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Decreto Legislativo 183/2014: Razionalizzazione Inserimento Disabili e Collocamento Obblig, Dispense di Diritto della Previdenza Sociale

Il decreto legislativo 183/2014, che ha attuato i principi e criteri direttivi per la razionalizzazione e revisione delle procedure e degli adempimenti in materia di inserimento mirato delle persone con disabilità e degli altri soggetti aventi diritto al collocamento obbligatorio. Il decreto ha anche valorizzato il sistema informativo per la gestione del mercato del lavoro e il monitoraggio delle prestazioni erogate, revisionato il regime delle sanzioni, e riconosciuto la possibilità di cessione di giorni di riposo aggiuntivi a favore dei genitori di figli minori che necessitano di presenza fisica e cure costanti.

Tipologia: Dispense

2021/2022

Caricato il 22/01/2024

Isa.bella.
Isa.bella. 🇮🇹

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Scarica Decreto Legislativo 183/2014: Razionalizzazione Inserimento Disabili e Collocamento Obblig e più Dispense in PDF di Diritto della Previdenza Sociale solo su Docsity! DIRITTO PREVIDENZIALE ED ASSISTENZIALE DISPENSA DI ROCCHINA STAIANO INVALIDI DA LAVORO: INFORTUNIO SUL LAVORO E MALATTIA PROFESSIONALE 1. L’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali: dalla l. 80/1898 allo Jobs Act La l. 17 marzo 1898, n. 801 ha introdotto, per la prima volta, il principio dell’obbligatoria dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, individuando il concetto della responsabilità oggettiva del datore di lavoro limitata alla “riparazione del danno”, la quale comportava il “ristoro economico” per il lavoratore che subiva l’infortunio2. Tale legge è stata abrogata dal d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124, c.d. Testo Unico delle Disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, che resta la pietra miliare della tutela di chi sia rimasto emarginato o indebolito per infortunio o malattia professionale3. Il d.p.r. 1124/1965 è stato emanato in ottemperanza alla delega conferita al governo con l'art. 30 della l. 19 gennaio 1963, n. 154 (per coordinare, correggere ed ampliare le norme vigenti in materia) e non già in ottemperanza 1 Per una ricostruzione storica dell’assicurazione obbligatoria, v.: L. Cherubini, Introduzione storica alle assicurazioni sociali in Italia (1900-1965), in Riv. It. Mal. Prof., I, p. 1967. 2Così: R. Staiano, L’evoluzione normativa in tema di sicurezza sul lavoro, in www.diritto.it/articoli/lavoro/lavoro.html. 3 Così A. Carnevale, A. Ioannoni e A. Colagreco, Analisi storico-critica della nascita e dello sviluppo della assicurazione infortuni e malattie professionali, in  Riv. It. Med. Leg. (dal 2012 Riv. It. Med. Leg. Dir. San.), 2000, fasc.4-5, p. 975. 4 L’art. 30 della l. 15/1963 stabilisce che “nei limiti dei princìpi che presiedono alla legislazione previdenziale vigente, il Governo della Repubblica, su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, è delegato ad emanare, entro un anno dall'entrata in vigore della presente legge, norme con le quali, anche per quanto attiene ai sistemi di finanziamento e di erogazione ed all'attività amministrativa e finanziaria degli enti e degli istituti preposti alla assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, si stabiliscano modifiche, correzioni, ampliamenti, ed, ove occorra, soppressioni delle norme vigenti riordinandole e riunendole in un solo 1 alla delega distintamente conferita con l'art. 31 stessa legge (per l'emanazione, di norme intese a disciplinare l'infortunio in itinere); tale termine predetto è stato prorogato al 30 giugno 1965 dalla l. 11 marzo 1965, n. 158. Il d.p.r. 1124/1965 è stato modificato e riordinato: a) dalla l. 10 maggio 1982, n. 251, c.d. Mini-riforma Inail; b) dal d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 385, il quale: - introduce la disciplina dell’infortunio in itinere; - riordina le disposizioni in tema di infortunio in agricoltura; - da vita ad un nuovo sistema di classificazione tariffaria; - introduce l’articolo in tema di danno biologico; - estende l’assicurazione obbligatoria agli sportivi professionisti, ai parasubordinati ed ai dirigenti; c) dall’art. 21 del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 1516, entrato in vigore il 24 settembre 2015, il quale apporta importanti semplificazioni alla disciplina in esame, più specificatamente: - si prevede che l’Inail renda disponibili al datore di lavoro, entro il 31 dicembre di ogni anno, gli altri elementi (cioè oltre quelli a disposizione del datore di lavoro stesso) provvedimento legislativo. Ogni innovazione, ferme le condizioni di cui al primo comma del presente articolo, dovrà tendere a conseguire una più precisa determinazione del campo di applicazione una maggiore speditezza e semplicità nelle procedure amministrative, più idonei controlli sugli obblighi assicurativi, più efficaci sanzioni nei confronti degli inadempienti, nonché alla revisione dei criteri valutativi delle inabilità e al miglioramento delle prestazioni in favore dei colpiti da infortunio sul lavoro o da malattia professionale e dei loro superstiti. Le norme delegate non possono disporre comunque la diminuzione o il peggioramento delle prestazioni previste dall'ordinamento attuale a favore dei beneficiari della assicurazione. Le norme di cui al presente articolo saranno emanate previo parere di una Commissione parlamentare composta di nove senatori e di nove deputati, in rappresentanza proporzionale dei vari gruppi parlamentari, nominati dai Presidenti delle rispettive Camere”. 5 Il d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38 è stato emanato in attuazione dell’art. 55, comma 1, della l. 17 maggio 1999, n. 144, il quale stabilisce che il Governo è delegato ad emanare, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi al fine di ridefinire taluni aspetti dell'assetto normativo in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, nel rispetto di principi e di criteri direttivi. 6 Il presente decreto legislativo è stato predisposto in attuazione della delega di cui all’art. 1, commi 3-7 e 9, della l. 10 dicembre 2014, n. 183, c.d. Jobs Act ed è volto a dare attuazione, in particolare, ai seguenti principi e criteri direttivi: a) razionalizzazione e revisione delle procedure e degli adempimenti in materia di inserimento mirato delle persone con disabilità (di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68) e degli altri soggetti aventi diritto al collocamento obbligatorio , al fine di favorirne l’inclusione sociale, l'inserimento e l'integrazione nel mercato del lavoro, avendo cura di valorizzare le competenze delle persone; b) valorizzazione del sistema informativo per la gestione del mercato del lavoro e il monitoraggio delle prestazioni erogate, anche attraverso l'istituzione del fascicolo elettronico unico contenente le informazioni relative ai percorsi educativi e formativi, ai periodi lavorativi, alla fruizione di provvidenze pubbliche ed ai versamenti contributivi, assicurando il coordinamento con quanto previsto dal comma 6, lettera i e integrazione del sistema informativo con la raccolta sistematica dei dati disponibili nel collocamento mirato, nonché di dati relativi alle buone pratiche di inclusione lavorativa delle persone con disabilità e agli ausili ed adattamenti utilizzati sui luoghi di lavoro; c) revisione del regime delle sanzioni, tenendo conto dell'eventuale natura formale della violazione, in modo da favorire l'immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita, nonché valorizzazione degli istituti di tipo premiale e previsione di modalità semplificate per garantire data certa nonché l'autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore; d) revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell'evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell'impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore; e) eventuale riconoscimento, compatibilmente con il diritto ai riposi settimanali ed alle ferie annuali retribuite, della possibilità di cessione fra lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro di tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi spettanti in base al contratto collettivo nazionale in favore del lavoratore genitore di figlio minore che necessita di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute e semplificazione e razionalizzazione degli organismi, delle competenze e dei fondi operanti in materia di parità e pari opportunità nel lavoro e riordino delle procedure connesse alla promozione di azioni positive di competenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ferme restando le funzioni della Presidenza del Consiglio dei ministri in materia di parità e pari opportunità. 2 sorgenti, corsi o deflussi d'acqua, compresi, nei lavori di manutenzione, il diserbo dei canali e il drenaggio in galleria; 4)  di scavo a cielo aperto o in sotterraneo; a lavori di qualsiasi genere eseguiti con uso di mine; 5)  di costruzione, manutenzione, riparazione di ferrovie, tranvie, filovie, teleferiche e funivie o al loro esercizio; 6)  di produzione o estrazione, di trasformazione, di approvvigionamento, di distribuzione del gas, dell'acqua, dell'energia elettrica, compresi quelli relativi alle aziende telegrafiche e radiotelegrafiche, telefoniche e radiotelefoniche e di televisione; di costruzione, riparazione, manutenzione e rimozione di linee e condotte; di collocamento, riparazione e rimozione di parafulmini; 7)  di trasporto per via terrestre, quando si faccia uso di mezzi meccanici o animali19; 8)  per l'esercizio di magazzini di deposito di merci o materiali; 9)  per l'esercizio di rimesse per la custodia di veicoli terrestri, nautici o aerei, nonché di posteggio anche all'aperto di mezzi meccanici; 10)  di carico o scarico; 11)  della navigazione marittima, lagunare, lacuale, fluviale ed aerea, eccettuato il personale di cui all'art. 34 del R.D.L. 20 agosto 1923, n. 2207, concernente norme per la navigazione area, convertito nella L. 753/1926; 12)  della pesca esercitata con navi o con galleggianti, compresa la pesca comunque esercitata delle spugne, dei coralli, delle perle e del tonno; della vallicoltura, della mitilicoltura, della ostricoltura; 13)  di produzione, trattamento, impiego o trasporto di sostanze o di prodotti esplosivi, esplodenti, infiammabili, tossici, corrosivi, caustici, radioattivi, nonché ai lavori relativi all'esercizio di aziende destinate a deposito e vendita di dette sostanze o prodotti; sono considerate materie infiammabili quelle sostanze che hanno un punto di infiammabilità inferiore a 125 gradi C e, in ogni caso, i petroli greggi, gli olii minerali bianchi e gli olii minerali lubrificanti; 14)  di taglio, riduzione di piante, di trasporto o getto di esse; 15)  degli stabilimenti metallurgici e meccanici, comprese le fonderie; 16)  delle concerie; 17)  delle vetrerie e delle fabbriche di ceramiche; 18)  delle miniere, cave e torbiere e saline, compresi il trattamento e la lavorazione delle materie estratte, anche se effettuati in luogo di deposito; 19)  di produzione del cemento, della calce, del gesso e dei laterizi; 20)  di costruzione, demolizione, riparazione di navi o natanti, nonché ad operazioni di recupero di essi o del loro carico; 21)  dei pubblici macelli o delle macellerie; 22)  per l'estinzione di incendi, eccettuato il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; 23)  per il servizio di salvataggio; 24)  per il servizio di vigilanza privata, comprese le guardie giurate addette alla sorveglianza delle riserve di caccia e pesca; 25)  per il servizio di nettezza urbana; 26)  per l'allevamento, riproduzione e custodia degli animali, compresi i lavori nei giardini zoologici e negli acquari; 19 V.: Cass. civ., sez. lav., 23 maggio 2006, n. 12095, in Mass. Giur. It., 2006, la quale prevede che i coniugi che hanno la gestione comune dell'azienda coniugale (ai sensi dell'art. 177, lett. d) c.c.) e svolgano una delle attività rischiose indicate nell'art. 1 del d.p.r. 1124/1965, anche in campo commerciale, rientrano tra le persone tutelate dall'art. 4, comma 1, n. 7 del medesimo testo unico sempre che l'obbligo assicurativo non sussista per altro titolo del medesimo articolo, alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme antinfortunistiche, secondo cui a parità di esposizione a rischio deve corrispondere parità di tutela assicurativa indipendentemente dalla natura giuridica in base alla quale il lavoro è prestato (v. Corte cost. n. 476 del 1987, n. 332 del 1992, n. 160 del 1990, n. 171 del 2002), e in considerazione dell'autonomia delle definizioni del testo unico e dell'ampiezza della previsione del menzionato n. 7 ("ogni altro tipo di società, anche di fatto, comunque denominata") che impongono di ricomprendervi tutte le tipologie lavorative associative, indipendentemente dalla denominazione civilistica. 5 27)  per l'allestimento, la prova o l'esecuzione di pubblici spettacoli, per l'allestimento o l'esercizio dei parchi di divertimento, escluse le persone addette ai servizi di sala dei locali cinematografici e teatrali; 28)  per lo svolgimento di esperienze ed esercitazioni pratiche nei casi di cui al n. 5) dell'art. 4 del d.p.r. 1124/196520. 3. I lavoratori assicurati L’art. 4 del d.p.r. 1124/1965 stabilisce che l’assicurazione obbligatoria trova applicazione non solo nei confronti di “coloro che in modo permanente o avventizio prestano alle dipendenze e sotto la direzione altrui opera manuale retribuita, qualunque sia la forma di retribuzione”, ma anche di “coloro che, … anche senza partecipare materialmente al lavoro, sovraintendono al lavoro di altri”. Da ciò emerge che sono necessari due requisiti il vincolo di subordinazione21 e la manualità della prestazione22; dunque, il requisiti della prestazione manuale escluderebbe, però, dalla tutela gli impiegati. Sul punto, vi è stata fatta chiarezza dalla giurisprudenza di legittimità 23, la quale ha risolto il problema, nel senso che "non è necessario che l'attività manuale, richiesta dall'art. 4 del d.p.r. n. 1124 del 1965, sia svolta in via esclusiva o prevalente dal lavoratore, ma è sufficiente che questa attività, sebbene accessoria e strumentale o quantitativamente marginale rispetto all'attività intellettuale, sia svolta professionalmente, cioé sistematicamente e abitualmente, anche se non continuativamente. E' stato, inoltre, precisato che non è di ostacolo alla tutele assicurativa 20 Sul punto, la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. lav., 25 agosto 2005, n. 17334, in Mass. Giur. It., 2005; idem Cass. civ., sez. lav., 6 giugno 2007, n. 13278, in Mass. Giur. It., 2007; Cass. civ., sez. lav., 10 settembre 2009, n. 19495, in Mass. Giur. It., 2009; di recente Cass. civ., sez. lav., 10 aprile 2015, n. 7277, in CD Libro) stabilisce che dall'interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata - alla luce della giurisprudenza costituzionale relativa agli artt. 3 e 38 Cost. - delle disposizioni (art. 1, n. 28 e art. 4, n. 5, d.p.r. 1124/1965) che disciplinano l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro degli insegnanti, deriva che non sono esclusi dalla copertura assicurativa gli insegnanti di scuola materna (pubblica e privata) che svolgono attività assimilabili alle esperienze tecnico scientifiche (quali pittura, scultura, cosiddetti "lavoretti" in genere), alle esercitazioni pratiche (la totalità dei giochi attraverso i quali un bambino acquisisce consapevolezza delle attitudini mentali e fisiche), ai lavori (quali la pulizia delle spiagge), atteso che l'infortunio occorso all'insegnante a causa e nello svolgimento dell'attività lavorativa suddetta, dipendendo dal rischio inerente a quella prestazione, è strettamente correlato alla medesima per mezzo di un nesso di derivazione eziologica, con la conseguenza che l'infortunio deve essere indennizzato proprio in quanto rischio particolare al quale l'insegnante si trova esposto quando l'attività didattica si sostanzia in attività pratiche svolte con il requisito della manualità e l'uso eventuale di materiale vario e attrezzature. 21 In materia di lavoro subordinato, ai fini della subordinazione costituisce requisito fondamentale il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall'emanazione di ordini specifici, oltre che dall'esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell'esecuzione delle prestazioni lavorative. L'esistenza di tale vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione (tra le tante, di recente, v.: Cass. civ., sez.. lav.  4 giugno 2015, n. 11548, in Mass. Giur. It., 2015; Cass. civ., sez. lav., 16 giugno 2015, n. 12433, in Mass. Giur. It., 2015). 22 L'espressione "opera manuale" di cui all'art. 4 del d.p.r. 1124/1965, deve considerarsi quale residuo della concezione originaria dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro come volta a proteggere gli operai addetti a macchine, apparecchi o impianti, in quanto particolarmente esposti al rischio nascente dai suindicati strumenti. Questa definizione, nel suo significato strettamente letterale, si è dimostrata insufficiente, quando sono state introdotte macchine elettriche, che, in relazione alla loro funzione, vengono utilizzate non da operai ma solo da dipendenti svolgenti mansioni esclusivamente intellettuali e dirigenziali. Per estendere l'assicurazione contro gli infortuni a questi nuovi soggetti, esposti anch'essi al rischio derivante dall'uso di apparecchi elettrici, la giurisprudenza di legittimità ha superato la valenza giuslavoristica dell'espressione "opera manuale" come contrapposta all'"opera intellettuale" (propria dell'impiegato e del dirigente), affermando che detta espressione si identifica nel diretto contatto dell'operatore con l'apparecchio per un uso professionale (purché non occasionale o eccezionale), non rilevando ai fini del rischio infortunistico che detto uso possa essere strumentale rispetto ad una prestazione essenzialmente intellettuale. La prova dello svolgimento di mansioni che rendono il soggetto assicurabile incombe sullo stesso lavoratore che intende far valere il proprio diritto all'indennizzo per l'infortunio asseritamente subito, secondo il principio derivato dall’art. 2697 c.c. (Cass. civ., sez. lav., 22 settembre 2010, n. 20010, in Mass. Giur. It., 2010). 23 V.: Cass. civ., sez. lav., 5 dicembre 1986, n. 7234, in Riv. Inf. Mal. Prof., 1986, II, p. 150. 6 l'inquadramento del lavoratore nella categoria impiegatizia, in quanto si deve avere riguardo alla natura effettiva della prestazione di lavoro e non alla qualifica posseduta dal lavoratore. Sono, inoltre, assicurati: - gli artigiani, che prestano abitualmente opera manuale nelle rispettive imprese; - gli apprendisti; - gli insegnanti e gli alunni delle scuole o istituti di istruzione di qualsiasi ordine e grado, anche privati, che attendono ad esperienze tecnico-scientifiche od esercitazioni pratiche, o che svolgano esercitazioni di lavoro; - gli alunni della scuola privata e pubblica del primo ciclo di istruzione, che sono obbligati alla frequentazione delle lezioni di alfabetizzazione e di lingua straniera24; - gli alunni della scuola privata e pubblica del primo ciclo di istruzione, che frequentano esercitazioni di scienze motorie e sportive25; - gli insegnanti, che hanno stipulato contratti di insegnamento a titolo gratuito, ai sensi dell’art. 1, comma 10, L. 230/2005, in forma di collaborazione coordinata e continuativa26; - gli istruttori e gli allievi dei corsi di qualificazione o riqualificazione professionale o di addestramento professionale anche aziendali, o dei cantieri scuola, comunque istituiti o gestiti, nonché i preparatori, gli inservienti e gli addetti alle esperienze ed esercitazioni tecnico-pratiche o di lavoro; - il coniuge, i figli, anche naturali o adottivi, gli altri parenti, gli affini, gli affiliati e gli affidati del datore di lavoro che prestano con o senza retribuzione alle di lui dipendenze opera manuale, ed anche non manuale, se sovraintendenti27; - i soci delle cooperative e di ogni altro tipo di società, anche di fatto, comunque denominata, costituita od esercitata, i quali prestino opera manuale, oppure non manuale, se sovraintendenti; - i ricoverati in case di cura, in ospizi, in ospedali, in istituti di assistenza o beneficenza qualora siano addetti ad attività per le quali è prevista l’assicurazione28; - i detenuti in istituti o in stabilimenti di prevenzione o di pena, qualora siano addetti ad attività per le quali è prevista l’assicurazione; - i commessi viaggiatori, i piazzisti e gli agenti delle imposte di consumo che, pur vincolati da rapporto impiegatizio, per l'esercizio delle proprie mansioni si avvalgano non in via occasionale di veicoli a motore da essi personalmente condotti; - gli agenti di commercio, quando questi esercitano attività in forma societaria29; - i sacerdoti, i religiosi e le religiose che prestino opera retribuita manuale, o anche non manuale e di sovraintendenza, alle dipendenze di terzi; 24 Così circ. Inail, n. 79 del 2004. 25 Così circ. Inail, n. 19 del 2006. 26 Interpello n. 54 del 2009. 27 La Corte costituzionale, con sentenza 25 novembre 1987, n. 476, in www.giurcost.com ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente numero, nella parte in cui non ricomprende tra le persone assicurate i familiari partecipanti all'impresa familiare indicati nell'art. 230-bis c.c. che prestano opera manuale o a questa assimilata ai sensi del n. 2, comma 1 dell’art. 4 del d.p.r. 1124/1965. 28 Sul punto, la Cass. civ., sez. lav., 23 maggio 2006, n. 12095, in Mass. Giur. It., 2006 stabilisce che i coniugi che hanno la gestione comune dell'azienda coniugale (ai sensi dell'art. 177, lett. d) cod. civ.) e svolgano una delle attività rischiose indicate nell'art. 1 del d.p.r. 1124/1965, anche in campo commerciale, rientrano tra le persone tutelate dall'art. 4, comma 1, n. 7 del medesimo testo unico sempre che l'obbligo assicurativo non sussista per altro titolo del medesimo articolo, alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme antinfortunistiche, secondo cui a parità di esposizione a rischio deve corrispondere parità di tutela assicurativa indipendentemente dalla natura giuridica in base alla quale il lavoro è prestato (v. Corte cost. n. 476 del 1987, n. 332 del 1992, n. 160 del 1990, n. 171 del 2002), e in considerazione dell'autonomia delle definizioni del testo unico e dell'ampiezza della previsione del menzionato n. 7 ("ogni altro tipo di società, anche di fatto, comunque denominata") che impongono di ricomprendervi tutte le tipologie lavorative associative, indipendentemente dalla denominazione civilistica. 29 Così nota Inail, 7 settembre 2006. La presente nota chiarisce che, non è obbligatoria l'assicurazione contro gli infortuni di lavoro per gli agenti di commercio quando questi esercitano l'attività in forma individuale. Diversamente l'obbligo sussiste se costituita una forma societaria ed è presente la "dipendenza funzionale". 7 eziologico (causa violenta), dall’elemento circostanziale (occasione di lavoro) e dall’elemento conseguenziale (morte o inabilità). Invece, la malattia professionale è quella patologia che il lavoratore contrae a causa dell’attività lavorativa che svolge. 5.1. Infortunio sul lavoro: i presupposti Gli elementi integranti l'infortunio sul lavoro, da un’attenta lettura degli artt. 2 e 210 del d.p.r. 1124/1965, sono: - la causa violenta; - l'occasione di lavoro; - il rischio elettivo. La “causa violenta” è qualunque azione, operante in danno altrui, tale da produrre lesioni all’organismo umano; più precisamente essa rappresenta un’azione di qualsiasi natura che abbia i requisiti di esteriorità (in quanto deve provenire dal mondo esterno), di idoneità lesiva (essendo in grado di provocare lesioni tali da determinare la morte o un’inabilità assoluta o parziale) e di concentrazione cronologica (nel senso che deve agire in un tempo ristretto, convenzionalmente indicato nel turno giornaliero di lavoro). Preme evidenziare, comunque, che l'espressione “causa violenta”38 ha subito profonde evoluzioni per il progressivo sviluppo del sistema di tutela infortunistica; infatti rispetto al significato originario – che, facendo riferimento al carattere traumatico delle cause meccaniche che costituivano la categoria prevalente di fattori infortunistici, richiedeva una notevole intensità della causa stessa - la nozione attuale comprende qualsiasi fattore presente nell'ambiente di lavoro, in modo esclusivo o in misura significativamente diversa rispetto all'ambiente esterno, e che, agendo in maniera concentrata, provochi un infortunio sul lavoro, ovvero, in maniera lenta, una malattia professionale39. Dunque, la causa violenta, richiesta dall’art. 2 del D.P.R. n. 1124 del 1965, per l'indennizzabilità dell'infortunio, può riscontrarsi anche in relazione allo sforzo messo in atto nel compiere un normale atto lavorativo, purché lo sforzo stesso, ancorché non eccezionale ed abnorme, si riveli diretto a vincere una resistenza peculiare del lavoro medesimo e del relativo ambiente, dovendosi avere riguardo alle caratteristiche dell'attività lavorativa svolta e alla loro eventuale connessione con le conseguenze dannose dell'infortunio40. L’infortunio può essere determinato da una causa unica o da un concorso di cause. Il concorrere di concause preesistenti, simultanee o sopravvenute non esclude l’indennizzabilità dell’infortunio che è integralmente risarcito in proporzione all’entità del danno causato o concausato. Il concetto di "occasione di lavoro" richiede che vi sia un nesso causale tra il lavoro e il verificarsi del rischio cui può conseguire l'infortunio. Sia la dottrina che la giurisprudenza di legittimità riconoscono il significato normativo estensivo dell’espressione “occasione di lavoro” non limitata al solo concetto di causalità. Essa, inoltre, “comprende tutte le condizioni temporali, topografiche e 38 Tale espressione risale all’art. 7 della l. 17.3.1898, n. 80 istitutiva dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro. 39 Cass. civ., sez. lav., 26 maggio 2006, n. 12559, in Mass. Giur. It., 2006; idem Cass. Civ., sez. lav., 30 agosto 2010, n. 18852, in Mass. Giur. It., 2010. 40 Sul punto, v.: Cass. civ., sez. lav., 30 dicembre 2009, n. 27831, in Mass. Giur. It., 2009 ha cassato la sentenza di merito, che aveva ritenuto lo sforzo del lavoratore infortunato abnorme rispetto a quello richiesto nell'esplicazione del normale atto lavorativo, senza considerare adeguatamente la compatibilità tra tale sforzo e la causa del decesso del lavoratore, avvenuto per morte cardiaca, e senza motivare sulla ritenuta irrilevanza delle manifestazioni dolorose al torace ed agli arti superiori nei giorni precedenti al decesso; Cass. civ., sez. VI, 10 ottobre 2012, n. 17286, in Mass. Giur. It., 2012 ha escluso l'indennizzo in favore dei parenti di un addetto al trasporto con pulmino di persone disabili colpito da infarto durante la propria attività lavorativa, atteso che nel caso era mancata la prova che il lavoratore avesse svolto mansioni diverse da quelle di autista, determinanti uno sforzo costituente concausa del decesso, intervenuto su di una situazione di salute già fortemente compromessa; Cass. civ., sez. lav., 27 settembre 2013, n. 22257, in CD Libro, ha respinta la richiesta del lavoratore, il quale non aveva provato di aver proceduto ad uno spostamento di pacchi di peso rilevante e che proprio lo sforzo al quale si era sottoposto fosse stata la causa determinante del dolore allo sterno e del malore sopravvenuto. 10 ambientali in cui l'attività produttiva si svolge e nelle quali è imminente il rischio di danno per il lavoratore, sia che tale danno provenga dallo stesso apparato produttivo o dipenda da terzi e sia che dipenda da situazioni proprie e ineludibili del lavoratore”41. Dunque, l'evento verificatosi "in occasione di lavoro" travalica in senso ampliativo i limiti concettuali della "causa di lavoro", afferendo nella sua lata accezione ad ogni fatto comunque ricollegabile al rischio specifico connesso all'attività lavorativa cui il soggetto è preposto; il sinistro indennizzabile ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. 1124/1965 non può essere circoscritto nei limiti dell'evento di esclusiva derivazione eziologica materiale dalla lavorazione specifica espletata dall'assicurato, ma va riferito ad ogni accadimento infortunistico che all'occasione di lavoro sia ascrivibile in concreto, pur se astrattamente possibile in danno di ogni comune soggetto, in quanto configurarle anche al di fuori dell'attività lavorativa tutelata ed afferente ai normali rischi della vita quotidiana privata; pertanto l'evento infortunistico verificatosi in occasione di lavoro non va considerato sotto il profilo della mera oggettività materiale dello stesso, ma, ai fini della sua indennizzabilità, deve essere esaminato in relazione a tutte le circostanze di tempo e di luogo connesse all'attività lavorativa espletata, potendo in siffatto contesto particolare assumere connotati peculiari tali da qualificarlo diversamente dagli accadimenti comuni e farlo rientrare nell'ambito della previsione della normativa di tutela, con l'unico limite della sua ricollegabilità a mere esigenze personali del tutto esulanti dall'ambiente e dalla prestazione di lavoro (c.d. rischio elettivo). Non è, infatti, senza significato che il legislatore abbia adoperato l'espressione "occasione" di lavoro, anzichè "causa" di lavoro. Con siffatta espressione ha certamente inteso coprire con la garanzia assicurativa una quantità di eventi dannosi subiti dal lavoratore sul luogo di lavoro e durante l'espletamento della prestazione non riconducibili al rischio intrinseco connesso all'attività lavorativa, o alle attività immediatamente e necessariamente a quella connesse, ma tuttavia legate allo svolgimento della prestazione. Di conseguenza il rapporto di derivazione eziologica tra il sinistro ed il lavoro non è stato inteso in termini di stretta dipendenza causa-effetto sul piano materiale, ma ampliato a tutte le condizioni, anche esterne al particolare processo produttivo, ma comunque legate ed influenti sul processo produttivo medesimo, che abbiano comunque concorso alla produzione dell'evento lesivo. Infine, il rischio elettivo, secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità (ad es. Cass. civ., n. 15047 del 2007; Cass. civ., n. 15312 del 2001; Cass. civ., n. 8269 del 1997; Cass. civ., n. 6088 del 1995) è ravvisabile solo in presenza di un comportamento abnorme, volontario ed arbitrario del lavoratore, tale da condurlo ad affrontare rischi diversi da quelli inerenti alla normale attività lavorativa, pur latamente intesa, e tale da determinare una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento secondo l'apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito. Più in particolare, per configurare il rischio elettivo secondo la definizione descritta, viene richiesto: ● che il lavoratore ponga in essere un atto non solo volontario, ma anche abnorme, nel senso di arbitrario ed estraneo alle finalità produttive; ● che il comportamento del lavoratore sia motivato da impulsi meramente personali, quali non possono qualificarsi le iniziative, pur incongrue ed anche contrarie alle direttive del datore di lavoro, ma motivate da finalità produttive; ● che l'evento conseguente all'azione del lavoratore non abbia alcun nesso di derivazione con l'attività lavorativa. Nel concorso di tali situazioni, che qualificano in termini di abnormità la causa iniziale della serie produttiva dell'evento infortunistico, il rischio elettivo si distingue, quindi, dall'atto colpevole del lavoratore, e cioè dall'atto volontario posto in essere con imprudenza, negligenza o imperizia, ma 41 Cass. civ., sez. lav., 27 gennaio 2006, n. 1718, in Mass. Giur. It., 2006; idem Cass. civ., sez. lav., 23 luglio 2012, n. 12779, in Mass. Giur. It., 2012; di recente, Cass. civ., sez. lav., 5 gennaio 2015, n. 6. 11 che, motivato, comunque, da finalità produttive, non vale ad interrompere il nesso fra l'infortunio e l'attività lavorativa e non ne esclude, pertanto, la indennizzabilità. 5.1.1. Denuncia di infortunio e Jobs Act In tema di infortuni sul lavoro, l'art. 53 del D.P.R. 1124/1965, modificato dall’art. 21 del d.lgs. 151/2015 pone a carico dell'assicurato, per acquistare il diritto alla prestazione previdenziale, l'onere di presentare una denuncia particolareggiata al datore di lavoro - che dovrà a sua volta inoltrarla all'ente previdenziale - non soggetta ad altri limiti di tempo se non quelli derivanti dalla prescrizione estintiva della prestazione previdenziale stessa, denuncia alla quale deve essere corredata dei riferimenti al certificato medico già trasmesso all’Istituto assicuratore per via telematica direttamente dal medico o dalla struttura sanitaria competente al rilascio; dunque, ciò significa che ogni certificato di infortunio sul lavoro deve essere trasmesso esclusivamente per via telematica all'Istituto assicuratore, direttamente dal medico o dalla struttura sanitaria competente al rilascio, contestualmente alla sua compilazione. Inoltre, l’art. 54 del D.P.R. 1124/196542, modificato dall’art. 21 del d.lgs. 151/2015 stabilisce che il datore di lavoro deve, nel termine di due giorni43, dare notizia44 all'autorità locale di pubblica sicurezza di ogni infortunio sul lavoro che abbia per conseguenza la morte o la prognosi superiore a trenta giorni. La denuncia deve essere fatta all'autorità di pubblica sicurezza del Comune in cui è avvenuto l'infortunio. Se l'infortunio sia avvenuto in viaggio e in territorio straniero, la denuncia è fatta all'autorità di pubblica sicurezza nella cui circoscrizione è compreso il primo luogo di fermata in territorio italiano, e per la navigazione marittima e la pesca marittima la denuncia è fatta all'autorità portuale o consolare competente. Gli uffici, ai quali è presentata la denuncia debbono rilasciarne ricevuta e debbono tenere l'elenco degli infortuni denunciati. La denuncia deve indicare: 1)  il nome e il cognome, la ditta, ragione o denominazione sociale del datore di lavoro; 2)  il luogo, il giorno e l'ora in cui è avvenuto l'infortunio; 3)  la natura e la causa accertata o presunta dell'infortunio e le circostanze nelle quali esso si è verificato anche in riferimento ad eventuali deficienze di misure di igiene e di prevenzione; 4)  il nome e il cognome, l'età, la residenza e l'occupazione abituale della persona rimasta lesa; 5)  lo stato di quest'ultima, le conseguenze probabili dell'infortunio e il tempo in cui sarà possibile conoscere l'esito definitivo; 6)  il nome, il cognome e l'indirizzo dei testimoni dell'infortunio. 42 L’art. 54 in esame è abrogato dall’art. 32, comma 6, lett. a), della L. 9 agosto 2013, n. 98, che ha convertito con modifiche ed integrazioni il D.L. 21 giugno 2013, n. 69, c.d. Decreto del Fare; l’abrogazione ha decorrenza non immediata, ma dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del Decreto Ministeriale del Lavoro - ad oggi non ancora emanato - che ai sensi dell’art. 8, comma 4, del D. Lgs. 81/2008 e successive modifiche, verrà emanato per stabilire le regole tecniche per la realizzazione ed il funzionamento del SINP (Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro). Di conseguenza, in attesa del D.M. suindicato, non cambia nulla in tema di denuncia di infortunio. Sulla denuncia di infortunio e sulla l. 98/2013, v.: R. Staiano, Denuncia infortuni, in Amb. & sic. sul lavoro, 2013, n. 11, p. 44 43 Il termine decorre dalla data di ricezione effettiva del certificato medico, senza che si possa addebitare al datore di lavoro di non averlo acquisito con la massima prontezza e diligenza, atteso che la norma ha inteso indicare un criterio oggettivo per determinare l'obbligo di denuncia e non ha imposto ulteriori obblighi e condizioni (Cass. civ., sez. lav., 23 giugno 2004, n. 11688, in Gius, 2004, p. 3909. 44 In tema di infortuni sul lavoro, la notizia dell'infortunio, dalla quale decorre il termine previsto dall'art. 53, primo comma, del D.P.R. n. 1124 del 1965, si riferisce ad eventi produttivi, secondo l'accertamento medico, di un'inabilità superiore ai tre giorni, senza che possa avere rilievo né la sola conoscenza del fatto lesivo, né quella di un'inabilità contenuta nel predetto termine. Principio affermato in fattispecie in cui la prognosi originaria non superava tale termine mentre solo con la produzione dei successivi certificati si era realizzato il presupposto per l'insorgenza dell'obbligo di denuncia. La corte territoriale, con decisione cassata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto che dalla mera conoscenza di un infortunio subito dal lavoratore, quali ne fossero le conseguenze, sorgesse per il datore di lavoro l'obbligo di denunzia da assolvere nei due giorni successivi a tale conoscenza: Cass. civ., sez. lav., 20 novembre 2006, n. 24596, in Lav. Giur., 2007, n. 5, p. 51. 12 sufficiente che sussista la causa violenta e che tale causa abbia coinvolto l'assicurato nel luogo ove egli svolge le sue mansioni, ma è necessario che tale causa sia connessa all'attività lavorativa, nel senso cioè che inerisca a tale attività e sia almeno, occasionata dal suo esercizio52. Su tale diatriba giurisprudenziale, si è espressa la Corte di Cassazione a sezione unite, con sentenza n. 17685 del 201553, che ha riaffermato il principio secondo cui "la espressa introduzione dell'ipotesi legislativa dell'infortunio in itinere non ha derogato alla norma fondamentale che prevede la necessità non solo della "causa violenta" ma anche della "occasione di lavoro", con la conseguenza che, in caso di fatto doloso del terzo, legittimamente va esclusa dalla tutela la fattispecie nella quale in sostanza venga a mancare la "occasione di lavoro" in quanto il collegamento tra l'evento e il "normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione e quello di lavoro" risulti assolutamente marginale e basato esclusivamente su una mera coincidenza cronologica e topografica" (come nel caso in cui il fatto criminoso sia riconducibile a rapporti personali tra l'aggressore e la vittima del tutto estranei all'attività lavorativa ed a situazioni di pericolo individuale, alle quali la sola vittima è, di fatto, esposta ovunque si rechi o si trovi, indipendentemente dal percorso seguito per recarsi al lavoro). 5.1.2.1. Infortunio in itinere in missione ed in trasferta La circ. Inail, n. 52 del 2013, ha chiarito le problematiche in merito alla qualificazione, come infortuni in itinere, di eventi lesivi occorsi a lavoratori in missione e/o in trasferta, con particolare riguardo a quelli avvenuti durante il tragitto dall’abitazione al luogo in cui deve essere svolta la prestazione lavorativa e viceversa, nonché durante il tragitto dall’albergo del luogo in cui la missione e/o trasferta deve essere svolta al luogo in cui deve essere prestata l’attività lavorativa ed, infine, in merito all’indennizzabilità degli infortuni occorsi all’interno della stanza d’albergo in cui il lavoratore si trova a dimorare temporaneamente. Va premesso che nel caso di lavoratore in missione e/o trasferta, il tragitto dal luogo in cui si trova l’abitazione del lavoratore a quello in cui, durante la missione, egli deve espletare la prestazione lavorativa, non è frutto di una libera scelta del lavoratore, ma è imposto dal datore di lavoro. Ne consegue che la circostanza che il lavoratore si trovi in missione vale, di per sé, a connotare in modo differente l’evento infortunistico che si è verificato lungo il tragitto tra l’abitazione e una sede di lavoro temporaneamente diversa, rispetto a quello che si verifichi lungo il tragitto tra l’abitazione e la sede abituale di servizio. La missione, infatti, è caratterizzata da modalità di svolgimento imposte dal datore di lavoro con la conseguenza che tutto ciò che accade nel corso della stessa deve essere considerato come verificatosi in attualità di lavoro, in quanto accessorio all’attività lavorativa e alla stessa funzionalmente connesso, e ciò dal momento in cui la missione ha inizio e fino al momento della sua conclusione. Ovviamente, l’evento non può ritenersi indennizzabile qualora avvenga con modalità e in circostanze per le quali non si possa ravvisare alcun collegamento finalistico e topografico con l’attività svolta in missione e/o trasferta, e cioè tutte le volte in cui il soggetto pone in essere un rischio diverso e aggravato rispetto a quello normale, individuato come tale secondo un criterio di ragionevolezza. 52 In tal senso, v.: Cass. civ., sez. lav., 23 febbraio 1989, n. 1017, in Mass. Giur. It., 1989, la quale stabilisce che per la configurazione dell'infortunio sul lavoro ai sensi del t. u. n. 1124 del 1965, non è sufficiente che sussista la causa violenta e che tale causa abbia coinvolto l'assicurato nel luogo ove egli svolge le sue mansioni, ma è necessario che tale causa sia strettamente connessa con l'attività lavorativa nel senso cioè che essa inerisca a tale attività e sia, quanto meno, occasionata dal suo esercizio (nella specie, è stata esclusa l'occasione di lavoro nell'omicidio di un pastore vittima di una rapina); Cass. civ., sez. lav., 19 gennaio 1998, n. 447, in Mass. Giur. It., 1998: nella specie i giudici di merito in un caso di agguato mortale teso ad un proprietario coltivatore diretto mentre si recava in automobile sul fondo di sua proprietà per le necessità della coltivazione, avevano negato che l'episodio delittuoso fosse collegato con l'occasione di lavoro, assegnando invece rilievo esclusivo alla qualità di proprietario terriero della vittima. La Suprema Corte ha confermato tale decisione. 53 Mi riferisco a Cass. civ., sez. un., 7 settembre 2015, n. 17685, in CD Libro. 15 Pertanto, le uniche due cause di esclusione della indennizzabilità di un infortunio occorso a un lavoratore in missione e/o trasferta si possono rinvenire: a) nel caso in cui l’evento si verifichi nel corso dello svolgimento di un’attività che non ha alcun legame funzionale con la prestazione lavorativa o con le esigenze lavorative dettate dal datore di lavoro; b) nel caso di rischio elettivo, cioè nel caso in cui l’evento sia riconducibile a scelte personali del lavoratore, irragionevoli e prive di alcun collegamento con la prestazione lavorativa tali da esporlo a un rischio determinato esclusivamente da tali scelte. Inoltre, per gli infortuni occorsi durante gli spostamenti effettuati dal lavoratore per recarsi dall’albergo al luogo in cui deve essere svolta la prestazione lavorativa e viceversa devono essere trattati come infortuni in attualità di lavoro e non come infortuni in itinere. Ciò vale anche per gli infortuni occorsi all’interno della stanza d’albergo in cui il lavoratore si trova a dimorare temporaneamente; infatti, gli eventi accaduti in una stanza di albergo non sono parificabili a quelli avvenuti nella privata abitazione, in primo luogo poiché il soggiorno in albergo è evidentemente necessitato dalla missione e/o trasferta – e perciò è necessariamente connesso con l’attività lavorativa - e in secondo luogo poiché il lavoratore, con riguardo al luogo in cui deve temporaneamente dimorare, non ha quello stesso controllo delle condizioni di rischio che ha, al contrario, nella propria abitazione. 5.2. Malattia professionale Il sistema assicurativo disciplinato dal d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124 si fondava su un sistema di carattere tabellare, che la Corte costituzionale, con la sentenza 18 febbraio 1988, n. 179, ha dichiarato illegittimo nella misura in cui non consentiva (nell'ambito delle attività protette industriali e agricole di cui agli artt. 1, 206, 207 e 208 del d.p.r. 1124/1965) l'indagine sull'eziologia professionale delle malattie indipendentemente dagli elenchi stabiliti e dai tempi della manifestazione morbosa richiesti dalla legge. I caratteri propri del c.d. sistema tabellare, come delineati dalla normativa in argomento, consistevano (e consistono, visto che l'intervento del giudice delle leggi ha aggiunto ad esso la possibilità di dimostrare in concreto la riconducibilità delle patologie non tabellate alla causa di lavoro): ● nella predeterminazione, mediante elenchi tassativi, di malattie tipiche, ossia ritenute, allo stato delle conoscenze scientifiche e dei dati di esperienza statisticamente rilevati, eziologicamente derivanti da un dato agente patogeno o di malattie causate da un dato agente patogeno, agente patogeno costituente in entrambi i casi il fulcro della tassatività, con l'indicazione, del pari tassativa, delle lavorazioni morbigene, ossia ritenute pregiudizialmente espositive del lavoratore al detto agente patogeno, indicazione specificativa dell'eziologia professionale delle malattie; ● nella predeterminazione del periodo di tempo massimo entro il quale la malattia deve manifestarsi per essere (eziologicamente riconducibile a causa professionale e quindi) indennizzabile. Per effetto della sentenza n. 179 del 1988, quando la malattia non rientri nella previsione tabellare, oppure non vi rientri l'attività lavorativa svolta, o non sussistano tutti i presupposti richiesti dalla tabella per far rientrare l'attività stessa all'interno della sua previsione, l'esistenza del nesso di causalità tra attività professionale svolta ed insorgenza della malattia deve essere provata dal prestatore assicurato secondo i criteri ordinari. Al fine di individuare l'ambito di applicazione del sistema tabellare, ossia l'ambito entro il quale il lavoratore non è gravato dall'onere di dimostrare, per quanto qui rileva, il nesso eziologico, occorre muovere, in primis, dall’art. 3 del d.p.r. 1124/1965, il quale dispone che “l'assicurazione è obbligatoria per le malattie professionali indicate nella tabella allegato n. 4, le quali siano contratte nell'esercizio e a causa delle lavorazioni specificate nella tabella stessa ed in quanto tali lavorazioni 16 rientrino fra quelle previste nell'art. 1. La tabella predetta può essere modificata o integrata con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con il Ministro per la sanità, sentite le organizzazioni sindacali nazionali di categoria maggiormente rappresentative”. Ne discende che, da un punto di vista formale, il sistema presuntivo opera se si accerti l'esistenza di una patologia contenuta nella tabella allegato 4, ove essa sia stata contratta, nel prescritto periodo, nell'esercizio delle lavorazioni indicate. Inoltre, l’art. 139 del d.p.r. 1124/1965 dispone che è obbligatoria per ogni medico, che ne riconosca la esistenza, la denuncia delle malattie professionali che saranno indicate in un elenco da approvarsi con decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale di concerto con quello per la sanità, sentito il Consiglio superiore di sanità. A tal proposito, l’art. 10 del d.lgs. 38/2000 da un lato, ha previsto l'istituzione di una commissione scientifica per l'elaborazione e la revisione periodica dell'elenco delle malattie di cui dell'art. 139 e delle tabelle di cui agli artt. 3 e 211 del testo unico (comma 1); dall'altro, ha specificato: “Fermo restando che sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 (ossia le tabelle di cui agli artt. 3 e 211 del d.p.r. 1124/1965), delle quali il lavoratore dimostri l'origine professionale, l'elenco delle malattie di cui all'art. 139 del testo unico conterrà anche liste di malattie di probabile e di possibile origine lavorativa, da tenere sotto osservazione ai fini della revisione delle tabelle delle malattie professionali di cui agli artt. 3 e 211 del testo unico. Gli aggiornamenti dell'elenco sono effettuati con cadenza annuale con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale su proposta della commissione di cui al comma 1. La trasmissione della copia della denuncia di cui all'art. 139, comma 2, del testo unico e successive modificazioni e integrazioni, è effettuata, oltre che alla azienda sanitaria locale, anche alla sede dell'istituto assicuratore competente per territorio (4 comma)”. In tale contesto normativo, è chiaro che l'elenco delle malattie oggetto di denuncia obbligatoria non amplia il catalogo delle patologie tabellate, come dimostra la puntualizzazione, contenuta nel 4 comma dell'art. 10, appena esaminato, che l'elenco delle malattie di cui all'art. 139 del d.p.r. 1124/1965 conterrà anche liste di malattie di probabile e di possibile origine lavorativa, da tenere sotto osservazione ai fini della revisione delle tabelle delle malattie professionali di cui agli artt. 3 e 211 del d.p.r. 1124/1965. In definitiva, il legislatore attraverso l'elenco delle malattie di cui all’art. 139 del d.p.r. 1124/1965 ha perseguito l'obiettivo di indirizzare l'attività di denuncia dei medici, al fine di rendere completa ed attendibile la raccolta dei dati epidemiologici occorrenti per integrare, su basi obiettive e con celerità, l'elenco delle malattie professionali. Non si spiegherebbe altrimenti la distinzione in separati elenchi tra malattie di probabile e di possibile origine lavorativa, se entrambe le tipologie dovessero essere considerate unitariamente agli effetti dell'assicurazione obbligatoria. Tale lettura del sistema normativo è confortata dalla giurisprudenza di legittimità54 che ha attribuito agli elenchi succedutisi nel tempo in relazione all’art. 139 del d.p.r. 1124/1965 (D.M. 27 aprile 2004, D.M. 14 gennaio 2008, D.M. 11 dicembre 2009 e D.M. 10 giugno 201455) valore probatorio vario in relazione all'intensità probabilistica del nesso eziologico accertato dalla commissione scientifica, ma sempre nel quadro di un accertamento concreto dello stesso. Invece, nel caso di malattia professionale non tabellata, come del resto per la malattia ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro, gravante sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell'origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità56. A tale riguardo, il giudice deve non solo consentire all'assicurato di esperire i mezzi di prova ammissibili e ritualmente dedotti, ma deve altresì valutare le conclusioni probabilistiche del 54 Tra le tante, Cass. civ., sez. lav., 5 agosto 2010, n. 18270, in Mass. Giur. It., 2010; Cass. civ., sez. lav., 5 dicembre 2011, n. 25977, in Mass. Giur. It., 2011. 55 L’elenco delle malattie professionali è visionabile in CD Libro, voce Tabelle. 56 Cass. civ., 8 luglio 1994, n. 6434, in Mass. Giur. It., 1994; Cass. civ., 23 aprile 1997, n. 3523, in Mass. Giur. It., 1997; Cass. civ., 7 aprile 1998, n. 3602, in Mass. Giur. It., 1998; Cass. civ., sez. lav., 20 maggio 2000, n. 6592, in Mass. Giur. It., 2000; Cass. civ., sez. lav., 8 gennaio 2003 n. 87, in Mass. Giur. It., 2003; Cass. civ., sez. lav., 25 maggio 2004, n. 10042, in Mass. Giur. It., 2004. 17 palesarsi della malattia, e il 60% per i successivi tre giorni, salve le migliori condizioni previste da norme di legge o da contratti collettivi o individuali di lavoro. Le indennità per inabilità temporanea sono pagate in via posticipata a periodi non eccedenti i sette giorni. Invece, per gli addetti alla navigazione marittima ed alla pesca marittima l'indennità giornaliera - ai sensi dell’art. 68, comma 4, del d.p.r. 1124/1965 - decorre dal giorno successivo a quello dello sbarco dell'infortunato ed è corrisposta nella misura del 65% della retribuzione effettivamente goduta alla data dello sbarco annotata sul ruolo o sulla licenza, anche dell'indennità sostitutiva delle ferie non godute e senza che sia attribuito rilievo a variazioni retributive contrattuali o agli aumenti del costo della vita rilevati dall'Istat, avendo il legislatore considerato il carattere temporaneo e la durata normalmente limitata dell'erogazione. L’indennità in esame viene corrisposta dall’Inail; però, l’art. 70 del d.p.r. 1124/1965 prevede che il datore di lavoro può anticipare il pagamento dell’indennità per inabilità temporanea all’infortunato o a chi è colpito da malattia professionale, quando ne sia richiesto dall'Inail ovvero ne sia obbligato per contratto collettivo e seguendo le istruzioni date dallo stesso Istituto assicuratore (Inail). L'ammontare delle indennità è rimborsato al datore di lavoro dall'Inail alla fine di ogni mese, salvo diversa convenzione. Detta norma, come il testo rende palese, è focalizzata sulla delega dell'Inail al datore di lavoro per l'anticipazione del pagamento della indennità per inabilità temporanea, e non sulla iniziativa del datore di lavoro. Tale sistema risulta profondamente diverso da quello delle prestazioni temporanee erogate dall'Inps, nelle quali la legge prevede come sistematica l'anticipazione della prestazione per iniziativa del datore di lavoro, il quale provvede poi, in sede di conguaglio con i contributi dovuti al medesimo ente previdenziale, a compensare le due poste del dare e dell'avere, operando su apposita modulistica predisposta dall'ente stesso, e dallo stesso poi controllata. Sulla base di queste considerazioni, la giurisprudenza di legittimità62 ha affermato che a vantaggio del datore di lavoro che, pure senza esserne richiesto dall'Inail, ai sensi dell’art. 70 del d.p.r. 1124/1965, abbia anticipato al lavoratore assente per infortunio l'indennità giornaliera per inabilità temporanea, essendo obbligato da norma contrattuale a corrispondere la retribuzione anche per i giorni di assenza dal lavoro, si verifica l'ipotesi di surrogazione legale prevista dall’art. 1203, n. 3, c.c.; sicchè il datore di lavoro ha una ragione di rivalsa nei confronti dell'Inail limitatamente alla parte corrispondente all'indennità giornaliera per inabilità temporanea spettante al dipendente infortunatosi. Da ciò si ricava che la surrogazione legale opera in favore del datore di lavoro qualora sia obbligato per contratto ad erogare la retribuzione al lavoratore infortunato, anche senza richiesta dell'Inail. I due presupposti citati sono alternativi. 6.1.2. Rendita per l'inabilità permanente: nozione e requisiti L’art. 74 del d.p.r. 1124/1965 distingue l’inabilità permanente assoluta e l’inabilità permanente parziale; definendo la prima (inabilità permanente assoluta) come la conseguenza di un infortunio o di una malattia professionale, la quale tolga completamente e per tutta la vita l'attitudine al lavoro; invece, la seconda (inabilità permanente parziale) come la conseguenza di un infortunio o di una malattia professionale la quale diminuisca in parte, ma essenzialmente e per tutta la vita, l'attitudine al lavoro. Quando sia accertato che dall'infortunio o dalla malattia professionale sia derivata un'inabilità permanente tale da ridurre l'attitudine al lavoro in misura superiore al 10%63 per i casi di 62 Cass. civ., sez. lav., 15 marzo 2006, n. 5641, in Mass. Giur. It., 2006. 63 Interessante, a mio avviso, è definire cosa si intende “misura superiore al 10%”. Un orientamento giurisprudenziale di legittimità minoritario (Cass. civ., sez. lav., 24 gennaio 1997, n. 704, in Mass. Giur. It., 1997), ritiene che, secondo la previsione dell’art. 74, comma 2, del d.p.r. 1124/1965, ai fini del raggiungimento della soglia indennizzabile dell'11%, è sufficiente che l'attitudine al lavoro risulti compromessa in misura superiore al 10% anche di un solo decimo di punto (o di frazione minore). Invece, alla stregua dell'ormai consolidato orientamento di legittimità (tra le tante, Cass. civ., sez. lav., 30 maggio 2000 n. 7217, in Mass. Giur. It., 2000; Cass. civ., sez. lav., 18 aprile 2005, n. 7926, in Mass. Giur. It., 2005) cui va prestata adesione, in caso di infortunio sul lavoro la condanna dell'Inail alla costituzione di una rendita per inabilità permanente presuppone l'accertamento - oltre che della indennizzabilità dell'evento - della sussistenza di un 20 infortunio ed in misura superiore al 20% per i casi di malattia professionale, è corrisposta, con effetto dal giorno successivo a quello della cessazione dell'inabilità temporanea assoluta, una rendita d'inabilità rapportata al grado dell'inabilità stessa sulla base di apposite aliquote64. Tale disposizione, nella parte in cui prevede, ai fini della corresponsione della rendita, un diverso grado di minimo di inabilità permanente a seconda che la inabilità sia conseguente di infortunio (11%) ovvero di malattia professionale (21%), è stata sottoposta al vaglio della Corte costituzionale, la quale, con sentenza 24-30 maggio 1977, n. 93, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., in quanto, dal punto di vista medico-legale, porre una distinzione eziologica tra infortunio e malattia ha scarso rilievo, poiché questa è sempre considerata come conseguenza di una lesione personale, anche se all'origine c'è una causa violenta, essendo malattia qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell'organismo determinata da lesione. Da ciò deriva che concettualmente non esiste alcuna diversità (se non meramente eziologica) tra malattia professionale ed infortunio sul lavoro, comportando ambedue un unico effetto: la invalidità temporanea o permanente, assoluta o parziale; di conseguenza, anche per le malattie professionali, pertanto, è sufficiente una inabilità superiore al 10% ai fini della costituzione della rendita. Attualmente, grazie all’art. 13, comma 2, lett. a), del d.lgs. 38/2000, che - prevedendo per la prima volta l'indennizzo delle menomazioni conseguenti alle lesioni dell'integrità psicofisica (danno biologico, determinato in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del lavoratore danneggiato) -introduce la liquidazione del danno biologico in capitale, in caso di menomazioni di grado pari a 6% e inferiore a 16% e mediante una rendita, per le menomazioni di grado superiore, aggiungendo in quest'ultimo caso una ulteriore quota di rendita per le conseguenze patrimoniali, commisurata al grado di menomazione, alla retribuzione dell'assicurato e sulla base di una apposita nuova tabella dei coefficienti. Tale nuovo regime si applica unicamente per i danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e a malattie professionali verificatisi o denunciati successivamente all'entrata in vigore del D.M. 12 luglio 2000 recante le tabelle valutative del danno biologico. Condizione essenziale per la copertura assicurativa pubblica del danno biologico ad opera dell'Inail è il verificarsi dell'infortunio o della malattia professionale successivamente al 9 agosto 2000, data di entrata in vigore del D.M. 12 luglio 2000 recante le tabelle valutative del danno biologico. Ne consegue che, in caso di malattia od infortunio denunciata dall'interessato prima del 9 agosto 2000, essa deve essere valutata in termini d'incidenza della stessa sull'attitudine al lavoro del richiedente, ai sensi dell’art. 74 del d.p.r. 1124/1965 e può dar luogo ad una rendita per inabilità permanente solo in caso di riduzione di tale attitudine in misura superiore al 10%. L’Inail, con circolare, individua, le misure retributive delle rendite per inabilità permanente per i settori industria, agricoltura, marittimi, per i medici esposti a radiazioni ionizzanti, tecnici sanitari di radiologia medica autonomi: a) per il settore industria, b) per il settore marittimi, c) per il settore agricolo, grado di inabilità permanente superiore alla soglia minima del 10%, quindi a partire dall'11%. A tale conclusione il richiamato orientamento perviene, facendo riferimento al canone fondamentale dell'interpretazione della legge di cui all’art. 12 preleggi c.c., secondo il quale "Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore". Orbene, tenendo conto di tale canone interpretativo, detta giurisprudenza ha concluso che in nessuna parte dell’art. 74, comma 2, del d.p.r. 1124/1965 è possibile ravvisare una volontà di arrotondamento della misura minima della inabilità permanente. La chiara disposizione dell'art. 74, comma 2, fa del resto chiaramente comprendere che il legislatore ha voluto prendere in considerazione le percentuali di inabilità solo in termini di unità intere, così che il primo grado di inabilità indennizzabile coincide con l'undici per cento (in quanto superiore al 10%). Tra l'altro, dell'art. 74, comma 2, n. 1, del d.p.r. 1124/1965 prevede nel primo scaglione di inabilità, quelle di grado "dall'11% al 60% ...", senza riferimento alcuno alle frazioni di grado. 64 L’art. 74, comma 2, del d.p.r. 1124/1965 prevede che: 1)  per inabilità di grado dall'11% al 60%, aliquota crescente col grado della inabilità, come dalla tabella allegato n. 6, dal 50% al 60%; 2)   per inabilità di grado dal 61% al 69%, aliquota pari al grado di inabilità; 3)  per inabilità dall'80% al 100%, aliquota pari al 100%. 21 d) per i medici colpiti da malattie e lesioni causate dall’azione dei raggi x e delle sostanze radioattive, e) per i tecnici sanitari di radiologia autonomi. Gli artt. 83 e 137 del d.p.r. 1124/1965 regolano la disciplina rispettivamente la rendita di inabilità da infortunio e la rendita di inabilità da infortunio da malattia professionale. La rendita in esame può essere riveduta, su domanda del titolare della rendita o per disposizione dell'Inail, in caso di diminuzione o di aumento dell'attitudine al lavoro ed in genere in seguito a modificazione delle condizioni fisiche del titolare della rendita, purché, quando si tratti di peggioramento, questo sia derivato dall'infortunio/dalla malattia professionale che ha dato luogo alla liquidazione della rendita. La rendita può anche essere soppressa nel caso di recupero dell'attitudine al lavoro nei limiti del minimo indennizzabile. La domanda di revisione deve essere presentata all'Inail e deve essere corredata da un certificato medico dal quale risulti che si è verificato un aggravamento nelle conseguenze dell'infortunio o della malattia professionale e risulti anche la nuova misura di riduzione dell'attitudine al lavoro. L'Inail, entro novanta giorni dalla ricezione della domanda, deve pronunciarsi in ordine alla domanda medesima. Se l'Inail rifiuta di accogliere la domanda in tutto o in parte ovvero l'assicurato non accetta la riduzione o la soppressione della rendita, quest’ultimo invia all’Inail una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno o con lettera della quale abbia ritirato ricevuta, entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione fattagli, i motivi per i quali non ritiene giustificabile il provvedimento dell'Inail, precisando, nel caso in cui si tratti di inabilità permanente, la misura di indennità che ritiene essergli dovuta, e allegando in ogni caso alla domanda un certificato medico dal quale emergano gli elementi giustificativi della domanda. Non ricevendo risposta nel termine dei succitati sessanta giorni o qualora la risposta non gli sembri soddisfacente, l'assicurato può convenire in giudizio l'Inail avanti l'autorità giudiziaria. Inoltre, la revisione della rendita può essere richiesta o disposta dall’Inail in caso di infortunio sul lavoro entro dieci anni ed in caso di malattia professionale entro quindici anni. Sul punto, la giurisprudenza maggioritaria di legittimità65 ritiene che il termine di complessivi dieci anni, per la revisione della rendita per infortunio sul lavoro, come pure quello di quindici anni per le malattie professionali non è di prescrizione nè di decadenza, ma delimita soltanto l'ambito temporale di rilevanza dell'aggravamento o del miglioramento delle condizioni dell'assicurato, che fa sorgere il diritto alla revisione, pertanto è ammissibile la proposizione della domanda di revisione oltre il decennio, semprechè la variazione si sia verificata entro il decennio o entro il quindicennio, se le relative modifiche sono intercorse entro il suddetto limite temporale66. Diversa, infine, è l'ipotesi in cui, successivamente alla costituzione della rendita, l'inabilità originaria subisca aggravamenti. In questo caso, è possibile per l'assicurato chiedere l'aumento della rendita, dopo dieci anni dalla sua costituzione, se si tratta di infortunio o dopo quindici anni, in caso di malattia professionale. Sull’argomento, va ricordato che l’art. 137 del d.p.r. 1124/1965 è stato sottoposto al giudizio della Corte Costituzionale, le cui eccezioni di incostituzionalità sono state poste dal giudice di merito in relazione a fattispecie in cui il lavoratore, avendo continuato a essere addetto ad attività morbigena anche dopo la costituzione della rendita, ha chiesto il riconoscimento di un peggioramento dei postumi intervenuto dopo il decorso del quindicennio. La Corte costituzionale, con sentenza n. 46 del 201067, ha rilevato che la fattispecie non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 137 del d.p.r. 1124/1965, il quale disciplina esclusivamente l’ipotesi dell’aggravamento dell’inabilità conseguente alla naturale evoluzione della patologia che ha dato luogo alla costituzione della rendita. La Consulta ha precisato che quando, invece, il maggior grado di inabilità dipende dalla protrazione dell’esposizione a rischio patogeno e si è quindi in presenza di una “nuova” malattia, seppure della stessa natura della prima, la disciplina applicabile è quella 65 Cass. civ., sez. lav., 20 giugno 2005, n. 13190, in Mass. Giur. It., 2005; Cass. civ., sez. lav., 5 ottobre 2007, n. 20897, in Mass. Giur. It., 2007; Cass. civ., sez. lav., 5 giugno 2008, n. 14922, in Mass. Giur. It., 2008. 66 Cass. civ., sez. lav., 22 settembre 2010, n. 20009, in Mass. Giur. It., 2010. 67 Corte Cost., 12 febbraio 2010, n. 46, in CD Libro. 22 L’art. 85 del d.p.r. 1124/1965 stabilisce che se l'infortunio ha per conseguenza la morte, cui presuppone la sussistenza di un nesso di causalità tra l’infortunio e la morte, spetta a favore dei superstiti una rendita; tale rendita è calcolata: - fino al 1° gennaio 2014, sulla base delle retribuzione annua effettiva del lavoratore deceduto, nel rispetto dei limiti minimo e massimo stabiliti per legge; - a far data dal 1° gennaio 2014, sulla base della retribuzione massima convenzionale del settore industria. Ai superstiti aventi diritto è erogata la rendita nella misura del: - 50% al coniuge, fino alla morte; ciò si applica anche quando il coniuge superstite sia legalmente separato, a prescindere dalla titolarità del diritto ad un assegno di mantenimento. Invece, nel caso in cui il coniuge contragga nuovo matrimonio, è corrisposta la somma pari a tre annualità di rendita. Non ha diritto a tale rendita il convivente more uxorio ed il coniuge divorziato; - 20% a ciascun figlio, nato nel matrimonio, nato fuori del matrimonio, riconosciuto o riconoscibile, e adottivo, fino al raggiungimento del diciottesimo anno di età, e il quaranta per cento se si tratti di orfani di entrambi i genitori, e, nel caso di figli adottivi, siano deceduti anche entrambi gli adottanti. Per i figli viventi a carico del lavoratore infortunato al momento del decesso e che non prestino lavoro retribuito, dette quote sono corrisposte fino al raggiungimento del ventunesimo anno di età, se studenti di scuola media o professionale, e per tutta la durata normale del corso, ma non oltre il ventiseiesimo anno di età, se studenti universitari. Se siano superstiti figli inabili al lavoro la rendita è loro corrisposta finché dura l'inabilità. Sono compresi tra i superstiti, dal giorno della nascita, i figli concepiti alla data dell'infortunio. Salvo prova contraria, si presumono concepiti alla data dell'infortunio i nati entro trecento giorni da tale data. Invece, la quota della rendita è pari al 40% se si tratta di ciascun figlio orfano di entrambi i genitori o di ciascun figlio orfano di un solo genitore naturale o di ciascun figlio orfano di un solo genitore che lo ha riconosciuto; In mancanza di coniuge e figli: - il 20% a ciascun genitore naturale o adottivo, se viventi a carico del defunto e fino alla loro morte; - il 20% a ciascuno dei fratelli e delle sorelle, se conviventi con l'infortunato e a suo carico nei limiti e nelle condizioni stabiliti per i figli. Da ciò si evince che, in alcuni caso, è necessario il presupposto della c.d. “vivenza a carico”, la quale è provata quando ricorrano contestualmente due condizioni: a) il pregresso efficiente concorso del lavoratore deceduto al mantenimento degli ascendenti mediante aiuti economici che, per la loro costanza e regolarità, costituivano un mezzo normale, anche se parziale, di sostentamento; b) la mancanza, per gli ascendenti, di autonomi e sufficienti mezzi di sussistenza, concetto, quest'ultimo, che richiama espressamente l'espressione "mezzi necessari per vivere" di cui all’art. 38, comma 1, Cost.. I due presupposti sono entrambi necessari (Cass. civ., n. 18520 del 2006 e come due facce dello stesso fenomeno. La somma delle rendite spettanti ai suddetti superstiti non può superare l'importo dell'intera retribuzione. Nel caso in cui la somma predetta superi la retribuzione, le singole rendite sono proporzionalmente ridotte entro tale limite. Qualora una o più rendite abbiano in seguito a cessare, le rimanenti sono proporzionalmente reintegrate sino alla concorrenza di detto limite. Nella reintegrazione delle singole rendite non può peraltro superarsi la quota spettante a ciascuno degli aventi diritto ai sensi del comma precedente. La rendita ai superstiti si applica, a norma dell’art. 131 del d.p.r. 1124/1965, anche in caso di morte a seguito di riconoscimento della malattia professionale. 25 6.1.5. Assegno una volta tanto in caso di morte (c.d. assegno funerario) L’art. 85, comma 3, del d.p.r. 1124/1965 stabilisce che ai superstiti, di un lavoratore deceduto spetta oltre alla rendita, anche una volta tanto un assegno, ossia il c.d. assegno funerario al coniuge superstite, o, in mancanza, ai figli, o, in mancanza di questi, agli ascendenti, o, in mancanza di questi, ultimi, ai fratelli e sorelle. Qualora non esistano i superstiti predetti, l'assegno è corrisposto a chiunque dimostri di aver sostenuto spese in occasione della morte del lavoratore nella misura corrispondente alla spesa sostenuta, entro il limite massimo dell'importo previsto per i superstiti aventi diritto a rendita. 6.1.6. Assegno di incollocabilità L'assegno mensile di incollocabilità, previsto dall'art. 180 del D.P.R. 1124/1965, è una prestazione economica che viene erogata mensilmente dall’Inail ai mutilati od agli invalidi del lavoro, privi di ogni capacità lavorativa e che si trovino nell’impossibilità di fruire dell’assunzione obbligatoria, adeguatamente certificata dal centro medico legale della sede competente, per gli eventi fino al 31 dicembre 2006. Di conseguenza i requisiti per usufruire dell’assegno di incollocabilità sono i seguenti: a) riduzione della capacità lavorativa non inferiore al 34% fino al 2006; poi dal 1 gennaio 2007 riduzione dell’integrità psicofisica di grado superiore al 20%, secondo le tabelle per il calcolo del danno biologico (d.lgs. 38/2000); b) età non superiore ai limiti pensionabili; c) non applicabilità, nei loro confronti, del beneficio dell'assunzione obbligatoria. Ne deriva che il diritto a mantenere l'assegno persiste fino a quando dura la situazione di incollocabilità e, cioé, viene a mancare o perché si è verificata l'assunzione obbligatoria e perché essa non può più avvenire per difetto di alcuno dei presupposti. Ciò in quanto la prestazione di chi trattasi ha funzione sostitutiva dell'assunzione obbligatoria mirando essa a risarcire chi, pur avendone diritto, non può concretamente avvalersi di quella speciale forma di tutela dell'invalido costituita dall'avviamento privilegiato al lavoro. Per ricevere l’assegno di incollocabilità, il lavoratore deve fare domanda alla sede Inail d’appartenenza. La domanda deve comprendere, oltre ai dati anagrafici, la descrizione dell’invalidità (lavorativa ed extralavorativa, se esistente) e la fotocopia del documento di identità. In caso di invalidità extralavorativa, dovrà essere presentata la relativa certificazione. Una volta accertati i requisiti, il centro medico della sede Inail competente ne verificherà l’esistenza con una visita medica. In caso di esito positivo, sarà comunicata all’assicurato l’accettazione della richiesta. Nel caso in cui la richiesta non venga accolta, la sede specificherà all’interessato le motivazioni tramite posta. 6.1.7. Assegno continuativo mensile L’art. 124 del d.p.r. 1124/1965 prevede che, con decorrenza dal 1° luglio 1967, agli invalidi per infortunio sul lavoro o malattia professionale nell'industria, già indennizzati in capitale ai sensi della legge 31 gennaio 1904, n. 51 e del regio decreto 13 maggio 1929, n. 928, o titolari di rendita vitalizia con grado di inabilità non inferiore al 50%, sono concessi gli assegni continuativi mensili. Dunque, l'assegno continuativo mensile, previsto dall'art. 124 citato, spetta - con funzioni perequative - soltanto agli assicurati che, infortunatisi anteriormente all'entrata in vigore del r.d. 1765/1935, siano stati indennizzati in capitale o con vitalizio con il sistema indennitario di tipo invariabile all'epoca vigente. Infatti, il sistema di indennizzo unificato della rendita per invalidità permanente di tipo variabile (in quanto sottoposta a revisione e a uno specifico sistema perequativo di rivalutazione) istituito dal r.d. 1765/1935 è ontologicamente diverso rispetto al precedente, sicchè le prestazioni rispettivamente previste dai due sistemi considerati non sono cumulabili. Tali assegni sono rivalutati ogni anno. 26 6.1.8. L. 248/1976: provvidenze in favore delle vedove e degli orfani dei grandi invalidi sul lavoro deceduti per cause estranee all'infortunio sul lavoro o alla malattia professionale L’art. 1 della l. 5 maggio 1976, n. 248 stabilisce che, nel caso di decesso, successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, avvenuto per cause non dipendenti dall'infortunio o dalla malattia professionale, del titolare di rendita per inabilità permanente di grado non inferiore al 65% spetta al coniuge ed ai figli superstiti, uno speciale assegno continuativo mensile pari ad una quota parte della rendita di inabilità permanente di cui godeva l'assicurato. I superstiti hanno diritto allo speciale assegno sempre a condizione che non abbiano titolo a rendite o prestazioni economiche previdenziali, con esclusione degli assegni familiari o assistenziali, ivi comprese le pensioni di guerra, con l'esclusione dell'assegno vitalizio annuo agli ex combattenti della guerra 1915-1918 e precedenti, erogate con carattere di continuità dallo Stato, dagli altri enti pubblici o da Paesi esteri e che, comunque, non siano titolari di redditi a qualsiasi titolo di importo pari o superiore a quello dell'assegno sopraindicato. Qualora i superstiti percepiscano rendite, prestazioni o redditi, ma di importo inferiore a quello dell'assegno, hanno diritto a quest'ultimo ridotto in misura corrispondente all'importo della rendita, prestazioni o redditi percepiti. Per ottenere tale prestazione gli aventi diritto devono presentare entro il termine di centottanta giorni71 dalla data del decesso dell'assicurato apposita domanda, corredata dalla certificazione degli uffici finanziari da rilasciarsi senza spese e da una dichiarazione resa dagli aventi diritto medesimi, dalle quali risulti l'esistenza dei requisiti richiesti. Il predetto termine è interrotto quando gli aventi diritto allo speciale assegno, ritenendo trattarsi di decesso conseguente all'infortunio o alla malattia professionale, abbiano iniziato le pratiche amministrative o l'azione giudiziaria per il conseguimento delle prestazioni ai sensi dell'art. 85 del d.p.r. 1124/1965. 6.1.9. Indennità una tantum per i superstiti di gravi infortuni sul lavoro L’art. 1, comma 1187 della l. 27 dicembre 2006, n. 296, modificato dall’art. 2, comma 534, della l. 24 dicembre 2007, n. 244, ha previsto che al fine di assicurare un adeguato e tempestivo sostegno ai familiari delle vittime di gravi incidenti sul lavoro, anche per i casi in cui le vittime medesime risultino prive della copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, è istituito presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale il Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro. Il d.m. 19 novembre 2008 ha stabilito le tipologie di benefici, requisiti e modalità di accesso al Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro; in particolare, ha precisato che il Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro eroga una prestazione una tantum al nucleo dei familiari superstiti dei lavoratori deceduti a causa di infortunio sul lavoro oppure privi di copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro. La prestazione erogata dal Fondo non è soggetta a rivalsa e non limita l'ammontare del risarcimento del danno in favore dei familiari del lavoratore. L'importo della prestazione è parametrato al numero dei familiari superstiti del lavoratore, è annualmente determinato in relazione alle risorse disponibili 71 Il termine di centottanta giorni dalla morte dell'assicurato, fissato dall'art. 7 della l. 248/1976, entro il quale le vedove e gli orfani dei grandi invalidi del lavoro deceduti devono presentare la domanda per ottenere lo speciale assegno continuativo mensile ha natura di un termine di decadenza di carattere sostanziale non attinente al procedimento amministrativo preordinato alla composizione extragiudiziale della controversia previdenziale e pertanto, rispetto ad esso non opera il disposto dell'art. 8 della l. 533/1973, che stabilisce l'irrilevanza dei vizi, delle preclusioni e di decadenze verificatesi nel corso di procedimenti siffatti; detto termine, peraltro è eccezionalmente suscettibile di interruzione, qualora in sua pendenza sia stata dal superstite proposta domanda di attribuzione della rendita - art. 85 del d.p.r. 1124/1965, fino a quando non sia intervenuta una decisione definitiva su tale domanda, per la cui proponibilità in via amministrativa stabilisce altresì il diverso termine di novanta giorni dalla data della morte (Cass. civ., 19 maggio 1984, n. 3092, in Mass. Giur. It., 1984). 27 sostanzia in un atto di cooperazione dell'infortunato che, attraverso un giudizio di seconda istanza nella piena garanzia del contraddittorio, pone l'Inail in condizioni di riprendere in esame i propri atti, prima di essere eventualmente chiamato a risponderne davanti al giudice e quindi di assicurarne, per quanto possibile, la regolarità, in vista del migliore assolvimento dei compiti sociali che gli sono propri. Sicché il termine di sessanta giorni previsto dall'art. 104 del d.p.r. 1124/1965, sempre secondo la Corte costituzionale, si inserisce in una procedura dettata in funzione del raggiungimento di scopi di interesse pubblico, i quali, inoltre, si risolvono anche in un vantaggio per coloro cui fa carico l'osservanza del termine. Inoltre, il secondo comma dell'art. 104 del d.p.r. 1124/1965 dispone che - non ricevendo risposta nel termine di giorni sessanta dalla data della ricevuta della domanda di cui al precedente comma o qualora la risposta non gli sembri soddisfacente - l'assicurato può convenire in giudizio l'Inail davanti all'autorità giudiziaria. Dal momento che tali eventi si inseriscono in un procedimento amministrativo già attivato, la mancata opposizione al provvedimento dell'Inail, incide rispetto all'azione giudiziaria in termini non di proponibilità, ma di procedibilità della stessa. Ne è conferma l'art. 111 del d.p.r. 1124/1965, il quale dispone che il procedimento contenzioso non può essere istituito se non dopo esaurite tutte le pratiche prescritte dal presente titolo per la liquidazione amministrativa delle indennità. A ciò si aggiunge la giurisprudenza di legittimità, la quale ha ritenuto che la mancata presentazione all'Istituto previdenziale della domanda amministrativa di prestazione determina non già la mera improcedibilità ex art. 443 c.p.c., bensì la radicale improponibilità della domanda giudiziale, rilevabile in qualsiasi stato e grado del giudizio. 10. Danno biologico L’art. 13 del d.lgs. 28 febbraio 2000, n. 38 ha introdotto, per gli infortuni vendicatisi successivamente al 9 agosto 2000, la copertura assicurativa dell'Inail al danno biologico comprensivo di tutte le menomazioni dell'integrità psico-fisica complessivamente considerata, quale voce da liquidarsi da parte dell'assicuratore sociale (Inail) al lavoratore infortunato. Infatti, prevede a) l'indennizzo in capitale delle menomazioni di grado pari o superiore al 6% ed inferiore al 16%; b) la rendita per le menomazioni dal 16%. Da ciò si desume che il danno biologico da malattia professionale o da infortunio sul lavoro, è indennizzabile, ai sensi dell'art. 13 del d.lgs. 28 febbraio 2000, n. 38, solo se è pari o superiore al 6%, con la conseguenza che un danno percentuale inferiore a tale soglia, sia pure per frazioni di punto, non dà diritto a indennizzo, dovendosi escludere la possibilità di un arrotondamento al punto superiore. Sull’argomento, il legislatore è intervenuto, n primis, con il comma 23 dell'art. 1 del Protocollo welfare del 2007, disponendo un aumento in via straordinaria delle indennità dovute dall'Inail a titolo di recupero del valore dell'indennizzo del danno biologico, quantificato con decreto interministeriale nella misura dell'8,68% a decorrere dal 1° gennaio 2008. Successivamente il legislatore, in occasione della emanazione della l. 147/2013, c.d. legge di stabilità 2014, ha previsto, in attesa della introduzione del meccanismo di rivalutazione automatica degli importi indicati nella Tabella indennizzo danno biologico - contenuta nel d.m. 12 luglio 2000 - un ulteriore aumento in via straordinaria degli importi delle indennità, a titolo di recupero del valore dell'indennizzo del danno biologico. Con il d.m. 14 febbraio 2014 sono stati fissati i criteri e le modalità di attuazione della norma in questione. Tale aumento, rivestendo carattere di straordinarietà, non comporta un aggiornamento delle tabelle del danno biologico ma consente di recuperare parte della variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati e di operai accertati dall'Istat, intervenuta negli anni 2000-2013. Il decreto interministeriale ha disposto, a decorrere dal 2014, l'aumento nella misura del 7,57% delle indennità dovute dall'Inail ai sensi della Tabella indennizzo danno biologico di cui al Decreto ministeriale 12 luglio 2000. 30 Però, va precisato che l’indennizzo erogato dall'Inail, ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 38/2000, non “ripara”, integralmente il danno alla salute subito dal lavoratore a causa dell'infortunio sul lavoro, con il conseguente riconoscimento del danno biologico differenziale. Infatti, il danno biologico differenziale si estende a tutto ciò che non è compreso nella copertura assicurativa (come può essere, ad esempio: il danno biologico temporaneo, il danno biologico fino al 5%, il danno morale, tutta la componente strettamente soggettiva del danno biologico, ecc…) e non è sempre risarcibile dal datore di lavoro, in base alle disposizioni contenute nell’art. 10 del d.p.r. 1124/1965, il quale esonera il datore di lavoro da ulteriore responsabilità. Infatti, l'azione per danno differenziale in senso proprio è solo quella delineata dall'art. 10, commi da 2 a 8, del d.p.r. 1124/1965; la stessa ha, quindi, presupposti tipizzati ben precisi, che possono così essere sintetizzati: 1) configurabilità di un fatto di reato perseguibile d'ufficio; 2) sussistenza e permanenza della responsabilità civile datoriale; 3) intervenuta liquidazione delle indennità Inail o ipotetica liquidazione, se non intervenuta; 4) asserita ed argomentata superiorità del risarcimento spettante rispetto alle indennità per il medesimo titolo. Questi presupposti costituiscono l'oggetto di altrettanti oneri assertivi a carico del lavoratore- infortunato-ricorrente, il quale (lavoratore-infortunato), presupponendo sussistente la responsabilità penale datoriale per reato procedibile, allega l'esistenza dei presupposti per il venir meno della regola di esonero da responsabilità. In tal caso, perciò, il lavoratore-infortunato ha l'onere di allegare gli elementi in fatto ed in diritto per l'accertamento astratto della responsabilità penale datoriale. In altri termini, in questo tipo di ricorso tra le ragioni giuridiche della domanda vi deve essere l'invocazione del superamento della regola tendenziale dell'esonero; infatti, la giurisprudenza risalente ha parlato del presupposto della responsabilità penale come condizione di proponibilità dell'azione per danno differenziale. In altri termini, costituisce onere del lavoratore-infortunato argomentare in maniera specifica circa la pretesa superiorità del risarcimento del danno, liquidato secondo le regole civilistiche (equità, tabelle giurisprudenziali, etc.) rispetto all'indennizzo Inail. Il che vuol dire che nelle domande per danno differenziale l'esistenza di quest'ultimo non può essere affermata in via solo esplorativa o apodittica, ma deve essere suffragata da argomenti in fatto ed in diritto adeguati, che nel caso di specie è dato evincere dalla articolata esposizione contenuta in ricorso. Infatti, la tesi che esclude la possibilità di configurare un danno biologico differenziale suscettibile di risarcimento da parte del datore di lavoro, a parte ogni considerazione "antologica", implica, a mio avviso, un'inaccettabile interpretazione abrogatrice dell'art. 10 del d.p.r. 1124/1965. Questa norma, difatti, sul presupposto del venir meno dell'esonero, prevede espressamente la configurabilità e la risarcibilità del danno differenziale, allorché le prestazioni erogate dall'Inail non coprano l'intero danno risarcibile secondo le regole civilistiche comuni. E non vi è ragione per escludere dall'ambito operativo della disposizione proprio il danno biologico. Non vi è dubbio che l'azione tratteggiata dai commi 2-8 dell'art. 10 presuppone tipicamente (ma non esclusivamente) già intervenuto l'indennizzo Inail; ciò in quanto l'Inail, a seguito di denuncia dell'assicurato del datore di lavoro, deve provvedere in tempi rapidissimi (l'art. 100 del d.p.r. 1124/1965 fissa un termine di 20 giorni). Pertanto, anche per radicare l'interesse ad agire, il lavoratore-ricorrente ha l'onere di allegare le circostanze per cui la liquidazione del danno secondo le regole comuni di responsabilità civile porterebbe ad una quantificazione superiore all'indennità Inail. Peraltro, come precisato dalla Cass. civ., n. 7479 del 2000, il datore di lavoro non può dolersi della liquidazione dell'indennità all'infortunato in misura maggiore (o inferiore) a quella realmente spettantegli, sia perché, essendo estraneo al rapporto tra infortunato ed assicuratore, non può muovere opposizione alla liquidazione da quest'ultimo fatta sia perché l'obbligo di rivalsa è pur sempre contenuto nei limiti del risarcimento da lui dovuto all'infortunato e quindi è escluso che l'indebita maggiore liquidazione si risolva a danno di esso terzo. Proprio per questo motivo, si deve evidenziare che costituisce specifico onere del lavoratore-ricorrente produrre in giudizio la documentazione Inail relativa all'infortunio in questione ed alle somme erogate o capitalizzate in 31 suo favore, onde fornire la prova della fondatezza delle avverse pretese relative all'asserito danno differenziale. 11. Infortunio domestico La l. 3 dicembre 1999, n. 493 istituzionalizza l'assicurazione contro gli infortuni domestici, ossia promuove iniziative dirette a tutelare la sicurezza e la salute attraverso la prevenzione delle cause di nocività e degli infortuni negli ambienti di civile abitazione e l'istituzione di una forma assicurativa contro il rischio infortunistico derivante dal lavoro svolto in ambito domestico. L'assicurazione è gestita dall'Inail e sono soggette all'obbligo di iscrizione all'assicurazione: a) le persone di età compresa tra i 18 e i 65 anni72; b) svolgono in via esclusiva attività di lavoro in ambito domestico73; svolgano l’attività senza vincolo di subordinazione ed a titolo gratuito, finalizzate alla cura delle persone e dell'ambiente domestico. Sono esclusi dall'assicurazione gli infortuni verificatisi al di fuori del territorio nazionale. Inoltre, l'assicurazione contro gli infortuni in ambito domestico comprende i casi di infortunio avvenuti, per causa violenta o virulenta, in occasione e a causa di lavoro nel suddetto ambito, da cui deriva: - un’invalidità permanente pari o superiore al 27%, dal 1 gennaio 2007, invece, per quelli occorsi fino al 31 dicembre 2006, la percentuale era del 33%; - la morte. L’art. 9 della l. 493/1999 stabilisce che la prestazione consiste in una rendita per inabilità permanente, esente da oneri fiscali, quando l'infortunio ha provocato una riduzione della capacità lavorativa nella misura, indicata dall’art. 7, comma 4, ed è calcolata su una retribuzione convenzionale pari alla retribuzione annua minima fissata per il calcolo delle rendite del settore industriale, rivalutabile ai sensi dell'articolo 116 del medesimo testo unico, e successive modificazioni. La rendita di inabilità permanente è corrisposta con effetto dal primo giorno successivo a quello della cessazione del periodo di inabilità temporanea assoluta, in misura proporzionale rispetto all'effettiva entità dell'invalidità medesima. In considerazione delle particolari finalità dell'assicurazione e delle specificità del lavoro svolto in ambito domestico, l'Inail non esercita il diritto di regresso nei confronti dell'assicurato e dei componenti il suo nucleo familiare. In caso di infortunio mortale, è corrisposta una rendita ai superstiti ai sensi dell'art. 85 del d.p.r. 1124/1965. 72 Tra i soggetti assicurati rientrano i cittadini stranieri che soggiornano regolarmente in Italia; i pensionati che, nel 2020, non abbiano superato i 67 anni di età e gli studenti che, anche se studiano, svolgano attività in ambito domestico. 73 Per «ambito domestico» si intende l'insieme degli immobili di civile abitazione e delle relative pertinenze ove dimora il nucleo familiare dell'assicurato; qualora l'immobile faccia parte di un condominio, l'ambito domestico comprende anche le parti comuni condominiali. 32
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