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LA QUESTIONE INDUSTRIALE: TECNOLOGIA E CONSENSO , Schemi e mappe concettuali di Sociologia Dell'organizzazione

Prima parte del libro STORIA DEL PENSIERO ORGANIZZATIVO di BONAZZI. Dal taylorismo al post - fordismo.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2016/2017

Caricato il 04/01/2017

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Scarica LA QUESTIONE INDUSTRIALE: TECNOLOGIA E CONSENSO e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Sociologia Dell'organizzazione solo su Docsity! LA QUESTIONE INDUSTRIALE: TECNOLOGIA E CONSENSO STORIA DEL PENSIERO ORGANIZZATIVO – BONAZZI PRIMO CAPITOLO - L’ORGANIZZAZIONE SCIENTIFICA DEL LAVORO, OVVERO IL TAYLORISMO 1. TRE PUNTI PRELIMINARI Tre sono i punti preliminari che in un’analisi del taylorismo conviene sottolineare: 1. IL SUCCESSO STORICO DEL TAYLORISMO HA FATTO ENTRARE QUEST’ESPRESSIONE NELL’USO CORRENTE: parlare di taylorismo evoca un’idea al contempo negativa ed efficientista, che designa lavori ripetitivi, parcellari e standardizzati, dove la mancanza di discrezionalità e di contenuti intelligenti è imposta come condizione necessaria per ottenere una produzione più intesa ed uniforme. Questo usi corrente non tiene conto dell’ambivalenza che il taylorismo portava con sé nel suo processo di affermazione storica. 2. L’ABBANDONO DELLE FORME Più ASPRE DI TAYLORISMO A CUI ASSISTIAMO IN QUESTI ANNI SI ACCOMPAGNA ALL’ATTENUARSIDEL DIBATTITO SUL SUO SUPERAMENTO. Questo favorisce la presa di coscienza della storicità del taylorismo, ovvero che a dispetto della sua pretesa di presentarsi come un corpus di principi definitivi e universali, esso non è stato che un episodio all’interno della storia dell’industria. Ma storicità significa anche riconoscere che nel corso delle sue concrete applicazioni, il taylorismo ha presentato una molteplicità di forme, dalle più autoritarie e vessatorie a quelle più sofisticate e sottili. 3. RIGUARDA DUE ASPETTI DELLA VITA DI TAYLOR:  FU UN INGEGNERE IMPEGNATO IN INNOVAZIONI TECNICHE, a lato di quest’attività egli sviluppò una proposta di management scientifico che investì molteplici aspetti gestionali, organizzativi e contabili dell’azienda; e che solo una parte della sua opera, e nemmeno quella più importante, riguardò la riorganizzazione del lavoro operaio. Taylor non può essere considerato un sociologo, eppure a causa del carattere scientifico che volle imprimere al management e al lavoro umano, ebbe la ventura di divenire uno dei personaggi più citati nella sociologia del lavoro e nell’industria.  TAYLOR NON OPERò DA SOLO MA ALL’INTERNO DI UN MAMAGEMENT SISTEMATICO CONTRO L’EMPIRIA CORRENTE. Tuttavia molte sue idee furono deformate o applicate solo in parte. Da un lato esiste il problema storiografico di distinguere quanto risale a lui, dall’altro va riconosciuto che proprio la radicalità delle sue convinzioni fecero sì che il suo nome prevalse su tutti. 2. IL CONTESTO STORICO IN CUI NACQUE IL TAYLORISMO Il motivo storico che spiega il sorgere di un movimento per la rivoluzione manageriale sta nella percezione di una non più tollerabile contraddizione tra le potenzialità produttive di un’industria ormai alle soglie della produzione di massa e i metodi ancora arcaici della sua conduzione. Il motivo del successo che ebbe la versione tayloristica fu la DETERMINAZIONE di perseguire tre obiettivi interconnessi: - ACCENTRARE E RAZIONALIZZARE LE LINEE DI AUTORITà ALL’INTERNO DELL’IMPRESA; - AUMENTARE LA PRODUZIONE E IL RENDIMENTO DI UOMINI E IMPIANTI ANCHE ATTRAVERSO LA TRASPARENZA TOTALE DI COSTI, PROCEDURE, TEMPI E METODI DI LAVORO - USARE LA SCIENZA COME BASE LEGGITTIMALE DELLE NUOVE PROPOSTE. Nel complesso si può dire che Taylor si prefiggeva una rivoluzione sia nel modo di lavorare che nel modo di comandare. I requisiti che avrebbero permesso di imboccare la strada di una moderna produzione su larga scala sono: o Progressi tecnico – scientifici o Dimensione degli impianti o Tipo di manodopera o Espansione del mercato. 2.1 I PROGRESSI TECNICO – SCIENTIFICI Fine 800. Macchine e apparati esprimevano una fase matura del macchinismo industriale. Scienza e tecnica permettevano di progredire lungo 3 dimensioni fondamentali per una produzione industriale moderna: - STANDARDIZZAZIONE DEI PRODOTTI E MEZZI DI PRODUZIONE, resa possibile dal perfezionamento dei metodi di misurazione; - PRODUZIONE SISTEMATICA DI PEZZI INTERCAMBIABILI, sia per prodotti finiti complessi che per macchine utensili; - PROGRESSIVA SPECIALIZZAZIONE DELLE MACCHINE UTENSILI. 2.2. CRESCITA QUANTITATIVA DEI COMPLESSI INDUSTRIALI Espansione produttiva e fusione tra imprese facevano imboccare la strada che avrebbe condotto al gigantismo industriale. La concentrazione di manodopera nei grandi stabilimenti cominciava a porre problemi organizzativi nuovi per i quali non potevano valere le vecchie soluzioni di origine artigianale. 2.3. OFFERTA DI FORZA LAVORO NON QUALIFICATA E ALTA MOBILITà Il proletariato non era più sufficiente a soddisfare il crescente bisogno di forza lavoro, e si ricorse così, al reclutamento dalle masse contadine e stranieri immigrati. Ciò diede origine ad un’ imponente offerta di lavoro dequalificato. La manodopera era anche mobile sia perché le imprese non garantivano alcuna sicurezza di impiego sia perchè i lavoratori erano sempre alla ricerca di un lavoro migliore. Il continuo ricambio acuiva il problema del rapido apprendimento di elementari procedure di lavoro. 2.4. LE PERCEPITE POTENZIALITà ESPANSIVE DEL MERCATO La variabile strategica per battere la concorrenza era la riduzione dei costi più che la qualità e l’innovazione dei prodotti. Indovinata la formula di un prodotto, la sua fabbricazione poteva continuare per anni senza grosse varianti. Questo avrebbe poi trovato piena attuazione quando il fordismo si presentò come un’applicazione originale dei principi tayloristici in condizioni di elevata rigidità tecnologica. 3. I SISTEMI TRADIZIONALI DI CONDUZIONE AZIENDALE: EMPIRIA E ARBITRIO Questi punti di forza contrastavano con le pratiche di produzione all’interno delle officine , rimaste agli standard tecnici e culturali di un’epoca precedente. L’intera gestione del processo produttivo era delegata ai capireparto (FOREMEN) a cui spettava la maggior parte dei poteri e delle responsabilità in tre campi fondamentali: - stabilire tempi e metodi di produzione, - accertare costi e qualità del lavoro, - assumere e licenziare la manodopera. La concentrazione del potere nei capireparto non solo impedisce alla direzione aziendale di conoscere le fasi interne al processo produttivo, ma comporta empiria, approssimazione e arbitrarietà dei metodi di conduzione dell’officina. Veri e propri atti di arbitrio e corruzione si stabilivano nei rapporti tra capi e operai. Il sistema con ci si otteneva la produzione in fabbrica era conosciuto come DRIVE SYSTEM. Gli operai erano sempre spinti a muoversi più in fretta e a lavorare più duramente; la politica era quella di ottenere efficienza non premiando ne merito ne cercando di interessare gli uomini al proprio lavoro. La nota fondamentale del drive system era di ispirare nell’operaio reverenza e paura del management. operaio, ma favorirono anche la formazione di una larga fascia di addetti macchine, cioè operai semi-qualificati (semiskilled), capaci di alimentare le macchine, metterle in moto e arrestarle. Taylor è consapevole che il Task Management scatenerà l’opposizione della manodopera e, per far accettare il nuovo metodo, egli propone una politica di alti salari da erogarsi in modo diverso dal cottimo. Nel cottimo il lavoratore è stimolato a fare più in fretta, nell’Organizzazione scientifica del lavoro egli deve eseguire rigorosamente quanto è prescritto con premi di rendimenti per chi esegue i metodi previsti 2. selezione e addestramento scientifico della manodopera Per qualsiasi tipo di lavoro, esistono operai di prima categoria e solo utilizzando questa tipo di operai è possibile pervenire ad un’organizzazione scientifica del lavoro. Il presupposto è che ogni uomo è di prima categoria per qualche genere di lavoro; non c’è nessun uomo che possa svolgere ugualmente bene ogni lavoro, e al contempo non c’è nessun uomo che non sappia essere di prima categoria in almeno un lavoro. Sono i tecnici dell’Organizzazione scientifica del lavoro che devono pervenire ad un’allocazione razionale dei ruoli lavorativi. 3. instaurazione dei rapporti di stima e di cordiale collaborazione tra direzione e manodopera Il meccanismo principale per ottenere il consenso operaio all’Organizzazione scientifica del lavoro è la ricompensa economica. I rapporti personali tra datori di lavoro e manodopera devono essere continuamente mantenuti; è soprattutto desiderabile che i superiori parlino agli operai ponendosi al loro livello. È preferibile che i dipendenti vengano rimproverati piuttosto che lasciati per giorni senza una parola. All’epoca di Taylor era adottata la pratica del closed shop in base alla quale i sindacati che organizzavano gli operai di mestiere riuscivano ad imporre alle aziende di assumere i propri iscritti. Taylor che in genere è contrario al sindacato, si batte contro questa pratica che mette un vincolo alla libertà di impresa. 4. distribuzione uniforme del lavoro e delle responsabilità tra amministrazione e manodopera L’efficienza di un’officina non dipende solo dalle sue ristrutturazioni interne, ma dalla radicale riorganizzazione dell’intero apparato direttivo d’impresa: a. Nelle fabbriche tradizionali di solito vi è penuria di personale dirigente, così i pochi capi sono oberati di lavoro di vario genere, questo li costringe a non terminare i lavori nei tempi previsti o a svolgerli a costi non economici. b. I capi cercano di superare la difficoltà scaricando parte dei compiti sui propri subalterni, ma questa devono già svolgere i loro compiti. c. Vi è una struttura gerarchica di tipo militare. L’unico modo per risolvere il problema è organizzare l’azienda in modo da restringere l’arco delle responsabilità affidate ai singoli soggetti. Se per gli operai la riorganizzazione è l’omogeneizzazione nella fascia dei semi-skilled, per la gerarchia di officina le conseguenze sono: o restringimento campi competenza o ancoraggio prestazioni a norme e procedure prestabilite dalla direzione centrale o aumento numerico dei quadri intermedi La direzione tradizionale basata sulla linea gerarchica militare viene sostituita dalla direzione funzionale: gli operai non obbediscono più ad un solo capo, ma ricevono ordini e sono controllati da vari superiori, ciascuno dei quali si occuperà di un aspetto particolare del lavoro. La massima dirigenza interviene soltanto nei casi eccezionali dove non è prevista competenza a livello inferiore. 7. L’ONE BEST WAY E IL PRIMATO DELL’IMPRESA L’Organizzazione scientifica del lavoro si presenta dunque come una costruzione organica e capillare, volta ad affermare il primato assoluto dell’organizzazione d’impresa su ogni componente sociale che vi lavora. Questo primato trova la propria legittimazione nel ricorso alla scienza, in particolare nell’ one best way. Esso consiste nel presupposto che per ogni problema esiste sempre una sola soluzione ottimale, e che tale soluzione può essere raggiunta soltanto mediante l’adozione di adeguati metodi scientifici di ricerca. L’one best way trova soluzioni neutrali, superiori agli interessi di parte; è un imperativo universale cui devono sottostare tutti i dipendenti e datori di lavoro. Per condurre un’impresa in modo moderno occorre affermare la sovranità assoluta dell’impresa su tutti i soggetti che operano al suo interno, con la totale trasparenza di ogni costo e di ogni atto produttivamente rilevante. Taylor in nome della scienza afferma il primato dell’organizzazione che per lui è sinonimo di centralizzazione delle decisioni, programmazione meticolosa, eliminazione degli arbitri dei singoli. SECONDO CAPITOLO – DOPO TAYLOR. NASCITA E FORTUNA DELLE “RELAZIONI UMANE” 1. CRITICA E SUPERAMENTO DEL TAYLORISMO. TRE CHIAVI DI LETTURA L’osl non è soltanto un modo di organizzare il lavoro operaio ma esprime una concezione organizzativa completa. Nel corso di questo secolo sono state elaborate tre chiavi di lettura: 1.1. IL TAYLORISMO COME SFRUTTAMENTO La prima chiave di lettura sviluppata da correnti operaie critica il Taylorismo in quanto strumento utile ad intensificare lo sfruttamento del lavoro operaio. Si possono distinguere due posizioni:  CRITICA MARXISTA (Braverman): il taylorismo viene visto come l’espressione organica del capitalismo monopolistico. Vi è una tendenza storica verso la progressiva degradazione del lavoro umano che vede la separazione tra lavoro intellettuale e manuale. Questa prospettiva può essere eliminata solo con la fine del capitalismo.  CRITICA UMANISTICA (Friedmann): Friedmann trova come soluzione non la conquista del potere da parte degli operai, ma piuttosto il recupero del significato del lavoro. Tutti si devono impegnare affinché il lavoro abbia triplice valorizzazione: intellettuale ripristinando contenuti intelligenti, morale riconoscendo diritti e dignità, sociale sviluppando una cooperazione comunitaria nell’azienda. Si può far risalire anche una terza posizione di ispirazione NEO MARXISTA che sviluppa il tema della crisi della razionalità nel tardo capitalismo. Questa posizione demistifica la pretesa neutralità tecnocratica dell’osl dimostrando che la legittimazione dell’agire in nome della scienza è soltanto un’apparenza dietro la quale si cela la reale dimensione politica delle scelte conformi al potere costituito. 1.2. IL TAYLORISMO COME UTOPIA TECNOCRATICA Se la prima chiave di lettura sottolinea gli effetti devastanti del Taylorismo a livello fisico e psichico, la seconda chiave di lettura sottolinea che l’intento del Taylorista di arrivare ad una determinazione totale della condotta umana non è realizzabile. L’oggetto d’analisi si sposta dal lavoro operaio a quello burocratico. Ci si sposta dalla sofferenza degli operai e del loro lavoro disumano, alla noia e ottusità delle strutture burocratico-formali. 1.3. IL TAYLORISMO COME FORMLA CONTINGENTE La terza chiave di lettura del Taylorismo acquisisce come punto fondamentale la sua storicità, lo si vede solo come un episodio interno al più generale sviluppo dell’industria e dell’impresa moderna. Anche qui si possono individuare 3 principali componenti:  STUDI SUGLI EFFETTI CHE LO SVILUPPO DELLA TECNOLOGIA PRODUCE SUL LAVORO OPERAIO E SULL’ASSETTO ORGANIZZATIVO DELL’AZIENDA (Touraine)  TEORIA DELLA CONTINGENZA: contesta l’esistenza di un one best way immutabile e universale nella progettazione organizzativa e sottolinea la necessità che i ruoli di lavoro e le strutture dell’impresa cambino in funzione del maggior o minor grado di turbolenza dei fattori ambientali.  TEORIA DEI COSTI DI TRANSAZIONE: la necessità predicata da Taylor di pervenire ad una totale conoscenza dei processi interni di produzione può essere considerata come il prerequisito che consente il calcolo dei costi di transazione e quindi la scelta strategica di produrre all’interno dell’impresa o di rivolgersi all’esterno. 2. LIMITI TECNICI E CONCETTI DEL TAYLORISMO Un paradosso del Taylorismo è che mentre aumentava il suo successo nelle fabbriche, crescevano anche le voci che ne denunciavano limiti e ne reclamavano il superamento. L’Organizzazione scientifica del lavoro, il nuovo modo di organizzare l’officina, si presentava come un formidabile strumento per intensificare in modo meno arbitrario, ma non meno oppressivo, lo sfruttamento del lavoro operaio. Le critiche furono rivolte soprattutto alla mancata attenzione verso aspetti psicologici:  Errore del metodo di considerare i movimenti elementari dell’azione lavorativa anziché la sua totalità  errore di imporre dall’esterno ritmi, pause e modalità di lavoro che prescindono dalle condizioni psicofisiche del lavoratore  inattendibilità dei tempi ottenuti sottoponendo i lavoratori eccezionali a condizioni sperimentali eccezionali  pretesa di stabilire norme standardizzate per tutti senza tenere conto dei fattori particolari che definiscono le diverse personalità dei singoli lavoratori  approssimazione e pseudo scientificità di molte relazioni tra tipi di utensili, posizioni del corpo, ritmi da osservare  trascuranza degli effetti psico - nervosi che intervengono in lavori monotoni, privi di qualsiasi autonomia Un secondo ordine di critiche riguardava la troppo semplicistica formula tra semplice incentivo monetario ed esecuzione passiva di un lavoro senza senso. 5.1. IL FATTORE UMANO Elton Mayo sottolinea la necessità di una visione più completa del rapporto uomo-azienda, che recuperi il cosiddetto fattore umano, cioè l’insieme dei fattori psicologici latenti che condizionano il comportamento manifesto delle persone. Molti aspetti della condotta umana non possono essere considerati in termini puramente logici, ma richiedono il ricorso a fattori emozionali. Ne consegue che una maggiore attenzione dell’azienda alle esigenze psicologiche dei soggetti può essere efficace per il rendimento lavorativo che un semplice aumento della remunerazione. Mayo non contesta il metodo Tayloriano e il metodo scientifico, egli semplicemente obietta allo scientific management di non riconoscere il retroterra psicologico dei soggetti, regolato da pulsioni non conformi a criteri di razionalità. Mayo insiste sulla necessità di creare un ambiente di lavoro socialmente gradevole e armonico che soddisfi il “fattore umano”. L’intervento di psicologi aziendali può evitare che ansie e frustrazioni possano avere effetti negativi sulla disponibilità organizzativa del gruppo. Secondo Mayo chi protesta contro tale sistema è un disadattato per motivi psicologici. Spetta al management, mobilitare gli uomini per raggiungere i suoi programmi e contemporaneamente sviluppare politiche integrative capaci di soddisfare le esigenze emozionali degli individui. 5.2. L’ANOMIA DELLA SOCIETà INSUSTRIALE E LA FABBRICA COME ISTITUZIONE REINTEGRATRICE Mayo cerca di spiegare l’anomia delle società industriali con il concetto di anomia di Durkheim. L’anomia per Durkheim indica una condizione di allentamento delle norme morali che regolano il funzionamento di una società e si manifesta quando il primitivo ordine sociale viene alterato da fenomeni innovativi come l’introduzione di nuovi metodi di produzione, il troppo rapido aumento della ricchezza e la concentrazione di molte persone nello stesso spazio urbano. Al contrario una società non anomica è una comunità di piccole dimensioni dove i piccoli membri hanno una chiara identità sociale, conoscono il ruolo che la società gli conferisce. Mayo mostra nostalgia per questo tipo di società. I problemi posti dalla società industriale non possono essere risolti se non restaurando gli antichi valori morali. L’istituzione più tipica e vitale oggi è la fabbrica, che non può più disinteressarsi a questo problema; oltre a perseguire il profitto, essa deve preoccuparsi che non si sviluppino situazioni di conflitto. A tal fine la fabbrica deve impegnarsi in programmi sociali orientati a far si che i dipendenti si allontanino da tentazioni conflittuali, e sviluppino invece una identificazione emozionale con l’azienda, in quanto per Mayo, il rapporto dipendente - azienda è soprattutto emozionale e ricco di componenti psicoanalitiche essa deve garantire programmi sociali che assicurino una identificazione emozionale degli operai con l’azienda. Il lavoro deve essere riorganizzato riunendo gli operai in piccoli gruppi. Le officine, devono saper ascoltare, consigliare e consultarsi con gli psicologi d’azienda in modo da intervenire con tatto in situazioni delicate. 6. CONCLUSIONI. LE RELAZIONI UMANE COME LUBRIFICANTE DEL TAYLORISMO Con i vari esperimenti i risultati ottenuti furono contradditori. Si scoperse che esistevano tanto situazioni dove una bassa soddisfazione coesisteva con un alto rendimento, quanto situazioni in cui un’alta soddisfazione coesisteva con un basso rendimento. Da qui, l’esigenza di elaborare un altro e più complesso quadro teorico, capace di spiegare queste anomalie. Le Relazioni Umane, nonostante le critiche suscitate negli ambienti scientifici, riscossero un così prolungato successo perché, nel 20° secolo, il progresso tecnologico si manifestò in processi di crescente meccanizzazione, con fasi complete di produzione attenuate da sistemi di macchine integrate. Per quanto riguarda il controllo del lavoro umano, quelle innovazioni provocarono due principali effetti: spostamento dell’attenzione dalla incentivazione individuale al mantenimento della massima regolarità produttiva in funzione dei tempi stabiliti dalle macchine il progressivo declino del cottimo individuale e la comparsa di cottimi collettivi di squadra Queste tendenze significavano il superamento di due prescrizioni tipiche del proto- taylorismo: incorporazione nelle macchine di tempi e modi di esecuzione attenuava la necessità di ricorrere alla pura disciplina gerarchica come mezzo di controllo del lavoro operaio; dall’altro lato il lavoro di squadra veniva a prevalere sul lavoro solitario e individuale predicato da Taylor. Di fronte alla spersonalizzazione crescente del processo produttivo, diventava urgente per il management recuperare il consenso operaio puntando sulla personalizzazione dei rapporti gerarchici dell’officina. Il limite storico delle Relazioni Umane fu quello di non aver mai prodotto cambiamenti, il lavoro rimase sempre stupido e oppressivo, con le gerarchie intatte; loro però tentarono di avvolgere il tutto, con un’atmosfera di collaborazione e armonia. Le relazioni umane sono state una sorta di lubrificante per far funzionare meglio la macchina tayloristica. TERZO CAPITOLO – CHESTER BARNARD. L’AZIENDA COME SISTEMA COOPERATIVO 1. FONDAZIONE ETICA DELLA SOCIETà E MANAGEMENT NON PROPRIETARIO Chester Barnard si riflettono due cambiamenti: - progressivo declinare dell’individualismo utilitaristico a favore di una filosofia che considera la società come un’entità cooperativa regolata da principi morali. L’individualismo concepiva la società come una lotta alla sopravvivenza tra individui isolati che agiscono in base a calcoli utilitaristici. - il secondo cambiamento riguarda la classe dirigente e la progressiva distinzione tra proprietà e management, portando alla creazione di una figura sociale nuova: manager non proprietari. L’avvento dei manager non proprietarie l’esigenza di una fondazione etica dell’agire manageriale definiscono l’orizzonte teorico in cui Barnard si muove, traendo anche materia di riflessione dalla sua esperienza professionale di alto dirigente della Bell Telephone Company. 2. LA PARABOLA DEL MASSO. I FONDAMENTI DELL’AZIONE COOPERATIVA Nell'opera di Barnard “la funzione del dirigente”, l'uomo è un essere caratterizzato dal fatto di proporsi degli scopi per trasformare l'ambiente in cui vive, ma che sperimenta continuamente l'esistenza di limiti. Il modo più efficace per superarli è di passare dallo sforzo dell'individuo isolato alla cooperazione tra più persone. Nel momento in cui cominciano a cooperare per conseguire fini comuni, gli uomini entrano nella realtà delle organizzazioni formali. L'ambizione di Barnard è di sviluppare una teoria valida per qualsiasi tipo di organizzazione. Questo modo di procedere è rappresentato dal ricorso ad una parabola: Immaginiamo che un uomo stia viaggiando e si imbatte in un grande masso che gli impedisce di proseguire il cammino. La prima soluzione possibile è tentare di spostare il sasso da solo. Se il masso è talmente grande da non poterlo fare, il nostro uomo potrebbe aspettare che arrivi qualche altra persona interessata a togliere il masso per rimuoverlo insieme. Siamo di fronte al tipo più semplice di cooperazione, dove il FINE COMUNE COINCIDE CON I FINI PERSONALI. Qui è importante quello che l’uomo pensa che togliere il masso significhi per l’organizzazione nel suo complesso. Ora, Potrebbe accadere che, nonostante siano arrivati altri individui, essi non riescano a spostare il masso. Tutti quanti, quindi dovranno ottenere il contributo di altre persone non direttamente interessate a rimuovere il masso. Di conseguenza, accetteranno di cooperare solo se i viandanti non decidono di offrirgli una somma di denaro, una ricompensa DIVERSA che sia capace di motivarle sufficientemente. La parabola del masso contiene due elementi centrali nella costruzione teorica di Barnard: o RAPPORTO TRA ASPETTI FORMALI E INFORMALI DELLA COOPERAZIONE UMANA o DISTINZIONE TRA FINI ORGANIZZATIVI E MOVIMENTI PERSONALI 2.1. LIVELLO INFORMALE E LIVELLO FORMALE DEI RAPPORTI UMANI Barnard riconosce che i rapporti informali creano le condizioni in cui può sorgere l’organizzazione formale, ma essi sono privi di fini consapevoli, di strutture e suddivisioni interne. Di conseguenza, finché si resta nell’ambito di un rapporto informale, non è possibile stabilire un sistema cooperativo. Barnard sottolinea inoltre che l’organizzazione informale esige un certo ammontare di organizzazione formale e non può durare o espandersi senza l’emergere di organizzazione formale. Se Mayo vedeva i rapporti informali come l’anima che dà senso e tono alle strutture formali, Barnard restituisce all’organizzazione formale, la funzione di sede privilegiata in cui gli uomini stabiliscono una cooperazione in quanto dotata di scopo consapevole. Inoltre è la stessa organizzazione formale ad essere per Barnard la matrice di nuovi rapporti di tipo informale. Si instaura così una osmosi tra livello formale e informale dei rapporti umani. 5.1. CARATTERISTICHE FORMALI DELL’ AUTORITà Il fondamento cooperativo dell’autorità si esprime in sue caratteristiche formali. La prima caratteristica formale è che la fonte di autorità non risiede nella forza di imposizione di colui che dirige, ma nel fatto di essere accettata da parte dei sottoposti. L’autorità corre sempre il rischio di essere trasgredita; di fronte a questo rischio, il ricorso alla coercizione non è mai uno strumento efficace per ottenere il consenso anzi, essa è l’incentivo più debole perché si basa solo sulla minaccia, ed è destinato prima o poi a fallire. L’autorità è invece tanto più efficace quanto più riesce ad ottenere il consenso offrendo incentivi positivi e dotati di valore morale. La seconda caratteristica formale sta nel fatto che l’autorità per Barnard non consiste nell’occupare una posizione gerarchica superiore, ma nel fatto che i sottoposti riconoscono un carattere di “ordine” a particolari tipi di comunicazione che provengono da quelle posizioni. Anche qua, affinché l’autorità venga accettata, i detentori di posizioni di responsabilità devono preoccuparsi che i loro comandi siano conformi ad alcuni codici di efficacia e correttezza procedurale. L’altra condizione fondamentale per la circolazione e l’accettazione degli ordini, è il buon funzionamento del sistema di comunicazioni. In particolare: - l’ordine deve essere capito - il contenuto dell’ordine non deve apparire in contrasto con i fini generali e conosciuti dell’organizzazione - il contenuto deve essere compatibile con gli interessi legittimi delle persone a cui l’ordine è diretto - gli individui a cui è diretto l’ordine devono essere in grado di eseguirlo. Barnard ricorda che il buon funzionamento di un sistema di comunicazioni richiede che il percorso di un ordine rispetti tutti i livelli gerarchici e al contempo eviti percorsi superflui. 5.2. L’OGGETTO DELL’AUTORITà: ESTENSIONE DELLE AREE DI DISPONIBILITà Per quanto intensi possano essere i moventi dell’individuo a comprare, questi non si identificano in nessun caso con i fini dell’organizzazione. Di conseguenza, la pretesa di ottenere dagli individui l’identificazione completa con l’organizzazione è irrealistica. L’autorità deve porsi invece un traguardo praticabile: gestire il rapporto tra contributi e incentivi in modo che i sottoposti allarghino la sfera della propria disponibilità ad obbedire ai comandi che servono agli scopi dell’organizzazione. Il problema nasce dal fatto che le prestazioni che un sistema può chiedere ai suoi membri provocano atteggiamenti differenziati. Se si dispongono tutti gli ordini, ce ne sarà un numero di inaccettabili, un gruppo neutrale, ed un terzo gruppo di indiscutibilmente accettabili. Quest’ ultima categoria si trova nella “zona di indifferenza”, ovvero di disponibilità ad eseguire gli ordini; il massimo che un’autorità può ottenere. Su questo punto Barnard si discosta dalle Relazioni Umane che affermavano che la creazione di un clima amichevole nell’azienda ha per scopo l’ottenimento dell’adesione emotiva dei dipendenti ai fini dell’impresa. Ma le Relazioni Umane, non si ponevano il problema che quest’adesione, per quanto intensa non è mai in grado di superare la radicale distinzione tra fini organizzativi e moventi degli individui. Barnard elabora una teoria più complessa; anche per lui l’agire cooperativo si fonda sul primato degli incentivi morali; ma tale primato si limita ad essere la base per sostenere che l’autorità deve operare in modo da estendere l’aria dei comandi che i membri sono disposti a seguire. L’efficacia dell’autorità si misura dall’estensione dell’area di disponibilità dei dipendenti a eseguire gli ordini. Ma l’area di disponibilità esprime anche il grado di efficienza: quanto maggiore è la soddisfazione dei moventi individuali, tanto più estesa sarà l’area delle prestazioni a cui gli individui sono disponibili. 6. LE FUNZIONI DEL DIRIGENTE Barnard individua tre principali funzioni del dirigente: 1. ASSICURARE UN EFFICIENTE SISTEMA DI COMUNICAZIONI E COSTRUIRE UNA STRUTTURA GENERALE DI RUOLI DOVE COLLOCARE PERSONE ADATTE A GARANTIRE IL FLUSSO OTTIMALE DELLE COMUNICAZIONI. Assicurare un efficiente sistema di comunicazioni significa stabilire le stesse premesse di funzionamento dell’organizzazione; 2. GARANTIRE L'ACQUISIZIONE REGOLARE E COSTANTE DELLE RISORSE NECESSARIE PER IL FUNZIONAMENTO DELL'ORGANIZZAZIONE: risorse intese come membri e come servizi che essi possono fornire, e membri intesi come dipendenti, clienti e fornitori; 3. DETERMINARE I FINI DELL'ORGANIZZAZIONE Un buon dirigente è quello che garantisce l’equilibrio attraverso atti discreti e poco visibili piuttosto che quello che decide con atti di imperio. 7. LA PERSONALITà DEL DIRIGENTE. CONCLUSIONI. Secondo Barnard le doti di comando di un buon dirigente consistono in una complessità morale e in un senso di responsabilità superiore alla media. Per complessità morale, Barnard intende il riferimento ad un insieme di codici di comportamento pubblici e privati concernenti diverse realtà. Ma quanti più codici morali sono presenti nella personalità di un soggetto tanto maggiori sono le possibilità di conflitti. Per dominare tale situazione provvede il senso di responsabilità, cioè una sorta di meta-codice che negli inevitabili conflitti garantisce l’affidabilità della persona e la sua coerenza ad un principio. Per un dirigente il senso di responsabilità può anche essere visto come l’espressione di un’elevata “personalità organizzativa” che garantisce contro gli inevitabili dubbi e tentennamenti che nascono dalla personalità individuale. QUARTO CAPITOLO – LE TEORIE DELLA CRESCITA DELLA PERSONALITà 1. LE VIE D’USCITA DALL’AFFLIZIONE TAYLORISTA Nel dibattito sui modi in cui uscire dall'afflizione tayloristica si possono individuare due schieramenti: - Volontarista - Tecnologico. Il primo schieramento vede il tratto saliente dell’afflizione taylorista nel fatto di obbligare le persone a lavori stpidi e privi di motivazione. Quindi propugna una riorganizzazione del lavoro tale che i compiti affidati alle persone siano più intelligenti, responsabili e più dotati di senso di quanto previsto dentro le maglie tayloriste. Questa posizione ha die presupposti: a. lavori più ricchi di contenuti intelligenti e responsabili procurano maggiore soddisfazione e consentono una crescita della personalità di chi li compie; b. la tecnologia non predetermina un solo modo di lavorare ma consente margini di libertà che devono essere scoperti e sfruttati per ridisegnare le mansioni con contenuti lavorativi più ricchi del passato. La posizione tecnologica vede il tratto saliente dell'afflizione tayloristica nell'erogazione continua di sforzo in condizioni disagiate e ritiene che la via per superarla sia offerta dal progresso tecnologico con il conseguente aumento della produttività e riduzione della forza lavoro. Il problema di come superare l’afflizione taylorista si pone quindi in termini diversi. Non si tratta di propugnare un’uscita dal taylorismo ma diventa piuttosto una possibilità generalizzata attraverso l’introduzione di miglioramenti ergonomici, ambientali, sociali. La storia ha dato ragione alla posizione tecnologica: il modo nuovo di lavorare si è realizzato con l’automazione flessibile e la rivoluzione informatica ma seguendo vie e modalità profondamente diverse da quelle preconizzate in quegli anni. Queste constatazioni non diminuiscono il merito storico delle teorie che predicano il superamento volontaristico del taylorismo. Esse prendono il nome di TEORIE MOTIVAZIONALISTE o REALIZZAZIONE DELLA PERSONALITà. A queste teorie va riconosciuto: a. AVER INTERPRETATO IL BISOGNO DI USCIRE DALL’AFFLIZIONE DEI LAVORI ISPIRATI AL DOGMA TAYLORISTICO b. AVER LEGITTIMATO QUESTA ESIGENZA SULLA BASE DI UNA NUOVA E COMPLESSA ANTROPOLOGIA DEI BISOGNI DELL’UOMO c. DI RAPPRESENTARE UN SUPERAMENTO SOSTANZIALE DELLE RELAZIONI UMANE, NEL SENSO DI RIVENDICARE MUTAMENTI REALI NEI CONTENUTI DI LAVORO E NON SOLTANTO INTERVENTI MANIPOLATORI SULLA PSICHE UMANA 2. LA SCALA DEI BISOGNI UMANI SECONDO A. MASLOW La scuola motivazionalista è caratterizzata dall'aver impostato in termini favorevoli all'uomo il rapporto tra organizzazioni e soggetti che vi lavorano. Al primo posto ci sono I BISOGNI DELL'UOMO in particolare quello dell'autorealizzazione sul lavoro; le organizzazioni vengono giudicate in base al grado in cui si adattano a questa esigenza. La tesi di tale scuola è che i fini dell'organizzazione possono essere tanto più proficuamente perseguiti quanto più sono soddisfatte le esigenze di crescita personale dei soggetti. Tali esigenze verranno realizzate in ambito lavorativo. Una conseguenza di questa impostazione è il taglio fortemente psicologico che viene dato al RAPPORTO UOMO – ORGANIZZAZIONE. La connotazione psicologica del bisogno di autorealizzazione dell’ego assume per i motivazionalisti il valore di una vera e propria fondazione antropologica della necessità di autorealizzazione della personalità. Il benessere dei soggetti è L’ESPRESSIONE DI UN INTEGRAZIONE ATTIVA E CREATIVA. Questa tesi si pone come un modello interpretativo che colloca i lavori lungo un continuum che va dagli stati di frustrazione e di alienazione esperiti per l’intrinseca povertà intellettuale delle mansioni fino al polo opposto degli stati di pienezza e di autorealizzazione. L’ipotesi generale della scuola motivazionalista è che al variare dei lavori variano in modo significativo e coerente anche i rapporti sociali sul luogo di lavoro. Quanto più stimolanti sono i lavori, tanto più democratici e diffusi sono i processi decisionali, meno burocratici i controlli, più spontanea la cooperazione di gruppo. I motivazionalisti si propongono di suggerire strumenti operativi che partendo dalle esigenze di autorealizzazione umana giungano a suggerire una riprogettazione generale delle organizzazioni. La posizione accordata a queste esigenze conduce al problema teorico di che cosa si debba intendere per NATURA UMANA e per BISOGNI UMANI. Una risposta si trova nel modello della SCALA DEI BISOGNI DI MASLOW. Maslow presenta una teoria in grado di prevedere e comprendere le motivazioni presenti nel comportamento degli uomini. Egli parte dalla premessa che la motivazione di un comportamento nasce dalla tendenza a soddisfare dati ordini di bisogni. Quest’ultimi differiscono tra loro per natura e per grado di complessità. Maslow distingue 5 grandi ordini di bisogni che è possibile collocare lungo una scala gerarchica. Dal livello più basso a quello più alto essi sono: 1. BISOGNI FISIOLOGICI (SOPRAVVIVENZA IMMEDIATA); 2. BISOGNI DI SICUREZZA (SOPRAVVIVENZA SUL LUNGO PERIODO); 3. BISOGNI SOCIALI (ESISTENZA DI UN AMBIENTE SOCIALE GRADEVOLE); 4. BISOGNI DELL'EGO (ASPIRAZIONE AD UN RICONOSCIMENTO SOCIALE DEL PROPRIO STATUS); 5. BISOGNI DI AUTOREALIZZAZIONE (ASPIRAZIONE AD UN LAVORO CHE ARRICCHISCA LA DIMENSIONE INTERIORE DELL'UOMO). Herzberg aggiunge un’altra categoria, detta tipo monastico che corrisponde alle situazioni in cui il soggetto trascura sia la soddisfazione del lavoro che le condizioni igieniche. Secondo Herzberg affinché la crescita psicologica sia effettiva occorre che siano soddisfatte alcune condizioni riguardanti l’esecuzione del lavoro: 1. ampliamento della conoscenza 2. incremento delle relazioni nell’ambito delle cose conosciute 3. creatività 4. efficacia in condizioni di incertezza 5. crescita reale 6. principio di individuazione Secondo Herzberg Il premio più ambito per un lavoro ben fatto, è il passaggio ad un nuovo lavoro che richiede più talento del primo. I criteri per raggiungere questo obiettivo sono: eliminare le costrizioni inutili, accrescere la responsabilità degli individui nel loro lavoro, dare agli individui compiti specifici che permettano di diventare esperti in un campo particolare di competenze. 5. MOTIVAZIONI, LEADERSHIP ED EFFICIENZA Le teorie motivazionaliste si reggono sul giudizio di valore che lavori con forma compiuta, svolti in un clima di collaborazione non competitiva, con leadership non autoritaria e coinvolgimento nelle decisioni sono un bene in sé perché favoriscono la crescita della personalità umana. Affinché questo giudizio di valore sia ascoltato negli ambienti manageriali è necessario dimostrare che lavori ricchi di contenuto e leadership non autoritaria sono una soluzione conveniente alle imprese perché migliorano il clima interno, diminuiscono assenteismo, conflitti e favoriscono prestazioni migliori. Verso la fine degli anni ’30, al fine di dimostrare la connessione tra senso e lavoro, leadership democratica ed efficienza aziendale, fu condotta una ricerca sperimentale da Kurt Lewin presso l’Università di Iowa su 3 gruppi di studenti. Il primo era guidato con criteri autoritari, il secondo con criteri democratici e il terzo con criteri permissivi. Inizialmente il primo e il terzo gruppo avevano raggiunto un risultato soddisfacente, ma le pressioni autoritarie e le permissività avevano portato a dei conflitti. Solo il secondo gruppo aveva ottenuto buoni risultati. Con il prosieguo delle ricerche si constatò che contenuti del lavoro e stile di leadership non era sufficienti da soli a spiegare la complessa fenomenologia dei rapporti tra atteggiamenti e rendimento. 6. RENSIS LIKERT E GLI STILI DI LEADERSHIP Likert confuta la tesi che il maggior rendimento dipende sempre e unicamente dalla soddisfazione dei dipendenti e dal loro atteggiamento favorevole all’azienda. Secondo Likert dove i lavori sono più ripetitivi è possibile raggiungere un alto rendimento anche in assenza di soddisfazione da parte dei dipendenti; da questo punto di vista appoggia il taylorismo, ma riconosce anche che ci sono lavori che implicano un grado di creatività, responsabilità e iniziativa, ed è in questi lavori che le regole dell’organizzazione tradizionale tendono ad essere smentite. Tali lavori vengono detti variati e in questi il rendimento è tanto maggiore quanto - minore è la pressione esercitata dall’alto, - il controllo gerarchico è più distaccato - le reazioni in caso di errore sono orientate a una comprensione dei motivi dello sbaglio. La leadership desiderata da Likert richiede cambiamenti sostanziali nell’intera struttura organizzativa e nel sistema e nel modo di comunicazione. L’autonomia dei collaboratori è un elemento fondamentale nel nuovo modello direttivo. Il capo ideale è colui che riesce a conciliare il rispetto dell’autonomia dei suoi dipendenti con continui e collaborativi scambi di idee. L’organizzazione di lavoro deve essere ristrutturata in modo da favorire una dimensione collettiva, comunitaria e non competitiva tra i suoi membri. Likert sostiene i cosiddetti gruppi di lavoro dotati di un alto grado di lealtà verso il gruppo stesso, di effettive capacità di interazione e con fini che richiedono un alto rendimento. Tali gruppi devono essere collegati dai perni connettori, membri che fanno parte allo stesso tempo di gruppi sovrapposti in modo gerarchico. Essi permettono la specializzazione dei gruppi e la loro interconnessione. La formula dei perni connettori consente secondo Likert di raggiungere due obiettivi: - specializzazione dei gruppi - interconnessione dei gruppi grazie al continuo scambio di comunicazione e di influenza reciproca Likert definisce 4 modelli di management: 1. autoritario-sfruttatorio 2. autoritario-benevolo 3. consultivo 4. partecipativo di gruppo Secondo Likert il problema di ogni azienda dovrebbe essere quello del progressivo passaggio al modello partecipativo da lui proposto. Questo è un processo complesso che si può attuare solo attraverso lo sviluppo organizzativo di tutti i livelli aziendali e si deve ripercuotere sui modelli mentali e sulle strutture organizzative. QUINTO CAPITOLO – TECNOLOGIA E PLURALITà DELLE FORME INDUSTRIALI 1. SUPERAMENTO PRATICO E SUPERAMENTO CONCETTUALE DEL TAYLORISMO Dei due i modi per uscire dal taylorismo, volontaristico e tecnologico, il secondo è il risultato vincente. Lo schematismo riguardo ai modi per superare l’afflizione tayloristica impone alcune considerazioni: dalla letteratura emerge che il programma volontaristico se è gestito in modo credibile concorre a migliorare il clima aziendale. L’uscita o almeno l’attenuazione nel taylorismo può essere anche materia di rivendicazioni sindacali, richiesta collettiva di nuovi modi di produrre e crescere professionalmente e non solo conseguenza di un management illuminato (cultura sensibile ai contenuti del lavoro). Quando si dice che l’effettivo superamento dell’afflizione tayloristica si è avuto più grazie alla tecnologia che non grazie a programmi volontaristici di arricchimento delle mansioni, non si nega l’importanza di quei programmi ma se ne chiariscono i limiti:  L’umanizzazione del lavoro è possibile entro spazi concessi tecnologia e vincoli bilanci. Il passaggio del lavoro umano dalla costrizione tipica del taylorismo a modelli meno costrittivi è possibile solo se non si presenta come costo aggiuntivo ma come la conseguenza più conveniente di un’innovazione tecnico-produttiva.  D’altra parte non è raro che le innovazioni tecnologiche spesso soddisfano in modo diverso le esigenze di job enrichement (robotica organizzata ad isole del lavoro). Queste considerazioni non devono indurre a ritenere che il superamento per via tecnologica dell’afflizione taylorista non equivale a determinismo tecnologico: la tecnologia stabilisce alcuno vincoli fondamentali e crea di conseguenza uno scenario di scelte possibili, ma altri fattori (modelli culturali prevalenti, politiche d’impresa, vincoli di mercato, tipo di manodopera e la sua forza contrattuale) subentrano nel determinare la forma che assume l’organizzazione del lavoro. Un secondo aspetto da chiarire è cosa si intende per SUPERAMENTO DEL TAYLORISMO. Dagli anni ‘50 in poi, la questione del superamento del taylorismo si è imposta nel dibattito occidentale come:  Una finalità pratica (migliorare le condizioni del lavoro umano) riguardante le condizioni del lavoro in fabbrica.  Critica teorica di un modo di vedere lo sviluppo dell’industria. Da Touraine in poi per superare il taylorismo in senso concettuale ha acquisito il significato di abbandonare il presupposto che quel modello possegga una validità universale e canonica; che sia il passaggio obbligato per l’efficienza di qualsiasi lavoro; che rappresenti il culmine di un processo evolutivo tendenzialmente omogeneizzante di ogni campo del lavoro organizzato. In altri termini, considerare le situazioni difformi da quel modello non come anomalie o residui di industrializzazione imperfetta ma come soluzioni del tutto legittime inserite in logiche differenti. Superare il taylorismo ha quindi due significati:  PRATICO: riguarda l’organizzazione del lavoro in fabbrica  CONCETTUALE: riguarda la pretesa del taylorismo di porsi come una formula di validità universale. Due contributi al superamento della convinzione che esista un solo modello di sviluppo industriale: TOURAINE: distingue 3 fasi nell’evoluzione del lavoro nel settore dell’automobile BLAUNER: sviluppa un’analisi comparata del lavoro umano in alcuni settori industriali. 2. ALAIN TOURAINE: TECNOLOGIA ED EVOLUZIONE DEL LAVORO Il problema centrale affrontato da Touraine è come l’evoluzione tecnologica avvenuto in uno specifico settore abbia contribuito a modificare il lavoro operaio e più in generale il sistema di fabbrica. La ricerca di Touraine si svolse nel ’48/’49 negli stabilimenti Renault a Billancourt che, rispetto ad altre fabbriche francesi di auto, presentava fasi storicamente diverse di tecnologia e organizzazione del lavoro; si osservava una stratificazione delle prime fasi pre e proto tayloristiche fino alle innovazioni più recenti (macchine transfer). Touraine ricostruisce la situazione lavorativa esistente nelle diverse epoche e cita una classifica tecnica delle macchine per rifiutarla in quanto questa non dice nulla sulla logica che preside Le qualità umane sono diverse non c’è più bisogno dell’ingegnosità del dilettante, né dell’obbedienza passiva e laboriosa ma è necessaria la conoscenza degli incidenti per capire quali di questi possono essere evitati da loro e quali vanno segnalati ai tecnici. Il capo deve tener conto del fattore umano: deve adattare il compito all’operaio e l’operaio al compito ma deve anche aiutarlo a capire il suo lavoro e incoraggiarne i suggerimenti. Il capo è funzionale a un sistema di lavoro e non a un ordine sociale da tutelare. 3. ALCUNE QUESTIONI TEORICHE SOLLEVATE DALLA RICERCA A questa ricerca va il merito di aver compreso che il Taylorismo non è nè un modello universale nè definito ma solo una risposta elaborata in una fase storica dell’evoluzione tecnologica. Questioni aperte dell’analisi:  Rapporto tra modello interpretativo e realtà empirica: a livello analitico ogni fase configura un sistema lavorativo completo, che non è fatto solo di macchinari ma di prestazioni professionali, di gerarchie o di comando. A livello empirico le tre fasi possono coesistere nella medesima unità produttiva, entro la fabbrica esiste spesso una realtà composita.  Il ruolo che Touraine attribuisce alla tecnologia plasma le varie fasi del lavoro. Touraine cerca di sottrarsi a conclusioni deterministiche. Il taylorismo non è l’espressione necessaria della realtà tecnica della fase b ma la concezione tecnicistica corrispondente alla fase B.  Ripercussioni che l’innovazione tecnologica esercita sui contenuti di lavoro. 4. ROBERT BLAUNER: L’ALIENAZIONE OPERAIA DA COSTANTE DEL CAPITALISMO A VARIABILE DELLA TECNOLOGIA Blauner esamina come al variare della tecnologia variano le condizioni e il contenuto del lavoro operaio. Nel 1964 svolge un’analisi comparata sulla condizione operaia in quattro settori diversi (grafico, meccanico, tessile e chimico). Blauner riprende il concetto marxista di alienazione ma lo rielabora profondamente. Marx lo usa per definire la condizione operaia in un regime capitalistico dove gli operai  non possiedono i mezzi di produzione né la capacità di intervenire sulle decisioni riguardanti il loro uso;  non possiedono il prodotto del loro lavoro per il quale il capitalista paga un salario inferiore al valore reale dei beni prodotti;  non controllano il processo di produzione;  non comprendono più la globalità di questo processo perché costretti a mansioni sempre più settoriali e dequalificate;  sono alla mercé delle logiche di mercato e di quelle del capitalista; nella tradizione marxista l’alienazione ha anche un aspetto soggettivo in quanto denota una falsa coscienza della propria condizione che gli apparati culturali e politici del capitale infondono nella classe operaia. Con FALSA COSCIENZA si denota l’accettazione della propria condizione subalterna e sfruttata vista non come espressione del dominio capitalistico, ma come la naturale e legittima espressione di un ordine immutabile che prevede l’esistenza di una classe dominante e di una subalterna. Nella tradizione marxista denota quindi l’insieme delle rappresentazioni del mondo e delle ideologie che conferiscono una legittimazione all’ordine esistente. Per usare il concetto in un’analisi sociologica occorre trasformare la natura epistemologica da una costante a una variabile: occorre rinunciare alla definizione storico – filosofica dell’alienazione cercando di individuare alcune dimensioni osservabili dell’alienazione, che possono essere più o meno gravi a seconda delle condizioni produttive. Queste condizioni sono determinate dalla tecnologia per il fatto che può consentire gradi differenti di costrizione nell’esecuzione del lavoro ma esse ricomprendono anche altri fattori (ampiezza stabilimenti, tipo mestiere, controllo gerarchico, potere contrattuale degli operai) e la cui considerazione porta ad individuare quattro dimensioni dell’alienazione: 1. MANCANZA DI POTERE: mancato possesso dei mezzi di produzione, incapacità di influire sulle decisioni politiche aziendali. Esistono altre due forme di mancanza di potere che possono essere più o meno gravi all’interno della stessa industria capitalistica: a. grado di controllo sul mercato del lavoro che dipende da quanto il lavoro sia tutelato dal sindacato; b. grado di controllo sul processo produttivo trova indicatori su aspetti come:  Grado libertà nel determinare quantità e ritmo di produzione  Grado di controllo autonomo sulla qualità del proprio lavoro  Libertà di scegliere le modalità di produzione  Libertà di movimento sul luogo di lavoro 2. ASSENZA DI SIGNIFICATO che il lavoratore trae dal proprio lavoro è una variabile dipendente da fattori tecnologici e organizzativi. Ha più significato lavorare su un prodotto: a. Unico piuttosto che standardizzato b. Completo piuttosto che parcellizzato c. Che consente una visione globale del processo produttivo piuttosto che la conoscenza di una sfera ristretta 3. MANCANZA DI INTEGRAZIONE E APPARTENENZA A UNA COMUNITÀ INDUSTRIALE. Può variare a seconda del lavoro. In alcune condizioni il tipo di lavoro e il mestiere consentono lo sviluppo di uno spirito comunitario mentre in altre (catena di montaggio) ostacolano i contatti umani e li rendono effimeri, casuali, superficiali e favoriscono manifestazioni anomiche. 4. AUTO ESTRANIAZIONE: dimensione più soggettiva della fenomenologia dell’alienazione. Riguarda la mancanza di coinvolgimento rispetto al lavoro che diventa un mezzo per raggiungere mete alternative e non un fine in sé stesso. L’operaio è motivato a compiere il lavoro solo dall’incentivo monetario o da altri incentivi esterni e sviluppa un orientamento strumentale verso il lavoro. 4.1. LA DIFFERENTE DISTRIBUZIONEDI ALIENAZIONE E DI LIBERTà NEL MONDO DEL LAVORO L’opposto dell’alienazione consiste nella libertà di incidere sul proprio lavoro, controllarlo, capirlo, identificarsi con esso trovando motivazioni intrinseche. Blauner recepisce le istanze avanzate dai motivazionalisti (ideale dalla condizione lavorativa) anche se rispetto a questi individua un’ambivalenza presente in ogni tipo di lavoro che impedisce anche all’attività più libera di essere considerata come sinonimo di soddisfazione e felicità. La vera differenza tra Blauner e i motivazionalisti consente nell’ancorare alienazione e libertà a condizioni oggettive che non sono modificabili in base a semplici atti di volontà costituite da: tecnologie, dimensioni dell’azienda, contenuto professionale, tipo di controllo gerarchico. La ricerca di Blauner consiste nell’analisi di 4 settori (settore grafico a tecnologia tradizionale, settore tessile e automobilistico a tecnologia taylorizzata e settore chimico a tecnologia avanzata) e si propone di verificare l’ipotesi per cui l’alienazione sia distribuita in misura differente nell’industria e che ciò dipenda dalle condizioni in cui si svolge il lavoro:  settore grafico: è quello in cui Blauner riscontra minore alienazione operaia. Abbiamo un’esecuzione del lavoro artigianale, mestiere fatto di destrezza acquista nel tempo, forte autocontrollo, libertà di movimento e possibilità di determinare qualità e quantità di produzione. Le aziende sono di piccole dimensioni. Vi è sicurezza di impegno dovuta alla professionalità dei lavoratori e alla presenza di attivi sindacati.  Settore tessile: più alienazione, manodopera maggiormente femminile e addetta a lavori dequalificati, ripetitivi e faticosi, con forte controllo gerarchico, bassi salari, nessuna possibilità di carriera e insicurezza di impegno. Tuttavia imprese tessili sono collocate in piccole comunità e la forte integrazione si trasferisce negli stabilimenti attenuando il senso di privazione provocato dagli altri aspetti.  Settore automobilistico: alienazione massima; tutti i valori toccano i valori massimi: tecnologia rigida e ripetitiva, lavoro dequalificato e parcellizzato, impossibilità di muoversi liberamente, pesanti controlli gerarchico, acuto isolamento sociale in fabbriche anonime di enormi dimensioni, mancanza di prospettive di crescita professionale. L’unico aspetto positivo i salari mediamente alti.  Settore chimico: l’alienazione torna a diminuire ma per ragioni opposte a quelle del settore grafivo. Il forte progresso tecnologico ha condotto a processi automatici e continui di lavorazione incorporati nelle macchine, ciò richiede che il lavoro umano si trasformi da una somma di mansioni individuali nella collaborazione di squadre specializzate per il controllo dei macchinari. L’elevata qualificazione consiste in una somma di abilità tecniche e mentali per intervenire su macchinari complessi. Il decentramento in piccole unità fa sì che gli operai non si trasformino in una massa anonima. Nel complesso l’elevata tecnologia, il lavoro non manuale e l’alta responsabilità rendono il lavoro operaio nell’industria chimica molto simile al lavoro tecnico. Ciò contribuisce all’elevata autostima di categoria che caratterizza i lavoratori chimici. Blauner conclude affermando che l’alienazione operaia può essere vista come una PARABOLA legata alle vicende della tecnologia: da livelli minimi nel settore grafico che conserva tratti artigianali, essa cresce nel settore tessile fino a divenire ossessiva in quello automobilistico, per poi riscendere dove la tecnologia chimica dei processi continui rende superati e non applicabili i moduli tayloristici. Il maggior contributo di Blauner sta nel dimostrare come è errato considerare i diversi settori produttivi come semplici variazioni di un unico modello monistico dell’industria e come sia opportuno pervenire a un modello concettuale fondato sul pluralismo delle diverse realtà industriale. confronto mentale tra tale guadagno e lo sforzo giudicato necessario a eseguire il lavoro. Lo sforzo variava in funzione della possibilità offerta all’operaio di trasformare il lavoro da compiere in una sorta di gioco. Un insieme di regole sollecitano gli operai a fare il making out, cioè a raggiungere le quote di produzione stabilite come se si trattasse di una sorta di percorso ad ostacoli da eseguire in un certo tempo. Per Roy, vincere al gioco significa avere più tempo libero, acquistare prestigio agli occhi dei compagni e gustare una rivalsa nei confronti della gerarchia di fabbrica. Sia Roy che Burawoy affermano che:  I giochi di produzione sono una spontanea iniziativa operaia dentro gli spazi di libertà, che risultano dall’adattamento delle regole formali dell’azienda alla realtà dell’officina.  Tali giochi sono realizzabili anche nei lavori non qualificati e ripetitivi purché gli operai possano ricorrere ad iniziative tali da coinvolgerli in una competizione dotata di senso.  I giochi di produzione sono attraversati da un continuo contrasto tra il vantaggio personale di massimizzare la quota prodotta e l’interesse collettivo del gruppo a tenere basse le quote. Il conflitto nasce quando la direzione modifica le regole del gioco in modo che venga giudicato sleale, o quando impedimenti tecnici che l’azienda trascura, compromettono la possibilità di vincere.  I giochi hanno quindi una profonda ambivalenza: o Risarcimento che gli operai trovano da se stessi all’ interno di un lavoro che può essere duro, ingrato, pericoloso, cercando il gusto di accanirsi a compierlo proprio perché appare una sfida. o Meccanismo più efficace di cui l’azienda dispone affinchè gli operai si impegnino volontariamente nel lavoro, scordando di di essere risucchiati in un meccanismo da cui è l’azienda a trarre il maggiore vantaggio. 4. 30 ANNI DI MAKING OUT Bisogna distinguere tra CONSENSO E LEGGITIMAZIONE:  LEGGITIMAZIONE: disposizione soggettiva che può essere ideologica o emotiva ad approvare un determinato ordine o istituzione sociale.  CONSENSO: si esprime attraverso l’organizzazione di attività e ne è il risultato. È di natura pragmatica e nasce dalla partecipazione fattuale dei lavoratori alla produzione. È la partecipazione che genera consenso. 30 anni dopo l’analisi di Roy, Burawoy ripete lo stesso percorso di ricerca ma inserisce i giochi di produzione in un quadro teorico più ampio dove diventano un importante fattore per spiegare il consenso operaio al prelievo del surplus. 30 anni dopo il making out (anni ’70), osserva Burawoy è quasi tutto cambiato:  I salari sono aumentati (aumentata componente fissa)  Gli operai sono spostati più facilmente a lavori con cottimi più alti  Le dispute sono demandate a un ufficio centrale apposito.  Capisquadra e capireparto meno numerosi, meno importanti e più indulgenti.  Nel complesso diminuisce l’importanza della gerarchia e aumenta il numero degli operai qualificati che svolgono compiti di autocontrollo prima affidati ai capi Tutto ciò favorisce un’atmosfera più rilassata tra operai e gerarchia ma anche un più marcato individualismo e maggiori occasioni di attrito tra gli operai stessi. 5. ALTRI FATTORI DI CONSENSO: MERCATO INTERNO DEL LAVORO E CONSOLIDAMENTO DELLO STATO INTERNO Burawoy, analizza altri fattori del consenso operaio, come il mercato interno del lavoro e il consolidamento dello Stato interno. In sociologia economica il MERCATO INTERNO DEL LAVORO rappresenta i movimenti di forza lavoro che avvengono all’interno di un’unità amministrativa regolati da procedure e regole amministrative. Le conseguenze dello sviluppo di un mercato interno del lavoro sono:  l’allungamento dell’anzianità aziendale  lo sviluppo di una formazione professionale legata alle esigenze e alle tecnologie di una data impresa. Se ne deduce che quanto più a lungo un dipendente rimane in una data impresa, tanto maggiori sono le probabilità di ottenere un lavoro attraente dentro quella stessa impresa e minori quelle di trovarne uno equivalente al di fuori. La possibilità di cambiare lavoro attraverso un trasferimento interno può funzionare come valvola di sfogo in caso di contrasti. Il CONSOLIDAMENTO DELLO STATO INTERNO invece è l’insieme delle istituzioni che organizzano, trasformano o reprimono i conflitti riguardanti i rapporti di produzione. Lo stato interno è molto simi le a uno stato di diritto:  presuppone la parziale partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori alla gestione dell’impresa  ha per scopo la contrattazione collettiva in base a procedure e pratiche consolidate  fornisce ai lavoratori una cittadinanza industriale con obblighi e diritti contrattualmente definiti non è uno strumento capace di eliminare il conflitto ma riesce a regolamentarlo trasferendolo mediante procedure consolidate ad organismi appositi di contrattazione. In questo modo la contrattazione collettiva tra aziende e rappresentanze sindacali può essere vista come un nuovo gioco che verte sulle regole e i prodotti derivanti dal gioco del making out eseguito in fabbrica. Lo Stato interno, rappresenta l’istituzionalizzazione di un interesse comune tra management e sindacato, che presuppone la crescita di profitti aziendali. Esso oscura i rapporti capitalistici di produzione nel processo lavorativo costituendo i lavoratori come individui titolari di diritti e doveri piuttosto che come membri di una classe. 6. PROBLEMI APERTI E LIMITI NELL’ANALISI DI BURAWOY Nell’analisi di Burawoy, vi sono dei problemi aperti e dei limiti.  Una prima questione attiene alla logica di sviluppo del capitale. Burawoy non è riuscito a rispondere ad alcuni quesiti in proposito, cosicché il surplus finisce per restare una realtà di cui si ritiene ancora necessario postulare l’esistenza e che si sottrae all’esperienza fenomenica dei soggetti.  Una seconda questione riguarda la natura del consenso dato dal lavoro subalterno. Le ambiguità sulla natura del consenso evidenziano un limite strutturale dell’analisi di Burawoy. La fabbrica da lui descritta appartiene a una fase produttiva oggi in via di sparizione; la tecnologia automatizzata sostituisce quella appartenente all’epoca della meccanizzazione, e la “produzione snella” sostituisce il tradizionale impianto fordista. L’insieme di queste condizioni fa si che il making out descritto da Burawoy non è più realizzabile, in quanto le quantità di produzione sono prestabilite secondo cadenze incorporate nelle macchine e perché l’organizzazione del flusso produttivo non permette più di giocare sugli accumuli informali di tempo. 7. I NUOVI CONCETTI DI PRODUZIONE NELL’ANALISI DI KERN E SCHUMANN Horst Kern e Michael Shumann sostenevano che nel lavoro operaio si stava verificando una polarizzazione tra una maggioranza di lavoratori non qualificati a cui erano affidati compiti di addetto macchina, e una minoranza qualificata a cui erano affidati compiti di manutenzione e regolazione. Quindici anni dopo abbandonarono tale tesi a favori della tesi che le più recenti innovazioni tecnologiche favoriscono una qualificazione professionale generalizzata, con differenze tra i vari settori industriali e le varie fasi del processo produttivo. Essi partono dalla premessa che il capitale è indifferente di fronte alle ripercussioni che la tecnologia provoca sul lavoro umano. La tesi di Kern e Shumann è che la microelettronica e l’automazione flessibile sollecitano una concezione della razionalizzazione produttiva profondamente diversa dal passato. Ciò avviene per due motivi:  Innanzitutto con le nuove tecnologie diventa possibile controllare e integrare aspetti della produzione che nel passato erano scarsamente collegati.  In secondo luogo, con le nuove tecnologie si capovolge il modo tradizionale di intendere il rapporto tra produzione e lavoro umano. Il ricorso a tecnologie sempre più avanzate si scontra però con il paradosso che quanto la tecnologia è complessa tanto più essa ha bisogno di lavoro umano altamente professionalizzato per minimizzare i rischi di interruzione. Il consenso operaio trova la sua base nella delega fiduciaria che l’impresa dà ai lavoratori di un lavoro qualificato e responsabile, dentro un quadro istituzionale di garanzie dove il sindacato ha un ruolo rilevante nella tutela collettiva della forza-lavoro e nella partecipazione alle decisioni aziendali. Kern e Shumann verificano le loro tesi con una ricerca su tre principali settori produttivi: quelli dell’auto, delle macchine utensili e della chimica. Analizzando nel dettaglio le fasi della produzione, essi constatano che la riqualificazione del lavoro investe la produzione diretta; questa è la principale novità simboleggiata dalla figura professionale del conduttore di sistema. Egli è un lavoratore altamente qualificato che presiede al funzionamento di un sistema di macchine, che svolge compiti integrati di controllo, di regolarità e qualità, e interpreta i segnali deboli che possono indicare anomalie degli impianti. 8. I LIMITI ALL’OTTOMISMO DEI NUOVI CONCETTI DI PRODUZIONE Kern e Shumann si preoccupano di contrapporre all’ottimismo dell’analisi sui mutamenti del lavoro che rimane nelle fabbriche, la preoccupata denuncia del lavoro che viene eliminato. Sostengono che il progresso tecnologico presenta due effetti opposti: migliora le condizioni professionali e ambientali di chi lavora e restringe il numero di coloro che possono beneficiare di questi effetti. I vincenti delle innovazioni sono i lavoratori più giovani e qualificati, mentre i perdenti sono quelli anziani e meno qualificati, e che hanno mansioni diventate inutili nel nuovo regime di produzione. SETTIMO CAPITOLO – NEL POST- FORDISMO: SPECIALIZZAZIONE FLESSIBILE, PRODUZIONE SNELLA E FABBRICA MODULARE 1. ALTERNATIVE STORICHE AL FORDISMO: LE TESI DELLA “SPECIALIZZAZIONE FLESSIBILE” Il fordismo risale agli anni ’10 quando Ford adottò nelle sue officine la catena di montaggio semovente. Tratti tipici del fordismo sono le grandi dimensioni dei complessi industriali e la produzione di massa di beni 3.3. IL COINVOLGIMENTO DEI DIPENDENTI CHE SOSTITUISCE LA DIVISIONE BUROCRATICA DEL LAVORO Nel fordismo vige una divisione taylorista del lavoro con confini precisi tra le mansioni. Nel modello giapponese, il coinvolgimento dei dipendenti trova la manifestazione più evidente nel cosiddetto principio di AUTONOMAZIONE, ossia nel diritto-dovere degli operai di interrompere la produzione ogni volta che notano delle anomalie, e di segnalarlo attraverso indicatori luminosi in modo che si possa effettuare una correzione immediata. L’autonomazione infrange il principio fordista che la produzione deve sempre e comunque andare avanti e che gli eventuali difetti devono essere corretti solo alla fine della linea in fase di verifica e collaudo. Il coinvolgimento dei dipendenti si manifesta anche in altri aspetti:  è diffusa l’abitudine di darsi una mano in caso di difficoltà  la flessibilità delle squadre di lavoro che adattano la propria consistenza numerica e la propria strutturazione interna alle variazioni dei compiti e del flusso produttivo  l’impegno nel miglioramento continuo, a piccoli passi, di ogni fattore produttivo con suggerimenti, discussioni di gruppo, sperimentazioni dei possibili cambiamenti. Come il taylorismo trovava il massimo principio metodologico nell’one best way, il modello giapponese lo trova nel kaizen. Il kaizen coinvolge l’intera comunità aziendale e i suoi risultati per definizione non sono mai definitivi. Koike indica il segreto dell’impresa giapponese nell’altissima capacità intellettuale degli operai; è un’abilità che si manifesta nella soluzione di problemi concettualmente nuovi, posti dalle innovazioni tecnologiche. Aoki individua l’elemento unificante del modello giapponese nel concetto di coordinamento orizzontale la cui espressione più avanzata è il KANBAN, un sistema di cartellini posti su recipienti mobili che svolgono la funzione di moduli d’ordine e notifiche di consegna. Su ogni cartellino viene scritto il fabbisogno dei pezzi necessari ad una data posizione di lavoro e questi pezzi vengono prelevati dalla posizione precedente del processo produttivo. Si ottiene in tal modo un meccanismo che coordina le operazioni delle varie posizioni lavorative attraverso informazioni che muovono da monte a valle senza bisogno di ricorrere a sistemi centralizzati d controllo. 3.4. LA COLLABORAZIONE CON I FORNITORI SOSTITUISCE IL PRINCIPIO DEL DIVIDE ET IMPERA Le imprese fordiste costruiscono e assemblano la maggior parte del prodotto all’interno dei propri stabilimenti e per la quota restante si rivolgono a fornitori esterni ma non hanno nessun contratto con uno di loro in particolare riservandosi la possibilità di scegliere altri fornitori in una situazione futura. Le imprese ispirate al modello giapponese, scelgono i fornitori in base alla capacità di collaborare con l’impresa madre in piani di lungo termine. Si forma una fitta rete cooperativa basata su rapporti di fiducia e su contratti di lungo periodo. L’aspetto più visibile di tale rete è rappresentato dall’insediamento dell’impresa madre a breve distanza da quelle fornitrici in modo da garantire rapide e frequenti consegne. 3.5. L’OBIETTIVO DELLA QUALITà TOTALE SOSTITUISCE IL PRIMATO DELLA QUANTITà Nelle fabbriche fordiste la produzione di massa impone di dedicare attenzione alla regolarità dei flussi programmati e di considerare la qualità dei prodotti come un problema separato. Di conseguenza si avrà una qualità insoddisfacente e costosa. Le fabbriche giapponesi invece assumono la qualità come una caratteristica obbligatoria e gratuita dei prodotti e tutto il processo produttivo è organizzato in modo da progredire costantemente verso l’obiettivo ideale dello zero – difetti. L’espressione Qualità Totale sta a significare che la ricerca della qualità deve essere presente lungo tutto il processo lavorativo. Eliminare i difetti costituisce quindi la premessa per ridurre progressivamente il numero degli addetti ai collaudi finali e spostarli a lavori più produttivi. Inoltre quando il processo di autonomazione è praticato a lungo tutto il processo produttivo diminuisce progressivamente la necessità di interrompere il flusso per eliminare i difetti, dato che questi non si presentano più. L’apparente maggior costo economico dell’autonomazione diventa così un potente fattore per avvicinarsi all’ideale della qualità gratuita. La qualità riguarda anche il processo produttivo e vuol dire lavorare senza sprechi, senza costi economici aggiuntivi che possono essere eliminati. L’insegnamento più profondo del modello giapponese sta nel collegare la qualità alla essenzialità e ciò ha indotto a coniare la sigla cumulativa JIT/TQM (total quality management) per esprimere l’intima connessione biunivoca tra i due concetti. 4. LE INTRINSECHE AMBIGUITà DEL MODELLO GIAPPONESE: CON QUALI LIMITI è ESPORTABILE? Il modello giapponese presenta delle ambiguità e ci si chiede se con esse, tale regime è esportabile. Una delle principali questioni ruota intorno al quesito se in questo modello il lavoro umano diventa realmente più intelligente o più gravoso, in quanto sembra che il modello giapponese sia più tayloristico del regime di Taylor. In realtà si hanno delle differenze. Ohno sostituisce l’one best way di Taylor con il principio della riduzione delle scorte. Un’altra ambiguità sta nel fatto che il JIT rinuncia alla costosa sicurezza fornita dalle risorse eccedenti. 5. LA VIA OCCIDENTALE ALLA PRODUZIONE SNELLA: UNA RICERCA ALLA FIAT AUTO In questi anni alcune imprese europee dell’auto (Fiat, Ford, Renault, Peugeot, Volkswagen) hanno imboccato la strada della produzione snella. Tali imprese presentano degli elementi comuni:  uso di tecnologie avanzate che consentono di evitare o attenuare lo sfruttamento intensivo della manodopera,  la ricerca di accordi con il sindacato per il coinvolgimento consensuale della manodopera in proposte di miglioramento,  il ricorso a forme di organizzazione modulare della produzione e nei valori tipici della produzione snella. La produzione snella dimostra che non c’è una sola via d’uscita dal fordismo ma due:  la VIA OCCIDENTALE: privilegia la tecnologia  la VIA GIAPPONESE: privilegia l’organizzazione la Fiat ha compiuto un percorso per arrivare alla FABBRICA INTEGRATA, formula con cui esprime la sua interpretazione della produzione snella. La Fabbrica integrata nasce per superare gli inconvenienti della fabbrica ad alta automazione e che originavano dal contrasto tra le tecnologie estremamente avanzate e la formula organizzativa con cui si gestivano quelle tecnologie, rimasta di tipo tradizionale. le vecchie squadre di produzione dell’epoca fordista, erano state sostitute dalle UTE (Unità Tecnologiche Elementari), le quali funzionavano come delle minifabbriche dotate di tutte le risorse tecniche e umane necessarie per svolgere in autonomia i compiti assegnati. La via Toyota ha puntato innanzitutto sul coinvolgimento umano e poi sulla tecnologia, e la via Fiat ha puntato prima sulla tecnologia e solo dopo ha scoperto l’importanza del coinvolgimento umano. 6. OLTRE LA PRODUZIONE SNELLA: DALLA FABBRICA INTEGRATA ALLA FABBRICA MODULARE A cavallo tra il 20° e il 21° secolo, presero l’avvio dei processi di terziarizzazione. Per terziarizzazione si intende la cessione ad imprese esterne, di fasi e di servizi integranti del processo produttivo che si svolgono in siti appartenenti all’impresa madre. Tali siti sono anche detti moduli e la fabbrica così organizzata viene chiamata Fabbrica Modulare. Tale fabbrica deve imparare a far funzionare il sistema produttivo mediante la gestione dei contratti stipulati con le imprese terze. Uno dei problemi organizzativi affrontati da Fiat Auto è stato quello di come innestare la Fabbrica Modulare sulla Fabbrica Integrata, in quanto i due modelli si ispirano a logiche diverse.
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