Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

LA RINASCITA ECONOMICA DELL'ITALIA NEL SECONDO DOPOGUERRA E IL RUOLO AMERICANO, Tesi di laurea di Storia Economica

Tesi di Laurea Triennale Economia

Tipologia: Tesi di laurea

2014/2015
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 06/02/2015

kia.sweet
kia.sweet 🇮🇹

5

(11)

3 documenti

1 / 68

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica LA RINASCITA ECONOMICA DELL'ITALIA NEL SECONDO DOPOGUERRA E IL RUOLO AMERICANO e più Tesi di laurea in PDF di Storia Economica solo su Docsity! 1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA DIPARTIMENTO DI ECONOMIA CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA AZIENDALE Elaborato scritto per la prova finale in Storia Economica LA RINASCITA ECONOMICA DELL’ITALIA NEL SECONDO DOPOGUERRA E IL RUOLO AMERICANO Docente di riferimento: ANDREA ZANINI Candidato: CHIARA BERTANIA Anno Accademico 2013 – 2014 2 A te mamma, dedico questo mio primo e grande traguardo. 5 INTRODUZIONE Ripercorrere le molteplici situazioni venutesi a creare nell’economia italiana nella seconda metà del secolo scorso permette di dimostrare i profondi e significativi cambiamenti che subirono la struttura economica e la collocazione dell’Italia a livello europeo e mondiale in quegli anni. In questo elaborato verranno ricostruite numerose vicende, caratterizzanti l’Europa e il “Bel Paese”, a partire dalla triste e devastante eredità lasciata dalla seconda guerra mondiale. Tale conflitto provocò la devastazione dei Paesi coinvolti negli eventi bellici, peraltro già gravemente danneggiati dalla Grande Guerra, e perciò viene identificato come un evento che coinvolse, direttamente o indirettamente, i popoli di tutti i continenti del mondo e che venne combattuto per mare, per terra e in aria grazie all’utilizzo di mezzi aerei e nuove tipologie di armi, sia offensive, sia difensive. Si stima che a tale guerra sia riconducibile la morte di circa 15 milioni di persone solo in Europa Occidentale; milioni di individui, inoltre, vennero feriti oppure si ammalarono di patologie connesse all’alimentazione. Nonostante i numerosi studi e gli innumerevoli dati a disposizione, ad oggi ancora non è possibile stabilire in maniera univoca il valore dei danni materiali causati in Italia e in Europa; si ritiene, in ogni caso, che la guerra abbia determinato perdite senz’altro superiori a quelle subite durante la Grande Guerra; infatti, i bombardamenti aerei causarono la distruzione, non solo degli impianti industriali e delle installazioni militari, ma anche di molteplici abitazioni civili, di ferrovie, di porti e bacini. Solamente i paesi neutrali, come la Svizzera, l’Irlanda, il Portogallo, la Svezia e la Spagna evitarono danni diretti, ma subirono anch’essi le conseguenze delle penurie provocate dalla guerra. Un discorso nettamente differente deve essere fatto per gli Stati Uniti, il Canada e l’America latina poiché tali nazioni uscirono dal conflitto con un’economia decisamente rafforzata 6 non avendo subito danni diretti; questi paesi ottennero un beneficio immediato dalla richiesta bellica conseguendo una notevole crescita del settore industriale, di quello tecnologico e di quello agricolo. Nonostante l’enorme vantaggio, gli Stati Uniti si mostrarono sempre particolarmente sensibili e interessati alla situazione europea e alla conseguente ricostruzione del “Vecchio Continente”, tanto che decisero di concedere prestiti e aiuti ai Paesi in difficoltà. Riguardo all’ammontare degli aiuti devoluti dagli americani all’Europa tra gli anni 1945 e 1947 non c’è accordo: secondo la Fondazione Marshall in quel biennio i prestiti furono poco meno di 20 miliardi di dollari; nelle memorie del presidente Truman, invece, si parla di 15 miliardi di dollari, secondo le stime dell’economista Kindleberger, poi, le risorse impiegate furono 10,1 miliardi di dollari, mentre secondo Milward furono 10,098 miliardi di dollari. Gli aiuti vennero inizialmente erogati attraverso la United Nation Relief and Rehabilitation Administration (UNRRA) fondata il 9 novembre 1943, con sede a Washington grazie ad un accordo siglato da ben quarantaquattro paesi, con lo scopo di fornire assistenza economica e civile ai Paesi usciti gravemente danneggiati dalla seconda guerra mondiale, la cui attività venne finanziata dagli Stati Uniti per il 73% circa. Nel dicembre del 1947 il governo americano annunciò lo stanziamento di altri aiuti di emergenza a favore della Francia, dell’Austria e dell’Italia per 522 milioni di dollari; tuttavia, in assenza di un articolato e organico programma di ricostruzione le risorse erogate non furono sufficienti per risollevare le sorti dell’economia europea. La ricostruzione dell’Europa doveva basarsi sulla realizzazione di un nuovo ordine economico di respiro internazionale (di cui avrebbe beneficiato anche gli Stati Uniti), pertanto, era necessario evitare di imporre ai Paesi sconfitti una qualsiasi forma di riparazione, bensì bisognava sostenere la cooperazione internazionale tra gli Stati Europei. 7 Nel giugno 1947, il Segretario di Stato George Marshall rese pubblica l’idea ispiratrice del programma per la ricostruzione europea che sarà noto come Piano Marshall, prima applicazione concreta della dottrina Truman, con cui il popolo americano venne chiamato a comprendere la necessità di contribuire ad avviare la ripresa economica europea nell’interesse stesso degli Stati Uniti, con l’obiettivo di rendere i paesi devastati dal conflitto autonomi economicamente e liberi dall’influenza comunista. Il Piano Marshall, come vedremo, si rivelò fondamentale per la ricostruzione del mercato europeo attraverso il ripristino delle vecchie correnti di scambio multilaterale e dei flussi commerciali attuati con gli accordi di pagamento bilaterali che i Paesi Europei furono costretti a siglare. Inoltre permise ai governi europei di programmare la riduzione dei dazi e l’eliminazione dei contingentamenti e dei controlli sugli scambi (vincoli che, una volta aboliti, fecero ottenere all’Europa importanti effetti indiretti che portarono il processo di crescita nel decennio successivo a livelli mai conosciuti in passato). Il Piano Marshall dette alla potenza economica degli Stati Uniti l’occasione di un intervento senza precedenti, che portò alla creazione in Europa di un nuovo ordine economico fondato sulla leadership americana. Tale piano è stato numerose volte interpretato dalla storiografia: dall’immagine apologetica e propagandistica dei primi anni Cinquanta, quando si delineò il mito degli aiuti americani come espressione della generosità e della solidarietà degli Stati Uniti portatori di libertà e di prosperità all’Europa, incapace in quel periodo di risollevarsi da sola dalle distruzioni della guerra e minacciata dall’espansionismo sovietico, si è venuta contrapponendo l’interpretazione revisionista che ha visto l’intervento americano principalmente come una risposta ai problemi interni americani e al pericolo di una nuova depressione, oltre che come un’iniziativa politica, di contrapposizione all’Urss. 10 Le sue idee economiche e politiche non piacquero ai liberali e alla Democrazia Cristiana (Dc), i quali uscirono definitivamente dall’alleanza e costrinsero Parri alle dimissioni il 24 novembre 1945; la caduta di tale governo coincise con la fine della lotta armata al fascismo e l’inizio di un periodo nuovo con la ripresa della libera e democratica competizione fra le forze politiche; anche se l’unità delle forze del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) proseguirà formalmente fino al maggio del 1947. Infine un altro motivo della caduta di tale governo che non durò nemmeno sei mesi (dal giugno 1945 al novembre dello stesso anno) fu Parri stesso: uomo onesto, coraggioso e ampiamente rispettato, ma senza la stoffa del Presidente del Consiglio visto che in molte situazioni si mostrò tentennante e insicuro nel prendere decisioni riguardo specifici interventi da adottare. Le redini del nuovo Governo furono così assegnate ad Alcide De Gasperi, il quale senza esitazioni abolì tutte le riforme definite da Parri e ripristinò parzialmente la normalità. Il primo governo guidato dal leader democristiano nacque su proposta del suo principale rivale, il socialista Nenni. La manovra strategica di quest’ultimo fu ben definita: mettere in difficoltà De Gasperi spingendolo ad accollarsi la responsabilità del governo in un periodo particolarmente difficile; il probabile e temuto fallimento avrebbe portato fuori dai giochi i democristiani, facilitando quindi la strada alle forze di sinistra. Tale progetto però fallì e De Gasperi – che rimarrà al Governo fino al 1953- non appena ne ebbe l’opportunità eliminò le forze di sinistra dalla compagine governativa. Il piano di De Gasperi si concentrò su due punti principali: ristabilire l’ordine pubblico, anche per tenere sotto controllo le forze di sinistra in grado in qualunque momento di mobilitare le masse, e cominciare a mano a mano la ricostruzione materiale ed economica del paese; per quanto riguarda invece la questione istituzionale, la scelta venne affidata a un decisivo referendum popolare. 11 1.2 Dalla Monarchia alla Repubblica Nella giornata del 2 e nella mattinata del 3 giungo 1946 si tenne in Italia il Referendum per scegliere la forma istituzionale dello stato, cioè tra Monarchia e Repubblica. Il referendum fu a suffragio universale e per la prima volta poterono votare anche le donne. Il 10 giugno la Corte di Cassazione diede in via ufficiosa la notizia della vittoria della Repubblica affermando che avrebbe fatto la proclamazione ufficiale con i dati definitivi il 18 giugno ma ciò non avvenne; per questo motivo la Repubblica non fu mai proclamata; nonostante ciò con il 52% dei voti passò la Repubblica anche se il minimo margine della vittoria fece capire che, nonostante gli errori, gli italiani erano ancora legati alla monarchia. Di conseguenza il re Umberto II passato alla storia come il “Re di Maggio” (in quanto salì al trono il 9 maggio 1946 in seguito all’abdicazione del padre, e vi rimase, in effetti, solo fino al referendum del giugno ’46, di qui l’appellativo di re di maggio datogli polemicamente dai repubblicani), il 13 giugno abbandonò l’Italia e prese dimora a Cascais presso Lisbona, con il nome di conte Sarre facendo così concludere la dinastia dei Savoia in Italia. Figura 1: "Le principali testate giornalistiche all'indomani della proclamazione della Repubblica" 12 Figura 2: "I dati ufficiali regione per regione del Referendum istituzionale " Figura 3: ” La scheda di votazione per il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 " 15 II: UN PAESE USCITO DALLA GUERRA 2.1 I danni causati dal conflitto all’industria italiana Gli anni che seguirono immediatamente la fine del secondo conflitto mondiale determinarono quello che viene usualmente detto “periodo della ricostruzione”. Si tratta di una denominazione impropria dal momento che gli eventi di quegli anni andarono assai al di là del mero restauro materiale della capacità produttiva distrutta dagli eventi bellici. La guerra causò danni non indifferenti all’apparato produttivo del Paese e all’indomani della guerra l’Italia, uscitane stremata e piena di rovine, si trovò ad affrontare una terribile situazione economica e strutturale che richiedeva una rapida soluzione. Proprio in quegli anni, infatti, vennero adottate decisioni e intrapresi percorsi che dovevano risultare fondamentali per lo sviluppo economico successivo, per questo motivo non potrà quindi stupire che questo periodo, analizzato ed esaminato da numerosi economisti e da storici, sia probabilmente quello maggiormente e intensamente studiato dell’intero quarantennio post bellico3. Molteplici e complessi i problemi che l’Italia si trovò ad affrontare tra cui distinguiamo problemi sotto il profilo immediato e problemi invece dal punto di vista di più lungo periodo. La necessità di ricostruire le attrezzature industriali produttive distrutte dal conflitto in questione, l’inflazione che avanzava vertiginosamente, la strozzatura della bilancia dei pagamenti che impediva gli acquisti indispensabili di materie prime, la mancanza di valuta e il grave deficit, erano certamente problematiche da risolvere in tempi immediati senza quindi perdite di tempo. Nel lungo periodo invece i problemi principali risultavano essere la disoccupazione strutturale cui venne associata la necessità di rilanciare lo sviluppo industriale, l’arretratezza del settore agricolo gravemente colpito dalle distruzioni belliche, l’insufficiente produzione di energia elettrica e 3 Graziani A.,1998, Lo sviluppo dell’economia italiana, Torino, Bollati Boringhieri, p. 15. 16 l’attenuazione degli squilibri territoriali e in particolare la povertà delle regioni meridionali4. I danni della guerra furono così ingenti che i Paesi più colpiti, anche se ne uscirono più o meno segnati, poterono considerarsi tutti in uno stato di grave prostrazione. Al fianco della dolorosa perdita di capitale umano (durante i sei anni di conflitto, i dati riguardanti l’Italia mostrano che la perdita di vite umane ammontò a 444.523 persone di cui 180.088 civili) il conflitto determinò inoltre enormi danni al capitale fisico5, molte grandi città italiane e allo stesso tempo europee vennero infatti rase al suolo e gran parte del patrimonio di abitazioni venne distrutto, ma i danni maggiori si rilevarono nel settore dei trasporti: la rete stradale venne sconvolta, la rete ferroviaria venne pressoché paralizzata dato che gli attacchi aerei si concentrarono sulle ferrovie e in particolare sulle linee elettrificate a doppio binario: 7000 furono i chilometri di binari danneggiati, il 25% del totale e ben 4750 i ponti collati; per quanto riguarda invece i trasporti via mare anch’essi seriamente compromessi dalle distruzioni belliche, possiamo definire che circa l’85% della marina mercantile venne distrutta, ma tale debolezza italiana derivò da diversi fattori: il tardo annuncio dato alla marina sull’effettivo inizio del conflitto, ma soprattutto il fatto che nonostante si conoscesse la tecnologia del radar, l’Italia fu carente nell’utilizzo militare di tale strumento6. Nonostante però i suddetti aspetti gravi ma certamente rimediabili nella maggior parte dei casi, i danni che invece vennero inferti all’apparato produttivo risultarono meno estesi del previsto. Le grandi imprese private e pubbliche uscirono provate dal conflitto e per questo lenta fu la ripresa dell’industria italiana vista la mancanza di materie prime e combustibili che non potevano essere consegnati a causa dei trasporti interrotti, e che a loro volta, non potevano essere riattivati, dal 4 Graziani A., 1998, p. 18. 5 Fauri F., 2010, Il piano Marshall e l’Italia, Bologna, Il Mulino, p. 85. 6 Fauri F., Il piano Marshall e l’Italia, 2010, p. 87. 17 momento che le fabbriche non funzionavano: i settori più colpiti dalle distruzioni furono, quindi, quelli della siderurgia, dell’industria meccanica, della marina mercantile e dell’agricoltura. Per quanto riguarda la siderurgia, definito come il settore maggiormente danneggiato da bombardamenti e asportazioni nel corso del conflitto, ridusse la produzione di ferro a 1/5 rispetto all’anteguerra, mentre la capacità produttiva annua di ghisa precipitò da 1,85 milioni di tonnellate a 600.000 (tra il 1939 e il 1945), quella di acciaio grezzo da 4,6 milioni a 3,27 milioni di tonnellate; tale settore perse ben un quarto dei propri impianti (in particolare lo stabilimento di Cornigliano nel 1943 venne asportato dai tedeschi prima che entrasse in funzione). Gli impianti rimasti erano decisamente antiquati e di conseguenza sia la produttività che i costi della siderurgia italiana non potevano sostenere la competizione con le siderurgie di altri paesi, pertanto il settore siderurgico fu oggetto di numerosi interventi da parte dello stato per facilitare una rapida, ma soprattutto razionale ripresa7. Nel 1948 il governo italiano approvò il cosiddetto Piano Sinigaglia, che prese il nome dall’ingegnere e imprenditore Oscar Sinigaglia, venne definito partendo da una persuasione, non da tutti condivisa, che la ricostruzione avrebbe richiesto quantità elevate e crescenti di ferro e acciaio, il piano si basò sulla costruzione di grandi centri a ciclo integrale vicini al mare e sullo sfruttamento del minerale invece che dei rottami. Furono così costruiti tre stabilimenti: quello di Genova Cornigliano (poi intitolato a suo nome), quello di Bagnoli e infine quello di Piombino. L’accentramento della produzione di moderni e ampi stabilimenti industriali permise l’allineamento dei costi siderurgici italiani a quelli internazionali e lo sviluppo delle varie industrie meccaniche, messe in condizione di quasi parità con le similari più avanzate industrie straniere. Tale piano poté dirsi realizzato quanto a obiettivi produttivi già alla fine del 1952, quindi grazie a tale strategia nel campo siderurgico, l’Italia in soli dieci anni dal termine del conflitto fece passi in avanti eccezionali 7 Fauri F., Il piano Marshall e l’Italia, 2010, p. 87. 20 2.2 Il contesto macroeconomico del “Bel Paese” Gli ingenti problemi che attanagliarono l’Italia non riguardarono soltanto i danni fisici causati dalla guerra a enti pubblici e privati, bensì riguardarono anche il quadro macroeconomico italiano. Gli anni postbellici furono infatti caratterizzati dal problema dell’inflazione costantemente al centro del dibattito economico politico. Tale problematica secondo innumerevoli storici può essere ricondotta a due principali ragioni: con la fine della guerra, accanto alla scomparsa dei meccanismi forzosi per sottrarre liquidità al settore privato, iniziò una consistente immissione di moneta cartacea da parte delle autorità militari alleate (le AM-lire); inoltre, venne effettuato un brusco adeguamento del cambio lira-dollaro, con una svalutazione implicita della nostra moneta di quasi cinque volte, cosicché in una situazione del genere il governo si trovò a dover affrontare sempre più crescenti difficoltà economiche. L’inflazione portò a una paralisi dell’attività produttiva mentre lo squilibrio tra domanda e offerta portò a un incredibile aumento dei prezzi, i prezzi continuarono a salire anche dopo la fine del conflitto con un brusco peggioramento dalla seconda metà del 1946, tanto che in questa fase fu decisiva la posizione prestigiosa di Luigi Einaudi (Governatore della Banca d’Italia, prima, Ministro del Bilancio e Presidente della Repubblica, poi). Inizialmente, Einaudi propose di eliminare i prezzi politici che pesavano sul bilancio dello Stato e di definire una consistente riduzione della spesa pubblica; nonostante ciò, però, l’inflazione continuò a crescere in maniera vorticosa. Divenuto Ministro del Bilancio, tuttavia, Einaudi decise nel 1947 una risolutiva misura di restrizione monetaria: con l’inserimento di un nuovo sistema di riserva obbligatoria per le banche e si definì un limite notevole all’espansione del credito bancario; tale operazione riuscì quindi ad arrestare la grave spirale inflazionistica10. http://economia.unipv.it/pagp/pagine_personali/cbianchi/sviluppoitaliano.d oc 10 http://economia.unipv.it/pagp/pagine_personali/cbianchi/sviluppoitaliano.doc, consultato il 16/05/2014 21 Meno pesante rispetto all’inflazione era sicuramente era il problema della bilancia dei pagamenti, sotto questo profilo pare che l’Italia fosse chiusa in una sorta di circolo vizioso: per pagare le importazioni era necessario sviluppare le esportazioni, ma per farlo, era necessario ricostruire la capacità produttiva importando macchinari e materie prime. L’andamento della bilancia dei pagamenti che va dalla stabilizzazione monetaria al 1947 riflette le caratteristiche strutturali dell’economia italiana, sia le influenze che hanno avuto sull’attività economica differenti fattori di tipologia economica-congiunturale o politico-economica, interni e internazionali, che si sono susseguiti nel periodo studiato culminando con le distruzioni terribilmente violente del secondo conflitto mondiale. In linea generale se non teniamo in considerazione gli anni di guerra e soprattutto quelli del dopoguerra, è possibile definire una caratteristica strutturale della bilancia dei pagamenti per transazioni correnti, la quale consiste nel deficit cronico delle partite di carattere commerciale, cioè delle importazioni rispetto alle esportazioni, e nel persistente surplus delle partite invisibili al netto delle passività. Per gli anni 1943,1944,1945 non si dispone di dati attendibili, invece il 1946 e il 1947 sono caratterizzati da deficit molto elevati per le transazioni commerciali, di un livello molto basso di partite invisibili e, perciò, di un finanziamento del deficit della bilancia dei pagamenti per transazioni correnti mediante prestiti o attraverso aiuti. Per questo motivo nel 1946 il deficit di 411 milioni di dollari venne finanziato attraverso i fondi UNRRA, con il fondo concesso dalla Foreign Economic Administration (entrambi gratuiti), con altre donazioni e prestiti per 67 milioni di dollari. Il più elevato deficit di dollari pari a 717 milioni nel 1947, venne invece finanziato in parte con i fondi UNRRA e post- UNRRA e in parte con prestiti dell’Export Import Bank e con accreditamenti vari11. Una ulteriore e non trascurabile realtà fu quella della disoccupazione strutturale derivante dal fatto che dopo il secondo conflitto mondiale la 11 http://www.treccani.it/enciclopedia/bilancia-res-4a27446f-87e5-11dc-8e9d- 0016357eee51_(Enciclopedia-Italiana)/ , consultato il 16/05/2014. 22 situazione occupazionale era realmente tragica: la mancanza di posti di lavoro era generalizzata in tutto il paese e riguardava in particolare i capifamiglia. La maggior parte della forza-lavoro era impegnata nel settore agricolo in stato di sottoccupazione, mentre il settore industriale era impegnato nella riconversione; nel 1945 i disoccupati superarono i due milioni dislocati principalmente nel Sud Italia. Agli albori degli anni cinquanta, nonostante l’avvio della riforma agraria e gli aiuti straordinari destinati al Mezzogiorno, gli industriali del nord trovarono un esercito di lavoratori meridionali disoccupati e disponibili a trasferirsi per avere un lavoro, il che consentì di mantenere bassi i salari; si ebbe, di conseguenza in questi anni, una forte migrazione interna dal Sud, dove le famiglie erano sottoccupate in agricoltura, verso le regioni settentrionali più industrializzate (come Piemonte e Lombardia). Una delle conseguenze della disoccupazione furono migrazioni interne al paese e inoltre lo spopolamento delle campagne e il massiccio abbandono delle campagne si può inevitabilmente riassumere in due fattori: • Il basso reddito: per ragioni strutturali, scarsa fertilità di molti terreni, concorrenza dei prodotti europei, assenza di una vera riforma produttiva e distributiva • L’attrazione verso il modello di vita cittadino basato sulla comodità, libertà dai vincoli familiari e sociali tipici delle società agricole, redditi elevati e stabili. Tutto ciò per il Sud volle dire spopolamento e ristagno economico, viceversa al Nord dove si sviluppò il fenomeno dell’urbanesimo, si ebbero problemi sociali dovuti anche alla mancanza di servizi essenziali come scuole, ospedali e case. Infatti le grandi città del nord erano totalmente impreparate dal punto di vista delle abitazioni ad accogliere tutti questi immigrati, che per anni vissero o in baracche oppure in “coree” di periferia; stesso discorso per le infrastrutture sanitarie, scolastiche, delle strade, dei trasporti. Paul Ginsborg, storico inglese ancora vivente, in una sua citazione 25 Molteplici erano le situazioni di emergenza, altrettanto numerose quelle di incertezza, tanto che vennero elaborati e formulati diversi programmi e piani per definire le modalità da adottare per la gestione dell’economia, ma il principale e più sostanzioso dubbio si poneva su un preciso quesito: ricostruire pianificando e intervenendo con le teorie keynesiane oppure favorire le teorie liberiste lasciando quindi libero il mercato? Le teorie keynesiane assegnavano allo Stato un ruolo di rilievo del processo economico grazie alla spinta degli Stati Uniti, a seguito delle esperienze dirigistiche e social democratiche degli anni Trenta, usarono e seguirono finalità di presenza strutturale dello stato nell’economia (come la nazionalizzazione delle attività produttive, forti regolazioni dei mercati dei beni, dei movimenti di capitale e degli scambi internazionali di merci) e di attivismo macroeconomico per il perseguimento della piena occupazione e costruzione organica dei sistemi di protezione sociale. I liberisti, invece, favorevoli all’eliminazione di qualsivoglia controllo dello Stato ponevano l’attenzione sulla superiorità del mercato libero visto che permetteva: l’iniziativa privata, il conseguimento di una stabilità monetaria, il libero scambio e infine la libertà nella contrattazione. All’interno di una situazione in cui venivano quindi a mancare principalmente le materie prime, lo sviluppo industriale poteva risollevarsi soltanto adottando una politica liberista (di libero scambio) che permettesse lo sviluppo di importazioni ed esportazioni. Cosicché tra il ’45 e il ’47, su qualsiasi altra proposta di programmazione prevalse la scelta liberista della ricostruzione che verrà concretizzata dalla linea politica adottata da De Gasperi, il quale rimase dal ’45 al ’53 alla guida del governo italiano dando inizio alla fase liberista, definita di “restaurazione capitalista”. Per dare una soluzione alla condizione economica terribile in cui riversava l’Italia era logico e vantaggioso ricorrere a manovre di politiche monetarie ispirate al liberismo e non alla filosofia dei programmatori i quali “ programmavano risorse e investimenti senza tenere conto del bilancio dello Stato”14. 26 III: L’AIUTO AMERICANO PRIMA DEL PIANO MARSHALL 3.1 Il Prestito Eximbank Le forze alleate subito dopo il loro sbarco in Sicilia, nel luglio del 1943, provvidero a rifornire di derrate alimentari e di forniture medicinali e sanitarie la popolazione italiana che si trovava a tergo delle truppe operanti. Tali aiuti tra il 1944 e il 1945 aumentarono notevolmente vista la crescente estensione del territorio liberato. La responsabilità e l’organizzazione della distribuzione dei rifornimenti dal10 luglio 1943 all’ottobre 1944 venne svolta direttamente dalle autorità militari alleate e solamente a ottobre la gestione passò al governo italiano. Nonostante tutto ciò fino alle elezioni politiche del 1948, per gli americani le relazioni con l’Italia furono assolutamente inscindibili dalla persistente attenzione verso la situazione politica interna del Paese, soprattutto per l’interesse strategico che questo aveva per la sua ottima posizione nel Mediterraneo. Per questo motivo, fin dall’armistizio di Cassibile il principale obiettivo degli Stati Uniti fu quello di incoraggiare lo sviluppo della democrazia e il reintegro del Paese nella politica internazionale: la primaria preoccupazione dei diplomatici americani era quella di accertarsi riguardo la formazione di uno stabile governo filoccidentale, allontanando le sinistre. 27 FOCUS: L’ARMISTIZIO DI CASSIBILE: L’Armistizio di Cassibile siglato segretamente il 3 settembre 1943 e annunciato pubblicamente l’8 settembre ai microfoni di Radio Algeri da parte del generale Dwinght Eisenhower e, poco dopo un’ora confermato dal maresciallo Pietro Badoglio tramite i microfoni dell’EIAR, segna la fine delle ostilità con gli alleati (Stati Uniti e Inghilterra) e la fine dell’alleanza militare con la Germania, ma anche la data della dissoluzione dell’esercito italiano e della cattura di centinaia di migliaia di militari, a causa della mancanza di precise disposizioni da parte dei Comandi militari. In conclusione è possibile sostenere che non si trattava affatto di un armistizio, ma di una vera e propria resa senza condizioni. Nelle scelte di politica estera attuate da De Gasperi si assistette al progressivo avvicinamento agli Stati Uniti, che cominciò a prendere corpo in occasione del viaggio del Presidente del Consiglio negli Stati Uniti, dal 9 all’11 gennaio 1947, al fine di ottenere un prestito di 100 milioni di dollari dalla Export Import Bank volto a rafforzare il prestigio italiano e risollevare le sorti del “Bel paese” per reinserirlo nel contesto internazionale e nell’area politica delle democrazie occidentali. Durante i giorni di permanenza negli Stati Uniti, De Gasperi in occasione degli incontri con il presidente Truman e il segretario di stato Byrnes pronunciò alcuni discorsi chiedendo la fiducia degli americani nei confronti della nuova Italia. “La civiltà italiana - disse- ha dato al mondo qualche contributo nel passato. L’Italia di oggi ha il proposito e la capacità di lavorare e di contribuire alla pace e alla ricostruzione mondiale”. L’obiettivo principale di De Gasperi era quello di rafforzare la posizione italiana nel contesto internazionale e offrire l’immagine di un paese animato dalla volontà di riprendere la strada della democrazia e di “rimettersi in rapporto col grande respiro delle nazioni”. De Gasperi sapeva che la fiducia americana doveva essere conquistata in quanto gli Stati Uniti erano da lui individuati come l’interlocutore privilegiato per il reinserimento dell’Italia nel contesto internazionale. Il 30 Lowell W. Rooks. Per quanto riguarda le spese è fondamentale effettuare una netta distinzione tra le spese amministrative e le spese operative:  le spese amministrative furono sostenute da tutti i 48 stati membri in base a contributi stabiliti dal Consiglio, il totale delle spese amministrative ammontò a $ 41.300.000  le spese invece operative furono finanziate dai 32 paesi membri che non subirono l’invasione nemica durante il secondo conflitto mondiale, ciascuno dei quali corrispose l’1% della ricchezza nazionale durante l’anno 1942-1943. Il totale delle spese operative arrivò a ben $ 3.653.400.000. Senza esitazioni e dubbi si può affermare che gli Stati Uniti furono di gran lunga i principali sostenitori grazie al loro contributo di circa $ 2.700.000.000, pari al 73% del totale, seguiti dall’Inghilterra (17%), dal Canada (3,8%) e dall’Australia (2,1%)18; al restante 6% contribuirono svariati paesi con piccoli contributi in materie prime, tra cui: zucchero da Cuba, nitrati dal Cile, juta dall’India, zolfo, risone, limoni, semi di canapa e sale dall’Italia, l’unico paese ex nemico a contribuire. Inizialmente si stabilì che l’UNRRA avrebbe assistito soltanto i popoli delle Nazioni Unite, ma successivamente furono incluse anche l’Italia, l’Austria, la Finlandia e l’Ungheria. L’UNRRA cominciò quindi a svolgere il suo compito in Europa nel 1944, non appena le forze alleate cominciarono a liberare i paesi mediterranei e quelli balcanici, la sua azione venne concentrata maggiormente in alcuni paesi europei, tra cui anche l’Italia, attraverso piani volti a supportare le fasce meno fortunate della popolazione, ma allo stesso tempo anche indirizzati al sollevamento della produzione sia industriale, sia agricola che alla riorganizzazione delle attività. In circa tre anni (1945-1947) la quantità di merci fornite dall’UNRRA (tutte quante a titolo gratuito) ammontò a 26 milioni di tonnellate e i paesi che maggiormente ne 18 http://www.treccani.it/enciclopedia/unrra_(Enciclopedia-Italiana)/, consultato il 16/05/2014. 31 beneficiarono furono: la Cina con $ 520.000.000, la Polonia con $ 81.000.000, l’Italia con $ 421.000.000, la Iugoslavia con $ 420.000.000, la Grecia con $ 350.000.000, la Cecoslovacchia con $ 264.000.000, l’Ucraina con $ 188.000.000 e infine l’Austria con $ 136.000.000. Altri paesi aiutati furono la Corea, San Marino, la Finlandia, la Bielorussia, l’Albania, l’Ungheria, mentre tra i paesi che non richiesero assistenza all’UNRRA furono la Francia, l’Olanda e il Belgio. Approssimativamente il 40% dei fondi dell’UNRRA furono utilizzati per acquisire alimenti, in particolare dopo che l’Europa venne colpita dal terribile raccolto del grano avvenuto nel ’45 l’UNRRA fece recapitare ben 5 milioni di tonnellate di cereali; oltre per l’acquisto di generi alimentari tali fondi vennero usati per acquisire carburanti, lubrificanti, carbone, materie prime, macchine agricole, cotone, lana e indumenti oltre a medicinali e materiali sanitari. Diversi e significativi gli impegni svolti dall’UNRRA, che impegnata a far giungere gli aiuti ai governi dei paesi assistiti, cercava di assicurarsi che i fondi non fossero usati per scopi politici, ma soprattutto cercava di assicurarsi che tutta quanta la popolazione, senza distinzioni, ricevesse una corretta e giusta parte di merci UNRRA e che inoltre fossero adottate adeguate misure per contrastare il sempre temuto mercato nero. Un altro e importante ruolo dell’UNRRA fu certamente quello del sostegno ai profughi di cittadinanza delle Nazioni Unite, perseguitati per motivi razziali o politici e apolidi. Le cifre sono incredibili: tra il 1946 e la prima metà del 1947 l’UNRRA fornì aiuto a ben 800.000 profughi (circa 700.000 in Germania, 50.000 in Austri, 30.000 in Italia e 20.000 nel Medio Oriente)19 19 http://www.treccani.it/enciclopedia/unrra_(Enciclopedia-Italiana)/, consultato il 17/05/2014. 32 Figura 4: "Stemmi UNRRA" Figura 5: " Sacchi carichi di grano argentino donati dall'UNRRA" Figura 6: "Tipico TRUCK: camion per i trasporti e la consegna degli aiuti che fu un elemento determinante del successo dell’UNRRA" 35 tonnellate di carbone e 2 milioni di tonnellate di petrolio, che permisero di riattivare la circolazione su strada fino a quel momento rimasta bloccata. La terza voce che viene identificata nella tabella 1 riguarda la riabilitazione agricola, l’UNRRA inviò fertilizzanti per 5 milioni di dollari, sementi, pesticidi e macchinari agricoli per far si che potesse essere incrementata notevolmente la produzione dei raccolti italiani in modo da aumentare di conseguenza le esportazioni, riportando così in pareggio la bilancia commerciale in agricoltura. Gran parte dei beni quindi giunti in Italia venne distribuita gratuitamente alle classi più bisognose, la restante parte fu venduta dal governo alla popolazione a prezzi fissati d’accordo con la missione UNRRA. I ricavati netti delle vendite portarono alla formazione di un fondo in valuta nazionale detto Fondo Lire, per cui il governo italiano versava in un conto speciale intestato al ministero del Tesoro presso la Banca d’Italia il controvalore in lire degli importi denunciati in dollari e contemporaneamente, su tale conto giungeva il ricavato delle vendite dei beni sul mercato italiano. Tale fondo che raggiunse circa 55 miliardi di lire venne destinato, oltre che a finanziare le spese in Italia della missione UNRRA, a programmi di assistenza e riabilitazione (relief and rehabilitation) stabiliti fra il governo e l’UNRRA. Su tale fondo lire il governo italiano creò ben tre programmi speciali che dettero origine a tre organismi:  l’ERLAAS: Ente regionale per la lotta anti-anofelica in Sardegna fu un ente certamente speciale attivato nel periodo tra il 1946 e il 1950, e istituito per l’eradicazione della malaria in Sardegna con i fondi dello stato italiano, Fondo delle Nazioni Unite destinato alla ricostruzione post bellica (UNRRA) e il supporto finanziario della Fondazione Rockefeller (organizzazione filantropica statunitense sostenuta da finanziamenti sia pubblici che privati , avente lo scopo di promuovere il benessere del genere umano in tutto il mondo). 36  l’UNRRA CASAS per la costruzione e riparazione delle case e per i senzatetto bisognosi.  l’UNRRA TESSILE il cui compito fu la distribuzione e lavorazione delle fibre tessili e delle pelli fornite dall’UNRRA al governo italiano. L’UNRRA TESSILE venne definito come uno dei programmi di maggior successo in quanto oltre a rifornire la popolazione del 25% dell’abbigliamento di cotone rispetto all’anteguerra e del 35% dei prodotti di lana, fornì anche lavoro e materie prime alle ditte tessili, in gran parte uscite intatte dalla guerra, con l’aiuto del fondo lire 1/3 dei prodotti finiti venne distribuito gratuitamente alle classi più disagiate, mentre i 2/3 restanti sarebbero stati venduti a prezzi molto bassi in modo da rendere accessibili a tutti gli acquisti di prodotti tessili21. Figura 7: “Poster raffigurante propaganda UNRRA” 21 Fauri F., Il piano Marshall e l’Italia, pp. 149 -153. 37 3.4 Post-UNRRA e gli Aiuti ad Interim Nella seconda metà del 1946 si stabilì che l’UNRRA avrebbe chiuso i propri battenti in Europa non oltre la data del 30 giugno 1947, e in Cina alla fine dello stesso anno. Nonostante ciò l’amministrazione americana continuò a fornire direttamente assistenza a tutti quei paesi bisognosi che avevano utilizzato gli aiuti fino a quel momento e che erano ritenuti politicamente instabili, limitatamente però ai paesi al difuori dell’influenza dell’Unione Sovietica. Così mentre la Grecia e la Turchia furono le prime a beneficiare degli aiuti economici e militari degli Stati Uniti in base alla dottrina Truman, l’Italia e l’Austria, subito dopo la cessazione dell’UNRRA, continuarono a ricevere le forniture necessarie direttamente dagli Stati Uniti. Solo successivamente, e precisamente nel gennaio 1948, anche la Francia e il Territorio libero di Trieste furono inclusi nel piano di aiuti americani. Il 22 febbraio il presidente Truman chiese al Congresso 350 milioni di dollari in aiuti per scopi umanitari e per l’interesse stesso degli americani, in quanto non riteneva corretto abbandonare i popoli europei ancora bisognosi di aiuti. Il 31 maggio 1947 il Congresso americano approvò un programma di assistenza per le popolazioni devastate dalla guerra e stabilì per l’Italia 117 milioni di dollari in prodotti essenziali, da amministrarsi attraverso la missione AUSA (Aid from the United States of America) dal luglio al dicembre 1947, e la Interim Aid dal gennaio all’aprile 1948, che vanno entrambe ricollegate all’European Recovery Program (ERP). La sostanziale differenza risultante tra i programmi AUSA e Interim Aid riguardarono l’utilizzo del Fondo Lire derivante dagli aiuti in questione. Con il programma AUSA i versamenti venivano effettuati sul conto numero 1041 della Banca d’Italia intestato al Fondo Lire AUSA, e tale denaro doveva essere usato per opere già previste nel bilancio statale, opere di assistenza varia, opere di bonifica, irrigazioni, ricostruzione ferroviaria, lavori pubblici, case, corsi di riqualificazione professionale, e infine spese di gestione. Il programma invece riguardante la concessione degli Aiuti 40 ripresa. Egli assicurò che una politica di aiuti americani avrebbe riportato “ una normale prosperità economica nel mondo, senza la quale non si sarebbe stata stabilità e neppure pace nella sicurezza”, aggiungendo che l’intento non era quello di colpire “qualsivoglia paese o dottrina, ma di combattere fame, povertà, disperazione e caos”. Due anni, non bastarono a rimettere in piedi il Vecchio continente visto che non si trattava solo di mancanza di merci, che certamente rimaneva il primo obiettivo, ma di riabilitazione economica e finanziaria avente lo scopo di far risollevare la fiducia nella moneta, nelle banche e nelle relazioni commerciali. Fino ad allora non esistette un piano che regolava gli aiuti americani e perciò le merci e i dollari vennero devoluti singolarmente ai vari paese, tale procedura senza buoni risultati venne quindi interrotta e sostituita con l’elaborazione in un piano generale specifico finalizzato a rimettere in piedi l’Europa al fine di renderla autonoma dal punto di vista economico. Per capire e quindi stabilire le modalità con cui il piano Marshall avrebbe dovuto agire, il Congresso americano decise di esaminare la situazione dell’economia europea direttamente sul campo cosicché tra l’estate e il novembre 1947 vennero spediti sul territorio ben 200 membri del Senato e della Camera con l’obiettivo di studiare e analizzare alcuni problemi specifici come ad esempio: l’effetto del programma radiofonico Voice of America (programma di propaganda sponsorizzato dal Dipartimento di Stato), le condizioni dei deportati, ma soprattutto capire se le condizioni dell’Europa giustificassero seriamente l’impegno statunitense e infine se il Congresso avrebbe potuto rispondere in maniera opportuna alle richieste europee evitando di determinare un indebolimento della stessa economia americana. Concluso tale periodo e giunti quindi alla metà novembre’47, i membri del Comitato esposero ben 11 rapporti di qualità elevata non solo sulla situazione economica europea, ma anche sulle modalità con cui l’aiuto americano avrebbe potuto essere nel migliore dei modi gestito. Il 17 novembre 1947, dopo aver ricevuto tutto il lavoro svolto e le informazioni raccolte dai Comitati, il segretario Marshall definì il proprio rapporto 41 presentandolo ai Comitati sulle relazioni esterne del Senato e della Camera durante la riunione del Congresso. 4.2 L’approvazione del Piano Marshall e gli organi competenti Figura 8: “Poster dedicato al Piano Marshall (anche detto ERP)”. Il 3 aprile 1948 il Congresso approvò il Piano Marshall e due giorni dopo, precisamente il 5 aprile uscì un comunicato Ansa che affermava: “ Il Piano Marshall entra in vigore oggi. Comincia i suoi lavori un organismo provvisorio istituito dal Dipartimento di stato con l’incarico di elaborare i particolari per l’acquisto di viveri, materie prime, carburanti e macchinari destinati alle 16 nazioni beneficiarie”22. 13,5 miliardi di dollari in 4 anni sarebbero andati dagli Stati Uniti a favore di 16 nazioni europee che chiesero di partecipare al Piano, con l’obiettivo (economico) di favorire la ricostruzione post – bellica e (politico) di 22 Comunicato Ansa del 5 aprile 1948, ore 09,50. 42 contrastare un’eventuale avanzata del comunismo nel vecchio continente. La fetta maggiore di aiuti andò alla Gran Bretagna (23,1%) e alla Francia (20,8%), seguite da due paesi ex nemici come l’Italia (10,9%) e la Germania (10,6%); gli Stati Uniti insistettero affinché alla Germania venisse data una certa priorità, non solo perché riversava in una drastica situazione economica, ma anche perché la sua ripresa costituiva un freno per la rinascita dell’Europa, cosicché essa ottenne 1,3 miliardi di dollari in aiuti ottenendo un quarto posto nella spartizione globale a un ex nemico ora invece di vitale importanza. Aiutare la Germania certamente non significava ricostruire e ridare vita al gigante tedesco che per ben due volte nel ‘900 fece sprofondare il mondo nella guerra, in quanto sarebbero stati effettuati ampi e rigorosi controlli di sicurezza su tale stato.23 Il 12 luglio 1947, su iniziativa di Francia e Gran Bretagna, si riunì a Parigi una conferenza di sedici paesi 24, ideata per l’amministrazione del Piano Marshall in Europa; a tale riunione vennero invitati anche l’Unione Sovietica e tre paesi dell’Europa orientale (Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria), ma Stalin non accettò la proposta di partecipazione al Piano costringendo i paesi satelliti a fare altrettanto, e nel settembre del ’47 creò il Cominform (la sovietizzazione dei paesi dell’Europa orientale, il cui atto culminante fu il colpo di stato di Praga del 1948 fu completata da lì a poco). Il rifiuto fu certamente ben atteso, e anche in caso contrario, difficilmente Truman avrebbe strappato al Congresso un’accettazione a sostenere la ripresa dei paesi del blocco comunista, in quanto il Piano si integrava ottimamente alla strategia della Dottrina Truman e del Military Assistance Program. Il segretario Marshall richiese che il piano non riportasse il suo nome, cosicché venne denominato “Piano per la ripresa europea” (in inglese European Recovery Program, abbreviato ERP), ma nonostante tale richiesta 23 Fauri F., Il piano Marshall e l’Italia, p.79. 24 Turchia, Svizzera, Svezia, Portogallo, Paesi Bassi, Norvegia, Lussemburgo, Italia, Austria, Danimarca, Belgio, Francia, Grecia, Islanda, Gran Bretagna e Irlanda. 45 controparte, per riuscire a manovrare la ripresa europea con modalità favorevoli agli Stati Uniti, trasgredendo la sovranità nazionale.  alcuni economisti ritennero invece che, tale sistema, in Gran Bretagna per esempio, era inutile in quanto tale paese già possedeva il controllo del proprio sistema monetario; mentre in paesi come la Grecia tale strumento era certamente inutilizzabile per controllare l’inflazione. Nella cerchia degli economisti era possibile anche trovane alcuni che apprezzassero tale sistema come Bayard Price, in quanto capirono l’incredibile importanza che ebbero i fondi contropartita nel riequilibrare il sistema finanziario francese a seguito della riforma monetaria in Francia. Figura 9: "Poster creato dall'ECA per promuovere il Piano Marshall in Europa" Per quanto riguarda invece la OECE, pur avendo finalità di cooperazione economica, segnò una tappa decisiva nello sviluppo della collaborazione europea sul piano politico. Dell’OECE fecero parte i 16 paesi che parteciparono alle due conferenze e precisamente: Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Svezia, Svizzera E Turchia. Successivamente diventarono membri dell’organizzazione la 46 Repubblica federale tedesca (ottobre 1949) e la Spagna (1959), quest’ultima dopo un periodo di partecipazione come paese associato. Dal 1950 gli Stati Uniti e il Canada diventarono membri associati e dal 1955 anche la Iugoslavia partecipò ai lavori in qualità di osservatore. L’obiettivo principale dell’OECE fu quello di creare una economia europea forte e sana attraverso una stretta e durevole collaborazione nelle reciproche relazioni economiche tra i paesi partecipanti; ad essa vennero attribuiti i compiti riguardanti la cooperazione europea nei settori del commercio e della produzione che significavano: realizzare una sana economia europea coordinando gli sforzi economici dei membri, concordare l’utilizzo più completo delle capacità e possibilità individuali dei paesi membri e della collettività per accrescere la produzione, sviluppare e ammodernare l’attrezzatura industriale ed agricola; sviluppare gli scambi reciproci (riducendo progressivamente le tariffe doganali e gli altri ostacoli allo sviluppo degli scambi e favorendo il rafforzamento dei vincoli esistenti, soprattutto mediante unioni doganali), favorire la totale occupazione della manodopera, ristabilire e mantenere la stabilità economica e la fiducia nelle rispettive monete nazionali. Per far in modo che l’OECE potesse raggiungere tali obiettivi, ad essa venne riconosciuta, all’interno dei paesi membri, la capacità giuridica necessaria all’esercizio delle funzioni ad essa attribuite, oltre a speciali privilegi ed immunità. L’OECE era composta da un Consiglio che si sarebbe riunito periodicamente per le decisioni generali ed amministrative, e al quale aderivano i rappresentanti di tutti i paesi partecipanti, e da un Comitato Esecutivo composto da 7 membri eletti ogni anno dal Consiglio. Vennero definiti sei comitati tecnici, composti da rappresentanti dei vari paesi membri, che si occupavano del settore commerciale, di quello relativo ai pagamenti intraeuropei, allo sviluppo dei territori dipendenti oltre mare (come le colonie). Altri quattordici comitati furono poi organizzati per l’alimentazione, il carbone, il petrolio, l’agricoltura, e altre risorse prioritarie. All’interno dell’OECE si trovava inoltre, un Segretariato Esecutivo composto da impiegati responsabili nei 47 confronti di essa, comprendeva un segretario e da sottosegretari che avevano la responsabilità di preparare gli incontri del Consiglio e del Comitato Esecutivo, di sottoporre proposte a tali organi, di assicurare l’esecuzione delle loro scelte, di mantenere le relazioni con le altre istituzioni internazionali e con la stampa. 4.3 La ripartizione degli aiuti americani e il loro iter Certamente uno dei compiti più impegnativi che dovette affrontare l’OECE riguardò l’organizzazione di un programma coordinato per l’utilizzo dei sussidi concessi grazie all’ERP, il cosiddetto accordo sulla “ Division of Aid”: programma che cercò di individuare i criteri migliori per la divisione delle risorse indirizzate annualmente al Piano Marshall, il quale iniziò a funzionare dal secondo anno del piano; tuttavia tale “Division of Aid” non ebbe successo e dal terzo anno gli aiuti furono nuovamente distribuiti dall’ECA, ma con l’utilizzo delle proporzioni stabilite dal medesimo programma nell’anno precedente. Dopo il vaglio e la proposta di ripartizione da parte dell’OECE , l’ECA a Washington accettava i singoli programmi nazionali e emetteva il modulo 201 (Form 201) che stabiliva per ciascun paese la somma di denaro stanziata dopo la suddivisione dell’aiuto totale. L’ allocazione era ripartita in tre capitoli di spesa: 1. GRANTS: erano veri e propri doni fatti alle nazioni europee. I paesi che ricevevano i grants erano costrette a versare somme equivalenti della loro moneta (raccolte attraverso la vendita dei beni ERP ai loro cittadini) in conti specifici chiamati fondi contropartita. Il 5% di questi fondi veniva messo da parte per coprire le spese dell’amministrazione americana e per acquistare beni insufficienti, mentre il 95% del fondo poteva essere utilizzato, sulla base di un accordo stabilito tra la nazione beneficiaria e gli Stati Uniti, per il 50 Il mezzo principale con cui si cercò di raggiungere il primo obiettivo e cioè quello di migliorare il tenore di vita della popolazione europea riguardava un notevole sforzo nella produzione di beni, il che permetteva un aumento della quota di reddito nazionale destinato agli investimenti; tale strategia fu certamente mirata ad incentivare gli investimenti privati grazie all’utilizzo della ripresa economica finanziata dagli Stati Uniti. Il secondo obiettivo e cioè l’integrazione economica dell’Europa fu senza ombra di dubbio un “pallino americano”, Marshall, durante il suo famoso discorso ad Harvard, disse chiaramente che l’unione economica d’Europa era ciò che il governo americano si aspettava in cambio degli aiuti concessi, ma tale unione per i paesi europei appena usciti dal conflitto era davvero una “bestialità”, qualcosa di impossibile da realizzare nel breve periodo, in quanto nell’Europa stessa si faticava ad accettare e condividere le visioni integrazioniste degli Stati Uniti. Le piccole entità sovrane chiuse verso l’esterno, con barriere doganali, contingentamenti e restrizioni valutarie, non hanno che una fragile chance di durare nel mondo d’oggi. Questi paesi dovrebbero imboccare velocemente un sentiero diverso, per mostrare come dalla tragedia della seconda guerra mondiale si possa sviluppare un’unione più forte, qualche cosa di simile agli Stati Uniti d’Europa28. Il 31 ottobre 1949 Paul Hoffman, esasperato dalla lentezza con cui in Europa si andava a determinare un’unione economica, intervenne di fronte al Consiglio dei ministri con un discorso che venne ritenuto un “ultimatum”, visto che diede ai paesi membri 11 settimane di tempo per definire ed elaborare progetti di unificazione economica europea. In questo discorso Hoffman ripeté la parola “unificazione” ben 15 volte e mise in guardia i paesi membri sul pericolo e la possibilità di tornare al baratto e al nazionalismo economico; Hoffman inoltre mise a disposizione 150.000 dollari per il finanziamento di progetti che avessero come obiettivo 28 Fauri F., Il piano Marshall e l’Italia, 2010, cit. p.56. 51 l’integrazione economica dell’Europa stessa. Tale ultimatum funzionò, tanto che nell’estate ’50 furono presentati all’OECE tre differenti progetti riguardanti unioni economico-doganali: il Piano Stikker, il Piano Pella e il Piano Petsche. Tuttavia nessuno di essi superò la fase del dibattito, in quanto molte erano semplici proposte contenenti buoni propositi. Ci volle qualche anno, ma alla fine nel 1951 nacque la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) che segnò dopo 4 anni di infruttuosi tentativi la prima e concreta risposta di successo ai richiami di unificazione americani, giunti a questo punto l’integrazione economica europea smise di essere un “pallino americano” e divenne un obiettivo condiviso tra i sei paesi europei firmatari29. Accrescere il commercio con l’estero risultò essere un altro scopo del PM (Piano Marshall), ciò che si doveva raggiungere era un’espansione di circa 65-70% del commercio intraeuropeo che doveva essere raggiunta attraverso due strade: le esportazioni verso il resto del mondo e quelle verso i paesi europei, quest’ultime che giustamente dipendevano dal grado di integrazione europea raggiunta. Nell’autunno 1947 si decise infine di attuare una strategia in cui, il ruolo dell’Europa sarebbe stato quello di produrre beni in grande quantità, e al resto del mondo sarebbe spettato il compito di acquistarli; per sorreggere tale teoria l‘Europa doveva però produrre beni in grado di essere venduti sui mercati internazionali, ed in particolare in tutte quelle zone del dollaro. Un’ alternativa a tale via poteva essere a strategia svalutativa (basata su una svalutazione monetaria che rendesse più competitivi i prodotti interni) che però, poteva non essere sufficiente a rendere i prodotti europei conveniente per il resto del mondo, e doveva perciò essere anticipata da una selezione delle merci da produrre a prezzi convenienti. Il successivo obiettivo riguardò la determinazione di una stabilità finanziaria, basata sul riequilibrio della bilancia dei pagamenti, il che 29 Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Olanda e Belgio. 52 poteva significare sacrificare qualcosa: il tenore di vita oppure il debito con l’estero. Nel primo caso le risorse utili per gli investimenti si sarebbero ottenute con politiche di austerità (politiche basate sulla limitazione dei consumi sia privati che pubblici), mentre nel secondo caso il capitale necessario si sarebbe acquisito con importazioni finanziate mediante l’indebitamento pubblico. Un terzo e distinto caso poteva essere quello di organizzare una ripresa attraverso l’utilizzo di politiche di pianificazione, razionamento, controllo dei prezzi, quote alle importazioni ed elevati tassi d’interesse, per attuare quest’ultima modalità era necessario però, un totale controllo sul sistema dei prezzi, il raggiungimento di una riforma monetaria e porre limiti all’indebitamento per evitare eccessi di spesa. In poche parole ogni nazione partecipante al Piano Marshall sarebbe stata libera di scegliere come attivare la propria ripresa, ma in realtà tutto questo non avvenne in quanto l’ECA fece grosse pressioni sui paesi OECE affinché elaborassero riforme efficaci e riducessero l’indebitamento. Il restante obiettivo da analizzare riguardò il porre fine all’isolamento tedesco in Europa. Clark Clifford, consigliere speciale del presidente Truman, affermò: “Esistono modi migliori per evitare il risorgere di una Germania forte che quello di rendere impossibile ogni tentativo di ripresa economica”. Integrare il “N”emico in Europa fu certamente un grande problema viste le ferite ancora aperte dal conflitto appena terminato, chiunque avrebbe voluto radere al suolo la Germania, ma ci si rese conto che ciò non avrebbe portato vantaggi ne all’Europa, ne agli Stati Uniti. L’unica possibilità attuabile era reintegrare la Germania nel contesto europeo condividendone le risorse che possedeva come le miniere della Rurh essenziali per l’economia europea che però, non dovevano essere utilizzate dalla stessa Germania come minaccia per la sicurezza del Vecchio continente; il carbone e il coke sarebbero quindi stati divisi equamente tra i paesi che dovevano approvvigionarsi alla Rurh. Autorizzare la Germania a svilupparsi non voleva certamente dire uno sviluppo a danno degli altri paesi europei, bensì tale sviluppo doveva elaborarsi in concomitanza di 55 dell’inflazione. Tali erano obiettivi al difuori della portata del Piano Marshall e quindi non risolvibili in circa tre o quattro anni, evitando sacrifici che la popolazione europea non sarebbe riuscita a sostenere. Gli impegni per ridefinire una stabilità finanziaria furono inoltre cancellati dall’incremento delle spese militari a seguito dello scoppio della guerra di Corea. Nonostante però tutti i precedenti aspetti negativi e i diversi obiettivi non raggiunti alcuni benefici del Piano Marshall furono immediatamente chiari: la produzione industriale europea crebbe nel 1950 di oltre il 25% rispetto il 1938 ed inoltre il deficit di dollari scese da 8,5 miliardi di dollari (1947) a 1 miliardo (1950). In conclusione è possibile quindi sostenere che, l’impatto che ebbe il Piano Marshall sull’economia europea nell’immediato fu certamente dirompente, il suo significato storico è quello di aver rappresentato la prima e vera tappa verso la realizzazione di una stabile e consolidata comunità costituita da idee, legami economici e di fiducia tra i paesi europei, e tra quest’ultimi e gli Stati Uniti30. 56 V: L’ITALIA E L’ERP 5.1: Come funzionava il Piano Marshall in Italia Il Piano Marshall costituì per l’Italia la precondizione del miracolo economico sviluppatosi una volta terminata la fase della ricostruzione, e in particolare tra gli anni 1956 e 1963. Arrivò per il nostro Paese in un momento cruciale segnato da un aumento della produzione, ma anche da un parallelo esaurirsi delle riserve necessarie per pagare le importazioni vitali. Tra il 1948 e il 1951, il Programma per la ripresa europea emise a favore del “Bel paese” autorizzazioni di acquisto per 1.347 milioni di dollari grazie a cui giunsero nei porti italiani oltre 18 milioni di tonnellate di merci di prima necessità come alimenti, materie prime, macchinari e combustibili. In totale gli aiuti ERP rappresentarono una percentuale notevole: il 33,6% delle importazioni italiane dal 3 aprile 1948 al 30 giungo 1950, dal primo luglio 1950 al 30 giugno 1951 invece, tale percentuale si ridusse al 13,3% A livello organizzativo, l’ERP in Italia non utilizzò nuovi organismi burocratici, bensì sfruttò le amministrazioni già esistenti ricche dell’esperienza maturata con l’attuazione dei precedenti programmi di aiuto tra cui trovammo:  Il CIR-ERP: un comitato formato da ministri economici e degli Affari Esteri incaricato di coordinare i programmi di investimento da sottoporre al Consiglio dei ministri, decidere sull’assegnazione e l’uso delle risorse acquisite dall’ECA e inoltre occuparsi di informazione e pubblicità riguardante l’ERP.  Il MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI: incaricato di mantenere i rapporti con l’ECA e l’OECE di Roma e Washington.  Il MINISTERO DEL TESORO: il cui compito fu quello di amministrare i programmi di attuazione ERP e di occuparsi della contabilizzazione del Fondo lire, oltre che occuparsi delle operazioni 57 valutarie per gli acquisti effettuati da privati attraverso l’Ufficio italiano cambi.  Il MINISTERO DEL COMMERCIO ESTERO: incaricato di curare il coordinamento, il controllo e la contabilizzazione degli acquisti (con l’aiuto dell’Istituto per il commercio estero, ICE).  L’IMI (Istituto Mobiliare Italiano): al quale spettò il compito di seguire la procedura per l’utilizzo delle quote prestiti (loans) per l’importazione di macchinari Gli aiuti concessi dagli americani furono, come ben sappiamo, suddivisi in “grants”, merci concesse gratuitamente agli stati aderenti e “loans”, prestiti per l’acquisto di attrezzature industriali. Uno dei compiti dell’IMI fu certamente quello di raccogliere le domande di prestito per l’acquisto di impianti e macchinari operando di conseguenza una prima selezione sulle ditte richiedenti e provvedendo appena sarebbe stato possibile un perfezionamento dei contratti; il denaro, invece, ricavato con la vendita dei grants – i fondi di contropartita – confluiva in un conto speciale presso la Banca d’Italia e rappresentava una fonte importantissima di valuta nazionale (Fondo Lire) che il governo poteva usare nell’interesse del programma di ricostruzione solo dopo l’approvazione dell’ ECA . Le richieste riguardanti che cosa, ma soprattutto quanto importare in conto grants venivano elaborate annualmente in speciali programmi elaborati dal ministero dell’Industria e commercio, solamente dopo aver ascoltato i bisogni primari degli imprenditori italiani attraverso i loro rappresentanti confindustriali; i privati e di conseguenza anche le aziende che poi ricevevano le merci richieste erano tenuti a pagarle allo stato in moneta italiana. Grazie a tale modalità di pagamento venne cosi costituito il Fondo Lire (già nominato nel terzo capitolo di questo elaborato ), con cui il governo sovvenzionò, in accordo con l’ ECA, opere aventi necessità immediata come: la costruzione di case per il lavoratori, di case coloniche, di abitazioni per impiegati e operai, opere di bonifica e irrigazione, 60 prodotti nel “Bel Paese”, che permisero di salvare numerose vite umane; infine un discorso ben più approfondito deve essere fatto riguardo la fornitura americana di macchinari: fino al 1949 gli imprenditori italiani si avvalsero degli aiuti del piano Marshall quasi esclusivamente per importare materie prime, dal 1949 in poi invece, si verificò un incremento significativo delle importazioni di macchinari, che passarono dal 16% sul totale delle merci ERP importate nel 1950 fino al 28,8% nel 1951; vennero recapitati in Italia continuamente macchinari americani che resero certamente più efficiente la produzione e permisero una crescita del rendimento delle fabbriche, anche grazie alla riduzione dei costi che permise di produrre merci a buon mercato per il consumo nazionale e di incrementare sensibilmente correnti di esportazione. 5.3 I settori favoriti e quelli esclusi I settori industriali che beneficiarono principalmente dei prestiti per l’acquisto di impianti e attrezzature sul mercato americano furono quello elettrico ( 62 milioni di dollari ), quello meccanico (58 milioni ) e quello metallurgico (53 milioni). Nei quattro anni di attuazione del piano Marshall, la distribuzione finale dei prestiti ERP all’industria riflesse la ripartizione chiaramente a favore dei grandi gruppi industriali (soprattutto privati, quasi il 70 %) come: Fiat (13%), Edison (9%) e IRI (24%, con in testa le Acciaierie di Cornigliano al 10%) a cui andarono quasi la metà dei fondi ERP di cui beneficiò in totale l’industria italiana. Il nuovo stabilimento di Cornigliano, costituito da impianti a ciclo integrale dotati di treni semicontinui e continui con nastri larghi adatti in particolare all’industria automobilistica, poté contare sin dall’inizio sugli accordi stretti con la Fiat, che si impegnò ad acquistare il 61 50% dei laminati prodotti, fornendo all’azienda siderurgica “un volano essenziale per mantenere un livello critico di efficienza”33. Nel complesso il settore metallurgico ottenne 44 miliardi e un secondo posto tra i settori favoriti dal Piano Marshall; nonostante ciò, il primo vero beneficiario dell’ERP fu il settore elettrico e in particolare quello termoelettrico per il quale rilevante fu il contributo di tali sussidi, che permisero di importare dall’America sia il macchinario necessario al funzionamento dei grandi impianti termoelettrici (che già dal 1951 avevano raddoppiato la produzione di elettricità rispetto ai livelli prebellici) sia le licenze necessarie alle imprese termoelettriche italiane per produrre in proprio macchinari e impianti per le centrali termiche ( che cominciarono a rifornire a partire dal 1952)34. Al terzo posto quanto a settori favoriti identifichiamo quello meccanico, la Fiat fu in assoluto l’azienda che ricevette più aiuti sul Piano Marshall, ma insieme ad essa ricordiamo anche aziende meccaniche, che grazie all’ERP rinnovarono impianti e macchinari ormai logori e cadenti, come: Piaggio, Necchi e Marelli. Il settore tessile si accaparrò un quarto posto, poiché ottenne più di 11 miliardi di lire in macchinari; la prima azienda per importi ricevuti superiori ai 200 milioni fu la STI (Stabilimenti Tessili Italiani) specializzata nella filatura, a cui fu possibile affiancare il Cotonificio Valle SUSA che, con 10.000 addetti, concentrò le importazioni ai macchinari in quanto consentivano di migliorare la qualità della produzione in particolare nella fase del fissaggio. Nel 1951 le esportazioni tessili raggiunsero il massimo della loro incidenza sulle merci esportate (37,4%), ma già l’anno successivo tale quota crollò al 24%; tale crollo poté ricollegarsi al rallentamento della domanda mondiale vista la parallela ricostruzione dell’industria tessile negli altri paesi europei, alle restrizioni quantitative sulle importazioni tessili 33 Fauri F., Il piano Marshall e l’Italia, 2010, p. 205. 34 Battilani P. e Fauri F. , Mezzo secolo di economia italiana 1945-2008, 2008, pp. 78-79. 62 reintrodotte da Francia e Gran Bretagna e al fatto che molte aziende tessili, non avendo subito distruzioni, ritardarono il momento della decisione di mettere mano a un piano di rinnovo di impianti e macchinari. Anche l’industria della raffinazione ricevette un grande impulso dal Piano Marshall, nacquero nuovi e moderni impianti grazie al contributo di quasi 5 miliardi sul fondo ERP; l’Italia volle dotarsi di impianti di raffinazione del greggio mediorientale localizzando le fabbriche prevalentemente lungo le coste al fine di essere in grado di rifornire il mercato italiano e estero; dai 13 impianti del 1938, infatti, si passò ai 23 del 1951. Gli obiettivi di produzione riguardanti la raffinazione vennero raggiunti nel 1952 e ampiamente superati negli anni successivi; cosicché tale settore alla metà degli anni Cinquanta fu in grado di soddisfare la domanda interna ed esportare il 51% del greggio lavorato sui mercati internazionali. Nel caso della chimica, le ditte del settore ricevettero 2 miliardi di lire sui fondi ERP, certamente una cifra ridotta rispetto gli altri settori, ma qualitativamente molto significativa e importante in quanto determinò il passaggio dalla carbochimica alla petrolchimica nell’ottenimento dei prodotti di base. Nonostante i numerosi settori favoriti dal Piano ce ne furono alcuni invece, completamente esclusi come: l’industria petrolifera, l’industria automobilistica, l’aeronautica e il settore tipografico. Quello delle apparecchiature di trivellazione fu certamente il settore su cui si addensarono, per differenti motivi, i contrasti maggiori. Per la ricerca delle risorse energetiche sul territorio italiano venne istituita, con la partecipazione dello stato, l’Agip (Agenzia generale italiana petroli) nel 1926. All’indomani del secondo conflitto mondiale la posizione dell’Agip si indebolì, tanto che iniziarono a girare voci incerte circa il suo futuro . Nel 1947 Enrico Mattei, già alla guida dell’Agip su incarico del Comitato di liberazione per l’Alta Italia, venne privato del suo potere. Il nodo da risolvere era politico: da un lato c’era chi al governo voleva aprire il 65 produttivo delle aree già sviluppate, non modificando i sentieri di crescita delle diverse regioni italiane né le caratteristiche del loro tessuto industriale. Di grande impatto per il futuro fu inoltre, il rafforzamento e la modernizzazione dell’industria meccanica e il consolidamento dell’Agip, che nel 1953 entrò a far parte del nuovo grande polo energetico italiano, l’Eni, primo grande gruppo petrolifero integrato, e inoltre saggia si rivelò l’entrata in settori come la chimica e la siderurgia a ciclo integrale. Con i primi anni cinquanta cominciò la ripresa: molte strozzature vennero eliminate, la produzione industriale, grazie sia ai moderni macchinari e attrezzature importati con l’ERP sia alla diffusione del vangelo della produttività, iniziò a crescere al ritmo del 20% l’anno, un ritmo mai conosciuto in passato, cosicché dal 1953 al 1963 si iniziò a parlare di “boom economico” italiano, un impetuoso e rapido sviluppo industriale che venne definito anche “miracolo” poiché “la società italiana conobbe in un brevissimo volgere di anni una rottura davvero grande con il passato: nel modo di produrre, di pensare, e di sognare, di vivere il presente e di progettare il futuro. Venne messa in movimento in ogni sua parte….”35 Infine, è certamente necessario sottolineare il fatto che, gli aiuti americani furono più rilevanti dal punto di vista strategico-qualitativo piuttosto che quantitativo, in quanto fornirono le merci necessarie nei momenti giusti, ma soprattutto gli stimoli corretti per un mercato libero, non legato a vincoli autarchici, più funzionale e infine unificato dal punto di vista economico (anche se per quest’ultimo obiettivo si impiegarono diversi anni, alla fine lo stimolo integrazionista catturò completamente l’immaginazione europea)36. 35 G. Crainz, Storia del miracolo italiano, culture, identità, trasformazioni fra anni cinquanta e sessanta, Roma, Donzelli editore, 1998, p.7. 36 Fauri F., Il piano Marshall e l’Italia, 2010. 66 CONCLUSIONI “La cosa più impressionante che si possa dire sul Piano Marshall è anche la più ovvia : fu un successo”. Harlan Cleveland Il Piano Marshall è stato utile per l’Europa? Questo è il quesito che storici e economisti si sono posti in passato e che ancora oggi riecheggia nei libri di storia. Sia nel 1947 sia recentemente si è tentato di calcolare in termini meramente quantitativi gli effetti del piano in questione sull’economia europea attraverso il calcolo dell’incidenza degli aiuti sul PIL di ciascun paese; da tali studi risulta che per tutti i paesi fu di vitale rilevanza non tanto la grandezza, bensì la continuità e la flessibilità del sussidio americano. Secondo Hoffman, infatti, l’efficacia del sostegno statunitense sarebbe dipeso direttamente dall’immaginazione, dal coraggio, e il vigore con cui i paesi europei avrebbero mirato all’incremento della produttività del lavoro, delle aziende e del management in tutte le 16 nazioni, visto che gli aiuti stessi furono considerati solamente un ponte per oltrepassare le difficoltà contingenti. Come efficacemente sintetizzò Sidney Pollard, il Piano Marshall rappresentò per il Vecchio continente “un’iniezione nel braccio in un momento critico e i suoi effetti di grande portata non possono essere misurati in dollari”. L’ERP diede quindi, un contributo di vitale importanza al successo della ricostruzione postbellica anche grazie alla stessa politica economica alla base del piano fondata sul principio “più mercato e meno controlli”37 . Per quanto riguarda, invece, l’incidenza degli aiuti sul PIL americano, essa si aggirò sul 2% e non fu particolarmente utile all’industria americana. Nel 1947-1948 le imprese statunitensi funzionavano a pieno ritmo, ma il principale tormento degli osservatori contemporanei furono le tendenze 37 Fauri F., Il piano Marshall e l’Italia, p.273. 67 inflazionistiche, infatti, come sostenuto dagli economisti di Washington, nel periodo post bellico i prezzi di numerosi beni salirono a un livello mai raggiunto e sarebbero saliti ulteriormente a causa del programma di assistenza realizzato in territorio europeo. Per questo motivo gli americani si trovarono a pagare prezzi più elevati per tutto quello che compravano, oltre a contribuire direttamente allo svolgimento del programma; per l’economia americana l’ERP, in fin dei conti, significò una diversione di risorse non eccessiva, ma che incise notevolmente sull’aumento della pressione fiscale. Concludendo, è possibile sostenere che, uno dei successi più grandi dell’ERP fu sicuramente quello di esser riuscito a far sedere 16 paesi europei, amici e ex nemici, attorno a un medesimo tavolo; fu un esercizio fondamentale di cooperazione, che obbligò non solo i paesi europei a collaborare per un fine comune come la suddivisione degli aiuti, ma anche per raggiungere un obiettivo di lungo termine e ambizioso come l’unificazione del mercato europeo. Per questo motivo, l’ERP non deve essere solamente valutato circa i risultati economici conseguiti nel breve periodo, ma deve anche essere esaltato per i grandiosi risultati che fece raggiungere all’Europea nei dieci anni successivi alla guerra, in quanto il Piano Marshall pose le basi per la realizzazione della pace in Europa.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved