrà pagare il prezzo perché il venditore si è già assicurato per la perdita della merce. Se, invece, il venditore non è assicurato per il perimento della merce, si utilizzerà un altro tipo di clausola; o il compratore si deve assicurare o deve pagare il prezzo se la merce perisce. Poi ci possono essere varie modalità di assicurazione: quella più ampia è l’assicurazione cd. all risk, che comprende tutti i tipi di rischi possibili di perimento della merce. Nella Convenzione di Vienna, sempre in attuazione del principio di buona fede, rileva la cd impossibilità temporanea. Se l’impossibilità è totale ed è colposa bisogna risarcire il danno. Se l’impossibilità è temporanea è possibile chiedere una sorta di sospensione, nel senso che è possibile richiedere al venditore o al compratore, a seconda dei casi, di pazientare fino a quando questa difficoltà temporanea venga superata. Quindi è un’inesigibilità temporanea dell’obbligazione che viene addirittura comunicata, secondo buona fede alla controparte. Convenzione di Ottawa sul leasing finanziario internazionale La Convenzione di Ottawa dell’88, ratificata in italia nel 93 ha ad oggetto il contratto di leasing finanziario internazionale. Uno degli aspetti fondamentali di questo leasing è che non si caratterizza per la cd. opzione, cioè il diritto di opzione non rappresenta come nel nostro ordinamento un elemento essenziale ma meramente eventuale. Non è necessario che venga concesso all’utilizzatore il diritto di opzione, che è un diritto potestativo in base al quale l’utilizzatore può decidere alla fine della locazione finanziaria di riscattare il bene o di rinnovare il contratto. Questo da noi è possibile, tant’è vero che il leasing viene configurato come una vendita con riscatto o come una vendita con riserva di proprietà (la cd. vendita a rate). Il patto di opzione non è presente in common law, quindi questa convenzione è stato il frutto di un compromesso, ogni stato ha dovuto rinunciare a qualcosa. Quindi, la convenzione si può applicare anche quando il leasing non presenta il patto di opzione. Esistono tante tipologie di leasing però si è creato un modello base di leasing internazionale che richiama tutte le categorie di leasing immobiliare, mobiliare, di locazione, ecc.. La dottrina ritiene che la Convenzione di Ottawa è di diritto materiale uniforme e che può servire ad elaborare una nozione di leasing nei paesi in cui esso è sconosciuto. Varie categorie di leasing La categoria base è il leasing operativo, nel quale il fabbricante concede all’utilizzatore i diritti di sfruttamento. Quindi abbiamo un’operazione con una funzione di locazione, che è un’operazione bilaterale perché da una parte vi è il fabbricatore che fabbrica il bene e lo concede in locazione con funzione di finanziamento, e dall’altra l’utilizzatore, e cioè l’impresa che l’utilizza. La seconda categoria è il lease back, che si realizza quando l’impresa ha bisogno di liquidità immediata e vende i propri beni strumentali ad una società di leasing che paga il corrispettivo e cede di nuovo in locazione il bene all’imprenditore. Quindi, l’imprenditore prima è proprietario del bene, poi lo vende alla società di leasing che lo riconcede in godimento dietro pagamento di un canone e di solito subentra l’opzione e quindi il riscatto finale per cui il bene torna in proprietà del venditore. Il rischio è che il venditore può diventare vittima della società di leasing. Esistono varie strutture di leasing: 1) in base al tipo di bene (leasing immobiliare, mobiliare); 2) il base alla destinazione (leasing per consumo, per imprese, ecc..). Il leasing internazionale rispetto a quello interno offre molteplici problematiche di rilevanza internazionale. In questa operazione sono coinvolti tre soggetti: il fabbricante (colui che fabbrica il bene; il concedente (colui che concede in leasing il bene); l’utilizzatore. Quando queste persone appartengono, cioè hanno la lo sede dell’impresa in tre stati diversi, il leasing assume il carattere di internazionalità. Il leasing era già diffuso nell’88 nel commercio internazionale soprattutto nei Paesi anglosassoni. La convenzione nasce anche con un obiettivo nobile che è quello di aiutare tramite il leasing i Paesi in via di sviluppo. Si pensi all’importanza del leasing nel disciplinare la fornitura di materiali in quei Paesi arretrati o in via di sviluppo che tramite l’industrializzazione possono crescere. Lo sforzo della convenzione di compromesso è quello di creare un modello di leasing totalmente autonomo rispetto alle fattispecie interne. Ovviamente la convenzione non ha potuto disciplinare tutti gli aspetti, per cui i profili fiscali, tributari non vengono esaminati è assente anche il leasing immobiliare, perché si disciplina solo i beni strumentali che hanno lo scopo di venire incontro alle esigenze dei paesi in via di sviluppo. La Convenzione di Ottawa è stata stipulata quando già c’era la convenzione di Vienna, infatti questa ha avuto influenza su tale convenzione per quanto riguarda la rilevanza della buona fede, dei principi internazionali dell’interpretazione. Principi della convenzione Il primo principio è quello del bilanciamento degli interessi delle parti, la proporzionalità, nel senso che si cerca di evitare l’aumento della tutela dell’utilizzatore rispetto a quella del fornitore o concedente. La maggior parte delle norme della convenzione sono derogabili. Le parti possono derogare queste norme o possono escludere l’applicazione della convenzione. Anche questa convenzione parte dal presupposto che siamo in un’operazione economica. Siamo di fronte a più contratti collegati tra di loro. L’art. 1 individua le parti fondamentali di questo contratto. Una parte detta concedente stipula un contratto (cd. contratto di fornitura) sulla base delle indicazione di un’altra parte (utilizzatore) con un terzo (il fornitore). In base al quale il concedente acquista impianti, materiali e altri beni strumentali alle condizioni approvate dall’utilizzatore. Stipula il contratto di leasing con l’utilizzatore dando a questo il diritto di usare il bene contro il pagamento di canoni. Siamo in presenza di un’operazione economica, cioè di più contratti collegati. Quindi, si coniugano due contratti. Il contratto di Per la consegna di un bene difforme, l’utilizzatore può rifiutare il bene o risolvere il contratto di leasing. L’art. 12 prevede il diritto di rimediare (il concedente può rimediare al suo inadempimento di consegnare per evitare la risoluzione). L’utilizzatore può trattenere i canoni dovuti fino a che il concedente non abbia rimediato al suo inadempimento, cioè mancata consegna, consegna ritardata o consegna di un bene difforme (è una forma di autotutela “ius retentionis”). E’ derogabile, si tratta di un mezzo per fare pressione sul concedente. Molto spesso nella prassi vengono inserite nel contratto delle clausole di solve ed repet o di esonero dalla responsabilità per mancata consegna o vizi, e quindi in questo caso l’utilizzatore dovrà rifarsi non sul concedente ma al più sul fornitore). Diritto del concedente nei confronti dell’utilizzatore I diritti sono: 1) la messa in mora; 2) l’esazione del pagamento anticipato dei canoni non scaduti; 3) risoluzione del contratto. C’è un certo gradualismo dei rimedi: la risoluzione è l’estrema ratio. Rimedio intermedio è quello di esigenze il pagamento anticipato dei canoni non ancora scaduti. Prima di risolvere il contratto, il concedente per mettersi al sicuro può chiedere il pagamento di tutti i canoni non ancora scaduti, quindi può chiedere di avere addirittura un rimborso immediato. Quindi o vi è il pagamento delle rate ancora prima che queste siano scadute o sarà possibile la risoluzione del contratto. Se si percorre la strada della risoluzione l’effetto sarà il recupero del bene e il risarcimento del danno. Per il leasing internazionale, il risarcimento del danno non deve essere sproporzionato, quindi deve rispettare il principio di proporzionalità, tenendo conto dell’utilizzo che è stato fatto del bene. Invece, la Convenzione di Vienna per la risoluzione parla di inadempimento essenziale, qui si parla di substantial, cioè di inadempimento sostanziale. Sostanziale significa che non è più possibile eseguire il rapporto contrattuale, mentre al di fuori di questi casi è possibile proseguirlo, l’inadempimento non è substantial. Quantificazione del danno Il criterio di calcolo può essere contenuto nel contratto stesso, come dice l’art. 13 purché rispetti il principio di proporzionalità. Questa norma introduce una sorta di penale che non deve essere manifestamente eccessiva. Il contratto di leasing internazionale è un contrat6to plurilaterale e il collegamento è legale (cioè non per volontà delle parti). Si tratta di un’operazione con scopo comune. L’utilizzatore è ben tutelato nei confronti del fornitore; ma anche il concedente è tutelato, ad esempio può spostare sul fornitore le sue responsabilità. C’è un esonero0 di responsabilità dell’utilizzatore verso i terzi, può opporre a determinate condizioni i suoi diritti verso i creditori. Quindi si raggiunge un perfetto equilibrio: bilanciamento di interessi tra il concedente e l’utilizzatore. La convenzione di Ottawa va ad intaccare l’ordinamento italiano perché da noi il leasing è bilaterale, manca il costruttore. Il factoring Il factoring è un contratto in base al quale il factor (cessionario) si impegna ad acquistare per un certo periodo da un imprenditore x (cedente) a titolo oneroso tutti i crediti presenti e futuri che questo ha nei confronti dei propri clienti (debitori ceduti). Il factoring internazionale è disciplinato dalla convenzione Unidroit (Ottawa 1988). Questa convenzione è stata eseguita in Italia nel 93; anche qui l’obiettivo è quello di creare un tipo autonomo, cioè una figura di factoring caratterizzata di estraneità rispetto al foro ed assunta come autonoma rispetto ai nostri modelli interni. La funzione del factoring è quella di agevolare le vendite internazionali attraverso assunzione di varie funzioni. Anche qui si avverte l’influsso della convenzione di Vienna, infatti, i principi della buona fede, ragionevolezza, valorizzazione dell’autonomia privata confluiscono al suo interno. L’art. 1 della Convenzione stabilisce che la convenzione disciplina i contratti di factoring e le cessioni dei crediti. Per contratto di factoring si intende quel contratto concluso tra una parte (il fornitore) e un’altra parte (impresa di factoring o cessionario) in base al quale 1) il fornitore può cedere o cederà al cessionario crediti derivanti da contratti di vendita di merci conclusi tra il fornitore e i suoi clienti (debitore) ad esclusione dei contratti concernenti merci acquistate essenzialmente per uso personale, familiare o domestico; 2) il cessionario deve svolgere per lo meno due delle seguenti funzioni: a) il finanziamento del fornitore, attraverso il prestito o il pagamento anticipato; b) la tenuta dei conti relativi ai crediti; c) l’incasso dei crediti; d) la protezione contro il mancato pagamento da parte dei debitori; 3) la cessione dei crediti deve essere comunicata ai debitori. Poi si prevede che le disposizioni che in questa convenzione si applicano alle merci e alla loro vendita si intendono applicabile anche ai servizi e alla loro fornitura. Inoltre, si prevede che una comunicazione scritta non ha bisogno di essere firmata, ma deve indicare da chi o a nome di chi essa è fatta. La comunicazione scritta comprende anche i telegrammi, i telex e ogni altro mezzo di telecomunicazione tale da essere riprodotto in forma materiale. Una comunicazione scritta si intende per fatta quando è ricevuta dal destinatario. Si tratta di un contratto bilaterale: fornitore-cedente che cede il proprio credito al factor-cessionario. Il factoring internazionale è strettamente collegato alla vendita di merci internazionali, nel senso che presuppone l’esistenza di un contratto di vendita internazionale. Si deve trattare di vendita tra imprese e quindi sono esclusi i contratti dei consumatori, di acquisto di beni per ragioni familiari o personali. Questo contratto di vendita può essere già stato stipulato (quindi la cessione di crediti è già presente) oppure può avere ad oggetto la cessione di crediti futuri (cioè che non sono ancora venuti ad esistenza). I vantaggi di questa operazione sono molti. Se si avesse un contratto di vendita isolato, cioè senza unirlo al factoring, il venditore di merci incorrerebbe in una serie di inconvenienti, infatti, può esporsi al rischio di un eventuale inadempimento o insolvenza del compratore, o può darsi che questo paga dopo molto tempo per cui non si ha un immediato finanziamento alla produzione di impresa. Se poi il compratore non dovesse pagare, il venditore dovrà sostenere delle spese, dei costi per il recupero dei crediti. Tutti questi inconvenienti vengono superati attraverso il collegamento tra la vendita internazionale e il factoring collegato alla vendita. Il venditore attraverso l’operazione di cessione avrà dei benefici perché potrà recuperare immediatamente il consenso pattuito, cioè anziché dilazionare il pagamento a favore del compratore, il venditore realizza una liquidazione immediata e delega a terzi una serie di attività accessorie che comportano dei costi come la tenuta dei registri, acquisizione di informazioni sui clienti se sono solvibili o meno e le informazioni sul mercato. Una caratteristica fondamentale del factoring internazionale è che non si ha una singola operazione di cessione ma i crediti vengono ceduti in massa (cessione di massa). Le funzioni del factoring internazionale sono: 1) finanziamento del stesso paese del cedente si ha il cd. factor interno, il quale a sua volta cede i suoi crediti ad un altro factor che ha la sua sede nello stato dell’acquirente (ceduto). Abbiamo il factor interno che ha sede nello stato del cedente, il factor interno cede di nuovo a sua volta i suoi crediti ad un factor esterno (import factor) che ha la sua sede nel paese del ceduto. Questa operazione prevede un terzo ordine di rapporti contrattuali che si vengono ad instaurare tra il factor interno e il factor esterno (detti in inglese interfactors agreements: sorta di sub contratto di sub cessione). Per export si intende esportazione interna dei crediti, mentre per import si intende esportazione esterna, ad esempio il factor italiano esporta alla Francia (export) invece import factor è quello che prende all’estero questi crediti. Le altre tipologie meno diffuse sono il direct export factoring (import factor è quello che riprende i crediti all’estero. Vi è un unico factor che ha la sua sede degli affari nello stato del fornitore-venditore e provvede lui stesso a riscuotere nello stato esterno quindi non si ha la subcessione, non si ha la cessione successiva, il factor interno, quello più vicino alla nostra impresa di vendita, va a riscuotere direttamente i crediti (factor interno agisce direttamente). Poi vi è il direct import factoring (unico factor che però è esterno non interno cioè si trova nello stato dei ceduti- acquirenti). Molti aspetti non sono disciplinati dalla convenzione e sono rimessi all’autonomia delle parti al fine di non rendere troppo rigida la struttura del factoring internazionale. Quindi possono essere le parti a disciplinare o si farà riferimento ai principi generali. Gli aspetti non disciplinati dalla convenzione sono: il problema di conflitti tra cessionari degli stessi crediti; quello del fallimento del cedente, o quello attinente al sorti del contratto principale cioè che succede al contratto di factoring se dovesse risolversi il contratto di vendita, o anche l’aspetto degli interfactors agreements. I principi a cui fa riferimento l’art. 4 sono quello del favor cessionis (incentivare il più possibile la cessione), quello della buona fede. La cessione non deve pesare troppo sugli acquirenti ceduti. Disciplina applicabile nell’ipotesi in cui non si applica la convenzione Per quanto riguarda il contratto di cessione, possiamo applicare il regolamento Roma 1, quindi se ci troviamo in uno stato del foro comunitario, la lex contractus sarà quella scelta dalle parti, oppure un criterio alternativo può essere la lex obbligationis cioè la legge regolatrice del debito ceduto, quindi dell’oggetto della cessione. Ci si riferisce al contratto di fornitura perché è da questo che trae origine l’obbligazione. Quindi, se il contratto di fornitura di merci è disciplinato dalla legge individuata dalle parti perché le parti escludono di applicare la convenzione di Vienna, quella stessa legge in automatico si applicherà anche al contratto di factoring; oppure le parti possono decidere di applicare due leggi diverse: una alla fornitura e una al factoring (sempre per gli aspetti non disciplinati). Rapporti tra le parti Nel regolare tali rapporti si fa riferimento alla legge nazionale delle due parti. Invece, per quanto riguarda i rapporti tra il factor interno e quello esterno, o le parti scelgono una legge negli interfactor agreements, quindi sono loro a scegliere la legge applicabile alla sub cessione, o si applicherà il collegamento più stretto. Altri rapporti non disciplinati sono quelli tra il factor e i debitori ceduti. Se il factor è estero, quindi si trova nello stesso stato dei ceduti, abbiamo l’applicazione della legge nazionale. Se, invece, il factor si trova in uno Stato diverso, si applica la lex obbligationis cioè la legge che regola la fornitura, cioè il contratto fonte dell’obbligazione ceduta. Altro aspetto non disciplinato è quello della validità della cessione. Se la cessione presenta vizi si applicheranno le norme di dip del foro. Tutti i rapporti con i terzi non sono disciplinati. La possibilità di cedere in massa questi crediti pone il problema della determinatezza, nel senso che nel nostro ordinamento il problema è che l’oggetto del contratto deve essere determinato o determinale, pena la nullità del contratto. La convenzione per evitare la comminatoria di nullità pone un limite espresso che è quello contenuto nell’art. 5 e cioè il limite della determinabilità per le cessioni di massa, quindi se c’è un indeterminatezza pura, la cessione è nulla, però se nella cessione concreta è rispettato il limite di determinabilità, allora la cessione è valida. Nella norma si dice che si deve trattare di crediti riferibili al contratto nel senso che nel contratto deve esserci una categoria di crediti, poi tutti i singoli crediti anche non nominativamente indicati, afferenti a quella categoria, si intendono ceduti. Quindi, nel contratto ci deve essere almeno una clausola che identifica la categoria generale di crediti e che quindi sia possibile ricollegare poi di volta in volta, il singolo credito ceduto a questa categoria. La categoria può essere individuata sulla base di criteri soggettivi (es. si fa una categoria di clienti o una categoria di operatori o si indica il paese estero e allora tutti i crediti che si sono ceduti in quel paese, si ricollegano a quella cateogira) o oggettivi (cioè per tipologia di beni o di servizi, per valore del credito, es. tutti i crediti fino al valore x). Articolo 6, 7, 8, 9, 10 L’art. 6 disciplina il pactum de non cedendo, cioè il patto di non cedere. Questo patto è irrilevante, nel senso che anche se è stato convenuto un patto di non cessione tra il fornitore ed il debitore e comunque poi il fornitore cede, la cessione è valida, con il limite però della buona fede oggettiva. L’art. 7 fa riferimento ad un meccanismo particolare che è quello della cessione insieme al factor non solo dei crediti, ma anche di tutti i diritti che sorgono dal contratto di fornitura. L’art. 8 disciplina le condizioni di efficacia liberatoria. Il debitore per adempiere bene al factor, deve avere avuto comunicazione della cessione (libertà di forma: è necessaria una comunicazione anche in forma orale). Quando è comunicata la cessione deve pagare il factor, altrimenti è liberato se paga il cedente originario, cioè il debitore. Non è necessario il suo consenso. L’art. 8 fa riferimento alla comunicazione scritta che deve avere dei requisiti. Innanzitutto deve essere fatta da un soggetto legittimato, quindi cedente o cessionario, ma soprattutto deve identificare in modo ragionevole i crediti ceduti ed il cessionario. Questa comunicazione riguarda i crediti derivanti da un contratto di vendita di merci concluso prima o al momento in cui la comunicazione è stata fatta. La comunicazione va fatta quando avviene la cessione, quindi riguarda esclusivamente i crediti presenti. Un altro profilo non disciplinato dall’art. 8 è quello del conflitto tra i cessionari, cioè ci si chiede che succede se si cede lo stesso credito a più cessionari. Da noi il conflitto si risolve con la notifica (priorità della notifica). Nella convenzione il criterio è sempre quello della priorità, però non è disciplinato e quindi si fa riferimento alle norme di dip del foro. L’art. 9 disciplina il regime delle eccezioni. Ci sono due opinioni. Secondo alcuni, le eccezioni opponibili al factor sarebbero solo quelle non attinenti agli eventuali vizi del contratto, quindi è possibile opporre solo le eccezioni relative al difetto di esecuzione. Secondo un’altra opinione (preferibile) è possibile opporre tutte le eccezioni che avrebbero
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