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La Nascita dello Stato di Israele e la Questione Palestinese: 1919-1948, Dispense di Storia Delle Relazioni Internazionali

La situazione politica nel medio oriente tra la fine della prima guerra mondiale e la seconda, con un focus particolare sulla nascita dello stato di israele e il primo conflitto arabo-israeliano. Il testo tratta anche del ruolo delle nazioni unite e della promessa di creare uno stato arabo o una confederazione di stati arabi. Viene discusso anche il trasferimento di arabi per realizzare il progetto sionista.

Tipologia: Dispense

2009/2010

Caricato il 28/06/2010

fepor
fepor 🇮🇹

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Scarica La Nascita dello Stato di Israele e la Questione Palestinese: 1919-1948 e più Dispense in PDF di Storia Delle Relazioni Internazionali solo su Docsity! UNIVERSITÀ “TUSCIA” di Viterbo Corso di Laurea Interfacoltà Scienze Organizzative e Gestionali Dispensa di Storia delle Relazioni Internazionali Il Medio Oriente e il Conflitto Arabo-Israeliano a cura del Dott. Dino SCHETTINO Dino Schettino Il Medio Oriente e il Conflitto Arabo-Israeliano INDICE 1° CAPITOLO: Il Medio Oriente tra la 1ª e la 2ª Guerra Mondiale  La situazione in M.O. dopo la fine del 1° Conflitto Mondiale 3  La situazione in Medio Oriente dal 1933 al 1941 7  Il Medio Oriente durante la 2ª Guerra Mondiale 11 2° CAPITOLO: I conflitti arabi-israeliani  La nascita dello Stato di Israele e il 1° Conflitto arabo-israeliano 14  Il ruolo delle Nazioni Unite in Medio Oriente (ed in particolare per 36 Gerusalemme) dopo il conflitto del 1948  2° Conflitto arabo-israeliano – la Crisi di Suez 48  3° Conflitto arabo-israeliano – la Guerra dei 6 Giorni 52  Conseguenze della guerra del ’67 e 4° Conflitto arabo-israeliano 58  5°Conflitto arabo-israeliano – la Guerra del Libano 62 2 Ma questi mandati creavano una distinzione tra i paesi arabi, poiché la penisola arabica2 (nonostante fosse una zona più arretrata rispetto alle altre) fu considerata l’unica regione della zona capace di “autogovernarsi”. Nel 1918 cominciarono in Arabia gli scontri per la conquista del potere da parte delle famiglie dominanti, che si concluse bel 1925 con la vittoria di Ibn Saud; egli proclamò la nascita del regno arabo-saudano, stabilendo la capitale nella sua città di origine, Riyadh. In quell’anno egli ottenne anche il riconoscimento inglese, suggellato da accordi di confine: a sud della penisola Saud dovette rinunciare allo Yemen (dove avevano interessi inglesi ed italiani), mentre al nord non ottenne il confine con la Siria poiché avrebbe interrotto le comunicazioni tra i mandati britannici di Iraq e Transgiordania. Durante la guerra le due potenze sostennero i movimenti separatisti arabi contro l’Impero Ottomano; durante il 1918 vi fu nei territori turchi una rivolta araba appoggiata dagli inglesi che condusse il capo degli arabi, Faysal, alla conquista di Damasco, in Siria, nell’ottobre dello stesso anno. 2 Gli arabi da due millenni danno il proprio nome alle regione che anch’essi definiscono penisola (Gazirat al-‘Arab) e che ritengono culla della loro cultura. Ampio 2.800.000 km (quadrati), circa 10 volte quindi l’Italia, questo vasto subcontinentale s’è originato 20 milioni di anni fa per l’apertura d’una fossa tettonica nello scudo africano, in corrispondenza di quello che è poi diventato il Mar Rosso. Al centro della Penisola si erge il pietroso altopiano del Nagd (m 600-900), al cui settentrione si estende per 57.000 km (quadrati) il Grande Nafùd, dalle dune sabbiose alte fino a 30 m. Malgrado sia questo uno dei deserti più aridi del pianeta, fra l’autunno inoltrato e il principio dell’inverno esso non manca di fiorire a causa della fortunata concentrazione delle scarse precipitazioni nella fase maggiormente propizia allo sviluppo delle vegetazione, facendo in particolare prosperare piante del genere Zygophillacea, Salsola, Atriplex o Euphorbia sue terreni pur sovrabbondanti di sodio, potassio e carbonato di calcio. A nord dell’altopiano si estende il wàdì as-Sirhàn, antico letto di fiume disseccato che per 300 km marca il tragitto per le zone transgiordaniche, a somiglianza di quanto fa il wàdì ar-Rumma con le basse terre mesopotamiche e le pendici dell’altopiano iranico, o il wàdì ad-Dawàsir con le regioni yemenite, rendendo in tal modo il Nagd centrale non solo dal punto d vista puramente geografico. Collegato al Nafùd dalla Dahnà’, orrid deserto rossastro che per tutti i suoi 1.300 km di lunghezza e 100-150 km di larghezza è sprovvisto totalmente d’acqua, pur non mancando di provvidenziali pasture lungo i propri bordi, s’incontra il “Quarto vuoto”, notissimo deserto che s’allunga a est del Nagd per quasi 650.000 km (quadrati), più del doppio dell’Italia, mentre fra ‘Omàn e yemen si colloca la distesa sabbiosa detta ar-Rimàl. Affacciata sul Golfo Persico, a nord delle regioni amanite e della fertile striscia della Bàtina, v’è infine la torrida regione di al-Hasà, oggi Provincia Orientale. 5 Il sogno di Faysal era quello di creare un vasto stato arabo unito ed indipendente, ma questi progetti si scontrarono duramente con le ambizioni delle due potenze europee che, oltre ad ottenere i mandati dalla SdN, avevano intenzione di imporre la nascita in Palestina di uno stato nazionale ebraico. Nel corso del 1919 Faysal cercò quindi di rafforzare il suo potere in Siria ma, con lo sbarco delle truppe francesi in Cilicia e nella stessa Siria, egli adottò la resistenza “diplomatica” facendosi proclamare re di Siria (1920). Questo non impressionò più di tanto gli europei, infatti la conferenza di Sanremo confermò i mandati assegnati permettendo alle truppe francesi di entrare tra gravi scontri a Damasco. Faysal fu espulso nello stesso anno. Nel 1924 i francesi trasformarono la Siria in uno Stato unitario che, da allora, è rimasto sempre diviso dal Libano. Dal 1925 al 1927 vi furono violenti scontri di matrice soprattutto religiosa a causa soprattutto dell’anticlericalismo del generale francese Sarrail che scatenò la rivolta della popolazione cristiana libanese. A causa di questa situazione lo sviluppo socio-politico della regione fu ritardato: il Libano ebbe una costituzione nel 1926, la Siria nel 1930. Anche gli inglesi dovettero affrontare in Iraq una rivolta popolare avente l’obiettivo di porre sul trono Faysal, appena cacciato dalla Siria dai francesi. Essi si dichiararono pronti a concedere la piena indipendenza all’Iraq sotto un regno ereditario, cosicché Faysal fu nominato re nel 1921. La completa indipendenza doveva essere concessa nel 1923 ma fu rimandata di alcuni anni in quanto gli inglesi aiutarono l’Iraq a conquistare i diritti sulla ricca zona petrolifera di Mosul, ai danni della Turchia. L’Iraq fu dichiarato indipendente nel 1930, anno in cui entrò a far parte della SdN e stipulò un trattato di alleanza militare con l’Inghilterra. 6 Diversa la situazione circa l’altro mandato inglese in Palestina. La zona comprendeva i territori palestinesi e la Giordania, non distinti culturalmente bensì uniti dall’unica fonte d’acqua nella zona, il Giordano. Nonostante ciò gli inglesi decisero, nel 1922, di separare i due territori allo scopo di creare una zona che fosse stata sia araba che ebraica (Cisgiordania) ed una invece esclusivamente araba (Transgiordania) e dove l’immigrazione ebraica sarebbe stata frenata. La creazione di uno Stato nazionale ebraico era sostenuta dalle potenze europee (Giappone e Usa non se ne interessavano) poiché nei territori palestinesi vivevano già circa 60.000 ebrei (un decimo degli abitanti). Gli inglesi adottarono una politica incerta mentre gli arabi, timorosi dell’aumento della popolazione ebraica, crearono il Comitato Esecutivo Arabo, che riuniva gli arabi cristiani e mussulmani sul piano politico. Il fragile equilibrio fu spezzato nel 1929, dopo un parziale ritiro delle truppe inglesi (fiduciosi nella convivenza tra le due etnie) vi furono scontri in cui molti ebrei furono uccisi, perciò gli inglesi intensificarono l’occupazione militare e permisero la creazione dell’Agenzia Ebraica, un’autorità amministrativa che doveva regolare l’immigrazione degli ebrei in Palestina e limitarla in Transgiordania (organizzazione già prevista nel mandato). In Transgiordania gli inglesi adottarono soluzioni più autoritarie: il nuovo sovrano Abdullah doveva accettare i consigli del governo britannico in politica estera ed economica ed il controllo su alcune leggi importanti, l’indipendenza avrebbe richiesto l’adozione di un regime costituzionale. Nella già difficile situazione si inseriva la presenza in Palestina dei Luoghi Santi3 della religione cristiana (la Francia si autonominò protettrice di questi Luoghi), le differenze sostanziali a livello economico e sociale che ostacolavano 3 Per maggiori approfondimenti sul tema vedi E. Molinaro, Nazione, religione e identità collettiva tra Europa e Mediterraneo, con il quale l’autore collabora in un progetto dal titolo “Un possibile contributo italiano: incontri tra esperti israeliani e palestinesi per facilitare i negoziati sullo Status Quo dei Luoghi Santi di Gerusalemme” 7 dialogo con gli arabi. Successivamente gli arabi fecero delle richieste politiche e il commissario britannico Wauchope propose la creazione di un Consiglio Legislativo composto da arabi ed ebrei; il progetto, accettato dagli arabi, fu respinto sia dagli ebrei che dal parlamento britannico provocando un grande sciopero e la guerriglia del 1936, sedata dall’esercito britannico solo dopo sei mesi, contemporaneamente alla creazione di una “Commissione reale” d’inchiesta nominata dal parlamento inglese e guidata da Lord Peel. Nel 1934 l’Inghilterra aveva concesso l’indipendenza allo Yemen e lo stesso anno scoppiò la guerra tra quest’ultimo e l’Arabia Saudita che terminò con il riconoscimento di Ibn Saud dell’indipendenza dello Stato vicino; il gentlemen’s agreement del 1938 tra Inghilterra ed Italia prevedeva di rispettare la sovranità dello Yemen e dell’Arabia Saudita. Infine nel 1937 fu siglato il Patto di Saadabad tra Iran, Turchia, Iraq e Afghanistan, un trattatati di consultazione e non aggressione rivolto soprattutto in difesa anti-Urss e all’agitazione anti-comunista. In Iraq vi fu una forte propaganda tedesca dopo la morte del re Faysal nel 1933 e nel 1941 vi fu un colpo di stato militare con l’influenza dei nazisti greci; dopo un primo contrasto con gli iracheni, il governo britannico iniziò una campagna militare così efficace che i tedeschi non riuscirono a sostenere i rivoltosi iracheni, guidati da Rashid Alì, che furono presto sconfitti. L’Inghilterra confermò l’indipendenza irachena e furono rotte le relazioni diplomatiche con l’Italia e la Germania; la guerra all’Asse fu dichiarata nel gennaio 1943. Tesa fu anche la situazione in Siria e Libano; nonostante l’indipendenza promessa dalla Francia nel 1936 (con il “Fronte popolare”), la questione del Sangiaccato di Alessandretta fece si che in Siria vi fosse un forte malcontento e ritardò il momento dell’indipendenza. Con lo scoppio della guerra, si insediò nel 1941 la Commissione d’armistizio italiana e si acconsentì al passaggio di aerei 10 tedeschi in sostegno ai ribelli iracheni; per evitare che la regione finisse nelle mani dell’Asse, truppe inglesi e della “Francia libera” di De Gaulle attaccarono la Siria in giugno, ottenendo l’appoggio delle popolazioni promettendo l’indipendenza. Le forze di Vichy furono sconfitte nell’arco di un mese e il generale De Gaulle stesso garantì l’indipendenza della regione: la Siria l’ottenne il 27 settembre ’41 e il Libano il 21 novembre dello stesso anno. Il Medio Oriente durante la 2ª Guerra Mondiale Il Medio Oriente era controllato dagli Alleati; in Iraq, Siria e Libano la Gran Bretagna aveva rafforzato le sue posizioni e nel 1941 era stato istituito il “Middle Est Supply Center”, un organismo che controllava la ripartizione delle risorse tra i vari stati e controllò l’economia di quest’importantissima area per tutta la durata del Conflitto. Gli Alleati cercarono di evitare discordie nell’area mediorientale e particolare fu la situazione dell’Iran, paese governato fino ad allora dallo Scià e Stato libero. Prima dell’Operazione Barbarossa4 lo Scià Pahlevi aveva cercato di sottrarsi al dominio economico anglo-russo concedendo alla Germania la costruzione di fabbriche e ferrovie e facendo divenire lo Stato nazista il maggior interlocutore del suo commercio estero; gli Alleati temettero una rivolta fomentata dai tedeschi sul tipo iracheno e, considerando l’importanza delle comunicazioni con la Russia, decisero che la sicurezza dell’Iran doveva essere garantita a tutti i costi. I governi russo e britannico decisero di comune accordo di invadere il Paese e il 25 agosto 1941 le truppe entrarono in Iran conquistandolo completamente alcuni giorni dopo; una nota diplomatica affermava che non si 4 Nome in codice dell’attacco nazista all’Unione Sovietica nel giugno del 1941 11 voleva attentare all’indipendenza dello Stato e si chiedeva l’espulsione di tutti i cittadini tedeschi. Favorito da relazioni con Roosevelt, lo Scià Pahlevi credette di poter mantenere il suo potere ma fu costretto dagli occupanti ad abdicare in favore di suo figlio e allontanato a Johannesburg; il nuovo governo siglò un trattato di alleanza con il Regno Unito e l’Urss che impegnava le due potenze a difendere lo Stato e rispettarne l’integrità politica e l’indipendenza ritirando le loro truppe entro sei mesi dalla fine del conflitto. La popolazione subiva continue umiliazioni e il governo non fu neanche avvertito del vertice tra i leaders alleati del settembre 1943; tuttavia in quell’occasione gli Alleati riaffermarono la loro volontà di collaborazione con l’Iran e il rispetto per la sua futura indipendenza. Nel 1944 vi furono seri contrasti tra i russi, che avevano occupato il nord del Paese e cercavano di stabilirvi una solida zona di influenza, e gli anglosassoni: la contesa si inasprì quando delle compagnie petrolifere inglesi ed americane chiesero delle concessioni nel sud del Pese; i russi avanzarono richieste in cinque province al confine sovietico e per evitare problemi il governo di Tehran rifiutò di approvare tutte le domande di concessioni. I russi organizzarono una violenta campagna appoggiando il partito comunista iraniano (Tuhed) e ottenendo le dimissioni del governo; tuttavia il nuovo governo fece approvare una legge che vietava ai ministri di concedere commissioni petrolifere (a chicchessia) e iniziando un periodo di estrema tensione nello Stato che continuò anche dopo la guerra. In Palestina la maggioranza dei gruppi ebraici sospesero le ostilità contro gli inglesi per concentrarsi nella battaglia ai nazisti; tuttavia durante la guerra nacque il “Gruppo Stern” che continuò una violenta politica anti-britannica costellata di assassini e sabotaggi. 12 Capitolina, “colonia romana”, e interdetta agli ebrei. La Giudea viene chiamata Palestina (da una delle popolazioni di quell’area geografica, i filistei). Da allora non si è più parlato di una nazione vera e propria, ma di dominazioni arabe e ottomane prima e di protettorato britannico poi. Fino alla risoluzione dell’ONU del 1947, che auspicava la nascita di due Stati: uno ebraico e uno arabo, Israele e Palestina. La storia della Terra di Israele (in ebraico: Eretz Israel) ha origini molto lontane. Già nel III millennio a.C. la regione era abitata da popolazioni semitiche che nel II millennio caddero sotto la dominazione dei faraoni d’Egitto. E fu proprio dall’Egitto che, secondo la tradizione biblica, nel XIII secolo a.C. Mosè guidò gli israeliti verso la Terra Promessa. L’esodo dall’Egitto lasciò un segno indelebile nella memoria nazionale del popolo ebraico e divenne un simbolo universale di libertà e indipendenza. La Terra Promessa, conquistata in modo definitivo da Giosuè diversi decenni più tardi, venne poi divisa fra le dodici tribù di Israele che inizialmente si andarono a stanziare nelle fertili terre collinari bagnate dal fiume Giordano ed usarono come elemento differenziante rispetto alle popolazioni che abitavano già la Palestina, la “religione monoteista”, nella quale veniva adorato un solo ed unico Dio. Simbolo di questa religione era “l’Arca dell’Alleanza”, ovvero quel patto stipulato tra il popolo e Dio, con il quale quest’ultimo promette una Terra al popolo (la terra Promessa). Esse successivamente vennero unite sotto un unico Regno da re Saul. Il suo successore, Davide, fece capitale Gerusalemme intorno al 1000 a.C. e il figlio di questi Salomone, che rese fiorente lo Stato e vi costruì il Tempio al Dio unico. Alla sua morte (930 a.C.) il regno non seppe però rimanere unito e si divise: a nord il Regno di Israele e a sud il regno di Giudea. Il regno di Israele cadde nel facendo di essa la terza città dopo La Mecca e Medina in Arabia Saudita. Quindi, di conseguenza, questa città era ed è rimasta storica e sacra ed ha occupato sempre una posizione centrale per le culture dell’Ebraismo, del Cristianesimo e dell’Islam. Poi la varietà degli interessi religiosi – Mussulmani, Cattolici, Ebrei, Ortodossi, Armeni, Copti, Abissini, Siriani, Anglicani e altri Protestanti, senza contare le istituzioni costituite dalle comunità religiose d’Europa, Asia, Africa e delle Americhe – richiedeva qualche forma di ordine e di protezione 15 772 a.C. sotto gli Assiri, mentre il regno di Giudea fu conquistato nel 586 dai Babilonesi, che deportarono buona parte della popolazione ebraica a Babilonia. L’esilio babilonese pose fine alla prima indipendenza ebraica (periodo del Primo Tempio) ma non recise i legami del popolo ebraico con la propria terra. I discendenti poterono fare ritorno nella terra d’origine solo dopo la caduta dell’impero babilonese ad opera dei persiani (538 a.C.). Gli ebrei si diedero quindi alla ricostruzione del Tempio ma restarono sotto dominazione straniera fino al 166 a.C. quando, con la rivolta dei Maccabei, ripristinarono un regno indipendente sotto la dinastia Asmonea che durò circa ottant’anni (periodo del Secondo Tempio). Dal 63 a.C. il paese cadde sotto il controllo romano, dal quale gli ebrei tentarono più volte di liberarsi. La ribellione del 66 d.C. portò alla distruzione del Tempio e alla diaspora della maggior parte della popolazione (70 d.C.), che emigrò fondando comunità in tutte le province dell’impero. In Europa gli ebrei si divisero in due gruppi principale: i Sefarditi in Spagna (dalla quale furono espulsi nel 1492) e gli Ashkenaziti in Germania e, successivamente, in Polonia e nei Paesi Baltici. Successivamente anche il nome della regione, Giudea, fu cambiato dai romani in Palestina (dal nome dei filistei) nel tentativo di cancellare ogni ricordo ebraico nel paese. Con la divisione dell’impero romano la Palestina passò sotto il controllo bizantino fino al 637, quando il califfo Omar entrò vittorioso a Gerusalemme alla testa dell’armata arabo- islamica. La dominazione araba terminò nell’XI secolo con le Crociate, che portarono per breve tempo alla formazione di un regno latino di Gerusalemme (1099-1291). La regione tornò quindi sotto dominazione islamica, con l’avvento dei Mamelucchi d’Egitto, sino al 1517, anno della conquista ottomana. Nello stesso periodo l’Europa medioevale era testimone di numerose espulsioni di ebrei: dall’Inghilterra, dalla Francia e, nel 1492, dalla Spagna.7 7 L.PULEO, Israele – Palestina, Storia, Giudizi e Pregiudizi, pp. 12-13. 16 La Turchia Ottomana non era altro che una regione tra la Mongolia e la Cina; la conquista ottomana avvenne dapprima con le regioni asiatiche ex sovietiche fino alla Penisola Anatolica (che poi successivamente diventerà il cuore di questo grande Impero) e poi successivamente ci sarà la conquista della Penisola Balcanica fino alla massima espansione avvenuta nel 1686 quando i turchi arrivarono alle porte di Vienna da dove furono ricacciati indietro e da allora cominciò il suo declino. Quindi, nel 1517 abbiamo la conquista della Palestina che rimarrà turca fino alla 1ª Guerra Mondiale: una terra abitata dalla maggior parte da arabi e da una minoranza ebraica, tutti sotto controllo dei turchi. Una terra divisa in varie amministrazioni, con città come Beirut e Damasco e poi Gerusalemme che dipendeva direttamente da Istanbul. Una terra, quindi, abitata sia da arabi che da ebrei, ma che vivevano in pace proprio perché era governata dai turchi. Nell’800 nasce il “Movimento Sionista”8 che è quel movimento che ha come obiettivo quello di far tornare tutti gli ebrei in Palestina dando loro uno Stato. Perché nasce nell’800? Perché l’800 è quel secolo che vede dare alla luce tutte le ribellioni di quei popoli dominati e governati da anni da stranieri e così anche gli ebrei cominciano a pensare ad una terra tutta loro, uno Stato dove poter far confluire tutti quegli ebrei andati via dopo la conquista romana. Dopo le espulsioni del XIII e XIV secolo degli ebrei di Inghilterra, Francia e Spagna, nella seconda metà dell’800 abbiamo le prime persecuzioni verso il popolo ebraico: un popolo che era obbligato a vivere soltanto in determinate zone della città (da qui il termine di ghetto), un popolo obbligato ad essere a se stante. 8 Il nome del movimento deriva da Sion, la collina su cui era edificato il tempio di Gerusalemme, e fu usato per la prima volta nel 1890 dal filosofo ebreo austriaco Nathan Birnbaum. 17 potere instaurando la dittatura. Così, nel dicembre 1917 abbiamo l’armistizio e nel marzo 1918 la Pace di Brest-Litovsk che mette fuori gioco la Russia12. Il secondo motivo, come detto, è l’ingresso in guerra degli Stati Uniti. Entrano in guerra nello stesso anno dell’uscita da parte della Russia, portando nuovi valori e nuove idee ai Paesi europei. Alcuni risultati importanti, per la nascita di una nazione ebrea, furono compiuti da Chaim Weizmann13, che ottenne dalla Gran Bretagna il consenso per l’invio immediato, in Palestina, di una Commissione che progettasse il ripristino e l’ampliamento della colonizzazione non appena fosse finita la Prima Guerra Mondiale. I negoziati di Weizmann condussero alla pubblicazione di una dichiarazione approvata dal Gabinetto per gli Affari Esteri di Londra, il 2 novembre 1917, che affermava: “Il Governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale (national home) per il popolo ebraico e farà ogni sforzo per facilitare la realizzazione di questo obiettivo, essendo chiaramente inteso che niente sarà fatto che possa portar pregiudizio ai diritti civili e religiosi delle comunità non-ebraiche in Palestina, come pure ai diritti e allo status politico di cui gli ebrei possono fruire in tutti gli altri paesi” . Tale dichiarazione, nota con il noma di “Dichiarazione Balfour”14, dal nome del Ministro degli Esteri, Arthur James Balfour, ebbe ampia risonanza nel mondo. Nel giugno del 1922 i suoi punti vennero ribaditi da una risoluzione del Congresso degli Stati Uniti, e il 24 luglio dello stesso anno, la Società delle Nazioni approvò il mandato britannico per la Palestina che richiamava e riproduceva tutti i contenuti della dichiarazione stessa15. 12 Questo comportò la fine dei combattimenti ad oriente cosicché l’Austria potè impegnare tutte le sue truppe al confine con l’Italia ed è così che abbiamo la “Disfatta di Caporetto”. 13 Chaim Weizmann (1874-1952) scienziato sionista, presidente dell’organizzazione sionistica mondiale, presidente del governo provvisorio del nascente Stato di Israele (1948) e presidente dello Stato di Israele (1949). 14 Vedasi in allegato il teso completo della dichiarazione. 15 Già due anni prima,nel 1920, la validità dello status internazionale della Dichiarazione aveva trovato due significative conferme, con la Conferenza di San Remo e con il Trattato di Sevres, e tutto questo fu di sprono agli ebrei a tornare in Palestina piuttosto che emigrare negli Stati Uniti, che allora rappresentavano la soluzione più praticata. 20 Il motivo principale che indusse la Gran Bretagna a sottoscrivere il più importante riconoscimento internazionale del sionismo fu la difficile situazione degli Alleati nel 1917. Il timore che la Russia stesse per concludere una pace separata, e la speranza di indurre gli Stati Uniti a un più deciso impegno a favore degli Alleati persuasero Londra a fare questa concessione. Inoltre, c’è da puntualizzare che cinque mesi prima la Francia aveva già fatto una dichiarazione di riconoscimento per gli ebrei, ma non ebbe la risonanza di quella inglese. In effetti la Dichiarazione Balfour mirava anche a contrastare le rivendicazioni francesi in Palestina, perché appoggiando il sionismo, e candidandosi a garante dell’autodeterminazione ebraica, essa legittimava la propria presenza nella regione. Nel consiglio dei ministri del 31 ottobre 1917, in cui la dichiarazione fu approvata, Lord Balfour fu ancora più esplicito: “La grande maggioranza degli ebrei in Russia e in America, come nel mondo in generale, sembra al momento a favore del sionismo. Se potessimo emettere un comunicato di appoggio a quell’ideale, avremmo l’occasione di organizzare sia in Russia sia in America una campagna propagandistica di estrema utilità”. Paradossalmente la dichiarazione francese del 4 giugno 1917 spianò la strada a quella britannica, che contribuì all’esclusione della Francia dalla Terrasanta. Il presidente americano Wilson, al quale su richiesta di Balfour era stata mostrata una bozza, la approvò privatamente16. Quindi con l’ingresso degli Stati Uniti in guerra si arriva alla cosiddetta “politica delle nazionalità”, ovvero quella politica di promesse fatte a tantissimi popoli tra cui anche quella dell’Intesa fatta alla comunità ebraica. E da qui che nasce, come detto, la Dichiarazione di Balfour. Alla fine della guerra, alla Conferenza di Pace di Parigi, cominciano i primi scontri tra la Francia e la Gran Bretagna; infatti in Inghilterra il nuovo Primo Ministro Loyd George pensa di revisionare gli accordi di Sykes-Picot, facendo 16 MORRIS B. “Vittime. Storia del conflitto arabo-sionista 1881-2001”, Milano 2003, pp.98-100 21 passare la Palestina da zona internazionalizzata a zona di influenza inglese. Alla fine si arriva all’intesa tra Loyd George e Georges Clemenceau che prevede l’assegnazione della Siria alla Francia e della Palestina all’Inghilterra, passando, così, al di sopra di tutte le promesse fatte dagli inglesi sia agli arabi che agli ebrei17. Alla Conferenza di Sanremo dell’aprile 1920 si decide la formula dei mandati (mandati di tipo “A”): la Siria e l’attuale Libano (ovvero la costa siriana di quel tempo) viene assegnata alla Francia mentre all’Inghilterra vengono assegnati l’Iraq, la Transgiordania e la Palestina (quest’ultimi due territori formano un unico mandato). Tutto ciò viene compreso nel Trattato di Sevres del 10/08/1920; ma proprio in contrapposizione a questo trattato che nasce in Turchia un movimento nazionale guidato da Mustafà Kemal che porterà, poi, all’abolizione del Califfato18. Quindi, le sorti dell’Impero Turco furono decise con il Trattato di Sevres; durante la Conferenza di Londra si decise la sorte della Penisola Anatolica mentre in quella di Sanremo la sorte del territorio non turco: nella 1ª Conferenza si decise che la Cilicia venisse assegnata alla Francia perché questo territorio era a ridosso della Siria; l’Adalia fu assegnata all’Italia, perché era antistante al Dodecanneso che era italiano dal 1911, e per finire Smirne fu assegnata alla Grecia in quanto era abitata da greci e non da turchi. Alla Turchia rimaneva soltanto l’amministrazione di Istanbul; gli Stretti dovevano essere smilitarizzati ed internazionalizzati. La parte restante della Turchia sarebbe stata divisa in zone di influenza ed assegnate all’Italia ed alla Francia. 17 Ricordiamo che gli inglesi avevano promesso prima agli arabi con lo scambio di lettere McMahon-Hussei la creazione di un grande Stato Arabo e poi con la Dichiarazione Balfour la creazione di un focolare ebraico in Palestina 18 Califfo (in arabo halīfa) è il termine impiegato per indicare il "Vicario" o "Successore" di Maometto (Muhammad) alla guida politica e spirituale della Comunità islamica. 22 Il vero problema e la situazione si capovolge nel 1933 anno in cui Hitler prende il potere. Cominciano le prime persecuzioni verso gli ebrei e questo comporta un arrivo in massa di ebrei in Palestina; gli arabi vedono la situazione capovolgersi e quindi scoppiano in rivolta nel 193622. Rivolta che dura tre anni durante i quali il capo di questa rivolta si rifugia all’estero chiedendo aiuti alla Germania e all’Italia. La Gran Bretagna invia una commissione (commissione Peel) in Medio Oriente che elabora un rapporto che viene ben visto dagli ebrei ma no dagli arabi che vedevano perdere territori ed assegnati agli ebrei. Il rapporto si concludeva affermando che era impossibile una convivenza pacifica tra le due popolazioni. Tutto ciò e a seguito delle varie crisi che si susseguivano in Europa, fa capire alla Gran Bretagna che deve cambiare la sua politica mediorientale. Il 17/05/1939 il governo britannico elabora il “libro bianco” per una soluzione definitiva del problema palestinese:  nel giro di 10 anni la Palestina sarebbe diventata indipendente;  si sarebbe formato uno Stato unitario;  l’immigrazione ebraica sarebbe stata limitata a 75.000 unità (contingentamento), quindi di conseguenza questo Stato avrebbe avuto una maggioranza araba;  limitazione delle vendite delle terre dagli arabi agli ebrei. Tutto ciò, era proprio quello che volevano gli arabi, ma durante la 2ª Guerra Mondiale, la situazione si stravolge nuovamente e abbiamo gli ebrei e gli arabi nei due schieramenti opposti: gli ebrei decidono (forzatamente) di entrare a far parte dello schieramento degli Alleati; gli arabi, ma non tutti, quelli di Palestina e la parte irachena si schierano invece con le potenze dell’asse anche e 22 Grande Rivolta Araba che non deve essere confusa con la Rivolta Araba del 1916-1918 25 soprattutto perché si pensava che dopo i primi due anni la guerra fosse nelle loro mani. Ed è qui che abbiamo gli accordi firmati a Roma e Berlino tra arabi e nazi- fascisti:  promessa di liberazione del mondo arabo dalla Francia e dalla Gran Bretagna;  creazione di Stati indipendenti o confederazione di Stati arabi;  soppressione dell’agenzia nazionale ebraica in Palestina. In cambio gli arabi avrebbero dovuto dare il loro aiuto all’Italia e alla Germania contro gli inglesi. L’8 settembre 1939, Ben Gurion espresse ai comandanti dell’Haganah23, il suo pensiero nei confronti della guerra: “La Prima Guerra mondiale…..ci ha dato la Dichiarazione Balfour. Questa volta, la nostra meta deve essere la nascita dello Stato ebraico”. Sostenitore di tale idea era anche Churchill che nell’ottobre del 1941 in un memoriale governativo segreto scrisse: “Posso subito dire che se la Gran Bretagna e gli Stati Uniti usciranno vincitori dalla guerra, la creazione di un grande Stato ebraico in Palestina, abitato da milioni di ebrei, sarà uno dei punti principali da discutere alla Conferenza di pace”24. Nei giorni tragici dell’Olocausto la costituzione dello Stato ebraico era ormai di vitale importanza, ma per realizzare il progetto sionista, si doveva necessariamente ricorrere al trasferimento degli arabi. Nell’ottobre del 1941 Ben Gurion espresse il suo punto di vista sulla questione del trasferimento arabo, in un memorandum intitolato “Compendio di politica sionista”. Egli sostenne, che il trasferimento si poteva evitare ma “la 23 Haganah (ebraico: "La Difesa") è il nome dato a un'organizzazione paramilitare ebraica in Palestina durante il Mandato britannico dal 1920 al 1948. L'Haganah è nota per essere stato il nucleo delle moderne Forze di Difesa Israeliane (צה"ל), ossia le forze armate dello Stato d'Israele. 24 R. ZWEIG, Britain and Palestine during the Second World War , Boydell Press for the Royal Historical Society, Suffolk, England, p. 112. 26 presenza di un’ingente popolazione incolta e di mentalità retrograda” sarebbe stata certamente d’impaccio nelle relazioni con i vicini paesi arabi25. Anche il moderato Weizmann, in un articolo per il Foreign Affaire nel gennaio del 1942, avanzò la richiesta della costituzione dello Stato ebraico, comprendente i territori ad ovest del fiume Giordano26. Nel maggio dello stesso anno, durante una conferenza sionista svoltasi a New York, si votò un documento noto come “Programma Biltmore”, approntato da Mayer Weisgal, braccio destro di Weizmann. Il documento che prese il nome dell’hotel in cui si era tenuta la Conferenza, prevedeva la Palestina come Stato ebraico. Per realizzare il Programma Biltmore si doveva ricorrere al trasferimento volontario degli arabi, che in caso contrario doveva essere attuato in maniera coatta. Nel 1941 Weizmann, durante un incontro a Londra con l’ambasciatore russo, sostenne l’opportunità di trasferire mezzo milione di arabi che avrebbero dato posto a due milioni di ebrei; il trasferimento doveva avvenire solo verso l’Iraq e la Transgiordania le cui condizioni ambientali non erano molto diverse da quelle della Palestina. Il Programma Biltmore, approvato nell’agosto del 1942 anche a Gerusalemme, dal Consiglio generale sionista interno, divenne il programma politico ufficiale dello yishuv27. Nel frattempo in Europa si stava consumando l’Olocausto, che mosse l’amministrazione americana ad appoggiare la causa ebraica. Londra invece, maggiormente coinvolta in Medio Oriente titubava, da una parte c’erano i burocrati, che si sentivano legati alle promesse del libro bianco, dall’altra i filo sionisti, che avevano ripreso ad appoggiare la proposta della Commissione Peel. 25 D. BEN GURION, Outilines of Zionist Policy, 15 October 1941, CZA Z4-14632 26 M. CHOEN, Palestine: Retreat from the Mandate, the Mating of British Policy, 1936-1945, Paul Elek, London, 1978, p. 130. 27 In ebraico «insediamento». Termine usato per descrivere la comunità ebraica in Palestina prima della fondazione dello stato. 27 Questo fatto influì negativamente sulla politica palestinese e comportò che “le iniziative politiche degli arabo-palestinesi….dovessero passare attraverso i vertici dei paesi arabi” e le decisioni sarebbero state prese non più a Gerusalemme ma al Cairo34. Finita la guerra rimane il difficile problema della convivenza, un problema aggravato dai diversi schieramenti scelti dai due popoli. La vittoria della Nazioni Unite35 non poteva non influire sulla posizione della Palestina, l’opinione pubblica mondiale oramai è favorevole a dare una terra agli ebrei, un popolo che non aveva vissuto altro che persecuzioni e stermini. Il più grande fautore della causa sionista è il Presidente americano Truman che con il suo partito democratico nutre una certa simpatia per i sionisti36. Nel 1946, a seguito di attentati terroristici verso autorità militari e civili britanniche, Stati Uniti ed Inghilterra decidono di formare una commissione mista anglo-americana, la Commissione Morrison/Gradi, che il 31/07/1946 presenta un rapporto da dove si evince la creazione di uno Stato Unitario Binazionale con 4 province:  provincia araba;  provincia ebraica;  distretto del Neghev37 (britannica);  Gerusalemme internazionalizzata, aperta a tutte le religioni. Questo piano, però viene rigettato da tutti, cosi chè gli inglesi nel 1947 decidono di rimettere la soluzione definitiva della questione nelle mani delle Nazioni Unite, annunciando l’abbandono definitivo dalla Palestina nel 1948. 34 J. C. HUREWITZ, The struggle for Palestine, Schocken Books, New York, 1976, pp. 192-194 35 Così vennero chiamati gli Alleati nella 2ª Guerra Mondiale che avevano firmato la Carta Atlantica nel 1942 36 Cosa totalmente diversa per il suo Dipartimento di Stato che fino alla fine ha cercato di impedire la creazione dello Stato di Israele. 37 Questo distretto è quel triangolo tra il Sinai e la Giordania e si pensava di affidarlo alla Gran Bretagna non come potenza occupante ma come potenza alleata vista la presenza di basi militari inglesi in Egitto, Giordania ed Iraq. 30 Il 31 agosto 1947 il Comitato deposita all’ONU un rapporto di cinque volumi. In esso erano messe a confronto due tesi. La prima, quella di maggioranza (otto membri), proponeva la spartizione della Palestina in due Stati sovrani, uno ebraico ed uno arabo e l'amministrazione fiduciaria internazionale per Gerusalemme e Betlemme38. I due stati avrebbero formato un'unione economica, e la Gran Bretagna avrebbe continuato ad amministrare il paese per due anni, durante i quali l'immigrazione sarebbe stata consentita a 150.000 ebrei. La seconda tesi di minoranza, proposta dai rappresentanti iugoslavo, indiano e iraniano, prevedeva l'indipendenza della Palestina come "Stato Federale" egemonizzato dalla comunità araba. Il progetto di spartizione fu discusso dal 16 settembre al 29 novembre 1947 durante la seconda sessione dell'assemblea generale delle Nazioni Unite, tenutasi a New York. La carta delle Nazioni Unite richiedeva che la risoluzione per poter essere approvata doveva avere una maggioranza di due terzi. In quei giorni arabi e ebrei si batterono con ogni mezzo per far pendere la decisione dalla propria parte, e si disputarono fino all’ultimo i voti degli indecisi. Nonostante la maggioranza dell'UNSCOP39 fosse favorevole al progetto di spartizione della Palestina e nonostante l'appoggio di Stati Uniti e Unione Sovietica, il risultato della votazione rimase incerto fino alla fine. Il 26 novembre tre nazioni incerte: Haiti, Grecia e Filippine, annunciarono il loro voto contrario. I sionisti, allora, si rivolsero a Truman affinché effettuasse pressioni sui vari Stati. Soprattutto la Francia era stata fatta oggetto di forti pressioni sia da parte americana, sia da parte dei leader ebraici40. Gli americani, addirittura, minacciarono alla Grecia la cessazione degli aiuti economici e alla Liberia 38 Lo Stato ebraico doveva essere costituito dalle valli del Giordano superiore, di Beisan e di Jezreel, dalla pianura costiera e dal Neghev. 39 La Commissione Speciale delle Nazioni Unite per la Palestina (Unscop) presenta il suo rapporto all'Assemblea Generale: dopo 12 punti preliminari, esso prevede la soluzione della questione palestinese attraverso l'adozione di due piani alternativi: il primo, maggioritario, divideva la Palestina in due stati distinti legati solo da una unione economica; il secondo, minoritario, prevedeva invece la formazione di uno Stato federale palestinese. Gerusalemme avrebbe in ogni caso avuto un regime giuridico speciale internazionale. 40 R. BALBI, op. cit., p. 136 31 l'embargo sulla gomma41. Gli arabi, accanto agli sforzi diplomatici, non lesinarono i più duri ed espliciti avvertimenti. Azzarn Pascià, Segretario Generale della Lega araba, giunse a minacciare l'annientamento degli ebrei di Palestina qualora la proposta di spartizione fosse stata approvata. Il 29 novembre 1947 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione numero 18142 approvò il piano di spartizione43: si era avuta la legittimazione internazionale per la fondazione di uno Stato ebraico in Palestina. La votazione fu trasmessa in diretta via radio in tutto il mondo, e in nessun luogo fu ascoltata con più trepidazione che in Palestina. I voti a favore furono 33, quelli contrari 13, gli astenuti 10. Va sottolineato che votarono contro tutti e sette gli Stati arabi, più la Turchia, l'Afghanistan, il Pakistan, l'India, Cuba e la Grecia; a favore invece sia l'URSS che gli USA, i paesi del Commonwealth, quelli dell'Europa occidentale, quelli del blocco sovietico e molti paesi latino-americani; tra gli astenuti ricordiamo la Gran Bretagna, l'Argentina, il Messico, il Cile e la Cina. Subito dopo l'approvazione fu creata una commissione di cinque membri con l’incarico di assicurare l’attuazione del piano44. La Gran Bretagna si rifiutò di collaborare all'esecuzione della risoluzione dell'ONU negando per tre mesi l'ingresso in Palestina ai rappresentanti delle Nazioni Unite. L'unico atto che fece fu l'annuncio, per bocca del Ministro delle colonie Creech Jones, che alla scadenza del Mandato, e cioè nel maggio 1948, avrebbe lasciato il paese. Dopo di che, cessò praticamente di governare. L'URSS si dichiarò favorevole al progetto elaborato dalla commissione. Andrei Gromiko, che era a quel tempo il rappresentante di Mosca presso le Nazioni Unite, illustrando il punto di vista del suo governo, affermò "Il fatto che nessun paese occidentale sia stato in grado di assicurare la tutela dei diritti elementari del popolo ebraico, e di difenderlo 41 B. MORRIS, op. cit., p. 237 42 Vedasi la risoluzione n. 181 in allegato 2. 43 Vedasi, in allegato 3, la divisione della Palestina in base alla risoluzione n. 181. 44 A. AMBROSIO, op. cit., da http://illaboratorio.net/rin_04.html, p. 3 32 anche la Striscia di Gaza. Israele, vince in parte, conquistando nuove terre, Galilea, settori occidentali di Gerusalemme e un corridoio terrestre che collegava la città alla costa. La fine della guerra è decretata con l’armistizio di Rodi nell’aprile 1949, nessun Trattato di Pace, ma una semplice cessazione delle ostilità. Il primo grande problema da risolvere è quello dei profughi palestinesi, oltre 900.000 lasciano le loro terre per rifugiarsi nei vicini paesi arabi confinanti, nella Striscia di Gaza o nella Cisgiordania. Il Paese che esce meglio da questo primo conflitto è la Transgiordania con a capo Abdallah che tenta di esercitare la leadership nel mondo arabo e così il 24/04/1950 con l’annessione della Cisgiordania e di Gerusalemme est alla Transgiordania si crea il “Regno di Giordania”. A seguito di ciò Abdullah è il primo leader arabo che cerca trattative con Israele sulla base del riconoscimento reciproco; trattative segrete che però vengono scoperte da una classe di dirigenti arabi (contrari appunto a queste trattative) ed è per questo che Abdullah diventa il primo leader del mondo arabo ad essere ucciso. Quindi il 1948 fu l’anno del primo grande conflitto arabo-israeliano. Sul piano militare Israele prima respinse gli attacchi arabi, poi contrattaccò conquistando aree che nel piano ONU avrebbero dovuto far parte dello stato palestinese. La guerra causò l’esodo di centinaia di migliaia di palestinesi che si riversarono soprattutto nei vicini paesi arabi. Al fine di determinare le linee direttrici per la soluzione del problema dei profughi palestinesi, le Nazioni Unite approvarono la risoluzione 194 del 14 Dicembre 1948. Di questa risoluzione ho voluto isolare solo l’espressione: “i rifugiati che desiderano tornare alle loro case […] dovrebbero averne il permesso alla più prossima data possibile, e che un indennizzo dovrebbe essere pagato per le proprietà […]” 35 Il condizionale usato nel testo originale della risoluzione rivela la scarsa credibilità delle Nazioni Unite come mediatori nel conflitto. Il demografo Della Pergola, al riguardo, parla della mancata piena applicazione della risoluzione 181 come di un peccato originale che macchierà poi le future operazioni dell’ONU. Il ruolo delle Nazioni Unite in Medio Oriente (ed in particolare per Gerusalemme) dopo il conflitto del 1948 36 Il piano di internazionalizzazione previsto dalla Risoluzione di spartizione e i rapporti di maggioranza e minoranza dell’UNSCOP La Risoluzione per la Spartizione della Palestina, adottata dalla Assemblea Generale il 29 novembre 1947 prevedeva la costituzione di Gerusalemme come “corpus separatum sottoposto a regime internazionale speciale”, che sarà amministrato dal Consiglio di Amministrazione Fiduciaria delle Nazioni Unite. Così, la città veniva a cadere fuori della giurisdizione degli Stati ebraico ed arabo previsti dalla stessa Risoluzione di Spartizione. Le tre unità territoriali – Gerusalemme e i due Stati indipendenti – sarebbero stati legati in una unione economica. L’area assegnata per questo regime di speciale internazionalizzazione si sarebbe estesa oltre i confini municipali allora esistenti di Gerusalemme e avrebbe incluso villaggi e città circostanti come Betlemme e Motza.46 In base alla risoluzione, dunque, il Consiglio di Amministrazione Fiduciaria avrebbe redatto e approvato entro cinque mesi un dettagliato Statuto della città che sarebbe rimasto in vigore, in un primo tempo, per un periodo di dieci anni. Al termine di questo periodo, il Consiglio di Amministrazione Fiduciaria avrebbe riesaminato l’intero schema e determinato se fossero state necessarie delle revisioni. Ai residenti della città sarebbe stato permesso, per mezzo di referendum, esprimere la loro opinione in relazione a eventuali modifiche nel regime internazionale. Gli Ebrei non furono certo del tutto soddisfatti del Piano di Spartizione, in particolare a causa del progetto di internazionalizzazione di Gerusalemme. 46 Secondo S. SLONIM, solo apparentemente lo scopo di questa estensione dei confini è stato quello di includere i Luoghi Santi più lontani all’interno dei confini di Gerusalemme. Più precisamene, si è cercato chiaramente di bilanciare la popolazione ebraica della città. Infatti, Gerusalemme vera e propria, che comprende la Città Vecchia e la parte nuova, aveva, nel 1948, una schiacciante maggioranza ebraica. 37 Sin dal momento in cui l’Assemblea Generale adottò la Risoluzione di Spartizione, gli Arabi iniziarono un attacco contro il quartiere ebraico all’interno della Città Vecchia che condusse, infine, alla sua conquista.48 La popolazione ebraica venne bandita dalla Città Vecchia, e il più sacro dei santuari ebraici, il Muro Occidentale del Sacro Tempio, a partire da quel momento divenne inaccessibile agli Ebrei. Al di là delle tregue ufficiali, non fu prima del 30 novembre 1948 che un cessate il fuoco nell’area di Gerusalemme fu raggiunto. La guerra arabo- israeliana del 1948-1949 condusse, così, ad una spartizione de facto della città. Una divisione di Gerusalemme in due parti totalmente separate divenne una realtà – con filo spinato e mura di mattoni – in definitiva delimitando la parte israeliana, od occidentale della città, dal settore giordano, od orientale. Solo l’accordo per il cessate il fuoco permise l’unico contatto tra il Monte Scopus, un enclave israeliana nella parte transgiordana della città, oltre la linea di tregua, e il settore occidentale di Gerusalemme: un convoglio israeliano bisettimanale, sotto la supervisione delle Nazioni Unite, forniva l’approvvigionamento alla piccola guarnigione israeliana di servizio in questa enclave. Il ruolo delle Nazioni Unite: il primo Piano Bernadotte (28 giugno 1948) Durante il corso del conflitto, nel 1948, le Nazioni Unite non hanno fatto alcun passo concreto per affermare la propria autorità sulla città che pure si 48 Secondo il censimento del 1946, circa 600.000 Ebrei vivevano sul territorio palestinese a quel tempo. Di questi, quasi 100.000 erano concentrati nella Città Nuova, o Gerusalemme Ovest. Essi, secondo R.H. Pfaff – con l’eccezione di circa 2000 Ebrei che vivevano all’interno della Città Vecchia – costituivano una compatta isola ebraica in un mare arabo (“Jerusalem: Keystone of an Arab.Israeli Settlement”, in MOORE, The Arab-Israeli Conflict, Princeton, 1977, p.262) 40 prevedeva dovesse venire sotto la propria giurisdizione alla scadenza del Mandato britannico. Il Consiglio di Sicurezza, infatti, non si è spinto oltre la decisione di creare (ma solo il 23 aprile 1948), una Commissione di tregua in Palestina composta dagli ufficiali consolari membri del Consiglio di Sicurezza a Gerusalemme49. Quanto all’Assemblea generale, essa si è limitata ad approvare, tre giorni dopo, una “Risoluzione per la protezione della città di Gerusalemme e dei suoi abitanti” che richiedeva al “Consiglio di Amministrazione Fiduciaria di studiare, con la potenza mandataria e le parti interessate, misure appropriate per la protezione della città e dei suoi abitanti e per sottoporre nel tempo più breve possibile proposte all’Assemblea Generale con questo fine”.50 Ma in concreto, l’organizzazione mondiale non si è mossa in alcun modo per prevenire l’invasione araba della città, per difendere la sua popolazione civile o per proteggere i suoi Luoghi Santi. Né gli Stati Uniti stessi hanno proposto in alcun modo l’intervento diretto delle Nazioni Unite per salvaguardare Gerusalemme o per istituirvi l’autorità delle Nazioni Unite, nonostante i ferventi appelli, sia pubblici che privati, di funzionari dell’Agenzia Ebraica. La politica americana, e quella delle Nazioni Unite, si limitarono quindi essenzialmente ad assicurare un cessate il fuoco a Gerusalemme e in generale nella Palestina. Le linee che separavano i combattenti nella città alla fine delle ostilità, come definite inizialmente nell’accordo di cessate il fuoco del 30 novembre 1948, e in seguito confermate nell’Accordo di Armistizio del 3 aprile 1949, in definitiva sono diventate, con cambiamenti minori, le linee di demarcazione che dividevano Gerusalemme in due parti. 49 United Nations Doc. S/727 (23 aprile 1948) 50 United Nations Doc. A/543 (26 aprile 1948) 41 Il 14 maggio 1948, essendo oramai la spartizione un prodotto della guerra, l’Assemblea generale adottò una risoluzione che prevedeva la nomina di un Mediatore delle Nazioni Unite per la Palestina.51 Il conte Folke Bernadotte assunse questo incarico il 20 maggio. In conformità con il suo mandato “di promuovere una risoluzione pacifica della futura situazione della Palestina”, il conte Bernadotte riuscì a istituire una tregua di un mese, dall’11 giugno al 9 luglio. Nell’intervallo, il 28 giugno 1948, il Mediatore presentò una serie di “suggerimenti” alle parti per una soluzione pacifica della controversia palestinese.52 A parte altri cambiamenti radicali rispetto al piano di spartizione, egli raccomandò che l’internazionalizzazione di Gerusalemme fosse abbandonata, e che la città fosse incorporata nel territorio arabo, cioè la Transgiordania, accordando alla comunità ebraica nella città “autonomia municipale”. Quest’ultima proposta, piuttosto nuova, trascurava il fatto che la città (vera e propria) aveva una schiacciante maggioranza ebraica, ed era legata in mille modi alle aspirazioni ebraiche ad una “statehood”. Infatti, i dirigenti ebraici avevano rinunciato alla loro pretesa di avere Gerusalemme inclusa nello Stato ebraico solo per rispetto verso una richiesta di un controllo internazionale sulle sedi dei Luoghi Santi. Le autorità israeliane furono così sia stupite che contrariate dai “suggerimenti” di Bernadotte, e li respinsero decisamente. Allo stesso tempo, essi non poterono che essere impressionati dalla facilità con cui il Mediatore aveva proposto, e la comunità degli Stati sembrava disposta ad accettare, l’abbandono dell’internazionalizzazione in favore dell’esclusivo controllo arabo. 51 Assemblea Generale ris. 86 (S-2) (14 maggio 1948); alla stessa data l’Assemblea Generale approvava la ris. 189 (S-2) con la quale, in previsione della nomina del Mediatore esonerava dalle sue funzioni la Commissione della Palestina e le esprimeva la sua gratitudine per il lavoro compiuto 52 United Nations Doc. S/863 42 L’11 dicembre 1948 l’Assemblea Generale aveva chiesto alla Commissione di Conciliazione della Palestina di presentare “proposte dettagliate per un regime internazionale per l’area di Gerusalemme”. Nella stessa risoluzione (194), ispirata alle idee del capo della delegazione degli Stati Uniti Warren Austin, l’Assemblea Generale affermò la sua posizione secondo cui i Luoghi Santi “sono posti sotto l’effettiva supervisione delle Nazioni Unite”.54 Questa risoluzione, come l’impostazione che la caratterizzava, segnava un considerevole allontanamento dell’internazionalizzazione territoriale. Inevitabilmente, appariva che un “corpus separatum” permanente a Gerusalemme avrebbe costituito un continuo salasso finanziario sulle risorse dei membri delle Nazioni Unite, e specialmente degli Stati Uniti. Per questa ragione, manifestamente, Washington era sempre più propensa a porre l’enfasi principale su quella frase, nel rapporto Bernadotte su Gerusalemme, che propugnava “la massima autonomia locale realizzabile per le sue comunità araba ed ebraica”. L’autonomia per i rispettivi settori di Gerusalemme avrebbe ridotto il ruolo delle Nazioni Unite a quello di una supervisione nominale, con l’eccezione di tutto ciò che concerneva i Luoghi Santi. Per il resto, le rispettive comunità avrebbero amministrato i loro settori come parti integranti degli Stati nazionali con cui essi erano associati. La Commissione per la Conciliazione della Palestina (secondo le istruzioni della risoluzione 194, ricordata nel paragrafo precedente), costituì un Comitato speciale su Gerusalemme e i suoi Luoghi Santi. Il Comitato su Gerusalemme considerava l’accettazione da parte di Israele e dei vari Stati arabi interessati un prerequisito alla formulazione di qualunque proposta per l’internazionalizzazione della città. 54 General Assembly Res. 194 (III) 45 Il governo di Israele, comunque, “dichiarava di non essere disposto ad accettare lo stabilimento di un regime internazionale per la città di Gerusalemme”, ma di essere pronto ad accettare “senza riserve un regime internazionale per, o il controllo internazionale dei Luoghi Santi nella città stessa”. In verità, non manca di notare R.H. Pfaff, quasi tutti questi luoghi, in quel momento, si trovavano sotto controllo giordano. I diversi Stati arabi, con l’eccezione della Giordania, a questo punto capovolsero la loro precedente opposizione all’internazionalizzazione ed indicarono alla Commissione il loro appoggio a tale progetto. Anche loro, commenta sempre R.H. Pfaff, si mostrarono generosi nel cedere ciò di cui non avevano il controllo. Nell’ottobre del 1949, il Consiglio della Lega araba adottò persino una risoluzione in favore dell’internazionalizzazione di Gerusalemme. Sull’onda di questo cambiamento della politica araba (sempre con l’eccezione della Giordania), associato all’appoggio mondiale crescente per una internazionalizzazione di Gerusalemme, Israele e la Giordania si sono ritrovati strani alleati nell’opporre resistenza ad un’internazionalizzazione territoriale. Ma la Giordania si è trovata sola nel resistere ad una internazionalizzazione strettamente funzionale dei Luoghi Santi. I progetti di statuto di un regime internazionale per Gerusalemme non furono applicati, e, di fatto, non produssero nulla. Le forze armate giordane ed israeliane presero e mantennero il controllo delle loro rispettive parti di Gerusalemme riempiendo con la loro autorità nazionale il vuoto di potere che si era verificato. Un nuovo tipo di “status quo” fu posto in essere a Gerusalemme in seguito all’Accordo di Armistizio israelo-giordano del 1949, fino a che questo non fu di nuovo rovesciato dalla forza nel giugno 1967. Quando la Commissione di Conciliazione della Nazioni Unite per la Palestina si rese conto dell’impossibilità di stabilire un autentico regime 46 internazionale (fondato sull’idea di un “corpus separatum”) e abbozzò un nuovo Statuto modificato, nel 1949, compatibile con “le fait accompli” della spartizione di Gerusalemme tra Israele e la Giordania, esso rimase solo un pezzo di carta, sebbene utile per lo studio allora come oggi. Questo progetto, approvato dalla Commissione il primo settembre 1949, si fondava sul punto di vista degli Stati Uniti, soprattutto, secondo cui lo status giuridico della città sarebbe stato “sui generis”, con l’autorità di ciascuna parte definita da un accordo internazionale che avrebbero sottoscritto le Nazioni Unite, Israele e la Giordania. La Commissione si era fondata sulla “piena e permanente autorità” delle Nazioni Unite su Gerusalemme, e di conseguenza cercava di prescrivere i limiti dell’autorità israeliana e giordana nella città stessa. Nonostante l’appoggio che esso ricevette dai tre Stati componenti la Commissione – gli Stati Uniti, la Francia e la Turchia – lo schema della Commissione non incontrò certo il favore generale. Esso trovò le decise resistenze anche dei fautori della completa internazionalizzazione territoriale, sostenuta dai blocchi arabo, cattolico e sovietico (mentre la maggior parte degli Stati occidentali protestanti appoggiavano una internazionalizzazione funzionale). Di conseguenza, il progetto, non soddisfacendo nessuno, inviato all’Assemblea Generale, come ricordato, il primo settembre 1949 fu “messo da parte senza neppure l’onore di un dibattito”, come risultato della pressione delle varie delegazioni.55 55 Le proposte della Commissione di Conciliazione, che, in effetti, corrispondevano a una forma modificata di internazionalizzazione territoriale, non riuscirono a soddisfare né gli arabi né gli israeliani. Gli Israeliani, in particolare, a parte il rifiuto della nozione di internazionalizzazione territoriale, si opponevano ad un’altra caratteristica del rapporto della Commissione di Conciliazione. Essi negavano che le Nazioni Unite possedessero “un’autorità piena e permanente” su Gerusalemme: dal momento che la Risoluzione di Spartizione non è mai stata applicata, le Nazioni Unite possedevano solo “un interesse speciale e ampiamente riconosciuto” sulla città stessa. Alla luce di questo fatto, chiarisce S. SLONIM riferendo la posizione israeliana, “i l grado di autorità giuridica che le Nazioni Unite potevano esercitare a Gerusalemme nel futuro” non poteva che dipendere da una specifica concessione di autorità da parte degli Stati che in quel momento avevano il controllo effettivo dell’area (The United States….op. cit.). 47 passaggio nel canale andavano alla Francia e soprattutto alla Gran Bretagna) e l’assunzione del controllo esclusivo sulla navigazione all’interno del canale. Negò inoltre, l’accesso al golfo di Aqaba alle navi israeliane impedendo così che raggiungessero il porto di Eliat, unico sbocco israeliano sul Mar Rosso. Ma perché Nasser decise di nazionalizzare la Compagnia del Canale di Suez? Prima abbiamo detto che Nasser voleva fare dell’Egitto il paese guida di questo “risveglio nazionale arabo” e quindi per fare ciò avrebbe avuto bisogno di risorse economiche e finanziarie. Quindi possiamo dire benissimo che il principale motivo di questa nazionalizzazione è economico-finanziario. Avrebbe dovuto migliorare l’economia del Paese e per questo fu progettata la grande diga di Assuan che sarebbe dovuta diventare il pilastro di questa miglioria economica. Però come sappiamo, l’Egitto non aveva una grande disponibilità di risorse, sufficienti a portare avanti questo progetto; quindi, comincia con il chiedere aiuti finanziari agli Stati Uniti. Però, mentre da una parte chiedeva aiuti finanziari agli americani, dall’altra comprava armi dalla Unione Sovietica tramite la Cecoslovacchia. Questi aiuti finanziari non arriveranno mai anche perché fu chiesto all’Egitto la scelta di campo57 (Est o Ovest). Nasser, quindi, decide di nazionalizzare la Compagnia del Canale di Suez. Questa decisione egiziana allarmò pesantemente tanto la Gran Bretagna e Francia che volevano mantenere il controllo sul canale58, quanto Israele che sentì minacciate a fondo la propria sicurezza e integrità territoriale. 57 Era il 1956 e si era in pieno clima di Guerra Fredda, ovvero quella situazione di conflitto non bellico che venne a crearsi tra due blocchi internazionali, generalmente categorizzati come Ovest (gli Stati Uniti d'America, gli alleati della NATO ed i Paesi amici) ed Est (l'Unione Sovietica, gli alleati del Patto di Varsavia ed i Paesi amici) tra la fine della seconda guerra mondiale e l'ultimo decennio del Novecento (circa 1945-1990). Tale tensione non si concretizzò mai in un conflitto militare vero e proprio, tale da comportare una contrapposizione bellica su vasta scala tra Est e Ovest: la presenza di armi nucleari nei rispettivi arsenali avrebbe reso irreparabile per il pianeta un'eventuale aggressione e la relativa reazione. 58 Basti pensare che secondo il Premier inglese Eden il nuovo pericolo del mondo dopo Hitler e Mussolini fosse Nasser. 50 Il leader britannico Eden prende l’iniziativa per riportare le truppe britanniche nel Canale (ricordiamo che le stesse andarono via a seguito del rinnovo dell’accordo anglo/egiziano del 1954) e felici di partecipare a questa operazione furono anche i francesi. Perché Nasser con il suo panarabismo aveva fatto sviluppare e finanziato movimenti indipendentisti in Marocco, Tunisia e soprattutto Algeria che, secondo la Costituzione francese, era parte integrante del territorio metropolitano della Francia. Allora a questo punto, Parigi, Londra e Gerusalemme preparano un’azione armata che mandasse in aria i piani egiziani. Il piano prevedeva: Israele avrebbe attaccato l’Egitto attraverso il Sinai e subito dopo, Francia e Gran Bretagna avrebbero inviato un ultimatum ad entrambi i paesi affinché mettessero fine agli scontri mantenendo, e facendo mantenere alle truppe, una zona di sicurezza di 10 Km lungo il Canale. Il 29 ottobre 1956 l’esercito israeliano sferrò un attacco fulmineo, occupando in soli tre giorni l’intera penisola del Sinai. Due giorni dopo arriva, come da accordi, l’ultimatum franco/inglese. Le loro truppe sbarcarono il 4 ed il 5 novembre del 1956, che furono però fermate dalla minaccia di intervento sovietico (del resto Unione Sovietica era impegnata in quello stesso anno militarmente in Ungheria) e dalla pressante richiesta degli Stati Uniti di cessare il fuoco affermando che la loro era stata un’operazione esclusivamente di stampo imperialista. Se gran Bretagna e Francia non ottennero nessuno dei risultati sperati a causa delle ostilità internazionali, Israele abbandonando i territori conquistati, ottenne la garanzia, da parte degli Stati Uniti e dell’ONU, che il 7 novembre 1956, decise tramite risoluzione dell’Assemblea Generale, di inviare un contingente di caschi blu, che i suoi diritti di navigazione nel golfo di Aqaba sarebbero stati salvaguardati e che la sua integrità territoriale sarebbe stata 51 tutelata, appunto, dalla forza di interposizione inviata dalle Nazioni Unite e formata esclusivamente da americani. Quindi, questa crisi di Suez si chiude favorevolmente all’Egitto che nonostante la cocente sconfitta subita sul piano militare, aveva ottenuto una vittoria sotto l’aspetto politico non avendo accettato quell’ultimatum che gli era stato inviato dai due paesi europei, giustificando il rifiuto con il fatto che l’Egitto era stato un paese aggredito e non aggressore. Nasser, così, oltre ad aver assunto una posizione da leader nel mondo arabo comincerà a dare alla sua politica un’impronta ancora più antisraeliana e filosovietica. 3° Conflitto arabo-israeliano – La guerra dei Sei giorni La Gran Bretagna e la Francia persero rapidamente il ruolo da protagonisti nel Medio Oriente. La rivoluzione in Iraq nel 1958 fa perdere alla Gran Bretagna il suo principale alleato e in quello stesso anno la tensione in Algeria innescò una rivolta militare che portò al potere De Gaulle in nome dell’Algeria francese; quattro anni dopo egli diede al paese l’indipendenza. Sia la Gran Bretagna sia la Francia cercavano oramai la loro collocazione in Europa. Fine dell’Eurocentrismo ed inizio del Bipolarismo. Il ruolo di grande potenza era ormai passato agli Stati Uniti. Il presidente Eisenhower, nella sua dottrina, annunciò che avrebbe usato la forza militare per 52 difensivo tra Egitto e Siria che dava a quest’ultima la certezza di avere un potente alleato; il lancio di un raid israeliano su un villaggio giordano. L’evento che, però, fece scoppiare la scintilla fu l’annuncio da parte dell’Unione Sovietica, il 13/05/1967, all’Egitto che Israele stava concentrando al confine tra le 10 e le 12 brigate per attaccare la Siria. Ma il bello è che questo rapporto era falso. Allora perché l’URSS ha mentito all’Egitto? Una spiegazione potrebbe essere perché volevano coinvolgere gli americani in quell’area conflittuale del Medio Oriente. Il 16/05/1967 Nasser comunicò alle forse dell’UNEF in Sinai che avrebbero dovuto lasciare il territorio e concentrarsi nella striscia di Gaza. Era previsto che in caso di crisi, il ruolo dell’UNEF sarebbe stato discusso dall’Assemblea Generale dell’ONU. Il Segretario generale U-Thant decise che l’Organizzazione non poteva mantenere le sue truppe in Egitto senza l’autorizzazione del governo egiziano e che, se una parte doveva andarsene, allora l’intera forza avrebbe dovuto ritirarsi. Il 17/05/1967 Nasser chiese il ritiro totale dell’UNEF e affermò in seguito che avrebbe chiuso lo Stretto di Tiran. Il 20 maggio Israele decretò la mobilitazione generale e il giorno successivo Nasser annunciò il blocco dello Stretto di Tiran, rompendo l’impegno preso nel 1957 secondo il quale lo stretto era considerato acque internazionali. Bloccò come nel 1956 il porto israeliano di Eliat e lanciò una virulenta campagna propagandistica per la distruzione di Israele. Forte dell’appoggio sovietico, Nasser raccolse attorno a sé una coalizione di paesi arabi comprendenti Siria, Giordania, Arabia Saudita, Kuwait, Libia e Sudan, preparandosi ad invadere il territorio israeliano nel disinteresse, o nell’incapacità di impedirlo, dell’ONU e delle maggiori potenze. Solo nel Sinai furono schierati 80.000 soldati e 900 carri armati, mentre altre divisioni si preparavano a muovere l’attacco dalle alture del Golan, a nord. 55 Il 4 giugno, però, Israele decise di entrare in guerra senza avvertire gli Stati Uniti che avevano chiesto di aspettare dando così modo al lavoro diplomatico di fare il suo corso. E quindi stretto d’assedio, si mosse attaccando per primo. La sua vittoria fu schiacciante e fulminea e la guerra durò soltanto sei giorni (5-10 giugno). Il vero artefice della vittoria israeliana fu il Capo di Stato Maggiore della Difesa Rabin. La forza aerea fu il fattore decisivo; volando a bassa quota, colse gli egiziani completamente alla sorpresa e in meno di tre ore l’aviazione egiziana fu completamente distrutta. Le forze aree israeliane furono così libere di appoggiare le truppe di terra che si preparavano ad avanzare nel Sinai. L’8 giugno le truppe israeliane arrivarono al canale di Suez: l’intera penisola era nelle loro mani. Mentre a nord si portarono a soli 45 Km da Damasco. Attaccati anche dalla Giordania (che era entrata in guerra onorando il suo impegno verso la causa araba) il 5 giugno, gli israeliani colsero l’opportunità di impossessarsi del principale luogo sacro del giudaismo, ovvero il Muro occidentale. Le ostilità cominciarono tra il 5 e il 6 giugno e il 7 gli israeliani occuparono la città vecchia. Alla fine della giornata la Cisgiordania era completamente nelle mani di Israele. Quindi, quando il 10 giugno fu imposto il cessate il fuoco dalla Nazioni Unite, Israele occupava la Cisgiordania (unificando sotto il suo controllo Gerusalemme), il Sinai egiziano e le alture del Golan siriano. Sotto tutti i punti di vista Israele ottenne una grande vittoria: non solo erano stati sconfitti Egitto, Siria e Giordania ma oramai Israele controllava il futuro di Gerusalemme est, della Cisgiordania, del Sinai e del Golan e godeva del sostegno dell’opinione pubblica occidentale. Un paese, che qualche giorno prima della guerra era completamente accerchiato e minacciato, era diventato la potenza militare decisiva del Medio Oriente. Era diventata una potenza occupante e responsabile della vita e del destino di oltre un milione di palestinesi e degli arabi del Sinai e del Golan. 56 E poi i paesi arabi, sconfitti, dovettero prendere atto che oramai Israele era uno Stato consolidato, una potenza regionale che difficilmente sarebbe stata sopraffatta sul campo di battaglia. Si apriva dunque un grosso problema che sarebbe poi diventata la situazione centrale del conflitto arabo-israeliano nei successivi 25 anni. Ovvero il problema di quei territori che, passati dall’occupazione araba a quella israeliana, divennero da una parte il fulcro delle rivendicazioni nazionali palestinesi e della loro lotta per l’indipendenza, dall’altra meta di molti coloni israeliani, alcuni dei quali animati da un inedito nazionalismo ebraico di ispirazione religiosa, che iniziarono a costruirvi insediamenti residenziali e agricoli. Fu avviato il processo di integrazione delle due parti di Gerusalemme, cosa non riconosciuta dalla comunità internazionale. Il 18 giugno il presidente americano Johnson fissa cinque principi per la composizione del conflitto:  Eliminazione delle minacce contro qualunque nazione della regione;  Giustizia per i rifugiati;  Libertà di navigazione;  Fine della corsa agli armamenti;  Rispetto dell’indipendenza politica e dell’integrità territoriale di tutti gli stati dell’area. Se Johnson sperava in una rapida evoluzione, fu deluso in quanto ci fu un vertice arabo che decise di non voler nessun trattato di pace con Israele e nessun tipo di negoziato. Un passo avanti fu fatto con la Risoluzione 242 del 22/11/1967 presentata dai britannici che riprendeva alcuni elementi chiave dei principi di Johnson. La risoluzione riconosceva “la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di tutti gli stati dell’area e il loro diritto a vivere in pace all’interno di confini sicuri”; nel caso in cui Egitto e Giordania avessero accettato, avrebbero 57 da Damasco, mentre a ovest penetrarono nel Canale di Suez senza però una vittoria decisiva sul nemico in quanto si decise di non affrontarlo direttamente ma semplicemente di scavalcarlo (l’esercito egiziano) e circondarlo al centro della penisola del Sinai. A guidare questa operazione israeliana è Sharon. Successivamente intervengono le Nazioni Unite che il 22 ottobre impongono un cessate il fuoco che fu accettato dai contendenti. Nel novembre del 1973 Egitto ed Israele si accordarono su un reciproco disimpegno delle rispettive forze armate (il cosiddetto accordo tecnico, detto accordo del Km 101) che permise alle forze egiziane, che si trovavano al centro del Sinai, e accerchiate dalle truppe israeliane, di essere rifornite. Possiamo affermare che l’Egitto esce parzialmente vincitore da questa guerra in quanto le sue truppe sono riuscite a sfondare il fronte israeliano senza subire nessuna sconfitta (anche nel momento in cui lo Stato ebraico contrattacca), al contrario della Siria che esce sconfitta sia politicamente che militarmente. Fu l’inizio del lungo e travagliato cammino verso il dialogo. Alla fine Sadat riuscì ad ottenere quel vantaggio territoriale che voleva fin dall’inizio della guerra per poter aprire i negoziati di pace. Però, prima di tutto, doveva convincere la sua opinione pubblica e soprattutto Stati Uniti ed Israele della volontà, certa, di volere questo trattato di pace. Per convincere gli americani comincia a fare dei gesti simbolici molto importanti, come per esempio l’allontanamento dall’Egitto degli ultimi consiglieri sovietici; non comprare più armi sovietiche e cominciare a fare una politica completamente autonoma. Gli Usa prendono atto di questa volontà egiziana e la nuova presidenza Carter ha come uno degli obiettivi della politica estera, la risoluzione del conflitto medio orientale. Carter (democratico) si sente forte e sicuro di riuscire a convincere Israele ad accettare una soluzione buona anche per gli arabi di Palestina. Quindi 60 organizza una conferenza per arrivare ad un accordo tra Israele e i paesi arabi; un accordo tra Israele ed Egitto (il primo restituisce il Sinai, il secondo riconosce l’esistenza di Israele) e per finire, dare completa autonomia locale agli arabi di Palestina con varie regioni autonome e collegate con la Giordania. Però questa conferenza non viene nemmeno presa in considerazione, né da Israele, né da Egitto e né dagli arabi di Palestina. Israele non accetta perché nel maggio del 1977 ci sono le elezioni con la vittoria del Partito di centro destra (Likud) con Beghin che è contrario sia alla restituzione della Cisgiordania che dare autonomia agli arabi di Palestina, ma soltanto un certo livello di autonomia culturale e quindi non accetta l’idea del presidente americano. Per la prima volta, Sadat, si reca a Gerusalemme (novembre 1977) e tiene un discorso al Parlamento affermando che l’Egitto è pronto a fare la pace ma a delle condizioni; all’inizio questo gesto non porta nessun frutto, ma poi pian piano Beghin lo accetta. Nell’estate del 1978 iniziarono i contatti diplomatici fra i due Stati che, il 26 marzo 1979, portarono il presidente egiziano Sadat e il Primo Ministro israeliano Begin a firmare a Camp David il primo trattato di pace fra Israele e un paese arabo del Medio Oriente. Nel 1978 vedono la luce due accordi denominati accordi quadro: il primo riconosceva il diritto all’esistenza dello Stato di Israele e la restituzione all’Egitto di Suez e della penisola del Sinai; si decideva anche di creare delle fasce di sicurezza tra i loro confini con truppe di interposizione e l’Egitto si impegnava a tenere aperto il Canale anche alle navi israeliane. Con il secondo invece, Israele accetta la formazione di un’autonomia amministrativa nella Cisgordania e nella Striscia di Gaza con il ritiro delle truppe israeliane. Tutto questo doveva accadere nell’arco di 5 anni alla fine dei quali ci sarebbero stati i negoziati tra Israele ed arabi per far nascere uno Stato arabo di Palestina. 61 Di questi due accordi, soltanto il primo viene eseguito e nel marzo del 1979 viene firmato a Washington il trattato di pace tra Egitto ed Israele. Cosa non capita dagli altri arabi e così Sadat viene ucciso nel 1981 in quanto visto come traditore. 5° Conflitto Arabo-Israeliano – La guerra del Libano Come scritto nel paragrafo precedente, trovò applicazione solo la prima parte degli accordi di Camp David che portò ad una convivenza diplomatica tra Israele ed Egitto, la seconda parte, fondamentale per Sadat, non fu mai applicata e questo non fece altro che aggravare la situazione del Medio Oriente e in particolare quella dell’Egitto e dello stesso Sadat, tanto è vero che l’Egitto venne espulso dalla Lega Araba e Sadat fu isolato (e poi successivamente ucciso il 6/10/1981). Questo accordo di pace, quindi, non fu affatto l’inizio di una pace duratura in Medio Oriente. Dopo il 1967 Arafat e le milizie armate palestinesi lasciano Gaza e la Cisgiordania per stabilirsi in Giordania. Con questo succede che gli stessi 62  Rafforzare la fazione cristiana per poter firmare anche con il Libano un trattato di pace che avrebbe sicuramente garantito sicurezza anche al confine settentrionale (dopo il trattato di pace del 1979 firmato con l’Egitto che ha portato sicurezza al confine meridionale). Quindi, come detto prima, l’abbandono dal Libano avviene nel settembre del 1982 sotto la supervisione di una forza multinazionale e l’OLP si rifugia in Tunisia dove rimarrà fino al 1992. Dopo l’evacuazione e dopo l’abbandono della forza multinazionale dal Libano, si pensa alla possibilità di dialogo tra cristiani e musulmani. Tutto sembra finito, ma la guerra civile libanese vera e propria deve ancora cominciare perché, nel frattempo, un attentato (14 settembre 1982), la cui responsabilità ricadeva su alcune frange palestinesi e sponsorizzato dalla Siria, ha tolto dalla scena politica l’appena eletto presidente del Libano, Béchir Gémayel, figlio del fondatore del partito Falangista, nonché fervido sostenitore della causa cristiana e prezioso alleato di Israele. Questo provocò la reazione delle milizie falangiste cristiane e soprattutto della sua “Falange armata” che il 15/09/1982 penetrarono nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila (Beirut sud) e compirono un vero massacro. Questo avvenne sotto gli occhi dell’esercito israeliano che, nonostante controllasse quelle zone, non fece nulla per evitare tutto ciò provocando una forte responsabilità morale dello Stato ebraico. Ciò provocò la condanna non solo internazionale ma anche nello stesso Israele dove l’opinione pubblica reagì chiedendo che venissero individuati i responsabili. Questo portò al ritorno delle forze multinazionali (Stati Uniti, Francia, Italia e un piccolo contingente britannico). Per la prima volta da quando è nato lo Stato di Israele, l’opinione pubblica israeliana è spaccata in due: quelli fautori della politica di rafforzamento dello Stato israeliano e quelli che, invece, 65 accusano questa politica che oramai da difensiva è passata ad essere una politica offensiva. Viene creata una Commissione di inchiesta che nel 1983 produsse un rapporto nel quale, pur escludendo responsabilità dirette, dichiarò colpevoli il Ministro della Difesa (che allora era Sharon), il Ministro degli Esteri e i capi di Stato Maggiore, portandoli alle dimissioni. Da quel momento in poi iniziò il visibile declino di Begin che diede poi le dimissioni nel settembre del 1983. Alla fine del 1983 si manifestano ancora numerosi attentati, compiuti dagli stessi mussulmani del Libano contro le forze francesi ed americane della forza multinazionale, in quanto pensavano che le stesse appoggiassero le forze cristiane. Significativo è l’attentato del 23 ottobre 1983 quando combattenti sciiti suicidi colpirono basi francesi ed americane provocando la morte di 78 soldati francesi e 241 marines americani. Questo provocò la reazione dell’amministrazione americana guidata dal nuovo presidente Reagan: ritiro immediato del contingente americano dal Libano, avvenuto nel febbraio del 1984 (anche per motivi di politica interna, vedi elezioni). Anche Israele decide di cambiare la sua politica in Libano e nel settembre del 1984 il laburista Shimon Peres, capo del governo israeliano, ordinò il ritiro unilaterale dal Libano, completato nel 1985 ad eccezione di una zona cuscinetto che rimase a protezione del confine fino al maggio 2000 Si può affermare che per la prima volta un’operazione israeliana è fallimentare. La Siria è, invece, l’unico paese ancora presente in Libano dominando la sua politica proprio come non si auspicava Israele. L’unico “successo” che Israele ottiene è l’allontanamento dell’OLP dal Libano. 66 3° CAPITOLO LE INTIFADE E GLI ANNI ‘90 La 1ª Intifada (1987) e la 1ª Guerra del Golfo (1990/1991) Come scritto nel paragrafo precedente, con la guerra in Libano, Israele aveva tentato di raggiungere degli obiettivi, che però solo in parte furono raggiunti, con l’allontanamento dell’OLP e del suo leader dal Medio Oriente. Questo ha delle conseguenze in Palestina, nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania; infatti negli anni ‘80, in queste terre, arriva a maturità quella generazione che non aveva conosciuto altro che l’occupazione militare di Israele e quindi, oramai, presentava un gran senso di frustrazione. Non aveva conosciuto nessuna gestione autonoma della propria vita e vedeva, anche, allontanarsi l’unico loro punto di riferimento (OLP), oramai in Tunisia. 67 L’Intifada è, quindi, l’inizio della “palestinizzazione”, ovvero un conflitto non più tra Israele e paesi arabi vicini, ma tra Israele ed arabi di Palestina. Gran parte dell’impulso e del credito internazionale della prima Intifada si esaurirono tra il 1990 e il 1991, quando l’Iraq di Saddam Hussein invase il vicino Kuwait scatenando la prima crisi del Golfo e i palestinesi si schierarono al suo fianco contro la comunità internazionale, l’ONU e gli stessi paesi arabi. La guerra inizia il 02/08/1990 con l’invasione da parte irachena nel Kuwait; Saddam Hussein giustifica questo atto con una spiegazione storica, ovvero il ritorno dell’antica costa irachena. Infatti, anticamente il Kuwait rappresentava la costa dell’Iraq e che poi gli inglesi lo staccarono facendone un paese indipendente per avere un miglior controllo del Golfo Persico. Così facendo, però, l’Iraq perse completamente l’accesso diretto al mare. Quindi Saddam vuole riconquistare questo accesso diretto al mare, vuole accrescere le sue risorse e far diventare l’Iraq una potenza della regione nonostante fosse già, a quel tempo, una media alta potenza regionale. Saddam quindi il 2 agosto invade il Kuwait e lo fa pensando di avere l’appoggio degli USA e della comunità internazionale. Ma perché Saddam pensa questo? Dobbiamo inizialmente dire che negli anni precedenti molti paesi europei e gli stessi Stati Uniti avevano aiutato molto l’Iraq, lo avevano appoggiato con la vendita di armi, in quanto ritenuto (l’Iraq) uno strumento di lotta per fronteggiare il nuovo pericolo nato alla fine degli anni ‘70: il fondamentalismo islamico. Fondamentalismo che nasce con la Repubblica islamica iraniana nel 1979. Ci fu una rivolta che abbattè la monarchia proclamando la Repubblica con a capo Ruhollah Khomeini61. 61 Il 7 gennaio 1978 la rivolta popolare esplose contro Mohammad Reza Pahlavi. Sebbene si fosse mostrato possibilista verso una trattativa, lo scià il 16 gennaio 1979 fu costretto a fuggire dall'Iran mentre Khomeyni, tornato il 1 febbraio da un esilio che durava quasi da sedici anni e che l'aveva portato a Najaf, in Iraq e a Parigi, poteva instaurare una "repubblica islamica" in Iran, diventandone la guida spirituale anche in virtù della sua riconosciuta qualifica. Iniziò a questo punto una vera repressione contro i collaboratori del deposto scià: migliaia di essi furono arrestati e fucilati dopo processi sommari; altri furono mandati in esilio o imprigionati e i rimanenti fuggirono dal paese. In pochi mesi si considera siano state fucilate circa 5.000 persone e mandate in esilio altre 10.000; Khomeyni 70 Così l’Iran diventa la base di espansione del fondamentalismo islamico con una popolazione formata in maggioranza da musulmani sciiti e diventando, così, il punto di riferimento per tutti i musulmani. Appoggia l’Islam che era stato messo in pericolo dalla creazione di stati arabi laici e moderati con popolazione araba mussulmana Quindi l’Iran diventa un pericolo tanto per gli occidentali, tanto per i sovietici vista la presenza in URSS di stati con popolazione mussulmana. Dal 1980 l’Iraq è impegnata in una guerra contro l’Iran, una guerra che dura 10 anni; una guerra che Saddam ha voluto fare principalmente per due motivi:  perché nella parte meridionale dell’Iraq vive una popolazione musulmana sciita e quindi la presenza (al confine meridionale) di una regione islamica con la stessa popolazione, metteva al leader iracheno una certa tensione;  perché l’Iran aveva cominciato ad appoggiare i curdi dell’Iraq. Quindi Saddam aveva a nord i curdi e a sud gli sciiti. Guerra che però non ha portato a nessun vincitore e a nessun vinto. Quindi è proprio per questo che Saddam pensa di avere l’appoggio della comunità internazionale nel momento in cui invade il Kuwait. Ma così non fu, anzi, a seguito dell’invasione c’è subito la formazione di una coalizione guidata dagli Stati Uniti. Fanno parte di questa coalizione anche paesi arabi come l’Egitto, la Siria e l’Arabia Saudita. Per la prima volta abbiamo una rottura all’interno del mondo arabo dove alcuni Paesi cercano di impedire la leadership dell’Iraq. inoltre vide di buon occhio l'azione dei pāsdāran che, penetrati nell'Ambasciata statunitense a Tehran, avevano preso 54 ostaggi, minacciati di morte qualora gli Stati Uniti - accusati di proteggere Mohammad Reza Pahlavi - non gli avessero consegnato l'ex scià. Gli USA non si piegarono alla trattativa e tentarono un blitz militare aereo autorizzato dal Presidente Jimmy Carter ma alla fine gli ostaggi furono liberati, anche se da allora gli Stati Uniti divennero, per il regime di Khomeyni, "il grande satana del mondo 71 La guerra dura poco, dal gennaio 1991 al febbraio 1991, nonostante il tentativo di Saddam di coinvolgere nella guerra anche Israele lanciando alcuni missili su alcune città israeliane. Infatti Saddam avrebbe voluto coinvolgere Israele per mettere in crisi gli altri stati arabi che a quel punto si sarebbero trovati a fare guerra insieme ad Israele (contro cui avevano combattuto per anni insieme anche all’Iraq) e contro un altro stato arabo (che invece aveva sempre combattuto con loro contro Israele). Fortunatamente questo tentativo di Saddam fallisce. E qui arriviamo al terzo grande errore, secondo chi scrive, degli arabi di Palestina e non. Ricordiamo che i primi due erano stati commessi negli anni addietro e cioè:  il primo nella seconda guerra mondiale quando gli arabi decisero di schierarsi con le potenze dell’Asse;  il secondo fu commesso nel 1947 quando l’ONU decretò la spartizione della Palestina e la creazione di due stati indipendenti, ma gli arabi non crearono nessuno stato al contrario degli ebrei che crearono lo stato di Israele;  ed ora abbiamo il terzo, con l’appoggio di Arafat a Saddam Hussein. L’OLP non riesce a capire che la coalizione non fa la guerra per impossessarsi delle risorse del paese ma soltanto per una questione di diritto internazionale. Conseguenza è il blocco dei finanziamenti da parte dell’Arabia Saudita con la successiva crisi economica dell’OLP. Ma ancora più grave fu la fine dell’appoggio politico da parte dell’Unione Sovietica, fine decretata con la dissoluzione della stessa nel dicembre del 1991. Da tutto ciò traggono origine le future trattative di pace degli anni ‘90 che faranno scendere l’OLP a compromesso con Israele. 72 Palestina, l’esatto contrario del partito Likud (precedentemente al potere) che invece era contrario a qualsiasi tipo di accordo di pace e a qualsiasi tipo di creazione di Stato arabo (ricordiamo che il Likud erano quei sionisti revisionisti che volevano uno Stato di Israele su tutto il territorio di Palestina). In questa DOP, Israele riconosce il principio dell’auto-governo palestinese e l’OLP il diritto di Israele a vivere in pace e sicurezza, rinunciava al terrorismo e prometteva di eliminare dalla Carta nazionale i paragrafi in cui si negava il diritto di Israele all’esistenza; Israele riconosceva “l’OLP come il rappresentante del popolo palestinese” (OSLO I). Nonostante ciò rimanevano ancora seri problemi da risolvere. Per nessuna delle due parti fu semplice trovare un’intesa sull’estensione precisa dell’enclave di Gerico che sarebbe passata sotto il controllo dell’OLP: gli israeliani sostenevano che dovesse essere limitata alla città, mentre i palestinesi chiedevano un distretto amministrativo più ampio; ma il vero banco di prova dell’accordo fu il futuro degli insediamenti israeliani e la capacità di Rabin ed Arafat di mantenere le proprie posizioni all’interno di fronte alla contestazioni che sarebbero inevitabilmente sorte. Era scontato che le concessioni di Arafat sarebbero state contestate da Hamas, che non voleva nessun compromesso con Israele e godeva della lealtà di molti palestinesi soprattutto a Gaza. La tattica di Hamas consisteva nel far ricorso alla violenza al fine di provocare la reazione di Israele e screditare così le concessioni fatte dall’OLP. Da parte israeliana, invece, il governo di Rabin dovette affrontare l’opposizione del Likud che aveva intensamente lavorato per consolidare la presenza ebraica in Cisgiordania. Nonostante il fatto che l’esercito e l’amministrazione israeliani avessero iniziato a evacuare Gaza, il 6/04/1994, arrivò la prevista rappresaglia del massacro di Hebron. Il governo di Israele e l’OLP non potevano permettersi di cambiare idea in conseguenza di simili atti e così nel maggio del 1994 Rabin, Peres ed Arafat si incontrarono al Cairo per risolvere i problemi. Le due parti raggiunsero un 75 accordo sulla natura del ritiro israeliano e i poteri dell’Autorità palestinese: nel caso di Gaza ci sarebbe stato un ridispiegamento militare per proteggere i coloni ebrei rimasti; per il resto la nuova Autorità Palestinese stava per acquisire i simboli e anche qualche contenuto concreto della sovranità. Arafat dopo tanti anni torna a Gaza e a Gerico dove si insedia. I leader israeliani erano uomini politici esperti e stavano lavorando a un’altra pista diplomatica; il re giordano non poteva permettersi di essere messo da parte da Arafat e dall’OLP. Dopo complicati negoziati, il 26/10/1994 venne firmato un trattato di pace tra i due paesi che garantiva la sicurezza del confine orientale di Israele. Con questo Trattato la Giordania ammette la perdita di Gerusalemme e della Cisgiordania. Era chiaro che il futuro del processo di pace dipendeva dalla capacità di Arafat e Rabin di convincere la maggioranza dei palestinesi e degli israeliani che esso avrebbe offerto vantaggi concreti sul fronte politico ed economico. Il 1995 era appena cominciato quando terroristi suicidi fecero esplodere due autobomba; Rabin in un discorso televisivo alla nazione assicurò che tali attacchi non l’avrebbero fatto recedere dall’impegno a continuare i negoziati con i palestinesi. In aprile l’ennesimo attentato nella Striscia di Gaza che non faceva altro che aggravare le difficoltà dell’Autorità palestinese. In questa situazione poco promettente americani ed egiziani tentarono ancora una volta di avvicinare le due parti in merito alla questione della Cisgiordania. I frutti dei loro sforzi giunsero il 28 settembre 1995 (OSLO II) quando a Washington fu firmato un nuovo accordo ancora più impegnativo: gli israeliani accettavano di ritirare le truppe dalla maggior parte delle città e dei villaggi della Cisgiordania entro il 30 marzo 1996 lasciando l’amministrazione civile a un Consiglio palestinese eletto dal popolo. In cambio si stabiliva il mantenimento di un ruolo israeliano nel controllo della sicurezza in alcune aree della Cisgiordania e l’impegno dei palestinesi a emendare la loro Carta nazionale eliminando i paragrafi che 76 chiedevano la distruzione di Israele. Mentre la maggioranza degli israeliani sembrò soddisfatta di ciò che era stato concordato, a Hebron i coloni espressero la loro rabbia manifestando contro le concessioni in Cisgiordania. Successivamente, a seguito di una manifestazione, Rabin fu ferito a morte da uno studente che si opponeva alle concessioni in Cisgiordania. Il posto di Rabin venne preso da Shimon Peres che decise di procedere con l’attuazione degli accordi alla cui realizzazione aveva dato un contributo determinante. Alla fine dell’anno le città chiave della Cisgiordania (Jenin, Tulkarem, Qalqilya, Betlemme, Ramallah e Nablus) erano ormai sotto il controllo dell’Autorità palestinese dopo quasi tre decenni di occupazione israeliana. Con Peres il processo di pace subisce un rallentamento, il parlamento è spaccato in due e nel 1996 si arriva alle nuove elezioni che porta la vittoria del Likud con Netanyahu che non era un israeliano puro e non era stato nemmeno un militare. Pur non abbandonando il dialogo per la pace, da priorità alle esigenze di sicurezza di Israele e chiede reciprocità di impegni da parte palestinese Non era un leader forte, era in balia del parlamento, del Likud e degli estremisti religiosi. Quindi interrompe il processo di pace non cedendo più le città della Cisgiordania ai palestinesi. Fu solo nell’ottobre del 1998 che si verificò il primo reale passo avanti, quando Arafat e Netanyahu si ritrovarono insieme al Wye Conference Center nel Maryland. Furono necessari nove giorni per giungere a un accordo. Questo stabiliva le fasi dell’ulteriore evacuazione israeliana in Cisgiordania, che avrebbe lasciato il 40% del territorio sotto controllo palestinese e impegnava Arafat a un programma di provvedimenti per combattere gli attentati contro Israele. Questa volta era il Likud che stringeva un accordo con i palestinesi. Il ruolo di Arafat nell’accettare il nuovo programma di sicurezza venne preso di mira da Hamas, ma fu Netanyahu che dovette fronteggiare una crisi interna ancora più difficile, poiché l’accordo intaccava il 77 respinto da Arafat, i colloqui si interruppero il 27 gennaio 2001, pochi giorni prima delle elezioni israeliane, senza che un accordo fosse stato raggiunto. Ariel Sharon ottenne una vittoria schiacciante. 4° CAPITOLO LA STORIA RECENTE Da “Camp David II” al “dopo-Taba”. L’ estinzione dello “spirito di Oslo” Come accennato nel paragrafo precedente, nel 2000, a seguito della visita di Ariel Sharon al Monte del Tempio, scoppia quella che è stata chiamata la “Seconda Intifada”. Malgrado il perpetuarsi delle violenze scatenatesi a seguito dell’avvenimento sopracitato, i negoziati continuarono (faticosamente) ad andare avanti tra l’ottobre 2000 e il gennaio 2001. Il 16 e il 17 ottobre, a Sharm el- Sheikh, venne convocato un vertice al quale presero parte, oltre alle delegazioni israeliana e palestinese, il presidente degli Stati Uniti Clinton, il re giordano Abdallah, il presidente egiziano Mubarak e il segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan. Barak e Arafat, pur non firmando alcun accordo, si impegnarono a far cessare gli scontri e accettarono l’invio di una missione americana, guidata dall’ex senatore Mitchell, che avrebbe indagato sugli eventi dell’intifada. Alla Knesset64 intanto, il 27 novembre del 2000, passò a 64 E’ il parlamento israeliano riunitosi per la prima volta nel 1949, un anno dopo la costituzione dello stato d'Israele. L'organo ha una struttura monocamerale ed è costituito da 120 membri che vengono eletti ogni quattro anni. La rappresentanza politica avviene sulla base del sistema proporzionale. La Knesset esercita il potere legislativo e il potere di eleggere il Capo dello Stato. 80 maggioranza schiacciante (84 voti contro 19) una legge di rango costituzionale che impedisce ogni cessione di sovranità sulla parte orientale di Gerusalemme. La legge non fu però da ostacolo al rilancio delle iniziative di pace, il tabù sciolto da Barak a Camp David rimaneva valido. Il 23 dicembre Clinton, il cui mandato sarebbe scaduto il 20 gennaio 2001, convocò le parti alla Casa Bianca per annunciare le sue nuove proposte per una risoluzione del conflitto. Il Piano prevedeva la cessione del 94-96% della Cisgiordania alla sovranità palestinese e l’evacuazione della maggior parte degli insediamenti israeliani. Il territorio annesso da Israele sarebbe dovuto essere compensato da uno scambio di terre in ragione dell’1-3%. Una forza internazionale, con una presenza militare israeliana per un periodo tra i tre e i sei anni, sarebbe stata dispiegata lungo la valle del Giordano. Per quanto riguarda Gerusalemme, il principio generale era una spartizione in base a criteri etnici: le zone arabe sotto la sovranità dei palestinesi, quelle ebraiche sotto la sovranità israeliana. Questo principio sarebbe valso anche per la Città Vecchia. Per aggirare l’ostacolo “simbolico”, il presidente americano suggerì la seguente spartizione: sovranità palestinese sull’al-haram ash-Sharif e sovranità israeliana sul Muro del Pianto e sulla zona del “Santo dei Santi”, ossia l’area tra le due moschee. Di ritorno a Tel Aviv la delegazione israeliana era entusiasta e certa che l’accordo fosse imminente. Barak decise di accettare il “Piano Clinton” come base per le trattative ma volle che Arafat facesse altrettanto. Da Gaza il presidente palestinese rispose a Clinton con una lettera nella quale chiedeva maggiori garanzie e spiegazioni sulle sue proposte: “Ho bisogno di risposte chiare per un certo numero di domande riguardanti la percentuale di territori che sarebbero annessi e scambiati, la loro esatta localizzazione, la precisa demarcazione del Muro del Pianto, i suoi confini e la sua estensione, le conseguenze che ciò avrebbe per il principio di sovranità palestinese completa sull’al-haram ash-Sharif”. Con la 81 mediazione egiziana partirono subito dei colloqui preparatori che portarono ai negoziati di Taba, iniziati il 21 gennaio 2001 e conclusisi il 27 dello stesso mese. Nessun americano fu presente al vertice perché la nuova amministrazione guidata dal repubblicano George W. Bush non considerava allora il Medio Oriente tra le sue priorità in politica estera. C’era l’Unione europea con il suo inviato speciale per il Vicino Oriente Moratinos. Per la risoluzione del problema di Gerusalemme, le due delegazioni si ispirarono ai parametri di Clinton basati sulla spartizione della sovranità secondo il “criterio etnico”. I palestinesi dichiararono di essere pronti a discutere le richieste israeliane relative agli insediamenti ebraici a Gerusalemme Est costruiti dopo il 1967 ma esclusero categoricamente la possibilità di far rientrare sotto la sovranità israeliana gli insediamenti Maale Adumin e Givat Zeev65, posti al di fuori della municipalità. Le parti si dichiararono inoltre disponibili all’idea di una “città aperta” capitale di due stati. Le trattative questa volta non si arenarono sul destino di Gerusalemme, come a Camp David, ma sul problema dei rifugiati palestinesi. Infatti, oramai dietro al problema dei profughi si nasconde la questione demografica del conflitto. Dal 1950 la popolazione ebraica superò quella araba grazie alle grandi ondate di immigrati e all’esodo dei palestinesi. Lo Stato di Israele rifiuta l’ipotesi di rimpatrio perché equivarrebbe all’annullamento della sua personalità ebraica. Dal canto loro i palestinesi insistono per l’applicazione della risoluzione 19466 e chiedono che a tutti i rifugiati venga data la possibilità 65 Una dozzina di chilometri a est di Gerusalemme, sparse su morbide e aride colline battute dai venti che si affacciano sul Mar Morto, ci sono gli insediamento urbani di Maalé Adumim e Givat Zeev. Sono due di quelli a cui Israele dice di non poter rinunciare e che vuole restino sotto la sua sovranità in un accordo con i palestinesi che, nella sua concezione, comporterà uno scambio di territori 66 Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’11/12/1948: prevede indennizzi per i profughi palestinesi del 1948 o il loro diritto al ritorno nei luoghi dove risiedevano: a ogni profugo va garantito di poter scegliere se vuole o non vuole vivere all'interno dei confini d'Israele. La risoluzione, al paragrafo 11, afferma il diritto dei profughi palestinesi a ritornare alle loro originali residenze e paesi dai quali furono allontanati durante la guerra. Il paragrafo 2 istituisce presso le Nazioni Unite la Commissione di Conciliazione per la Palestina – UNCCP, con sede a Gerusalemme - per l’implementazione del Diritto al Ritorno. Questo compito doveva essere eseguito dall’UNPRP – United Nations Relief for Palestine Refugees, ossia Ente di Assistenza dell’ONU per i Profughi Palestinesi, sostituito qualche mese dopo dall’UNRWA. 82 introducendo nuovi punti di apertura pur ribadendo chiaramente alcune posizioni del mondo arabo considerate come non negoziabili. Si chiedeva anzitutto agli israeliani di far rientrare i confini dello Stato di Israele nei limiti imposti dalle risoluzioni 242 e 338 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, sfruttando eventualmente il principio dello scambio “terra per pace”; Israele avrebbe poi dovuto accettare l’idea di uno stato palestinese indipendente, con l’assicurazione da parte araba di una pace permanente. Il dato di fondo per gli arabi era che la soluzione militare in sé non poteva garantire alcuna pace, e per questo si chiese ad Israele di riconsiderare la sua politica intendendo la “pace” come una vera opzione strategica. Tre erano fondamentalmente le richieste di parte araba: 1. il pieno ritiro dai territori occupati dal giugno ’67; 2. il raggiungimento di una soluzione al problema dei rifugiati palestinesi; 3. la costituzione di uno Stato palestinese sovrano e indipendente, che avrebbe trovato la sua terra proprio nei territori occupati nel giugno ’67, nella Cisgiordania, a Gaza ed a Gerusalemme Est, che sarebbe divenuta la sua capitale. Come conseguenza gli stati arabi si dichiaravano disposti a «considerare finito il conflitto arabo-israeliano, a stipulare un accordo di pace con Israele, ad assicurare sicurezza per tutti gli stati della regione»70, chiedendo calorosamente ad Israele di accogliere la proposta saudita al fine del raggiungimento della pace e della cessazione degli inutili spargimenti di sangue. Non mancava un invito alla comunità internazionale, alla quale era chiesto di sostenere l’iniziativa di pace; alla presidenza del vertice arabo venne chiesto di costituire un apposito Comitato, che avrebbe dovuto coinvolgere alcuni degli 70 J. Cingoli, Beirut Ginevra Gerusalemme, percorsi di pace in Medioriente, CIPMO, Milano 2006, 141-142 85 Stati interessati ed il Segretario Generale della Lega Araba, al fine di ricercare i necessari contatti e consensi, specie nei confronti della Russia, degli Stati Uniti, dell’Unione Europea, dei paesi musulmani e della stessa ONU. La richiesta di un completo ritiro israeliano nei confini del 1967 si scontrava con le ormai ripetute esternazioni israeliane – ed alle prese concrete di possesso dei terreni – in merito alla conquista di frontiere difendibili; inoltre, era impensabile che Israele rinunciasse al quartiere ebraico ed al Muro del Pianto nella Old City71. Il piano saudita venne approvato all’unanimità. Un elemento di innovazione presente nel progetto era l’affermazione di una “piena normalizzazione dei rapporti” con Israele e, di conseguenza, una pace non solo militare ma anche commerciale e diplomatica ma, pur nella fondamentale novità della proposta, questa divenne ben presto irrealizzabile, anche a causa degli eventi dell’11 settembre 2001. In ogni caso la Dichiarazione di Beirut divenne il testo di confronto dei successivi tentativi di dialogo e negli stessi documenti ufficiali72. In ambito ebraico la reazione fu multiforme, anche a causa del fatto che, all’atto del varo della Dichiarazione di Beirut, i rapporti tra israeliani e palestinesi erano particolarmente tesi, specie per la escalation subita dall’intifada che, dal punto di vista sociale, aveva messo duramente alla prova le due realtà. Il dissenso israeliano alle proposte saudite si concentrò soprattutto, come previsto, sulla parte riguardante il ritorno dei confini precedenti il 1967, visto nella Dichiarazione di Beirut come precondizione al riconoscimento dello Stato 71 Secondo alcuni studiosi i sauditi erano però disposti ad accogliere sia le proposte finalizzate ad una maggiore stabilità palestinese sia quelle indirizzate a mantenere il Muro del Pianto sotto sovranità israeliana. Cfr Cingoli, Beirut Ginevra Gerusalemme, 9 72 Ad essa fa riferimento ad esempio la risoluzione ONU n. 1397 del 12 marzo 2002, risoluzione fondamentale perché in essa veniva riconosciuta per la prima volta la possibilità di due stati che «vivano fianco a fianco dentro confini sicuri e riconosciuti». Cfr Cingoli, Beirut Ginevra Gerusalemme, 110-111 86 di Israele e non conseguenza degli accordi di pace tra Israele stesso ed i vari stati arabi. Ariel Sharon, in precedenza molto duro nei confronti dei tentativi di parte araba, assunse inizialmente una posizione neutrale, chiedendo agli USA di intervenire come mediatori in una situazione ormai sempre più complessa. Il governo in ogni caso si espresse negativamente nei confronti del piano saudita, ribadendo il dissenso nei confronti della richiesta di ritiro. Al contrario Shimon Peres, allora ministro per gli Affari Esteri, affermò che la proposta era «un piano interessante ed affascinante»73, suggerendo l’apertura di negoziati sulla base della proposta74. Il 28 marzo la Lega Araba approvò il piano saudita, che venne però nuovamente respinto da Israele; un ulteriore motivo di esacerbazione dei rapporti fu l’attentato terroristico palestinese che colpì, la sera stessa dell’approvazione del progetto da parte araba, un albergo di Netanya, nel quale morirono 29 persone che lì si erano incontrate per celebrare il Seder della Pasqua ebraica. Lo stesso Shimon Peres, pur restando convinto della possibilità di un dialogo con i palestinesi, dovette constatare con durezza che il terrorismo, se non fermato, avrebbe compromesso irrimediabilmente i rapporti tra le due comunità75. L’atto che più evidentemente espresse la reazione israeliana fu quello, da parte del primo ministro Sharon, di iniziare nei Territori Occupati l’operazione Defensive Wall, già approvata in linea di principio dal Ministerial committee for Security Matters il 14 aprile 200276. 73 BBC News, Israeli president seeks saudi talks, 25 febbraio 2002 74 Israeli National News, Israel flirts with Saudi Plan, 25 febbraio 2002. 75 Israeli National News, FM Peres responds to Arab League Summit in Beirut, 29 marzo 2002. 76 L’operazione venne lanciata con il seguente comunicato: «Nei giorni scorsi abbiamo assistito a una serie di spaventosi attentati terroristici: l’attentato a Netanya la sera del Seder di Pesah [Pasqua ebraica], i fatti della notte scorsa a Eilon Moreh con quattro morti, le violenze in corso in questo momento a Netzarim con altri due morti. . . .Tutto questo avviene mentre Israele porgeva la mano in segno di pace, e ancora la porge. Abbiamo fatto tutto ciò che potevamo per arrivare a un cessate il fuoco e a un avvio immediato del processo [previsto dal piano]. Ciò che abbiamo ricevuto per tutta risposta è stato terrorismo, altro terrorismo e ancora terrorismo. 87 Gli USA avevano tuttavia una ragione per essere delusi, e cioè che i sauditi non avevano cambiato la loro posizione riguardo alla possibile campagna americana in Iraq o alla guerra globale da loro lanciata contro il terrorismo. L’Unione Europea L’Unione Europea si era espressa fin dall’inizio decisamente a favore dell’Iniziativa saudita. Già il 25 febbraio 2002, a seguito di un meeting con Shimon Peres, l’allora ministro degli Esteri israeliano, Javier Solana, Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la Politica e Sicurezza Comune, affermava che l’Unione Europea aveva sempre sostenuto un Final Status basato su due Stati e sul riconoscimento dello Stato d’Israele da parte degli Stati arabi. Dava quindi il benvenuto alla proposta saudita: “Se questa è la direzione che i sauditi hanno pubblicamente scelto, penso che vada nella direzione giusta per giungere a una stabilità totale, per vivere insieme”. Il 27 febbraio 2002, la Commissione Europea attribuiva grande importanza alle proposte di pace avanzate dall’Arabia Saudita per il Medio Oriente. Lo dichiarava il portavoce del Commissario UE alle Relazioni Esterne, Chris Patten, sottolineando che le proposte del principe saudita Abdallah “possono essere utili a lasciarci alle spalle lo stallo politico nel quale si trova la Regione”. Rimarcava inoltre l’importanza del fatto che, per la prima volta, una simile iniziativa fosse stata presa dall’Arabia Saudita. Il 10 marzo, alla vigilia del vertice di Beirut, Cristina Gallach, portavoce di Javier Solana, dichiarò: “L’iniziativa diplomatica europea prosegue senza sosta. Stiamo lavorando in stretto contatto con gli USA e la Lega Araba [...]. La UE ritiene che il Piano saudita – che prevede una normalizzazione delle relazioni di tutti i Paesi arabi con Israele in cambio del ritiro totale delle truppe israeliane dai Territori Occupati, compresa Gerusalemme Est – possa offrire una prospettiva di riconciliazione a lungo termine tra israeliani e palestinesi”. Poi aggiungeva: “È 90 un framework molto utile”, sottolineando che Arafat doveva essere in grado di poterne discutere a Beirut. Dopo la conclusione del vertice di Beirut, le dichiarazioni da parte di rappresentanti dell’Unione si fecero più decise, come quella di José María Aznar, presidente del Consiglio Europeo, che il 27 marzo commentava l’Iniziativa saudita definendola “un’opportunità unica”. L’importanza dell’Iniziativa e il relativo sostegno europeo vennero riaffermati in riunioni ufficiali successive, in particolare durante il Meeting Ministeriale tra l’Unione Europea e il Consiglio di Cooperazione del Golfo a Doha del 3 marzo 2003, e in quello del 2004 tenutosi a Bruxelles il 17 maggio. Il Quartetto Anche il Quartetto (USA, Russia, UE e ONU) accolse in maniera positiva l’Iniziativa saudita. In un comunicato rilasciato il 16 luglio 2002, si dava il benvenuto all’Iniziativa dell’Arabia Saudita, descrivendola come un contributo significativo verso una pace complessiva. Nel luglio dello stesso anno, in una dichiarazione del Quartetto, dopo il meeting a New York in presenza di Kofi Annan, Colin Powell, Chris Patten, Javier Solana, Igor Ivanov (ministro degli Esteri russo) e Per Stig Moeller (ministro degli Esteri norvegese), il Quartetto riconfermò l’importanza dell’Iniziativa. Questa era definita come una parte vitale dello sforzo internazionale per promuovere una pace comprensiva su tutti i fronti. In dicembre venne reiterato il sostegno a una soluzione duratura al conflitto arabo-israeliano, fondata sulla Conferenza di Madrid (il principio “terra per pace”), sulle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU 242, 338 e 139777, sugli accordi raggiunti in precedenza 77 Il 12 marzo 2002, il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha approvato una nuova risoluzione, la numero 1397, in cui per la prima volta si indica l'esistenza di "una regione in cui due stati, Israele e Palestina, vivano fianco a fianco, all'interno di frontiere riconosciute e sicure". La risoluzione chiede la fine immediata delle violenze e del terrorismo, la cooperazione fra le due parti per l'applicazione dei piani di pace "Tenet" e "Mitchell" ed esprime sostegno agli sforzi del Segretario generale e a chi cerca di aiutare le parti ad arrestare le violenze e a far ripartire il dialogo. 91 dalle parti e sull’Iniziativa del principe Abdallah dell’Arabia Saudita; l’Iniziativa venne definita un elemento vitale degli sforzi internazionali di promuovere la pace su tutti i fronti, inclusi quello siriano-israeliano e libanese-israeliano. In successivi comunicati il Quartetto ha fatto spesso riferimento all’Iniziativa saudita, definendola come una buona piattaforma su cui muoversi e di cui tenere conto. La Road Map e i passi per la pace Prima di iniziare a parlare della Road Map, vorrei un attimo soffermarmi sul cosiddetto Quartetto, ovvero quel gruppo di soggetti incaricato a cercare possibili soluzioni per la questione palestinese. Quartetto formato da Unione Europea, Russia, Stati Uniti e Nazioni Unite. Per quanto riguarda la composizione, si deve cominciare ricordando che, il 25 ottobre del 2001 – poco prima del discorso in cui George W. Bush esponeva per la prima volta la propria visione per la pace in Medioriente – quattro inviati sul campo rendevano pubblica una dichiarazione sulla situazione allora vigente, senza avere alla base alcuna precedente forma di coordinamento o strategia comune. Questi inviati possono essere percepiti come una sorta di embrione del futuro Quartetto; essi erano infatti in missione per conto delle Nazioni Unite 92 come progetti e negoziati – che sosterebbero e rinforzerebbero la politica del Quartetto ». Sono quindi da considerarsi parte integrante delle iniziative dell'organo diplomatico anche le attività svolte: dai due Inviati Speciali, James Wolfensohn90 per il disimpegno unilaterale da Gaza, e più recentemente Tony Blair91; dai Coordinatori Speciali delle Nazioni Unite per il Medioriente, Terje Roed-Larsen, Alvaro de Soto, Micheal Williams e Max Gaylard; e da tutti gli altri inviati nella regione dell'Unione Europea, degli Stati Uniti e della Federazione Russa. Su proposta del “Quartetto di pace” ed in particolare del Dipartimento di Stato americano, il 30 aprile 2003 venne pubblicata la cosiddetta Road Map, la “carta stradale” che avrebbe dovuto permettere ad israeliani e palestinesi di procedere insieme verso la pace92. Essa fu accolta, pur se con qualche riserva, da entrambe le parti in causa; era concepita come un percorso composto di tre fasi e volto a mettere fine al conflitto tra israeliani e palestinesi nell’arco di due anni. 1. Nella prima fase, da realizzarsi entro il maggio 2003, l’autorità palestinese doveva riconoscere il diritto inequivocabile di Israele ad esistere in pace e sicurezza, impegnandosi a combattere il terrorismo, disarmando tutti i gruppi che si proponevano come obiettivo quello di distruggere lo Stato ebraico, consolidando al tempo stesso le proprie forze di sicurezza. Nel contempo i palestinesi dovevano riformare la struttura delle loro istituzioni mediante l’adozione di una Costituzione che avrebbe dovuto strutturare lo Stato come una 90 James Wolfensohn è nato in Australia, figlio di un uomo d'affari ebreo che aveva lasciato l'Inghilterra durante la grande depressione. Nel 1980 ha preso la cittadinanza statunitense ed ha fondato la sua compagnia James D. Wolfensohn, Inc. Nel 1995 è stato nominato presidente della Banca Mondiale ed ha ricoperto tale carica fino al 2005. www.worldbank.org (Sito ufficiale della Banca Mondiale) 91 Anthony Charles Lynton Blair detto Tony Blair è un politico britannico. È stato il primo ministro del Regno Unito dal 2 maggio 1997 al 27 giugno 2007 e attualmente ricopre l'incarico di inviato per la pace nel Medio Oriente su mandato di ONU, Unione europea, USA e Russia. www.onu.org 92 Cfr Ambasciata USA di Roma, Una road map a base esecutiva per una soluzione permanente al conflitto israelo-palestinese, 30 aprile 2003. 95 democrazia parlamentare forte ed un Gabinetto formato da un Primo Ministro, dotato di ampi poteri e distinto dal Presidente. In Cisgiordania e nella Striscia di Gaza si sarebbero poi dovute tenere delle elezioni libere e democratiche. Parallelamente, Israele si impegnava a non intraprendere alcuna azione che avrebbe potuto compromettere la fiducia dei palestinesi nei confronti della pace da realizzare, adottando tutte le misure necessarie alla normalizzazione della vita dei palestinesi, bloccando la pratica degli “omicidi mirati”, ritirandosi dalle aree occupate dopo il 28 settembre 2000 – inizio della seconda intifada –, smantellando le colonie costruite dopo il marzo 2001 e congelando ogni ulteriore crescita di tutti gli insediamenti. 2. La seconda fase, che sarebbe dovuta andare dal giugno al dicembre 2003, prevedeva lo svolgimento di elezioni politiche palestinesi e la formazione di un nuovo Governo, basato sulla nuova Costituzione; la verifica di questo processo di riforma dell’Autorità Palestinese sarebbe stato compito del Quartetto che, se lo avesse giudicato adeguato, avrebbe promosso in seguito la costituzione di uno Stato di Palestina, con confini provvisori. Scopo di tale Stato sarebbe stato quello di permettere un negoziato tra “pari” con Israele, da realizzarsi mediante una Conferenza Internazionale, la quale avrebbe assicurato il riconoscimento internazionale del neonato Stato palestinese, incluso un suo possibile ingresso all’ONU. 3. La terza fase avrebbe poi dovuto svolgersi nell’arco di due anni, tra il 2004 ed il 2005: ad essa era affidato il compito di consolidare le istituzioni palestinesi e la fine definitiva del conflitto israelo- palestinese. A questo scopo era prevista una seconda Conferenza Internazionale nella quale si dovevano affrontare le questioni più 96 controverse: i confini e dunque il problema degli insediamenti, lo status di Gerusalemme, la sorte dei rifugiati palestinesi (con l’obiettivo della creazione di uno Stato palestinese definitivo e il raggiungimento della pace finale tra israeliani e palestinesi), rilanciando gli sforzi per una pace definitiva tra Israele, Siria e Libano. Il passaggio alla fase successiva era previsto solo dopo che il Quartetto avesse verificato il completamento della fase precedente, anche se erano previste delle deroghe, sebbene parziali. Questa rigidezza nell’impostazione permise purtroppo agli ostacoli iniziali di ostacolare l’intero processo. I palestinesi da una parte non riuscirono infatti ad ostacolare il terrorismo, e dall’altra non riuscirono a riformare le proprie istituzioni, sia per le resistenze israeliane che per l’atteggiamento di Arafat; gli israeliani, dal canto loro, svilupparono ulteriormente la pratica degli omicidi mirati e continuarono ad impiantare nuovi insediamenti, senza neanche preoccuparsi di abbattere quelli da essi stessi considerati illegali. La domanda in conclusione era: un processo a tappe forzate, garantite da un osservatore internazionale, era o no possibile? Pur rimanendo un necessario punto di riferimento delle iniziative internazionali rispetto al medioriente, la Road Map era ormai completamente bloccata, sebbene fosse un’opzione negoziale ufficialmente condivisa dalle parti. Gli ultimissimi anni Il declino di Arafat: 97
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