Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

La grande contrazione riassunto, Appunti di Sociologia Dei Processi Economici

appunti - appunti

Tipologia: Appunti

2015/2016

Caricato il 14/11/2016

federica.cartocci1
federica.cartocci1 🇮🇹

5

(1)

12 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica La grande contrazione riassunto e più Appunti in PDF di Sociologia Dei Processi Economici solo su Docsity! LA GRANDE CONTRAZIONE N.B. Leggetevi il capitolo 3, perché è davvero incomprensibile e il riassunto non basta a capirlo. INTRODUZIONE Nell’autunno 2008 scoppia la crisi finanziaria che in breve tempo porta al tracollo delle banche americane, e poi a spirale, l’intera economia globale, che dal 2011 versa in una situazione drammatica, dopo aver coinvolto anche il settore pubblico. La crisi da finanziaria diventa sempre più reale con imprese che chiudono e la disoccupazione che cresce. Per far fronte alla crisi vi sono due diversi percorsi di risoluzione: uno che cerca di porre fine alla crisi e tornare al prima, e l’altra che invece guarda avanti e cerca un nuovo modello. Due temi stanno alla base del libro: la tecnica e la libertà, che sono intrecciati. Per quanto riguarda la tecnica, il problema non è lei, ma il rapporto tra l’uomo ed essa, ovvero lo smettere di pensare in maniera solo tecnica. Per questo è importante porsi le giuste domande. Parlando invece di libertà, bisogna rendersi conto che la crisi non è solo finanziaria ma anche culturale/spirituale, poiché è andato in crisi il modello che ha guidato i decenni precedenti alla crisi: il tecno-nichilismo. Con esso si intende uno spirito fortemente individualista e neo-materialista, nella quale la libertà diventa un’esperienza di massa, per la prima volta nella storia. Per comprendere la crisi, è fondamentale comprendere appieno gli anni che l’hanno preceduta e tutti i cambiamenti avvenuti a partire dagli anni ’80, attraverso un’interpretazione critica. Altri problemi si hanno attorno al nodo dell’integrazione sociale, dove la disuguaglianza e l’impoverimento hanno toccato livelli preoccupanti. Problema di fondo è la libertà dei liberi e la nostra condizione di esseri liberi (Heidegger). Se non si affronta l’immaginario della libertà non si potrà avere negli anni a venire la ripresa e la ricrescita: solo attraverso un diverso modo di dire la libertà può nascere una nuova stagione di crescita. Grande contrazione: il ridimensionamento del debito dei vari Paesi non deve essere visto solo come una perdita, ma anche come punto di inizio, di ricrescita; un’opportunità unica per ripartire da capo. Non bisogna semplicemente riavviare la vecchia macchina, ma puntare a qualcosa di nuovo. Ciò su cui bisogna puntare è la ricchezza che i Paesi democratici avanzati hanno in abbondanza: la ricchezza umana e spirituale che solo un mondo di liberi può sprigionare. Per far questo bisogna eliminare l’individualismo, oggi radicato nelle nostre culture, e tornare a forme di socialità e di alleanza. CAPITOLO 1 L’esperienza di massa della libertà Lo sviluppo della libertà raggiunge il suo apice nel periodo post-bellico (1945), durante gli anni ’60, quando la maggioranza degli abitanti occidentali accede al benessere materiale, alla democrazia diretta e al consumo, che cambiano la vita quotidiana delle persone. Dal punto di vista culturale sono state sconfitte le dittature e gli autoritarismi, e si ha un grande pluralismo. Ora che la libertà non è più da conquistare ma è il vivere quotidiano si ha l’emergere di una potente domanda di soggettività. Ma l’accesso alle tre libertà principali (politica, culturale ed economica) non è durata a lungo: questo perché la libertà è diventata un fenomeno di massa, e quindi non ha stabilità e ha effetti collaterali. Dal punto di vista culturale, due filoni, seppur diversi, hanno trovato un’espressione a questa domanda di soggettività. Il primo è la protesta studentesca del ’68, che esprime il diritto-dovere di esprimere sé stessi, l’idea di autodeterminazione e il rifiuto delle autorità. A questi si aggiungono poi anche istanze esistenzialiste: apertura all’originalità, alla passione, all’emozione e il rifiuto della strumentalità e dell’autorità. Il secondo filone è invece nato nella metà degli anni ’70 in ambiente anglosassone, e riporta in luce il concetto per cui il soggetto morale è chi dispone della facoltà di scelta. Definiti anche anti-statalisti, essi credevano nella fine dello stato sociale, che con tutte le sue istituzioni mirate a proteggere la libertà individuale, finivano in realtà per comprimerla. L’idea di fondo è che siamo tanto più liberi quanto possiamo scegliere, ovvero in base a quante opportunità abbiamo davanti a noi. La crisi economica degli anni ’70: che cos’è la crescita nelle economie mature? Dal periodo post-bellico nasce un capitalismo definito societario, fondato e supportato dal regime fordista- welfarista, che per 30 anni portò ad una rapida e dirompente crescita economica ed un certo equilibrio politico, economico e sociale. Ma già alla fine degli anni’60 nacquero i primi problemi, di cui il principale fu la saturazione dei mercati: non vi era più margine di produttività e quindi di crescita. L’economia era cioè, matura. Oltre a questo altri fattori peggioravano la situazione: • La crescente conflittualità sociale; • Gli effetti della decolonizzazione: non c’era più un polmone di sfogo esterno; • I numerosi cambiamenti demografici; • La neo-nata questione ambientale ed energetica. Per trovare una soluzione era necessario rispondere ad una domanda di fondo: dopo ver raggiunto il massimo in tutto, che cosa è la crescita economica? Rostow aveva cercato una risposta a questa saturazione dei beni materiali, proponendo di puntare su beni durevoli e servizi, cioè su beni immateriali. Le tre direttrici del cambiamento strutturale La risposta a questa domanda è stata costruita sulla logica della distruzione creativa, riferendosi in particolar modo alla riorganizzazione dello stato-nazione, che segue 3 direttrici: 1. La costruzione del mercato globale Polanyi lo definisce: economia moderna di mercato, che secondo lui è una costruzione storica e artificiale, influenzata e guidata da scelte politiche. La società di mercato nasce per lui quando si estende l’uso della moneta alla forza lavoro, poiché questo permette al mercato di autonomizzarsi dalla rete dei rapporti sociali, attraverso un processo di disembedding. La logica del mercato è appunto quella di raggiungere elevati livelli di efficienza rivoluzionando l’intera organizzazione sociale e quindi portandola all’instabilità. Tutto questo nasce dalla rottura col precedente sistema socio-economico, basato sulle teorie di Keynes. Egli riteneva che bisognava contrastare la speculazione di breve termine, a favore di quella di medio-lungo termine; di instaurare una serie di regole internazionale volte a limitare la mobilità dei capitali e stabilizzare i rapporti tra le monete. Questo assetto dava un ruolo centrale allo stato-nazione, che durò fino agli anni ’80 quando iniziò la deregulation, articolata in alcuni passaggi chiave: • 1971: abbandono del rapporto fisso oro/dollaro; • La liberalizzazione dei mercati e l’abbandono di tutte le restrizioni; • Creare una società globale di mercato (globalizzazione) fondata sul ruolo centrale dell’economia U.S.A. Il Washington Consensus delineava i principi del nuovo modello economico, basato soprattutto sull’auto- aggiustamento del mercato, libero da condizionamenti politici. A questo negli anni ’90 vennero aggiunti altri 2 elementi. Il primo fu la liberalizzazione dei movimenti dei capitali, con la creazione di nuovi strumenti per la gestione del rischio (hedge funds), e un’offerta illimitata di moneta associata a livelli di tasso molto bassi. Si iniziarono ad usare il credito e l’espansione del debito come strumenti di crescita. Il secondo elemento fu la liberalizzazione commerciale su scala planetaria che vide l’ingresso della Cina nella World Trade Organisation, che secondo l’America portava a spinte decisive. In primo luogo per la mano d’opera a basso costo ed in secondo luogo perché era un forte finanziatore esterno. Si delinea così il neoliberismo, che agisce su due livelli: il primo è vedere il mercato come luogo della scelta contrapposto allo Stato che invece è oppressivo. Il secondo è l’allargamento della visione spazio-temporale dei rapporti tra Stato e mercato non più a livello nazionale ma globale. Si passa da ordine internazionale ad un ordine globale. In questo quadro grande importanza ha il denaro, mezzo universale a disposizione di tutto il pianeta per realizzare i propri scopi (Simmel). richiesta flessibilità, adattabilità. In un mondo che muta continuamente non è possibile avere programmi troppo rigidi o a lungo termine, bensì progetti provvisori e a breve termine. 4. Smaterializzazione e consumo In questa nuova fase non c’è più spazio per la materialità della produzione, ma per la sua immaterialità: processo di smaterializzazione della produzione. Per quanto ancora legata ai beni, l’economia deve avere una dimensione simbolica e comunicativa sempre maggiore, seguendo 3 piste: • Investimento nel valore simboli-culturale di quello che si produce; • Estendere la logica della produzione a tutti gli ambiti; • Diffondere l’uso dei mezzi telematici e digitali. Pine e Gilmore parlano di economia dell’esperienza, nel senso ce l’economia non offre più solo beni e servizi, ma l’esperienza che da essi deriva, ricca di sensazioni e che rendono unica l’esperienza al consumatore. L’economia deve lavorare sulla dimensione immateriale e per questo non si parla più di bisogni, ma di desideri. Imprese devono creare contesti esperienziali capaci di attrarre i consumatori. Il valore di un bene è dato dal marketing e ciò che conta è saper comunicare il prodotto. L’attenzione si sposta dal lavoro al consumo e le imprese devono saper attivare questo consumo, se no il circuito economico non si compie. La logica espansiva del circuito potenza-volontà di potenza Tornando ora all’istanza di soggettività, bisogna notare come tutta la riorganizzazione di questi anni non sia stata solo economica e politica, ma anche di matrice sociale, in cui la libertà ha avuto un ruolo centrale. Il grande successo degli assetti postbellici è stato quello di aver creato condizioni adatte alla vera espressione della libertà individuale. L’uomo contemporaneo si pensa come volontà di potenza, che è da intendere come l’ampliamento degli spazi di vita, che a sua volta, potenziano le capacità di auto-trascendenza individuale. Numerosi filosofi ne han parlato: Spinoza, Freud, Hegel, Schopenhauer e ognuno ne aveva una visione differente. Possiamo sintetizzare queste opinioni dicendo che la volontà di potenza è essenzialmente volontà di vita. E’ la tensione dell’uomo desiderante, che impara a divenire consapevole del sua esistere in rapporto alle esperienze che gli capita di vivere. Investe tutte le dimensioni dell’Io ed è in stretto rapporto con la realtà circostante. E’ la tensione vitale che alimenta il desiderio, che è visto come la tensione al superamento della separazione dall’altro e della mancanza di senso. Si va ben oltre alla mera sopravvivenza, poiché mira ad accorciare le distanze tra sé ed il mondo. Per questo, Simmel dice che essa cresce all’aumentare della distanza tra noi ed il mondo. Il capitalismo tecno-nichilista è una risposta a questa esigenza, su scala di massa. La volontà di potenza è qualcosa che appartiene al singolo, che ne è portatore e che nessuno deve mortificare. Nel mondo d’oggi questo è un vero e proprio diritto ad esprimere sé stessi. E questo stato raggiunto in 3 passaggi: • Considerare volontà di potenza non come minaccia ma come energia vitale; • Tradurla in desiderio, a sua volta reso godimento; • Canalizzarla in modo da renderla controllabile e le 3 direttrici fanno questo. Il modello di sviluppo degli anni ’60, è la risposta a questa crescente domanda di espansione del sé. Esso si regge sul circuito: potenza-volontà di potenza, creando equilibrio tra una componente individuale ed una aggregata. Nel mondo d’oggi, l’unico modo per soddisfare la volontà di potenza è aumentare l’offerta (capacità di sostenere questa volontà). E a sua volta l’espansione di questa potenza porta ad un’espansione soggettiva. Il consumo è il canale principale attraverso cui si esprime la relazione. La volontà di potenza attiva un desiderio, che viene ridotto a godimenti. Gli apparati economici mirano ad ampliare questa istanza di godimento, trasformandola in domanda in potenza. Il capitalismo tecno-nichilista La potenza è intesa come dynamis, cioè la possibilità di potere che rimane sempre aperta e incompleta tesa all’ampliamento. Ma se potenza è il tendere oltre i limiti, oltre il potere, allora lo stato del periodo post- bellico, che regolava i rapporti, è una forma inadeguata, poiché troppo statico. Al contrario il mercato, il sistema tecno-planetario e lo spazio estetico mediatizzato hanno la giusta dinamicità. Il tecno-nichilismo re+ +gola la relazione tra potenza e volontà, ampliando continuamente gli spazi dell’azione individuale. Per rispondere ad una domanda sempre crescente, il sistema deve aumentare la sua potenza. Il capitalismo tecno- nichilista nasce negli ultimi 20 anni del 20° secolo e deve essere intesa come la forma sociale creatasi in una condizione di libertà di massa e inserita nel mercato, nel sistema planetario e nello spazio mediatizzato. La volontà di potenza si esprime attraverso il desiderio che viene reso mero godimento e così inglobato nel mercato. La razionalizzazione del tecno-nichilismo aumenta la potenza. La logica di fondo è quella di servirsi della concorrenza per stimolare la differenza che legittima e sostiene la definizione ed il perseguimento di obiettivi individuali. Ha natura energetica, poiché la continua volontà di potenza deve trovare una risposta continua da parte dei sistemi tecnici, e viceversa. E’ tecno per la pervasività che la tecnica ha nel sistema, che porta ad una maggiore razionalizzazione, a sua volta portatrice di nuova innovazione e quindi volontà di potenza. Tutto questo ha 4 implicazioni: • Senza la tecnica tutto questo sarebbe insostenibile ed incomprensibile; • Innovazione è cruciale, perché stimola il consumatore; • Capacità di interazione globale grazie al sistema planetario; • Ha una piena reversibilità del senso e un regime di equivalenza. Il nichilismo contrasta la crescente mancanza di senso, continuando a produrre cose nuove, innovazioni, che soddisfi la soggettività. Così, il vuoto sembra pieno e il senso di mancanza viene riempito con un godimento momentaneo ma sempre accessibile. Libertà ab-soluta La verità nascosta del tecno-nichilismo è che la libertà è il principio primo. Essa è ab-soluta: principio primo. L’inizio della libertà è la libertà stessa. Questo vuol dire che si ha un’idea di libertà che è assoluta, sciolta da tutto e da tutti, ignora ogni legge ed ogni limite. Il tecno-nichilismo sembra essere il tentativo di rendere questa idea ab-soluta, un’organizzazione sociale, attraverso il circuito potenza-volontà di potenza. Per cogliere a fondo questa nuova configurazione sociale è corretto riferirsi ad essa con: fabbrica sociale (Stiegler). Si ha una circolarità continua tra il sistema della produzione e quello del consumo. Il primo è pronto ad accogliere ogni istanza del secondo, e le forme di libertà dipendono dai sistemi tecnici che definiscono l’ambiente in cui un individuo si trova. Da una parte si ha il sistema planetario che offre possibilità infinite, dall’altro si ha la costruzione di significati fittizi di nessun valore, che al massimo portano ad un frammento di senso. Questo relativismo degenera nel nichilismo, che per fargli fronte offre infinite possibilità. Si ha la nascita di un nuovo Super Io, che ha infinite opportunità e la piena disponibilità di senso. La società contemporanea nello spazio planetario può ampliare continuamente i suoi spazi per la libertà di scopo, che però non ha scopi da proporre e quindi si affranca ancora al sistema tecnico per averne di nuove illimitati. Tutto dura poco, quanto basta per creare l’illusione. Il ruolo della politica in tutto questo è quello di traino degli apparati tecno-economici, per garantire la domanda di benessere e godimento dei cittadini. Il (nuovo) discorso del capitalista Apparentemente il tecno-nichilismo chiede al singolo di rinunciare a una serie di valori e norme, poiché l’autodeterminazione è considerato principio inviolabile. Ma, la forma sociale si riproduce secondo i dettami di forme istituzionali, che pur cambiando nel tempo e nello spazio, devono essere sempre presenti. Anche in momenti di mutamento, quando il caos ed il disordine sembrano regnare, in realtà, nel suo disgregarsi, la forma sociale prende nuova vita. A cambiare non sono solo le forme, ma anche ilm odo di pensare delle persone. Chi vive nelle società avanzate crede di essere completamente libero e di disporre di ampie possibilità tra cui scegliere. Ma, sotto l’apparente disordine, anarchia, anche il tecno-nichilismo ha una sua logica. A differenza dello stato-nazione che mira a tenere uniti funzioni e significati, il tecno-nichilismo mira a un vivere insieme, che senza una base valoriale, si appoggia su dispositivi e procedure che risolvendo i problemi pratici, permettono il convivere. Il vuoto di senso e la mancanza di legami vengono risolti con un’ampia gamma di esperienze emozionanti e intense, basate su una comunicazione efficace. Questo processo determina lo s-legamento delle relazioni sociali su un duplice livello. Ad un primo livello lo s- legamento avviene con il desembedding, in modo che ogni significato locale possa essere applicato al globale. Ad un secondo livello lo s-legamento si traduce in sovraccarico di informazioni e comunicazioni, tale che sradica qualsiasi significato. Si viene così a creare un contesto in cui siamo così bombardati da informazioni e stimoli da non riuscire più a riconoscere i veri significati, se non in modo occasionale. Lo slegamento è la condizione necessaria per il tecno-nichilismo, poiché ha slegato il precedente ordine delle cose. Ma nel suo slegare, ri-lega anche, solo che questa rilegatura è totalmente diversa da quella precedente. Ma, anche il tecno-nichilismo, che aveva la presunzione di lasciare tutti liberi, in realtà ha implicitamente posto delle norme/precetti da seguire, che esprime chiaramente il binomio potenza-volontà di potenza. Si tratta di un pentalogo: 1. Sii te stesso! E’ il comandamento dell’autonomia, dell’autorealizzazione. Ognuno è autorizzato a decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato, quindi l’io e i suoi desideri diventano misura di tutte le cose. La realizzazione personale si traduce nello sviluppare e far emergere quel potenziale che ognuno di noi ha. Questo però, prevede anche un’altra faccia della medagli, ovvero quello della responsabilità individuale: se uno non si realizza la colpa è sua. Il fallimento personale probabilmente responsabilità dell’individuo. Il comando si scontra con una duplice difficoltà. La prima è che non conoscendo chi siamo noi, diviene difficile autorealizzarsi. L’io non lo si conosce a priori, ma pian piano. La seconda è che l’autorealizzazione assume, implicitamente, l’inesistenza dell’altro, poiché il mio affermarmi si s-lega dagli altri. L’autenticità a cui siamo tenuti rischia di essere una trappola. 2. Sii aperto! Dobbiamo essere noi stessi, ma non sappiamo quale sia il nucleo stabile che ci definisce. Non possiamo sapere chi siamo noi o cosa vogliamo essere. Per scoprirlo andiamo per via empirica, ovvero cerchiamo di capire che cosa ci fa stare bene. Ogni qualvolta troviamo una cosa, una situazione che ci fa star bene, abbiamo trovato un pezzo di noi. Per questo, diventa importante essere aperti e non chiudersi alcuna possibilità di scoprirsi. Il comandamento del godere si traduce nella propensione a cogliere l’opportunità, che però può divenire un’ossessione che ci spinge ad accogliere ogni possibilità, per non correre nel rischio di perdere quella buona. Questo comandamento si traduce nella mera disponibilità ad accumulare esperienze e a cambiare con facilità, in base alla convenienza del momento. Essere coerenti diviene quindi stupido: si introduce una rigidità che chiude la porta alle infinite possibilità. 3. Rispetta lo standard! Noi siamo tanto più liberi, quante più esperienze facciamo, peggio il tutto poggia sul binomio prestazione- premio. L’uomo contemporaneo deve essere sempre performante, non solo sul lavoro ma in ogni ambito della vita. Tutto quello che facciamo, che diciamo, come appariamo devono essere sempre all’altezza di standard performativi. In un mondo tecnicizzato gli standard richiesti sono sempre più elevati e per non rimanere esclusi o dei falliti, siamo tenuti a rispettarli. Il contesto sociale è quindi strutturato secondo procedure e standard molto rigidi. Questo perché, in un mondo in cui domina la perfezione, l’inadeguatezza non è accettata e quindi si ha una continua corsa senza sosta per il miglioramento continuo. 4. Senti (e fai sentire)! L’unico modo che abbiamo per affrontare il rapporto evanescente con il mondo che ci circonda è attraverso l’affezione e l’emozione. Sviluppiamo la nostra capacità di sentire qualcosa (pathos), che diviene necessaria nel processo di significazione delle cose. Il soggetto, ormai privato di riferimenti stabili, viene visto come un fascio di emozioni e sensazioni e desideri, che insegue quello che non sa (Ego affectus est). Non è importante il significato di una cosa, ma quello che ci fa sentire, l’emozione che ci dà. Il sentire è un qualcosa che ci coinvolge nella nostra integralità psicofisica. L’unico modo che si ha per sentire qualcosa è attraverso la ricerca di sensazioni, e di conseguenza il senso del piacere sostituisce il senso del dovere. In più, con la deregulation si è venuto a creare un sistema di scambi incrociati su scala globale, disordinato e in cui ogni stato è legato ad altri. Questo ha sì un carattere di stabilità, in quanto nessuno è interessato al fallimento degli altri, ma anche alla possibilità di tensioni molto forti. La deregulation ha portato ad un totale sgancio della finanza da qualsiasi sistema istituzionale e fisico-reale, e questo ha portato anche ad una progressiva separazione degli operatori finanziari dal contesto circostante. Il mondo finanziario si è sempre più chiuso in sé stesso, nelle sue regole, tanto da allontanarsi da qualsiasi riferimento alla realtà. La finanza ha portato ad una crescita tanto accelerata quanto fittizia, poiché si puntò sempre più su investimenti di breve termine (shortermismo) e quindi facendo in modo che la crescita non era più dovuta a investimenti (come nei decenni precedenti), ma poggiava tutta sul consumo. L’offerta di strumenti finanziari sempre nuovi, portò rapidamente ad un eccesso di domanda rispetto all’offerta, con la conseguente spinta a trovare sempre soluzioni nuove per incanalare le risorse disponibili, fino ad arrivare al punto da forzare il buon senso e spingersi nell’eccesso. La macchina del debito è cresciuta per una doppia spinta: da una parte ci si indebitava per avere maggiori attività finanziarie (con annessi guadagni) e dall’altra gli istituti finanziari stessi ne traevano vantaggio perché avendo risorse da impiegare erano sempre in cerca di clienti. Il circuito potenza-volontà di potenza, diventa molto chiaro in questo ambito e ancor di più se si guada alle bolle speculative. Un esempio su tutti è quello dei mutui subprimes: nel momento della sopravvalutazione spinse tutti ad investire, facendo salire il prezzo, finché la domanda non superò l’offerta, portando allo sgonfiamento e al crollo dei prezzi, che portò al fallimento anche di numerosi hedge funds. Da un debito inteso come necessità, si è passati ad un debito visto come acceleratore del circuito potenza- volontà di potenza. Un modello che mira ad un’espansione tanto grande, e alla produzione di una quantità immensa di beni, necessitava di grandi dosi di fiducia, che riposava su 2 presupposti. Il primo che la giustificazione di tutto era di tipo tecnico; il secondo era che le banche avevano l’appoggio di istituti politici, e quindi vi era la possibilità di essere salvati in caso di fallimento. E così è avvenuto, con l’immissione di grandi capitali nel mercato, per farlo ripartire, come una sorta di farmaco che senza guarire, evitasse il disastro. Queste immissioni, fecero ripartire l’economia e al posto che far rallentare la finanza, la fecero correre ancora di più, ma non avendo curato le basi della crisi, questo ebbe ripercussioni ancora più gravi, ripercuotendosi sulle imprese, sull’occupazione e sulla vita delle persone. Di fronte a crisi sistemiche come questa si fanno interventi tampone, che però non vanno a fondo e quindi non eliminano il problema. Una lunga fase di contrazione è inevitabile, ma da questa è necessario trovare il punto di ripartenza con un nuovo modello. Bisogna abbandonare le premesse del periodo precedente e guardare avanti. Altra cosa da considerare è che altri ambiti della nostra vita, hanno aderito al sistema della finanza per alimentare il circuito potenza-volontà di potenza, basato sul semplice presupposto che si fan delle cose, solo perché si ha una grande scelta di opportunità e stimoli davanti, senza però tener conto che spesso queste sono di bassa qualità. Alcuni es. sono la sovralimentazione con l’obesità e lo sport, che diventa sempre più tecnico e performante. Il punto che accomuna la finanza con gli aspetti della vita sociale è che questo circuito, porta inevitabilmente all’eccesso, al voler superare i limiti, in linea con un’etica della perfezione (Sandel). In più si assiste ad un altro processo: più il circuito si alimenta, più la realtà perde di valore, divenendo una razionalità circoscritta, che vive del continuo superamento di limiti. Si arriva al punto di negare la realtà, così come è avvenuto per i mutui subprimes. Con un sistema del genere era davvero così impensabile prevedere il tracollo? No, ma questa possibilità non era nemmeno stata presa in considerazione, poiché si assiste ad un sempre maggiore difetto di percezione, che fa sì che si ignorino i segnali che la realtà ci manda, a favore del nostro pensiero. La sindrome della perdita di vista della realtà è presente anche su scala più ridotta, in maniera sempre più estesa, in ambiti quali la famiglia, il matrimonio, la scuola… Nel momento in cui viene rimosso qualsiasi limite, tranne quello tecnico, ci si convince che tutto quello che è pensabile è possibile, arrivando ad un mondo in cui niente è più reale. Questo si è visto concretamente con il debito, poiché esso non era più visto come un impegno per il futuro, ma come un’opportunità per il presente. Si ha una realtà autoreferenziale che poggia sulla pretesa di giustificarsi e sostenersi solo sulla base della sua logica interna. In questa auto-legittimazione, l’uomo diventa pre-potente, nel senso che pensa di poter costruire una realtà libera da qualsiasi vincolo, nel campo infinitamente aperto delle possibilità. Di questo ne sono un esempio le biotecnologie. La rimozione del reale porta a sottostimare i rischi di medio-lungo periodo e di illudersi di non trovarsi mai in una situazione di crisi, ma come sappiamo, prima o poi ci si ritroverà. Nel tecno-nichilismo non si ha più l’elemento prudenziale, che viene soppresso per l’esigenza della contingenza. Una volta che la realtà viene abbattuta, l’unico modo che abbiamo per relazionarci con l’ambiente circostante è tramite l’eccesso. Il focolaio sociale Nelle interpretazioni correnti questo focolaio è una conseguenza del focolaio finanziario, ovvero sarebbero le difficoltà economiche a determinare le tensioni sociali, ma questo non è corretto, perché se da un lato è vero che la crisi del 2008 ha messo in mostra queste tensioni, esse hanno radici più profonde (anni ’90). Da quegli anni è iniziato il processo tecno-nichilista per eliminare il processo di ridurre la disuguaglianza e far crescere l’integrazione sociale. Questo ha portato in luce, negli ultimi decenni di una forte disuguaglianza e uno slegamento della matrice sociale. Il capitalismo societario aveva cercato, ed in parte era anche riuscito, a ridurre le disuguaglianze con politiche di integrazione e welfare. Il capitalismo tecno-nichilista, invece, ha puntato tutto sull’aumento delle possibilità di vita in espansione su scala globale. Il problema è che queste opportunità sono accessibili a poche persone, che han le conoscenze, i mezzi finanziari, le reti tecnologiche e relazionali più avanzate. Le conseguenze le si vedono sotto 2 aspetti: • La crescente distanza tra i due estremi della piramide sociale: aumento della concentrazione della ricchezza e la polarizzazione delle condizioni di vita della popolazione; • I dati sulla povertà. I problemi sono dati dalla capacità del tecno-nichilismo di slegare sia le forme relazionali, sia le forme di protezione istituzionale garantite alla popolazione. Così, la crescita economica si è accompagnata ad un progressivo infragilimento delle persone. La popolazione è esposta alla vulnerabilità sociale, aggravata dalle trasformazioni nel mondo del lavoro, che diventato globale ha aperto le porte a lavoratori degli altri paesi, a cui ha seguito anche un indebolimento del ruolo protettivo dello stato. Il tecno-nichilismo ha eroso tutto quello che il capitalismo societario aveva creato: integrazione, stabilità ceto medio, forza dei legami sociali. Questo porta a 2 conseguenze: • Lo scarso dinamismo della domanda interna: grosso divario tra redditi e propensione al consumo; • La sostituzione del consumo al lavoro che ha agito su un duplice piano. Su quello del lavoro sono peggiorate le condizioni contrattuali, che ha fatto sì che le persone non vedano più nel lavoro una componente importante della loro identità. Sul lato del consumo si ha l’affermazione del consumerismo. Consumare sembra un’attività democratica, a cui tutti han accesso, ma in realtà questo porta a una nuova forma di proletarizzazione, causata da un processo di grammatizzazione. Con questo termine si intende l’estensione della logica tecnica ad ogni sfera, cosicché tutto è disposto in maniera che in pochi gesti tutti sappiano fare tutto. Il consumo ci rende felicemente incapaci (Stiegler). La crisi, quindi, colpisce un terreno già in crisi e che difficilmente riuscir a riprendersi, perché fallace già nelle sue basi. I problemi maggiori ruotano attorno all’occupazione: senza lavoro non si riesce a raggiungere un’autonomia propria e quindi nemmeno perseguire l’ideale tecno-nichilista dell’autodeterminazione. Dopo vent’anni che la prospettiva promessa non corrisponde alla realtà, diventa anche difficile chiedere al popolo ulteriori sacrifici in nome di qualcosa, e questo è quello che ha portato alle proteste sociali del 2011. Il discorso del tecno-nichilismo non è più credibile e la sofferenza delle persone a causa sua è troppo alta. Siamo in una fase di disillusione. A soffrire non è solo l’Occidente, ma anche le economie emergenti, che se da una parte hanno conosciuto una forte crescita economica, dall’altra hanno seri problemi sociali, dati da forte disuguaglianza interna (tra classi, regioni) ed esterna (con gli altri paesi). D’altro canto, la crescita economica di alcuni paesi (Cina, India, Brasile), ha portato ad un’ulteriore marginalizzazione di altre aree (America latina, Europa orientale, Africa). Il tecno-nichilismo ha segnato una forte espansione economica che ha innalzato il reddito medio, ma a questa crescita si sono accompagnati squilibri sociali insostenibili e deleteri. Al di là del tema della disuguaglianza si ha un problema più profondo. Il tecno-nichilismo ha sostituito nei paesi più avanzati il modello fordista-welfarista, che poggiava su spesa pubblica, protezione sociale e sviluppo economico, promettendo a tutti benessere e prosperità. Tutto questo è stato sostituito da un crescente slegamento, che all’inizio sembrava avere effetti positivi: più libertà, meno restrizioni, e una speranza a migliorare. Per alcuni questo si è trasformato in realtà, per molti altri è rimasto un’illusione. Ciò che il tecno-nichilismo predica è uni sviluppo economico staccato dall’aspetto sociale, con focus sull’individualità e sulla disgregazione di ogni rapporto sociale, a partire dalla famiglia, poiché limitante del libero arbitrio. Questo slegamento non è di per sé negativo, in quanto i legami prevalgono sull’individuo, ma diventa un problema quando ogni forma di legame viene attaccata. Il legame, con il tecno-nichilismo, è soggetto alla tirannia della scelta: se scelgo un dato legame, esso mi chiude le porte a tutti quelli che possono venire dopo, e quindi limitarmi. Il legame, costituendo un ostacolo al cambiamento continuo, è un pericolo per la riproduzione e l’espansione di un sistema flessibile e dinamico. Ma, in tutto questo, ci si è dimenticati che il legame non è solo causa di dipendenza, ma anche di fondamento e appoggio. Questo slegamento ha ovviamente cambiato i nostri costumi: minori matrimoni, nascite, aumento dei divorzi. Questa liquefazione dei legami è dovuta ad una sempre maggiore difficoltà a stabilizzare e condividere significati, dovuta all’equivalenza di tutto. Non si hanno più significati condivisi, ma tutto è basato sull’autonomia individuale, e quindi trasformato in opinione. Essendo opinioni, non sono soggette a giudizio e quindi nemmeno all’etica, che è la determinazione della legittimità delle azioni. Questo perché un giudizio etico limita la libertà individuale e il suo spazio d’azione. Tutto è posto dal sistema come una questione individuale e mai collettiva o pubblica. Il regime dell’equivalenza dei significati polverizza il tessuto sociale nel suo essere rete di relazioni interpersonali e istituzionali. Se nel corso del 1900 il sogno era quello di una società di uguali, ora si guarda alla differenza, che sempre più spesso, però, maschera la disuguaglianza. Si creano 2 problemi: • Impoverimento del capitale sociale ed istituzionale; • Rivedere la relazione con l’altro nella chiave di lettura della “sicurezza”: tutto avviene con insicurezza che porta alla disintegrazione, che porta ad una sempre maggiore diversità. Si parla di alterità orizzontale: l’iper-individualismo fa sì che la risposta alla richiesta di tolleranza, uguaglianza, multiculturalità, si interrompa al nascere della prima difficoltà. Questo lo si vede con le telecamere, le sanzioni, le gated communities, il sovraffollamento delle carceri. Lavorare sull’integrità, sul multiculturalismo e su misure di prevenzione, ha un costo troppo alto e di lungo periodo, perciò ci si affida a soluzioni più economiche e di breve periodo, ma anche meno incisive. Come il focolaio finanziario ci fa risvegliare come indebitati, quello sociali ci mostra come più disuguali, impoveriti ed insicuri. Il focolaio energetico Nel tecno-nichilismo, l’economia psichica si basa sull’espansione del sé. Si è giunti negli ultimi decenni al consumo a debito, che era sostenibile per le società che avevano appena raggiunto la soglia del benessere di massa, ma che ora è giusto chiedersi se sia ancora sostenibile. Il circuito potenza-volontà di potenza sembra incepparsi per il secondo termine, poiché la potenza è stata superiore alla capacità della volontà di potenza di espandersi. Questo scarto ha conseguenze sulle società avanzate: 1. Il cambiamento demografico: si ha una relazione tra benessere e demografia (al crescere del primo diminuisce il secondo), ed infatti si assiste ora ad un calo del tasso di natalità, tanto da non garantire più il ricambio generazionale. Siamo passati dal baby boom al baby crash. Altro cambiamento è quello di una popolazione sempre più vecchia, che porta ad una riduzione dei consumi, di forza lavoro e che necessita di servizi a bassa produttività, e tutto questo mette in crisi il sistema espansionistici dei consumi del tecno-nichilismo. Esistono strategie per ridurre l’effetto del cambiamento demografico: • Allungare la fase della vita attiva; • Favorire l’ingresso delle donne nel mercato; Quello che ci si chiede è come fare ad estinguere il debito basandoci sul risparmio e la crescita, soprattutto bisogna concepire che la crescita deve essere accompagnata dal coinvolgimento del tessuto sociale. Weber diceva che per produrre sviluppo occorreva lo “spirito”, senza il quale diventa impossibile attingere alle energie migliori presenti nel tessuto sociale. Si avvia così l’era della seconda globalizzazione, dove oltre all’economia tornerà centrale anche la politica, il sociale e la religione a fianco della tecnica. La difficoltà più grande sta nel portare avanti le manovre del consolidamento fiscale senza mai perdere di vista la crescita e l’occupazione. Bisogna ritornare a chiedersi: “Cos’è la crescita economica?”. Tre scenari apocalittici Tre scenari apocalittici che servono per delineare tre derive possibili nei contesti sociali contemporanei, e per quanto irrealistici, non è detto che alcuni dei loro elementi non rientrino nel futuro che ci aspetta. Analizziamoli. 1. Conflitto sociale e regressione democratica. Parte da un aggravamento del contesto sociale, che porta ad un collasso della libertà e della democrazia. Il capitalismo tecno-nichilista col suo sistema ha sprigionato una quantità di energia umana incredibile, ma ora il problema è quello di dover soddisfare le aspettative che ha suscitato. Per far questo, però, bisogna fare i conti con alcuni effetti collaterali di questo ampliamento della libertà e di come essa è stata declinata. La crisi ha creato una faglia generazionale nella società, poiché i padri stanno scaricando sui figli parte del loro eccessivo benessere: sono i figli a dover pagare i debiti dei figli. Altro punto è che la crisi ha colpito le persone comune, che non hanno colpe, e la disoccupazione, la povertà possono non essere così sopportabili e generare odio e risentimento sociale. Basta poco per ritrovarsi le piazze piene di manifestanti, come in Grecia e Spagna. In questa fase, dove i problemi finanziari sono scaricati sui debiti sovrani, è la democrazia ad essere al centro del ciclone, tanto da chiedersi se è la forma migliore per gestire il rapporto con la globalizzazione. Si corre il rischio che, davanti ad un aggravarsi della situazione ed in assenza di classi dirigenti credibili e capaci, si abbia la nascita di movimenti antidemocratici. Questi porterebbero ad una risposta violenta, stimolata dai danni della crisi e dalla forte immigrazione che dai paesi in guerra o poveri riversano in Occidente. Il capitalismo tecno-nichilista appare inadeguato a risolvere una situazione che deve guardare al futuro, passando anche da qualche sacrificio immediato, e questa sua inadeguatezza potrebbe portare alla svolta antidemocratica, soprattutto con l’identificazione di un capro espiatorio su cui riversare la rabbia e lo stress. 2. Esportazione del conflitto e guerra. In questi vent’anni la tripartizione tra democrazie di mercato occidentali, blocco socialista e Terzo mondo si è dissolta, lasciando il posto a una configurazione multipolare. A fondamento di questa configurazione vi sono il sistema planetario ed il mercato globale, che sono in grado di connettere l’intero pianeta. Oggi ciò che unisce non sono le armi o la religione, ma il mercato e la tecnica. La crisi pone questioni serissime, male elite ome sempre rispondono con ottimismo, basato su 4 argomenti: • Fiducia che il sistema tecnico risolva i problemi; • Interesse economico è deterrente per forme di conflitto; • Interessi economici hanno solo da perderci da un conflitto, perciò diventano fattori stabilizzanti, che promuovono soluzioni pacifiche e mutualmente vantaggiose; • Democrazia infiacchisce gli spiriti bellicosi. Questi 4 argomenti non sono senz’altro delle certezze, poiché col minimo cambiamento potrebbero avere esiti diversi, e all’aumentare della pressione il conflitto possa dilagare in forme distruttive. Il sistema planetario ha connesso tra lori e reso inter-dipendenti i vari paesi, che di fronte al problema finanziario devono gestire i debiti senza dichiarare di chi è la colpa. Si è inoltre parlato di regolazione dei mercati, ma dati gli interessi in campo è davvero difficile raggiungerla. La ricerca di un nuovo assetto è complicata, perché deve ridefinire i rapporti economici e politici tra le diverse aree del Mondo, oltre che ridisegnare le aree di influenza e le forme di alleanza. La questione spaziale diventa centrale, poiché non si han più aree di pertinenza definite come con gli stati ottocenteschi, ma tutti sono interconnessi. Altra questione è il ristabilire una relazione tra moneta e politica, poiché senza un assetto politico alle spalle è difficile gestire la moneta. Un ulteriore nodo è quello della religione, poiché non tutte le religioni hanno aderito al tecno-nichilismo, come l’Islam, che al contrario, ha risposto con violenza. Bisogna vedere se le religioni sono disposte a mettersi al servizio di interessi economici o politici. 3. Razionalizzazione tecnica applicata al corpo umano. Questo scenario ha ache fare con la strada che la razionalizzazione potrebbe prendere davanti al tracollo sistemico. Nei prossimi anni si avrà un’ulteriore crescita della domanda performativa da parte delle società umane, si dovrà essere sempre più efficienti in tutti i campi della vita e misurarsi con standard posti dal sistema. Di fronte a questa richiesta, è l’uomo stesso a rischiare di essere inefficiente ed inadeguato, fisicamente, psichicamente e cognitivamente. Già ora, in molti campi, è percepibile il limite dell’uomo. Così, potrebbe essere proprio il corpo umano ad essere il protagonista della razionalizzazione e questo aprirebbe nuovi spazi ed orizzonti di crescita. Questo processo, potrebbe nascondersi dietro alla promessa dell’immortalità, in modo da diminuire le possibili critiche e dubbi degli scettici. Il punto di partenza è quello di concepire che per sostenere l’espansione del sistema, bisogna applicare la tecnica direttamente all’uomo. Questo può essere fatto seguendo 2 strade: • Rendere la salute un cardine del futuro sistema economico: si investe nell’efficientizzazione del corpo e del suo benessere. (Chirurgia estetica); • Progressivo abbattimento della distinzione uomo-macchina: questo renderebbe il corpo umano capace di lavorare e consumare secondo gli standard definiti. Questo potrebbe dare un contributo al sorgere di una nuova ondata di crescita e di aumento del benessere. (Neuro-economia, chip sottocutanei, cyborg). CAPITOLO 3 L’irruzione della crisi: frattura nel chronos o momento di kairos? Con la crisi del tecno-nichilismo si è avviata una fase di contrazione più o meno lunga, che è destinata a cambiare i termini della crescita da ogni punto di vista. Siamo in una crisi di crescita, da cui possiamo uscire solamente guardando al passato ed imparando da esso, riformulando un nuovo sistema. Quello che dobbiamo fare è uscire dal mercatismo, termine con cui si indicano le degenerazioni di un sistema, che credeva nella democrazia e nel mercato globale, senza considerare la sfera sociale e creando un concetto di libertà problematico. Dobbiamo ridefinire la soggettività individuale e gli assetti istituzionali. Dobbiamo tornare a considerare importanti alcuni aspetti: • Un senso di rapporto equilibrato con la realtà; • L’importanza dei legami con gli altri; • Il rapporto con noi stessi, con la natura ed il mondo. La crisi è una crisi di valore. Tutto parte dall’indebolimento del processo di significazione del reale tramite il logos, visibile con la dissipazione del soggetto, la frammentazione dei legami, la sovraesposizione a stimoli. In un sistema come questo lo smarrimento è forte. In più si ha una libertà correlata al concetto di volontà di potenza: una libertà che da sì l’opportunità di espandersi, ma anche di perdersi. E’ crisi di valore economico, perché la crescita si è rivelata fittizia. E’ crisi di valore spirituale, perché ha precluso l’idea stessa di futuro, puntando tutto sullo slegamento e l’espansione continua. Superare la crisi vuol dire ammettere che ci siamo perduti e che dobbiamo ripartire da capo, partendo dalla ridefinizione del concetto di libertà. La crisi ha in sé un dilemma: condurci all’implosione o ad una nuova fase di maturazione. Può limitarsi ad essere un momento cronologico tra due fasi storiche, oppure essere un momento opportuno (kronos) per cambiare le cose. Il compito per la libertà dei liberi è quello di assecondare i fattori positivi della fase precedente, avendo il coraggio di abbandonare ciò che deve essere abbandonato. Sicuramente, alcuni punti da rivedere sono: • Ricongiungere la dimensione spirituale, intesa come visione più ampia dell’uomo) alla vita sociale; • Riconoscere che la libertà non è individualistica, ma si dà in relazione con l’altro; • Accettare che siamo sì volontà di potenza, ma anche fragilità, giudizio, empatia, debito con gli altri. Accettare quindi che abbiamo dei limiti. In poche parole serve ‘emersione di un nuovo immaginario della libertà. La libertà dei liberi E’ la libertà propria del nostro tempo, che è già stata conquistata, e che ora bisogna esercitare, con tutto ciò che essa implica. In primo luogo significa misurarsi con la nostra inconsistenza e i nostri fallimenti: siamo impotenti. In secondo luogo, il sapere di sé richiede una risposta, che non è più da nascondere dietro la “scusa del principio”, per cui la responsabilità è sempre altrove e viene sempre dopo. La fragilità delle democrazie avanzate è l’intendere la libertà come individuale, senza un progetto sociale, ma l’eccesso individualisti fa sì che non riconosciamo più una realtà fuori di noi. Bisogna capire che la libertà, la nostra esistenza sta dentro un ambiente, che prende il nome di vita. Chiariamo subito cosa si intende con questo concetto. Già il tecno-nichilismo parlava di vita, ma riferendosi alla sua dimensione biologica (bios), ponendo l’attenzione sulla salute, l’allungamento e la conservazione per poter essere sempre performativi. Ha ridotto l’essere umano a puro organismo, privato della parola, della memoria, della storia. Il fine è l’allevamento di un uomo superiore, distinto da tutto e tutti. In tutto questo, però, non ha considerato che l’essere umano resiste al tentativo di renderlo puro mezzo di realizzazione della specie. Il tecno-nichilismo perde di vista la realtà, perché di fondo, ha perso di vista la vita e facendo questo porta a 2 conseguenze: • La sottomissione della vita all’evoluzione tecnica; • La vita diviene una proprietà del singolo. Bisogna smettere di concepire la vita come semplice bios, ma guardare all’essere umano come un’istanza complessa in continua ricerca del senso, di relazione e di riconoscimento. Dobbiamo fare in modo che il volto genetico, diventi una maschera personalissima, esito del processo di lavorazione, attraverso cui ci diamo risposte riguardo alle istanze del mondo, degli eventi, della storia e dell’altro. Il concetto di vita unisce quindi il materiale: • Spirituale (vincoli ed esigenze del biologico); • Spirituale (desiderio e istanze di senso); • Processo (dinamismo della vita che evolve); • Forma (il limite che la vita stessa include); • Individuale (il per sé del soggetto); • Sociale (l’essere proteso fuori dal sé). Una volta definita la vita in questo modo si aprono 3 approfondimenti attraverso cui riscoprire la realtà intesa come vita: A. Non è solo un limite da superare, ma un ambiente ospitale che ci permette di vivere; B. E’ accessibile solo attraverso delle forme, che non sono solo ostacoli ma definiscono i modi attraverso cui abbiamo accesso alla libertà; C. Apre e pone domande di senso. Queste 3 portano ad una nuova visione antropologica dell’uomo, che permette di delineare la libertà dei liberi come evoluzione verso una fase generativa. del senso. La parola non è riducibile a mera questione tecnica, e di questo ne è la prova l’arte, la musica e tutte le altre forme che racchiudono al loro interno dimensioni che van oltre la tecnica. La narrazione, può dare un senso mantenendo la profondità che sfugge all’uomo. Dare centralità al linguaggio, significa anche ancorare la costruzione di un significato oltre l’uomo, a dei mondi entro cui esso si genera costantemente. La convinzione tecno-nichilista che ciascuno si dà il senso da sé è irrealistica. Affinché l’ambiente sia il luogo in cui la libertà si manifesta, esso deve avere valore, ovvero essere significativo per sé e per gli altri. Libertà generativa La libertà nel tecno-nichilismo parla di sé e basta, come se la realtà non esistesse, ed in questo modo diventando immaginaria. La sfida più impegnativa p trasformare questa libertà in generatività, che opposta alla stagnazione, è una tappa dello sviluppo verso la maturità di un individuo. Questo passaggio alla fase matura richiede l’incontro e lo scontro con la realtà, da cui può nascere qualcosa di nuovo. La generatività si caratterizza per l capacità di mettere al mondo e di curare, custodire ciò che viene fatto esistere. Generare implica la volontà del soggetto di immettere novità e discontinuità all’ambiente. Quando si agisce con la generatività abbiam la possibilità di generare qualcosa di nuovo, perché siamo disposti a pagare il prezzo di quell’azione, e quindi a fare un atto di libertà. Anche la generatività è connessa con le relazioni sociali e l’ambiente circostante, e quindi non è individualistica, e proprio per questo si prende la responsabilità per le generazioni successive. Se rimuoviamo la relazionalità, rischiamo di rimuovere anche la realtà, come accaduto nel tecno-nichilismo. La dimensione individuale e sociale si intrecciano nella generatività, tanto da delineare un equilibrio che mantiene il valore di entrambi i poli. E’ un qualcosa che investe e riguarda la soggettività. Generare vuol dire stare in un ambiente, una situazione relazionale senza venirne sommersi, significa curare ciò che viene fatto esistere e accettare il rischio di mettere al mondo un valore che vale la nostra stessa vita e che mai potremo possedere. Questo crea una libertà che guadagna la sua maturità ed è per questo generativa, poiché mette al mondo un valore che è un investimento per il futuro, di cui ha la responsabilità e che tende oltre il sé e la sua finitezza. Tale libertà è un’esperienza di responsabilità e relazionale, ma mai meramente tecnica. Accettiamo di farci coinvolgere, di dare una risposta e in questo modo di dare un senso. La generatività fa nascere qualcosa che ha e si dà tempo, in un mondo in cui tutto è istantaneo, gli si dà uno slancio di lungo periodo. Da questo ne consegue che chi genera, oltre a far esistere e prendersi cura, lascia il tutto a disposizione degli altri, senza che questo ponga fine alla sua responsabilità. Nell’analizzare a condizione del soggetto Ricoer distingue tra l’identità medesimezza e ipseità. La prima afferma che la nostra biografia è qualcosa di sostanziale che permane nel tempo, che non muta. La seconda è più legata alla relazione tra il sé e l’altro, e quindi più connessa con la vita. Per Ricoer la libertà si riferisce ad un individuo che è una forma avente una sua struttura relazionale e dialogica, che è vulnerabile alla frammentarietà: non nel senso della dispersione, quanto ad una pluralità di sguardi sul mondo. L’individualità è quindi in costante relazione con l’ambiente, senza che questo elimini il sé. L’individualità intesa come forma salvaguarda sia la continuità e la permanenza, sia l’elemento dinamico e del cambiamento proprie della vita. La libertà generativa trova la sua espressione nell’uscire da sé stessa pur rimanendo sé stessa, eliminando il rischio che essa venga frammentata e assorbita dal sistema. La vita è individuale e allo stesso tempo inestricabilmente sociale, tanto che Simmel parla di uomo intero, per indicare da un lato la correlazione tra ragione e sensibilità, tra logos e pathos, e dall’altro il fatto che un individuo non può essere compreso eliminando tutti i legami che ha con il sociale. Dall’espansione all’eccedenza Tecno-nichilismo si è sviluppato secondo una logica espansiva, per lo più quantitativa, basata sull’eliminazione del limite, degli aspetti qualitativi e dello slegamento. Tutto ciò ha portato ad una forte mobilitazione individualistica. Il risultato è l’indebolimento di quella libertà che si era promesso di difendere. La libertà generativa ci allontana da tutto questo e ci spinge verso un’eccedenza qualitativa: la vita reale è sia la vita come forma, sia quella dell’auto-trascendenza. Qui, il valore ritrova il suo significato spirituale. Il valore è la facoltà dell’uomo di introdurre una differenza qualitativa, che è l’atto spirituale per antonomasia. E’ un atto personale, responsabile e libero, perciò spirituale. Ciò che ci ha insegnato la crisi è che non si può togliere dal valore la componente qualitativa, e infatti la libertà generativa ha capito che l’esistenza come realtà non si basa su una pluralità quantitativa, ma sull’unicità qualitativa. Essa chiama in causa la dimensione spirituale con i suoi connotati: espressività, qualità e relazionalità. L’eccedenza è propria della vita ed è contrassegnata da queste dimensioni. La differenza tra espansione ed eccedenza è che la prima finisce per aver bisogno dell’eccesso, la seconda invece, riconoscendosi nel suo limite e assumendolo in quanto tale, non procede per mera addizione, ma genera qualcosa di nuovo. Le tre dimensioni si uniscono in un’unità uniforme trascendendosi, non rimanendo giustapposte, ma rimanendo differenti pur nella loro correlatività, e pertanto generative di qualcosa di nuovo. Lo spazio della trascendenza della vita assume qui la fisionomia dell’eccedenza, che rimane tale senza debordare nell’eccesso. E’ proprio il passaggio dall’espansione all’eccedenza che porterà all’uscita dal tecno-nichilismo. L’eccedenza non si accontenta di rimanere inerte o di prendere forme distruttive, ma avvia una dinamica donativa, eccedente, che va al di là del mero calcolo strumentale. L’essere umano non un elemento granitico, fisso, stabile, ma vive inserito in vari ambiti di appartenenza e si rivela nell’intreccio delle relazioni che ha con l’altro. Un soggetto non è definibile mediante l’assolutizzazione di una sola dimensione, ma a partire dalla correlatività di tutte le dimensioni, anche se tra loro contrapposte ed in tensione, ma mai contraddittorie. Simmel dice che per quanto ci impegniamo ad eliminare il legame con l’altro, noi nasciamo con un debito nei confronti dell’altro: un debito di gratitudine. Tutti siamo indebitati con gli altri, ed è su questa base che si formano le società umane. Collocata dentro l’eccedenza della vita, la libertà generativa contempla ed accetta il suo limite, riuscendo così a superare l’equivalenza sia economica che culturale, e riaprendo la generazione del valore. CAPITOLO 4 Crescita e valore Che cos’è la crescita nelle società avanzate? E con che modalità è ottenibile? Queste le domande di fondo che ancora rimangono da chiarire. Un modo per rispondere è: essere competitivi, ma questo è senz’altro insufficiente ed impreciso, poiché con società indebitate e povere, come si può puntare sulla concorrenza? Bisogna interrogarsi sulle condizioni strutturali e culturali del sistema e da lì ripensare ad un nuovo modello, senza ricadere nei fallimenti del tecno-nichilismo. Dobbiamo trovare un modo per saldare tra loro il piano soggettivo, economico, sociale ed istituzionale. Come abbiamo visto nel capitolo 3, serve una crescita di nuova generazione. Quando parliamo di crescita intendiamo un’attitudine trascendente propria dell’uomo, che negli ultimi decenni è stata fatta coincidere con l’espansione e la moltiplicazione di opportunità. La crescita non è da demonizzare, ma da riqualificare. La grande contrazione fa paura, perché si è scambiato l’espansione per l’eccedenza. La crescita deriva dalla capacità umana di desiderare, cioè di auto-trascendersi. La vera alchimica della crescita delle società avanzate è il modo di combinare storicamente e istituzionalmente il desiderio e la capacità di conoscenza ed innovazione. La crescita è indispensabile, soprattutto dato il grande livello di apertura che il tecno-nichilismo ha portato. L’apertura, esprime l’impossibilità a rimanere statici e in orizzonti chiusi. Per questo, la crescita è anche una questione spirituale, come già aveva notato Weber: senza spirito non si può avere crescita. La crescita di nuova generazione deve andare oltre e riformare le condizioni della prima globalizzazione, meramente espansiva, e più qualitativa. Bisogna creare le condizioni per una nuova “economia psichica”, meno dissipativa e distruttiva, e più costruttiva e relazionale. Bisogna quindi passare dall’espansione all’eccedenza: da una crescita solo quantitativa ad una più qualitativa, delineare una libertà che riconosce la sua capacità relazionale e di accettare il limite della forma, pur rimanendo sempre aperta al suo superamento. Dobbiamo comprendere che la volontà di potenza, non si traduce solo in acquisizione quantitativa, ma deve alimentare la capacità di valorizzare dimensioni diverse dell’essere umano, considerandole come inscindibili l’una dall’altra. Lipovetsky definisce la nostra era come l’era dell’iper-consumo, nel senso che la crescita ha puntato sempre più su un continuo ricorso al consumo, anche quando non se ne hanno le possibilità: consumo a debito. La dimensione immateriale, che era affiorata negli anni ’60, è stata soppiantata dal consumo, perdendo le sue potenzialità. La crescente pervasività del consumo ha plasmato le abitudini quotidiane delle persone, portando all’inversione del lavoro a favore del consumo. Ma l’iper-consumo non ha mantenuto le sue promesse, poiché esso porta sempre ad una svalorizzazione, vuoi perché per effetto di sostituzione siamo sempre portati al consumo o vuoi per l’erosione delle sue stesse basi a causa della perdita del lavoro e dell’abbassamento dei salari. Sembra così trovare conferma il paradosso di Easterlin, secondo cui, oltre un certo livello di benessere, la relazione tra consumo e grado di soddisfazione viene meno. L’insoddisfazione crescente, la si nota già da alcuni anni in alcuni e nuovi comportamenti di consumo, mirrati a soddisfare una crescente richiesta di valorizzazione del contesto ambientale e sociale. Il nuovo protagonista del consumo non è più schiavo acritico del consumo, ma è impegnato e critico, che rivede i suoi modelli di consumo e che rende l’acquisto un atto etico. La crisi induce a comportamenti che meritano di essere analizzati, poiché richiamano in causa la salvaguardia del valore, ancora prima del mero inseguimento della soddisfazione individuale, e che pendono sempre più verso una ponderazione del consumo. Questi comportamenti sono 4: • Il controllo della spesa: ridurre la spesa, soprattutto per gli ambiti più discrezionali (vacanze); • La sostituzione solo se necessario: soprattutto per beni durevoli e costosi. Il consumo non è più emotivo ma ragionevole; • Il fai da te; • La caccia all’affare: consumatori sempre più attenti alle offerte e più critici rispetto al beneficio di un determinato bene. La crisi porta ad un consumo più attento e razionale, e al contempo si ha il rischio che questi comportamenti portiano ad una spirale depressiva. Per questo, è importante che le imprese facciano uno sforzo per calibrare le loro offerte con una promozione attraverso tutti i canali di comunicazione. Ciò che è da tenere a mente, è che questi comportamenti diventeranno tendenze e si stabilizzeranno e diffonderanno. Piuttosto che riattivare il consumo inconsapevole dei cittadini, non è forse meglio puntare su questi nuovi comportamenti che mirano al valore? Segnali di cambiamento si vedono anche dal lato delle imprese, messe a dura prova dalla grande contrazione. Riaffiora in maniera sempre crescente il tema della responsabilità sociale dell’impresa, che ha bisogno di avere una relazione con l’ambiente sociale ed istituzionale nel quale opera. Si intravedono negli ultimi anni nuovi fenomeni, che confermano il crollo della legittimazione del capitalismo manageriale azionario. Si assiste ad un riposizionamento delle imprese su un modello più attento alle dimensioni sociali ed ambientali puntando alla loro valorizzazione. Si delineano così i parametri della buona azienda, che sono 6: • Centralità delle finalità e dei valori, che proteggono dall’incertezza e dal cambiamento; • Orientamento al medio-lungo periodo, secondo l’idea di sviluppo sostenibile; • Stimolare le motivazioni intrinseche e di promuovere la regolazione orizzontale; • Attenzione per la dimensione sociale, vista come via per apprendere ed innovare; • Valorizzare le risorse umane; • Partnership pubblico-privato, per interessi delicati. A queste si aggiungono anche: • Capacità di innovazione tecnologia ed organizzativa attraverso l’investimento in ricerca e lo sviluppo del know-how; • Leva economi-finanziaria è risorsa irrinunciabile per strategie di sviluppo ad ampio raggio; I vantaggi si hanno anche per le imprese ed il benessere: essi sono estremamente collegati, poiché la competitività di un’impresa dipende dal valore aggiunto che attinge dal contesto circostante. Il valore condiviso può realizzarsi solo se la relazione tra stato, mercato e società viene ripensata in quello che può essere chiamato: nuovo spirito di alleanza. Alleanza, che etimologicamente contiene il senso di legare, significa prendere sul serio i limiti di una mobilitazione individualistica. L’alleanza è per definizione qualcosa che va concepito a confine, con un dentro e un fuori. Senza confine non si ha alleanza: ruolo importante del territorio che deve più che mai sviluppare la sua relazione con i clusters, per aumentare l’efficienza complessiva. In più, l’alleanza ci ricorda che siamo in relazione con un mondo più ampio, che non deve essere visto come minaccia, ma come interlocutor e stimolo. Nella seconda globalizzazione l’obiettivo dell’alleanza non è la chiusura ma un’apertura relazionale. Allearsi vuol dire lo scambio con cerchie più ampie senza perdere la consistenza interna. Non è possibile produrre valore senza entrare in relazione con l’altro, cosicché più ampliamo le relazioni, più scateniamo la forza generativa dell’alleanza. L’obiettivo dell’alleanza è creare nuovo valore, non in senso solo economista, ma di interesse comune, nel senso che il valore è quello che si decide di far esistere insieme. Come tali questi valori non sono astrazioni ma diventano concreti, per il benessere e lo sviluppo della comunità. Per poter durare l’alleanza deve superare la prova della realtà, riuscendo ad avere riscontri tangibili nei fatti, infatti allearsi vuol dire constatare i vantaggi che la comunanza offre. Il capitale stesso è frutto di alleanze, è socializzato. In un contesto così, c’è bisogno di un soggetto collettivo che sia in grado di coordinare e regolare le attività, che deve agire su 2 piani: quello dell’universalizzazione, cioè la creazione di condizioni comuni, e quello promozionale, che consiste nell’intervenire rispetto a situazioni inadeguate. Assumono così maggior importanza lo stato e l’amministrazione, che però pongono anche problemi come: la corruzione, il clientelismo e lo spreco. Le imprese, d’altra parte, restano la forma organizzativa che è più capace di ricomporre le esigenze di efficienza tecnica con la domanda di espressione del senso. Appare quindi un tempo propizio per rinegoziare il rapporto tra imprese e territorio. Altrettanto importante è la società civile, vero generatore dello sviluppo e portatore delle risorse umane. L’alleanza presuppone l’idea che la vera società civile stia nelle soggettività del tessuto civile locale in connessione tra loro. Si delinea così un sistema a 3 motori: • Le imprese che fungono da traino; • La società civile formata da vari legami e relazioni con l’ambiente e con l’altro; • Lo stato e l’amministrazione che han compiti di universalizzazione ed equità. Dopo decenni di individualismo ed autonomia riemergono nuove sensibilità e bisogni, più collettivi. L’impianto della nuova alleanza fondato sulla spinta generativa ed il valore condiviso, può trovare un’espressione concreta in quei beni che vengono classificati come beni ad elevato contenuto relazionale, contestuale e culturale. • Beni ad elevato contenuto relazionale: Sono beni che possono essere posseduti solo attraverso intese reciproche che vengono in essere dopo appropriate azioni congiunte. Non possono essere né prodotte né consumate da un solo individuo, poiché dipendono dalle modalità delle interazioni con gli altri e possono essere goduti solo se condivise nella reciprocità. Il valore dell’altro non è dato solo dal suo esistere, ma anche dal fatto che senza non potrei esistere nemmeno io. Un es. è la famiglia. Se favoriamo questi beni, avremo un aumento della qualità della vita e la produzione di altro valore, che seppur non subito monetizzabile, contribuisce a risolvere in modo sostenibili vari problemi finanziari ed umani. Questi beni sono importanti anche perché creano le condizioni per forme di scambio a somma positiva, innescando una dinamica di fiducia reciproca. Lo strumento fondamentale è quello delle relazioni industriali; • Beni ad alto contenuto contestuale: Beni che mirano a migliorare la qualità del contesto in cui si svolgono le attività. Molti di questi beni sono pubblici, e quindi indivisibili, non-rivali e non-escludibili. Essi richiedono l’impegno dello stato, anche se ora da solo non può far molto e bisogna trovare soluzioni nuove. La prima è l’assunzione di responsabilità da parte di tutti gli attori di situazioni, che sfuggono all’intervento statale (Inquinamento ambientale). La seconda consiste nei beni di localizzazione, tutto l’apparato, i clusters che circondano e supportano un’impresa: altre imprese, fornitori, università… La terza passa per la nozione di bene comune, ovvero la capacità di determinate di comunità di produrre un bene che le accomuna e che richiede la partecipazione di tutti. Tutte queste soluzioni colmano la mancanza d’interesse del tecno-nichilismo, rispetto ai problemi contestuali. • Beni ad alto contenuto culturale: Sempre più importanti per effetto di 2 spinte. La prima nasce dallo slegamento sul piano del senso e dei significati. La seconda nasce dalla necessità di mettere a frutto le potenzialità comunicative e cognitive delle società avanzate. Con internet, siamo esposti ad un incredibile accesso comunicativo, che creano un continuo ricomporsi dei significati. Proprio la capacità di generare senso e di valorizzare i legami sociali può profilare un nuovo modo di riconnettere funzioni e significati al nodo di un valore condiviso. Altro aspetto è guardare a come il patrimonio cognitivo viene messo a valore. Visto che la conoscenza si amplia a velocità estreme, si rischia di non essere mai al passo e di creare nuovi analfabeti. Bisogna quindi creare un0interfaccia tra sistemi tecnici e sociali, per contrastare la produzione di informazione senza conoscenza. Questi 3 tipi di beni indicano percorsi di innovazione diversi tra loro, ma solo orientando l’innovazione verso la piena valorizzazione di questi tre contesti si tornerà a produrre valore e crescita Dobbiamo mirare a economie della contribuzione, per indicare comunità che creano valore condiviso al loro interno. Necessitiamo di una forma di capitalismo più sofisticata ed impregnata di finalità più sociali. Democrazia, potenza, valore: per una stagione di innovazione istituzionale La fase storica che porta alla crisi del 2008 vede la democrazia come protagonista, e tuttavia, nel momento del suo successo entra in difficoltà. Si ritrova ad affrontare 3 ordini di problemi: • Squilibrio tra gli assetti democratici e quelli globali: i primi lenti e limitati, i secondi rapidi e privi di vincoli spaziali; • Smottamento del potere democratico, che mette in discussione le basi della democrazia: la consapevolezza dei limiti democratici porta alla delegittimazione delle istituzioni stesse viste come poco efficaci; • Democrazia vista come costo e lenta nel prendere decisioni: si ha il rischio che la democrazia ceda sotto ad altre forme istituzionali. Si tratta di una sfida a trovare nuovi modelli istituzionali coerenti con la tradizione democratica. La logica della prima globalizzazione è stata quella di una concorrenza disancorata dai luoghi culturali ed istituzionali, che puntava alla conquista di quote di mercato ovunque. Da qui è derivato lo sganciamento dell’economia dalla società, che porta a effetti collaterali. Si è arrivati alla deregulation, che si basa sulla fiducia che gli apparati tecnici possano autoregolarsi. E così, con l’espansione della potenza, si è cercato di espandere la libertà individuale, ma è proprio la potenza a divenire il nemico delle democrazie. Dopo lo slegamento occorre riaffermare l’importanza del limite per la crescita, e la relazionalità. Tutto ciò, porta a sperare che nella seconda globalizzazione il ruolo della politica tornerà centrale, nell’adozione di misure di stabilizzazione che di regolamentazioni. Ma le regolazioni che tutti demandano, comporta un limite alla potenza, ma questo è necessario per andare oltre il tecno-nichilismo. Occorre vedere il limite delle regolamentazioni non solo come un freno, ma un’opportunità per rialzarci e per ristabilire un nesso tra economia e società. Per quanto possa essere un processo lungo e faticoso, occorre trovare nuove forme di governance regolativa, poiché per essere esportata, la democrazia deve essere giusta ed efficiente. La radicale individualizzazione costituisce la ragione del malessere in cui ci troviamo, perciò se non si riconsiderano anche gli assetti statuali e democratici, nessuna innovazione sarà efficace. La mediazione parlamentare, non ha più effetto per 2 ragioni: la prima è che lo stato agisce in maniera lenta e non sta al passo con la velocità delle trasformazioni contemporanee. La seconda è che la sua dimensione territoriale, compromette la sua capacità di agire a livello planetario. Ciò però non deve portare alla fine dello stato, perché esso appare centrale per la mediazione tra le esigenze della popolazione e le logiche del sistema tecnico. Il mercato, è del tutto inefficiente per quanto riguarda l’aspetto sociale e ad affrontare il tema della pluralizzazione dei significati. Lo stato, seppur con i suoi problemi, rimane un fattore di ricomposizione sempre più richiesto, solo che da solo non è nelle condizioni per vincere questa sfida. La città generativa offre allora 2 spunti: • Il principio di sussidiarietà: bisogna riformare e riequilibrare il differenziale di velocità e di spazialità. Per far questo si fan intervenire livelli di governo superiori là dove non ne esistono di inferiori. Per questo sarebbe opportuna una regolazione su scala globale (ONU) e la formazione di aree di cooperazione ed integrazione commerciale, politica e culturale (Unione Europea). In più una maggior uniformità degli assetti statuali a livello mondiale. La sussidiarietà si basa poi sulla creazione di una partecipazione attiva, da parte di cittadini responsabili; • La poliarchia: più la società diventa articolata, più si ha la necessità di moltiplicare i luoghi e le forme di partecipazione, superando il modello univoco del parlamentarismo classico. Questo per 2 motivi: il primo è che così si raggiunge maggior efficienza, il secondo è che si ha una risposta più efficace alla crescente domanda e capacità di partecipazione da parte della società. Oltre alla visione sussidiaria e alla poliarchia si aggiunge un terzo tassello. Strutturare la società su 3 pilastri: pubblico, privato e civile, che interagiscono tra loro. Il civile permette all’impresa di svincolarsi dal suo essere solo elemento economicista, creando un nesso con la società. Per tornare a far produrre valore all’impresa bisogna rompere con due modelli tecno-nichilisti: • Tornare ad un modello manageriale classico, in cui si ha separazione tra manager ed azionista; • Valorizzare il pluralismo delle forme d’impresa, che porta un contributo nella realizzazione del valore condiviso, per varie ragioni. Le varie forme forniscono beni qualitativamente diversi, porta ad una maggiore concorrenza e quindi riduce la cronica imperfezione dei mercati, rafforzandone la capacità di essere al servizio della società, creano posti di lavoro, rende ancora più concreta la trasformazione del contributo di ognuno, n valore. Altro punto di riflessione per le democrazie è la riorganizzazione del sistema del welfare, per molti visto come un costo elevato e basta, ma che in realtà non è così. In più, l’idea di protezione rinvia a qualcosa più del singolo, alla condizione di fragilità che ci accomuna e che non possiamo eliminare. La protezione collettiva è realizzabile e sostenibile solo nel quadro di una mediazione tra il polo individualista e quello collettivo, attraverso un’alleanza. I sistemi di welfare affrontano una duplice sfida: da un lato devono gestire un clima sociale ostile, dove prevalgono sfiducia, opportunismo ed individualismo. La crisi ci mostra come fragili e diseguali, e per molti il welfare ha finito per stimolare un individualismo accentuato. Sono state sovvertite le premesse del welfare: anziché sostenere la socialità, esso ha finito per indebolirla e assoggettare quote sempre maggiori della vita delle persone all’efficienza performativa. Oggi il welfare deve combattere contro lo slegamento relazionale, che mira alle sue basi. Garantire a tutti la sicurezza si scontra con disfunzionalità tecniche, aumento dei costi, spegnimento delle risorse collettive. A questo si possono trovare 2 indicazioni. • La capacitazione: capacitante è l’insieme di tutte le alternative che una persona ha veramente davanti a sé, compreso tutto ciò che è in potenza ed in atto. E’ la capacità del singolo di fare cose e scelte a cui dà valore. E’ un progetto sociale ed un valore, ed il welfare dovrebbe essere ripensato in quest’ottica. Deve trasformarsi in dispositivo abilitante e non riparativo. • Ruolo della socialità nel mobilitare risorse umane e finanziarie, nell’innovare modelli organizzativi. La strada innovativa va nella direzione della creazione di nuove forme di mutualità che portino ad una riorganizzazione del sistema di protezione, e non nel senso di una privatizzazione, ma di rilegatura del sociale. Solo così, il welfare può tornare ad essere un luogo generatore di valore, innalzamento della qualità di vita e riduzione del costo. Un nuovo immaginario della società orizzontale
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved