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Persone e famiglia, Sintesi del corso di Istituzioni di Diritto Romano

Appunti elaborati personalmente con i concetti delle lezioni di Istituzioni Di Diritto Romano

Tipologia: Sintesi del corso

2011/2012

Caricato il 04/02/2012

gmastrolia
gmastrolia 🇮🇹

4.3

(91)

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Scarica Persone e famiglia e più Sintesi del corso in PDF di Istituzioni di Diritto Romano solo su Docsity! PERSONE E FAMIGLIA - La persona: la persona è l’uomo, non il soggetto di diritto e comincia ad esistere dal momento della nascita; è rilevante anche il momento del concepimento: infatti “il concepito è ritenuto come già nato” e il pretore nomina infatti un “curatore del ventre” per i beni del nascituro a lui riservati per la morte del padre. Il soggetto diviene autonomo di diritto nel momento in cui avviene la separazione dal corpo della madre. Sono persone anche gli schiavi, che giuridicamente sono RES: cose (potenziale idoneità alla titolarità di rapporti giuridici). Si definisce come capacità giuridica l’attitudine dell’uomo di essere titolare di diritti e doveri e spetta tendenzialmente ai liberi mentre la capacità di agire è l’attitudine del soggetto a compiere atti giuridici, mediante i quali acquista diritti o assume doveri e manca a chi non ha le necessarie attitudini fisiopsichiche (infanti o malati di mente). Con il termine Capax (non romano) si indicava, nel contesto del diritto ereditario, la condizione di chi, dopo la legge Furia testamentaria e le leggi Augustee, poteva validamente prendere (capere) a causa di morte. Procurato aborto  è un problema che veniva sanzionato come offesa non al diritto alla vita del nascituro, ma ad una norma penale o al diritto del padre a non essere privato della discendenza (mentre per io pensiero cristiano era equiparato all’omicidio). Per l’esistenza di una persona fisica occorre: • Separazione: dal corpo della madre; • Che sia vivo: la prova consisteva in un vagito o in qualunque manifestazione di vita; • Vitalità: cioè idoneità ad una vita extrauterina. I nati fuori dal periodo 7°-10° mese che sopravvivono per poco tempo dopo la nascita sono considerati come mai venuti ad esistenza. Come ulteriore requisito per l’attribuzione della qualità di persona si richiede che il nato abbia forma umana; il nato non deve essere: Monstrum, Prodigium, Ostentum o Portentum (vocaboli con cui si indicano creature mostruose, straordinarie, anomale) infatti questi esseri non sono solo giuridicamente inesistenti ma di essi il diritto antico impone l’eliminazione. La persona fisica si estingue con la morte, identificata con la cessazione delle funzioni vitali e dalla morte discende l’apertura della successione nonché l’obbligo di lutto (periodo in cui la vedova non può risposarsi). Rilevante per il diritto è stabilire l’ordine temporale dei decessi: quando in uno stesso evento siano decedute più persone e non sia accertabile con quale ordine, operano alcune regole; si presumono sopravvissuti: • I genitori ai figli impuberi; • I figli puberi ai genitori; • (a fini dotali) il marito alla moglie; per l’accertamento della nascita e della morte non vigeva un sistema simile al nostro: solo a partire dal periodo imperiale venne in uso la denuncia della nascita e con sola funzione probatoria (compiuta davanti ai magistrati e registrata). L’esistenza della persona fisica è un requisito necessario ma non sufficiente perché si abbia un soggetto di diritto. Le condizioni per la capacità giuridica sono: 1) Appartenenza allo status di libero; 2) Appartenenza allo status di cittadino romano (diritto pubblico); 3) Non sottoposto ad alcuno in ambito familiare (essere cioè sui iuris o pater familias). Il concetto di “capitis deminutio” (intraducibile) indica la perdita delle condizioni per la capacità giuridica e presenta 3diverse gradazioni: • Massima  un soggetto libero diventa schiavo (diventa oggetto di diritto); • Media  perdita della cittadinanza (irrogazione di una pena criminale); • Minima  cambiamento dello status familiare (caso di adozione o rinuncia del pater familias). Con il concetto di persona giuridica si intende un centro di imputazione di diritti e doveri: sono persone giuridiche le corporazioni e le fondazioni: • Corporazione: è la persona giuridica su base associativa, in cui più persone sono riunite per una funzione o uno scopo in una entità, i suoi diritti e doveri sono considerati distinti da quelli dei componenti. La corporazione vive autonomamente rispetto alle singole persone che la compongono; in vista del perseguimento di interessi collettivi, si presero in considerazione singole tipologie associative: 1. Il popolo romano  ente su base associativa, titolare di diritti e conclude negozi; 2. Gli enti cittadini  civitates, municipia e coloniae distinti da dimensione privatistica; 3. I collegi  sono prodotti dalla volontà dei singoli di costituire associazioni con capacità di diritto privato. Per la loro costituzione bastano 3persone. • Fondazione: è il patrimonio senza titolare destinato ad uno scopo duraturo. L’eredità giacente è il patrimonio ereditario in attesa della persona cui spetta. In varie fonti viene considerata come titolare di diritti e nel Digesto si afferma che essa sta in posto di una persona come un ente territoriale, come il municipio (patrimoni lasciati per spirito di liberalità ai vescovi per scopi assistenziali). 2. La schiavitù: La principale distinzione delle persone delle persone (Gaio e Giustiniano) è quella tra: • Uomini liberi  sono considerati soggetti di diritto, si dividono in: 1. Ingenui: sono quelli nati liberi; 2. Libertini: sono quelli liberati dalla schiavitù; • Schiavi  considerati oggetti di diritto ma inesistenti sul piano giuridico (sono oggetto di disposizione da parte del padrone). NB: Giustiniano sostiene che, per natura, tutti gli uomini sarebbero posti in una condizione di eguaglianza; è il diritto comune a tutti i popoli ad imporre la schiavitù contro natura (prodotta dalle guerre) ma convinzioni diverse sono proposte da altri pensatori: • Sofisti: rimarcano l’eguaglianza naturale di tutti gli uomini; • Stoici: sono contrari alla condizione servile sottolineando che è la fortuna a determinare la diversità tra gli uomini e non una condizione intrinseca (Seneca  condizione di Pietà); Condizioni dello schiavo  gli schiavi sono in potere dei padroni, che su di loro esercitano la potestas cosiddetta dominica (per distinguerla da quella sui parenti, patria) che implica il diritto di vita e di morte sugli schiavi. La condizione servile si precisa in relazione alle varie epoche ed è determinata principalmente da 2fattori: il N° degli schiavi in circolazione e il livello di tensione nel rapporto con i padroni: • Periodo antico  gli schiavi sono pochi, vicini ai loro padroni; il trattamento è mite e la loro posizione non si differenzia molto dagli altri sottoposti; • Fase di espansione  in seguito alle grandi vittorie affluiscono a Roma e in Italia schiavi in enorme numero, differenti per razza, religione e tendenze. Non sono assimilabili ai padroni, costituiscono una assoluta necessità per l’economia ma contemporaneamente rappresentano una minaccia per la tranquillità e l’ordine sociale. Significativo è il Senatoconsulto Silaniano, 10 d.C. che dispone la tortura e il supplizio degli schiavi dimoranti sotto lo stesso tetto, nell’ipotesi che il padrone sia perito di morte violenta; • Età dell’impero  si registra una progressiva tendenza a ridurre gli eccessi dei padroni e a mitigare la condizione servile (es: divieto uso schiavi per attività di circo). Vi è un atteggiamento più benevolo nei confronti degli schiavi. • Periodo cristiano  si vieta la prostituzione degli schiavi, si dà rilevanza ai vincoli di sangue che li legano e non si consente la separazione delle famiglie. Si registra una diminuzione del N° di schiavi e nasce il colonato, premessa alla servitù della gleba. Per Giustiniano la servitù è una cosa sgradevole ma inevitabile e favorisce l’acquisto della libertà (favor libertatis): una legge che prevede che la libertà, operata da uno solo dei comproprietari dello schiavo, lo libera, spettando agli altri solo l’indennizzo, perché prevale sui loro diritti di proprietà. Anche se gli schiavi sono considerati cose, essi possono sempre comportarsi alla stregua di un uomo soggetto di diritto: • Se lo schiavo si rende colpevole di un crimine, lesivo di un pubblico interesse, gli sarà inflitta una pena più grave rispetto a quella riservata ad un uomo libero; • Se commette un delitto, che lede un interesse privato, al pagamento della pena sarà tenuto il padrone, che potrà liberarsi consegnando il colpevole al soggetto leso; - Nel campo del diritto pubblico: esclusione dal senato e alcune cariche nonché incapacità in ordine al matrimonio con alcune classi di persone; • Nei confronti del padrone: sul piano personale, gli deve ossequio, onore e riverenza e non gli è concesso di intentare determinate azioni contro di lui. È considerato quasi come un padre. sul piano patrimoniale il liberto è tenuto a opere donativi prestazioni già conseguenza di obbligo morale ma anche giuridicamente imposti con giuramento o stipulazione al momento della manumissione. Infine il patrono ha, in assenza di discendenti, un diritto di successione sui beni del liberto. Tra la condizione di libertino e ingenuo non c’è comunicabilità però in età imperiale si affermano modi di attribuzione dell’ingenuità vera o fittizia: 1) L’imperatore concede il ius aureo rum anulorum (diritto agli anelli d’oro), per cui i libertini possono portare gli anelli, distintivo dell’ordine dei cavalieri; 2) La natalium restituito (ricostruzione della nascita) concessa dall’imperatore, mette il libertino nella condizione di chi è nato libero, liberandolo dagli obblighi del patronato. Nelle novelle Giustiniano affronta il rapporto tra libertini e ingenui; l’imperatore decide la loro attribuzione automatica al momento della manumissione, ora la libertà implica l’ingenuità. Restano pertanto gli obblighi del liberto verso il patrono e i diritti di successione. 4. La Cittadinanza: è cittadino romano chi è membro della comunità politica romana in cui vige lo Ius civile (diritto proprio dei romani); infatti gli stranieri sono ammessi a fruire unicamente del diritto delle genti. Lo status di straniero è riservato inizialmente a chi non avesse cittadinanza romana e comporta alcune limitazioni: non può fare testamento né contrarre matrimonio civilmente valido. Può però concludere con un cittadino romano una compravendita (contratto di ius gentium). La maggior snellezza degli istituti del ius gentium e le esigenze dei traffici ne favorirono la diffusione che venne riconosciuto anche nei rapporti fra romani. La contrapposizione tra cittadino e non cittadino è temperata attraverso la concessione del commercium e del conubium: a) Commercium  attribuisce la facoltà di compiere negozi di diritto civile, legati alla mancipazione ; b) Conubium  permette di contrarre un matrimonio giusto e legittimo. Lo straniero (peregrinus) è un appartenente ad una comunità diversa dallo stato romano: 1) Se non vi è un rapporto pacifico con il suo paese egli non ha diritti e tutela; 2) Se è in rapporti pacifici è ammesso alla conclusione di negozi di diritto delle genti. Quando l’estensione delle conquiste di Roma porta questi popoli sotto il suo dominio, il termine straniero identifica l’appartenente ad una comunità soggetta a Roma: • Peregrinus  indica la condizione di un membro di una comunità che si è volontariamente sottomessa a Roma e che non acquistando la cittadinanza, mantiene la propria autonomia, le sue leggi e i suoi costumi; • Peregrinus dediticio chi ha lottato contro Roma e poi si è arreso, libero ma non autonomo e gravato da alcune limitazioni; • Schiavi  chi ha lottato contro Roma ed è stato vinto con la forza. Latini  si trovano in una condizione intermedia tra i romani e gli stranieri, di privilegio, perché hanno il commercium e il conubium. Successivamente concesso anche alle colonie di Roma. Nel periodo imperiale diventa cittadino romano il latino che abbia servito a Roma per un certo numero di anni nel corpo dei vigili, abbia per anni portato frumento a Roma, abbia speso metà del suo patrimonio per edificarvi una casa. Il provvedimento di Caracalla sposta il criterio di attribuzione della cittadinanza a livello territoriale, l’uguaglianza politica è il primo passo verso uno stato assoluto (sudditi). Si è cittadini per nascita ma si pone il problema dello status e del tipo di unione dei genitori; se i genitori sono entrambi romani, tra i due non può che esservi matrimonio legittimo e il figlio sarà cittadino romano. Diverse soluzioni discenderanno da un cittadino romano e uno straniero, dalla casistica si estrae la regola del diritto delle genti: se il matrimonio è legittimo, il figlio segue la condizione del padre al momento del concepimento, se l’unione non è legittima il figlio segue la condizione della madre al momento del parto. Per le unioni tra cittadini romani e latini e tra latini e stranieri si segue lo stesso principio. 5. Sui iuris e Alieni iuris: La condizione di libero e di cittadino non è ancora sufficiente per l’attribuzione della piena capacità di diritto privato. Occorre anche che l’individuo sia in posizione di soggetto autonomo e non di sottoposto ad un potere familiare. Entrambe le divisioni abbracciano la totalità di persone; gli alieni iuris, soggetti a potere altrui, possono essere liberi sottoposti alla patria potestà oppure schiavi assoggettati all potestas dominicia del padrone. Alle persone libere alieni iuris è negata, in grado variabile a seconda delle epoche, la piena capacità di diritto privato. Nel diritto classico, sono alieni iuri le persone libere soggette a patria potestà, mano e mancipio mentre nel diritto giustinianeo restano solo i soggetti a potestà. Sono giuridicamente autonomi quelli che non sono soggetti al potere altrui: - Il pater familias è il maschio non soggetto al potere del padre o dell’avo, che abbia o non abbia sottoposti, sia o meno capace di agire; - La donna può essere giuridicamente autonoma, nonostante l’impossibilità di avere sottoposti onde essa è “l’inizio e la fine della propria famiglia”. Il termine famiglia ha una pluralità di significati: indica il patrimonio, il complesso degli schiavi e l’insieme di persone che per cause naturali o giuridiche sono soggette al potere di uno (pater familias): • Famiglia proprio iure  è costituita dall’insieme di persone attualmente sottoposte al potere del pater familias; • Famiglia communi iure  è composta da coloro che in origine sarebbero stati soggetti ad uno stesso pater familias se questi non fosse morto; danno origine a tante famiglie proprio iure. La parentela, secondo il diritto civile, passa attraverso la linea maschile e si dice agnazione (adgnatio); lega i sottoposti al potere del pater familias a lui e a loro in linea retta (padre, figli) e collaterale (fratelli). I passaggi che separano le persone tra loro sono detti gradi. Di solito al 6° o 7° grado si esaurisce il rapporto. NB: non vi è vincolo di agnazione con i discendenti in linea femminile. La cognatio, ovvero il vincolo di sangue, non è necessario per stabilire un rapporto agnatizio. L’adozione di un estraneo lo conduce tra i figli e gli crea in forza del diritto la condizione di agnato. La cognazione è: - Un impedimento al matrimonio; - Utilizzata dal pretore per allargare la successione ab intestato; - Gravata dall’obbligo degli alimenti nel periodo classico. Le persone alieni iuris possono essere di 3tipi in potestà, in mano e in mancipio: 1. In potestà  i discendenti, sia maschi che femmine in primo grado e i discendenti in grado ulteriore se procreati in linea maschile da persona soggetta a potestà; 2. In mano  sono le donne assoggettate in forza di un atto giuridico alla famiglia; 3. In mancipio  persone cedute da un pater familias a un altro per scopi diversi e che nella nuova famiglia vengono a trovarsi in condizione ibrida tra figlio e servo. 6. La patria potestà: è il rapporto di soggezione dei filii familias al pater familias, è esercitato su: - Figli procreati in legittimo matrimonio; - Figli acquisiti mediante atto giuridico (adozione); - Figli ricondotti allo stato di legittimi dopo la nascita attraverso un atto (legittimazione); - Tutti i discendenti di coloro che sono soggetti alla potestà. Questo rapporto, da un lato comporta poteri potenzialmente amplissimi del pater familias sul sottoposto, dall’altro offre a questi i vantaggi dell’appartenenza ad un gruppo, nonché le aspettative successorie. Il potere del pater discende direttamente dalle XII tavole e può essere riassuntivamente indicato con una formula: ius vitae et necis (diritto di vita e di morte). Il diritto del padre può essere scomposto in una serie di poteri che consistono nel diritto: 1) Di esporre (ius exponendi)  facoltà del padre di abbandonare in luogo pubblico il figlio; con Costantino l’espositore perde il figlio, mentre il raccoglitore è arbitro di determinarne lo status: di libero o di schiavo; più tardi Giustiniano fisserà per l’allevato sempre la condizione di ingenuo; 2) Di vendere  il pater può anche vendere i figli, anticamente la vendita aveva l’effetto di renderli schiavi; successivamente li poneva nella ibrida situazione di persone in mancipio; 3) Di dare a nossa  consiste nel consegnare un proprio schiavo colpevole di un illecito al terzo offeso in luogo della pena pecuniaria (non vale per i figli). In materia intervennero i censori, magistrati controllori del comportamento dei cittadini, al fine di frenare gli eccessi; più tardi, il ruolo di controllo passò all’imperatore. In questo periodo nasce ed acquista importanza il concetto di Pietas (amore, carità, affetto). Nel periodo postclassico la patria potestà verrà definita come dovere (officium). Costantino condanna l’omicidio del figlio come parricidio (uccisione di un parente stretto) infatti: - Viene punita l’uccisione del figlio senza un giustificato motivo; - L’uccisione di infanti è punita con la pena capitale, escluso il caso di nati mostruosi. Nell’ambito domestico si afferma che genericamente la punizione domestica non deve essere senza limiti, ma contenuta in un diritto di correzione, con l’uso di strumenti coercitivi mentre per le condanne a colpe gravi la pena è rimessa alla volontà del giudice; solo il diritto pubblico ha diritto di vita e di morte sui sudditi. La patria potestà permane fino alla morte del pater familias, salvo particolari fatti estintivi, qualunque sia l’età del figlio finché alla morte di quello i figli divengano sui iuris e patres, dando ognuno origine ad una familia ed inoltre la potestà romana spetta all’uomo e mai alla donna anche se emerge un pari dovere del figlio verso i genitori. Si ammette anche che la madre sostituisca il padre che non possa dare il suo assenso alle nozze del figlio. La patria potestà si estingue con la morte del pater familias (per lo scioglimento del rapporto) alla quale è equiparata la capitis deminutio massima e media che sono incompatibili con un rapporto fondato sullo ius civile; parimenti si estingue per la perdita della libertà o della cittadinanza da parte del figlio. Si rompe anche il rapporto potestativo per i flamini (sacerdoti) di Giove e le vestali. Nel diritto Giustinianeo ci si libera dalla potestà quando si raggiungono alte cariche come: il patriziato, l’episcopato, il consolato, la prefettura o il comando dell’esercito. Infine, la potestà può venir meno per atto volontario del pater mediante la mancipazione. Inizialmente non si poteva rompere definitivamente il rapporto potestativo; anche se venduto il figlio come schiavo ad un terzo, una volta manomesso, ricadeva sempre sotto la potestà del pater, potendo la potestà, essere superata solo mediante la vendita in un territorio straniero. Le XII tavole fissarono il limite delle 3vendite; dopodiché il figlio era da considerarsi libero dalla patria potestà. Mancipatio  il padre cedeva per 3volte il figlio ad un compare che, manomettendolo per 3volte lo rendeva libero. Di solito l’ultima manumissione era effettuata dal pater. Per figlie e nipoti bastava una sola cessione. 7. Gli aspetti patrimoniali: inizialmente i discendenti sono in una posizione pari a quella dei servi; non presentano patrimonio e anche per i figli funziona l’istituto del peculio. I figli possono inoltre essere preposti, come gli schiavi, ad attività negoziali che, a vantaggio dei terzi, coinvolgono la responsabilità del pater familias attraverso le azioni adiettizie. Durante l’ultimo periodo repubblicano la posizione dei figli comincia a differenziarsi rispetto a quella dei servi: acquistano la capacità di contrarre obbligazioni civilmente valide, produttive di azione, a differenza delle obbligazioni naturali che danno luogo solo alla soluti retentio; il figlio è quindi responsabile direttamente verso il terzo con cui ha contrattato però egli non ha un proprio patrimonio e se il pater non adempie spontaneamente la sua obbligazione, i creditori del figlio dovranno aspettare che alla morte del pater il figlio diventi sui iuris con un proprio patrimonio. All’inizio del principato gli acquisti compiuti dal figlio servendo la patria, l’imperatore o la fazione, devono andare allo stesso soldato (non al padre); nasce il peculio castrense (castra = accampamento) cioè il patrimonio acquistato dal figlio in qualità di soldato. Sotto Costantino l’autonomia del figlio è incrementata attraverso l’ampliamento dell’istituto del peculio e la nuova disciplina dei beni provenienti dalla madre (bona materna). L’imperatore dà il via ad una legislazione che considera alla stregua del peculio castrense tutto ciò che sia stato acquistato dal figlio cortigiano, avvocato, ecclesiastico o professionista (peculio quasi castrense). 2) Nelle istituzioni di Giustiniano  afferma che “nozze o matrimonio sono la congiunzione dell’uomo e della donna che implica un’inseparabile intimità di vita”. Il matrimonio ha una precisa funzione creatrice di discendenza (legittima) e da questo discende l’inesistenza del matrimonio dei castrati. Per la validità del matrimonio non è richiesta la consumazione o la capacità di procreare, basta il consenso, la volontà continua di persone conviventi di essere coniugi (maritalis affectio); esso è valido anche se poi non segua l’unione sessuale. Il matrimonio romano è caratterizzato dalla monogamia richiedendosi il perdurare del consenso; è considerato infame chi da rilevanza ad una pluralità di rapporti. Nel periodo più antico il matrimonio è inglobato nella manus mentre a partire dal III secolo a.C. si afferma l’idea di un matrimonio senza manus che emerge nella sua autonomia. Il matrimonio produttivo di conseguenze sul piano civilistico è solo quello “giusto e legittimo” che deve rispondere ai requisiti richiesti: - Età pubere delle parti  per il maschio è fissata a 14anni, per la femmina a 12anni; - Il loro consenso esplicito  questo requisito impediva al pazzo di contrarre matrimonio; - L’assenso di altre persone  ovvero il padre degli sposi. Per il maschio si richiede un consenso esplicito mentre per la femmina una non opposizione; - La presenza del conubium  che esiste se vi siano idonee condizioni relativamente alla cittadinanza e alla parentela. Impedimenti  il diritto classico richiede solo la presenza del conubium mentre il diritto ultimo richiede l’assenza di impedimenti che se nn rispettati si cade in una condanna per incesto: - Tra i parenti in linea retta (genitori, figli); - Tra parenti in linea collaterale (tra fratelli); - Tra zii e nipoti; - Tra cugini (vietati nel periodo postclassico, accolti con Giustiniano); - Divieti per affinità (il vincolo che lega un coniuge ai parenti dell’altro coniuge); - Vietato il matrimonio dell’adultera; - Vietato il matrimonio tra persone di rango senatorio e libertine; - Vietato il matrimonio tra un funzionario di provincia e una donna del luogo; - Vietato il matrimonio tra il tutore e la sua pupilla; - Divieti per motivi i militari; - Divieti per motivi religiosi (tra cristiani ed ebrei). Al di fuori dei divieti, il matrimonio si basa su una libera scelta ma tale libertà fu indirettamente limitata dalla legislazione di Augusto, determinata dall’esigenza di incrementare la popolazione romana. Dato che non si può imporre coercitivamente di sposarsi e far figli, le leggi devono ricorrere a meccanismi indiretti che operano sul patrimonio. Il matrimonio si scioglie per cause oggettive o per il venir meno della volontà dei coniugi: • Cause oggettive  in questo gruppo vengono in considerazione la morte e la capitis deminutio (la massima e la media sciolgono le nozze mentre la minima è ininfluente); • Dovuto alla volontà  in questo gruppo vengono in considerazione il divorzio (la volontà espressa di entrambi di far venir meno il rapporto) e il ripudio (la volontà di uno solo). Anticamente il divorzio non veniva praticato, nel diritto classico si incomincia a divorziare con facilità e con Giustiniano lo scioglimento del matrimonio può avvenire senza pena (mutuo consenso, pazzia o prigionia per 5 anni) o con pena (divorzi fatti senza causa). 11. Il regime patrimoniale: Dal matrimonio derivano conseguenze sul piano personale e patrimoniale: - Personale  in questo ambito, gli obblighi dei coniugi sono regolati dal costume e pongono le parti in posizioni disuguali. Le sanzioni per adulterio gravano solo sulla donna, la residenza è la casa del marito, il rango sociale è quello dell’uomo; - Patrimoniale  se il matrimonio è accompagnato dalla manus, la moglie assimilata ai figli, è priva di capacità; scomparsa la manus, la donna è sui iuris ed è titolare di un patrimonio di cui può disporre liberamente, stante un regime di separazione. La società coniugale comporta degli oneri economici che gravano sul marito. A questa necessità corrisponde l’istituto della dote, definito come il complesso dei beni apportati dalla moglie al marito al fine di sostenere i pesi del matrimonio mentre in età antica corrispondeva anche ad una liquidazione anticipata della quota ereditaria della donna rispetto alla famiglia di origine. Non esiste un obbligo giuridico di istituire la dote: è il costume a richiederla; può essere costituita in 3modi: 1) Datio  ha effetti reali e consiste nel trasferimento di beni in proprietà del marito attraverso gli atti traslativi del dominio; 2) Dictio  vede una dichiarazione del costituente che fa sorgere a favore del marito un diritto di credito (può essere compiuta solo dalla donna, da un suo ascendente o da un suo debitore mentre le altre da chiunque); 3) Promissio  consiste in una domanda e una risposta (stipulazione) e non in una dichiarazione unilaterale. 12. Concubinato e legittimazione: al momento della nascita i discendenti da nozze legittime entrano in potestà del padre ma è possibile che l’acquisto dello stato di legittimi e la conseguente attribuzione della patria potestà avvenga in un momento successivo (legittimazione). I figli di non cittadini non sono in potestà ma l’acquisto della cittadinanza posteriormente alla nascita può indurre l’ordinamento a riconoscere un rapporto potestativo, i casi sono enumerati nelle istituzioni di Gaio. Sotto Adriano è stabilito che se lo straniero ottenga la cittadinanza per sé e i figli, questi cadano in sua potestà solo se ciò venga espressamente disposto tramite istruttoria per cui per ottenere la potestà sono necessarie la richiesta e la concessione. In alcuni casi la patria potestà segue automaticamente all’acquisto della cittadinanza: - Nel caso in cui divenga cittadino un latino col figlio di 1anno; - Nel caso del singolo o della collettività cui venga attribuito il diritto di Lazio (ius latin). La Costituzione Antoniniana risolve il problema della cittadinanza. Infatti si prevede tale schema per l’attribuzione dello status: Legittimazione  i figli nati fuori dal matrimonio di cittadini romani si dividono in legittimi e illegittimi; legittimi concepiti da nozze legittime, seguono la condizione del padre e sono in sua potestà se questo è romano; illegittimi sono soggetti liberi nati da matrimonio illegittimo o qualsivoglia unione e assumono lo status della madre. Concubinato  è definita tale l’unione stabile di un uomo e di una donna, tra i quali non vi è l’intenzione di stabilire un rapporto coniugale; è modellato sul matrimonio infatti presuppone la convivenza e l’unione sessuale ma è assente il consenso tipico del matrimonio. Fu maggiormente regolato dal costume. Sotto Augusto, che moralizza i costumi, e reprime le relazioni extraconiugali il concubinato è punito: - Stuprum: consiste nell’unione con una donna vedova o nubile; - Adulterio: unione con una donna già sposata; - è inoltre vietata e punita l’unione con una donna libera (ingenua) nata fuori dal matrimonio. Si apre così una zona franca che vede il concubinato riconosciuto dal diritto ad identificare un’unione stabile che non è matrimonio ma che sottrae alle pene previste per l’adulterio e lo stuprum: il favore legislativo permise l’espandersi del fenomeno e la legislazione cristiana diametralmente si pose l’obbiettivo quanto possibile di ricondurlo in un matrimonio istituzionale. I figli naturali sono i nati da unioni stabili e vengono ora differenziati dagli altri illegittimi. La legittimazione permette appunto di ricondurre i figli concepiti in unione stabile fuori dal matrimonio (figli naturali) sotto la potestà del padre in un momento successivo alla nascita; nel diritto giustinianeo la legittimazione può avvenire tramite 3(+1)istituti: 1) il matrimonio  metodo pieno ed elettivo, si compie elevando a moglie la concubina tramite costituzione della dote basta che sussistano le condizioni necessarie; 2) Offerta alla curia  crea un rapporto tra padre e figlio (a fini successori); 3) Ricorso al rescritto imperiale  quando appare impossibile il successivo matrimonio e si rende necessario l’intervento del potere imperiale; 4) Per nuncupationem  attribuendo lo status di legittimo al figlio nominato come tale in un idoneo documento, purchè avuto da donna libera con cui fosse possibile contrarre matrimonio. 13. L’adozione: è un atto giuridico che consente l’aggregazione di un soggetto estraneo alla famiglia il quale viene posto allo stesso livello dei figli procreati in eguale sottomissione al pater. Nasce per esigenze di distribuzione di forza lavoro o a scopi politici. Se ne hanno 3forme: - In senso stretto  consiste nell’adozione di un individuo soggetto a potestà; è come se un padre subentrasse ad un altro nell’esercizio della potestà sul figlio. L’atto consta di 2momenti: 1) La rinuncia alla potestà del padre naturale (si utilizza l’emancipazione con il metodo delle 3vendite); 2) La rivendica dell’adottante di fronte al padre, con lo stesso meccanismo del finto processo (in iure cessio) usato per la manumissio vindicta. - Arrogazione  consiste nell’adozione di un individuo non in potestà di alcuno (un sui iuris) che può essere anche un pater familias con sottoposti e cospicuo patrimonio. La sua funzione è la fusione di 2famiglie, conseguente all’assoggettamento di un capo alla potestà dell’altro (è una delle ipotesi di successio tra vivi). È un istituto sottoposto al controllo da parte della civica (i pontefici indagano sull’opportunità dell’atto, convocano i comizi curiati ed interrogano il popolo). L’arrogazione ha come conseguenza l’acquisto all’arrogante di tutti i beni e i diritti dell’arrogato, eccettuato quanto viene meno per la conseguente capitis deminutio minima. - Testamentaria  i loro effetti giuridici si identificano nell’attribuzione del nome dall’adottante all’adottato (es quella compiuta da Cesare a favore di Ottaviano). Gli spadones per Gaio sono gli impotenti (sia per cause naturali, sia in seguito ad evirazione) e possono adottare, come anche il castrato. Nasce l’esigenza che l’adozione dovesse seguire la natura e i giuristi classici insegnano che ci può essere adozione solo tra le persone tra le quali vi può essere un rapporto in base alla natura, impongono che l’adottante sia anziano e stabiliscono una differenza di età (18 anni). A partire dal periodo tardoclassico fino a Giustiniano vi fu un evidente mutamento ideologico; l’arrogazione si attua ora attraverso il rescritto imperiale ed è mutata anche la forma dell’adozione che richiede la presentazione delle parti davanti al magistrato competente per le necessarie dichiarazioni. Inoltre gli impotenti per evirazione non possono adottare mentre quelli dovuti a cause naturali si. Infine con Diocleziano la donna può creare un rapporto di filiazione con un adottato a conforto di figli deceduti. Riforma dell’adozione di Giustiniano  L’adozione compiuta da un estraneo non ha l’effetto di attribuire la patria potestà all’adottante; il figlio resta sotto la potestà di chi lo ha generato, ma l’adozione gli attribuisce un diritto di successione legittima sui beni dell’adottante. In sintesi l’adottato: - Non cambia padre; - Guadagna un’aspettativa ereditaria. Non avendo effetti sul rapporto potestativo è detta “minus plena” in contrapposizione a un’adoptio plenissima che ha ancora gli stessi effetti traslativi della potestà ma che è utilizzata solo in casi eccezionali. 14. Tutela e cura: sono 2istituti utilizzati da quei soggetti ai quali non è riconosciuta la capacità di agire; Tutela  si applica agli impuberi (perché non hanno raggiunto un’età matura e devono essere guidati dagli altri) e alle donne (frutto di una scelta che fa riferimento alla inferiorità del sesso). Si possono distinguere 3tipi di tutela: 1) Tutela testamentaria  già prevista nelle XII tavole, viene disposta nel testamento in forma imperativa per il discendente che alla morte del testatore divenga sui iuris (do Tizio come tutore a mio figlio). La disposizione può essere sotto condizione o a termine; 2) Tutela legittima  deriva dalle XII tavole e secondo questa, all’impubere dovevano essere tutori gli agnati più vicini in grado (parenti in linea maschile). Giustiniano fissa i nuovi criteri per la successione legittima devolvendola ai parenti più vicini senza distinzione tra agnati e cognati: è chiamato alla tutela legittima il parente più vicino secondo il grado e l’ordine di successione. Ora la donna può esercitare la funzione di tutore legittimo (concessione solo per la madre o l’ava impubere e a2condizioni: che la donna non si risposi e che rinunci al senatoconsulto Velleiano). interviene se non per dichiarare la vittoria per desistenza dell’avversario o per mancata osservanza delle regole formali, non si pronuncia e non giudica; può imporre un break temporaneo. 2) Apud iudicem  ha come protagonista un iudex (giudice) o un arbiter quando occorre una particolare competenza che hanno il compito di emanare una sentenza; possono essere un organo pubblico oppure un privato scelto dalle parti. Il taglio tra le due fasi consiste nella litis contestatio che deriva da testis (testimone): con essa i contendenti invocano i presenti come testimoni dell’accordo sui termini del giudizio. Dopo la prima fase le parti devono comparire il giorno dopo davanti al giudicante per esporre i termini della lite e perorare la causa con le proprie argomentazioni; la protratta assenza di una parte fino a mezzogiorno ne comporta la soccombenza. Se i 2non fanno pace si discute la questione e tutto deve concludersi entro il tramonto. NB: la Sacramento in Rem tende al soddisfacimento già nella fase “in iure” per la difficoltà della controparte di contrapporsi validamente all’attore. 3. Le legis actiones dichiarative: La legis actio sacramento è la più antica e importante actio di legge dichiarativa. Oltre che di generale applicazione, Gaio la definisce pericolosa in quanto comporta per il soccombente il pagamento di una pena in conseguenza del sacramentum (giuramento che chiama gli dei come testimoni) che inizialmente consisteva in un numero di capi di bestiame, successivamente divenne in denaro. Può essere: - In rem  è l’azione volta all’affermazione contro qualcuno del diritto di proprietà su una cosa (è per i diritti reali). Perché il rituale di legge possa svolgersi, occorrono i contendenti davanti al magistrato ma è anche necessario che in tribunale sia portata la cosa (o persona) oggetto di controversia. Chi rivendica la cosa come sua deve rispettare una ritualità gestuale e verbale (secondo il diritto dei Quiriti) e toccare con una bacchetta, segno di dominio, l’oggetto. La controparte deve a sua volta compiere l’opposta affermazione potestativa per evitare che il pretore aggiudichi la cosa a chi l’ha rivendicata. A questo punto il giudice ordina il break e l’attore e il convenuto giungono al momento decisivo del sacramentum. La cosa viene provvisoriamente assegnata a uno dei 2che deve garantire per la restituzione ed entrambi si obbligano, a pagare la somma all’erario in caso di soccombenza. Successivamente, dopo la litis contestatio il processo continua in apud iudicem e il privato, udite le ragioni delle parti e raccolte le prove si pronuncia non sull’appartenenza della cosa ma sul carattere giusto o ingiusto del sacramentum; - In personam  è l’azione con cui si fa valere un diritto di credito, con la quale si pretende una prestazione da una persona determinata. L’attore pronuncia parole volte ad affermare l’esistenza del credito, chiedendo al convenuto di ammetterlo o di negarlo. Se questi lo ammette si aprirà a suoi danni il processo di esecuzione; se nega verrà provocato dalla controparte al sacramentum. Il non prestarlo sarà come ammettere il debito; ma se il sacramentum verrà prestato, il seguito del procedimento sarà modellato, sul caso della legis actio in rem. NB: anticamente chi proponeva il sacramentum era veramente convinto di essere nel giusto; era una prova molto forte, segno di verità. Con l’evoluzione questo valore è andato perduto e si poteva incorrere in un’offesa al clero; cosa molto sentita e grave. Meno antica della precedente, ma già presente all’epoca delle XII tavole è la legis actio per iudicis arbitrive postulationem (per richiesta di un giudice) che è caratterizzata da un ambito di applicazione più specifico: 1. Crediti derivanti dal contratto di stipulazione; 2. Divisioni di eredità; 3. Divisioni di cose comuni. Un aspetto tipico di questa legis actio è l’assenza del rischio di assoggettamento a pena in caso di soccombenza, nessun giuramento o scommessa: nel caso di stipulazione, l’attore affermava il proprio credito, chiedendo al convenuto di ammetterlo o di negarlo, al rifiuto, l’attore, rivolto al pretore e all’avversario, chiedeva la nomina di un giudice o di un arbitro. Il contraddittorio di fronte al giudice è implicito, la fase “in iure” serve all’introduzione del procedimento. La legis actio per condictionem fu introdotta nel III secolo a.C.per i crediti aventi ad oggetto una somma determinata di denaro e successivamente fu estesa ai crediti di qualunque cosa determinata. Anche qui l’attore, affermato il credito, chiedeva al convenuto di ammetterlo o di negarlo: in caso di negazione, egli intimava al convenuto di ritrovarsi in iure dopo 30 giorni per ricevere un giudice. L’utilità di questa actio sta nella possibilità, per le fattispecie non coperte dalla legis actio per iudicis arbitrive postulationem, di agire senza il rischio della pena. 4. Le legis actiones esecutive: La legis actio per manus iniectionem è normalmente conseguente ad un processo di cognizione ai fini della soddisfazione del vincitore nel giudizio; se ne distinguono 2diversi tipi: 1) Manus iniectio iudicati  (conseguenza del giudicato) è rivolta verso una persona ed ha una funzione intimidatoria e solo eventualmente uno scopo di reintegrazione patrimoniale. Si presuppone una sentenza di condanna cui l’obbligato non abbia ottemperato entro i 30 giorni prescritti. Il condannato è colui che abbia riconosciuto in iure valida la pretesa dell’attore. Decorsi i termini il vincitore nel giudizio trascina l’inadempiente in tribunale e davanti al magistrato pronuncia parole solenni e afferra una parte del suo corpo. La dichiarazione solenne è volta alla pubblica legittimazione dell’azione e l’apprensione significa che da quel momento la persona del debitore è alla mercé dell’attore. Il convenuto infatti non poteva fare altro che offrire un iudex che pagasse o contestasse il diritto dell’attore; in caso contrario egli cadeva nella condizione di persona in potere di altri; 2) Manus iniectio pro iudicato  (in luogo di giudicato) in questo caso la legittimazione alla procedura esecutiva è data non da una sentenza ma da un credito privilegiato che si considera come un titolo esecutivo in quanto la certezza del credito equipara la situazione alla pronuncia giudiziale; 3) Manus iniectio pure  in cui l’attore, pronunciando la formula non fa riferimento al giudicato e in cui al convenuto è consentito di difendersi da solo, senza richiedere l’intervento del vindex. Può egli stesso contestare le pretese avversarie. L’altra legis actio esecutiva è quella per pignoris capionem (per presa di pegno) e ha la particolarità di non fondarsi su una sentenza di condanna. L’esecuzione avviene esclusivamente in forza della titolarità di crediti privilegiati. La natura del credito fa si che il titolare possa intraprendere una procedura tesa a forzare il debitore all’adempimento e, in difetto, ad acquistare i beni. Questa legis è specifica e ha carattere patrimoniale, indirizzandosi ai beni del debitore. Inoltre si connota formalmente soltanto attraverso la pronuncia di parole solenni e il presupposto per il suo esperimento sono crediti fondati su un interesse di natura sacrale, fiscale e militare. L’azione si compie impossessandosi dei beni del debitore. Nessuna procedura e nessun contraddittorio: si richiede soltanto la pronuncia, durante l’impossessamento, di parole determinate. 5. Dalle legis actiones al processo formulare: Gaio collega la scomparsa delle legis actiones alla loro caratteristica peculiare: il formalismo, talmente esasperato da condurre alla perdita della lite per l’utilizzo di un termine nella singola fattispecie ancor più adeguato ma non previsto. Il declino del sistema tuttavia, non fu dovuto esclusivamente ai suoi limiti intrinseci, ma al combinarsi di questi con l’esigenza di provvedere alla giurisdizione nei confronti di stranieri cui quel meccanismo, che si basava sullo ius civile, era inaccessibile. Nel sistema delle legis actiones si possono dunque distinguere: - Limiti interni  che condizionano gli stessi cittadini romani; - Limiti esterni  che ne impediscono lì applicazione nei rapporti con i peregrini. A partire dal III secolo a.C. a chi voleva agire in giudizio a difesa di un proprio diritto assoluto poteva ricorrere alla legis actio sacramento in personam ma attraverso un nuovo procedimento: l’agere per sponsionem (agire mediante promessa). Il rapporto obbligatorio nascente dalla sponsio sul quale si può innestare il procedimento per iudicis postulationem. L’attore che rivendica si fa promettere dal possessore una somma per il caso che riesca a dimostrare il diritto di proprietà sulla cosa; è la sponsio praeiudicialis (promessa pregiudiziale). Sulla base della promessa la parte viene citata con la legis actio sacramento in personam o con quella per iudicis postulationem. I vantaggi rispetto alla sacramento in rem sono: • Il rischio di penale è solo per il convenuto; • Non è necessaria la presenza della cosa in giudizio; • Non vi sono problemi di possesso interinale. Purtroppo questi interventi, muovendo solo l’interno del sistema non ne eliminano l’applicabilità solo a situazioni previste dallo ius civile. Lo strumento dell’evoluzione del processo romano sarà il pretore, alla cui attività di giurisdizione si deve la nascita del nuovo sistema processuale: il sistema formulare; il magistrato, in caso di lite tra un romano e uno straniero, rinviava ad altri, giudici o arbitri, la soluzione della controversia ma per questo doveva fissare, in quanto organo giurisdizionale, delle regole, inviate come promemoria per la decisione della controversia, ai decidenti. Questo promemoria, è la matrice della formula. La nascita della formula è da ricondurre al pretore urbano, ma la diffusione e lo sviluppo sono dovute al pretore peregrino (che utilizzava lo ius gentum). Per parecchio tempo si avrà una coesistenza fra i 2sistemi processuali: - Per legis actiones  davanti al pretore urbano nel caso di lite fra cittadini romani; - Per formulas  davanti al pretore peregrino per liti tra stranieri, stranieri e romani ma anche per le liti tra soli romani e su regole non impostate sul diritto civile. 6. Caratteri e svolgimento del processo formulare: mentre il processo per legis actiones ruotava attorno ai certa verba (parole solenni), il nuovo processo formulare prende denominazione e corpo dalle formule. La formula è un contesto di parole mediante il quale il magistrato rinvia al giudice la decisione della causa; presuppone l’accordo delle parti sui termini della controversia e la rappresenta in un modo schematico. Rimangono le 2fasi fondamentali: 1) In iure  ora i contendenti collaborano con il magistrato per fissare nello schema formulare i termini della questione che deve essere sottoposta al giudice (scelto di comune accordo delle parti). Il pretore ora non è più un mero controllore della forma, bensì ha il potere, oltre che di concedere il giudizio, di creare e adattare le formule ai casi di specie. Alle formule corrispondono le actiones esperibili dall’attore; a fianco dell’oralità compare la scrittura: il formalismo ora è solo funzionale alle esigenze del processo. La chiamata in giudizio del convenuto non è più sorretta dall’uso della forza, il pretore utilizza uno strumento coattivo di totale o parziale spossessamento. Sulla fase iniziale del processo si innesta il vadimonium, promessa formale (tramite stipulatio) rafforzata eventualmente da garanti, del convenuto di ripresentarsi dopo la prima udienza che si trasforma presto in un accordo preliminare con cui il convenuto promette di comparire nel giorno fissato. Comparse le parti innanzi al magistrato, l’attore enuncia la propria pretesa, compie cioè l’editio cationi e il convenuto risponde sempre nel rispetto della formula; Litis contestatio  è la parte finale della prima parte e che apre quella decisionale: è l’accordo delle parti sui termini della controversia; tuttavia in alcuni casi eccezionali non si arriva alla litis contestatio: - Convenuto che non collabora (indefendsus); - Riconoscimento della pretesa dell’attore davanti al magistrato (confessio in iure); - Giuramento davanti al magistrato che tronca il processo (chi giura vince). 2) Apud iudicem  in questa fase si va di fronte al giudice, scelto dalle parti, che può essere un privato cittadino oppure un collegio giudicante per le questioni di interesse pubblico. Al giudice spetta il compito di accertare quanto nella formula si presenta “ipotetico e alternativo”. Lo schema scritto che gli viene sottoposto gli propone l’enunciazione di una pretesa dell’attore e l’obiezione del convenuto che richiedono una verifica e lo strumento sta nelle prove: saranno queste a decidere. Le prove testimoniali e documentali non sono soggette ad una precisa gerarchia; le prime sembrano aver maggior peso e l’onere della prova del diritto vantato spetta all’attore. Sulla base delle prove adotte, il giudice valuta e decide liberamente. Lo sbocco conclusivo di questo stadio e di tutto il processo è la sentenza (significa parere) che è inappellabile e risolve definitivamente la lite. 7. Le parti della “formula tipo”: All’interno delle formule sono identificabili varie parti che adempiono a funzioni diverse e anche se le formule sono diverse, esse presentano tipologie e intelaiature comuni. Gaio, nelle Istituzioni enuncia 4parti della formula: 1. Demonstratio (esposizione del fatto)  indica il fatto che origina la controversia; serve quando l’intentio, per la sua genericità, non sarebbe sufficiente. L’esposizione del fatto errata generalmente non nuoce se non nelle formule in facto conceptae (costruite sul fatto); 11. Le procedure esecutive: per l’esecuzione del processo formulare è predisposta una apposita actio iudicati (funzione specifica) che deve portare alla realizzazione della sentenza di condanna che stabilisce a carico del soccombente l’obbligo di pagare una somma di denaro ma se il debitore non adempie, si procede con la in ius vocatio e a questo punto egli può o ammettere l’esistenza del debito da giudicato o negarla: - Se ammette il debito si apre la procedura esecutiva che può essere sulla persona (uso della manus iniectio) o sul patrimonio (detta bonorium venditio): l’esecuzione patrimoniale si apre con la missio in bona con cui l’attore viene immesso nel patrimonio del condannato a scopo conservativo e continua con la pubblicizzazione della procedura esecutiva al fine di farla conoscere a tutti gli eventuali creditori ed infine si passa alla vendita all’asta in cui i beni sono aggiudicati a chi abbia promesso di pagare i creditori nella percentuale più alta. L’acquirente succede in blocco in tutti i rapporti, attivi e passivi che facevano capo al debitore (successione tra vivi); - Se nega il debito, dato che l’actio iudicati appartiene alle azioni miste egli può incorrere in una pena doppia. Alla procedura della bonorium venditio successivamente si affiancò un sistema meno gravoso per il debitore in quanto non comportava né l’umiliazione dell’esecuzione personale né l’infamia susseguente alla vendita dei beni; può beneficiarne il debitore che, nonostante l’accaduto, appaia senza colpe particolari: egli può ottenere dal pretore di farsi da parte rinunciando ai suoi beni (cessio bonorium) a favore dei creditori. Infine, per casi particolari venne poi introdotta, prima dal pretore, poi da un senatoconsulto, la procedura della bonorium distractio che concerne gli incapaci senza rappresentante (l’impubere erede) e gli appartenenti a famiglie senatorie. In questo caso si nomina un curatore al fine di una vendita dei beni non in blocco ad un singolo acquirente, ma singolarmente, alla spicciolata. 12. L’avvento della cognitio extra ordinem: si tratta di un giudizio al di fuori del precedente sistema (che sarà soppiantato). La sua caratteristica fondamentale è che le questioni si svolgono dall’inizio alla fine davanti al magistrato che decide la causa direttamente, senza possibilità di intervento delle parti. Per le origini si parla di cognitiones, cioè di una pluralità di processi che solo successivamente, affermatesi regole comuni si trasformerà nella cognitio extra ordinem. Già nel sistema formulare il magistrato prendeva l’iniziativa, tentando di risolvere, seppur non con una sentenza, la questione da un punto di vista sostanziale: questi nuovi processi si diffusero nelle province, dove non si seguiva il processo formulare. Infine, un punto fermo è dato dalla correlazione fra l’assetto politico-costituzionale e la nuova procedura; tra le varie attribuzioni il princeps ha quella di decidere le cause: La sua auctoritas lo solleva al di sopra della costituzione repubblicana consentendogli non solo di legiferare ma anche di risolvere le questioni in sede giurisdizionale. L’evoluzione porta le varie cognitiones sotto un modello unitario, in alternativa al preesistente (e ormai in declino) sistema formulare. 13. Caratteri del processo ultimo: La cognitio si presenta come istituto sostanzialmente unitario nel periodo postclassico e giustinianeo ed emerge la volontà di realizzare nello svolgimento del processo un ideale astratto di giustizia che si scontra con la realtà di un sistema corrotto e vessatorio, con procedimenti costosi ed estenuanti. La struttura del processo è incentrata sull’unitarietà del processo, la divisione delle fasi in iure e apud iudicem è scomparsa e la funzione del magistrato-giudice è ormai quella di funzionario inserito in un sistema burocratico che vede al vertice della gerarchia l’imperatore; egli ha vasti poteri nella conduzione del processo, ed ha ai propri ordini degli ausiliari che con la forza impongono le sue disposizioni tuttavia si comprime la sua autonomia decisionale in quanto è soggetto alla legge. Il controllo dell’attività del giudice si riflette anche nell’irrigidimento dei meccanismi probatori: si definiscono i criteri sull’onere della prova (fatti provati da coloro che ne hanno interesse) e tra le prove si stabilisce una gerarchia che privilegia la prova documentale a quella testimoniale; si fissa la regola secondo cui un solo testimone è come nessun testimone e si vincola la valutazione del giudice alle prove “legali”. La sentenza ora è sotto l’autorità del potere pubblico, si tratta del comando di un magistrato il cui rispetto è direttamente assicurato dallo stato; deve essere redatta per iscritto e letta dalle parti; la decisione deve essere accompagnata dalla motivazione. Diversamente dal processo formulare la condanna non deve per forza consistere nel pagamento di una somma di denaro ma può anche imporre al convenuto un comportamento specifico. La lunghezza dei processi è uno dei grandi limiti del sistema burocratico della cognitio: per questo Giustiniano impone, per la pronuncia della sentenza, un termine di 3anni. Il sistema della cognitio è strettamente legato all’appello, comparso subito come prerogativa dell’imperatore, al processo formulare questa caratteristica era sconosciuta per il carattere arbitrale della decisione: lo iudex era un privato al cui parere le parti si sottomettevano. Nella cognitio il giudice viene imposto, ma essendo il suo l’ufficio di un funzionario, è possibile un riesame da parte di chi lo sopravanza nell’ordine delle carriere. I gradi possono essere fino a 3 ma dopo 2 sentenze sfavorevoli, l’appello non è più consentito. Esauriti tutti i rimedi, la sentenza passa in giudicato. In questo nuovo processo esistono ancora le actiones che sembrano apparentemente immutate, individuate singolarmente e classificate in categorie ma nella realtà esse non sono altro che il diritto di far valere in giudizio la pretesa che si specifica in tipologie descrittive. Delle vecchie divisioni rimangono: • Azioni temporanee e perpetue  le prime di durata annuale e le seconde non più illimitate ma sottoposte ai normali termini di prescrizione per cui le azioni si estinguono per il decorso di 30anni o di 40anni se si tratta di beni delle chiese o di venerabili luoghi; • Nasce una nuova categoria di azioni, definite miste; le azioni divisorie (per la divisione dell’eredità e delle cose comuni) e l’azione di regolamento di confini. Sono ritenute miste in quanto al tempo stesso reali e personali. La scomparsa della formula ora influisce sull’operatività della eccezione, l’arma di difesa del convenuto: essa consiste in qualunque obiezione del convenuto alle pretese dell’attore. 14. I nuovi procedimenti: la nuova rilevanza del potere pubblico nel processo civile si avverte sin dall’inizio del procedimento. Nel IV secolo è in vigore la litis denuntiatio con la quale l’attore redige una citazione scritta che invita la controparte a comparire in tribunale; l’atto autorizzato dal giudice, va successivamente notificato e da quel momento decorrono i termini per la comparizione. Dalla metà del V secolo la litis denuntiatio viene sostituita dal libellus conventionis, un documento scritto, redatto e firmato dall’attore, con cui questi espone la pretesa e non indirizzato all’avversario ma al giudice competente perché prenda l’iniziativa di convocare la controparte (il termine di comparizione è deciso dal giudice). Il convenuto che non intenda cedere alla pretesa dell’attore risponde nei termini con il libellus contradictionis in cui confuta le pretese avversarie e fa valere il proprio punto di vista garantendo anche la comparizione in giudizio. La comparizione del convenuto e dell’attore, non sono tuttavia necessarie allo svolgimento del processo (come avveniva in quello formulare) e la mancata comparizione del convenuto dopo 3intimidazioni dell’exsecutor non impedisce che il processo si svolga in sua assenza (in contumacia). Venute di regola le parti davanti al giudice, il normale svolgimento prevede la contestazione della lite (litis contestatio) che consiste nella narratio dell’attore e nella contradictio del convenuto nei termini della lite. SCHEMA DEL NEGOZIO GIURIDICO 1. Nozione ed elementi essenziali: Fatto giuridico è ogni evento produttivo di effetti giuridici, dovuto alla natura o all’uomo mentre atto giuridico è un evento dal quale il diritto fa discendere degli effetti giuridici a condizione che l’evento sia stato prodotto dalla volontà umana senza però la volontà specifica, l’intenzione di arrivare a quel particolare effetto; gli atti giuridici si distinguono in leciti (negozio giuridico) e illeciti (crimini e delitti). Infine il negozio giuridico è definito come un evento dal quale discende un effetto giuridico a condizione che sia stato prodotto dalla volontà umana per raggiungere intenzionalmente quel determinato effetto; è composto da alcuni elementi: 1) Soggetti  il soggetto o i soggetti che danno vita al negozio devono essere, secondo la nostra terminologia, “capaci di agire” (limitata da età, sesso, deficienze psicofisiche o particolari condizioni); 2) Volontà  si manifesta nella dichiarazione che non deve per forza essere sempre compiuta personalmente potendosi utilizzare un intermediario, il nuntius, il cui compito è solo quello di comunicare la volontà del soggetto; diverso è il caso della rappresentanza, per cui ad altri è affidata, dalla legge o dalla volontà del titolare, non solo la manifestazione di volontà ma anche la sua stessa determinazione: può essere diretta o indiretta a seconda che gli effetti dell’atto compiuto dal rappresentante si producano direttamente nella sfera giuridica del rappresentato oppure del rappresentante; 3) Forma  è il modo con cui le dichiarazioni negoziali si manifestano nella realtà esterna. La forma è presente in qualunque negozio, infatti la distinzione tra negozi formali e non formali non è fondata sulla sua presenza o assenza ma sulla necessità o meno di seguire una forma obbligatoria; 4) Causa  è il fine perseguito, la ragione d’essere oggettiva del nel negozio (scambio di cosa con prezzo nella compravendita) che non va confusa con i motivi individuali che spingono il soggetto all’atto. La nozione di causa è rilevante perché in relazione ad essa si pone la distinzione tra negozi causali (dove il fine è essenziale all’atto ed è reso palese dal compimento del medesimo) ed astratti (dove la causa non emerge dal negozio ma dalla stessa si prescinde) sono negozi astratti la mancipatio, la stipulatio e in iure cessio. C’è uno stretto rapporto tra astrazione e formalismo; i negozi astratti appartengono generalmente al novero dei negozi formali: l’osservanza delle forme prende il posto della causa e cela il fine nella solennità. Sempre con riferimento alla causa, è rilevante la distinzione fra negozi tra vivi (inter vivos) e negozi a causa di morte (mortis causa); i primi contemplano un risultato pratico da realizzarsi in vita delle parti; i secondi, al contrario sono finalizzati ad attuare un regolamento di interessi che diviene operante dopo la morte del loro autore. Ha una chiara attinenza causale anche la distinzione tra negozi a titolo oneroso (dove la prestazione di una parte trova giustificazione nella controprestazione dell’altra) e a titolo gratuito (dove al sacrificio di una parte non ne corrisponde uno analogo dell’altra). 2. Elementi accidentali: sono clausole aggiuntive che modellano il negozio in concreto per adattarlo alle esigenze delle parti: - Leges privatae  dichiarazioni unilaterali di privati in seno a negozi solenni, fuori dallo schema tipico dell’atto come la clausola con cui il padre impone che la figlia da lui trasferita in mancipio ad altri gli venga rimancipata; - Pacta  convenzioni atipiche che valgono in quanto accessori di un negozio principale; - Condizione  fa dipendere gli effetti del negozio da un evento futuro e incerto, può essere: • Sospensiva, quando al verificarsi dell’evento consegua il prodursi degli effetti; • Risolutiva, quando al verificarsi dell’evento consegua il cessare degli effetti; • Positiva, riferita al verificarsi di un evento; • Negativa, connessa al suo non verificarsi; infine si distinguono tra causali, potestative e miste a seconda che dipendano dal caso o dalla volontà della parte che ne trae vantaggio o da entrambe le cose. La condizione impossibile invalida il negozio e la condizione illecita, se apposta ai negozi tra vivi ne determina l’invalidità, mentre per gli atti di ultima volontà, si considera come non apposta. DIRITTI REALI E POSSESSO 1. Generalità: Si dicono reali i diritti soggettivi assoluti che hanno diretta incidenza sulle cose, implicando una immediata possibilità di intervento sulle stesse. Tra i diritti reali occorre isolare il diritto di proprietà (ius in re) caratterizzato dal contenuto più ampio e soprattutto l’unico in grado di porsi come autonomo. Tutti gli altri sono diritti reali su cosa altrui (iura in re aliena) e presuppongono perciò che altri sia il proprietario della cosa sulla quale si esercitano, determinando restrizioni più o meno ampie nel campo delle facoltà del proprietario stesso (sono anche detti parziari o minori). Tra questi ultimi si suole distinguere tra i diritti reali di godimento (servitù prediali, usufrutto, uso, abitazione, superficie e enfiteusi) e diritti reali di garanzia (pegno e ipoteca). Parlando dei diritti reali su cosa altrui si parla di tipicità e, più precisamente, di numero chiuso, nel senso che i cittadini non potevano crearne di nuovi. 2. Le cose: nel nostro ordinamento la cosa viene in rilievo sotto il punto di vista economico e su tale piano è dotata di un valore (art. 810c.c. sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti); ulteriormente, perché una cosa rilevi sul piano economico nella direzione indicata (ossia perché sia un bene) occorre innanzitutto che sia idonea a soddisfare un bisogno umano comunemente inteso e che esista in una quantità non sproporzionata in eccesso rispetto al fabbisogno (grado di rarità). L’impostazione di Gaio relativa alle cose parametra innanzitutto il dato dell’appartenenza: - Res in patrimonium  cose in nostro patrimonio; - Res extra patrimonium  cose non in nostro patrimonio; - Res in commercium  suscettibili di titolarità privata (res nullius, cose di nessuno e res derelictae cose abbandonate dal proprietario); - Res extra commercium  insuscettibili di atti di trasferimento da parte dei privati. In ogni caso la divisione più importante per Gaio è quella che segna lo spartiacque tra le cose: - Di diritto divino (res divini iuris)  ovviamente si tratta di cose sia extra patrimonium che extra commercium. Sono le cose sacre (ossia consacrate agli dei superi in forza di una fonte giuridica autoritativa come i templi, le are etc..) e le cose religiose (sono le cose lasciate ai Mani, le anime dei defunti venerate nel culto familiare; più precisamente il sepolcro il cui carattere religioso è attribuito da un atto meramente privato: l’inumazione) e le cose sante che per Gaio sono le mura e le porte della città (in un certo modo anch’esse di diritto divino); - Di diritti umano (res humani iuris)  tutte le cose che non appartengono al diritto divino; altre partizioni delle cose concernono: - Cose pubbliche (res publicae)  i fiumi e i porti che possono essere utilizzati da chiunque; - Cose private (res privatae)  cose appartenenti ai singoli; - Cose della collettività (res universitatis)  sono impianti ed edifici destinati alla pubblica fruizione da parte dei cittadini, come i teatri o gli stadi; - Cose comuni a tutti (res comune omnium)  cose appartenenti a tutti per diritto naturale come l’aria, l’acqua corrente, il mare e i suoi lidi; Grande importanza riveste nel diritto romano la divisione tra: - Res mancipi  specificamente enumerate dai testi, sono quelle trasferibili per mancipatio o anche, in seguito attraverso in iure cessio; - Res nec mancipi  individuabili per negativo dalle altre, si trasmettono in proprietà con la traditio; in epoca tardoromana, una divisione di maggiore incidenza economico/giuridica diventa quello che separa: - Cose immobili  questo concetto trova il suo referente nel suolo, individuando il suolo stesso e quanto vi è incorporato stabilmente; - Cose mobili  sono le cose che possono trasportarsi da un luogo all’altro, ivi compresi quelli che si animano per virtù propria; Strettamente connessa ai modi di acquisto è la classificazione di matrice filosofica: - Cose corporali (res corporales)  sono corporali le cose concrete (che si possono toccare); - Cose incorporali (res incorporales)  sono incorporali le cose che consistono in un diritto. Non ammettono mancipatio ne traditio e ammettono in iure cessio; ulteriori partizioni emergono dai testi istituzionali romani pur senza essere dagli stessi enucleate e teorizzate in modo autonomo. Sono: - Cose fungibili  sono quelle che non vengono in considerazione per la loro individualità ma per la loro appartenenza ad un genere, all’interno del quale ogni bene è indifferentemente sostituibile con un altro (si rilevano in ragione del peso, del numero o della misura); - Cose infungibili  sono quelle prese in considerazione nella loro individualità; - Cose consumabili  quelle idonee ad essere utilizzate una sola volta (vino, olio, frumento); - Cose inconsumabili  quelle che ammettono un uso ripetuto nel tempo e si deteriorano; - Cose divisibili  se fisicamente divise, conservano nelle loro parti una funzione economico/sociale proporzionale rispetto all’intero (un fondo, una barra d’oro…); - Cose indivisibili  non ammettono tale frammentazione senza perire o senza perdere valore in modo rilevante (un servo, un dipinto, una statua…); un’ultima classificazione delle cose assente dai testi istituzionali romani ma con ampio rilievo è quella tra: - Cose semplici  sn quelle che la coscienza sociale considera come entità unitarie (cavallo, servo..); - Cose composte  sono le cose formate dall’unione tecnica di cose semplici (nave, casa..); - Cose complesse  o universitates, sono conglomerati di res fisicamente disgiunte ma considerate come un tutt’uno e comprese in un'unica denominazione (gregge, biblioteca..). Instrumentum (attrezzatura)  è definita da Ulpiano come “apparato di cose destinato a rimanere per lungo tempo, senza le quali non sarebbe possibile esercitare il possesso”: si tratta delle attuali pertinenze. Frutto (fructus)  Frutto è il reddito della cosa; si parte da un dato meramente botanico per poi abbracciare in tale categoria anche i prodotti degli animali e i materiali inorganici. Sono frutti civili le rendite periodiche derivanti dall’attribuzione o dal godimento di una cosa conferiti ad altri in forza di un negozio giuridico. 3. La proprietà quiritaria: La proprietà può dirsi il diritto reale primario perché è l’unico dotato di vita autonoma e perché tutti gli altri diritti sulle cose presuppongono l’esistenza di questo. Il profilo della proprietà che ci interessa è quello della proprietà privata che stando alla tradizione, avrebbe avuto origine da una distribuzione della terra di appartenenza sovrana (Romolo assegnò ai singoli pater familias piccoli appezzamenti di terra in proprietà piena e quindi trasmissibili agli eredi) oppure dal passaggio progressivo di frazioni fondiarie dai possedimenti delle gentes, ai singoli capifamiglia. Sul piano terminologico, il diritto individuale di proprietà è detto nelle fonti dominium ex iure Quiritium e il suo titolare è il dominus (ex iure Quiritium) mentre di emersione più tarda sono i sostantivi proprietas e proprietarius. I caratteri e i limiti del diritto di proprietà romana hanno costituito l’archetipo su cui sono state modellate le altre forme di proprietà; essi sono: 1) Illimitatezza interna  la proprietà fondiaria romana implica una estensione di appartenenza virtualmente illimitata in direzione verticale: essa comprende lo spazio sovrastante il fondo e il sottosuolo in modo illimitato; 2) Valenza assorbente  forza attrattiva per cui finisce con l’appartenere al proprietario del fondo tutto ciò che ad esso stabilmente si aggiunge o si incorpora (incrementi fluviali, piantagione o la costruzione sulla sua terra); 3) Elasticità  è l’attitudine del diritto di proprietà a riespandersi automaticamente una volta estinto il diritto reale parziario di cui è gravato, come venisse meno un peso che lo comprime; 4) Perpetuità  la proprietà è inoltre perpetua nel senso che non può essere circoscritta entro limiti cronologici predeterminati, allo spirare dei quali venga meno (non si perde per il non esercizio); 5) Natura franca  libertà del dominium da tributo fondiario, uno dei più marcati elementi differenziali che separano la signoria riconducibile al diritto civile della proprietà provinciale. Il proprietario può fare tutto ciò che non gli è vietato o dal diritto oggettivo o dall’esistenza di concorrenti diritti altrui sulla cosa che lo stesso titolare ha costituito. Interessano in questa sede i limiti legali; alcuni sono considerati veri e propri mezzi di difesa concessi al titolare del fondo attiguo contro determinate estrinsecazioni del diritto di proprietà confinante. Limiti di ascendenza decemvirale: - Ambitus  fascia di terreno lungo il confine larga 5piedi che, pur appartenendo ai proprietari dei fondi deve restare libera da costruzioni e piantagioni; - Limes  Striscia di confine (5piedi) non in proprietà privata che separa poderi assegnati ai singoli in seguito a divisione dell’ager publicus (venne eliminata velocemente); - Vie private tra i fondi  devono essere di larghezza pari a 8piedi nei rettilinei, il doppio nelle curve e vanno mantenute lastricate; chi non ottempera deve consentire il passaggio nel proprio fondo; - Taglio di alberi sporgenti  per le XII tavole il proprietario può pretendere la recisione dei rami e parti di tronco che si affacciano sul suo terreno, fino all’altezza di 15piedi dal suolo, altrimenti può tagliarli egli stesso acquisendo la legna; - Tignum iunctum  norma che sancisce l’impossibilità per il proprietario di togliere la sua trave inserita da lui stesso o da chiunque altro in una costruzione che non gli appartiene; - Divieti di demolizione  due senatoconsulti vietano per motivi di decoro urbano di vendere edifici al fine di demolirli per fare poi commercio di marmi e fregi; - Tutela del prospetto  norme che impongono particolari distanze per la costruzione di edifici urbani in modo da non togliere loro la vista sul mare e il prospetto delle montagne; - Atti emulativi  sono quegli atti che non hanno altro scopo se non quello di nuocere al vicino senza alcun utile personale. Va detto che nel diritto romano non esiste alcun principio che li inibisca; - Immissioni nell’altrui  consistono nella propagazione di fumo, calore, esalazioni, rumore etc.. da un fondo all’altro e il limite in questo caso è quello segnato dall’uso normale della cosa; - Espropriazione per pubblica utilità  l’autorità può appropriarsi di beni privati al fine di realizzare un interesse pubblico corrispondendo ai loro titolari un indennizzo. 4. L’in bonis habere. La proprietà provinciale: Accanto alla proprietà quiritaria si viene delineando in età postclassica una forma di signoria sulla cosa, che non può definirsi dominium ma che trova sul piano della giurisdizione pretoria una tutela erga omnes tal da renderla per certi aspetti assimilabile al dominio quiritario dove confluirà attraverso l’usucapione. Così Gaio afferma che i romani conoscono 2tipi di proprietà: 1) Il dominum; 2) Situazione di chi ha la cosa in bonis (in patrimonio); l’in bonis habere identifica una situazione (transitoria) che può essere definita di possesso di buona fede, ma che all’interno di quest’ultima area isola un nucleo più ristretto. Si tratta infatti di un possesso di buona fede ottenuto a titolo derivativo o in virtù di un negozio giuridico tale da giustificare l’acquisto della proprietà (compravendita). Gaio prospetta il caso di chi in base ad un titolo legittimo riceve una res mancipi non per mancipatio ma per traditio: egli non potrà dirsi proprietario civile del bene bensì possessore qualificato (ha la cosa in bonis, nel patrimonio). Il proprietario bonitario può paralizzare l’azione di rivendica del dominus con l’eccezione di cosa venduta e consegnata oppure con l’eccezione di dolo (tutela pretoria): nell’ipotesi di vittoria, nel 1°caso mantiene il possesso qualificato, nel 2°caso lo riacquista. Inoltre egli può riacquisire il possesso della cosa con un’azione parametrata su quella di rivendica: l’azione publiciana, un’azione fittizia dove l’oggetto della finzione è il decorso del tempo necessario all’usucapione (deve sussistere però il requisito della cittadinanza). Quella della res mancipi trasmessa per traditio non esaurisce le ipotesi di proprietà bonitaria di origine negoziale; si pensi al caso di res trasferita dal non proprietario e ricevuta in buona fede, a titolo oneroso o gratuito dall’accipiente. Costui avrà gli stessi mezzi di difesa (actio, exceptio) ma con una differenza: egli è tutelato nei confronti di tutti ma non nei confronti del dominus che è rimasto estraneo all’atto. Altre ipotesi di proprietà bonitaria, legate a provvedimenti magistratuali e giudiziali si riscontrano: 1. Nella bonorium possessio, dove il possessore agisce fingendosi erede; 2. Nella bonorium emptio (stesso rilievo); 3. Nella missio in possessionem ex secundo decreto; 4. Nella adiudicatio; 5. Nei iudicia imperio continentia. La proprietà provinciale è nec mancipi. Su di esso una proprietà piena paragonabile al dominium non può configurarsi: il vero proprietario è lo stato al quale va corrisposto un canone (tributum). Su tale presupposto però, anche in provincia il privato può dirsi referente di una titolarità fondiaria paragonabile al dominium, sia per le facoltà che vi ineriscono, sia per la difesa erga omnes che le è propria. Gaio, a questo • Confusione  è la mescolanza di liquidi, compresi i metalli in fusione, appartenenti a proprietari diversi: la titolarità del complesso è comune in ragione delle rispettive quote; • Commistione  è la mescolanza di sostanze solide in polvere o a grani che si comportano pressoché come liquidi (sale, farina, frumento): vale la regola precedente; • Acquisto dei frutti  i frutti, finché attaccati alla cosa madre o in essa inglobati, fanno parte della medesima e non sono suscettibili di appropriazione autonoma. Ciò si rende invece possibile al momento della separazione che è pure sufficiente a determinarne l’acquisto per il proprietario, il possessore di buona fede e l’enfiteuta; per gli altri titolari di situazioni diverse occorre anche la manifestazione dell’intenzione di farli propri; • Usucapione  utilizzata al fine di dare certezza ai rapporti giuridici ed è il modo di acquisto della proprietà delle cose attraverso il possesso indisturbato e protratto nel tempo. Dal regime delle XII tavole si evince il termine di 2anni per le cose inerenti al suolo e di 1anno per tutte le altre cose mentre queste, escludevano l’usucapione delle cose rubate (anche dagli acquirenti in buona fede del ladro). L’usucapione richiede alcuni requisiti: - Idoneità della cosa: in generale non sono suscettibili di usucapione le cose extra commercium, nonché i fondi provinciali, le cose furtive e quelle oggetto di impossessamento violento; - Titolo: è la ragione economico/sociale che l’ordinamento considera giustificativa in ordine all’acquisto; esse sono: la compravendita, la donazione, la costituzione di dote, l’adempimento, l’abbandono etc… - Buona fede: è l’elemento di carattere soggettivo che attribuisce all’acquisto del possesso la coloritura dell’onestà. In sostanza è la convinzione di non ledere l’altrui diritto; - Possesso: deve trattarsi di possessio proprio nomine, ossia con atteggiamento di proprietario; - Decorso del tempo: del tempo necessario per usucapire fissato dalle XII tavole si è già parlato; si può aggiungere che, se il possesso viene per varie cause perduto, l’usucapione è interrotta e il tempo dovrà ricominciare a decorrere da capo; • Praescriptio longi temporis  è un tipo di tutela a vantaggio di chi per lungo tempo abbia posseduto in base ad un giusto titolo un fondo, senza che chi aveva possibilità di querelarsi l’abbia fatto; una sorta di eccezione che si pone contro colui che rimasto inerte per lungo tempo, intenda ora far valere un diritto che il suo prolungato silenzio avevano fatto presumere oggetto di rinuncia. È differente rispetto all’usucapione che consiste in un “acquisto mediante possesso”; questa è più che altro un “non poter più difendere la propria situazione giuridica da parte dell’originario titolare”. 8. I modi di acquisto della proprietà a titolo derivativo: • Adsignatio  modo di acquisto della proprietà fondiaria legato alla attribuzione ai privati di appezzamenti di ager publicus; • Mancipatio  è definita da Gaio come una vendita fittizia, nasce come compravendita a contanti che produceva effetti reali, cioè trasferiva la proprietà quiritaria e si trasformò con l’evoluzione in un negozio astratto (effetti indipendenti dalla sussistenza di una causa). Il rito della mancipatio si svolge alla presenza di almeno 5cittadini romani puberi e di un libripens (pesatore munito di bilancia), l’acquirente con la mano posata sull’uomo o l’animale oggetto del negozio pronuncia delle parole solenni e con un frammento di metallo grezzo (rame) percuote la bilancia come in una simbolica pesatura e lo porge infine a mo’ di prezzo all’alienante. Occorre sottolineare che la mancipatio è modo di acquisto di diritto civile, praticabile dai cittadini romani, da latini e stranieri muniti di commercium; può inoltre essere compiuta da persone in potestà. In epoca postclassica questo negozio diviene progressivamente obsoleto; • In iure cessio  la cessione in tribunale è il modo di acquisto a titolo derivativo a più esteso raggio di applicazione; è idonea a trasmettere sia res mancipi che res nec mancipi, ivi compresa una cosa incorporale come l’hereditas. Portata in tribunale la cosa che si intende trasferire o un simbolo della stessa, si procede secondo il cerimoniale della legis actio: colui che risulterà l’acquirente compie la vindicatio sul bene. A questo punto l’alienante non rivendica a sua volta e non controbatte e si allontana dal tribunale. Non resta che assegnare la cosa al 1°dei finti contendenti. Questo istituto scomparve in età costantiniana; • Traditio  è il modo di acquisto delle res nec mancipi corporali (compresi i fondi non sul suolo italico sui quali i cittadini romani possono ottenere solo una proprietà provinciale). La traditio di una res mancipi fa conseguire la proprietà bonitaria ed inoltre è praticabile anche da latini e stranieri indipendentemente dal commercium (è un istituto di diritto delle genti). Consiste nella consegna manuale della cosa, o nel mettere a disposizione la stessa, accompagnata dalla volontà dell’alienante e dell’acquirente in ordine al passaggio di proprietà; presenta dunque l’assenza di forme solenni. Perché la proprietà si trasmetta è richiesta anche una causa sottostante idonea a giustificare il passaggio del dominium (iustae causae) ed infatti la traditio non è un negozio astratto; essa non prescinde dalla causa e si presenta come un negozio a causa variabile. Particolari tipologie di traditio sono: - A persona incerta: nel caso di missilia ossia di regali gettati tra la folla durante feste o trionfi militari con l’intenzione di trasferirne la proprietà a chi li prende; - Longa manu: l’oggetto che si vuole trasferire viene solo mostrato all’acquirente da vicino nel caso di denaro, da distante nel caso di un fondo; - Brevi manu: il proprietario autorizza il detentore del bene a possederlo a suo nome, e ciò determina l’acquisto della proprietà sullo stesso; - Costituto possessorio: si tratta dell’ipotesi inversa; stavolta è il proprietario possessore che comincia a detenere la cosa; - Simbolica: passaggio di proprietà fondato quasi esclusivamente sull’atteggiamento psicologico delle parti che danno vita al negozio (in origine consegna chiavi del magazzino contenente le merci da alienare). Nel diritto giustinianeo, scomparse mancipatio e in iure cessio, la traditio rimane come generale modo di trasmissione delle cose in commercio; • Contratti a effetti reali  sono quelli aventi immediata efficacia reale (pross capitolo); • Adiudicatio  fa acquistare il dominium ex iure Quiritium se collegata a un iudicium legitimum; • Litis aestimatio  deriva dalla particolare natura della condanna nel processo formulare, che è sempre espressa in una somma di denaro: il convenuto che, non ottemperando all’ordine di restituire, finisca col subire la stessa, fa proprio il bene oggetto della lite; • Successioni civili  sono l’hereditas, l’adrogatio e la conventio in manum di una donna sui iuris: tutte queste comportano per il successore l’acquisto delle proprietà quiritaria; • Successioni pretorie  sono la bonarium possessio e la bonarium emptio, che danno luogo alla proprietà bonitaria; • Legati e acquisti per legge  vedi capitolo relativo alle successioni. 9. La comproprietà: è il caso in cui di una cosa singola o di un patrimonio siano contitolari più persone (communio); Gaio la definisce come consortium: “una società legittima e naturale al contempo” che si realizza quando, alla morte del pater familias, gli eredi, mantenevano unito il patrimonio ereditario; in seguito fu possibile anche a soggetti che non erano eredi conseguire lo stesso risultato esperendo una legis actio davanti al pretore. Rilevante è il regime di tale consorzio, che realizza una sorta di proprietà plurima integrale nel senso che ciascun consorte era referente di una proprietà piena, che gli consentiva di disporre validamente, da solo, del bene comune. Successivamente, in epoca postclassica si viene delineando una forma di communio più vicina alla nostra: ora, essa implica una titolarità non integrale ma limitata ad una quota ideale dell’oggetto (una frazione matematica astratta), la communio pro indiviso che può scaturire da eredità, legato congiunto, oppure da cause accidentali (confusione). La quota determina la proporzione in cui ciascuno acquista frutti e accessioni e parimenti segna la base per il riparto delle spese. Per quota, cioè in ragione della propria parte di spettanza, possono essere compiuti da ciascuno gli atti di disposizione (alienare, costituire pegno o ipoteca). Non producono subentro di un estraneo alla comunione nella quota dell’ex socio, ma il diritto di accrescimento a favore degli altri in proporzione alle rispettive quote, gli atti di rinuncia dominicale, come la derelictio o la manumissione di un servo. 10. I diritti reali di godimento: le servitù Per il nostro codice civile la servitù è “un peso imposto su un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario” (fondo servente e dominante); è quindi vista come un aspetto del fondo, come una sua qualità. Le servitù sono diritti reali di godimento su cosa altrui che prescindono da ogni possibile riflesso delle vicende legate alle persone dei titolari. La natura dei fondi su cui le stesse insistono determina la divisione fra: - Servitù rustiche  che attengono alle esigenze agricole e riguardano i poderi; - Servitù urbane  sono collegate ai rapporti funzionali tra edifici e aree connesse; i fondi, si è detto, devono appartenere a 2proprietari diversi ed inoltre, su entrambi deve sussistere la proprietà quiritaria; inoltre, è necessario che la servitù comporti un vantaggio per lo sfruttamento economico del fondo e non una mera utilità per la persona del titolare. La limitazione imposta alla proprietà del fondo servente non può mai consistere in un’attività positiva (in un fare) ma al massimo può consistere in un “sopportare che altri faccia” (servitù affermative) oppure in un “non facere” (servitù negative). Altra caratteristica delle servitù è l’indivisibilità: non si può costituire una servitù su un fondo che investa solo una frazione ideale dello stesso. Prima di considerare i modi di costituzione e di estinzione delle servitù, è opportuno fornire una rassegna delle principali tipologie delle stesse: • Servitù di passaggio  fanno parte delle servitù rustiche e si dividono in: - Iter: diritto di passaggio a piedi o a cavallo; - Actus: diritto di transito con carri e giumenti; - Via: diritto di contenuto analogo all’actus ma implicante un cammino in lastricato; • Servitù di acque  fanno parte anch’esse delle servitù rustiche e sono: - Servitus acquaeductus: permette di deviare o scaricare acqua attraverso il fondo contiguo; - Servitus aquae haustus: permette di attingere acqua; - Servitus navigandi: di passaggio in barca su corso d’acqua in suolo altrui. • Altre servitù rustiche sono anche: servitù di pascolo, di cuocere calce e di cavare sabbia. Nell’ambito delle servitù urbane si distinguono: • Servitus stillicidii  consente di convogliare per tubature l’acqua piovana sul fondo del vicino; • Servitus cloacae  per lo spurgo delle acque putride; • Servitus oneris ferendi  relativa alle pareti; • Servitus tigni immittendi  di immissione di trave nel muro vicino; • Servitus altius non tollendi  di non sopraelevazione; • Servitus ne lumini bus officiatur  di non costruire per non togliere luce al vicino. Va detto che le servitù sono tipiche nel senso che le parti non possono crearne di nuove autonomamente. Quanto ai modi di costituzione, occorre distinguere tra rustiche ed urbane: solo le prime possono essere direttamente costituite mediante mancipatio e solo le prime ammettevano l’usucapione; entrambe si costituiscono per atto tra vivi con la in iure cessio mentre atto mortis causa è il legato per vindicationem. Al di fuori dell’area negoziale, le servitù possono costituirsi in virtù di adiudicatio e per pagamento della litis contestatio da parte del convenuto sconfitto nell’actio negatoria. Sul suolo provinciale, stante l’impossibilità di adibire ai negozi solenni del ius civile, le servitù sono poste in essere per pactiones et stipulationes, ossia su base contrattuale. Le servitù si estinguono per: - Mutamento naturale dei luoghi incompatibile con il loro esercizio; - Non uso protratto per 2anni; - Confusione, ovvero quando la proprietà dei 2fondi si concreta in capo allo stesso titolare; la difesa delle servitù poggia sulla vindicatio servitutis esperibile tramite l’agere in rem per sponsionem e poi con la vindicatio detta talora anche actio confessoria. possessio (sono tali soggetti come l’usufruttuario, il comodatario, il depositario, il conduttore e così via..). oggetto del possesso sono le stesse cose corporali sulle quali può insistere il diritto di proprietà (sono quindi da escludersi le res extra commercium e le persone libere). Nell’acquirente il possesso è richiesta la capacità giuridica, nonché quella di intendere e di volere così sono esclusi dall’acquisto il pazzo e l’impubere. Riguardo alla conservazione del possesso, vi sono diversi casi: - Basta solo l’animus (caso di animale domestico che va e viene); - La follia sopravvenuta non fa perdere il possesso conseguito (come per il dormiente); infine, il possesso si perde: - animo et corpore in ipotesi di traditio; - Solo corpore se la cosa viene rubata; - Solo animo, quando, pur continuando ad avere il bene sotto mano, si desiste dalla volontà di possederlo. 15. Difesa del possesso: il possesso è tutelato da interdetti (al fine di difendere il godimento di porzioni di ager publicus, non assegnate in proprietà). I fondamenti della tutela del possesso stanno: - Negazione dell’autodifesa per la salvaguardia dell’ordine sociale; - Il possesso fa presumere la proprietà Il possesso gode di una tutela autonoma (agire in possessorio) da quella della proprietà (agire in petitorio) e si tratta anche di una tutela più rapida di quella petitoria in quanto è dispensato l’onere della prova. Gli interdetti possessori sono: - Adipiscendae possessionis  per acquistare un possesso prima mai avuto; - Retinendae possessionis  per conservare il possesso; - Reciperandae possessionis per recuperare il possesso. L’interdetto uti possidetis è il più antico; è duplice nel senso che l’ordine del magistrato è rivolto ad entrambi i contendenti e dice questo: “si fissi la situazione iniziale di chi tra i 2ha posseduto l’edificio senza lesione dell’altro e a questa si resti o si ritorni”. L’interdetto utrubi riguarda invece il possesso dei beni mobili ed è duplice come il primo; in questo ha la meglio tra i 2contendenti quello che nell’ultimo anno ha più a lungo posseduto la cosa in modo non vizioso rispetto alla controparte. L’interdetto unde vi ha infine, funzioni recuperatorie a vantaggio dello spossessato il cui possesso verrà così reintegrato; solo in un caso tale reintegrazione è esclusa: se l’autore della violenza ha agito per riottenere un possesso rispetto a lui violento. In età postclassica proprietà e possesso tendono sostanzialmente a confondersi e, sempre in questo periodo, emerge la categoria concettuale del possesso dei diritti, chiamato quasi possesso. OBBLIGAZIONI 1. Nozioni generali: un noto testo di Paolo recita: “l’essenza delle obbligazioni non consiste nel fare nostro un bene corporale o una servitù, ma nel costringere un altro nei nostri confronti a dare, fare, prestare qualcosa”. Problema assai complesso e passibile soltanto di soluzioni ipotetiche, è quello dell’origine dell’obbligazione; lontane progenitrici dell’obligatio paiono essere state figure giuridiche come i vades, i praedes e il nexum: i primi 2erano una sorta di ostaggi garanti processuali, destinati a assicurare rispettivamente la comparizione in giudizio del convenuto e una gamma di prestazioni sempre connesse ad una lite; il nexum è invece un atto per rame e bilancia, come la mancipatio, in cui un soggetto, il nexus si poneva in una condizione paraservile nei confronti di un altro soggetto che gli aveva prestato una somma di denaro pesando davanti a lui i noti pani metallici. Successivamente, la dottrina è concorde nell’individuare nella sponsio la 1°figura dell’obligatio a evoluzione compiuta: essa in origine aveva solo funzione di garanzia mentre in seguito, il termine sponsor fu usato per indicare il debitore principale. 2. La prestazione: per Gaio, il contenuto della prestazione può consistere in un dare, in un facere o in un praestare: - Dare  allude alla trasmissione della proprietà o alla costituzione di un altro diritto reale: nel 1°caso deve trattarsi di trasferimento sia della titolarità, piena e stabile, sia della disponibilità della cosa; - Facere consiste nel compimento di un’opera, una prestazione lavorativa mentre il suo negativo (non facere) indica l’astensione da un preciso comportamento; - Praestare  è più problematica; assume i significati di “stare responsabile per” e “rispondere di”. I requisiti della prestazione, ricavabili dalla casistica delle fonti sono la possibilità, la liceità, la determinatezza o determinabilità ed infine, la patrimonialità: - Possibilità  la prestazione deve essere possibile. Se la prestazione dall’origine è oggettivamente inattuabile, l’obbligazione non sorge. Può trattarsi di impossibilità di natura fisica (una cosa che non esiste) o di natura giuridica (un uomo libero o cosa sacra). È infine ammessa la promessa di dare una cosa altrui, che obbliga il debitore a procurarsela e a trasmetterla al creditore; - Liceità  la prestazione deve essere lecita. È invalida l’obbligazione la cui prestazione sia vietata o, anche, contraria al comune sentimento morale (promessa di commettere furto); - Determinatezza  o determinabilità. Determinata è, ad esempio, la promessa di dare un preciso uomo o di coltivare un preciso fondo mentre determinabile è quella che può essere circostanziata in base a dati esistenti benché contigentemente ignoti (lo stesso prezzo pagato lo scorso anno) oppure a dati futuri; - Patrimonialità  la prestazione deve avere carattere patrimoniale cioè deve essere suscettibile di una valutazione economica. È escluso inoltre che un soggetto possa far si che una obbligazione da lui contratta nasca, dal lato attivo o passivo, direttamente in capo all’erede: “l’obbligazione non può avere inizio nella persona dell’erede”. 3. Particolari tipologie di obbligazioni: la dottrina ha isolato alcune figure di obligationes caratterizzate da un nucleo di regole loro proprie. Con riferimento all’oggetto della prestazione si possono individuare obbligazioni alternative e generiche; con riferimento ai soggetti del rapporto, obbligazioni solidali; con riferimento all’uno e gli altri insieme, obbligazioni indivisibili e con riferimento agli effetti obbligazioni naturali: - Obbligazioni alternative  dicesi alternativa l’obligatio che ammette più di una possibile prestazione e richiede pertanto una scelta delle parti (prometti di dare lo schiavo Stico o lo schiavo Panfilo?); - Obbligazioni generiche  è generica, l’obligatio la cui prestazione consiste nel dare una cosa o una determinata quantità di cose individuate solo quanto alla categoria di appartenenza. La distinzione tra generiche e specifiche non si basa sulla natura intrinseca (fungibile o infungibile) dell’oggetto, ma soltanto dal modo in cui esso viene in concreto individuato nel rapporto; - Obbligazioni solidali  sono solidali le obbligazioni con pluralità di creditori (solidarietà attiva) con pluralità di debitori (solidarietà passiva) allorché a ciascuno sia dovuta, o ciascuno debba, per intero la medesima prestazione. Si distinguono a loro volta in: 1. Solidarietà cumulativa: in questa figura, ciascun debitore può essere convenuto dal creditore per l’intero con azioni che si sommano; 2. Solidarietà elettiva: in queste il pagamento effettuato a uno dei concreditori da parte del debitore lo libera anche nei confronti degli altri; - Obbligazioni indivisibili  è indivisibile l’obligatio la cui prestazione non può essere scomposta in prestazioni parziali che conservino una rilevanza economica proporzionale rispetto a quella unitaria. L’indivisibilità, inoltre, rende impraticabili adempimenti parziali; - Obbligazioni naturali  la caratteristica dell’obbligazione naturale si può individuare da un lato nel fatto che si tratta di un rapporto sprovvisto di azione (per cui il soggetto non potrà agire giudizialmente nel caso in cui il debitore si rifiuti di adempiere), dall’altro nell’inammissibilità, una volta adempiuto, di ripetere ciò che fu corrisposto. Nel diritto giustinianeo, attribuendosi all’aggettivo naturale, una valenza più specificamente morale, si parla di obbligazione di questo tipo anche quando ci si trovi di fronte ad un vincolo etico. 4. L’inadempimento e la mora: il debitore è tenuto ad eseguire la prestazione oggetto dell’obbligazione che a lui fa capo. In caso contrario, qualora cioè non adempia, scatta a suo carico la cosiddetta responsabilità contrattuale. Una prima forma di inadempimento si ha quando il debitore semplicemente, senza alcuna motivazione, rifiuta di prestare quanto gli compete e in questo caso non sorgono particolari problemi. L’adempimento però potrebbe essere diventato impossibile e in questo caso si tratta di stabilire su quale dei 2soggetti del rapporto obbligatorio vada a gravare il danno collegato alla sopravvenuta impossibilità della prestazione; esiste, a questo proposito un criterio generale: l’impossibilità sopravvenuta della prestazione non imputabile al debitore, estinguendo l’obbligazione, libera il medesimo. I gradi della responsabilità contrattuale sono determinabili di volta in volta, innanzitutto in base alla specifica fonte che diede vita alla obligatio e, all’atteggiamento tenuto dal debitore in ordine all’obbligo di adempiere. I casi sono i seguenti: - 1°Caso  prendiamo l’esempio dell’obbligo di restituire la cosa che fa capo al depositario. Qualora la restituzione della cosa diventi impossibile, entro quali limiti è responsabile il depositario che nn riceve alcun vantaggio? Non sarà certo responsabile se la cosa perisce in seguito a caso fortuito o di forza maggiore, ma non sarà nemmeno responsabile se l’evento sarebbe stato evitabile con cautele tali che a chi fa un favore non è ragionevole chiedere. In sostanza il depositario sarà responsabile solo in caso di dolo, ossia se egli volontariamente abbia causato la perdita della cosa; - 2°Caso  prendiamo il caso del comodato (contratto nell’interesse del debitore che si serve della cosa): in questo caso il comodatario sarà esente da responsabilità solo nelle ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore ma non nelle altre. Le fonti dicono che è tenuto alla custodia (responsabilità oggettiva) e quindi egli sarà responsabile anche se solo in colpa (comportamento inidoneo ad evitare danni e frutto pertanto di negligenza, imprudenza o imperizia); la colpa, riscontra poi al suo interno varie gradazioni: 1. Colpa lieve (culpa levis)  parametrata alla diligenza del buon padre di famiglia; 2. Colpa grave (culpa lata)  parametrata su quanto è banalmente intuitivo; 3. Colpa in concreto  riguarda il comportamento tenuto dallo stesso debitore nella propria gestione personale e negoziale; Altro caso di inadempimento è costituito dalla mora (significa ritardo, indugio): chi ritarda la prestazione è infatti inadempiente, non rispettando i termini stabiliti. La figura della mora è però fondata, oltre che sul dato del ritardo, anche su due ulteriori presupposti: 1) Che la prestazione sia tutt’ora possibile; 2) Che il creditore continui ad avere interesse alla prestazione, anche se tardiva. Perché il debitore sia in mora occorre, in genere, l’interpellatio (oggi diffida ad adempiere) cioè una richiesta di adempimento avanzata dal creditore. L’interpellatio è superflua in alcuni casi: - Se è previsto un termine per eseguire la prestazione; si tratti di prestazione avente ad oggetto un dare cose determinate o indeterminate; è un actio di stretto diritto esperibile da parte dello stipulante contro il promittente. 9. I contratti letterali: sono quelli in cui il momento genetico dell’obligatio è determinato dalla redazione di uno scritto. Le istituzioni di Gaio ne isolano uno solo, il credito trascritto da considerarsi di diritto civile romano e nominano i chirografi e le sinagrafi specificando però che si tratta di istituti propri degli stranieri: - Crediti trascritti (nomen transscripticium)  il discorso parte dall’economia domestica e più precisamente dalla menzione di una sorta di registro tenuto dal capofamiglia in cui venivano allineate partite contabili in entrata e in uscita. Si ha un credito trascritto quando la scritturazione nella colonna delle uscite si fonda sopra una sostanziale finzione, nel senso che si segna come versato a Tizio ciò che questi non ha propriamente mai ricevuto, ma che deve al titolare del registro in forza di una diversa fonte. La figura contrattuale di cui si è detto, è il credito trascritto da cosa a persona; ma esiste anche il credito trascritto da persona a persona in cui Caio segna in conto come versato a Tizio ciò che gli deve Sempronio. - Chirografi e Singrafi  sono attestazioni di debito o di promesse di pagamento praticate in ambiente peregrino, ma a cui anche i romani non erano estranei, ove lo scritto è generatore di obligatio, sicché può parlarsi di documenti con valore costitutivo. 10. I contratti consensuali: la compravendita Sono definiti consensuali i contratti in cui le obbligazioni nascono dal mero accordo delle parti liberamente manifestato prescindendo quindi dalla consegna di un bene o dai requisiti di forma; La compravendita (emptio venditio) ha solo effetti obbligatori: dal consenso delle parti nasce per il venditore l’obbligazione di trasferire (nn la proprietà) il pacifico possesso della cosa e per il compratore quella di pagare il prezzo. La proprietà della cosa, se nec mancipi, perverrà al compratore mediante la traditio, che costituisce la prestazione a cui si è vincolata l’altra parte. Se si tratta di res mancipi, il compratore a cui sia solo consegnta, potrà successivamente usucapirla. La compravendita è quindi il contratto consensuale a prestazioni corrispettive con cui una delle parti (il venditore) si obbliga nei confronti dell’altra (il compratore) a trasmettere il pacifico possesso di una cosa, garantendo per l’evizione e per i vizi occulti della stessa; l’altra, in ragione di ciò, si obbliga a trasmettere la proprietà del denaro che costituisce il prezzo; i suoi elementi sono: a. L’accordo delle parti (conventio)  Gaio insegna che la compravendita si contrae con l’accordo sul prezzo, non certo perché dimentichi l’incontro delle volontà, quanto piuttosto perché quest’ultimo appare un presupposto ovvio. In epoca tardo romana si aggiunge la compravendita redatta in forma scritta; b. La cosa compravenduta (merx)  può essere della più varia natura, purché in commercio: può anche trattarsi di un bene incorporale, come l’eredità o le servitù (anche cose future quando verranno ad esistere); c. Prezzo  deve essere certo e consistere in denaro contante mentre non è requisito del prezzo quello dell’equità: fuori dall’ambito del dolo, si può vendere ad un prezzo assai più alto del valore effettivo della merx e viceversa. Prima di considerare le obbligazioni gravanti sul venditore e sul compratore, va precisato che il primo è tutelato dall’actio venditi, il secondo dall’actio empti. Il venditore è tenuto a: 1. Trasmettere il pacifico possesso della cosa; 2. Garantire il compratore dall’evizione cioè da una possibile rivendicazione della cosa con successo da parte del vero proprietario (il venditore garantiva un doppio rimborso del prezzo); 3. Garantire il compratore dei vizi occulti della cosa  in caso di mancipatio, il venditore che con una lex mancipi li avesse espressamente esclusi, doveva poi rispondere in caso di loro comprovata esistenza. Il compratore, come si è già detto, deve pagare il prezzo (anche se la cosa non ancora consegnatagli sia perita presso il venditore senza dolo o colpa di questi). Frequenti erano i patti aggiunti contestualmente al contratto di compravendita: • Lex commissoria: il venditore può ottenere la risoluzione del contratto se il prezzo non gli sia pagato entro il termine; • Vendita a prova: l’efficacia della compravendita è sottoposta alla condizione sospensiva di gradimento da parte del compratore; • In diem addictio: il venditore può risolvere il contratto se, entro un dato termine, gli pervenga una offerta più vantaggiosa; • Prelazione: il compratore, qualora intenda vendere la cosa, è tenuto ad offrirla in prima battuta al venditore, e solo in caso di rifiuto da parte di quest’ultimo può cederla ad altri. Un ultimo accenno va fatto alla tematica dell’arrae, termine bivalente che indica sia una prova della conclusione del contratto, sia la penale per il recesso. 11. La locazione-conduzione: “la locazione-conduzione è assai vicina alla compravendita, e ambedue si fondano sulle stesse regole giuridiche” ma esiste tra le 2tipologie una differenza chiara e profonda che si può sintetizzare in questo modo: la compravendita postula una attribuzione onerosa definitiva mentre la locazione-conduzione, sempre su un presupposto di onerosità, postula invece una fruizione solo temporanea di risorse altrui; tali risorse possono poi consistere in: - Un bene materiale di cui si ottiene, dietro compenso, la disponibilità (locaz-cond di cosa). In questo caso il locatore si obbliga a porre nella disponibilità del conduttore una cosa affinchè questi la usi nella direzione e per il periodo di tempo stabiliti; il conduttore in ragione di ciò si obbliga a corrispondere una mercede e a restituire la cosa alla scadenza (che deve essere inconsumabile), egli è un mero detentore sfornito di possesso. Il locatore, del canto suo, deve garantire il normale e pacifico godimento della cosa. Oltre che per lo scadere del termine finale, il rapporto è sciolto per il recesso dell’una o dell’altra parte, in conformità degli usi ma non dalla morte; - Nell’opera tecnica o di sorveglianza svolta da altri sopra una cosa propria (locaz-cond d’opera). In questo caso il conduttore deve eseguire l’opera secondo i canoni tecnici dell’arte implicata, e consegnare entro il termine il risultato pattuito: solo in tal caso può esigere la mercede (come i moderni contratti di appalto, di lavoro autonomo etc..). la responsabilità che grava sul conduttore per la restituzione della cosa affidatagli è parametrata sulla custodia tecnica, onde costoro sono tenuti anche quando la cosa venga sottratta clandestinamente. La morte del conduttore estingue il rapporto; - Nell’attività lavorativa subordinata a tempo che non sia di condizione servile (locaz-cond d’opere). In quest’ultimo caso, il locatore deve prestare il lavoro promesso per tutto il periodo stabilito. Si presuppone un soggetto libero: se si tratta di uno schiavo, è la sua stessa persona oggetto di locazione da parte del dominus e l’adibizione a una precisa attività e non ad altre concreta solo la direzione impressa all’uso della cosa. La morte del locatore estingue il rapporto. 12. La società: Si tratta del contratto consensuale, generatore di obbligazioni omogenee, con cui 2 o più soggetti, in vista della realizzazione di un vantaggio patrimoniale comune, si vincolano a conferire beni o energie, nonché a ripartire tra loro utili e perdite secondo i canoni concordati. Gaio individua il precedente storico della società di cui ci stiamo occupando, nell’antico consortium (vedi comproprietà). Caratteristica della societas consensuale romana è l’assenza di personalità giuridica, da cui consegue l’irrilevanza esterna del rapporto sociale: non si può parlare di debiti o crediti della società ma solo dei singoli soci. Esistono 3tipologie fondamentali di società. Esse sono: 1. Societas omnium bonorum  ove i compartecipanti conferiscono tutte le loro sostanze e ove in seguito entrano tutti gli acquisti a qualunque titolo conseguiti; 2. Societas unius alicuius negotii  caratterizzata da quote sociali in cose o attività specifiche e tesa al raggiungimento di un fine utile ai soci altrettanto enucleato; 3. Societas universalis quaestus  la quale assorbe ogni utile derivante da attività economiche, ma non le risorse di fortuna, che restano quindi appannaggio esclusivo del beneficiario; non è detto che la quota della partecipazione ai guadagni segni anche la misura della partecipazione alle perdite; infatti si ritiene ammissibile anche la società dove taluno condividesse i guadagni ma fosse esentato dalle perdite (non il contrario). Se sono stabilite le parti nel lucro ma non anche nel danno, queste sono rapportate a quelle e viceversa. Se nulla è fissato, la divisione si fa in quote eguali. Riguardo alla responsabilità del socio, per lungo tempo si è ritenuto che fosse incardinata esclusivamente sul dolo e solo in età giustinianea si sarebbe introdotto il criterio della culpa in concreto, coordinata sulla diligenza che si è soliti adibire alle proprie cose. La società si estingue con: - lo scadere del termine, se apposto; - per il conseguimento del fine prefissato o per l’impossibilità di raggiungerlo; - recesso unilaterale di un socio; - morte di un socio; - capitis deminutio massima; - confisca o vendita in blocco dei beni. 13. Il mandato: è il contratto con cui su incarico di una delle parti (mandante), l’altra (mandatario) si obbliga a fare gratuitamente qualche cosa. La gratuità distingue il mandato dalla locazione-conduzione o da un contratto innominato. Bilateralità imperfetta  il mandato è l’unico tra i contratti consensuali che non può qualificarsi come a prestazioni corrispettive infatti esso, di regola, produce obbligazioni in capo al mandatario, il quale deve eseguire l’incarico e trasmettere al mandante il risultato conseguito, mentre eventuali sono gli obblighi per quest’ultimo di rifondere le spese e risarcire i danni implicati dall’opera affidata. Si è già spiegato che il mandatario non opera nel campo della rappresentanza diretta: egli acquista a sé ed in forza del vincolo contrattuale è poi tenuto a trasferire le situazioni giuridiche soggettive conseguite in capo a chi gli diede l’incarico il quale è, del canto suo, tenuto ad accettarle. Posto che il mandatario ha l’obbligo di eseguire l’incarico con diligenza (essendo responsabile sia per dolo che per colpa) egli, per questo, non può permettersi di esorbitare dai limiti del mandato. Trattandosi di un negozio fondato sul rapporto fiduciario fra 2persone, il mandato, a esecuzione non ancora intrapresa, si estingue per la revoca del mandante o per la rinuncia del mandatario. Si estingue altresì in caso di morte di uno dei contraenti. 14. I contratti innominati: con questa espressione si indica una categoria di conventiones contemplanti una corrispettività di prestazioni che non rientrano nelle tipologie riconosciute e codificate dall’ordinamento giuridico, ma che ciononostante sono protette mediante la concessione di actiones (generali, nn tipizzate). Questi contratti sono detti anonimi in quanto estranei al novero dei contratti tipici. Presupposti per l’esistenza: 1) deve trattarsi di conventiones aventi ad oggetto uno scambio di prestazioni: siano esse di dare o di facere, indipendentemente dal fatto che siano o no omogenee; 2) una delle prestazioni deve essere eseguita, cosicché il diritto fornisca il mezzo per ottenere l’adempimento a chi ha già eseguito la propria prestazione; 3) si tratta di azioni volte ad ottenere l’adempimento e non la restituzione o la reintegrazione per cui chi ha eseguito quanto promesso, può ottenere che l’altro faccia altrettanto. I contratti innominati sono un modo di riconoscere alla libertà delle parti che si è orientata consensualmente verso uno scambio di prestazioni, un effetto concreto analogo a quello che sortirebbe nel caso in cui le parti stesse si fossero affidate ad un contratto tipico. Lo scambio di prestazioni può consistere in un: - dare VS dare; - dare VS fare; - fare VS dare; - fare VS fare. L’azione tesa all’adempimento corrispettivo è chiamata actio praescriptis verbis (azione con premessa di parole) che inizialmente era un modo di procedere (una spiegazione del fatto a guisa di una più ampia demonstratio). Tra i principali contratti innominati si è rilevato che alcuni hanno un nome: 2) Cumulatività  dato che dallo stesso fatto possono nascere più azioni, il cumulo è di regola possibile quando accanto all’azione penale vi sia un azione reipersecutoria. Tra 2azioni penali nascenti dallo stesso fatto, il criterio può essere del cumulo o dell’alternativa; 3) Nossalità  viene in considerazione allorchè il delitto è compiuto da persona soggetta a potestà (da noxae deditio consistente nel consegnare l’autore dell’illecito all’offeso); 4) Durata  le azioni penali derivanti dallo ius civile sono perpetue mentre quelle derivanti dal diritto pretorio decadono se non sono esperite entro l’anno. 18. Il furto: il furto è “l’appropriazione fraudolenta di una cosa per trarre vantaggio dalla cosa stessa o dal suo uso o possesso”. I requisiti della fattispecie sono: il dolo dell’agente e la contrarietà al volere del proprietario. L’elemento soggettivo va quindi individuato nel dolo, l’intenzione fraudolenta di causare l’evento contro la volontà dell’avente diritto; mentre l’elemento oggettivo è la contrectatio che consiste nell’instaurazione di un rapporto con la cosa non implicante necessariamente la sottrazione. Si possono avere: - Furto di cosa  implica lo spossessamento; - Furto d’uso  quando commette furto colui che ha la disponibilità della cosa (depositario); - Furto di possesso  il proprietario che sottrae la cosa data in pegno al creditore. Inizialmente la nozione originaria di furto era limitata all’ipotesi di sottrazione di una cosa mobile altrui ma successivamente l’actio furti divenne una sorta di azione generica contro molti comportamenti illeciti, quasi uno strumento contro la lesione patrimoniale in genere. Nel sistema delle XII tavole coesistono a carico del ladro 2tipi di pena: 1) Pena afflittiva  spettava al ladro manifesto (colto sul fatto) che poteva essere fustigato e poi consegnato al soggetto derubato come suo servo (oppure ucciso se aveva tentato di difendersi a mano armata); 2) Pena pecuniaria  era riservata al ladro non manifesto (notturno) e consisteva nel doppio del valore della cosa derubata; sempre le XII tavole, dal furto facevano poi derivare 2(+2)tipi di azioni: • Actio furti concepti  concessa contro la persona presso la quale fosse stata ritrovata una cosa rubata e la responsabilità prescinde dalla partecipazione al furto; • Actio furti oblati  spetta al condannato per furtum conceptum contro chi gli abbia consegnato la cosa rubata: in pratica scarica la responsabilità su un’altra persona (entrambe sancivano come pena il triplo del valore della cosa rubata). • Actio furti prohibiti  puniva la condotta di chi si opponeva alla ricerca della cosa rubata; • Actio furti non exhibiti  colpiva chiunque non permettesse l’esibizione in giudizio della refurtiva cercata e ritrovata presso di lui. Giustiniano: semplifica la legislazione inerente le specie di furto riconducibili al manifesto e al non manifesto. Chiunque consapevolmente riceve e nasconde una cosa rubata risponde di furto non manifesto mentre quello manifesto si identifica con l’ipotesi di furto “flagrante”. 19. La rapina: è un furto qualificato, in quanto il rapinatore sottrae la cosa mediante la violenza; prima era assimilata dalla ampia nozione di furto. Le sue origini sono da ricercarsi nelle guerre civili dell’ultimo secolo della repubblica quando l’Italia era infestata da bande ed erano numerose le violenze. L’editto pretorio attribuito a Salvio Giuliano lascia trasparire 2azioni: 1) Prevede il danno arrecato dolosamente con uomini che si siano riuniti in banda e fornisce tutela contro il danneggiamento doloso e prevede anche la possibilità di colpire i mandanti; 2) Riguarda la sottrazione violenta di beni di qualcuno (Rapina) intesa come furto qualificato. Il rapinatore è più di un ladro; è un ladro malvagio e la rapina rientra tra i delitti dello ius civile. L’azione che spetta per la rapina è l’actio vi bonorum raptorum ed è volta al quadruplo del valore della cosa rapinata. 20. Il danneggiamento: in questo caso la pena non è fissa o in multiplo ma è calibrata sul danno arrecato per cui è di tipo risarcitorio. Da questa figura discenderà essenzialmente la nozione di illecito civile. L’azione per danneggiamento nasce come azione penale ma viene presto totalmente indirizzata alla reintegrazione patrimoniale (reipersecutorie). Il danneggiamento nasce da una legge: la lex aquilia de damno, composta da 3capi: 1. Il I capo recita che chi abbia ucciso ingiustamente uno schiavo altrui o un quadrupede capo di bestiame debba corrispondere al padrone una somma corrispondente al maggior valore che l’oggetto ebbe nell’ultimo anno (pena risarcitoria). Giustiniano modificherà l’azione rendendola mista in quanto l’eccedenza rispetto al valore è pena (danno a cose animate); 2. Il II capo ebbe vita breve; prendeva in considerazione il caso del costipulante che avesse rimesso il debito con accettilazione senza l’autorizzazione del creditore principale per cui era tenuto ad una pena corrispondente al danno arrecato (questo capo nn si applica già dal diritto classico); 3. Il III capo è così formulato: se qualcuno abbia arrecato danno a cose, al di fuori dell’uccisione di schiavi o capi di bestiame, perche le bruciò o le ruppe ingiustamente, sia condannato a dare al proprietario il valore di quelle cose negli ultimi 30giorni. La legge aquilia tratta in modo soddisfacente la condotta riprovata e l’irrogazione della sanzione ma trascura il meccanismo della imputabilità: infatti sotto questo profilo l’unico dato menzionato è quello relativo al carattere ingiusto del danno (non si parla mai di dolo o colpa). Il collegamento causale tra attività del soggetto ed evento dannoso fu individuato dalla giurisprudenza attraverso la formula corpore corpori. Il danno è sanzionabile se dato col corpo al corpo (fisicamente). Il quadro finale del danno ingiusto è molto diverso da quello originario (si risponde anche per il lucro cessante, oltre che per il danno emergente): si tratta ancora di un delitto, e l’azione ha caratteri penali, ma il fine principale perseguito è la reintegrazione patrimoniale. 21. Le ingiurie: sono figure delittuose che nel loro sviluppo accomunano atti volti a ledere l’integrità fisica o morale di una persona. L’ingiuria è il risultato dell’aggregazione di singole previsioni dovute prima alla legge delle XII tavole e quindi all’intervento del pretore che, superando il sistema delle pene fisse e prendendo in considerazione tutta la gamma dei fatti lesivi della personalità, crea sostanzialmente la figura unitaria del delitto di ingiuria. Il pretore innanzitutto stabilisce una “azione di stima delle ingiurie” con la quale si può parametrare la sanzione all’entità dell’offesa (decide un giudice che non può superare un certo limite). Se l’ingiuria è molto grave (atrox) è il pretore a determinare l’ammontare della condanna, fissando la somma del vidimonium; l’ingiuria è grave per: - Il fatto in sé (gravi lesioni); - Il luogo (pubblico); - La posizione del soggetto leso (senatore o alte cariche); - La posizione dell’offensore (liberto o bassa posizione sociale). Va notato che, nonostante l’iniuria classica sia, di matrice pretoria, questa figura appartiene al novero dei delitti civili. Può essere arrecata anche indirettamente, con offesa a persone soggette a potestà o anche alla moglie. 22. I quasi delitti: con “quasi delitti” si indicano alcuni fatti illeciti produttivi di obbligazioni che rientravano tra le cause di diversa struttura non rientranti né fra i contratti né fra i delitti, anche se a questi affini. L’elemento unificatore va individuato nel fatto che non si ritiene necessaria, per la realizzazione della fattispecie illecita, la sussistenza del dolo cui generalmente si fonda la responsabilità per il delitto. I casi sono 4: 1) Giudice parziale  è sanzionato il comportamento del giudice che arreca danno alla parte, comportandosi scorrettamente nella conduzione del processo o nel pronunciare la sentenza. Spetta al danneggiato un’azione in factum volta ad una pena fissata secondo equità; 2) Cose gettate o versate  danni possono essere causati dal versamento di cose liquide o dal getto di cose solide da un edificio al sottostante suolo pubblico. Risponde chi ha la responsabilità dell’abitazione (responsabilità di tipo oggettivo); 3) Cose posate o sospese  è l’azione rivolta contro chi su una parte di un edificio abbia appoggiato o sospeso qualche cosa che, cadendo, possa nuocere a qualcuno. La semplice situazione di pericolo legittima qualunque cittadino ad intentare la causa (azione popolare) per una pena fissa; 4) Esercenti di navi, locande o stallaggi  disciplina la responsabilità, assunta o meno con il receptum, degli esercenti una nave o una locanda o uno stallaggio per furti e danneggiamenti verificatisi nei luoghi suddetti. L’azione per il furto, modellata sul furto non manifesto, è nel doppio del valore e spetta all’ospite. La responsabilità ha carattere oggettivo. 23. Le garanzie delle obbligazioni: le garanzie personali sono quei vincoli obbligatori che, legando al creditore soggetti ulteriori, gli offrono una più ampia possibilità di agire per la soddisfazione del proprio diritto. Premesse: - L’invalidità dell’obbligazione principale invalida anche quella di garanzia; - L’estinzione della prima produce analogo effetto sulla seconda; - Il garante può obbligarsi in misura più tenue ma non più grave del debitore principale. In questo ambito possiamo distinguere 3figure, due delle quali assimilabili tra di loro per vari aspetti; sono: 1. Sponsio  è la garanzia più antica; nasce e resta praticabile tra i soli cittadini romani; 2. Fidepromissio  ha lo stesso spettro di azione della sponsio, nel senso che, può garantire solo obbligazioni verbali ma è aperta anche agli stranieri; 3. Fideiussio  è di origine ancora più recente e ha il campo operativo più esteso: può infatti garantire ogni sorta di obbligazioni, comprese quelle naturali (rimarrà per ultima nell’età classica). Sorgono tutte in questo modo: il creditore, dopo aver interrogato il debitore principale si rivolge allo sponsor/fidepromissor/fideiussor e pone la domanda “prometti solennemente di dare lo stesso?”. Giustiniano introdusse il beneficium excussionis (beneficio di escussione) a favore di chi prestava fideiussione perché imponeva al creditore di soddisfarsi prima sul debitore principale. 24. La trasmissione delle obbligazioni: il discorso va condotto su 2piani differenti; le successioni e le trasmissioni a titolo particolare: 1. Successioni a causa di morte  fin dall’epoca delle XII tavole si attesta che il successore mortis causa succede in tutti i rapporti del defunto, attivi e passivi, comprensivi di debiti e nel caso vi siano più eredi, la trasmissione del credito e del debito avviene in capo a ciascuno in ragione della sua quota ereditaria; 2. Successioni tra vivi  in caso di arrogazione e di conventio in manum di donna sui iuris, per diritto civile si acquistano all’arrogante e al titolare della manus i crediti che vantava il capite deminutus mentre per quanto concerne i debiti, si ha acquisto per diritto civile solo di quelli ereditari, ma non degli altri, perché non si ammette che il sottoposto possa rendere deteriore la posizione patrimoniale dell’esercente la potestà. Può tuttavia parlarsi di sopravvivenza dei debiti nel diritto pretorio. 25. Modi di estinzione delle obbligazioni: un principio generale, da ritenersi originario è: il modo con cui l’obligatio si contrae (nel senso che la si fa nascere) coincide con quello tramite il quale poi la si estingue; occorre cioè un atto formalmente analogo ma di direzione contraria. Il modo usuale e universale di estinzione delle obligationes è l’adempimento che prende il nome di solutio (scioglimento) infatti “l’obbligazione si scioglie soprattutto con il pagamento di ciò che è dovuto”. I modi di estinzione delle obbligazioni costituiscono 2categorie: - Ipso iure  operano sul piano sostanziale (facendo venire meno l’oportere); - Per exceptionem  operano sul piano processuale (con una exceptio). I modi di estinzione delle obbligazioni sono: a) Adempimento  è il principale ed universale metodo di estinzione; Coincide con l’esatta corresponsione del dovuto. Se però il creditore è d’accordo, l’obbligato può dare una cosa diversa da quella dedotta in rapporto (datio in solutum); b) Acceptilatio  si tratta del negozio verbale con cui si sciolgono le obligationes create mediante la pronuncia di parole (sono una sorta di stipulatio rovesciata);
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