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La delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale, Tesi di laurea di Diritto Ecclesiastico

Tesi di laurea incentrata sul tema della delibazione, frutto di un lavoro complesso e dedicato.

Tipologia: Tesi di laurea

2021/2022

In vendita dal 23/03/2024

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Scarica La delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale e più Tesi di laurea in PDF di Diritto Ecclesiastico solo su Docsity! 1 Sommario Introduzione…………………………………………………………………...…..3 Capitolo 1. Il matrimonio concordatario…………………………………………..6 1.1.Origine ed evoluzione del matrimonio concordatario………………………… 6 1.2. Il matrimonio concordatario, tra modello canonistico ed esigenze statuali. La riforma del 1984: verso una separazione degli «ordini»………………………… 11 1.3 Il procedimento di trascrizione: natura ed effetti della trascrizione del matrimonio canonico…………………………………………………………….. 14 1.3.1. Segue. Profili di compatibilità costituzionale tra il regime di indissolubilità del vincolo religioso e la disciplina dei casi di cessazione degli effetti civili del matrimonio (divorzio) previsti dalla legge 898/1970…………………………….18 1.3.2. I presupposti della trascrizione…………………………………………….19 1.4 Limiti alla trascrivibilità: gli impedimenti assoluti alla trascrizione………………………… .................................................................. ..21 1.4.1. Segue. Trascrizione tempestiva, ritardata e c.d. tardiva.……………………………………………………………………………24 1.4.2. Segue. I limiti alla trascrivibilità del matrimonio canonico celebrato all’estero o in forme speciali. ................................................................................ 27 1.5. Matrimonio acattolico. ................................................................................... 28 1.5.1. Il matrimonio nelle Intese con le altre confessioni religiose………………32 Capitolo 2 : La delibazione e i suoi limiti ............................................................. 34 2.1. La giurisdizione ecclesiastica sul matrimonio canonico……………………. 34 2.2. La riserva di giurisdizione ecclesiastica…………………………………….. 37 2.3. L’avvio della revisione concordataria e gli interventi della Corte Costituzionale……………………………………………………………………. 40 2.4. .. La delibazione delle sentenze canoniche di nullità nell’Accordo del 1984 e la controversa questione della riserva di giurisdizione…………………………….. 46 2.5. Il concorso di giurisdizione ed i criteri di risoluzione. Il criterio della prevenzione e decodificazione del concetto di ordine pubblico………………… 52 2 2.6. La procedura di delibazione e le verifiche della Corte d’appello…………... 59 Capitolo 3 : La prolungata convivenza come limite alla delibazione…………… 68 3.1. Le Sezioni Unite nella sentenza n. 19809 del 2008: la valutazione della ostatività dell’ordine pubblico interno alla “delibazione” delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale. Cenni sulla tutela della buona fede e dell'affidamento del coniuge incolpevole. La prolungata convivenza come asserito limite alla delibazione: le ragioni del dibattito…………………………………... 68 3.2. Le sentenze n° 16379/2014 e 16380/2014 delle Sezioni Unite della Cassazione……………………………………………………………………….. 77 3.3. I provvedimenti economici a favore del coniuge «debole». Una supplenza giurisprudenziale alla latitanza del legislatore. ..................................................... 87 Conclusioni…………………………………………………………………….. . 99 Bibliografia…………………………………………………………………….. 104 Sitografia ............................................................................................................. 119 5 Preliminarmente verranno individuate le ipotesi nelle quali una sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale può essere definita come contraria all’ordine pubblico italiano, e quindi non delibabile . E ciò è stato possibile, come si è avuto modo di osservare, per il radicarsi di indirizzi giurisprudenziali che, pur avendo correttamente individuato nel “controllo sulla sentenza” un mezzo per superare il vecchio automatismo del riconoscimento di efficacia civile alle sentenze ecclesiastiche, hanno poi in concreto utilizzato il limite dell’ordine pubblico per stringere le maglie e restringere fortemente l’«ingresso» di dette sentenze nell’ordinamento giuridico dello Stato . Si è aperto così in dottrina e in giurisprudenza un vero e proprio dibattito, indubbiamente facilitato dalle innegabili e spesso radicali diversità delle cause di nullità del matrimonio previste dalle norme canoniche rispetto a quelle previste dal codice civile, che ha impegnato più di una volta le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione per dirimere i contrasti. 6 Capitolo 1. Il matrimonio concordatario. 1.1. Origine ed evoluzione del matrimonio concordatario. Nel nostro sistema ordinamentale l’attuale celebrazione del matrimonio davanti al ministro del culto cattolico è il frutto di una delicata e complessa evoluzione storica che prende le mosse nell’Italia preunitaria dall’esistenza di un’unica forma matrimoniale, quella disciplinata dal diritto canonico, il c.d. modello confessionale. Il tratto caratterizzante questa prima fase è stato proprio l’assenza, almeno con connotati di stabilità sino alla codificazione del 1865, della previsione del matrimonio civile1. Sotto questo angolo prospettico si può osservare che un primo significativo cambiamento è rappresentato dal Codice civile previgente che «introdusse in Italia, come unico matrimonio giuridicamente rilevante, il matrimonio civile (…) ritenendo compito essenziale dello Stato quello di disciplinare autonomamente l’istituto matrimoniale, posto a fondamento della famiglia»2. Il sistema così delineato si può definire separatista in quanto presuppone l’autonoma esistenza di un matrimonio civile e di un matrimonio religioso-canonico. In altri termini si può evidenziare che ciascuno di questi modelli non soltanto è riconducibile ad una propria disciplina ma risulta essere il frutto di scelte operanti su piani distinti: da un lato quello statuale, dall’altro quello meramente privato, con l’ulteriore conseguenza della sussistenza del matrimonio civile obbligatorio, quale unica forma, cioè, ritenuta costitutiva del rapporto coniugale. Ne deriva che l’impostazione così delineata è espressione della distinzione tra contratto e sacramento, i cui risultati dal punto di vista ermeneutico possono positivamente valutarsi con riferimento al bagaglio di valori e di convinzioni personali dei cittadini nonché della libertà di scelta degli sposi. Questo sistema per certi versi separatista ha termine con il Concordato siglato tra lo Stato italiano e la Santa Sede l’11 febbraio 1929 nell’ambito dei c.d. Patti 1 Cfr. DALLA TORRE G., Postille sul matrimonio concordatario, in Matrimonio concordatario e 2 COLELLA P., Il matrimonio davanti a ministri del culto cattolico e dei culti ammessi, in Tratt. Rescigno, 2, Torino, 1992 (rist.), 537, richiamando l’insegnamento di Jemolo. 7 Lateranensi, il cui art. 34 dispone che «lo Stato italiano volendo ridonare dignità all’istituto del matrimonio, che è base della famiglia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili»3. Si assistette, in tal modo, all’introduzione del matrimonio concordatario, espressione con la quale si intende e si indica «il matrimonio religioso cattolico a cui lo Stato, in virtù di accordi concordatari con la Chiesa, riconosce effetti civili»4. Questa novità rivestì un significato denso di rilevanza in quanto consentiva alla Chiesa di riacquistare sul matrimonio un potere corrispondente a quello avuto prima dell’unificazione italiana, secondo il modello del Concilio di Trento. Ciò si spiega in considerazione del fatto che viene introdotto il sostanziale principio in forza del quale il matrimonio valido per la Chiesa lo è anche per lo Stato e il matrimonio nullo e dunque improduttivo di effetti, secondo la Chiesa lo è anche per lo Stato5. Sotto questo punto di vista occorre ricordare che il matrimonio religioso era all’epoca la forma assolutamente più diffusa nel paese, soprattutto nelle campagne, ove il matrimonio civile era assai raro. Inoltre con il matrimonio 3Per completezza argomentativa si riporta per intero l’art. 34 che così recita: “lo Stato italiano, volendo ridonare all’istituto del matrimonio, che è base della famiglia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili. Le pubblicazioni del matrimonio come sopra saranno effettuate, oltre che nella chiesa parrocchiale, anche nella casa comunale. Subito dopo la celebrazione il parroco spiegherà ai coniugi gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti ed i doveri dei coniugi, e redigerà l’atto di matrimonio, del quale entro cinque giorni trasmetterà copia integrale al Comune, affinché venga trascritto nei registri dello stato civile. Le cause concernenti la nullità del matrimonio e la dispensa dal matrimonio rato e non consumato sono riservate alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici. I provvedimenti e le sentenze relative, quando siano divenute definitive, saranno portate al Supremo Tribunale della Segnatura, il quale controllerà se siano state rispettate le norme del diritto canonico relative alla competenza del giudice, alla citazione ed alla legittima rappresentanza o contumacia delle parti. I detti provvedimenti e sentenze definitive coi relativi decreti del Supremo Tribunale della Segnatura saranno trasmessi alla Corte di Appello dello Stato competente per territorio, la quale, con ordinanze emesse in Camera di Consiglio, li renderà esecutivi agli effetti civili ed ordinerà che siano annotati nei registri dello stato civile a margine dell’atto di matrimonio. Quanto alle cause di separazione personale, la Santa Sede consente che siano giudicate dall’autorità giudiziaria civile”. In http://www.vatican.va/roman_curia/secretariat_state/archivio/documents/rc_seg st_19290211_patti-lateranensi_it.html#CONCORDATO_FRA_LA_SANTA_SEDE_E_LITALIA 4 MONETA, Matrimonio concordatario, in Digesto civ., XI, Torino, 1994, p. 281. 5 IANNACCONE, Il matrimonio davanti ai ministri di culto cattolico, in Tratt. Ferrando, I, Bologna, 2007, 330; FINOCCHIARO F., Diritto ecclesiastico, op. cit., 478 in cui l’Autore ritiene questo riconoscimento un vero e proprio privilegio; BARBIERA, Il matrimonio, Padova, 2006, 189 in cui si legge che «il matrimonio canonico era rilevante agli effetti civili, purché fosse trascritto nei registri dello stato civile; le cause di nullità del vincolo erano riservate alla giurisdizione dei Tribunali ecclesiastici, le cui sentenze erano rilevanti nel diritto dello Stato». 10 alcun valore giuridico nell’ordinamento statuale e per «ridonare» al matrimonio «dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo» 12. L’indicata funzione proietta la disciplina concordataria del 1929 in quella prospettiva di continua lotta per la definizione delle reciproche competenze che ha caratterizzato per lunghi secoli i rapporti tra lo Stato e la Chiesa, anche per quel che riguarda la materia matrimoniale. La Chiesa, infatti, pretende un diritto originario ed esclusivo sulla disciplina del vincolo e sulla giurisdizione nella materia matrimoniale relativa ai battezzati in ragione del carattere sacramentale del matrimonio dei cristiani e considera il matrimonio civile, per riportare il pensiero di un noto Autore, «come una specie di incitamento alla disobbedienza verso la Chiesa» stessa13, anche se condanna «più gravemente il matrimonio civile obbligatorio che non il matrimonio civile facoltativo, perché, mentre lo Stato nell’ammettere che si possa contrarre validamente matrimonio tanto con le forme stabilite dalla Chiesa, quanto con le forme stabilite dallo Stato, riconosce l’autorità di essa e rispetta il sentimento religioso dei cittadini, nell’obbligarli, invece, a ricorrere soltanto al matrimonio civile, nega completamente la potestà della Chiesa e viola la libertà di coscienza»14. Occorre evidenziare un aspetto di non poco conto. Sebbene durante i primi secoli la Chiesa sembrava riconoscere che il matrimonio in qualche modo potesse dipendere dalla legislazione civile, essa, soprattutto a partire dagli ultimi decenni del IV sec., sviluppa e pone in essere una serie di interventi graduali nella materia matrimoniale che la portano prima ad affermare, tra la fine dell’VIII e la prima metà del IX sec., un proprio controllo giurisdizionale sul matrimonio e successivamente, dall’XI sec. in poi, fino alla formazione dei grandi stati moderni, a conquistare quasi un monopolio legislativo e giurisdizionale sulla fattispecie matrimoniale15. 12 DEL GIUDICE V., Manuale di diritto ecclesiastico, 10a ed., Milano, 1970, p. 258; PUGLIESE, Concordato e divorzio in una «Lettura» di Salvatore Satta, in Giur. it., 1971, IV, c. 84, per il quale la volontà di «ridonare» al matrimonio dignità conforme alle tradizioni cattoliche del popolo italiano non poteva trovare la sua ratio che «nell’abolizione della necessità del matrimonio civile per chi, contraendo matrimonio religioso, voleva che i relativi effetti si producessero anche nello Stato». 13 FALCO, Corso di diritto ecclesiastico, I, Padova, 1935, p. 210 ss.; DALLATORRE G., Lezioni di diritto ecclesiastico, op.cit. p. 152 e ss. 14 FALCO, Corso, I, op. cit., p. 212. 15 GAUDEMET, Il matrimonio in occidente, Torino, 1989, p. 36 ss. 11 È solo con la Riforma protestante, che respinse la natura sacramentale del matrimonio, e con l’affermarsi dei grandi Stati moderni che rinasce un dualismo Stato-Chiesa sulla disciplina del matrimonio. Sotto questo angolo prospettico si osserva che le monarchie, legiferano e giudicano in materia matrimoniale, «elaborando così una disciplina civile, in parte parallela e in parte diversa da quella della Chiesa»16, anche se, in un primo tempo, si astengono dall’interferire sul vincolo matrimoniale vero e proprio, rispettando la competenza della Chiesa in ragione della natura sacramentale del vincolo in questione17. Tale aspetto si verifica soprattutto a partire dalla metà del XVI sec. in poi. Ma già nel XVII sec. si intravede un rafforzamento della competenza civile. Ciò è dovuto principalmente al fatto che in dottrina si afferma una distinzione tra sacramento e contratto. Tale dicotomia non è scevra di effetti in punto di disciplina della materia matrimoniale in quanto consente di riconoscere al monarca un «potere diretto sul contratto, perché solo il principe può regolarne la natura e le condizioni; indiretto sull’amministrazione del sacramento, perché essendo il contratto materia del sacramento, se il contratto è nullo, il sacramento non ha più materia sulla quale possa essere applicato». Si avvia così quel processo di secolarizzazione del matrimonio che culmina nel code Napoléon, il quale considera il matrimonio «come un atto laicizzato», e nell’affermarsi, soprattutto nella seconda metà dell’800, di norme civili che impongono il matrimonio civile come unico matrimonio riconosciuto dalle istanze statali, circostanza che in Italia si verificherà con l’entrata in vigore del codice civile del 1865. 1.2. Il matrimonio concordatario, tra modello canonistico ed esigenze statuali. La riforma del 1984: verso una separazione degli «ordini». 16 Anche se invero non mancano esempi di «attacco» all’autorità della Chiesa sul matrimonio in tempi precedenti: ed, infatti, «la polemica dottrinale che provoca il conflitto tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello, è dovuta anche al dibattito sulla competenza giurisdizionale in materia matrimoniale» (GAUDEMET, Il matrimonio, op. cit., p. 201). 17 GAUDEMET, Il matrimonio, cit., p. 236. 12 In questo singolare percorso di sviluppo che la fattispecie matrimoniale ha seguito durante i secoli successivi all’affermarsi della Chiesa nel mondo occidentale, il Concordato lateranense del 1929 ha voluto introdurre una fase «nuova», nella quale il matrimonio venisse riconosciuto come una res mixta, un singolare «territorio comune», su cui tanto lo Stato quanto la Chiesa avessero pari legittimità a legiferare e giudicare, realizzando nella disciplina della fattispecie matrimoniale una speciale diarchia, rispetto alla quale la normativa pattizia, quasi ad imitazione di un’actio finium regundorum, specificava i limiti di operatività del potere riconosciuto allo Stato e del potere riconosciuto alla Chiesa. Sotto questo angolo prospettico il matrimonio veniva a costituire una fattispecie unitaria, alla cui disciplina concorrevano norme canoniche e norme civili, destinata ad avere una vicenda «unica» tanto nell’ordinamento dello Stato, quanto nell’ordinamento della Chiesa, mentre agli sposi era sostanzialmente lasciata la sola libertà di scegliere tra il celebrare un matrimonio c.d. «concordatario» o un matrimonio meramente civile. Questa situazione si è completamente modificata con l’entrata in vigore dell’Accordo di Villa Madama del 18 febbraio 1984, la cui principale «novità» in materia consiste nel fatto che il matrimonio c.d. «concordatario» non sia più il «matrimonio canonico trascritto» – «uno ed unico» tanto nell’ordinamento della Chiesa quanto nell’ordinamento dello Stato – ma sia «qualcosa d’altro»18. Non si può di certo parlare di cambiamento improvviso in quanto una significativa trasformazione della disciplina concordataria lateranense circa il matrimonio si era già realizzata nel 1970 con l’introduzione della legge sul divorzio19. Sotto questo 18 Osserva DE LUCA, Libertà e autorità di fronte al problema degli effetti civili del matrimonio canonico, in Concordato e legge matrimoniale, a cura di Bordonali e Palazzo, Napoli, 1990, p. 80, che di fronte alla nuova normativa non si potrebbe «ormai più dire, come veniva affermato nella Relazione Ministeriale del Disegno di Legge per l’esecuzione degli Accordi lateranensi, che “l’atto con cui i vincoli sorgono è uno solo, quello religioso”»; ancora asserisce DE LUCA in Sovranità dello Stato e matrimonio «concordatario», in Dir. eccl., 1992, II, p. 337, che in virtù dell’Accordo di Villa Madama «lo status civile di coniuge non si acquista più automaticamente, ma solo per effetto di una autonoma manifestazione di volontà delle parti (manifestazione che può essere indipendente dal negozio matrimoniale canonico, tanto è vero che essa può avvenire anche non contestualmente, ma successivamente alla celebrazione canonica del matrimonio)». 19 DALLATORRE G., Lezioni di diritto ecclesiastico, op. cit, p. 153; FINOCCHIARO, Intervento, in Matrimonio concordatario e tutela giurisdizionale, a cura di Cipriani, Napoli, 1992, p. 71, secondo la quale «con il venir meno del principio dell’indissolubilità del matrimonio, il principio di ordine pubblico attuale, in materia matrimoniale (andrebbe) ricercato nell’art. 1 della legge sul divorzio. Quando cessa la comunione materiale e spirituale fra i coniugi, il matrimonio è finito e di 15 dell’accordo concluso con la Chiesa, attribuisce e riconosce effetti civili. Il riconoscimento di effetti civili al matrimonio religioso non avviene come effetto automatico della sola celebrazione, bensì in conseguenza della trascrizione nei registri dello stato civile. Quest’ultima può essere definita come un adempimento amministrativo che consiste nell’inserimento dell’atto di matrimonio, compilato dal ministro del culto, nei registri esistenti presso l’Ufficio di Stato Civile del Comune ove è stato celebrato il matrimonio25. La scelta che conduce i nubendi verso la trascrizione del vincolo è esplicazione della libertà di scelta, riservata alla Chiesa dalla Costituzione italiana, ai sensi dell’art. 7, di celebrare matrimoni che conservino efficacia e validità soltanto in ambito confessionale, senza alcuna influenza in ambito civile. Questa constatazione non è priva di effetti26. Da ciò, infatti, discende il principio dell’efficacia costitutiva della trascrizione, nel senso che gli effetti civili che scaturiscono dalla celebrazione ed il connesso status di coniugi si generano proprio in conseguenza di quell’adempimento. In altri termini si deve sottolineare che in assenza di trascrizione, il matrimonio non può assumere alcun valore nello Stato italiano, ferma restando la nascita del vincolo per l’ordinamento canonico. La rilevanza della volontà degli sposi per l’efficacia civile del matrimonio religioso consente la trascrizione del matrimonio canonico solo se sussistano le condizioni ed i requisiti fondamentali richiesti dalla legge civile per poter contrarre matrimonio27. Ciò indubbiamente significa che «le norme confessionali relative alla capacità delle parti non solo non sono fatte oggetto di alcun rinvio da parte dell’ordinamento italiano, ma restano del tutto irrilevanti agli effetti dell’acquisizione dello status civile di coniuge»28. 25 Cfr. artt. 124 e ss. del R.D. 9 luglio 1939 n. 1238 (Ordinamento dello Stato Civile), nonché artt. 50 e ss. del D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396 (G.U. 30.12.2000 n. 303) (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, ai sensi dell’art. 2 comma 12 della legge 15 maggio 1997 n. 127). 26 FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, op. cit., p. 324, definisce la trascrizione come «un atto giuridico del genere delle certazioni», un atto, cioè, «che vale a qualificare il fatto complesso del “matrimonio canonico, preceduto e accompagnato dal compimento degli adempimenti civilistici” come idoneo a produrre nel diritto dello Stato gli stessi effetti del matrimonio civile». 27 MONETA, Matrimonio religioso, op. cit., p. 39. 28 FLORIS, Autonomia confessionale. Principi-limite fondamentali e ordine pubblico, 1992, ed. Jovene , p. 224. In seguito agli Accordi del 1984 si è accentuato il carattere negoziale e volontaristico dell’atto. attualmente si può senz’altro affermare che l’autonomia della trascrizione, ovvero la sua configurazione quale atto indipendente volto alla costituzione del vincolo civile tale da non condizionare l’esistenza e la validità del matrimonio religioso, è comunemente 16 Su questo aspetto si parlerà in modo più diffuso nel prosieguo della trattazione. Occorre sin da ora notare che un’ulteriore conseguenza che discende dalla constatazione dell’efficacia costitutiva della trascrizione è che l’esistenza del vincolo, in mancanza di trascrizione, non può essere provata in altro modo. Ne consegue che vi è una rilevanza anche sul piano probatorio degli interessi in questione. Tale efficacia costitutiva della trascrizione, tuttavia, non modifica la sostanza del sacramento matrimoniale, al quale soltanto va ricondotta la nascita degli effetti consistenti in specifici diritti e doveri che sono riconducibili ai coniugi. È proprio il matrimonio religioso, infatti, che assume efficacia nell’ordinamento italiano e con decorrenza dalla data di celebrazione, dalla quale vengono appunto ad esistenza quel complesso di obblighi e diritti summenzionati29. Il piano effettuale riguardante la successiva trascrizione attiene soltanto all’efficacia nello Stato e non a quello della Chiesa30. Come si legge nella relazione del Ministro della Giustizia e degli Affari di Culto al disegno di legge che sarebbe divenuta la legge matrimoniale, risulta chiaro che la trascrizione rappresenta “l'atto essenziale per l'attribuzione di effetti civili, giacché mancando la trascrizione, il matrimonio canonico rimarrebbe un atto puramente religioso, né a nulla varrebbe provare la celebrazione, ove essa non avvenisse”31. Sotto questo angolo prospettico occorre ricordare che il principio del recepimento del matrimonio canonico nell’ordinamento italiano, per effetto della trascrizione, trova esplicita codificazione nell’art. 5 della legge 27 maggio 1929 n. 847 (Disposizioni per l’applicazione del Concordato dell’11 febbraio 1929 fra la s. riconosciuta, così come la relativa competenza dei tribunali civili sulle cause di nullità che lo riguardano; DALLATORRE G., Lezioni di diritto ecclesiastico, op.cit.,154 e ss. 29 Cfr. DE LUCA, La trascrizione del matrimonio canonico: disciplina sostanziale, in La disciplina del matrimonio concordatario, p. 258; BORDONALI, La trascrizione del matrimonio canonico, in Concordato e legge matrimoniale, Jovene, 1990, p. 50; SANTOSUOSSO, Il matrimonio, Torino, 1987, p. 136; RESCIGNO, L’incapacità naturale e la trascrizione del matrimonio religioso, in Diritto di famiglia. Raccolta di scritti Nicolò, Milano, 1982, p. 155 ss. 30 BOTTA, Il matrimonio concordatario, in Trattato di diritto di famiglia diretto da Bonilini, I, Famiglia e matrimonio, Torino, 2016, 650, al termine di una articolata disamina dei più recenti arresti giurisprudenziali. 31 La relazione del Ministro della Giustizia e degli Affari di Culto al disegno di legge che sarebbe divenuta la legge matrimoniale, in DEL GIUDICE, Codice delle leggi ecclesiastiche, Milano, 1952, p. 257. 17 Sede e l’Italia, nella parte relativa al matrimonio), come modificato dall’art. 8 dell’Accordo32. Non solo. Con riguardo all’istituto in esame si evidenzia che nel nuovo sistema concordatario in ragione del rilievo decisivo assunto dalla volontà degli sposi33, alla trascrizione si è voluta attribuire anche la natura di «negozio» funzionale all’espressione della «volontà delle parti di attribuire effetti civili al loro matrimonio canonico»34. Con ciò si vuole indicare che l’atto formale di trascrizione compiuto dall’ufficiale di stato civile presupporrebbe una comune volontà delle parti da intendersi «come realmente costitutiva ai fini degli effetti civili del matrimonio canonico»35. In conclusione appare chiaro che l’eseguita trascrizione consente la produzione degli effetti civili del matrimonio canonico, potendosi qualificare come fatto costitutivo con efficacia retroattiva attesa la riconduzione degli effetti all’intervenuta trascrizione ma con decorrenza dal giorno della celebrazione del matrimonio. In altri termini si può compiutamente osservare che «la trascrizione è atto di pubblicità costitutiva essenziale, nel senso che è dichiarativa circa l’esistenza del matrimonio religioso ed è costitutiva circa la documentazione e circa l’efficacia che lo stesso esplica nell’ordinamento dello Stato36 32 L’art. 5 indicato recita: Il matrimonio celebrato davanti un Ministro del culto cattolico, secondo le norme del diritto canonico, produce, dal giorno della celebrazione, gli stessi effetti del matrimonio civile, quando sia trascritto nei registri dello stato civile secondo le disposizioni degli artt. 9 e seguenti. 33 Il nuovo concordato, infatti, secondo un’autorevole dottrina, distinguerebbe, anche se non del tutto esplicitamente il negozio matrimoniale canonico da quello con cui le parti richiedono che a quel negozio conseguano effetti civili. Così DE LUCA, La trascrizione del matrimonio canonico: disciplina sostanziale, in La disciplina del matrimonio concordatario, op. cit., p. 257. In tal senso anche BORDONALI, La trascrizione del matrimonio canonico, in Concordato e legge matrimoniale, op.cit., p. 50; SANTOSUOSSO, Il matrimonio, Torino, 1987, p. 136. 34 DE LUCA, Libertà e autorità, op. cit., p. 77 ss. 35 MONETA, Matrimonio religioso, op. cit., p. 53. Secondo SARACENI-UCCELLA, Matrimonio, op. cit., p. 5, «l’art. 8, n. 1, dell’Accordo di modificazioni non fa chiarezza sulla natura della trascrizione né consente di ritenere che la stessa sia assoggettata alla volontà delle parti, pur dovendosi riconoscere che l’assetto pattizio si ispira alla scelta dei contraenti circa il conseguimento degli effetti civili al matrimonio da essi celebrato». In argomento DALLA TORRE G., Principi supremi ed ordine pubblico. Notazioni sulla recente giurisprudenza costituzionale in tema di “matrimonio concordatario”, in ID. Introduzione al matrimonio celebrato davanti ai ministri di culto. Lezioni di diritto ecclesiastico, Bologna, 1986, p. 99 ss. 36 COLELLA, Il matrimonio davanti a ministri del culto cattolico e dei culti ammessi, op. cit., p. 546; similmente MONETA, Matrimonio concordatario, op. cit., p. 285; riconosce a tale atto una certa efficacia costitutiva BOTTA, Matrimonio «concordatario», op. cit., 32 s.; ID., Il matrimonio «concordatario», op. cit., 304: occorre, tuttavia, evidenziare che l’Autore asserisce che con riferimento alla questione in esame non si tratta di un vero e proprio atto di accertamento 20 apposta di pugno dai soggetti tenuti, egli deve sospendere la trascrizione ed, anche in questo caso, rinviare l’atto per la sua regolarizzazione40. A tal fine molto importante è l’individuazione degli elementi che sono ritenuti necessari ad individuare i soggetti che hanno partecipato alla celebrazione ed altri dati anagrafici essenziali41, senza i quali non potrebbero aversi attestazioni esaustive sulle persone intervenute e sui requisiti di validità del rito religioso espletato42. Non a caso l’art. 9 legge 27 maggio 1929 n. 847 recita che: l’ufficiale dello stato civile, ricevuto l’atto di matrimonio, ne cura la trascrizione nei registri dello stato civile, in modo che risultino le seguenti indicazioni: il nome e cognome, l’età e la professione, il luogo di nascita, il domicilio o la residenza degli sposi; il nome e cognome, il domicilio o la residenza dei loro genitori; la data delle eseguite pubblicazioni o il decreto di dispensa; il luogo e la data in cui seguì la celebrazione del matrimonio; il nome e cognome del parroco o di altri per lui abbia assistito alla celebrazione del matrimonio. L’ufficiale dello stato civile deve dare avviso al procuratore nei casi e per gli effetti indicati nell’art. 104 del R.D. 15 novembre 1865 per l’ordinamento dello stato civile. Anche l’assenza di taluna delle indicazioni imposte dall’art. 9 induce l’obbligo di sospendere la trascrizione all’ufficiale di stato civile e la rimessione dell’atto per la sua regolarizzazione, come disciplinato dall’art. 10 della legge del 1929. Risulta chiaro che l’atto di matrimonio va redatto secondo quanto previsto dal diritto canonico. Quando sia accertata la regolarità dell’atto di matrimonio, da parte dell’ufficiale dello stato civile, si configura un vero e proprio obbligo, a suo carico, di procedere a trascrizione, da eseguire entro ventiquattro ore dal ricevimento 40 BERRI, Trascrizione del matrimonio canonico e riconoscimento dei figli naturali, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1976, 1083 ss; D'AVACK, Sulla trascrivibilità di matrimoni canonici preconcordatari, in Foro it., Roma, 1937, I , p. 1362 41 Non a caso l’art. 9 legge 27.5.1929 n. 847 recita: l’ufficiale dello stato civile, ricevuto l’atto di matrimonio, ne cura la trascrizione nei registri dello stato civile, in modo che risultino le seguenti indicazioni: il nome e cognome, l’età e la professione, il luogo di nascita, il domicilio o la residenza degli sposi; il nome e cognome, il domicilio o la residenza dei loro genitori; la data delle eseguite pubblicazioni o il decreto di dispensa; il luogo e la data in cui seguì la celebrazione del matrimonio; il nome e cognome del parroco o di altri per lui abbia assistito alla celebrazione del matrimonio. L’ufficiale dello stato civile deve dare avviso al procuratore nei casi e per gli effetti indicati nell’art. 104 del R.D. 15 novembre 1865 per l’ordinamento dello stato civile. 42 In argomento DALLA TORRE G., La trascrizione del matrimonio canonico e pubblicazioni civili, in Iustitia, Luglio- Settembre, 1986, p. 299. 21 dell’atto medesimo; entro le successive ventiquattro ore, l’organo comunale deve trasmettere al parroco notizia dell’avvenuto adempimento della formalità, con indicazione della data e dell’ora in cui è avvenuto43. 1.4 Limiti alla trascrivibilità: gli impedimenti assoluti alla trascrizione. Posto che l’atto di matrimonio risulta essere regolare e che vi sono tutte le indicazioni di legge, l’ufficiale di stato civile ha l’obbligo di eseguire la trascrizione del matrimonio, senza alcuna possibilità di sottrarsi. Vi sono, tuttavia, situazioni che rendono la trascrizione impossibile. Ciò si verifica nel caso vi sia una netta separazione del procedimento volto alla formazione del vincolo da quello relativo alla trascrizione del matrimonio. A ciò si aggiunga che poiché ciò che emerge dalla normativa di Villa Madama è una «unificazione di fondo del regime matrimoniale, indipendentemente dall’atto civile o religioso che vi ha dato origine»44, si può osservare un aspetto significativo riconducibile al fatto che il riconoscimento civile del matrimonio canonico non è ammissibile qualora, nelle stesse condizioni risulti preclusa la celebrazione di un matrimonio civile. La ratio di adeguamento dei casi di intrascrivibilità del matrimonio canonico alle fattispecie di incapacità a costituire il vincolo civile è da individuato nell’esigenza di garantire il rispetto del principio di uguaglianza contemplato dall’art. 3 della Costituzione. Ma tale tesi risulta obsoleta. Attualmente le cause di intrascrivibilità del matrimonio sono quelle derivanti dalla stessa disciplina del diritto canonico. La tesi precedente affermava che rispetto al previgente sistema concordatario, che prevedeva un numero limitato di casi di intrascrivibilità del matrimonio canonico45, l’Accordo di revisione aveva ampliato le ipotesi in questione, mosso 43 Cfr. DALLA TORRE, La trascrizione del matrimonio canonico e pubblicazioni civili, in Iustitia, Luglio- Settembre, 1986, p. 298. 44 MONETA, Matrimonio religioso, op. cit., p. 25 e ss. 45 Ci si riferisce ai casi con carattere di eccezionalità quali il preesistente vincolo matrimoniale civilmente valido per una delle parti e l’interdizione di una di esse per infermità mentale. 22 dall’intento «di uniformare, almeno ad un livello minimo comune, designato dalla legge civile, la possibilità di conseguire lo stato coniugale per tutti i cittadini, indipendentemente dal tipo di matrimonio prescelto»46. In altri termini quella riforma era stata posta in essere al fine di «assicurare un pari accesso allo stato coniugale da parte dei credenti e dei non credenti, garantendo una più piena eguaglianza tra i cittadini»47. Il matrimonio religioso non può essere trascritto nei registri dello stato civile e non può conseguire effetti civili in presenza di specifiche cause, oppure quando: ü gli sposi non hanno l’età richiesta dalla legge per contrarre matrimonio, vale a dire, 18 anni o 16 anni se si è stati autorizzati dal tribunale per i minorenni. ü Uno degli sposi è stato interdetto per infermità di mente. ü Esiste tra gli sposi un altro matrimonio che ha effetti civili. ü Esistono impedimenti che derivano da delitto, ad esempio, se uno dei coniugi ha ucciso l’ex coniuge dell’altro. ü Esistono impedimenti che derivano da affinità in linea retta ü Anche in presenza di un impedimento inderogabile, il matrimonio può essere lo stesso trascritto quando non è più possibile proporre un’azione di nullità o di annullamento. ü Se al matrimonio non precedono le pubblicazioni può essere trascritto se l’ufficiale dello stato civile accerti l’inesistenza di impedimenti e previa affissione di un avviso che contenga le generalità degli sposi, la data e il luogo nel quale è avvenuta la celebrazione e il nome del ministro di culto che lo ha celebrato. L’avviso deve restare affisso per 10 giorni consecutivi entro i quali chi ha interesse può proporre le opposizioni previste dalla legge. Per completezza argomentativa occorre sin da ora sottolineare che l’obbligo di trascrivere sussiste anche quando la celebrazione non sia stata preceduta dal rilascio del certificato, prescritto dall’art. 7 della legge summenzionata, in cui si dichiara l’inesistenza di cause ostative alla celebrazione. Tale aspetto conferma l’importanza del sorgere del vincolo matrimoniale: il momento fondamentale 46 MONETA, Matrimonio concordatario, cit., 286. 47 FERRANDO, Il matrimonio, cit., 420. 25 che l’opposizione sospende la trascrizione ed è regolata, in quanto applicabili, dalle disposizioni di cui agli artt. 103 e 104 c.c54. Sotto questo angolo prospettico occorre evidenziare che oggi per trascrizione ritardata si intende quella effettuata dopo i cinque giorni prescritti per un matrimonio canonico non preceduto dalle pubblicazioni. E’ quindi una species della trascrizione 55. La seconda ipotesi è quella della c.d. trascrizione tardiva56, che ricorre quando la trasmissione dell’atto di matrimonio non sia avvenuta entro il termine previsto dalla legge e consente, indipendentemente dalle ragioni del ritardo, che il matrimonio canonico produca effetti civili57. In primo luogo con riferimento a quest’ultima ipotesi di trascrizione vi è da considerare che in ordine alla sua ammissibilità non si pongono dubbi in quanto essa è espressamente contemplata dall’art. 8 dell’Accordo di revisione. In buona sostanza si ha trascrizione tardiva, ai sensi dell’art. 8, n. 1, 6o co. dell’Accordo, quando la richiesta di trascrizione sia presentata all’ufficiale di stato civile dopo i cinque giorni dalla celebrazione, dai due contraenti, o da uno solo di essi, con la conoscenza e senza l’opposizione 54 FINOCCHIARO F., Riflessi nell’ordinamento civile di poteri confessionali sul matrimonio religioso, in La rilevanza di alcuni aspetti delle potestà confessionali nel sistema giuridico civile: contesti e scopi, Salerno, 1993, p. 97. L’Autore asserisce che la richiesta del parroco serve ad evitare che si dia corso alle pubblicazioni civili, nel caso la celebrazione religiosa non possa essere effettuata per qualche impedimento canonico inoltre «essa dimostra come tra le parti e il parroco subentri un accordo informale perché il matrimonio non rimanga confinato in ambito esclusivamente religioso ma acquisisca rilievo giuridico». 55 In argomento DALLA TORRE G., Lezioni di diritto ecclesiastico, 6ª ed., Giappichelli, Torino, 2019. Si segnala che la giurisprudenza della CORTE DI CASSAZIONE ha più volte contemplato tale ipotesi. In particolare si riporta una decisione della Corte di Cassazione, sez. Lavoro, n. 9464 del 21 aprile 2010 in cui i giudici asseriscono esplicitamente che : "Il matrimonio ha effetti civili dal momento della celebrazione, anche se l'ufficiale dello stato civile, per qualsiasi ragione, abbia effettuato la trascrizione oltre il termine prescritto. La trascrizione può essere effettuata anche posteriormente su richiesta dei due contraenti, o anche di uno di essi, con la conoscenza e senza l'opposizione dell'altro, sempre che entrambi abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione a quello della richiesta di trascrizione, e senza pregiudizio dei diritti legittimamente acquisiti dai terzi". Il testo è consultabile al seguente url: https://www.avvocatidifamiglia.net/moduli/164__effetti%20civili.pdf 56 Cfr. CHECCHINI A., Il matrimonio ”concordatario” nel sistema legislativo e nella pratica giurisprudenziale, in Studi in onore di Vincenzo del Giudice, vol. I, Milano, 1953 ss.; CIPROTTI P., Diritto Ecclesiastico, Padova, 1964, p. 340 ss; LENER S., Sul potere delle “parti” di eludere o differire gli effetti civili del matrimonio canonico e sul concetto di “terzo” non pregiudicato dalla trascrizione tardiva, in Giust. Civ., 1957, I, p. 975 ss.; PETRONCELLI M.; Il regime matrimoniale in Italia, Napoli, 1973, p. 127; GAZZONI F., Trascrizione tardiva del matrimonio canonico e tutela del contraente, in AA. VV., Concordato e legge matrimoniale, a cura di BORDONALI, PALAZZO, Napoli, 1990, p. 240. 57 Su tale figura, diffusamente, FINOCCHIARO F., Del matrimonio, Art. 82, in Comm. Scialoja- Branca, Bologna-Roma, I, 1971, 567 ss. 26 dell’altro, a condizione che i due contraenti abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione a quello della trascrizione. Tale aspetto riveste una notevole importanza in quanto la volontà dei coniugi di attribuire effetti civili al proprio matrimonio, è elemento fondamentale. Sotto questo angolo prospettico si osserva, infatti, che diversamente dalla originaria regolamentazione, contenuta nell’art. 14 della legge matrimoniale, disposizione ritenuta non più in vigore in quanto incompatibile - formalmente e sostanzialmente- con la disciplina di cui all’art. 8 dell’Accordo di revisione, la nuova configurazione di questa fattispecie appare fondata sull’unanime volontà degli sposi58. Da ciò discende una conseguenza di non poco conto riconducibile al fatto che nel caso in cui uno dei coniugi non intenda sottoscrivere la richiesta di trascrizione, senza opporsi al riconoscimento civile del matrimonio religioso, potrà essere fornita la prova della notificazione all’altro coniuge di un atto in cui si comunica l’intenzione di voler chiedere la trascrizione e le si fissa un termine per manifestare eventuali opposizioni59. In tale prospettiva ermeneutica si sottolinea che un altro presupposto per la trascrizione tardiva è lo stato libero dei coniugi ininterrotto nel periodo tra la celebrazione e la trascrizione del matrimonio, nonché l’assenza di altri fatti impeditivi60. Si comprende bene questa affermazione in quanto è di tutta evidenza che la trascrizione non può far produrre effetti civili a un matrimonio che per i coniugi doveva essere matrimonio religioso61. 58 La riforma in senso volontaristico dell’intera disciplina della trascrizione del matrimonio canonico è sottolineata, da ultimo, da Cass., 4.5.2010, n. 10734, in Giur. it., 2010, 2273 ss., con nota di ROCCHIO, Questioni vecchie e nuove in tema di attribuzioni alla convivente e (solo massima) in Guida dir., 2010, 40, 62, con nota di FIORINI, Il coniuge non può chiedere dopo la morte dell’altro la trascrizione tardiva del matrimonio concordatario. Necessaria una manifestazione di volontà espressa e attuale degli sposi, che, ribadendo la non ammissibilità della trascrizione tardiva post mortem, ha nel caso di specie ritenuto non soddisfatto il requisito del consenso alla stessa espresso in un atto pubblico contenente la proposta di donazione (la quale prevedeva la possibilità che l’accettazione da parte del donatario potesse intervenire dopo la morte del disponente), proprio per la mancanza della richiesta attualità del consenso. 59 Cfr. MONETA, Del matrimonio, op.cit., p.71. 60 Cfr. MONETA, Del matrimonio, op.cit., p.72. 61FINOCCHIARO F., Diritto ecclesiastico, op.cit., p.452; TEDESCHI, Il matrimonio secondo la Intesa tra la repubblica italiana e l’unione delle comunità israelitiche italiane, in Riv. dir. civ., 1987, p. 236 ss.; ONIDA, Matrimonio degli acattolici, in ED, XXV, Milano, 1975. 27 1.4.2. Segue. I limiti alla trascrivibilità del matrimonio canonico celebrato all’estero o in forme speciali. Da ultimo è necessario chiedersi se possa in ogni caso avere luogo la trascrizione del matrimonio canonico ovvero se ricorrano dei limiti alla trascrivibilità del matrimonio celebrato in determinate situazioni ( all’estero) o in particolari forme ( le forme speciali previste dal diritto della Chiesa). La dottrina e la giurisprudenza prevalentemente ammettono la trascrivibilità del matrimonio per procura ( can. 1105 c.i.c.) laddove ricorrano le circostanze previste dall’art. 111 c.c. e la procura sia rilasciata per atto pubblico62. Occorre puntualizzare che negano invece, che possa trascriversi il matrimonio celebrato all’estero tra cittadini italiani, rendendosi impossibile in questo caso l’esplicazione di adempimenti previsti dalla normativa concordataria che si sono visti in precedenza, quali la lettura degli articoli del Codice civile, la trasmissione dell’atto di matrimonio all’ufficiale dello stato civile italiano. Un matrimonio canonico celebrato all’estero potrebbe acquisire rilevanza nel nostro ordinamento secondo le norme del diritto internazionale privato, nel caso in cui la legge del paese straniero lo riconoscesse come forma valida per la costituzione del rapporto coniugale. Ma in tale ultimo caso detta fattispecie rileverebbe come matrimonio civile celebrato all’estero e non quale matrimonio canonico. Con riferimento alle forme straordinarie o speciali di celebrazione del matrimonio canonico generalmente si ammette la trascrizione del matrimonio celebrato omissis denunciationibus et secreto (cann. 1130-1133 c.i.c) peraltro previo accertamento della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge – che attualmente sono quelle di cui alle lett a) e b) dell’art. 8 dell’Accordo e alla lett. a) dell’art. 4 del Protocollo add.). Si nega la trascrivibilità del matrimonio celebrato coram solis testibus, ( can. 1116 c.i.c.) richiedendosi esplicitamente dalla normativa concordataria la presenza del sacerdote che è investito di munus 62 Cfr. DALLATORRE G., Lezioni di diritto ecclesiastico, 2020, op. cit. p. 163. 30 In tale prospettiva ermeneutica è bene evidenziare la portata applicativa che riveste in questi casi l’atto dell’approvazione. Tale atto, infatti, assume indubbiamente un aspetto peculiare e tipico del sistema matrimoniale delineato nel 1929. Non a caso in forza del modello di disciplina delineato dal legislatore del ’29 appare chiaro che nessun tipo di efficacia potrà essere riconosciuta a quei matrimoni celebrati da un ministro che non abbia ottenuto l’approvazione governativa suddetta, come prevede lo stesso articolo 3 della legge de qua. A livello della procedura da adottare tale aspetto trova conferma. Va rilevato, infatti, che le parti, nel chiedere la pubblicazione all’ufficiale dello stato civile, hanno l’obbligo di indicare il ministro di culto acattolico di fronte al quale intendono celebrare il matrimonio, così che l’ufficiale dello stato civile dovrà, tra l’altro, accertare che il ministro stesso abbia ricevuto l’approvazione della nomina. Di conseguenza l’ufficiale dello stato civile, dopo aver effettuato le pubblicazioni e gli accertamenti di rito, ove nulla si opponga alla celebrazione del matrimonio rilascia un’autorizzazione indicante anche il nome del ministro di culto davanti al quale la celebrazione dovrà aver luogo e la data del provvedimento ministeriale di approvazione della nomina stessa. Occorre rilevare, ancora, che tale atto ha la natura propria delle autorizzazioni, dal momento che il ministro di culto non può esercitare tale facoltà a sua discrezione, ma dovrà soggiacere, di volta in volta, alla singola autorizzazione concessagli dall’ufficiale dello stato civile. Ci si chiede cosa accada successivamente al compimento degli aspetti summenzionati. In tale prospettiva ermeneutica si rileva che il ministro di culto, immediatamente dopo la celebrazione stessa, dovrà redigere l’atto di matrimonio in lingua italiana, secondo le norme stabilite per la formazione degli atti dello stato civile. Compilato l’atto di matrimonio, il ministro di culto lo trasmette in originale all’ufficiale dello stato civile entro cinque giorni dalla celebrazione. Risulta chiaro che durante lo svolgimento di tali adempimenti il ministro di culto riveste la qualità di pubblico ufficiale, in quanto esercita la pubblica funzione certificativa diretta ad attestare che il matrimonio celebrato al suo cospetto è un di primo approdo alla struttura periferica dell'ENAC o all'autorità consolare, insieme con un estratto del giornale di bordo - Tratto da www.fog.it - Diritto dei trasporti e della navigazione. 67 Inoltre il ministro di culto acattolico dovrà avere la cittadinanza italiana e parlare la lingua italiana (art. 21 r.d. n. 289/1930). 31 matrimonio civilmente valido. Ne consegue che l’atto stesso di matrimonio è un atto pubblico, e come tale tutelato dalla legge. La potestà certificativa dei ministri di culto non ha un ambito generalizzato in quanto è limitata alla sola formazione dell’atto di matrimonio e alla successiva trasmissione all’ufficiale dello stato civile. In questo senso il ministro di culto acattolico non è pienamente assimilato al ministro di culto cattolico che assiste al matrimonio canonico diretto a produrre effetti civili e non ne ha la stessa efficacia giuridica. In particolare il ministro di culto cattolico non deve essere approvato e non è considerato un pubblico ufficiale. Con riferimento all’argomento trattato un’altra quaestio iuris che viene in rilievo con riferimento al matrimonio acattolico riguarda l’atto della trascrizione. In particolare si discute in ordine al fatto se la trascrizione summenzionata e posta in essere dal ministro di culto acattolico abbia valore costitutivo, come nel caso del matrimonio canonico trascritto, oppure meramente probatorio, al pari di tutti gli atti dello stato civile. Sotto questo angolo prospettico la prima tesi va condivisa, dal momento che la trascrizione è da ritenersi indispensabile, ai sensi dell’art. 7, affinché il matrimonio possa produrre gli stessi effetti del matrimonio civile. Per completezza argomentativa occorre tuttavia, puntualizzare un aspetto di non poco conto. Ci si riferisce al fatto che, se è pur vero che il matrimonio acattolico non trascritto non può produrre effetti civili, è peraltro possibile, ove la suddetta trascrizione manchi per omissione del ministro di culto o dell’ufficiale dello stato civile ovvero per tardiva trasmissione, che i nubendi possano ottenere, provando l’avvenuto matrimonio, una sentenza del tribunale con la quale si ordini all’ufficiale dello stato civile di provvedere alla trascrizione ex art. 454 cod. civ. con efficacia retroattiva68. Per quel che concerne, infine, le cause di invalidità del matrimonio acattolico, abbiamo già rilevato come esse coincidano con quelle previste per il matrimonio civile, ad eccezion fatta per la mancata approvazione governativa della nomina del ministro di culto, dal momento che tale approvazione è in base all’art. 3 requisito 68 Cfr. FUMAGALLI O. CARULLI, Il Concordato lateranense: libertà della Chiesa e dei cattolici, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), aprile 2009, p. 7 s.. Una delle richieste formulate dalla Tavola Valdese in un promemoria presentato al ministro della giustizia e dei culti Rocco, aveva ad oggetto il diritto di celebrare matrimoni con effetti civili, come riconosciuto alla Chiesa cattolica. 32 indispensabile per la validità di tutto il procedimento matrimoniale69. Non sembra, invece, costituisca motivo di invalidità il fatto che il ministro di culto acattolico assista alla celebrazione di un matrimonio tra soggetti appartenenti ad altra religione. In effetti tale circostanza, anche se certamente contraria allo spirito della legge, non potrebbe essere considerata invalidante dal momento che «nel diritto italiano non esiste un’anagrafe cultuale ed è indifferente l’appartenenza dei singoli a questa o quella confessione»70. 1.5.1. Il matrimonio nelle Intese con le altre confessioni religiose. Con riferimento alla tematica concernente il regime delle confessioni con Intesa71 occorre delineare alcuni aspetti che si pongono come rilevanti nell’ambito della tematica oggetto di analisi. Vi sono tratti comuni con quanto delineato in precedenza. Basti pensare che nella prima fase i nubendi comunicano all’ufficiale di stato civile, la volontà di celebrare il matrimonio in forma religiosa con una chiara e netta specificazione della confessione di riferimento. In questa fase l’ufficiale di stato dà lettura degli articoli del Codice civile relativi ai diritti e ai doveri dei coniugi. In tale fase è prevista un’ipotesi di tipo eccettuale per l’Intesa con la confessione ebraica che prevede la lettura degli articoli durante la celebrazione, ammettendo altresì che in quella sede gli sposi possano anche nell’atto di matrimonio dichiarazioni concernenti la scelta relativa al regime patrimoniale della famiglia. La possibilità di effettuare dette dichiarazioni è, invece, da escludere per le altre confessioni (seppur nel silenzio della legge), in considerazione del fatto che hanno preferito separare la sfera spirituale della celebrazione dalla sfera temporale, alla quale demandano le formalità richieste dal codice civile circa la lettura degli artt. 143, 144 e 147 c.c., mentre è stata 69 Cfr. DI MARZIO P., Il matrimonio concordatario e gli altri matrimoni religiosi con effetti civili, Cedam, Padova, 2008, pp. 3 e ss.; LUGLI M., Il matrimonio celebrato davanti ai ministri del culto cattolico, in Nozioni di diritto ecclesiastico, 3ª ed., Giappichelli, Torino, 2009, p. 159. 70 FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, Bologna, 2003, p. 492. 71 In argomento per approfondimenti si segnala cfr. TESTA BAPPENHEIM, Gli impedimenti nel matrimonio ebraico, in Dir. Eccl. 2003, 4, p. 1531 ss; FUBINI G., Legge ebraica e legge italiana: alla ricerca di una soluzione del conflitto, in Quaderni di dir. E pol.. eccl., 2002, 1, p. 293 ss.; CANONICO M., Matrimonio IV, Matrimonio delle confessioni religiose diverse dalla cattolica, in Enc giur. Agg. XVI, Roma, 2007. 35 b) che nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di agire e resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano; c) che ricorrono le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere. La Corte d’appello potrà, nella sentenza intesa a rendere esecutiva una sentenza canonica, statuire provvedimenti economici provvisori a favore di uno dei coniugi, il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo, rimandando le parti al giudice competente per la decisione sulla materia». Da tali norme deriva la validità e la possibilità di esecutività, nell’ordinamento italiano, delle decisioni assunte dai tribunali ecclesiastici in tema di nullità dei matrimonio75. È bene chiarire sin da ora che il carattere esclusivo di tale giurisdizione viene attualmente escluso. La Corte di Cassazione, con decisione a sezioni unite, ha affermato che l’accordo di revisione del Concordato dell’11 febbraio 1929 con la Santa Sede, stipulato a Roma il 18 febbraio 1984 e reso esecutivo con legge 25 marzo 1985, n. 121, unitamente al Protocollo addizionale, pur confermando la giurisdizione ecclesiastica sulle controversie in materia di nullità del matrimonio celebrato secondo le norme del diritto canonico, non ripropone la riserva di tale giurisdizione, prevista dall’art. 34 del Concordato, né recepisce il matrimonio religioso nella sua sacralità, e, comunque, non gli accorda dignità superiore a quello civile. Tale riserva, pertanto, deve ritenersi abrogata, ai sensi dell’art. 13 dell’Accordo medesimo, di modo che, per le cause inerenti alla nullità del matrimonio concordatario, sussistono tanto la giurisdizione italiana, quanto la giurisdizione ecclesiastica, le quali concorrono in base al criterio della prevenzione. Per completezza argomentativa occorre sottolineare che la questione concernete la riserva di giurisdizione è rimasta controversa. Ciò si spiega in considerazione del fatto che la Corte costituzionale, nel dicembre del 199376, ha affermato la sopravvivenza logica della riserva di giurisdizione, sia pure con 75 In argomento, cfr CANONICO M., La prevalenza della pronuncia ecclesiastica di nullità del matrimonio canonico trascritto rispetto al giudicato di cessazione degli effetti civili, in Dir. Famiglia, 1995, pp. 937 – 938, sub nota 6.; COMOGLIO L.P., Delibazione di sentenze ecclesiastiche e ordine pubblico flessibile, in Jus-online 2/2015. 76 Per leggere il testo integrale della pronuncia è possibile consultare il seguente url: https://www.gazzettaufficiale.it/atto/corte_costituzionale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.data PubblicazioneGazzetta=1993-12-09&atto.codiceRedazionale=093C1211 36 sentenza non vincolante erga omnes perché di rigetto, il che spiega la prevalenza nella pratica dell’orientamento della Cassazione. Ciò posto si deve ritenere che si abbia la giurisdizione del giudice italiano, ove risulti preventivamente adito. È qui che si inserisce il discorso relativo al collegamento nel procedimento delibativo delle decisioni del tribunale ecclesiastico. In buona sostanza si tratta di un procedimento non più officioso e modellato, con alcune peculiarità, sulle regole di cui agli artt. 796 e segg. Cod. proc. civ., a conferma del sopravvenuto diniego del carattere esclusivo della giurisdizione ecclesiastica77. La situazione si è ulteriormente modificata a seguito della riforma del sistema del diritto privato internazionale, avvenuta per effetto della legge n. 218 del 199578. Con essa, la derogabilità della giurisdizione italiana non è più un’eccezione, ma la regola generale. La riforma ha abrogato gli articoli 795 e seguenti del codice di procedura civile, affermando che le sentenze straniere possono essere riconosciute in Italia senza necessità di un apposito procedimento, qualora non vi siano contestazioni. Anche dopo la riforma summenzionata, tuttavia, le sentenze ecclesiastiche di nullità dei matrimoni, per poter essere efficaci nel nostro ordinamento, devono essere oggetto di delibazione. Come si è detto, l’art. 34 del Concordato del 1929 riservava, in via esclusiva, alla giurisdizione della Chiesa ogni questione relativa alla validità dei matrimoni concordatari. Lo Stato non poteva intervenire in tale materia. L’unica funzione ad esso attribuita consisteva 77 Cass., 13 febbraio 1993, n. 1824, in Giur. It., 1993, I, 1, pag. 2106, con nota di COLELLA; Nell’ambito della ricostruzione del contesto in cui matura l’Accordo di revisione concordataria, appare necessario richiamare la Nota del Governo italiano 16 giugno 1970. In piena battaglia divorzista, essa avalla possibili correttivi al sistema del 1929, ma solo nella direzione di un’accettabile attenuazione dell’automatismo, con argomentazioni - va notato – che saranno poi in gran parte riprese dalla giurisprudenza costituzionale. Non intende per nulla, nemmeno implicitamente, travolgere la riserva. Anzi. La stessa attenuazione dell’automatismo, secondo la Nota, non vuole affatto significare pedissequa applicazione alle sentenze ecclesiastiche dei complessi controlli previsti per le sentenze straniere. “Occorre – afferma la Nota - quanto meno quel giudizio meno penetrante che è previsto da alcune convenzioni internazionali” in Ministero degli Affari Esteri, Documenti diplomatici sull’interpretazione dell’art. 34 del Concordato tra l’Italia e la Santa Sede, Roma, 16 giugno 1970, in G. DALLA TORRE, La riforma della legislazione ecclesiastica: Testi e documenti per una ricostruzione storica, Patron Editore, Bologna, 1984, p. 135: “Anche al fine di evitare una pregiudizievole pluralità di processi, il coordinamento tra i due sistemi è stato portato al punto di convenire che le cause di nullità – appunto in relazione alla maggiore larghezza del diritto canonico in materia- siano riservate ai tribunali ecclesiastici. Mentre, per contro, le cause di separazione personale –istituto rispetto al quale più largo si dimostra l’ordinamento dello Stato- sono state riservate ai tribunali italiani che, evidentemente, faranno in esse applicazione delle leggi dello Stato”. 78 https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1995;218 37 nel rendere esecutiva la sentenza ecclesiastica, tramite un’ordinanza della Corte d’Appello competente per territorio. La Corte d’Appello non era chiamata, come attualmente avviene, a pronunciare una sentenza dichiarativa di efficacia, ma una mera ordinanza di esecutività, con la quale riconosceva e attribuiva alla pronuncia ecclesiastica efficacia civile79. La Corte, non solo non poteva entrare nel merito della questione, ma non poteva neppure operare controlli sulle procedure seguite e sul rispetto delle norme sostanziali da parte degli organi ecclesiastici. Tale ultima funzione, infatti, era riservata al Supremo Tribunale della Segnatura, il quale era tenuto a verificare l’osservanza delle norme del codice canonico relative alla competenza del giudice, alla citazione ed alla legittima rappresentanza o contumacia delle parti. La Corte d’Appello, allorché ad essa perveniva la sentenza, munita del decreto della Segnatura, doveva solo verificarne l’autenticità. Con questa espressione si intende che l’ente preposto era tenuto a controllare che essa provenisse dagli organi ecclesiastici a ciò deputati, nonché verificare che effettivamente la decisione si riferisse ad un matrimonio trascritto e, quindi, avente efficacia civile. Dopo tale attività meramente formale, la Corte era tenuta, senza alcun margine di valutazione, a dichiarare l’esecutività della sentenza ecclesiastica ai fini civili e ad ordinare l’annotazione di essa a margine dell’atto di matrimonio. 2.2. La riserva di giurisdizione ecclesiastica. Sotto questo angolo prospettico si ricava un dato significativo consistente nel fatto che l’intero precedente sistema era funzionale rispetto al concetto di giurisdizione assolutamente esclusiva della Chiesa in ordine alla validità dei matrimoni concordatari. Solo i Tribunali religiosi potevano decidere su tale tematica e lo Stato, tramite le Corti d’Appello, era chiamato solo a verificare che la decisione fosse stata effettivamente presa da essi, nell’ambito della materia in questione. 79 Cfr. P. MONETA, Il matrimonio nel diritto della Chiesa, il Mulino, Bologna, 2014, pp. 9-18; ID., Il matrimonio nel nuovo diritto canonico, 4a ed., Ecig, Genova, 2008, pp. 11- 19; S. BERLINGÒ, Il matrimonio canonico, Giuffrè, Milano, 1989, pp. 193-195; DALLATORRE G., Lezioni di diritto ecclesiastico, op.cit. ed. 2020, p. 154 e ss. 40 di una riserva, ma questa – anche secondo la Corte Cost. – sarebbe oggi implicita nel principio della distinzione degli ordini (art. 7, co. 1 Cost.). A bene vedere si deve sottolineare che è stata l’interpretazione giurisprudenziale a far prevalere la tesi della concorrenza di giurisdizioni. Un’altra differenza tra il sistema precedentemente vigente e quello instaurato dopo l’Accordo summenzionato è rappresentato nell’abbandono dell’ufficialità della trasmissione degli atti. Non a caso, infatti, in passato la trasmissione alla Corte d’Appello veniva operata d’ufficio dagli stessi organi ecclesiastici. In considerazione di questo aspetto si constatava una ulteriore diminuzione dell’importanza dei compiti di verifica dell’organo statale, non essendo dubbie l’autenticità degli atti e la loro provenienza. Dal 1984 in poi, per la delibazione da parte della Corte si richiede l’istanza di parte. 2.3. L’avvio della revisione concordataria e gli interventi della Corte Costituzionale. Certamente una delle più rilevanti peculiarità della fattispecie matrimoniale che stiamo esaminando è costituita dalla possibilità che effetti civili conseguano non solo alla celebrazione del matrimonio «secondo le norme del diritto canonico», ma anche ad una eventuale sentenza di nullità matrimoniale pronunciata dai tribunali ecclesiastici, cui spetterebbe in materia addirittura una riserva di giurisdizione. Che una siffatta riserva fosse stata sancita dall’art. 34 del Concordato lateranense pochi ormai dubitano: nel corso degli anni i soli argomenti di discussione sono stati, infatti, l’entità della rinuncia dello Stato alla propria sovranità in materia – in particolare con riferimento alla natura ed ai limiti dei poteri della Corte d’appello nella procedura di exequatur delle sentenze dichiarative della nullità del matrimonio82 – e la compatibilità costituzionale della riconosciuta riserva di giurisdizione83. 82 Per quel che riguarda più da presso i poteri della Corte d’appello cfr. GRAZIANI, Sulla natura del provvedimento della Corte d’appello ex art. 34 del Concordato, in Scritti giuridici Corsetti, Milano, 1964, p. 307 ss.; CASUSCELLI, Sindacabilità del decreto della Segnatura Apostolica ex 41 Un problema, quest’ultimo, che – in significativa coincidenza con l’avvio della revisione concordataria e con i primi approfonditi interventi della Corte costituzionale84 sulla disciplina derivata dai Patti lateranensi – ha finito con il diventare più rilevante di ogni altro non solo per la dottrina più avvertita ma anche per la giurisprudenza della Corte di Cassazione, divisa, tuttavia, tra l’indirizzo assunto dalla Prima sezione, che meritò l’appellativo di “giurisprudenza innovatrice”85 e che riteneva possibile interpretare estensivamente le norme art. 34 del Concordato. Contributo allo studio sul potere di certificazione della Chiesa nell’ordinamento italiano, in Dir. eccl., 1969, I, p. 310 ss. Per un approfondimento circa il tradizionale atteggiamento della giurisprudenza e della dottrina dominanti nei confronti del procedimento di exequatur delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale e, in particolare, per quel che concerne i poteri della Corte d’appello cfr. GIACCHI, La giurisdizione ecclesiastica nel diritto italiano, 2a ed., Milano, 1970, p. 113 ss. 83 Cfr. sul punto FINOCCHIARO, Del matrimonio, cit., p. 631 ss.; CASUSCELLI, Giurisdizione ecclesiastica in materia matrimoniale e Costituzione italiana, in Dir. eccl., 1970, II, p. 75 ss. Cfr. anche CONDORELLI, Questioni di legittimità costituzionale in ordine alla legislazione matrimoniale concordataria, in Giur. cost., 1960, p. 955 ss.; ONIDA, Giurisdizione dello Stato e rapporti con la Chiesa, Milano, 1964, p. 176 ss.; LARICCIA, Esecutorietà delle pronunce ecclesiastiche in materia matrimoniale e art. 24 della Costituzione, in Giur. cost., 1967, p. 1409 ss.; FEDELE, Problemi costituzionali dell’ordinamento matrimoniale italiano, in Quaderni giust., V, Milano, 1968, p. 51 ss. per il quale tuttavia, e forse non aveva torto, costituzionalmente illegittime erano non tanto le norme di derivazione concordataria quanto le «interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali secondo le quali la Corte d’appello nel dare esecuzione agli effetti civili» alle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale non avrebbe «alcun potere di controllare la loro conformità all’ordine pubblico statuale». Per un interessante «panorama storico- giurisprudenziale» sulle problematiche di compatibilità costituzionale della fattispecie «matrimonio concordatario» in genere e della riserva di giurisdizione in particolare cfr. SARACENI-UCCELLA, Matrimonio, cit., p. 12 ss. Cfr. anche LILLO, Matrimonio concordatario e sovranità dello Stato, Roma, 1999. 84 Con le sentenze nn. 30, 31 e 32 del 1.3.1971, in Dir. eccl., 1971, II, p. 30 ss., prima e con la sentenza n. 175 dell’11.12.1973, ivi, 1974, II, 18 ss., poi. Numerosi sono stati i commenti a queste importanti sentenze. Tra i tanti ricordiamo, per quanto riguarda le prime tre decisioni della Consulta, quelli di JEMOLO, Primo confronto della Costituzione con il Concordato davanti alla Corte costituzionale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1971, p. 299 ss.; DALLA TORRE G., La riforma della legislazione ecclesiastica, 1985, Pàtron, Studi e mater. per inseg. storico-giurid., p. 159 e ss. FINOCCHIARO F., Il matrimonio «concordatario» nelle sentenze della Corte costituzionale, in Dir. eccl., 1971, I, p. 29 ss.; MODUGNO, La Corte costituzionale di fronte ai Patti lateranensi, in Giur. cost., 1971, p. 404 ss.; e per quanto riguarda la sentenza n. 175/1973, quelli di MIRABELLI, Problemi e prospettive in tema di giurisdizione ecclesiastica matrimoniale e di divorzio , in Giur. cost., 1973, p. 2322 ss.; CATALANO, La giurisdizione ecclesiastica matrimoniale nelle sentenze costituzionali n. 175 e 176 del 1973, in Dir. famiglia, 1974, p. 183 ss.; FINOCCHIARO, Matrimonio «concordatario», giurisdizione ecclesiastica e divorzio civile davanti alla Corte costituzionale, in Dir. Eccl., 1974, I, p. 53 ss.; VITALE, La giurisdizione ecclesiastica nell’ordinamento italiano, ibidem, p. 144 ss. 85 Sul punto cfr. FINOCCHIARO, La giurisprudenza innovatrice della Cassazione in tema di efficacia civile delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale, in Giur. it., 1978, I, 1, c. 1699 ss. In questo «indirizzo» vanno ascritte le sentenze della I sez. civ. della Cass. 29.11.1977, n. 5188 (in Dir. eccl., 1978, II, p. 113 ss.), 27.10.1978, n. 4902 (ivi, 1980, II, p. 275 ss.), 25.1.1979, n. 558 (ibidem, p. 98 ss.), 21.7.1979, n. 4381 (ibidem, p. 95 ss.), 13.9.1979, n. 4752 (ibidem, p. 84 ss.), 29.4.1980, n. 2841 (ibidem, p. 263 ss.), 8.4.1981, n. 2011 (ivi, 1981, II, p. 270 ss.). 42 concordatarie in un significato compatibile con la Costituzione, e l’indirizzo assunto, invece, dalle Sezioni Unite che ritennero di dover sollevare avanti alla Corte costituzionale86 eccezione di illegittimità costituzionale della normativa pattizia istitutiva della riserva di giurisdizione ecclesiastica sulla nullità del matrimonio canonico trascritto87, dando così avvio ad un processo che si concluderà poi con la sentenza della stessa Corte costituzionale n. 18/198288 e di cui si avrà modo di parlare nel prosieguo della presente trattazione89. In buona sostanza si può osservare che a partire dagli anni settanta si fa strada una copiosa giurisprudenza costituzionale in materia matrimoniale, che produce ulteriori modificazioni dell’automatismo, quale caratterizzante l’applicazione dell’art. 34 del Concordato Lateranense anteriormente agli anni settanta del secolo scorso. Ne consegue che sul piano giurisprudenziale furono di grande importanza le sentenze della Corte costituzionale con le quali, pur riconoscendosi la piena legittimità costituzionale del sistema matrimoniale concordatario nel suo 86 Cfr. Cass. S.U. (ord.) 13.10.1975, in Dir. eccl., 1975, II, p. 314 ss., nonché Cass. S.U. (ord.) 31.3.1977, n. 349, in Dir. eccl., 1978, II, p. 198 ss. 87 Cfr. DALLA TORRE G., La riforma della legislazione ecclesiastica. Testi e documenti per una ricostruzione storica, Pàtron editore, Bologna, 1985, p. 205 e ss. 88 Questa sentenza molto ha condizionato la revisione dei Patti lateranensi [sul punto cfr. BOTTA, La revisione non diplomatica del Concordato lateranense (La giurisdizione ecclesiastica tra Corte costituzionale e Corte di Cassazione), in Dir. eccl., 1982, II, p. 491 ss.] e ancor oggi per gran parte della dottrina continua a costituire un valido punto di riferimento per l’interpretazione della stessa normativa neoconcordataria, specialmente riguardo al problema della sopravvivenza, o meno, della riserva di giurisdizione ecclesiastica sul matrimonio. 89 Corte Cost., sent. 2 febbraio 1982, n. 18, in www.cortecostituzionale.it. Sull’evoluzione del giudizio di delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale nella giurisprudenza italiana la bibliografia è molto estesa. Tra i contributi di sintesi più recenti, cfr. LACROCE L, M. MADONNA, Il matrimonio concordatario nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Dir. Eccl., n 3-4, 2012, p. 753 ss.; DALLA TORRE G., Lezioni di diritto ecclesiastico, 6ª ed., Giappichelli, Torino, 2019, p. 170 e ss.; FUCCILLO A., Diritto religioni culture. Il fattore religioso nell’esperienza giuridica, 3ª ed., Giappichelli, Torino, 2019, p. 452 ss.; MARCHEI N., La giurisdizione sul matrimonio canonico trascritto, in CASUSCELLI G.(a cura di), Nozioni di diritto ecclesiastico, 5ª ed., Giappichelli, Torino, 2015, p. 259 ss.; GIACOBBE E., Giurisdizione ecclesiastica matrimoniale: tra diritto positive e diritto vivente, in PEREGO A. (a cura di), La Chiesa cattolica: la questione della sovranità, Vita e Pensiero, Milano, 2015, p. 111 e ss.; FUMAGALLI CARULLI O., Matrimonio ed enti tra libertà religiosa e intervento dello Stato, Vita e Pensiero, Milano, 2012, p. 75 ss.; CARDIA C., Matrimonio concordatario. Nuovo equilibrio tra ordinamenti, in AA. VV., Veritas non auctoritas facit legem. Studi di diritto matrimoniale in onore di Pietro Antonio Bonnet, a cura di DALLA TORRE G., GULLO C., BONI G., Libreria Editrice Vaticana, 2012, op.cit. p. 179 ss. 45 di conseguire effetti civili ma solo ed esclusivamente quelli che non si pongano in contrasto con i principi inderogabili dell’ordinamento italiano. Allo stesso modo si affermò il principio in forza del quale non ogni sentenza ecclesiastica di nullità potesse essere resa esecutiva agli effetti civili, ma solo quelle non in contrasto con i principi inderogabili dell’ordinamento giuridico italiano98. Che una siffatta riserva sia stata confermata dall’Accordo di Villa Madama sono, invece, in molti a dubitare99. Anzi quello dell’eventuale sopravvivenza della riserva di giurisdizione ecclesiastica sancita dall’art. 34 del previgente Concordato lateranense è diventato, dopo la riforma del 1984, il vero «nodo» dei rapporti tra Stato e Chiesa in materia matrimoniale. Un «nodo» reso più difficile da sciogliere dalla scelta delle parti contraenti, Stato e Chiesa, di mantenere in proposito un «silenzio equivoco», invece di ricorrere ad una disposizione chiara100: la normativa neoconcordataria, infatti, non ammette, 98 Cfr. DALLA TORRE G., Principi supremi e ordine pubblico. notazioni sulla recente giurisprudenza costituzionale in tema di “matrimonio concordatario”, in Il diritto ecclesiastico e rassegna di diritto matrimoniale, I, 1982, p. 99. 99 Per un’analisi dello stato della dottrina e della giurisprudenza sul punto cfr. oltre BOTTA, Matrimonio religioso e giurisdizione dello Stato, 2a ed., Bologna, 1994, p. 47 ss., anche TALAMANCA, La disciplina dei matrimoni canonici con effetti civili: la riserva di giurisdizione al vaglio di dottrina e giurisprudenza, in Dir. eccl., 1994, I, p. 908 ss., nonché per i profili che più da presso interessano i rapporti tra giurisdizione ecclesiastica e giurisdizione civile cfr. AA.VV., Giurisdizione canonica e giurisdizione civile. Cooperazione e concorso in materia matrimoniale, a cura di Berlingò-Scalisi, Milano, 1994; FATTORI G., L’efficacia civile delle nullità matrimoniali canoniche. Il ruolo guida della Cassazione e le dinamiche di delibazione nella nuova giurisprudenza di legittimità, in Dir. Eccl., CXXI, 1-2, 2010, p. 300 ss; BARBIERA L., La nullità del matrimonio concordatario e la questione della riserva dei tribunali ecclesiastici , in Riv. Dir. Civ., 2004, p. 802 ss. 100 «Questa mancanza di chiarezza», ha sottolineato un’autorevole dottrina, «è talmente sbalorditiva, vertendo su una questione di primaria importanza, da far sorgere il dubbio che non sia casuale e determinata dalla fretta dell’ultimo momento, ma invece perfettamente consapevole e voluta. Si potrebbe infatti opinare che il nuovo accordo… si sia pilatescamente lavato le mani del problema, abbia voluto lasciarlo aperto» in CONDORELLI, «Scherz und ernst» sul nuovo Concordato, in Dir. eccl., 1984, I, p. 376. Per di più, come non ha mancato di rilevare altra autorevole dottrina, «la mancanza di una soluzione chiara ed espressa è segno di un metodo discutibile di condurre trattative di così alto impegno e di così vasta risonanza per i cittadini italiani e il prestigio della Santa Sede, tanto se il silenzio sia dovuto a calcoli unilaterali che gettano ombra sulla lealtà delle trattative, tanto se sia dovuto… a un calcolo bilaterale per aggirare un ostacolo rispetto al quale le Parti stavano in posizione di rigida opposizione, riversando così sugli interpreti l’onere della soluzione ma esponendo cittadini e giuristi a laceranti incertezze» in FALZEA, Conclusioni, in Concordato e legge matrimoniale, cit., p. 774. E sintomatico delle incertezze (e, quindi, di una qual «intenzionalità» delle ambiguità del testo pattizio) potrebbe esser la circostanza che, pur avendo egli fatto parte della Commissione italiana per le trattative con la Chiesa inerenti la revisione concordataria, GISMONDI, Le modificazioni del Concordato lateranense, in Nuovi accordi fra Stato e confessioni religiose, Milano, 1985, p. 13, in ordine alla questione circa il mantenimento o meno nel testo neoconcordatario della riserva di giurisdizione, 46 né esclude espressamente la riserva di giurisdizione ecclesiastica sul matrimonio canonico trascritto, limitandosi semplicemente a non darne alcuna menzione e consentendo, così, a dottrina e giurisprudenza di cimentarsi liberamente in quella che ho ritenuto di poter definire, appunto, l’esegesi del silenzio101. Ecco che mentre alcuni parlano di «sopravvivenza logica» della riserva di giurisdizione ecclesiastica sul matrimonio in quanto l’Accordo di Villa Madama, avendo riaffermato che il matrimonio in fieri è regolato dal diritto canonico, avrebbe riaffermato, altresì, «per ragioni di coerenza logica», l’esclusività della competenza dei tribunali ecclesiastici a giudicarne l’eventuale nullità102; altri invece ritengono che, di fronte al silenzio delle nuove disposizioni pattizie, «la riserva di giurisdizione non poggi più su alcun elemento di diritto positivo». Come si vede, tanto fra i sostenitori del mantenimento quanto fra quelli del superamento della riserva di giurisdizione, è proprio il «silenzio» delle disposizioni neoconcordatarie a costituire spesso l’argomento «decisivo». 2.4. La delibazione delle sentenze canoniche di nullità nell’Accordo del 1984 e la controversa questione della riserva di giurisdizione. significativamente concludeva: «vedremo dottrina e giurisprudenza come risolveranno il complesso problema». Nega, invece, la possibilità che «il silenzio di un accordo internazionale sulla giurisdizione dello Stato in ordine a rapporti facenti capo ai suoi cittadini» possa essere «equivoco» o «neutrale» VACCARELLA, Intervento, in Concordato e legge matrimoniale, cit., p. 645: «quel silenzio, al contrario, non può che essere inteso come conferma dell’ovvia regola – suscettibile solo di espressa eccezione – per cui lo Stato ha giurisdizione su tali rapporti». 101 BOTTA, L’esegesi del silenzio (Nuovo Concordato e riserva di giurisdizione ecclesiastica sul matrimonio), in Concordato e legge matrimoniale, cit., p. 667 ss., cui rimando anche per un esame del dibattito politico sul problema. In proposito cfr. anche BOTTA, Matrimonio religioso, cit., p. 43 ss. 102 CAPUTO, L’efficacia civile della giurisdizione ecclesiastica matrimoniale, in Il nuovo Accordo tra Italia e Santa Sede, a cura di Coppola, Milano, 1987, p. 298 s. 47 È chiaro che per effetto dell’Accordo103, la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità fu modellata sul riconoscimento delle sentenze straniere e, quindi, richiese un momento di verifica da parte delle Corti d’appello italiane. L’ingresso della pronuncia ecclesiastica nel nostro ordinamento non è più automatico, ma soggetto al riconoscimento dell’esistenza di requisiti. Il modello di riferimento era costituito originariamente dagli articoli 796 e 797 del codice di procedura civile, espressamente richiamati dalla normativa pattizia104, ma il procedimento assume sue peculiarità, espressamente descritte nell’Accordo. L’art. 8 dell’Accordo stabilisce, infatti, che le sentenze di nullità dei matrimoni pronunciate dai tribunali ecclesiastici possano essere, a richiesta di parte, dichiarate efficaci nella Repubblica italiana, previa accertamento dei seguenti punti: - competenza del giudice ecclesiastico a conoscere della causa; - rispetto, nel processo ecclesiastico del diritto delle parti di agire e resistere in giudizio; - ricorrenza delle altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere (di cui all’art. 797 c.p.c.). Sempre secondo l’art. 8, la dichiarazione di efficacia deve avvenire con sentenza della Corte d’Appello competente per territorio. L’ultima novità legislativa, prima di approdare al sistema attualmente vigente, consistette nella riforma del diritto internazionale privato, attuata con la legge 218 del 1995 di cui si è accennato in precedenza. Occorre in questa sede evidenziare che tale legge, infatti, abrogò gli articoli 796 e 797 del codice di procedura e stabilì il principio del riconoscimento automatico delle sentenze straniere. Questo è stato indubbiamente un passo decisivo nell’ambito dell’evoluzione della disciplina oggetto della presente disamina. In conseguenza di essa, l’Accordo del 1984, tuttora vigente, si riferiva a norme abrogate e ciò rendeva legittimo chiedersi se i suoi contenuti persistessero oppure se, anche per le sentenze 103 Cfr. GIACOBBE E., La giurisdizione ecclesiastica tra ambiguità ed incertezze (e forse qualche ipocrisia), in Il diritto di famiglia e delle persone, 2009, fasc. 3, pp. 1348 e 1380; fasc. 4, pp.1951- 1983. Sulle evoluzioni della giurisprudenza della Cassazione in materia, dopo l’Accordo di revisione del Concordato del 1984, cfr. ora l’ottima ed esauriente rassegna di LACROCE L., MADONNA M., Il matrimonio concordatario nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Il diritto ecclesiastico, 2012, 3-4, pp. 753-825. 104 Art. 4 del protocollo addizionale. 50 la competenza processuale debba del pari attribuirsi esclusivamente ai tribunali ecclesiastici e non anche, concorrentemente, ai giudici dello Stato (in quanto – si dice – questi ultimi sarebbero comunque chiamati ad applicare le norme del diritto canonico); perché, anche se ciò fosse vero – e non è questa la fase del processo in cui il dubbio debba essere sciolto – il giudice italiano si troverebbe nella stessa situazione in cui, in virtù degli art. 17/ e 27 delle disposizioni preliminari al Codice civile o in applicazione di norme di diritto internazionale privato convenzionale, debba applicare la legge straniera regolatrice del rapporto sostanziale, pur rimanendo disciplinate la competenza e la forma del processo dalla legge italiana, e perché, allo stesso modo, il riconoscimento degli effetti civili ai matrimoni celebrati secondo le norme di altri ordinamenti confessionali108 non comporta necessariamente la riserva di giurisdizione a favore di quegli ordinamenti.109’’. E così, nella motivazione della sentenza citata si è osservato tra l’altro che il richiamo della disciplina della delibazione non è conferente alla tesi della sopravvivenza della riserva, perché il richiamo si concilia sia con la riserva che con il concorso delle giurisdizioni; e ancora che la mancata enunciazione della soppressione della riserva non ha alcun significato dal momento che l’art. 13 dell’accordo prevede l’abrogazione di tutte le disposizioni del concordato del 1929 non richiamate nel nuovo accordo, per cui un’espressa disposizione di abrogazione della riserva sarebbe stata pleonastica, mentre al contrario sarebbe stata necessaria un’espressa disposizione nell’ipotesi in cui le parti contraenti avessero voluto limitare la giurisdizione dello Stato Italia. In altro passo della citata sentenza si dice ancora che : ‘‘infine, l’esigenza sentita dalla Santa Sede ‘‘di riaffermare il valore immutato della dottrina cattolica sul matrimonio e la sollecitudine della Chiesa per la dignità dei valori della famiglia, fondamento della società’’ (art. 8 n. 3 dell’Accordo di revisione) rappresenta un’affermazione di principio, riferita alla disciplina sostanziale del matrimonio, di cui la Chiesa si considera tuttora gelosa custode, e giustificata proprio dal ripristino dei poteri processuali dello Stato, sia in fase di delibazione sia in sede di cognizione diretta, attraverso l’abolizione della giurisdizione esclusiva della 108 Si pensi in particolare all’art. 11 dell’Intesa con la Tavola valdese del 21 febbraio 1984. 109 Cass. sez. un. 13.2.1993 n. 1824, Giust. civ. 1993, I, 335. 51 Chiesa in relazione alle cause di nullità del matrimonio. È significativo, al riguardo, che l’art. 8 n. 2 dell’Accordo condiziona la dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica nella Repubblica italiana all’accertamento delle ‘‘altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere’’, in tal modo rinviando all’art. 797 c.p.c., il quale subordina la delibazione anche alla non contrarietà della sentenza straniera ad altra sentenza pronunciata da un giudice italiano e all’inesistenza di un processo per il medesimo oggetto davanti ad un giudice italiano. Ciò conferma come sia ben possibile che davanti ai giudici dello Stato penda un processo sulla nullità del matrimonio canonico trascritto e che per conseguenza si possa avere una sentenza italiana su tale nullità.’’ Per la verità, la Corte Costituzionale con sentenza 1.12.1993 n. 421 ha espresso un’opinione contrastante con quella delle sezioni unite della Cassazione affermando che ‘‘nell’accordo del 1984, che apporta modificazioni al Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la S. Sede e lo Stato Italiano, permane il riconoscimento degli effetti civili, mediante la trascrizione, ai matrimoni che per libera scelta delle parti sono stati contratti secondo le norme del diritto canonico e che rimangono regolati, quanto al momento genetico, da tale diritto: ne deriva che su quell’atto, posto in essere nell’ordinamento canonico e costituente presupposto degli effetti civili, è riconosciuta la competenza esclusiva del giudice ecclesiastico.110’’. In tale prospettiva ermeneutica occorre effettuare una precisazione di non poco conto. In riferimento alla decisione summenzionata della Corte costituzionale si deve sottolineare che la Consulta fonda la sua tesi sul principio suprema di laicità dello Stato, ossia come distinzione degli ordini (art. 7, co. 1 Cost.), nel senso che se lo Stato riconosce quel matrimonio come regolato dal diritto canonico, cioè come sacramento, non potrebbe disconoscerne la soggezione alla giurisdizione ecclesiastica. Su questo aspetto si dirà più diffusamente nel prosieguo della presente trattazione. 110 Corte Cost. 1.12.1993 n. 421, Giust. civ. 1994, I, 601; al riguardo molto interessante è la lettura di IANNACCONE L., Il Concordato (per ora) è salvo: la Cassazione rispetta gli Accordi di Villa Madama, nota a Cassazione 4 giugno 2012, n. 8926, pubblicata tra l’altro in Famiglia e diritto, 2013, 1, p. 21 ss. 52 Occorre sin da ora evidenziare, invece, che nell’ambito di tale prospettiva ricostruttiva appaiono significative le parole di autorevole dottrina che ha affermato che la giurisprudenza della Cassazione ha “modificato sensibilmente l’assetto originario dell’Accordo in materia di nullità matrimoniali, l’ha fatto in modo tale da porre quasi un problema di sopravvivenza della normativa del 1984111”. 2.5. Il concorso di giurisdizione ed i criteri di risoluzione. Il criterio della prevenzione e decodificazione del concetto di ordine pubblico. Nella citata sentenza della Corte di Cassazione n. 1824 del 1993 si osservò esattamente che dalla disciplina del nuovo Concordato deve ricavarsi che, come non vi è più riserva a favore dei tribunali ecclesiastici, così non vi è riserva esclusiva a favore della giurisdizione civile, e che quindi le due giurisdizioni sono concorrenti, nel senso che le parti sono libere di adire il giudice ecclesiastico o il giudice civile per far valere eventuali nullità del matrimonio da loro contratto con rito religioso. Per la soluzione del concorso in ipotesi di contemporanea pendenza dei due giudizi il criterio non può che essere quello della prevenzione, e quindi il giudice preventivamente adito con la notifica della citazione rimane giudice esclusivamente competente sulla base del principio ‘‘electa una via non datur recursus ad alteram’’ sotteso alla litispendenza. Per completezza argomentativa si deve sottolineare che in questo passaggio della sentenza c’è chi ha fatto notare che vi è qualche incertezza interpretativa: essa, infatti, appare molto discutibile in quanto la Cassazione parla di concorrenza di giurisdizioni ma in realtà il criterio di prevenzione viene applicato non tra giudizio 111 CARDIA C., Matrimonio concordatario. Nuovo equilibrio tra ordinamenti, in DALLA TORRE G., GULLO C., BONI G. (a cura di), Veritas non auctoritas facit legem. Studi di diritto matrimoniale in onore di Piero Antonio Bonnet, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano, 2012, p. 180 e ss. 55 Il fatto che l’Accordo indichi espressamente due punti, prima di far riferimento alle condizioni “richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere” pone, semmai, un problema di specificità e prevalenza116. Vale a dire, i criteri di cui all’art. 797 da applicare sono quelli che possono considerarsi ulteriori rispetto ai citati due punti. Essi principalmente consistono nella verifica della rispondenza della sentenza ecclesiastica ai principi dell’ordine pubblico italiano. L’art. 31 delle “Disposizioni sulla legge in generale” affermava che in nessun caso gli atti di uno Stato estero potevano avere effetto nel territorio dello Stato, se contrari all’ordine pubblico o al buon costume. Questa disposizione è stata abrogata dalla legge 218/95, che è sostituita dall’art. 16, che recita: “La legge straniera non è applicata se i suoi effetti sono contrari all’ordine pubblico” e dall’art. 64 lettera g), che subordina il riconoscimento delle sentenze straniere all’assenza di effetti contrari all’ordine pubblico. I principi dell’ordine pubblico sono richiamati anche dal codice civile, in quanto costituenti un limite all’autonomia negoziale dei privati117. In tale prospettiva ricostruttiva è bene precisare che la tesi dell’inapplicabilità della legge 218/1995 alle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale, con la persistente applicazione della procedura di delibazione ex artt. 796 ss. c.p.c., è successivamente prevalsa. A ciò si aggiunga che tale tesi era è fondata sull’art. 2 della legge n. 218, che esclude dalla sua sfera di applicazione le convenzioni internazionali stipulate dall’Italia, come l’Accordo del 1984 con la Santa Sede. giudizio ed è stato in essa assegnato un congruo termine a comparire; 3) che le parti si sono costituite in giudizio secondo la legge del luogo o la contumacia è stata accertata e dichiarata validamente in conformità della stessa legge; 4) che la sentenza è passata in giudicato secondo la legge del luogo in cui è stata pronunciata; 5) che essa non è contraria ad altra sentenza pronunciata da un giudice italiano; 6) che non è pendente davanti a un giudice italiano un giudizio per il medesimo oggetto e tra le stesse parti, istituito prima del passaggio in giudicato della sentenza straniera; 7) che la sentenza non contiene disposizioni contrarie all’ordine pubblico italiano. Ai fini dell’attuazione il titolo è costituito dalla sentenza straniera e da quella della Corte d’appello che ne dichiara l’efficacia». 116 In ordine al significato che assume, nella disciplina concordataria della delibazione delle sentenze canoniche di nullità matrimoniale, l’esplicito richiamo alla “specificità dell’ordinamento canonico” (Prot. add.) e alle sue implicazioni nell’interpretazione complessiva di tale normativa, cfr. DALLA TORRE G., “Specificità dell’ordinamento canonico” e delibazione delle sentenze matrimoniali ecclesiastiche, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica consultabile al seguente url: https://www.statoechiese.it, n. 34 del 2013, pp. 1-15. 117 Si vedano gli artt. 1343 e 1418 c.c.. 56 Occorre, ancora, puntualizzare sotto questo aspetto un dato importante consistente nel fatto che una tappa fondamentale nell’evoluzione del concetto di ordine pubblico nel giudizio di delibazione fu rappresentata dall’Accordo di revisione concordataria del 1984, recepito nell’ordinamento italiano con legge di esecuzione n. 121 del 1985. Non a caso nel rinnovato contesto segnato dall’abbandono del principio confessionista, esso ha introdotto, come è stato evidenziato compiutamente in precedenza, una nuova disciplina del matrimonio concordatario che, pur tenendo fermi i fondamentali principi ispiratori dell’istituto, recepì le novità introdotte dalla giurisprudenza costituzionale, ponendo limiti sia alla trascrizione dell’atto di matrimonio che alla delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità118. Occorre, allora, tentare di rintracciare e delimitare i predetti concetti che fungono da presupposto e limite nel giudizio di delibazione. Secondo le definizioni della dottrina, i predetti principi consistono nell’insieme delle norme fondamentali dell’ordinamento giuridico, desumibili dalla Costituzione ed immanenti ai più importanti istituti giuridici. Essi caratterizzano il nostro ordinamento, imprimendogli una peculiare e non derogabile fisionomia. La Corte di Cassazione ha affermato che il concetto di ordine pubblico italiano comprende il complesso dei principi, ivi compresi quelli desumibili dalla Carta costituzionale, che formano il cardine della struttura economico sociale della comunità nazionale in un determinato momento storico, conferendole una ben individuata ed inconfondibile fisionomia, e sono immanenti ai più importanti istituti giuridici119. 118 In tale prospettiva da ultimo cfr. CARDIA C., Matrimonio concordatario, op. cit., p. 180, secondo cui dal Concordato del 1984 in materia matrimoniale “è derivato un sistema regolatore nel quale hanno avuto accoglienza istanze di diversa natura, ma si sono anche accentuate discrasie e possibili contraddizioni interne alla normativa concordataria. Si è dato vita cioé ad un ‘sistema multiuso’, che può essere a sua volta interpretato, letto, in ottiche diversificate ed in modo evolutivo”. 119 Ex multis Cass., 13 dicembre 1999, n. 13928; per un esame della giurisprudenza di merito e di legittimità che ha analizzato le cause di nullità matrimoniale più ricorrenti nelle sentenze ecclesiastiche, per valutarne la compatibilità con l’ordine pubblico, v. Matrimonio concordatario e giurisdizione dello Stato (studi sulle recenti evoluzioni della giurisprudenza), a cura di SPINELLI – DALLA TORRE, Bologna, 1987; a cura degli stessi Autori, Delibazione delle sentenze ecclesiastiche e ordine pubblico, Padova, 1989, pp. 111 e ss., testo al quale si rinvia per la rassegna delle massime giurisprudenziali concernenti su tale questione, con riferimento al biennio 1986 – 1988; LACROCE, MADONNA M., Il matrimonio concordatario nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Dir. Eccl., n 3-4, 2012, p. 762 ss; In senso più ampio, sul rapporto tra 57 Altre pronunce della medesima Corte hanno espresso analoghe valutazioni. Secondo la sentenza n. 10215 del 2007 della Corte di Cassazione120, l’ordine pubblico si identifica nella “tutela dei diritti fondamentali”. Secondo la sentenza 22332 del 2004, i principi dell’ordine pubblico sono quelli che informano l’intero il diritto statale e la libertà religiosa, intesa come libertà confessionale, sul quale la bibliografia è sterminata, cfr., per tutti, BÖCKENFÖRDE E.W., Lo Stato secolarizzato, la sua giustificazione e i suoi problemi nel secolo XXI, trad. it. di F. Stelzer, in RUSCONI G.E., Lo Stato secolarizzato nell'età post-secolare, il Mulino, Bologna, 2008, p. 31 ss., il quale individua e sintetizza il «carattere dello Stato secolarizzato […] in primo luogo col fatto che in esso la religione in generale – o una determinata religione – non rappresenta più un fondamento vincolante, un fermento dell'ordine statuale. Stato e religione sono piuttosto fondamentalmente separati l'uno dall'altra, lo Stato in sé non possiede e non rappresenta alcuna religione. […] Nell'organizzare l'umana convivenza, esso persegue unicamente obiettivi mondani e trova in essi la propria legittimazione; obiettivi spirituali e religiosi si trovano “fuori del suo ambito di competenza”. […] E purtuttavia la religione non viene negata dallo Stato secolarizzato. Essa esiste, e lo Stato vi si rapporta. Tale rapporto è caratterizzato dal fatto che, da un lato, la religione viene resa libera e la sua ammissione, la sua organizzazione e il suo esercizio non rappresentano più un affare dello Stato, né essa viene guidata e diretta da esso; lo Stato secolarizzato rinuncia – e ciò ha rappresentato un lungo processo – a qualsiasi forma di sovranità religiosa»: ivi, pp. 32-33; cfr. CORSO G., Ordine pubblico (dir. pubbl.), in Enc. dir., XXX, Giuffrè, Milano, 1980, in particolare p. 1060, ove l'Autore cit. considera – prima della revisione costituzionale del 2001 –, che «[l]a Costituzione non fa menzione dell'ordine pubblico», essendo tale «rilievo […] unanime»: è lo stesso Autore a ricordare, ivi, la ragione fondamentale di ciò: «[i]l testo originario di quello che sarebbe divenuto l'art. 19 garantiva la libertà religiosa purché non si trattasse di confessione dedita a “principi o riti contrari all'ordine pubblico e al buon costume”, ma le parole “principi” e “ordine pubblico” furono soppresse nel testo definitivo da un emendamento Calamandrei-Cianca accolto dall'Assemblea costituente, nella considerazione che la seconda delle due espressioni fosse troppo elastica». Sul punto, cfr., anche, ID., L’ordine pubblico, il Mulino, Bologna, 1979; nonché FINOCCHIARO F., Art. 19, in BRANCA G. (a cura di), Commentario della Costituzione, Zanichelli-Il Foro italiano, Bologna-Roma, 1977, in particolare p. 276. Cfr., però, in senso difforme, MANGIA A., Statuti personali e libertà religiosa nell’ordinamento italiano, in Forum di Quad. cost., 2006, anche in AOUN M., Les statuts personnels en droit comparé. Évolutions récentes et implications pratiques, Atti del Convegno dell’Università Robert Schuman, Strasburgo, 20-21 Novembre 2006, Peteers Publishers, Leuven, 2009; PACE A., Il concetto di ordine pubblico nella Costituzione italiana, in Arch. giur. Filippo Serafini, 1963, p. 111 ss., il quale ritiene, in breve, che la Costituzione repubblicana accolga il concetto di «ordine pubblico», soltanto in un'accezione materiale, non mai ideale; dello stesso Autore, cfr., più recentemente, Libertà e sicurezza. Cinquant'anni dopo, in TORRE A. (a cura di), Costituzioni e sicurezza dello Stato, Maggioli, Rimini, 2013; nonché ID., La funzione di sicurezza nella legalità costituzionale, in Quad. cost., 2014, p. 989 ss.; in senso, parzialmente, diverso – come afferma lo stesso Pace: ivi, p. 991, nota 7 –, cfr., però, LAVAGNA C., Il concetto di ordine pubblico alla luce delle norme costituzionali, in Dem. dir., 1967, p. 367 ss. Sul punto, cfr., anche, ANGELINI L., Ordine pubblico, in CASSESE S. (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, Giuffrè, Milano, 2006, p. 4000, la quale osserva che la Costituzione richiama implicitamente più volte l'ordine pubblico amministrativo, attraverso il riferimento a locuzioni quali, ad esempio, l'incolumità e la sicurezza pubblica o nazionale. La ricerca, finalizzata ad individuare un limite evidente in tal [ordine pubblico normativo: ndr.] senso nel testo costituzionale, ha rilevato un solo caso: l'art. 8, co. 2. 120 https://www.foroeuropeo.it/aree-sezioni/cassazione-massime-materie/1067-fonti-del- diritto/21029-fonti-del-diritto-ordine-pubblico-e-buon-costume-ordine-pubblico-internazionale- corte-di-cassazione-sez-l-sentenza-n-10215-del-04-05-2007 60 Apostolica, sono dichiarate efficaci nella Repubblica italiana su richiesta delle parti o di una di esse, mediante il cosiddetto procedimento di delibazione, con sentenza della Corte d’Appello competente per territorio. Ai fini dell’individuazione della Corte competente si fa riferimento alla Corte d’Appello nel cui distretto si trova il comune nel cui territorio è stato celebrato il matrimonio. Sotto tale angolo prospettico appare interessante osservare che nell’ambito delle novità introdotte da Papa Francesco con il m.p. Mitis Iudex Dominus Iesus125 all’interno del diritto processuale canonico126, assume rilievo la previsione del processus brevior innanzi al Vescovo diocesano. Le sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale da loro pronunciate ottengono il decreto di esecutività necessario per la delibazione127. Per quel che concerne l’intervento del Supremo Tribunale, che è l’organo supremo della giurisdizione ordinaria ed amministrativa canonica, occorre puntualizzare che il suo obiettivo principale nella prospettiva concordataria è quello di verificare che alle parti sia garantito il diritto di agire e di difesa, nonché che la sentenza sia esecutiva. Ciò è dovuto al fatto che, in ossequio all’art. 8.2 del nuovo Concordato, poiché i provvedimenti dell’autorità ecclesiastica in materia di nullità del matrimonio sono destinati a produrre effetti civili, l’ordinamento richiede il rispetto di tutti i requisiti di legittimità posti dal diritto canonico. Sotto questo angolo prospettico si può riconoscere che le sentenze ecclesiastiche, pur divenute esecutive, non sono intangibili ai sensi del can. 1681, che così recita: “se è stata emanata una sentenza esecutiva, si può ricorrere in qualunque momento al tribunale di terzo grado per la nuova proposizione della causa a norma del can. 1644, adducendo nuovi e gravi prove o argomenti entro il termine perentorio di trenta giorni dalla proposizione dell’impugnazione”. Ne consegue che in qualunque momento si può ricorrere in terzo grado (ex can. 1644) avverso una 125 Il testo è consultabile al seguente url: http://www.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/papa-francesco-motu- proprio_20150815_mitis-iudex-dominus-iesus.html 126Cfr. BONI G., L’efficacia civile in Italia delle sentenze canoniche di nullità matrimoniale dopo il Motu Proprio Mitis iudex (parte seconda), in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 5/2017. 127 In tal senso il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, lettera circ. prot. n.51324/16 del 30 Gennaio 2016. 61 sentenza divenuta esecutiva per la nuova proposizione della causa adducendo nuovi e gravi prove o argomenti entro il termine perentorio di 30 giorni, decorrenti dalla proposizione dell’impugnazione. La sentenza è esecutiva se sono decorsi i termini di appello stabiliti dai cann. 1630-1633 c.i.c.. Ciò in quanto è stato eliminato il principio della doppia pronuncia conforme ad opera della riforma del processo matrimoniale canonico posta in essere da Papa Francesco. Si precisa tuttavia, che il Sommo Pontefice, ha limitato questa possibilità. Ciò è dovuto al fatto che ha stabilito che non è ammesso il ricorso, dinanzi alla Rota Romana, per la nova causae propositio, dopo che una delle parti abbia contratto nuovo matrimonio canonico, a meno che non consti manifestamente dell’ingiustizia della decisione. Su questo aspetto si dirà più diffusamente nel prosieguo della trattazione. Con riferimento alla procedura di delibazione si osserva che l’art. 8.2 dell’Accordo di Villa Madama prevede che, successivamente alla domanda di delibazione, introdotta con ricorso o citazione a seconda che le parti siano concordi o meno circa l’efficacia civile della sentenza canonica di nullità, la Corte d’Appello deve effettuare una serie di accertamenti quali: v verificare se il giudice ecclesiastico era il giudice competente a conoscere della causa, trattandosi di matrimonio celebrato in conformità al presente articolo; v osservare che nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici sia stato garantito alle parti il diritto di agire e di restare in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano; v vedere se ricorrano le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere. A ciò si deve aggiungere che la Corte d’Appello deve accertare la propria competenza territoriale, la regolarità dell’atto di citazione nonché l’assenza di altra sentenza passata in giudicato emessa tra le stesse parti da un Tribunale italiano, contrastante con quella ecclesiastica. È interessante constatare che in quest’ultimo aspetto risiede la prova che il concorso di giurisdizioni prospettato dalla Cassazione non esiste, poiché il potenziale conflitto è sempre tra due giudici italiani, al quale si applica il criterio di prevenzione, non tra il giudice 62 ecclesiastico e quello civile. Ciò che, invece, è espressamente proibito è che la Corte d’appello possa svolgere un riesame del merito della pronuncia ecclesiastica128, salvo la possibilità di statuire provvedimenti economici provvisori a favore di uno dei coniugi, rimettendo le parti al giudice competente per la decisione sulla materia. In ordine alla procedura della delibazione occorre osservare che tale istituto ha subito un certo significativo cambiamento di disciplina a seguito dell’abrogazione degli artt. da 796 a 805 del codice di procedura civile avutosi, come accennato precedentemente, ad opera dell’art. 73 della legge n. 218 del 1995 di riforma del sistema di diritto internazionale privato129. È utile però richiamare la vecchia disciplina della delibazione per cogliere i mutamenti di fondo verificatisi a seguito dell’abrogazione. Ai sensi dell’abrogato art. 797 c.p.c. la Corte di Appello, investita della delibazione di una sentenza straniera, doveva accertare fra l’altro che essa non fosse contraria ad altra sentenza pronunciata dal giudice italiano e che non fosse pendente davanti al giudice italiano un giudizio per il medesimo oggetto e tra le stesse parti istituito prima del passaggio in giudicato della sentenza straniera. Questa disciplina, in vigore fino al 31.12.1996, era applicabile anche alle sentenze ecclesiastiche per l’espresso richiamo, contenuto nell’art. 8 n. 2 lettera c) dell’Accordo di revisione del 1984, alle condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere. Le questioni di compatibilità della sentenza ecclesiastica con il giudicato interno e quelle circa la prevenzione ovviamente non si ponevano fino a quando esisteva la riserva di giurisdizione ecclesiastica in materia di cause di nullità del vincolo matrimoniale; con il superamento della riserva, invece, la delibazione implica l’esame dell’eventuale esistenza di un giudicato interno contrastante con la pronunzia ecclesiastica, nonché la verifica della pendenza di un identico giudizio davanti al giudice italiano. 128 Cfr. punto 4 lett. b) del Protocollo addizionale. 129 Cfr. BADIALI, Il riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche di nullità dei matrimoni nel nuovo sistema italiano di diritto internazionale privato, in Rivista di diritto internazionale, 2000, p. 40 ss. 65 punto 6 dell’art. 797 c.p.c. riguarda il principio di prevenzione, per effetto del quale la definitività, ma anche la pendenza di giudizio civile avente il medesimo oggetto, impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica133. L’art. 797 n. 4 c.p.c. prevede, come ulteriore condizione per la delibazione, il passaggio in giudicato della sentenza da delibare, “secondo la legge del luogo in cui è stata pronunciata”. Da quanto affermato sin qui ne consegue, pertanto, che la domanda di delibazione deve essere sottoscritta da un procuratore legale e che richiede la sussistenza di taluni indispensabili requisiti processuali. In primis la sentenza di nullità del matrimonio, rilasciata, come visto, dal competente organo giudiziario ecclesiastico, nel rispetto della procedura da osservarsi nei processi di nullità matrimoniale. In secundis il decreto di esecutività, rilasciato dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, nella sua funzione di superiore organo di controllo dell’attività giudiziaria ecclesiastica, con il quale si attesta la esecutività secondo il diritto canonico della delibanda sentenza ecclesiastica di nullità. La delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio canonico fa venir meno retroattivamente i suoi effetti civili fin dal giorno della sua celebrazione. Ecco l’effetto principale della procedura di delibazione. 133 Si veda Cass., 18 aprile 1997, n. 3345: «Alla luce dell’art. 8, n. 2 dell’Accordo di revisione del Concordato del 11 febbraio 1929 con la Santa Sede, stipulato il 18 febbraio 1984 e reso esecutivo con legge 28 marzo 1985, n. 121, il quale condiziona la dichiarazione di efficacia della sentenza Ecclesiastica, all’accertamento della sussistenza delle “condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere”, in tal modo rinviando all’art. 797 cod. proc. civ., è da ritenersi abrogata la riserva di giurisdizione in materia di nullità del matrimonio concordatario celebrato secondo le norme del diritto canonico. Ne consegue che il giudice italiano preventivamente adito, può giudicare sulla domanda di nullità di un matrimonio concordatario, nonché che il convenuto in una causa di divorzio possa chiedere l’accertamento della nullità del vincolo, nonché - ancora - che, contenendo - in sé - una tale sentenza di divorzio, una implicita valutazione della validità del vincolo, nei limiti di un accertamento incidentale ed ai soli fini del decidere, una eventuale sentenza ecclesiastica di nullità, pur rendendosi delibabile, non travolga più la sentenza di divorzio. Più in generale, i rapporti fra giurisdizione ecclesiastica e giurisdizione civile sono disciplinati sulla base del principio di prevenzione in favore della giurisdizione civile, con la conseguenza per cui, mentre la pendenza di un giudizio civile impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica, il giudizio civile viene paralizzato solo dalla già avvenuta delibazione della sentenza ecclesiastica. Pertanto, la pendenza di un giudizio di divorzio comporta l’avvenuta devoluzione, alla giurisdizione civile, della questione (sia pure solo meramente incidentale) della validità del vincolo, e quindi impedisce, alla delibazione della sentenza canonica, di determinare la cessazione della materia del contendere nel processo di divorzio medesimo». 66 Risulta chiaro, tuttavia, che la procedura de qua lascia impregiudicati gli eventuali rapporti di filiazione e tutti gli obblighi giuridici ad essi collegati, come si specificherà nel prosieguo della presente trattazione. A ciò si aggiunga che la procedura fa venir meno anche l’esigenza della domanda di divorzio, qualora esso non sia già giudizialmente intervenuto tra le parti134. Parallelamente resta valida e percorribile la strada della delibazione della sentenza ecclesiastica anche se sia già intervenuto il divorzio, i cui effetti personali e patrimoniali già eventualmente ivi statuiti restano comunque fermi ed efficaci135. Per completezza argomentativa occorre sin da ora puntualizzare un aspetto che nel prosieguo verrà trattato più diffusamente. Si tratta dell’aspetto concernente gli effetti personali e patrimoniali tra le parti, che, in buona sostanza, ha suscitato molte incertezze in giurisprudenza. Non a caso in base alle norme sul matrimonio putativo (art. 128 ss. c.c.), che si applica ai casi di nullità, restano fermi alcuni effetti già prodotti sulle parti e sui figli, ma la disciplina dei rapporti patrimoniali tra gli ex-coniugi è assai diversa rispetto a quella sul divorzio, e la nullità del matrimonio travolge un’eventuale sentenza di divorzio. 134 Cfr. COMOTTI G., Delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale e tutela della parte economicamente debole, in AIAF. Rivista dell’associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori, II (2014/1), pp. 30-31-32. 135 È bene effettuare una precisazione di non poco conto costituita dal fatto che dalla nuova disciplina concordataria resta, tuttavia, esclusa la possibilità di delibazione delle dispense pontificie per lo scioglimento del matrimonio rato e non consumato, poiché trattasi di provvedimenti graziosi e del tutto discrezionali, emessi con un procedimento di carattere amministrativo e non giudiziario, nel quale sono assenti le fondamentali garanzie giurisdizionali sancite dalla Costituzione repubblicana a favore di ogni cittadino italiano. Nell’ordinamento canonico, come noto, esiste un solo caso di scioglimento per il matrimonio tra battezzati, quello per non consumazione. Si vedano, per tutti, sulla procedura super matrimonio rato et non consummato MOLINA MELIA A., La disolución del matrimonio inconsumado. Antecedentes históricos y derecho vigente, Salamanca, 1987; ORLANDI G., Recenti innovazioni nella procedura super matrimonio rato et non consummato, in Il processo matrimoniale canonico, Città del Vaticano, 1988, 460 ss.; BURKE R.L., Il processo di dispensa dal matrimonio rato e non consumato: la grazia pontificia e la sua natura, in I procedimenti speciali nel diritto canonico, Città del Vaticano, 1992, 135 ss.; BUTTINELLI O., Il procedimento di dispensa dal matrimonio rato e non consumato: la fase davanti al vescovo diocesano, Ibidem, 107 ss.; MELLI R., Il processo di dispensa dal matrimonio rato e non consumato: la fase davanti alla Congregazione, Ibidem, 125 ss.; MIGLIAVACCA A., Procedimenti amministrativi per lo scioglimento del vincolo coniugale, in I giudizi nella Chiesa. Processi e procedure speciali, Milano, 1999, 149 ss. Le disposizioni del Codex Iuris Canonici vanno integrate con le prescrizioni contenute in un’Istruzione. del 20 dicembre 1986 della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, che si può leggere in Mon. eccl., CXII (1987), 430 ss., con nota di MELLI R., Breve commentarium ad litteras circulares «De processu super matrimonio rato et non consummato» missas a Congregatione pro sacramentis die 20 decembris 1986. 67 Proprio per ridurre questo rischio è dovuta intervenire la Cassazione a Sezioni Unite nel 2014 affermando il principio, pure discutibile da punto di vista formale, della convivenza ultratriennale come limite alla delibazione e che sarà oggetto di approfondimento nel prosieguo della disamina. 70 affermavano che quel margine di «maggiore disponibilità» a rendere efficaci civilmente siffatti provvedimenti dei tribunali ecclesiastici poteva ritenersi superato nell’ipotesi che venisse leso il principio dell’affidamento e della tutela della buona fede139. Risulta chiaro che ciò potrebbe verificarsi allorché il coniuge 139 L’affermazione di un siffatto principio non è stata accolta con soddisfazione da larga parte della dottrina, soprattutto in ragione di una ritenuta irrilevanza del principio dell’affidamento incolpevole al di là dei confini della normativa mercantile. Da un lato si è dubitato che la logica dell’affidamento potesse valere «a disconoscere come incostituzionale l’esigenza di un integro consenso nelle sue ultime e coerenti applicazioni», soprattutto in un regime, come l’attuale, che a mezzo della riforma di famiglia approvata nel 1975 ha riportato il matrimonio «all’idea di un atto di autonomia del privato per la realizzazione di un interesse essenziale della persona», sicché il mantener fermo un «vincolo costituito in difetto di un’integra esplicazione dell’autonomia privata» potrebbe sembrare addirittura contrario alla stessa dignità ed importanza del matrimonio (BIANCA, Art. 117 cod. civ., in Comm. Carraro, Oppo, Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 115 ss.). O, ancora, si è posto in rilievo che la perpetuatio del vincolo matrimoniale che fosse disposta dalla Corte d’appello, col negare l’esecutività ad una sentenza ecclesiastica di nullità, solo in apparenza tutelerebbe la buona fede e l’affidamento incolpevole del coniuge c.d. «non simulante», in quanto nessun elemento autoritativo può costringere un soggetto ad essere coniuge (GHERRO, Simulazione unilaterale di matrimonio concordatario e tutela dell’affidamento: riflessioni ulteriori, in Dir. famiglia, 1985, p. 56 ss.). O, infine, si è posto in rilievo che «nell’ordinamento statuale la buona fede costituisce il contenuto per specifiche regolamentazioni normative, sia pure riguardanti fattispecie generali», sicché «il suo significato normativo non si (svolgerebbe) a quel livello sul quale si formano i principi fondamentali (generali, superiori) dell’ordinamento come principi fondativi della razionalità sistematica»; ed anche per quanto riguarda la rilevanza della tutela del coniuge in buona fede si può osservare che tale rilevanza «non solo non deriva affatto dall’applicazione di un principio generale, ma addirittura si svolge con effetti limitati e circoscritt i ad aspetti meramente tecnici e strumentali connessi al modo in cui opera la sentenza di nullità, FINOCCHIARO, op.cit., p. 79 e ss. Dall’altro si è affermato che nel campo matrimoniale la riserva mentale era da ritenersi irrilevante non già in funzione della tutela della buona fede del coniuge inconsapevole ma «per il preminente rilievo che nei negozi personali o familiari assume la volontà manifestata rispetto a quella non manifestata», sicché la contrarietà all’ordine pubblico di una sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio per esclusione unilaterale di uno dei tria bona matrimonii sussisterebbe per il solo fatto che al momento della celebrazione del matrimonio il coniuge «incolpevole» «confidava nella validità del vincolo ignorando l’atteggiamento psichico dell’altro sposo in ordine al matrimonio celebrato» (A. FINOCCHIARO, Sulla pretesa rilevanza della buona fede del coniuge incolpevole al fine della delibazione di una sentenza canonica di nullità matrimoniale contraria all’ordine pubblico, in Giust. civ., 1984, I, p. 1823 ss.). Non è tuttavia mancato chi ha avvertito che se era la riserva mentale ad essere ritenuta contraria per se stessa all’ordine pubblico, indipendentemente dalla sua funzionalizzazione al principio del rispetto della buona fede e dell’affidamento incolpevole, inevitabilmente l’oggetto del controllo da parte della Corte d’appello in sede di delibazione avrebbe finito per essere esclusivamente la comparazione tra le cause di nullità previste dal diritto canonico e dal diritto civile, mentre oggetto di tale controllo doveva essere – come tutti pacificamente accettavano – l’eventuale contrasto delle sentenze ecclesiastiche «con i principi fondamentali desumibili dalla complessiva disciplina dell’istituto matrimoniale». Analizzando siffatta disciplina è facile rilevare che «il principio della preminenza, nella formazione del matrimonio, della dichiarazione di volontà rispetto al consenso effettivo non è un principio di struttura del negozio matrimoniale disciplinato dal codice civile» e – se pur esistente – non può essere sganciato «dalla tutela della buona fede delle parti, perché il rilievo della riserva mentale – indubbio seguendo la tesi volontaristica – nell’ordinamento statuale è contrastato proprio per le esigenze di codesta garanzia, dando rilevanza alla responsabilità del dichiarante» (FINOCCHIARO F., Simulazione unilaterale del consenso matrimoniale e principi di ordine pubblico fra buona fede e dogma della dichiarazione, in Giust. civ., 1985, I, p. 30 ss.). Lo 71 che avesse escluso, al momento della prestazione del consenso140, uno dei tria bona matrimonii, non avesse esternato detta intenzione, lasciandola nell’ambito esclusivo della sua sfera psichica. Occorre ricordare, infatti, che nel diritto canonico il matrimonio è nullo non solo in caso di simulazione bilaterale, ma anche nel caso in cui l'esclusione di uno degli elementi essenziali del matrimonio canonico sia unilaterale e sia rimasta nella sfera psichica di uno dei nubendi (c.d. riserva mentale). Per il codice civile rileva invece il solo accordo simulatorio dei nubendi. Riguardo a questa diversità di disciplina, la giurisprudenza ha dichiarato il superamento del livello di “maggiore disponibilità”: la riserva mentale, cioè la non esternazione da parte di un coniuge della sua intenzione ad escludere uno dei bona matrimonii, integrerebbe una violazione del principio inderogabile di tutela della buona fede e dell'affidamento del coniuge incolpevole, che è principio di ordine pubblico. Successivamente la giurisprudenza ha dato rilievo non solo alla effettiva conoscenza ma anche ma anche alla mera conoscibilità della riserva da parte dell'altro coniuge, ritenendo inoltre che il principio della tutela inderogabile della buona fede e dell'affidamento incolpevole fosse disponibile. La tutela di quest'ultimo principio verrebbe infatti meno nel momento in cui fosse il coniuge incolpevole a chiedere il riconoscimento degli effetti civili della sentenza ecclesiastica viziata. L’esigenza di tutelare la buona fede e l’affidamento del coniuge «incolpevole» non sussisterebbe più, tuttavia, se quest’ultimo avesse invece conosciuta l’intenzione dell’altro di escludere allorché il coniuge che avesse escluso, al momento della prestazione del consenso, uno dei tria bona matrimonii, non stesso A. ha peraltro osservato che «in realtà, il principio di buona fede, per quanto di indubbia importanza nell’attuazione e nello svolgimento dei rapporti giuridici, non è un principio d’ordine pubblico che possa valere nella disciplina del collegamento fra Stato e Chiesa a proposito del riconoscimento delle sentenze in questione. Infatti, la violazione dell’affidamento incolpevole dell’altra parte, quando si tratta della validità del matrimonio civile, non importa mai che l’invalidità non possa essere dichiarata, ma implica solo che il soggetto in buona fede si avvarrà degli effetti del matrimonio putativo. La buona fede, come non è preclusiva della dichiarazione d’invalidità del matrimonio civile, così non può precludere il riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche di nullità» (F. FINOCCHIARO, Sentenza, op.cit., p. 7). Cfr. Anche sul tema DALLA BONTÀ, Sui limiti della delibazione di sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio per riserva mentale unilaterale, in Famiglia e dir., 2001, p. 64 ss. 140 Cfr. D’AURIA A., Il consenso matrimoniale. Dottrina e giurisprudenza canonica, Aracne, Roma, 2007, pp. 473. 72 avesse esternato detta intenzione, lasciandola nell’ambito esclusivo della sua sfera psichica. Ciò posto si deve osservare che i vari interventi della Corte di Cassazione hanno indubbiamente contribuito a chiarire quale sia il concetto di “ordine pubblico matrimoniale” che può costituire parametro di riferimento per il giudizio di delibazione delle sentenze ecclesiastiche dichiarative della nullità del matrimonio. Ma, una volta realizzatasi la riforma del sistema concordatario lateranense, il problema dell’«ordine pubblico matrimoniale» deve essere rivalutato alla luce dei principi ispiratori del nuovo sistema in ordine all’unicità dello status coniugale e alla pluralità delle «vie d’accesso» a tale status istituite dall’ordinamento, tra le quali si collocano quelle religiosamente qualificate. La situazione è quella di una pluralità di «forme» che è anche inevitabilmente, proprio perché rappresentativa di identità «religiose» diverse, pluralità di «sostanze». L’unificazione del regime matrimoniale, che si traduce nella irrilevanza della «forma» di (o dell’«itinerario» concretamente utilizzato dalle parti per arrivare alla) costituzione dello status coniugale, funziona da regola di compatibilità, realizzando, mediante una netta separazione tra momento cultuale e momento civile della celebrazione nuziale, la possibilità concreta che valori diversi coesistano senza che vi siano violazioni dell’ordine pubblico. L’ordine pubblico potrebbe, infatti, anche dirsi in qualche misura l’«altra faccia» del pluralismo, in quanto sostanzialmente rappresenta un «riflesso di difesa» dell’ordinamento alla circolazione di valori difformi dal modello culturale prevalente141. Sotto tale angolo prospettico in ogni caso non può non tenersi conto che, se l’ordinamento consente ai coniugi di religione cattolica di chiedere alla Corte d’appello competente per territorio che sia dichiarata l’efficacia civile della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del loro matrimonio, ciò può, da un lato, determinare (indirettamente) un “ampliamento” delle “cause” per le quali, 141 Cr. sul punto PANZA, Ordine pubblico. I) Teoria generale, in EG, XXII, Roma, 1990, p. 1. Sul concetto di ordine pubblico cfr. altresì CERRI, Ordine pubblico. II) Diritto costituzionale, e BADIALI, Ordine pubblico. III) Diritto internazionale privato e processuale, ibidem; FERRI, Ordine pubblico (diritto privato), in ED, XXX, Milano, 1980, p. 1039 ss.; CORSO, Ordine pubblico (diritto pubblico), ibidem, p. 1057 ss.; BARILE, Ordine pubblico (diritto internazionale privato), ibidem, p. 1106 ss.; PALADIN, Ordine pubblico, in NN.D.I., XII, Torino, 1957, p. 130 ss. 75 che, «riferita a date situazioni invalidanti dell’atto di matrimonio (nel caso di specie per esclusione unilaterale della procreazione), la successiva prolungata convivenza è considerata espressiva di una volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito e con questa volontà è incompatibile il successivo esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione, altrimenti riconosciuta dalla legge»145. Ragionando in questi termini occorre evidenziare che la medesima Prima Sezione ha poi voluto precisare questo concetto: pur meritando adesione – ha affermato la Corte – l’indirizzo giurisprudenziale espresso dalle sentenze n. 19809 del 2008 e n. 1343 del 2011, «con la distinzione concettuale ad esso sottesa tra matrimonio- atto e matrimonio-rapporto, si deve ritenere che esso trovi applicazione nei casi in cui, dopo il matrimonio nullo, tra i coniugi si sia instaurato un vero consorzio familiare e affettivo, con superamento implicito della causa originaria di invalidità. In tale ricostruzione interpretativa, il limite dell’ordine pubblico postula, pertanto, che non di mera coabitazione materiale sotto lo stesso tetto si sia trattato, – che nulla aggiungerebbe ad una situazione di mera apparenza del vincolo – bensì di una vera e propria convivenza significativa di un’instaurata affectio familiae, nel naturale rispetto dei diritti e degli obblighi reciproci – per l’appunto, come tra (veri) coniugi (art. 143 cod. civ.) – tale da dimostrare l’instaurazione di un matrimonio-rapporto duraturo e radicato, nonostante il vizio genetico del matrimonio-atto»146. Nonostante tutto il dibattito non si sia ancora 145 Cass. 20.1.2011, n. 1343, in Famiglia e dir., 2011, p. 235, con nota di CARBONE, Validità del “matrimonio rapporto” anche dopo la nullità religiosa del “matrimonio atto”; in Giur. it., 2011, p. 2015, con nota di PROSPERI, La vitalità del matrimonio-rapporto quale principio di ordine pubblico italiano, la maggiore disponibilità dell’ordinamento italiano nei confronti dell’ordinamento canonico e il principio di eguaglianza nell’ordinamento europeo; in Dir. famiglia, 2011, p. 1645, con nota di DALLA TORRE, La C.S.C., 20 gennaio 2011, n. 1343, nega la delibabilità di una sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale intervenuta dopo molti anni di convivenza e p. 718, con nota di CANONICO, La convivenza coniugale come preteso limite all’efficacia civile della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale e p. 711, con nota di DI MARZIO, A volte ritornano: La Cassazione ripropone la tesi che la sentenza che la sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale non può essere delibata dopo anni di convivenza dei coniugi in Rass. avv. Stato, 2011, p. 115, con nota di GUASCONI, Orientamenti giurisprudenziali in tema di efficacia delle sentenze ecclesiastiche: verso una maggiore pervasività del controllo operato dal giudice italiano, in Rass. dir. pubbl., 2011, p. 1293, con nota di D’ALESSIO, Limiti della delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio in caso di prosecuzione della convivenza coniugale. Sul punto v. anche PASQUALI CERIOLI, “Prolungata convivenza” oltre le nozze e mancata “delibazione” della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, in in Stato, Chiese pluralismo confessionale, in www.statoechiese.it, del 2.5.2011. 146 Cass. 15.6.2012, n. 9844; v. anche Cass. 8.2.2012, n. 1780, in Famiglia e dir., 2012, p. 1000 ss., con nota di IPPOLITI MARTINI, I limiti alla delibazione delle sentenze di nullità del matrimonio concordatario: la Cassazione distingue tra mera coabitazione e convivenza. 76 sopito, la stessa Prima Sezione della Cassazione, con sentenza coeva, ha davvero compiuto un “passo indietro” sminuendo il significato, invero piuttosto chiaro, della sentenza delle Sezioni Unite n. 19809 del 2008, la quale non approfondirebbe il tema della convivenza come causa ostativa alla delibazione, limitandosi a “sfiorarla” e confermando l’orientamento precedente affermato dalle Sezioni Unite con la risalente sentenza n. 4700 del 1988147. Si è così determinato, sulla delibabilità di sentenze ecclesiastiche di nullità che concernano fattispecie nelle quali si è realizzata una lunga convivenza tra i coniugi, un contrasto di giurisprudenza che le Sezioni Unite sono poi state chiamate a risolvere148. La decisione delle Sezioni Unite è stata adottata con due analoghe sentenze depositate il 17.7.2014, la n. 16379262 e la n. 16380149. Su entrambe le sentenze si dirà nel prosieguo della trattazione. Occorre osservare, per completezza argomentativa che nel periodo successivo alla summenzionata pronuncia delle Sezioni Unite n. 19809 del 2008, si sono susseguite voci dissonanti nella giurisprudenza di legittimità, che oscillavano tra una nozione forte e una debole del limite di ordine pubblico150. Sotto questo punto di vista occorre puntualizzare che la prima nozione è stata espressa dall'orientamento giurisprudenziale che tende a negare gli effetti civili alle sentenze ecclesiastiche in presenza di una realizzata comunione di vita tra i coniugi, che ridurrebbe all'irrilevanza il vizio genetico della volontà posto a base della dichiarazione di nullità. 147 Cass. 4.6.2012, n. 8926, in Guida dir., 2012, n. 26, p. 45, con nota di FIORINI, Il mancato rispetto dei precedenti a sezioni unite indebolisce la funzione nomofilattica della Corte; in Corriere giur., 2012, p. 1040, con nota di CARBONE, Ombre e luci della giurisprudenza sui rapporti tra giurisdizione ecclesiastica e quella italiana in ordine alla rilevanza del matrimonio- rapporto; in Dir. famiglia, 2012, I, p. 1556, con nota di CANONICO, Convivenza coniugale ed efficacia civile della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale: il cerchio finalmente si chiude, sul punto v. anche ID., Convivenza coniugale e nullità matrimoniali canoniche: la Cassazione trona sui propri passi, in Stato, Chiese pluralismo confessionale, in www.statoechiese.it, del 25.6.2012. 148 La questione è stata posta dalle ordinanze Cass. 14.1.2013, n. 712 e Cass. 22.2.2013, n. 4647. Su tali ordinanze cfr. MARCHEI, Le Sezioni Unite riscrivono, sotto il profilo sostanziale e sotto il profilo processuale, la «delibazione» delle sentenze ecclesiastiche, in Quaderni eccl., 2014/3, p. 775 ss. 149 Più di recente si segnalano nella stessa prospettiva, Cass. 9.2.2015, n. 2398 e Cass. 17.4.2015, n. 7917. 150 Cfr. MARCHEI N., La giurisdizione dello Stato sul matrimonio concordatario tra legge e giudice, Giappichelli, 2013, Torino, pag. 82 e seg. 77 La seconda nozione summenzionata, invece, fa leva sulla “maggiore disponibilità” che l'ordinamento civile ha da sempre mostrato nei confronti dell'ordinamento canonico. La pronuncia del 2008 aveva infatti, da una parte, introdotto importanti elementi di novità, con la considerazione che non fosse delibabile una sentenza di nullità matrimoniale pronunciata per errore determinato da dolo su una qualità del coniuge. Si tratta di un aspetto di novità in quanto sino a quel momento non erano stati rilevati particolari problemi di delibabilità delle sentenze canoniche pronunciate per vizi o difetti del consenso per contrasto con l'ordine pubblico. D'altro canto, tuttavia, tale elemento innovativo ne racchiude in sé un altro già conosciuto. In altre parole, si fa ricorso ad un principio conosciuto da tempo, ovvero quello della “maggiore disponibilità” nei confronti delle sole sentenze ecclesiastiche, limitandosi a procedere ad una comparazione tra le due discipline sia canonistica che civilistica. 3.2. Le sentenze n° 16379/2014 e 16380/2014 delle Sezioni Unite della Cassazione. Le Sezioni Unite enunciano il principio secondo cui la convivenza come coniugi, protrattasi per almeno tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio concordatario regolarmente trascritto, connotando nell’essenziale l’istituto del matrimonio nell’ordinamento italiano, è costitutiva di una situazione giuridica disciplinata da norme costituzionali, convenzionali ed ordinarie, di ordine pubblico italiano e, pertanto, anche in applicazione dell’art. 7, 1° co., Cost. e del principio supremo di laicità dello Stato, è ostativa alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, per qualsiasi vizio genetico del matrimonio accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico nell’“ordine canonico” nonostante la sussistenza di detta convivenza coniugale. Le Sezioni Unite precisano inoltre i corollari processuali di detto principio: Ø la convivenza come coniugi, come situazione giuridica di ordine pubblico ostativa alla delibazione, deve qualificarsi come eccezione in senso stretto 80 dopo aver sottolineato l’accento che il Patto internazionale sui diritti civili e politici (art. 23, par. 4) e il Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 5, primo periodo) pongono sulla parità di diritti e di responsabilità dei coniugi “durante il matrimonio” e al “momento del suo scioglimento”, le Sezioni Unite evidenziano che «la nostra Costituzione distingue nitidamente il “matrimonio-atto” – cui senza dubbio si riferisce l’art. 29, comma 1, laddove stabilisce che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia “fondata sul matrimonio” – dal “matrimonio-rapporto”, cui certamente si riferiscono sia lo stesso l’art. 29, comma 1, laddove definisce la famiglia con l’espressione fortemente evocativa “società naturale”, sia il secondo comma dello stesso art. 29, laddove “Il matrimonio, ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi” evoca chiaramente lo svolgimento del rapporto e della vita matrimoniale, sia infine l’art. 30, comma 1, nella parte in cui fissa le principali responsabilità genitoriali nei confronti dei figli, e 31, comma 1, laddove stabilisce che “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi». Non solo. «La stessa distinzione», affermano le Sezioni Unite, «emerge in modo chiarissimo anche da molteplici disposizioni del Codice civile e di leggi ordinarie, fra le quali è centrale l’art. 143 cod. civ. (nel testo sostituito dalla L. 19 maggio 1975, art. 24, sulla riforma del diritto di famiglia), che, nel primo comma (“Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri”), si riferisce certamente al “matrimonio-atto” come “fonte” di eguali diritti e doveri dei coniugi, mentre, nel secondo (“Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione”) e nel terzo comma (“Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”), il riferimento è sicuramente al “matrimonio-rapporto”, cioè allo svolgimento del rapporto coniugale e della “vita familiare” (art. 144 cod. civ.) in tutte le sue dimensioni, morali e materiali, rilevanti sul piano giuridico. Ciò, senza dimenticare i “doveri verso i figli” imposti ad entrambi i coniugi dall’art. 147 cod. civ., (nel testo 81 sostituito dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, art. 3), secondo cui “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare ed assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’art. 315-bis inserito dalla l. 10 dicembre 2012, n. 219 art. 1, comma 8”. Dove, ancora una volta, il riferimento è sicuramente al “matrimonio-rapporto”, allorquando sia caratterizzato dalla generazione di figli e dalle relative responsabilità genitoriali»152. Secondo le Sezioni Unite «il “matrimonio-rapporto”, il quale ha certamente origine nel “matrimonio-atto”, può ritenersi un’espressione sintetica comprensiva di molteplici aspetti e dimensioni dello svolgimento della vita matrimoniale e familiare – che si traducono, sul piano rilevante per il diritto, in diritti, doveri, responsabilità, caratterizzandosi così, secondo il paradigma dell’art. 2 Cost., come il “contenitore”, per così dire, di una pluralità di “diritti inviolabili”, di “doveri inderogabili”, di “responsabilità”, di aspettative legittime e di legittimi affidamenti dei componenti della famiglia, sia come individui sia nelle relazioni reciprochi». In questo quadro – arricchito anche dagli elementi che emergono dalle significative convergenze della giurisprudenza della Corte costituzionale153, della Corte europea dei diritti dell’uomo154 e della Corte di giustizia dell’Unione europea155, – la “convivenza” dei coniugi o “come coniugi” – «ossia quella consuetudine di vita comune, il “vivere insieme” stabilmente e con continuità nel corso del tempo o per un tempo significativo tale da costituire “legami familiari” – integra un aspetto essenziale e costitutivo del “matrimonio-rapporto” 152 Cfr. CASUSCELLI G., Delibazione e ordine pubblico: le violazioni dell’Accordo “che apporta modificazioni al Concordato lateranense”, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, cit., n. 28 del 2014; COLAIANNI N., Delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale: la (limitata) ostatività della convivenza coniugale, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, cit., n. 26 del 2014; PASQUALI CERIOLI J., Ordine pubblico e sovranità della Repubblica nel proprio ordine (matrimoniale): le Sezioni unite e la convivenza coniugale triennale come limite alla “delibazione” delle sentenze ecclesiastiche di nullità, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, cit., n. 27 del 2014; QUADRI E., Il nuovo intervento delle sezioni unite in tema di convivenza coniugale e delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale, in Nuova giurisprudenza civile, 2015, II, pp. 47-60. 153 Corte Costituzionale sent. n. 28 del 1995, n. 203 del 1997, n. 376 del 2000, n. 202 del 2013. 154 Corte europea dei diritti dell’uomo sent. Grande Camera 7.11.2013, Vallianatos ed altri c. Grecia, Grande Camera 29.1.2013, Lombardo c. Italia, Grande Camera 3.11.2011, S. H. ed altri c. Austria, Grande Camera 24.6.2010, Schalk e Kopf c. Austria, 27.4.2010, Moretti e Benedetti c. Italia. 155 Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione 15.11.2011, causa C-256/11. 82 caratterizzandosi al pari di questo, secondo il paradigma dell’art. 2 Cost., come manifestazione di una pluralità di “diritti inviolabili”, di “doveri inderogabili”, di “responsabilità” anche genitoriali in presenza di figli, di “aspettative legittime” e di “legittimi affidamenti” degli stessi coniugi e dei figli, sia come singoli sia nelle reciproche relazioni familiari». La “convivenza come coniugi” quindi connota nell’essenziale, al pari di altri aspetti o dimensioni del “matrimonio-rapporto”, lo stesso istituto matrimoniale delineato dalla Costituzione e dalle leggi che lo disciplinano ed è, pertanto, costitutiva di una situazione giuridica che, in quanto regolata da disposizioni costituzionali, convenzionali ed ordinarie, è perciò tutelata da norme di “ordine pubblico italiano”. Sotto questo angolo prospettico occorre puntualizzare che per esser tale la “convivenza come coniugi”, è necessario che essa risponda a due requisiti: a) essere «esteriormente riconoscibile attraverso fatti e comportamenti che vi corrispondano in modo non equivoco e, perciò, essere anche dimostrabile in giudizio, da parte dell’interessato, mediante idonei mezzi di prova, ivi comprese le presunzioni semplici assistite dai noti requisiti di cui all’art. 2729 cod. civ., comma 1»; b) essere «stabile». Quest’ultima qualità richiede che si individui «la ragionevole durata della convivenza coniugale, decorrente dalla data di celebrazione del matrimonio, idonea a far legittimamente presumere la raggiunta stabilità del rapporto matrimoniale»: tale durata può essere determinata in tre anni, alla luce di quanto dispone il vigente testo della l. n. 184/1983, art. 6, 1° e 4° co. e delle affermazioni della Corte costituzionale nella sentenza n. 310 del 1989156. 156 In proposito le Sezioni Unite osservano che «la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità, in riferimento all’art. 2 Cost., di tale disposizione originaria (“L’adozione è permessa ai coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni tra i quali non sussista separazione personale neppure di fatto e che siano idonei ad educare, istruire ed in grado di mantenere i minori che intendono adottare”) – nella parte (rimasta sostanzialmente immutata, dopo la riforma disposta con la legge 28 marzo 2001, n. 149) in cui dispone(va) che, ai fini dell’idoneità ad adottare, i coniugi aspiranti siano uniti in matrimonio da almeno tre anni, in un caso in cui tali coniugi vantavano una convivenza prematrimoniale di dieci anni, con la sentenza n. 281 del 1994, nel dichiarare non fondata tale questione, ha affermato, tra l’altro, che la norma censurata “è coerente col principio, riconosciuto da questa Corte (sentenze n. 89/1993; n. 310/1989; n. 404/1988; nn. 198 e 237 del 1986; n. 11/1981; n. 45/1980), secondo cui l’istituto dell’adozione è finalizzato alla tutela prevalente dell’interesse del minore. Tale principio comporta, fra l’altro, che, ai fini della complessa opera di selezione dei soggetti idonei a svolgere il delicatissimo compito di educare ed accogliere un bambino abbandonato, costituisce criterio fondamentale quello che la 85 In ragione della complessità della fattispecie “convivenza come coniugi” e della ricchezza di elementi che vanno a determinarne il concetto, le Sezioni Unite hanno escluso che la capacità ostativa alla delibazione della delineata fattispecie possa essere rilevabile d’ufficio, affermando il seguente ulteriore principio di diritto: «La convivenza “come coniugi” – intesa nei sensi di cui al su enunciato principio di diritto –, come situazione giuridica di ordine pubblico ostativa alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, ed in quanto connotata da una “complessità fattuale” strettamente connessa all’esercizio di diritti, all’adempimento di doveri ed all’assunzione di responsabilità personalissimi di ciascuno dei coniugi, deve qualificarsi siccome eccezione in senso stretto (exceptio iuris) opponibile da un coniuge alla domanda di delibazione proposta dall’altro coniuge e, pertanto, non può essere eccepita dal pubblico ministero interveniente nel giudizio di delibazione né rilevata d’ufficio dal giudice della delibazione o dal giudice di legittimità – dinanzi al quale, peraltro, non può neppure essere dedotta per la prima volta, potendo invece essere eccepita esclusivamente, a pena di decadenza nella comparsa di risposta, dal coniuge convenuto in tale giudizio interessato a farla valere, il quale ha inoltre l’onere sia di allegare fatti e comportamenti dei coniugi specifici e rilevanti, idonei ad integrare detta situazione giuridica d’ordine pubblico, sia di dimostrarne la sussistenza in caso di contestazione mediante la deduzione di pertinenti mezzi di prova anche presuntiva. Ne consegue che il giudice della delibazione può disporre una apposita istruzione probatoria, tenendo conto sia della complessità dei relativi accertamenti in fatto, sia del coinvolgimento di diritti, doveri e responsabilità personalissimi dei coniugi, sia del dovere di osservare in ogni caso il divieto di “riesame del merito” della sentenza canonica, espressamente imposto al giudice della delibazione dal punto 4, lett. b), n. 3, del Protocollo addizionale all’Accordo, fermo restando comunque il controllo del giudice di legittimità secondo le speciali disposizioni dell’Accordo e del Protocollo addizionale, i disciplina civilistica del matrimonio, ma nella sostituzione del matrimonio con negozi giuridici aventi effetti in parte analoghi, ma finalità molto diverse. Il matrimonio civile in sostanza si sta dissolvendo ed il suo posto viene preso da patti di solidarietà aperti ad una pluralità di fattispecie concrete. Se si preferisce, il matrimonio civile diviene una fattispecie, tra le tante, della più ampia e generale categoria dei cosiddetti “patti di solidarietà”». 86 normali parametri previsti dal codice di procedura civile ed i principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in materia». Sulla scorta di quanto riferito in precedenza si può osservare un dato significativo. Non può sfuggire, infatti, ad un osservatore attento che l’aver negato la rilevabilità d’ufficio dell’ostatività della “convivenza” alla delibabilità delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale, finisca per riproporre, in buona sostanza, quanto le stesse Sezioni Unite avevano affermato in ordine alla ostatività della c.d. simulazione unilaterale del consenso, dando valore all’affidamento incolpevole e, quindi alla conoscenza o conoscibilità della simulazione da parte del coniuge non simulante. Non a caso si ricordi che spettava a quest’ultimo di “accettare” la delibazione, non opponendosi o addirittura presentando domanda congiunta di exequatur, o di reclamare il limite dell’ordine pubblico ostativo alla delibazione. Un segnale di “continuità”158 nella “discontinuità”, che dimostra l’acquisita consapevolezza, pur se non apertamente espressa, del fatto che la revisione concordataria affida, in ultima analisi, alla volontà dei coniugi la positiva rilevanza nell’ordinamento giuridico italiano della nullità del loro matrimonio, contratto a norma del diritto canonico, che sia dichiarata dai tribunali ecclesiastici. In effetti a ben vedere la novità vera dei nuovi Accordi è questa, ovvero che il riconoscimento del rilievo del matrimonio contratto a norma del diritto canonico non è conseguenza di una rilevanza del diritto della Chiesa nella sfera della disciplina di una materia mista, bensì del riconoscimento che “quel matrimonio” è 158 Osserva sul punto COLAIANNI N., Delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale: la (limitata) ostatività della convivenza coniugale, in Stato, Chiese pluralismo confessionale, in www.statoechiese.it, n. 26 del 24.7.2014, p. 19: analoga la motivazione della rinunziabilità dell’exceptio iuris relativa alla convivenza coniugale: si tratta di un diritto potestativo della parte, anche se l’effettiva convivenza risultasse ictu oculi il giudice e il pubblico ministero interveniente devono girare lo sguardo altrove perché prevale la concorde e consapevole volontà delle parti. Le norme di ordine pubblico diventano così derogabili ad libitum della parte, che si arbitra di mantenere in vita o non un vincolo invalido a seconda del suo, mutevole e imprevedibile, interesse personale (magari soddisfatto da una somma di danaro superiore al massimo garantito dall’art. 129 cod. civ.). Questo effetto gravissimo è conseguenza della riduzione dell’ordine pubblico da quaestio iuris a quaestio facti, laddove il concetto stesso di ordine pubblico ha carattere indubbiamente pubblicistico in considerazione della sua “vis imperativa” e “indisponibilità per le parti”, e le relative questioni sono assimilabili a quelle “di diritto”, anziché “di fatto”, sicché il controllo del giudice dovrebbe estendersi d’ufficio all’accertamento sia dell’esistenza sia della portata dell’eventuale contrasto della sentenza delibanda con l’ordine pubblico. In sostanza l’efficacia civile della sentenza di nullità non è senz’altro ostacolata dalla convivenza ultratriennale. Non è più senz’altro delibabile, lo è solo potenzialmente. 87 un atto di esercizio del diritto di libertà religiosa del cittadino costituzionalmente tutelato159. 3.3. I provvedimenti economici a favore del coniuge «debole». Una supplenza giurisprudenziale alla latitanza del legislatore. L’intervento delle Sezioni Unite sul valore ostativo alla delibazione di una “realizzata comunità di vita” stabile tra i coniugi riduce effettivamente e notevolmente il disagio che la giurisprudenza – fin dalle sentenze nn. 4700, 4701, 4702 e 4703 del 1988 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione – aveva provato di fronte al fatto che la procedura di exequatur non consentisse un’efficace tutela del coniuge economicamente «più debole»160. Non si può, infatti, negare che una sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, per il fatto di intervenire a distanza anche di notevole tempo dalla celebrazione delle nozze, quando si sono consolidate situazioni anche di comunione di vita, esalta, in certo qual modo, l’insufficienza della tutela che l’attuale normativa codicistica assicura al coniuge economicamente «più debole» a seguito di una pronuncia di nullità del matrimonio rispetto a quella più ampia che allo stesso è garantita a seguito di una pronuncia di scioglimento del vincolo. E questo è un problema che resta, anche se in misura meno evidente, pur dopo il richiamato intervento delle Sezioni Unite. Tuttavia intervenire direttamente in materia è senza ombra di dubbio compito precipuo del legislatore, il quale con opportuni strumenti legislativi potrà assimilare, «nei limiti del possibile e tenuto conto della diversità delle situazioni, 159 cfr. MARINO C., La delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale nel sistema italiano di diritto internazionale privato e processuale, Milano, 2005, 138-152; e soprattutto IANNACCONE L., Matrimonio canonico con effetti civili, in Codice della famiglia, II, a cura di M. SESTA, Milano, 2007, 3781-3790. 160 Sul problema degli effetti economici della dichiarazione di nullità di un matrimonio canonico cfr. SANDRI, I procedimenti volti ad ottenere il riconoscimento civile delle sentenze canoniche di nullità. III. Gli effetti economici, in Quaderni. eccl., 2004, 1, p. 69 ss. 90 infatti, dopo aver precisato che le ordinanze di rimessione chiedevano la pronuncia di «una sentenza additiva che – in caso di dichiarazione di nullità del matrimonio concordatario, da cui sia nata una consolidata comunione di vita – ne sottraesse gli effetti patrimoniali alla disciplina del matrimonio putativo, che non tutelerebbe sufficientemente il coniuge privo di redditi adeguati, e perciò lederebbe i principi costituzionali di eguaglianza e di laicità dello Stato, e li assoggettasse ad una disciplina diversa, ad essi conforme», rilevava che «i rimettenti non sottoponevano al sindacato di costituzionalità la disciplina generale degli effetti che nel diritto interno conseguono alla nullità del matrimonio civile, sotto il profilo della sua applicabilità al matrimonio concordatario dichiarato nullo dalla giurisdizione canonica con sentenza esecutiva nello Stato; in particolare, non chiedevano alla Corte di verificare se ed in quale grado siffatta disciplina tutelasse le situazioni caratterizzate dall’esistenza fra i coniugi di una consolidata comunione di vita, la cui dissoluzione arrecasse pregiudizio al soggetto economicamente più debole». Il giudice delle leggi poneva in rilievo che «secondo i rimettenti, la disciplina contenuta (negli artt. 129 e 129-bis cod. civ.), ed in particolare la ridotta tutela accordata agli interessi patrimoniali del coniuge sprovvisto di redditi adeguati – limitata nel tempo e sottoposta alla condizione che egli versi in buona fede, ossia non abbia dato causa alla nullità – troverebbe giustificazione nell’ordinamento italiano, nel quale la nullità del matrimonio deve essere fatta valere in termini di decadenza tanto brevi da escludere l’instaurazione di una vera e propria convivenza o da consentirne solo una di scarso rilievo, dalla cui fine non potrebbero derivare nocumenti economici rilevanti al coniuge meno provvisto; ma sarebbe, al contrario, del tutto incongrua rispetto alla dichiarazione di nullità del matrimonio concordatario, che può essere pronunciata, secondo l’ordinamento canonico, a notevole distanza di tempo dalla celebrazione, anche dopo l’instaurazione fra i coniugi del consortium totius vitae e la nascita di figli. In tali casi, ad avviso dei rimettenti, la disciplina patrimoniale del matrimonio putativo (in particolare quella contenuta nell’art. 129 cod. civ.) non sarebbe idonea, per i suoi presupposti e per i suoi contenuti, a tutelare convenientemente il coniuge matrimoniale dopo l’Istruzione “Dignitas connubii”, Parte prima: i principi, a cura di P.A. BONNET e C. GULLO, Città del Vaticano, 2007, 287 ss. 91 privo di redditi adeguati; e questa inadeguatezza sarebbe dimostrata dal raffronto con la disciplina apprestata dalla legge sul divorzio, n. 898 del 1970, che all’art. 5 prevede la corresponsione al coniuge economicamente più debole di contribuzioni periodiche senza limiti di tempo, idonee ad assicurargli un tenore di vita corrispondente a quello goduto durante il matrimonio. Essendo questa la sostanza della richiesta formulata nelle ordinanze di rimessione, la Corte costituzionale ritenne non fondata l’eccezione di illegittimità costituzionale. Ciò per il duplice effetto che conseguirebbe all’accoglimento della richiesta dei rimettenti: ritagliare, da un lato, «nel più ampio quadro degli aspetti patrimoniali delle vicende relative alla patologia del matrimonio, una disciplina comune alla nullità del matrimonio concordatario ed al divorzio»; assoggettare, dall’altro, «la nullità del matrimonio concordatario ad una disciplina avente contenuti differenti rispetto a quella della nullità del matrimonio civile». Tuttavia, afferma il giudice delle leggi, non può dimenticarsi l’esistenza di elementi di diversità sostanziali tra la fattispecie della nullità e quella del divorzio, fondandosi l’una sulla constatazione giudiziale di un difetto originario dell’atto, l’altra sulla impossibilità di mantenere o ricostituire la comunione spirituale e materiale tra i coniugi: siffatta diversità strutturale tra le due fattispecie varrebbe «di per sé ad escludere la violazione dell’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della disparità di trattamento, in quanto, a cagione di essa, non è costituzionalmente necessario che le situazioni di declaratoria della nullità canonica alle quali fanno riferimento i rimettenti debbano ricevere lo stesso trattamento che l’ordinamento assegna alla disciplina delle conseguenze patrimoniali della cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario (o dello scioglimento del matrimonio civile). Ne consegue che, tanto nell’ipotesi della nullità, quanto in quella del divorzio, è possibile che dal matrimonio sia derivata l’instaurazione fra i coniugi di una consolidata comunione di vita167. Ma spetta solo al legislatore – nell’esercizio della sua discrezionalità, e salvo il sindacato di costituzionalità – il potere di 167 Cfr. CAMASSA E., Divorzio, nullità canonica ed effetti economici: una soluzione de iure condendo?, in G. DALLA TORRE (a cura di), Annali 2002-2004, LUMSA, Giappichelli, Torino, 2005, p. 201 ss., ove si sottolinea la “totale inerzia” del legislatore nell’attuazione della normativa concordataria in materia matrimoniale, che ha così lasciato spazio assoluto al ruolo di supplenza della giurisprudenza; DALLA TORRE G., “Specificità dell’ordinamento canonico”, op. cit., p. 9 ss. 92 modificare il sistema vigente nella prospettiva di un accostamento tra la disciplina della nullità del matrimonio concordatario e quella della cessazione degli effetti civili conseguenti alla sua trascrizione, per effetto di divorzio. Peraltro, assoggettare, come richiederebbero i ricorrenti, la nullità del matrimonio concordatario ad una disciplina avente contenuti differenti rispetto a quella della nullità del matrimonio civile, determinerebbe essa stessa un’ingiustificata disparità di trattamento, circa gli effetti patrimoniali, della nullità del matrimonio concordatario rispetto alla nullità del matrimonio civile. La Corte costituzionale, quindi, rinviò, ancora una volta, la questione al legislatore, al quale solo spetterebbe, nella sua discrezionalità, differenziare eventualmente il regime degli effetti personali e patrimoniali della nullità del matrimonio concordatario rispetto a quello del matrimonio civile168. Senza un simile intervento dovrebbe restare irrilevante la pur innegabile inadeguatezza della tutela di cui all’art. 129-bis cod. civ. nella fattispecie delle nullità matrimoniali dichiarate dai tribunali ecclesiastici169 – così diversa essendo, in ragione della limitatissima durata del 168 Sull’applicabilità degli artt. 129 e 129-bis cod. civ. alla nullità del matrimonio canonico cfrt. Cass. 13.7.1992, n. 8477 (in Quaderni. eccl., 1993/3, p. 848), 25.7.1992, n. 8982 (ibidem, p. 850), 13.1.1993, n. 348 (ibidem, p. 852) e 27.4.1993, n. 4953 (ivi, 1994/3, p. 778 ss.). Sul dibattito giurisprudenziale circa il fatto se occorra o meno un’apposita istruttoria per l’accertamento dell’imputabilità al coniuge in malafede della nullità del matrimonio e, quindi, anche del diritto del coniuge in buona fede ad ottenere l’indennità cfr. GIOVETTI, Tutela dell’affidamento e poteri istruttori della Corte d’appello nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Dir. eccl., 1992, II, p. 36 ss. V. più recentemente Cass. 1.2.2008, n. 2467 (inedita), la quale afferma che: «In sede di delibazione della sentenza di nullità matrimoniale emessa dal giudice ecclesiastico per esclusione del vincolo dell’indissolubilità ex parte viri, il giudice italiano è vincolato ai fatti accertati in quella pronuncia, non essendogli concesso né un riesame del merito né il rinnovo dell’istruttoria con acquisizione di nuovi materiali probatori; tuttavia, essendo diversa la natura dei due giudizi – quello ecclesiastico teso ad accertare la voluntas simulandi di un coniuge e quello italiano incentrato sulla necessità di verificare il profilo di conoscenza o conoscibilità di tale riserva unilaterale – al giudice italiano non è precluso di provvedere ad un’autonoma e diversa valutazione del medesimo materiale probatorio secondo le regole del processo civile, eventualmente disattendendo gli obiettivi elementi di conoscenza documentati negli atti del giudizio ecclesiastico» (nello stesso senso Cass. 30.3.2012, n. 5175, inedita, nonché Cass. 22.8.2011, n. 17465, in Famiglia e dir., 2012, p. 158 ss., con nota di MAGLI, I limiti all’efficacia in Italia della sentenza di nullità del matrimonio concordatario ed i suoi riflessi sull’ordinamento italiano. 169 Ne può dare un’efficace idea Cass. 24.8.1990, n. 8703, in Quaderni. eccl., 1991-92/1, p. 377 ss., secondo la quale il requisito della buona fede indispensabile per l’applicazione dell’art. 129 bis cod. civ. (e da presumersi esistente fino a prova contraria) «si identifica nella incolpevole ignoranza della specifica circostanza per la quale, nella concreta vicenda, è stata pronunciata la nullità»: sicché quando la nullità del matrimonio sia stata dichiarata dal tribunale ecclesiastico per l’esclusione unilaterale di uno dei tria bona matrimonii (ad es. il bonum sacramenti), «la dimostrazione della conoscenza di detta riserva da parte dell’altro coniuge implica di per sé il superamento della indicata presunzione, a prescindere da ogni questione sull’esattezza dell’identificazione della riserva medesima di quella esclusione del bonum sacramenti». 95 «la delibabilità della sentenza dei Tribunali ecclesiastici che abbia dichiarato la nullità del matrimonio concordatario». Ciò, tuttavia, non esclude che, rispetto ai capi della sentenza di divorzio che contengano statuizioni di ordine economico, si applichi la regola generale secondo la quale, una volta accertata in un giudizio fra le parti la spettanza di un determinato diritto, con sentenza passata in giudicato, tale spettanza non può essere rimessa in discussione – al di fuori degli eccezionali e tassativi casi di revocazione previsti dall’art. 395 cod. proc. civ. - fra le stesse parti, in altro processo, in forza degli effetti sostanziali del giudicato stabiliti dall’art. 2909 cod. civ. Ad avviso della Corte, gli impegni assunti dallo Stato italiano con l’accordo del 18.2.1984, si sostanziano nel dichiarare efficaci «le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai Tribunali ecclesiastici, che siano munite del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo», facendo venir meno il vincolo matrimoniale in conformità di esse. Ma resta «rimessa alla competenza sostanziale dello Stato italiano la disciplina dei rapporti patrimoniali fra i coniugi derivanti dai conseguiti effetti civili dei matrimoni concordatari», sicché «nessun principio concordatario, a proposito della sopravvenienza – rispetto alla attribuzione con sentenza passata in giudicato di un assegno di divorzio – della delibazione di una sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio», sembra ostare «alla piena operatività dell’art. 2909 cod. civ., in forza del quale, una volta accertata in un giudizio fra le parti la spettanza di un determinato diritto, con sentenza passata in giudicato, tale spettanza non può essere rimessa in discussione – al di fuori degli eccezionali e tassativi casi di revocazione previsti dall’art. 395 cod. proc. civ. – fra le stesse parti. Conseguentemente, una volta accertato nel giudizio con il quale sia stata chiesta la cessazione degli effetti civili di un matrimonio concordatario, la spettanza a una parte di un assegno di divorzio, ove su tale statuizione si sia formato il giudicato ai sensi dell’art. 324 cod. proc. civ., questo resta intangibile, in forza dell’art. 2909 cod. civ.». Né vi osterebbe la tesi secondo la quale in caso di delibazione della sentenza ecclesiastica le conseguenze economiche dell’annullamento sarebbero disciplinate dagli artt. 129 e 129-bis cod. civ., in quanto tali disposizioni dettano «una normativa che, in caso di passaggio in giudicato di una sentenza di divorzio 96 prima della delibazione della sentenza ecclesiastica, ai fini della sua applicabilità ne implica il coordinamento con i principi che regolano il giudicato»175. I ricordati interventi della Corte di cassazione e soprattutto i principi fissati dalle Sezioni Unite della stessa Corte in tema di ostatività alla delibazione di una realizzata comunità di vita tra i coniugi che abbiano contrato un matrimonio canonico civilmente riconosciuto, hanno sensibilmente ridotto il livello di squilibrio nella tutela del coniuge economicamente debole che poteva registrarsi nella situazione di una dichiarazione di nullità pronunciata dai tribunali ecclesiastici a distanza di molti anni dalle nozze. Nella disattenzione del legislatore per i diritti della persona, che non possono non definirsi ad alta sensibilità sociale, la giurisprudenza ha avuto il merito indiscutibile di costruire, nel corso degli anni, un sempre più forte sistema di tutela, impedendo un utilizzo strumentale delle sentenze di nullità pronunciate da tribunali ecclesiastici da parte di chi volesse servirsene per sfuggire ai propri obblighi di sostentamento del coniuge: tutto ciò ha decisamente concorso a riportare il ricorso al giudice ecclesiastico per far dichiarare la nullità del matrimonio alla sua pura sostanza di scelta religiosa che non ammette altri 175 La posizione assunta dalla Suprema Corte ha trovato risposte contraddittorie nella giurisprudenza di merito. Cfr. in proposito, App. Milano, 16.11.2001, in Famiglia e dir., 2003, p. 49 ss., con nota di P. SCHLESINGER, Concorso tra più procedure relative a matrimoni concordatari, ivi, p. 82 ss., per la quale «il passaggio in giudicato di una sentenza di cessazione degli effetti civili di un matrimonio concordatario non preclude la successiva delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa di nullità di quel medesimo matrimonio, pur restando fermi i provvedimenti patrimoniali assunti con la sentenza di divorzio»; e App. Bari, 27.2.2001, in Gius, 2002, p. 563 ss., per la quale «la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario recepita nell’ordinamento italiano è idonea a travolgere la pronuncia di separazione personale dei coniugi ed i provvedimenti accessori di natura economica riguardanti il coniuge. Restano, invece, ferme le attribuzioni patrimoniali già realizzatesi ed i crediti già maturati a favore del coniuge nonché i provvedimenti a favore dei figli». Sul problema del rapporto tra delibazione della sentenza ecclesiastica e sentenza di divorzio, in particolare relativamente alla rilevanza dell’assegno di divorzio, cfr. DE LUCA, Cessazione degli effetti civili e successiva delibazione di sentenza canonica relativa alla invalidità dello stesso matrimonio, in Dir. eccl., 2001, I, p. 1203 ss.; DE MICHELI, Assegno di divorzio, sopravvenuta delibazione della sentenza canonica di nullità ed esigenze di riforma della legge matrimoniale concordataria, in Dir. eccl., 2002, II, p. 16 ss.; FINOCCHIARO, Sentenza di divorzio, delibazione della pronuncia ecclesiastica di nullità di quel matrimonio e [inesistenza di] giustificati motivi per la revisione delle disposizioni concernenti l’assegno periodico, in Giust. civ., 2001, I, p. 1482 ss.; FREZZA, Matrimonio concordatario nullo e assegno postmatrimoniale: una sentenza interlocutoria della consulta, in Famiglia e dir., 2002, I, p. 8 ss.; GRAZIANO, Giudicato di divorzio, assegno divorziale e delibazione di sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, in Famiglia e dir., 2001, p. 596 ss.; INGOGLIA, Ancora sul rapporto tra sentenza ecclesiastica di nullità e giudicato civile di divorzio, in Dir. eccl., 2001, II, p. 92 ss.; MARINO, Sul rapporto tra il giudicato di divorzio e la delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale, in Corriere giur., 2002, p. 1202 ss. 97 percorsi per prendere atto, in aderenza ai propri principi di fede, di quel che civilisticamente si usa definire “fallimento” dell’unione coniugale. È facile accorgersi che per vie inaspettate risulta confermata la sostanza della riforma pattizia della disciplina del matrimonio religioso con effetti civili, assumendo a criterio guida la tutela dell’esercizio della libertà matrimoniale in forme religiosamente qualificate, della possibilità cioè per i cives che siano anche fideles di potersi costituire coniugi sub specie iuris civilis mediante un atto concreto di esercizio del diritto di libertà religiosa consistente nel «celebrare» (o nel «contrarre») matrimonio secondo (i riti e/o) le norme della propria «legge confessionale». In conclusione occorre sottolineare un aspetto di significativa importanza che emerge alla luce dell’analisi sin qui condotta in ordine alle sentenze delle Sezioni Unite del 2014 e che è riconducibile al fatto che l’evoluzione giurisprudenziale, culminata nelle pronunce del 2014 emanate del massimo Consesso di legittimità è stata dovuta all’inerzia colpevole del legislatore, che sarebbe potuto intervenire con una semplice norma che parificasse gli effetti patrimoniali di una sentenza di nullità matrimoniale ad una di divorzio. In realtà l’intervento giurisprudenziale, resosi necessario da tale inerzia, ha prodotto l’effetto ulteriore e voluto di svuotare la normativa concordataria, indebolendo fortemente la sua funzione di garanzia degli accordi tra Stato e Chiesa. Nell’ambito di tale prospettiva ricostruttiva è bene precisare anche un ulteriore e recente aspetto che arricchisce di senso la presente disamina. Nell’ottica della riforma del processo matrimoniale promossa da Papa Francesco176, e ancor più in quella della sua esortazione postsinodale Amoris laetitia, si evince nell’ambito del processo canonico di nullità matrimoniale uno strumento di aiuto alle persone per la soluzione di gravi crisi interpersonali e per il chiarimento reciproco (“discernimento”) tra gli sposi della loro esperienza coniugale e di fede. In tale ottica non si può non rilevare che l’esito dell’evoluzione giurisprudenziale sopra evidenziata ha avuto in ambito canonico l’effetto di alleggerire la giurisdizione ecclesiastica in materia matrimoniale da alcune ambiguità e pressioni derivanti dai possibili effetti in sede civile della delibazione della sentenza ecclesiastica di 176 Cfr. FRANCESCO, Lett. ap. data motu proprio Mitis iudex Dominus Iesus, Roma, 15 agosto 2015.
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