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La filosofia analitica, Sintesi del corso di Filosofia del Linguaggio

GOTTLOB FREGE: LA 'SVOLTA LINGUISTICA', BERTRAND RUSSELL, GEORGE EDWARD MOORE, DAL NEOPOSITIVISMO DEL CIRCOLO DI VIENNA A QUINE, KRIPKE E PUTNAM

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017

Caricato il 17/02/2017

gessica_de_stefano
gessica_de_stefano 🇮🇹

4.5

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Scarica La filosofia analitica e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia del Linguaggio solo su Docsity! LA FILOSOFIA ANALITICA 1. GOTTLOB FREGE: LA 'SVOLTA LINGUISTICA' Frege compì per primo quella 'svolta linguistica' che è all'origine della filosofia analitica. Frege lo fece nell'ambito di una ricerca sui fondamenti della matematica, cioè sulla natura degli oggetti matematici e sul modo in cui li conosciamo, che diede origine alla logica matematica contemporanea. La filosofia analitica nasce con l'intento di risolvere i problemi filosofici mediante l'analisi del linguaggio. Nel corso delle sue evoluzioni rimane caratterizzata da un'impostazione teoretica e dalla ricerca di argomentazioni chiare per la comprensione della struttura del ragionamento. La svolta linguistica si spiega grazie all'idea che al centro del lavoro filosofico vi sia lo studio del pensiero e che questo possa essere condotto solo per mezzo dell'analisi degli enunciati che lo esprimono . Questa svolta è quindi motivata dall'adesione all'antipsicologismo (idea che i pensieri non vadano identificati nè con l'attività psichica del pensare, né con i contenuti di coscienza come ad esempio le sensazioni). I contenuti di coscienza sono per Frege oggetto di studio della psicologia, la filosofia invece deve occuparsi solo del contenuto del pensiero , cioè di quello che viene specificato dalla clausola introdotta dal 'che' nella frase 'Tizio crede che...'. Tale contenuto è detto 'proposizione' o 'pensiero': solo di questo si ci può chiedere se sia vero oppure falso e quali relazioni abbia con altri pensieri. Inevitabilmente, però, abbiamo accesso ai pensieri, così concepiti, solo per mezzo del linguaggio e, in particolare, solo attraverso gli enunciati di una lingua, poiché solo di questi , e non delle loro parti, ci si può chiedere se siano veri oppure no. Lo studio del pensiero, quindi, non deve solo essere condotto a partire dallo studio del linguaggio, ma deve anche dare priorità all'enunciato rispetto alle sue parti, cioè il soggetto e il predicato. Secondo Frege vale quindi il principio del contesto: solo nel contesto di un enunciato una parola ha significato (n.b. nella nostra lingua molte parole hanno un significato ambiguo, queste possono essere comprese solo tenendo presente l'enunciato in cui compaiono). Se consideriamo le parole nel contesto degli enunciati in cui compaiono, non avremo più l'impressione che comprenderle significhi avere particolari immagini mentali e vedremo con chiarezza il significato di un enunciato, significa sapere come stanno le cose, cioè se esso è vero. In questo consiste la teoria vero-condizionale del significato. Secondo Frege i pensieri sono intersoggettivamente accessibili sia se si parla la stessa lingua sia attraverso opere di traduzione (es: piove/It's raining). Frege sostiene che i pensieri per essere totalmente oggettivi devono essere non solo intersoggettivamente afferrabili ma anche avere esistenza autonoma e indipendente delle nostre menti. Si arriva quindi ad una forma di platonismo: i pensieri appartengono a un vero e proprio 'terzo regno' diverso da quello degli oggetti materiali, delle sensazioni e dei contenuti di coscienza che Frege chiama 'rappresentazioni'. Come gli oggetti materiali, ma al contrario delle rappresentazioni, i pensieri hanno esistenza indipendente da quella delle nostre menti. Al pari delle rappresentazioni, ma contrariamente agli oggetti materiali, i pensieri non hanno efficacia causale, cioè non si possono percepire per mezzo dei sensi e non possono interagire fisicamente nè tra loro nè con qualcos'altro. Secondo Frege gli esseri umani possono interagire con i pensieri solo attraverso il linguaggio, cioè producendo e comprendendo enunciati dotati di senso. La tesi della priorità esplicativa del linguaggio sul pensiero è così ulteriormente motivata dalla dottrina del terzo regno, poiché solo per mezzo del linguaggio possiamo avervi accesso. Per Frege non vale la tesi della priorità costitutiva del linguaggio sul pensiero (seconda fase del pensiero di Wittgenstein): se per la nostra specie il linguaggio è la via d'accesso ai pensieri, questi hanno però, secondo lo studioso, un'esistenza autonoma da quello. Quindi poichè il linguaggio non è necessario al darsi del pensiero, è logicamente possibile che vi siano creature prive di linguaggio, in grado di afferrare e produrre pensieri. La caratteristica più importante dei pensieri, secondo Frege, è che sono dotati di un valore di verità: sono cioè veri oppure falsi. Il Vero e il Falso però per Frege non sono definibili e sono addirittura dei veri e propri oggetti logici (non materiali) a cui ogni pensiero si riferisce. La semantica di Frege (modo in cui il linguaggio rappresenta il mondo) è a tre livelli: gli enunciati esprimono un pensiero che è il loro senso e denotano un valore di verità (Vero/Falso) che è il loro significato. Il valore di verità a sua volta viene determinato dal pensiero espresso dall'enunciato. Oltre ad avere un senso, che è un contenuto di pensiero, e un significato, che è un riferimento a cose reali, gli enunciati sono composti di parti (nomi e predicati). Secondo il principio di composizionalità il loro senso e il loro significato dipendono dal senso e dal significato delle loro parti. I nomi propri che compongono gli enunciati hanno dunque non solo un riferimento, cioè l'oggetto che designano, ma anche un senso, ossia una descrizione definita, una sorta di definizione associata al nome. Nel linguaggio naturale, che non è logicamente perfetto, il senso non è però univoco: un nome si abbina spesso a più definizioni. 2. I 'PADRI' DELLA FILOSOFIA ANALITICA: RUSSELL E MOORE 2.1. BERTRAND RUSSELL A Russel si deve la formulazione di una critica radicale a Frege (ciò ha portato a suddividere i filosofi analitici del linguaggio in 'fregeani' e 'russelliani'). Russell sostiene la differenza fondamentale tra nomi propri e descrizioni definitive. L'unica funzione di un nome proprio, secondo Russell, è quella di nominare l'oggetto a cui si riferisce; quest'ultimo a sua volta ne è il significato. La semantica di Russell è quindi a due livelli (si elimina quello del senso di Frege). L'esistenza dell'oggetto diventa cruciale per il nome, perché la sua unica ragion d'essere è il nominarlo. Russell rifiuta l'idea che i nomi propri abbiano un senso oltre che un riferimento. Secondo Russell, Frege aveva ragione nel ritenere che il linguaggio naturale non si comporti in maniera ineccepibile da un punto di vista logico. Infatti, per il filosofo, i nomi propri delle lingue naturali sono solo apparentemente tali: in realtà, abbreviano o celano descrizioni definite. Gli unici nomi logicamente propri sono quelli che non possono non avere un riferimento e quindi un significato. Poichè, palesemente, i nomi propri del linguaggio naturale possono: o non averlo del tutto o perderlo qualora questi malauguratamente venisse meno, sono solo nomi propri apparenti. Gli unici nomi genuini sono 'questo' e 'quello' quando vengono usati per designare i dati sensoriali, della cui esistenza, finché sono percepiti, non si può dubitare (non oggetti fisici perchè possono non esistere). Conosciamo con certezza solo ciò che ci è dato direttamente nella percezione, cioè dati sensoriali di natura fisica non mentale. Applicando la teoria di Russell, quando parliamo di oggetti sembrerebbe che in realtà parliamo solo delle nostre rappresentazioni. La teoria delle descrizioni definite. Per Russell le descrizioni definite prese per sè non si riferiscono a nulla (es: 'l'attuale Presidente della Repubblica'). L'analisi logica consente però di risolverle in due affermazioni, una di esistenza e una di unicità (questo individuo è uno solo), con le quali si asserisce che esiste un oggetto unico con una certa proprietà. Quindi se una parte dell'enunciato è priva di riferimento, anche l'enunciato nel suo complesso ne sarà privo (es: 'l'attuale re di Francia è calvo', l'affermazione di esistenza non sussiste quindi l'enunciato è falso). Lo stesso enunciato invece era ritenuto da Frege come privo di un valore di verità: il riferimento di un enunciato è un valore di verità, se l'enunciato contiene una descrizione definita vuota come 'attuale re di Francia' allora non è nè vero nè falso. La teoria di Russell per evitare soluzioni arbitrarie attribuisce per convenzione il valore di Falso agli enunciati contenenti descrizioni definite vuote. La teoria delle descrizioni definite permette inoltre di risolvere un altro problema spinoso: il rompicapo degli 'esistenziali negativi'. Se 'l'attuale re di Francia' si riferisse a qualcuno, allora nell'enunciato 'l'attuale re di Francia non
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