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Logica Creazione Mercato: Sintesi Approccio Fenomenologico Capacità Imprenditoriali, Dispense di Sociologia Comunicativa Di Massa

Un contributo teorico per capire le regole di funzionamento dei mercati e riconoscere pratiche culturali nel gesto di consumo. L'autore esplora la necessità di una logica della creazione di mercato, che riguarda l'atteggiamento mentale, la dotazione concettuale, il processo generativo di idee e la forma mentis con cui i manager guardano ai mercati. I target, la competizione culturale e l'importanza di superare semplici dati oggettivi presenti nei prodotti per raggiungere una specificità competitiva.

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 04/05/2019

Launin
Launin 🇮🇹

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Scarica Logica Creazione Mercato: Sintesi Approccio Fenomenologico Capacità Imprenditoriali e più Dispense in PDF di Sociologia Comunicativa Di Massa solo su Docsity! 1 MAURIZIO STEFANO MANCUSO MARCELLO TONELLI La fenomenologia per il rilancio dei mercati Abstract Questo saggio si propone di illustrare il valore che la fenomenologia può avere per il ripensamento dei mercati, ed è questa la sua prima intenzione, di tipo metodologico e strategico-aziendalistico. Crediamo infatti che pensare fenomenologicamente costituisca un orientamento denso di potenzialità competitive e d’innovazione. La fenomenologia è infatti una pratica di pensiero, un atteggiamento mentale, un esercizio molto concreto, che può essere appreso e riprodotto dagli uomini e dalle donne d’azienda. Vogliamo però offrire anche un contributo teoretico poichè –a partire dallo sguardo fenomenologico- cercheremo di snidare alcune regole di funzionamento dei mercati, da un lato, e di riconoscere pratiche culturali implicitamente operanti nel gesto di consumo, dall’altro. Introduzione: oggetto e articolazione del saggio Le capacità di prontezza imprenditoriale non possono proprio fare a meno di strategie innovative efficaci. ‘Contro’ la visione neoclassica dell’imprenditore –ricondotta a una figura di agilità- anche oggi, pur in mercati così fluidi e globali, resta valido ciò che Schumpeter scriveva molto tempo fa sull’innovazione come principale motore dello sviluppo economico: “the effective entrepreneur needs to actively seek to create new consumer demand” (Schumpeter 1934). Nell’attuale contesto – segnato dai temi di fondo del sapere prospetticamente competitivo (Reich, 2010), della ‘consistenza immateriale’ della società odierna (Teece, 2003), dell’economia simbolica della marca (Aaker & Joachimsthaler 2009), della culturalizzazione dell’economia e dell’economia della conoscenza (Drucker, 1992)− la letteratura sul marketing e più in generale la letteratura manageriale hanno via via proposto nuove diagnosi, individuato trend, suggerito prospettive e nuove parole chiave, insomma non mancano certo i testi di riferimento. C’è chi ha decretato la fine del marketing se con esso intendiamo il condizionamento totale di un’azienda nella convinzione che tutto debba essere organizzato secondo la domanda (Fullerton, 1988). Da anni si parla di relationship marketing (Berry, 1995), del passaggio dal semplice servizio all’estrema personalizzazione della Mass Customization (Tseng & Jiao 2001); si è teorizzato l’Emotional Branding (Rossiter & Bellman 2012) e il Marketing Aesthetics (Schmitt & Simonson 1997). L’Experiential Marketing (Schmitt, 1999), ha offerto un grande contributo alla sensibilità degli uomini di marketing. Su un punto sono probabilmente d’accordo tutti gli analisti: la domanda è ormai strutturalmente debole, ma i consumatori vogliono essere sempre più sorpresi, scossi da nuove proposte, rimotivati da esperienze inattese di consumo, in cui esprimere una tensione 2 naturale alla sperimentazione, una crescente libertà espressiva e anche un impegno culturale implicito. Questa situazione implica inevitabilmente una revisione degli assetti mentali consolidati poiché, anche se non ce ne rendiamo conto, siamo sempre portatori e interpreti di uno schema conoscitivo, di concetti formatori dei nostri giudizi e di categorie con cui interpretiamo le cose. A noi sembra che il vasto corpus analitico-consulenziale, per quanto molto attento nell’esaminare le nuove forme di consumo, acuto nel prefigurare trend emergenti, suggestivo nel lanciare le nuove parole d’ordine, non sia diventato un sapere pratico e diffusamente operante, nonostante sia ricco di potenziali orientamenti, e fatti salvi naturalmente i casi eclatanti che hanno stimolato le nuove riflessioni. Sia chiaro, non è un demerito intrinseco di questa vasta letteratura, a meno che non si assegni la stessa responsabilità alla filosofia, che non è vivere per la saggezza; alla psicologia che non ci garantisce di eliminare le ansie e le ambivalenze della vita; o all’economia che non sa ancora risolvere la povertà nel mondo (anche se, almeno in quest’ultimo esempio, non può dirsi nemmeno del tutto innocente). Si ha l’impressione che i mercati si sviluppino spontaneamente, il che evidentemente non è vero, dato che sono sempre le innovazioni umane ad innescare quei processi che pur acquistano successivamente forza propria, assorbendo e convogliando i fattori molteplici che concorrono alla generazione di nuove realtà (Braudel, 1982,). Ma che il mondo cambi quasi a nostra insaputa, costringendo a rincorrere di fretta una realtà che l’ideologia dominante si trova di fronte suo malgrado è un tema notoriamente indagato dalla sociologia della conoscenza (Mannheim, 1936, Stark), e che riguarda la diffusione e la distribuzione della conoscenza, l’affermarsi di nuovi paradigmi, la compresenza − specialmente nei nostri tempi ‘postmoderni’- di prospettive molteplici e tra loro confliggenti. In ogni caso, il nostro punto di partenza è che i cambiamenti avvenuti – eclatanti in alcune punte espressive − non hanno ancora scalzato forme mentali ormai quasi naturali nell’uomo d’azienda, che compongono un paradigma di pensiero molto radicato e ancora operante in modo persistente. Ed è questo, a nostro parere, il tema che va preso di petto: come si pensano i mercati? L’oggetto di questo lavoro riguarda la possibilità di una logica della creazione di mercato, ovvero il tema dell’apparato conoscitivo più utile e adeguato per riformulare l’offerta: l’atteggiamento mentale, la dotazione concettuale, il processo generativo di idee a partire da una visione del mercato, dalla sua interpretazione e ricostruzione, sotto la guida di un programma conoscitivo rigoroso. Si tratta di un’istanza epistemologica, che riguarda lo statuto dell’approccio concettuale ai mercati ma anche – molto più concretamente − la forma mentis con cui i manager guardano ai mercati stessi e si sforzano di essere incisivi, di competere in scenari difficili, di produrre innovazione. Cominceremo dunque coll’indagare le forme mentali ancora perduranti nella progettazione dei mercati. Tratteggeremo la sfida essenziale della fenomenologia e la vedremo all’opera, con l’ausilio di qualche riferimento concreto. Ne ricaveremo infine qualche generalizzazione sulle regole di funzionamento dei mercati. L’interesse principale che ci guida è quello di una felice coniugazione tra le strategie di pensiero e le strategie dell’offerta. Quel che vale in teoria deve valere anche per la pratica. Dite a un ingegnere – si burlava già più di 200 anni fa Kant, il più importante filosofo della 5 vi è una evidente sclerosi di quell’immaginario generale ‘appiccicato’ ad ogni prodotto come una suggestione supplementare (la bellezza, il successo, l’eros…), per cui il consumo diventa soglia di un mondo utopico ma ormai smascherato. Le segmentazioni classiche tendono pertanto a standardizzare la competizione e mostrano un limite di validità specifica, cioè di applicabilità propria ai singoli mercati. Se infine consideriamo lo sguardo psicosociologico, il prodotto è ormai ampiamente ‘riconosciuto’, poiché si tratta di un sapere storicamente padroneggiato dalle principali aziende (e anche dalle stesse persone consumatrici, che percepiscono benissimo il valore ulteriore nell’acquisto di un prodotto): da solo non può più porsi, quindi, come uno strumento di differenziazione. I target vengono irrigiditi o auto-correlati (estremizzando, se consumi “x”, sei “y”). I fattori immateriali dicono perché un consumatore agisce in un determinato modo ma non come potrebbe rispondere, illustrano cioè solo le motivazioni di fatto operanti. La domanda che ricorre quando si lancia un nuovo prodotto è ancora frequentemente qual è il mercato corrispondente, quando è evidente che sono le nuove offerte ad essere funzione di nuove aggregazioni e sperimentazioni di consumo, insomma generano esse stesse il mercato. Da questo punto di vista, pertanto, le segmentazioni fondate sulle categorie psicosociali forniscono una prevalente restituzione degli stereotipi della domanda: una domanda ormai strutturalmente debole, ridondante nell’amplificazione dei messaggi che si sono ricevuti dalle aziende stesse, e infine artificiosamente costruita, perché il vero problema che riguarda le persone non è certamente quello di sollecitare nuovi prodotti, ma di selezionare un’offerta fin troppo ricca e simbolicamente inquinata. Lo sforzo di una nuova propositività al mercato non può quindi essere risolto da questo tipo di segmentazioni. Tutto ciò può essere illustrato con qualche esempio concreto. Prendiamo per esempio la cifra di sportività associata a molti prodotti. La parola ‘sportivo’ può designare una moto, un’auto, uno scooter (settori distinti ma associabili nel più ampio mercato dell’automotive) ma anche un tipo d’abbigliamento rispetto ad uno più formale, un paio di scarpe rispetto ad altre classiche, persino un cosmetico per adolescenti (c’è una marca italiana che usa esplicitamente questo riferimento) rispetto a marche più raffinate e costose per signore. È evidente allora che, nella sua generalità, la sportività di per sé non attesta lo specifico potenziale competitivo di un settore, ma soltanto il dato di fatto di un consumo segnato da tratti di disimpegno, freschezza, magari da una lieve trasgressività o, diversamente, da un elemento di semplicità. Da questo punto di vista, molti prodotti possono essere ‘sportivi’ e accomunati da un analogo sentimento di libertà che possiamo ulteriormente specificare a seconda dei casi: un prodotto sportivo anziché funzionale nel caso degli scooter, anziché classico nel vestiario, raffinato ed impegnativo nei cosmetici, e via dicendo. E quel che vale per la sportività vale per tante altre categorie concettuali impiegate nell’analisi del consumo: vale per il piacere (usato come sappiamo in moltissime proposte di prodotti); per la convivialità: tutti i consumi alimentari, dalla birra al gelato alla pizza, ma anche i viaggi, gli spettacoli, persino il mercato dell’auto; per la leggerezza (dallo yogurt ai wurstel, pensate un po’) per il prestigio e lo standing, la bellezza, l’eros, il successo e così via. Non si vuol negare che l’atto di consumo possa essere segnato da questi sentimenti e che una cifra di sportività, di piacere, prestigio, bellezza e via dicendo aleggi su molti prodotti, ma proprio per questo ogni azienda impegnata a competere in forme sempre nuove deve superare questi semplici dati di fatto (questi elementi oggettivi 6 presenti nello stile dei prodotti), deve perseguire una specificità competitiva (contro la generalità dispersiva di tutti gli attributi di consumo citati), deve superare il semplice alone psico-simbolico del consumo, che non permette più nuove e originali offerte ed anzi tende ad oscurare la distintività delle offerte al mercato. Sia chiaro, gli uomini d’azienda sono consapevoli di tutti questi limiti, e della persistente ideologia di un pensiero superato, ma alla fin fine sono queste le categorie che fanno continuamente capolino ed è onestamente difficile (e a volte rischioso) rendere operativo un altro modo di pensare. Senza necessariamente scomodare la fenomenologia, tutti sappiamo che ogni scienza -anche la ‘scienza’ del marketing, forse più creativa di altre- riguarda la ricostruzione di dati di fatto e di mondi oggettivi, è tesa all’elaborazione di leggi o più modestamente di regole di funzionamento generali, situa in un substrato di riferimento la sua argomentazione, ed è innegabile che questo sia consistito, se pensiamo alla storia della società dei consumi, in un fondamento sociale e in un alone psicosimbolico del gesto di consumo. E tuttavia oggi queste categorie si mostrano inadeguate per innovare. Come illustreremo, la nostra proposta è di ‘contrapporre’ l’immaginario all’oggettività, l’indagine eidetico-fenomenologica alla generalità, lo sguardo esistenziale alla psico- sociologia. Dobbiamo però, prima di tutto, tratteggiare la sfida fenomenologica nel suo progetto fondamentale. La fenomenologia: alle cose stesse! Condensare in poche parole l’articolazione della fenomenologia è un compito impegnativo perché essa non può essere concepita come una scuola unitaria ed anzi ha generato visioni molteplici ed anche conflittuali al suo interno. Si è costituita come stile di pensiero, come movimento ricco di ‘entrate’, tra loro apparentemente ambivalenti. Ha combattuto l’atteggiamento ingenuo e naturale della conoscenza, per cui la realtà viene data per scontata (il dogmatismo del senso comune, lo chiamava Merleau-Ponty), ma per recuperare l’esperienza autentica delle cose e dare finalmente uno statuto filosofico al mondo della vita. Si è proposta come “scienza rigorosa” –secondo un ideale più volte richiamato da Husserl, il fondatore della fenomenologia- ma in esplicito conflitto con il sistema delle scienze, che si occupano di “dati di fatto”, colti nel loro essere così, nella loro semplice “fatticità” (ingl. Factuality, ted. Tatsächichkeit). Prima ancora dei suoi esiti esistenzialistici, è stata la prospettiva più ingaggiata nella problematica del senso (umano, esperienziale, conoscitivo), ma affrontata con un apparato logico-concettuale complesso e denso di asperità terminologiche. Ha segnato più di ogni altra prospettiva la filosofia del secolo scorso, ma trovando i suoi interpreti principali là dove essa generava nuovi frutti e slittava in nuove intuizioni filosofiche (dal primo Heidegger all’esistenzialismo di Sartre e di Merleau-Ponty fino al decostruzionismo di Derrida), piuttosto che nei primi, più consapevoli e convinti propugnatori delle ricerche fenomenologiche. Più tecnicamente, la fenomenologia si è sempre (e per tutti) configurata come studio delle essenze, ovvero dei fenomeni puri che fanno di una cosa ‘quella’ cosa, perché indagata nei suoi elementi strutturali e riconosciuta nelle sue particolarità essenziali. Allo stesso tempo, 7 questa progettualità conoscitiva si è posta al servizio di una filosofia esistenziale, una filosofia “votata al mondo” (Merleau-Ponty), e per cui conoscere non è assumere un atteggiamento formalmente distaccato, ma è “esplodere verso” (Sartre). Ovvero riconoscere in primo luogo che il mondo ha destato un certo interesse, ci ha colpito in un senso o nell’altro. In secondo luogo sottoporre immediatamente l’oggetto conoscitivo alle proprie strategie, poiché la nostra interpretazione gli fornisce già di per sé una nuova configurazione. Grazie all’abbandono di tutte le spiegazioni scientifico-causali, della singolare e casuale datità dei vissuti psichici e delle “costruzioni campate in aria” (come si espresse Heidegger contro buona parte della tradizione filosofica), la fenomenologia si è proposta inoltre come un procedimento puramente descrittivo, che non deve catalogare, spiegare, ridurre a categorie già date e fornite dai diversi saperi. Allo stesso tempo, però, questa operazione con cui si sospende preliminarmente ogni giudizio (si tratta della famosa epochè fenomenologica) conduce ad una costituzione del mondo, alla progettazione della realtà e insomma alla ‘realizzazione’ della verità, intesa come punto d’approdo e non come fonte d’illuminazione. In altre parole la fenomenologia è stata insieme –e con una passione sconosciuta ad altre prospettive- una filosofia dell’esperienza (che parte dalla dimensione umana, dalla soggettività, dall’intenso coinvolgimento di chi “vive in tutta la sua serietà il destino di un’esistenza filosofica”, come si espresse Husserl) ma anche una filosofia della fondazione, intesa come l’ambito proprio e rigoroso della ricerca filosofica. Si è proposta come ripensamento radicale della filosofia –sbarazzandosi di una “serie di dualismi che impacciavano” la tradizione filosofica: interiore-esteriore, essere-apparire, potenza-atto (Sartre)- ma quasi confinando in una semplice metodologia di pensiero la sua sfera d’azione. Molti filosofi di professione hanno così testimoniato l’entusiasmo -altri, va riconosciuto, il disappunto- di fronte a un pensiero che ambiziosamente si è proposto in modo così rivoluzionario e insieme così ricco di echi antichi, come se un metodo lungamente percorso, ricercato o semplicemente vagheggiato si fosse finalmente strutturato in una consapevole strategia di pensiero. Come si vede, si ha quasi la sensazione -abituale quando si percorre un sapere nella sua profondità- che per capire la complessità della fenomenologia si debba già essere filosofi. Al contrario, ciò che ci proponiamo di dimostrare è proprio la praticabilità di questo ‘atteggiamento di pensiero’ da parte dei manager. Così come è avvenuto, del resto, per esponenti di altre discipline che hanno impiegato il metodo della fenomenologia: sociologi, critici letterari, epistemologi, psicologi e psichiatri, e così via. Per i nostri scopi -ossia valutare quanto la fenomenologia possa aiutare nella progettazione dei mercati- dobbiamo, forse semplificando, partire da un invito chiave, da un’espressione che condensa più di altre il progetto fenomenologico nella sua interezza. Alle cose stesse!, questo in estrema sintesi è il “motto” della fenomenologia (Heidegger). Cogliere le cose per quello che esse stesse ci dicono, per il modo in cui si manifestano (il greco phainomai, da cui ‘fenomeno’, vuol dire proprio questo: venire alla luce, manifestarsi), per la loro intrinseca donazione di senso che dobbiamo solo addestrarci a riconoscere. Questa radicale interrogazione del mondo, che ricomincia sempre da capo ma non ha bisogno di andare oltre il senso che il mondo stesso ci comunica, è ricco d’implicazioni potenziali, apre 10 alimentari, il denaro per le banche. Li abbiamo ricostruiti fenomenologicamente, ovvero nelle loro unità di significato (nei loro fenomeni eidetici), non nei vissuti associati al consumo di musica, di denaro e così via. Ogni mondo immaginario è al suo interno variegato e ci offre una ricca articolazione di fenomeni puri (o essenze, o figure simboliche, queste parole possono essere considerate come sinonimi): non c’è un solo modo di dare senso al movimento, alla musica, al denaro e via dicendo Allo stesso modo utilizzeremo le espressioni “mondo immaginario”, “idea”, “universo simbolico”, sostanzialmente come equivalenti. Questo patrimonio di senso è stata analizzato nelle sue molteplici fonti (letterarie, artistiche, filosofiche, disciplinari) e nelle officine culturali del nostro tempo (cinema, web, advertising e così via).. Questa competizione culturale si riflette nella competizione di mercato e si ritrova nell’esperienza delle persone. Riconoscere le molteplici figure del mondo immaginario permette quindi di visualizzare le potenzialità del mercato non ancora sfruttate, o sfruttate male, rinnovando l’ingaggio alle persone. In tal modo è stato possibile comporre una mappa potenziale di ogni mercato, con cui abbiamo riletto lo scenario competitivo indagato: prodotti, pubblicità, vissuto dei consumatori. La restituzione e la condivisione con i manager ha costituito la fine della fase analitica e l’avvio di quella progettuale. Operativamente, il primo risultato è consistito nell’offrire ai manager il linguaggio proprio e specifico con cui governare il proprio mercato. Di là delle regole generali del marketing, infatti, chi produce scooter deve possedere una conoscenza sull’immaginario del movimento, chi produce cibo confezionato deve a sua volta conoscere il mondo simbolico dell’alimentazione e della cucina, e così via. Il secondo passaggio è consistito nella diagnosi dell’industry e delle performance competitive dei molteplici players: quali prodotti hanno successo, e perchè? Quali spazi si aprono per l’innovazione? Qual è il modo più appropriato di incarnare i fenomeni puri in una specifica offerta? Alla fine di questo processo la validazione dei risultati teorici ha permesso il lancio di nuove offerte sul mercato (prodotti, servizi, distribuzione, pubblicità) e il monitoraggio di attività per verificare empiricamente le generalizzazioni teoriche. Costruire il possibile: innovare con la fenomenologia Chiediamoci allora in che modo la fenomenologia può costituire una svolta operativa rispetto alle forme mentali consolidate. Va detto, sia chiaro, che le categorie classiche non sono ‘sbagliate’ ed anzi colgono aspetti reali dello scenario competitivo. Nessuno può contestare la ragione tecnica che, incarnata nel Marketing Management, presiede al governo dei mercati. Nessuno può contestare che l’atto di consumo sia psico-simbolicamente determinato. Non è in discussione cioè il portato reale di questo “sapere di dominio” (Max Scheler, Sociologia del sapere). Allo stesso tempo il mercato resta là, fuori di noi, con tutta la sua consistenza, la sua ‘dura presenza’, ed anche con la sua incertezza e casualità. Insomma non è solo nelle nostre mani, per quanti sforzi progettuali possiamo fare. 11 Ma il punto cruciale è che ruotare semplicemente su questi dati di fatto genera ormai un’impasse competitiva. Il momento dell’analisi di mercato (della sua concettualizzazione, della sua spiegazione causale, del suo ordinamento formale) appare ormai inadeguato se pensiamo alle strategie dell’offerta. I due livelli sono certo distinti nella sistematica socio- aziendale eppure collegati di fatto e di principio, altrimenti perché studiare tanto il mercato se non in vista dell’offerta da proporre? Analizzare e progettare fanno parte del medesimo processo. L’apparato concettuale di cui siamo interpreti genera inevitabilmente un certo tipo di azione, a meno di non considerare il manager come un semplice funzionario pratico. Allo stesso tempo, l’azienda non è semplicemente dentro i mercati, ma sartrianamente “esplode verso” di essi. Non può essere ‘imbrigliata’ da un sistema di sapere e da categorie concettuali che al contrario dovrebbero propriamente servire all’azienda stessa. Deve snidare, infine, lo sfondo esistenziale che emerge anche nel gesto di consumo, quella vita preliminare all’Homo œconomicus e all’Homo consumens, il bacino di significati -forse opachi, silenziosamente operanti- che s’incarnano nel consumo anzichè derivarne, dato che le persone non sono semplici proiezioni dei loro acquisti. Si fa luce quella “genesi del senso”, come la definì Husserl (Sinngenesis, “Logica formale e trascendentale”), che ci permette di fondare anche la teoria manageriale in una struttura esistenziale. Questo obiettivo non deriva semplicemente da un ideale umanistico, ma risiede nelle necessità competitive e risponde agli ‘obblighi’ strategici che, nell’economia sempre più ‘culturalizzata’ dei nostri tempi, ogni azienda deve perseguire. L’analisi fenomenologica non si occupa quindi del consumo di fatto così com’è e delle sue motivazioni, ma s’interessa dell’orizzonte di senso da cui ogni mercato trae alimento e verso cui esso si slancia come bacino di nuove esperienze, premessa di nuove strategie e di una nuova creatività. Per capire la fisiologia fenomenologico-esistenziale dei mercati di consumo, e attingendo alla nostra esperienza concreta, possiamo quindi addentrarci in qualche esempio. Partiamo dal mondo degli scooter, che abbiamo precedentemente citato. La distinzione fondamentale che è ancora largamente operante in questo settore è tra veicoli da strada e veicoli sportivi. Ma dove collocare la mitica “Vespa”, oggetto di un’ammirazione internazionale, immortalata in film indimenticabili ed ospitata ormai nei musei, ma anche un prodotto segnato dall’usura del tempo? Nel 1996 compiva 50 anni: dove trovare le risorse per innovarlo? Occorreva sospendere l’osservazione minuziosa ed oggettiva degli scooter ‘in carne ed ossa’ e concentrarsi sui territori ideali che si possono intuitivamente associare agli scooter stessi: l’immaginario del movimento e l’immaginario della tecnica. Sartrianamente, occorreva “dimenticare la realtà (data) per riscoprire l’oggettività del fenomeno”, ovvero il suo costituirsi come programma conoscitivo. A partire dall’esperienza del movimento, abbiamo potuto valorizzare i molteplici luoghi simbolici attraversati dall’uomo, che non si limita a muoversi ‘su strada’ o ‘fuori strada’, ma divora la terra, si libra nell’aria, esplora il mondo e colonizza la strada (intesa come il luogo antropologico per eccellenza: in Italia e più in generale nel mercato europeo gli scooter sono molto usati in città per svincolarsi dal traffico). Segnaliamo che questi luoghi non sono reali, per cui sulla terra si passeggia o si corre, per aria si prende l’aereo, in strada si usa la 12 macchina e per il mondo -lo sanno bene i giovani- ci si muove in tutti i modi. Sono luoghi simbolici, carichi di significati e di avventure esistenziali assai differenti. Sono il risultato culturale di quel lungo processo in cui l’uomo ha progressivamente differenziato il suo movimento nello spazio, colonizzando i luoghi più diversi. Incrociando questa mappa con quella della tecnica abbiamo potuto costruire distinte strategie potenziali di marca, cluster ideali che abbiamo definito Centauro, Peter Pan, Comandante e Bipede meccanico. Si tratta di figure simbolico-fenomenologiche, non di target oggettivi perché (l’abbiamo rilevato nei nostri test) possono essere tutti condivisi dallo stesso scooterista e allo stesso tempo possono aggregare nella loro diversità tutti i motociclisti, anzi tutti i movers, “quelli che si muovono”, come recitava con una certa licenza espressiva la pubblicità della Vespa. Questi i risultati essenziali: Questo percorso ha avuto cascate progettuali (come fare un nuovo prodotto), organizzative (come riorganizzare l’ufficio marketing) e strategico-conoscitive (diagnosi e concettualizzazione dei mercati, articolazione e differenziazione dei marchi della Corporate). Collocandosi in un flusso progettuale già esistente, si è così potuto innovare la Vespa trasportandola dal versante epico ma sfibrato in cui era storicamente situata (il “Comandante”: una sorta di Harley-Davidson all’italiana) alla simbolica fenomenologica di Peter Pan. Un mondo segnato da una tecnica lieve e liberatoria: il puro gesto della guida, senza la forza e il potenziamento spesso associati alla tecnica. Segnato anche da un’estetica della leggerezza e dello scarto inventivo, contro per esempio un’estetica dell’accentuazione di altri prodotti o un’estetica della specializzazione, di altri prodotti ancora. Uno scooter originale e antitradizionale per definizione, ruotante sulla fantasia e la rotondità delle forme, la moltiplicazione stilistica del design, l’utilizzo di nuovi materiali, la proposta di una linea pulita, l’eliminazione dei tratti più hard, spigolosi e duri della moto. Questo è il cambiamento che ha portato un prodotto vecchio a colonizzare di nuovo il mercato: Fenomenologia dei mover !  L’idea di movimento: solo con le 2 Ruote puoi ‘divorare’ la terra !  Tecnica ‘naturale’ e riproduttiva: la natura animale delle 2 ruote !  Estetica dell’accentuazione !  L’idea di prodotto - la suggestione della meccanica: uno scooter da cavalcare !  La guida: istintuale. Fondersi con il mezzo !  L’idea di movimento: solo con le 2 Ruote puoi passeggiare nell’aria !  Tecnica rarefatta a favore di una elevata visibilità della forme !  Estetica della leggerezza !  L’idea di prodotto - l’invenzione di uno stile: la geometria della bellezza !  La guida: fantastica. Volare su uno scooter senza motore !  L’idea di movimento: solo con le 2 Ruote puoi esplorare il mondo !  Tecnica come linguaggio: sottoculturale e tribalistico !  Estetica della distinzione !  L’idea di prodotto: la scelta esistenziale –Lo scooter come mezzo espressivo !  La guida: epica. Segnare il territorio !  L’idea di movimento: solo con le 2 Ruote puoi colonizzare la strada !  Tecnica intelligente e inventiva: enfasi sull’evoluzione tecnologica !  Estetica della specializzazione !  L’idea di prodotto - Il futurismo tecnologico !  La guida: strategica. Mettersi le ruote ai piedi Centauro Bipede meccanico Peter Pan Comandante 15 come Bang & Olufsen). È infine Idioma, linguaggio massimamente giovanile e contro- culturale, visione del mondo, intuizione supplementare (da Woodstock alla Callas-mania): nell’attuale dissoluzione del mercato degli Hi-Fi, ciascuno può comporsi il proprio idioma personale semplicemente scaricandolo dalla rete globale con il contributo del suo linguaggio, della sua specifica visione del mondo. Questa la mappa riassuntiva dell’analisi fenomenologica: E la cucina, così oggettivamente diversa da nazione a nazione (e in Italia da regione a regione), si fonda in ogni luogo sulle medesime operazioni trasformazionali, che le rende paradossalmente anche tutte uguali (Domenichini–Mancuso, 2007). Tutte producono impasti (la materia intermedia di ogni manipolazione degli elementi), tutte si basano su molteplici tagli, con cui si perviene a un vero e proprio design alimentare (insomma, la mano ingegneristica del cuoco), mescolano sapori (vera e propria ars combinatoria della preparazione), elaborano le molte forme di cottura, la ‘chimica’ della cucina. Fenomenologia del cucinare •  Concentrazione, attenzione critica •  Valori intrinseci dell’ascolto (nitidezza, distinguibilità, ecc.) •  Tensione verso la perfezione del suono e, correlativamente, verso lo strumento ‘super’ •  Il prodotto: design della manipolazione: moltiplicazione delle funzioni; ascoltare la musica come in un laboratorio (entrare nelle “fibre” della musica”) •  Partecipazione attiva, personalmente agita (il canto, la gestualità) •  La musica come sentimento, volo della fantasia, suggestione, richiamo •  Tensione verso i significati vitali della musica •  Il prodotto: design user-friendly: estrema semplificazione; elementi percettivi secondari: forme nuove, nuovi colori, nuovi materiali –  Un hi-fi decentrato, incursore che trova nuovi spazi in bagno (‘dentro’ la doccia), in cucina, tra le “pieghe” dell’arredamento •  Fusione totale con il suono, straniamento (il concerto irripetibile, la discoteca assordante) •  Valorizzazione iper-sensitiva della musica •  Tensione verso una visione mistica del suono (come esperienza sublime, totalità, religione) •  Il prodotto: design della spettacolarizzazione per un consumo ritualizzato; totem domestico, funzione d’arredamento •  Coinvolgimento “militante” e massimamente esistenziale (Woodstock, la Callas-mania) •  La musica come tramite di valori, visione esemplare, weltanschauung •  Tensione verso il valore iniziatico della musica intesa come codice distintivo •  Il prodotto: design deviante, alternativo, cifra d’individuazione, per un ‘canale della musica’ sempre sintonizzato Iperascolto Slancio Estasi Idioma 16 A partire da qui, Buitoni ha potuto offrire non semplicemente piatti pronti o ‘aiuti in cucina’ (Helpers: la strategia del ‘piatto pronto’) ma soluzioni intermedie che il singolo consumatore doveva portare a termine, servendo così il cuoco che essa stessa stava creando (questo è stato il fondamentale messaggio comunicativo degli ultimi anni). Anche la fenomenologia del denaro, che prima abbiamo usato come esemplificazione della “riduzione eidetica”, è strettamente connessa al mondo esperienziale e su di essa è strutturata la multidimensionalità della banca: le sue funzioni, i suoi usi, il suo mondo di servizi, i suoi profili simbolici. Oltre al valore di codice già citato (“l’apriori in contanti”, diceva Sohn- Rethel), il denaro è un quantificatore universale (“strumento puro di oggettivazione”, Simmel) e per questo è diventato il più efficace mezzo di scambio. È poi un bene assoluto, una sorta di ‘oggetto in potenza’ perché l’unico che di principio può tramutarsi in qualsiasi altro bene (diciamo di principio, perché di fatto qualsiasi altro bene può essere barattato con altri beni). È infine una merce pura, l’unico valore di scambio in uso a tutti; ed è per questo che veniamo pagati in denaro: non solo per la quantità oggettivata di valore-lavoro (Marx: Il capitale, libro I) ma perché merx (merce) e merces (retribuzione) sono la stessa parola. Su questi fattori poggiano le diverse declinazioni oggettive della banca, i cambiamenti che sono avvenuti in questi anni, le critiche e le aspettative che si rivolgono spesso nei confronti del sistema bancario. La banca infatti è anagrafe economica, un apriori di riferimento, cifra dell’essere sociale delle persone (denaro come codice, principio dello scambio). È centro operativo, dove avviene ogni tipo di transazione, dal pagamento delle bollette alla vendita di colossi societari (quantificatore universale, strumento puro). È negozio del denaro, in cui il denaro si fa sostanza e viene comprato e venduto come qualsiasi altra merce. È infine deposito della ricchezza, non solo funzione di sicurezza ma fonte di legittimazione -si pensi alle referenze bancarie- insomma il potenziale di credito che si può spendere in società (bene assoluto, fine da conquistare). Queste diverse funzioni della banca fondano simbolicamente i prodotti e i dati emergenti degli ultimi anni (private banking, home banking, risparmio gestito) e spiegano per esempio perché alla banca sono rivolte dalla popolazione domande etico-sociali più che ad ogni altra impresa. Non solo perché il sistema bancario ha forse qualcosa da farsi perdonare, ma perché il denaro è prefigurazione di felicità e media verso il IMPASTI !  La PRODUZIONE di sostanze intermedie (dalle materie prime alle materie per cucinare) !  La meccanica della Trasformazione !  Buitoni: industria produttiva !  Cucina: domestica e quotidiana !  Ingaggio: tutti gli impasti del mondo COTTURE !  La TRASMUTAZIONE degli alimenti (le variazioni di stato apportate dalle molteplici cotture) !  La fisica della trasformazione !  Buitoni: tecnologia alimentare !  Cucina: polisensoriale !  Ingaggio: le ‘consistenze’ del gusto SAPORI !  La COMBINAZIONE dei gusti (l’alchimia della cucina) !  L’arte della trasformazione !  Buitoni: marca creativa !  Cucina: del sapere gastronomico !  Ingaggio: la variazione quotidiana TAGLI !  La FIGURAZIONE del piatto (vero e proprio design del cucinare) !  L’ingegneria della trasformazione !  Buitoni: la mano del cuoco !  Cucina: inventiva (nuove idee di piatti) !  Ingaggio: la sequenza visiva della cucina 17 futuro. La sua massima istituzione può quindi agire come principio generativo, non limitarsi a speculare o permanere nella presunta terzietà dell’intermediazione. Fenomenologia del denaro Il ‘fenomeno’ denaro Principio generativo delle relazioni umane Strumento mediale- operativo Fine da raggiungere, potenziale di felicità Materia prima per eccellenza, in uso a tutti Il denaro e lo scambio Produce lo scambio, lo rende possibile Coincide con l’atto di scambio stesso, misurandolo L’oggetto in potenza, che può tramutarsi in infiniti oggetti È la sostanza, l’oggetto stesso dello scambio Identità simbolica della banca Anagrafe economica: tutti hanno un conto corrente Centro operativo, dove avviene ogni tipo di operazione Deposito di ricchezza, cassaforte virtuale del futuro Negozio del denaro, dove lo si compra e lo si vende Funzione della banca Missione civile e istituzionale: la banca come apriori di riferimento Identità burocratica e funzione tecnico- operativa Ruolo di legittimazione: il potenziale di credito che si può spendere Funzione commerciale e ruolo imprenditoriale Vissuti negativi della banca Oppressione, necessità obbligante della banca Barriera, pesantezza della relazione Intermediazione come intercessione: massimo abuso del potere bancario Vissuti di parassitismo nella funzione terza e neutrale della banca Strategie storiche di risposta L’affiancamento: un’istituzione più amica (private banking) L’istanza telematica: un servizio più efficiente (home banking) La strada dell’autolegittimazione: la finanza etica, la CSR Il messaggio della competenza: invito alla delega (risparmio gestito) Alla fine di questi casi, emerge con una certa vivezza, crediamo, che cogliere il senso specifico di ogni ‘esperienza del mondo’ –con quello “stupore” di cui parlava Eugen Fink- ci permette di confidare in una promessa di rinnovamento. E ciò costituisce un’istanza economica, non solo umana. Linee per un’interpretazione fenomenologico-esistenziale dei mercati Concludiamo accennando alle tre principali implicazioni teoretiche del metodo descritto 1. L’innovazione del business a partire dalla simbolica immanente all’offerta L’innovazione dei mercati poggia, anche implicitamente, su di un universo di significati di tipo fenomenologico-immanente, che stanno ‘dentro’ l’offerta e superano la simbolica di tipo psicologico-proiettiva, che proietta l’atto di consumo verso il suo alone psico-simbolico. Come abbiamo visto, il piacere, la bellezza, il senso di libertà, il successo sociale e ogni altro attributo del consumo disperdono la specificità simbolica di ogni mercato, proiettandola su un immaginario psico-sociale generico e ormai consumato. Si tratta in realtà di una molteplice proiezione: del consumo verso le sue matrici psico-sociali; della persona consumatrice, quasi ridotta a un’appendice dei propri acquisti; dell’offerta, dispersa in un Codice Quantificatore universale Bene assoluto Merce pura 20 impegno nuovo, segnato dalla sfida, dalla bellezza, da una curiosità desiderante, più che dall’efficienza ingegneristica di un ossessivo CRM. Conclusioni Siamo stati dentro a un miraggio: quello di un marketing iper-scientifico che dovrebbe scandagliare minuziosamente la realtà, analizzare fino all’ultimo elemento i mercati giovandosi delle più sofisticate tecniche di elaborazione dei dati, testare ogni elemento in gioco: la parola dei consumatori, l’idea innovativa, la comunicazione relativa, il benchmark di riferimento. Noi crediamo che l’azione delle aziende non possa proprio fare a meno di un progetto conoscitivo, che è intriso di soggettività ‘esplodente’, di sfida professionale e umana, di visioni e immagini del mondo. Per definizione questo tipo di conoscenza non cerca l’adeguamento, ma forza la realtà. Ogni conoscenza è anche una produzione: per dirla con Gregory Bateson, conoscere è costruire immagini del mondo. E dobbiamo liberarci di quel che John Dewey definiva l’equivoco spettatoriale, di chi è impegnato in un processo conoscitivo quasi fosse uno spettatore del mondo anziché coinvolto nel mondo stesso che cerca di osservare e ‘manipolare’. Quel che vogliamo dire è che piegare la realtà (e i mercati, nel nostro caso) a uno sguardo forse inevitabilmente parziale e soggettivo è un compito perturbante ma necessario, perchè il mondo non è immediatamente disponibile e oggettivamente riproducibile nelle analisi. Come il famoso budino di Engels –la cui prova consiste nel mangiarlo- anche la conoscenza è tanto più vera quanto più è efficace. Per questo motivo, ogni nuovo sapere destabilizza, ricostruisce e infine ‘snida’ la realtà. E oltre a un effetto perturbante, ne determina uno anche conturbante, perché è un atto creativo, e quindi bello oltre che utile. Solo una mentalità miope, anche se a lungo dominante e ancora persistente, può pensare che il mondo delle professioni, del lavoro concreto, delle imprese (e insomma delle strategie della vita) siano semplicemente assoggettati al dominio del pratico, siano privi di slanci, di passione creatrice, di visioni lungimiranti. Si può convenire che il sistema economico-produttivo, il management, la forma mentis di tutti i soggetti coinvolti –fin dall’università- nella gestione e nella crescita della società, non abbiano saputo adeguatamente valutare (e premiare) un atteggiamento umanistico e propriamente esistenzialistico, ma esso è ormai il presupposto generativo dell’innovazione, in una coniugazione felice di passione trasformatrice e rigore conoscitivo. Il metodo e la pratica che abbiamo descritto parte da un necessario riconoscimento: che in ogni industry –anche quelle apparentemente più funzionali e meno emotive (pensiamo ai detersivi), o dall’offerta marcatamente ingegneristica (per es. la produzione di macchinari per l’ambiente)- la razionalità del produrre non può proprio fare a meno della simbolicità del progettare. Le aziende sono piene di dati, informazioni oggettive, competenze professionali, insomma sono piene di ‘sapere’. Ma le strategie di pensiero, primo requisito competitivo nell’economia della conoscenza e in un’economia sempre più culturalizzata, non possono che maturare in un allargamento dei tradizionali bacini di formazione dei manager. Oggi ‘la 21 cultura si mangia’, ovvero produce valore economico. Anche la teoria manageriale non può non fondarsi, pertanto, su uno sfondo esistenziale: quel mondo di senso, immagini del mondo, correnti di idee che accompagnano la vita di tutti i giorni. L’analisi fenomenologico-culturale dei mercati snida la potenzialità dei mercati. Una potenzialità a disposizione (perché depositata nella nostra storia culturale), e tuttavia da snidare, ovvero da ricostruire perché opaca, segretamente operante, nascosta nelle trame immaginarie dell’offerta. Il modo di pensare che abbiamo descritto (una pratica di pensiero) può così essere un’utile risorsa per l’innovazione. Scovare gli eidos dell’offerta (e l’articolazione di senso del settore) genera una nuova creatività, dischiude orizzonti inesplorati, costituisce la base cognitiva di nuove esplosioni verso. Non tutti i significati riconosciuti, infatti, vengono sfruttati, oppure non lo sono nelle loro ulteriori potenzialità, spesso sono semplicemente sfiorati o ‘sfruttati male’. L’innovazione è la premessa dei bisogni di distintività delle aziende, di una nuova capacità di aggregazione delle persone più diverse in uno stesso target di consumo, di un rilancio dell’ingaggio fondato sulla riconoscibilità esistenziale dei messaggi e del senso incarnato nell’offerta. Il programma fenomenologico, che è un procedimento astrattivo (dalla realtà così com’è) e insieme descrittivo (dell’oggetto puro) può così aiutare a ‘prendere sul serio il mondo’, disvelandolo nella sua autenticità, e nel contempo a pensare fortemente, assumendosi responsabilità ideative. L’imprenditore, il manager, lo stratega dei mercati, chiunque in azienda si trovi a pensare qualcosa in qualsiasi situazione, potrà così rivendicare la passione del proprio progetto conoscitivo e insieme la sua capacità di snidare il senso delle cose. Perché se è vero – parafrasando Kant- che idee senza prodotti sono vuote, è ancor più vero che prodotti (servizi, tutta l’offerta) senza idee sono ciechi.  
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