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Macroeconomia, da Blanchard, Appunti di Macroeconomia

Appunti e formule basate sul Blanchard, ottimo per passare l'esame, sia scritto che orale, passato con 30L

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 20/03/2024

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amedeo-cutrone 🇮🇹

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Scarica Macroeconomia, da Blanchard e più Appunti in PDF di Macroeconomia solo su Docsity! MACROECONOMIA CAPITOLO 6 IL MODELLO IS-LM ESTESO Finora abbiamo ipotizzato che nell’economia ci fosse solamente due attività finanziarie e un solo tasso di interesse. È lo stesso presupposto con il quale i macroeconomisti guardavano ai sistemi finanziari, ipotesi che si è rivelata errata dopo la crisi del 2008, dopo la quale i macroeconomisti si resero conto di quanto questa fosse importante e di quanti effetti potesse avere sulla macroeconomia. Si credeva che tutti i tassi di interesse si muovessero insieme al tasso scelto dalla banca centrale. La crisi ha dimostrato quanto questa fosse una visione troppo semplicistica. 1. Tasso di interesse reale e nominale il tasso di interesse nominale in matematica finanziaria ci dice a quanto ammonta il prezzo di un euro di capitale preso in prestito oggi da restituire in una certa data. (quanti euro dovremmo restituire al nostro debitore per aver preso in prestito il suo capitale.) A noi, macroeconomicamente, interessa quante unità di beni dobbiamo restituire al nostro debitore (non in quantità monetarie) per avere preso in prestito una certa somma di beni. Quindi materialmente considerare il denaro come capacità di acquisto di beni. Con questa definizione identifichiamo il TASSO DI INTERESSE REALE. Ovviamente in istanti di tempo differenti la quantità di beni che è possibile acquistare con €100 è diversa da quella che è possibile acquistare in un istante di tempo differente (es. tra un anno), questo a causa dell’inflazione (aumento generalizzato dei prezzi). la formula tasso di interesse reale è (ricorda che è un approssimazione per valori relativamente piccoli di “i” e dell’inflazione attesa, circa 10% anno): Con dove : i(t) = rappresenta il tasso nominale al tempo t π e t+1 = valore dell’inflazione attesa nel periodo t+1 P e t+1 = prezzo atteso al periodo t+1 Pt = prezzo al periodo t questo implica alcune conseguenze, ossia, - quando il valore atteso dell’inflazione è nullo, allora il tasso nominale e il tasso interesse si equivalgono -Di fatto, dato che l’inflazione e quasi sempre positiva, il tasso reale è generalmente quasi sempre inferiore al rt ≈ it − πe t+1 πe t+1 = (Pe t+1 − Pt Pt Pagina 1 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo VI. I mercati finanziari II: il modello IS-LM esteso 1.1 Tasso di interesse reale e nominale in Italia 5 Fonte: FRED MACROECONOMIA tasso nominale, quindi l’inflazione attesa influenza negativamente quello che è tasso il tasso reale, più l’inflazione cresce (se il tasso nominale non cresce di conseguenza) più il tasso reale si abbassa, garantendo un rendimento a scadenza più basso. Finora si è considerata un’economia composta da un solo bene, il cui prezzo corrispondeva a (Pt), nella situazione reale quello che bisogna considerare è il livello generale dei prezzi. Per capire invece (in termini quindi di consumo) a quanto consumo dovremo rinunziare domane per consumare di più oggi dobbiamo utilizzare l’Ipc, ovvero indice dei prezzi al consumo come livello generale dei prezzi. Il tasso che importa maggiormente a imprese e famiglie è ovviamente quello reale, quindi sebbene la banca centrale scelga il tasso di interesse nominale, lo fa con un occhio di riguardo a quello che sarà il tasso di interesse reale ovvero quello che materialmente produce effetti nei consumatori ultimi e che di fatto influenza le decisioni di consumo e di investimento Inoltre quando raggiungiamo la situazione di Zero Lower Bound, ovvero che il tasso di interesse scende a 0, o poco sotto, il tasso di interesse reale sarà uguale al valore dell’inflazione attesa. se gli individui si aspettano una deflazione, il tasso reale diventa positivo e superiore al tasso nominale (anche nel caso in cui il tasso di interesse nominale sia nullo), quindi per raggiungere un tasso reale desiderato la banca centrale deve tener conto delle aspettative di inflazione e aggiustare il tasso nominale obiettivo di conseguenza. RISCHIO E PREMIO PER IL RISCHIO Finora si sono considerati una sola tipologia di titoli. tuttavia, ne esistono di diversi, e differiscono per scadenza e rischiosità. (rischiosità derivata dalla possibilità che il debitore potrebbe non rimborsare il capitale preso a prestito). Alcuni titoli sono privi di rischio, ciò vuol dire che la probabilità che il debitore non ripaghi il debito è trascurabile. Altri titoli invece hanno un’alta percentuale di rischio dovuta al fatto che il debitore possa non essere in grado (o non voler) ripagare il debito, in quest’ultimo caso la probabilità non è trascurabile. Nessuno può (fuorché le istituzioni bancarie) prendere a prestito dalla banca centrale. Allo stesso modo nessuno può prendere a prestito allo stesso tasso, al quale può prendere a prestito il governo, la ragione è semplice, chi ci presta del denaro considera la possibilità che noi potremmo non essere in grado di ripagare il debito, e visto che è assodato che non abbiamo le stesse capacità economiche e monetarie di un qualsiasi governo, il creditore si aspetta un tasso di interesse più alto da noi (in generale da imprese o individui che non hanno la stessa affidabilità di uno stato. Per prendersi tale rischio il creditore si aspetta il cosi detto = premio per il rischio. Il premio per il rischio dipende da diversi fattori: - la probabilità di fallimento del debitore: maggiore è questa probabilità, maggiore è il tasso di interesse che i creditori richiederanno. . x = premio per il rischio . i = tasso di interesse per titolo privo di rischio . i+x = tasso di interesse per titolo rischioso . p = probabilità Il rendimento atteso di un titolo rischioso sarà: rt = − πe t+1 Pagina 2 MACROECONOMIA Supponiamo che per qualche ragione x, aumenti, ad esempio perché gli investitori sono diventati più avversi al rischio, oppure perché una banca ha dichiarato bancarotta, quindi per un dato tasso di interesse nominale i, il tasso sui prestiti r+x, crescerebbe, e questo provocherebbe una riduzione della domanda e quindi una riduzione della produzione. In questo modo è facile capire perché una crisi, o shock, che colpisce il sistema finanziario può tranquillamente avere delle ripercussioni macroeconomiche, quindi condurre ad una recessione. Cosa può fare la politica economica in queste situazioni? Per quanto riguarda la politica fiscale, che sia un aumento della spesa pubblica o una riduzione delle imposte, in un primo momento aumenterebbe la produzione, tutta via il governo si esporrebbe ad un rischio di accrescimento del disavanzo di bilancio. La politica monetaria è quella che ha più voce in capitolo, infatti di fatto scegliendo il tasso nominale (tasso policy), e quindi il tasso reale, ha un grande potere, ovvero il potere di abbassare il tasso in modo tale da fare tornare l’equilibrio iniziale al punto A, trovando quel valore di r, che permette di mitigare l’aumento di x (e lasciare invariato: r+x, ovvero il tasso di interesse rilevante per le decisioni di spesa). Si nota come il tasso di interesse tale per cui il tasso reale più il premio per il rischio ritorni alla situazione di equilibrio è sotto lo Zero Lower Bound. Ovviamente sappiamo che la banca centrale non può impostare un livello di tasso nominale minore dello 0%. Tuttavia bisogna ricordare che ciò che stiamo osservando è il tasso di interesse reale r, che sì, dipende dal tasso di policy, ma anche dall’inflazione attesa, quindi in una situazione di questo tipo il valore del tasso reale sarà dato ( ). Il reale problema della crisi del 2008-09, nasce proprio da questo, che il tasso nominale era già in una situazione di stallo (zero lower bound), mentre l’inflazione attesa da sola non riusciva a mitigare il problema essendo inferiore a x. Crisi: Durante la crisi del 2008, le banche, come tutti tendevano a sottostimare il rischio di fallimento da parte dei loro debitori, cercando sempre di più di alzare la loro leva finanziaria, tuttavia questo era possibile solo fino ad un certo punto, visto che la regolamentazione poneva un limite, ovvero mantenere il rapporto fra capitale e impieghi al di sopra di un certo livello, cosi per arginare la regolamentazione alcuni istituti creano le Vis (veicoli di investimento strutturato) che erano delle società finanziarie di cui la banca si faceva garante in caso di solvibilità nel caso fallissero, cosi da poter ampliare le loro operazioni senza però pesare sul loro bilancio (regolamentato), dal lato delle passività effettuavano debiti a breve termine, dal lato delle attività detenevano varie forme di attività. Quando i prezzi delle case cominciarono a scendere e molti mutui ipotecari andarono sott’acqua, il valore delle attività dei Vis crollò, mettendo in discussione la solvibilità degli stessi, e di riflesso su quella della banca che la gestiva. Concetto di cartolarizzazione = la creazione di attività finanziarie sulla base di un insieme di altre attività, come un insieme di prestiti o insieme di mutui ipotecari. Sembrerebbe una buona idea (si pensi ad un banca di Palermo che detiene solamente mutui ipotecari di residenti in questa città, nel caso la stessa fosse soggetta ad una crisi immobiliare (o ci fosse un terremoto) allora la banca fallirebbe. Quindi la cartolarizzazione nasce come un modo per diversificare il rischio e aumentare l’offerta di fondi alle famiglie e alle imprese. Ma porta con sé due grandi rischi: Il primo è che quando una banca, con un operazione di cartolarizzazione, vende il mutuo ipotecario che ha emesso e quindi lo rimuove dal suo bilancio, ha poco interesse nello scoprire se di fatto quel debitore è in grado di ripagare il suo debito. Il secondo è dovuto all’errore di valutazione del rischio da parte delle agenzie di rating. r = − πe t Pagina 5 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Cap tolo VI. I mercati finanziari II: il modello IS-LM esteso 4. Il modello IS-LM esteso Shock finanziari e politica economica Ipotizziamo uno shock finanziario avverso. 18 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo VI. I mercati finanziari II: il modello IS-LM esteso 4. Il modello IS-LM esteso Shock finanziari e politica economica 20 MACROECONOMIA Per la loro scarsa trasparenza questi strumenti finanziari vennero definito titoli tossici. Concetto di finanziamento all’ingrosso = oltre ai depositi di conto corrente, le banche cominciarono a prendere a prestito a breve termine da altre banche o investitori per finanziare l’acquisto delle loro attività. I VIS furono finanziati interamente tramite questo strumento. Aveva un lato positivo : ovvero che le banche avevano la possibilità di avere maggiore flessibilità nell’avere fondi da destinare all’acquisto di attività. un lato negativo: ancora una volta si riconduce alla situazione che le banche e i Vis avevano passività più liquide di quanto non lo fossero le attività (era difficile vendere le attività se non a prezzo sconto, ma era facile per gli investitori riavere i loro fondi che costituivano le passività della banca.) Pagina 6 MACROECONOMIA CAPITOLO 7 => IL MEDIO PERIODO IL MERCATO DEL LAVORO Il tasso naturale di disoccupazione è il tasso a cui le richieste salariali dei lavoratori sono compatibili con le decisioni di prezzo delle imprese. Popolazione in età lavorativa: è il numero di persone potenzialmente disponibili per l’impiego, che va dai 15 anni ai 65 anni. Forze di lavoro: la somma dei lavoratori e delle persone in cerca di un’occupazione Fuori dalle forze di lavoro (o inattivi) : coloro non occupati, né in cerca di un occupazione. Tasso di partecipazione: il rapporto tra le forze di lavoro e la popolazione in età lavorativa. Tasso di disoccupazione: il rapporto tra disoccupati e forze di lavoro. Tasso di occupazione: il rapporto degli occupati sulla popolazione lavorativa. Per analizzare il mercato del lavoro e la sua salute, è importante capire la dinamica dei suoi flussi. Un determinato tasso di disoccupazione può essere illusorio, perché in grado di indicare situazioni del tutto differenti tra loro. Ad esempio può indicare un mercato del lavoro vivace, in continuo cambiamento con molte interruzioni dei rapporti di lavoro e molte assunzioni al tempo stesso. Quindi molti lavoratori in entrata e uscita dalla disoccupazione. O al contrario un mercato del lavoro privo di vitalità (quasi sedentario) dove raramente nascono nuovi rapporti di lavoro o cessano quelli già esistenti implica una disoccupazione di lungo periodo. La costante preoccupazione degli economisti, delle autorità di politica economica e della stampa per il tasso di disoccupazione è in parte fuorviate. Alcune delle persone classificate come fuori dalla forza lavoro sono equiparabili ai disoccupati, si tratta di lavoratori scoraggiati, i quali non cercano attivamente un’occupazione, ma sarebbero disposti ad accettarla nel caso si presentasse l’offerta. Le fluttuazioni annuali del tasso sono associate a periodi di recessione ed espansione economica. Inoltre, in recessione, le imprese reagiscono alla riduzione della domanda in due modi, ovvero riducendo gradualmente il numero delle assunzioni di nuovi lavoratori, oppure licenziando i lavoratori attualmente occupati, sappiamo però che spesso le aziende agiscono in entrambi i modi, quindi quando la disoccupazione è elevata, è più probabile che i lavoratori occupati perdano il posto di lavoro e allo stesso tempo, è meno probabile che i lavoratori disoccupato trovino un lavoro Pagina 7 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo VII. Il m rcato del lavoro 2. Movimenti all’interno della disoccupazione Fluttuazioni del tasso di disoccupazione negli USA: 7 Fonte: FRED MACROECONOMIA 4. LA DETERMINAZIONE DEI PREZZI. I prezzi fissati dalle imprese dipendono innanzitutto dai costi, che a loro volta dipendono dalla natura della funzione di produzione (ovvero la relazione tra fattori produttivi impiegati nella produzione e quantità di prodotto ottenuto, e dai prezzi di tali fattori). Assumiamo che le imprese producano beni utilizzando un unico fattore produttivo, ovvero il lavoro: ( Y, produzione, A, produttività del lavoro; N, occupazione). Questa forma funzionale implica che la produttività del lavoro - ovvero il rapporto tra produzione e numero di lavoratori impiegati - sia costante ed uguale A,(assunzione, questa molto forte, poiché i fattori produttivi non sono solo rappresentati dai lavoratori, ma anche da materie prime, capitali ecc..) assumiamo per ipotesi che un lavoratore produca un unità di prodotto, A = 1 Y= N. Questa equazione implica che il costo di realizzare un’unità aggiuntiva di prodotto, è uguale al costo di impiegare un lavoratore in più, e quindi, è uguale al salario, W. Se nel mercato dei beni ci fosse concorrenza perfetta, il costo di un’unità di produzione sarebbe uguale al costo: P = W. Ma molti mercati dei beni non sono concorrenziali e le imprese fissano un prezzo superiore al costo marginale. Assumiamo che le imprese fissano il prezzo nel seguente modo: P = (1+m) W. m = ricarico del prezzo sul costo di produzione, (markup). Maggiore è il potere di mercato ( cioè la capacità di fissare un prezzo superiore al costo marginale) delle imprese, maggiore sarà il markup. In un mercato in concorrenza perfetta il markup sarebbe uguale a 0. In che modo la determinazione dei prezzi e dei salari influenzano la disoccupazione? Equazione dei salari: Assumiamo che nella determinazione determinazione dei salari, i salari nominali dipendano dal livello effettivo dei prezzi P, piuttosto che dal livello atteso. E quindi la fissazione dei prezzi e dei salari determina il tasso di disoccupazione di equilibrio (anche tasso naturale di disoccupazione) di conseguenza l’equazione che identifica la determinazione dei salari diventa: dividendo per il livello dei prezzi: quanto maggiore è il tasso di disoccupazione, tanto minore sarà il livello del salario reale. chiamiamo l’equazione sopra, equazione dei salari. Equazione dei prezzi: dall’equazione : P = (1+m) W dividiamo a destra e a sinistra per il salario: Y = AN W = PF(u, z) W P = F(u, z) P W = (1 + m) Pagina 10 MACROECONOMIA per ottenere il salario reale invertiamo entrambi i lati: [7.6] quest’equazione ci dice che il salario reale fissato dalle imprese è una funzione delle decisioni di prezzo. Un aumento del markup fa aumentare i prezzi a parità di salari, facendo diminuire i salario reale. immaginiamo che lavoriamo per un impresa, la quale aumenta il prezzo dei propri prodotti senza però aumentare il salario reale per noi. I prodotti che l’azienda vende magari non incidono cosi tanto tra le nostre spese (se l’azienda vendesse budino, non si potrebbe dire che questo costo mi ha provocato un vero danno, dal punto di vista reale). Tuttavia, se tutte le aziende nell’economia locale dovessero aumentare il prezzo dei loro beni, intaccherebbe la mia capacità di acquisto, e se il salario nominale non venisse modificato di conseguenze, vedrei scendere il mio salario reale. Quindi tanto maggiore è il markup fissato dalle imprese, tanto minore sarà il salario reale. L’equazione dei prezzi ([7.6]) è rappresentata dalla retta orizzontale PS (price setting). Salari di equilibrio e disoccupazione: Nel mercato del lavoro l’equilibrio richiede che il salario reale risultante dall’equazione del salario sia uguale al salario reale derivante dall’equazione dei prezzi. Dopo alcune sostituzioni: = tasso di disoccupazione di equilibrio (tasso naturale di disoccupazione), il nome “naturale” può essere fuorviante, poiché può sembrare che il tasso di disoccupazione si determini in maniera naturale, prescindendo da politica economica e da istituzioni. Al contrario, questi hanno un impatto molto importante, tant’è vero che la posizione delle curve dei prezzi e dei salari, e quindi la posizione del punto di equilibrio, dipendono sia da z, che da m. Si apprezza che: - un aumento dei sussidi di disoccupazione (ovvero un aumento di z) fa spostare verso l’alto la curva WS, causando un aumento del tasso naturale di disoccupazione - un allargamento delle maglie delle leggi antitrust comporta una aumento del markup, che fa spostare PS verso il basso, causando un aumento del tasso naturale di disoccupazione. P.S. sarebbe utile rivedere questo capitolo. W P = 1 (1 + m) F(un, z) = 1 1 + m un Pagina 11 MACROECONOMIA CAPITOLO 8 : LA CURVA DI PHILLIPS, IL TASSO NATURALE DI DISOCCUPAZIONE E L’INFLAZIONE Phillips notò come ci fosse una chiara evidenza in supporto di una relazione negativa tra inflazione e disoccupazione: quando la disoccupazione era alta, l’inflazione era bassa (a volte anche negativa), e viceversa, quando la disoccupazione era bassa, l’inflazione era alta. Questo sembrava suggerire che i paesi potessero scegliere diverse combinazione tra inflazione e disoccupazione. Potevamo garantire una disoccupazione minore se disposti ad accettare un alto tasso di disoccupazione, al contrario potevano ridurre il tasso di inflazione, se di contro, fossero stati disposti ad accettare un tasso di disoccupazione più elevato, le scelte quindi, e i dibattici politici che si crearono, riguardavano quale punto della curva di Phillips fosse stato il migliore. Per maggiore chiarezza, ci sarà utile assumere la seguente forma funzionale per F: Il parametro , esprime l’ampiezza dell’effetto della disoccupazione sul salario. otteniamo: ; abbiamo considerato il livello dei prezzi atteso uguale al livello effettivo dei prezzi. cosa accade se rimuoviamo quest’ipotesi? Mettendo il relazione le equazioni: Questo ci da una relazione tra il livello dei prezzi, il livello atteso dei prezzi e il tasso disoccupazione. indicando con il livello di inflazione, il livello di inflazione attesa; riscriviamo l’equazione come: Un aumento dell’inflazione attesa conduce ad un aumento dell’inflazione effettiva. per capirlo bisogna partire dall’equazione del livello dei prezzi, infatti, un aumento del livello atteso dei prezzi, porta ad un aumento del livello effettivo, se chi fissa i salari si aspetta un maggior livello dei prezzi, richiederà un maggior salario nominale, determinando di conseguenza un au aumento del livello effettivo dei prezzi. Si nota che dato il livello dei prezzi del periodo precedente, un maggior livello dei prezzi nel periodo corrente indica un inflazione maggiore; Analogamente dato il livello dei prezzi dello scorso periodo, prezzi attesi più elevati rispetto allo scorso periodo, indicano un aumento dell’inflazione attesa. Allo stesso modo, data un’inflazione attesa, , un aumento del markup, m, o un aumento dei fattori che influiscono sulla determinazione dei salari, z, portano un aumento dell’ inflazione, . Si dimostra seguendo lo stesso ragionamento sopra riportato. È utile associare ad ogni variazione un indice temporale: si nota, che m e z non hanno un indice temporale, questo perché, seppure subiscono variazioni nel tempo lo fanno molto lentamente, perciò per il momento saranno trattate come costanti. la curva di Phillips e le sue riformulazioni: Assumiamo che l’inflazione fluttui di anno in anno di un certo valore: , inoltre assumiamo che l’inflazione non sia di anno in anno persistente, ciò vuol dire che l’inflazione di quest’anno non influenza quella dell’anno prossimo, e quindi chiameremo l’inflazione attesa come Questo è esattamente quello che gli economisti notarono, ovvero che quando la disoccupazione era elevata, l’inflazione era bassa; di contro quando la disoccupazione era bassa, l’inflazione era elevata. F(u, z) = 1−αu + z α W = Pe(1 − αu + z) P = (1 + m)W P = Pe(1 + m)(1 − αu + z) π πe π = πe + (m + z) − αu πe π πt = πe t + (m + z) − αut π̄ πe t = π̄ πt = π̄ + (m + z) − αut Pagina 12 MACROECONOMIA l’equazione diventa: Quando =0, tutti i salari sono fissati sulla base dell’inflazione attesa, che si ipotizza essere uguale a quella dell’anno scorso, e quindi diventa: per ; Quando , una porzione dei salari sono fissati sulla base dell’inflazione effettiva e non di quella attesa.: L’indicizzazione dei salari aumenta l’effetto della disoccupazione sull’inflazione, quanto maggiore è , tanto maggiore sarà l’effetto del tasso di disoccupazione sulla variazione dell’inflazione ( perché il coefficiente sarà maggiore. LA DEFLAZIONE: Una questione interessante è cosa succede alla curva di Phillips quando l’inflazione è molto bassa o addirittura negativa ( quindi in deflazione). Osserviamo la figura: Notiamo che alcuni punti (i triangoli) sono più a destra di altri. Vediamo che la disoccupazione è molto elevata (il che non ci da preoccupazioni, visto che si sta parlando dell’era della grande Depressione, ma alla luce dell’elevato tasso di disoccupazione, ci saremmo dovuti aspettare un tasso di inflazione negativo, molto negativo, invece è sorprendentemente alto per quelle condizioni. A questo fenomeno esistono due possibili spiegazioni: la prima è che la grande depressione non solo fece aumentare il tasso di disoccupazione effettivo, ma anche quello naturale, cosicché, anche se il è molto alto, viene compensato da un anch’esso molto alto. In questo modo la differenza tira fuori comunque un numero non molto distante da quello che si sarebbe ottenuto in altre condizioni. La seconda è che, quando un’economia inizia a sperimentare la deflazione, la curva di Phillips non vale più, probabilmente a causa della riluttanza dei lavoratori ad accettare una riduzione dei propri salari nominali. πt = [λπt + (1 − λ)πe t ] − α(ut − un) λ πt − πe t = − α(ut − un) πe t = πt−1 λ > 0 λ πt − πt−1 = − α (1 − λ) (ut − un) λ − α (1 − λ) ut un Pagina 15 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo VIII. La curva di Phillips, il tasso naturale di disoccupazione e l’inflazione La relazione st diata da Phillip , denominata da Samuelson e Solow «Curva di Phillips», ricopre un ruolo centrale nel pensiero economico. 2 Fonte: Historical Statistics of the United States MACROECONOMIA CAPITOLO 9: IL MODELLO IS-LM-PC: (PC sta per Phillips curve) Nei capitoli precedenti abbiamo visto come viene determinata la produzione, sul mercato dei beni e sul mercato finanziario per il breve periodo, per fare un ulteriore passo, e spostarci nel medio periodo, dobbiamo considerare anche la PC. Per prima cosa partiamo dalla relazione iniziale di PC: e la esprimiamo in termini di produzione. Partiamo considerando la relazione tra il tasso di disoccupazione e l’occupazione: Dove: u = tasso di disoccupazione U = il numero di disoccupati N = il numero di occupati L = dimensione della forza lavoro Manteniamo la stessa assunzione fatta nei capitoli precedenti, secondo cui la produzione è uguale all’occupazione: Quando la disoccupazione effettiva è uguale alla disoccupazione naturale , l’occupazione sarà : e la produzione invece: = livello naturale dell’occupazione = il livello naturale della produzione (o produzione potenziale) Adesso possiamo esprimere le deviazioni del tasso di disoccupazione dal suo livello naturale in funzione della produzione: questa è una relazione fra le deviazioni della produzione dal suo livello potenziale e le deviazioni della disoccupazione dal suo livello potenziale. (La differenza tra produzione e produzione potenziale è chiamata output gap) ( ) Quando il tasso di disoccupazione è al di sotto del suo livello naturale, la produzione è superiore al suo livello potenziale, e l’output è negativo. Dopo alcune sostituzioni: Tornando nel capitolo 8, abbiamo visto come il modo con cui vengono formate le aspettative da coloro che fissano i salari varino nel tempo. Seguendo la stessa ipotesi secondo cui la banca centrale fissi il tasso di inflazione obbiettivo a . Osservando la figura; supponiamo che la banca centrale adotti un tasso reale pari a , in corrispondenza di questo tasso di interesse , il livello di produzione si stabilizza su A, e quindi sarà pari a Y. Guardando il riquadro inferiore dello schema, possiamo notare che questo implica un tasso di inflazione pari a ; inoltre è possibile notare come il livello di produzione si sia spostato da a . Quindi la produzione è al di sopra del suo livello potenziale. Questo indica che c’è un output gap positivo, e quindi che il tasso di inflazione è più alto rispetto al livello obiettivo. Quindi l’economia si sta surriscaldando, mettendo pressione all’inflazione. Questo è l’equilibrio di breve periodo. π − πe = − α(u − un) u = U L = L − N L = 1 − N L N = L(1 − u) Y = N = L(1 − u) un Nn = L(1 − un) Yn = L(1 − un) Nn Yn Y − Yn = L[(1 − u) − (1 − un)] = − L(u − un) Y − Yn π − πe = ( α L )(Y − Yn) π̄ π − π̄ = (α /L)(Y − Yn) r π − π̄ Yn Y Pagina 16 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo IX. Dal breve al medio periodo: il modello IS-LM-PC 1. Il modello IS-LM-PC 6 MACROECONOMIA Che cosa succede con il passare del tempo? Supponiamo che la banca centrale lasci invariato il tasso reale, r, la produzione rimane al di sopra del suo livello potenziale e l’inflazione al di sopra dell’obbiettivo. Ad un certo punto tuttavia è probabile che la politica economica reagisca a questa situazione per risistemare il tasso di inflazione per due ragioni: 1. il mandato della banca centrale è di mantenere il tasso di inflazione vicino il suo livello obiettivo, 2. se non reagisse, potrebbe succedere quanto accaduto negli anni 70, cambierebbe il modo di aspettarsi il tasso di inflazione futuro da parte di chi gestisce il salari, ciò comporterebbe una certa instabilità del tasso di inflazione, poiché non sarebbe più ancorato; e tutto ciò porterebbe ad un aumento crescente del tasso di inflazione. Per tali motivazioni, la banca centrale risponderà all’output gap positivo aumentando il tasso reale per eliminare la pressione sull’inflazione e per riportare la produzione al suo livello potenziale. Il processo di aggiustamento e l’equilibrio di medio periodo sono rappresentati in questa figura. Partendo dall’equilibrio iniziale A, come nella figura precedente, se la banca centrale aumenta il tasso di interesse reale, , l’economia si sposterà lungo la curva IS, il che sposterebbe nel riquadrò sottostante, la produzione al suo livello potenziale , muovendosi lungo la curva PC. In corrispondenza del nuovo punto di equilibrio , l’economia raggiunge l’equilibrio di medio periodo. Allo stesso tempo la disoccupazione torna al proprio tasso naturale , questo conduce ad un tasso di inflazione pari a . Per quanto riguarda i tassi di interesse, il tasso reale deve essere tale per cui la domanda di beni è uguale alla produzione potenziale , chiamato anche tasso di interesse naturale ( per il semplice motivo che è associato al tasso di disoccupazione naturale e al livello naturale di produzione) o tasso di interesse neutrale. Non dobbiamo dimenticare che il tasso a cui effettivamente si prende a prestito è , dove rappresenta il premio per il rischio. E il tasso nominale? il tasso reale si ottiene sottraendo l’inflazione attesa al tasso nominale, di conseguenza il tasso nominale è uguale al tasso reale più l’inflazione attesa. . Tuttavia, dato che nel medio periodo: ; ; allora: Più alto è il tasso di inflazione obiettivo, più alto sarà il tasso di interesse nominale. Per quanto riguarda la moneta, nei capitoli precedenti abbiamo visto che la condizione di equilibrio era che l’offerta reale di moneta dipende dalla domanda reale di moneta: Dato che la produzione è uguale al suo livello potenziale, e il tasso di interesse nominale è determinato dalla relazione che abbiamo appena scritto: r Y = Yn A′ un π = π̄ r = rn rn + x x i = r + πe r = rn π = πe = π̄ i = rn + π̄ M P = YL(i ) M P = YnL(rnπ̄) Pagina 17 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo IX. Dal breve al medio periodo: il modello IS-LM-PC 2. Dal breve al medio periodo 9 Nel medio periodo, l’economia converge verso la produzione potenziale e l’inflazione converge verso il tasso obiettivo MACROECONOMIA Esistono anche altri tipi di shock che producono un effetto sia sulla domanda che sul livello potenziale della produzione e che hanno un ruolo centrale nelle fluttuazioni economiche. Si prendono in considerazione alcuni esempi in cui a crescere era stato il prezzo reale del petrolio. La domanda è quali ci aspettiamo che siano gli effetti di breve e medio periodo di tali aumenti? Un primo problema è che il nostro modello IS-LM-PC non include in nessun modo il petrolio, questo perché finora abbiamo ipotizzato che l’unico elemento che realizza la produzione fosse un solo fattore produttivo, ovvero il lavoro. Un modo potrebbe essere quello di aggiungere il fattore produttivo energia. Per il momento ci limitiamo a catturare questo effetto grazie ad un aumento di “m”, il markup di prezzo sui salari nominali. Questo perché, dati i salari, un aumento del prezzo del petrolio aumenta il costo di produzione, spingendo le imprese ad aumentare i prezzi per mantenere lo stesso tasso di profitto. Per adesso cerchiamo di capire cosa accade al tasso naturale di disoccupazione quando il prezzo reale del petrolio aumenta. Osserviamo la seguente curva, un maggior tasso di disoccupazione tende a diminuire il livello del salario reale. L’equilibrio iniziale è in corrispondenza del punto A. Supponiamo adesso che le aziende aumentino il loro m, markup, la curva PS, che rappresenta il salario reale, scende, spostando l’equilibrio nel punto A’. Maggiore è il markup, minore è il salario reale determinato dalla relazione fra prezzi e disoccupazione. il Salario reale è diminuito e il tasso naturale di disoccupazione è aumentato. In altre parole: pensiamo che il prezzo reale stia aumentando e di conseguenza le imprese saranno disposte a pagare un determinato salario più basso per mantenere lo stesso tasso di profitto, i lavoratori saranno disposti ad accettare un salario più basso solamente se il tasso naturale di disoccupazione è più basso. L’aumento del tasso naturale di disoccupazione conduce, a sua volta, a una diminuzione del livello naturale di occupazione. Se assumiamo che la relazione tra occupazione e produzione rimanga invariata ( e cioè che un’unità aggiuntiva di prodotto richieda un lavoratori in più.) Quindi una riduzione del tasso naturale di disoccupazione porta ad una riduzione del livello di produzione potenziale. In altre parole, un aumento del prezzo del petrolio porta ad una diminuzione della produzione potenziale. Ecco il nostro modello IS-LM-PC Assumiamo che l’equilibrio sia nel punto A. Quando aumenta il prezzo del petrolio, il livello naturale della produzione diminuisce da a . La curva PC si sposta verso l’alto. Se la curva IS non si sposta e il tasso di interesse reale rimane invariato, allora la produzione non cambia, ma lo stesso livello di produzione è associato ad un livello di inflazione maggiore. Dati i salari, l’aumento del prezzo del petrolio porta le imprese ad aumentare i prezzi, aumentando così l’inflazione. L’equilibrio si è adesso spostato ad A’. Nel riquadro superiore A’ = A; nel riquadro inferiore A’ > A Nel breve periodo la produzione non cambia, ma l’inflazione è maggiore.
 Yn Y′ n Pagina 20 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo IX. D l breve al medio periodo: il modello IS-LM-PC 5. Gli effetti di un aumento del prezzo del petrolio Un aumento del prezzo del petrolio equivale a un aumento del markup, che porta a una riduzione del salario reale e a un aumento del tasso di disoccupazione naturale. 19 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo IX. Dal breve al medio periodo: il modello IS-LM-PC 5. Gli effetti di un aumento del prezzo del petrolio 20 Nel breve periodo, un aumento del prezzo del petrolio porta a una maggiore inflazione. Se l’aumento è permanente, nel medio periodo porterà a una minor produzione. MACROECONOMIA Se la banca centrale lasciasse invariato il tasso reale, la produzione continuerebbe a essere superiore alla produzione potenziale e l’inflazione aumenterebbe. Ad un certo punto, la banca centrale aumenta il tasso di interesse per stabilizzare l’inflazione. Di conseguenza l’equilibrio si sposta dal punto A’ al punto A’’, e verso il basso lungo la curva PC, fino ad A’’. A questo punto, poiché la produzione potenziale è più bassa, l’aumento del prezzo del petrolio si è tradotto in una riduzione della produzione. Producendo cosi una stagflazione. Sorgono alcune complicazione, ovvero che abbiamo ipotizzato non si sia spostata in seguito ad un aumento del prezzo del petrolio, in realtà questo è piuttosto invero-simile, ad esempio, un impresa consumatrice di carburante in seguito ad un aumento del prezzo, cambierebbe i suoi piani di investimento (ad esempio investendo in nuovi macchinari a basso consumo energetico). EFFETTI DEL LOCKDOWN Abbiamo visto come nel 2020, le misure restrittive di distanziamento sociale abbiano portato ad una fortissima riduzione della domanda e della produzione. Questo perché nei settori più colpiti, le imprese furono costrette a fermare le lavorazioni perché non potevano garantire un corretto distanziamento sociale; ciò ha grandi effetti sia sulle imprese che sui lavoratori. Questo ha causato inevitabilmente uno shock della domanda e della produzione, il livello potenziale della produzione si è rivelato irraggiungibile dalle imprese per via del fatto che le imprese sono vincolate e possono produrre solo una frazione del livello potenziale. Per quanto riguarda i salari, durante un blocco, le aziende non potevano assumere più lavoratori, allo stesso tempo i salari vennero congelati dai regimi pubblici di sostegno al reddito, mantenendo il livello del salario uguale a quello presente prima del blocco, nonostante l’aumento della disoccupazione. Cosa succede sul tasso naturale di disoccupazione? Considerando il modello IS-LM: Osserviamo come l’equilibrio iniziale sia nel punto A (prima del blocco), con produzione uguale alla produzione potenziale; tasso interesse reale uguale a . Quando inizia il blocco il livello della produzione potenziale scende da a . Quando la domanda scende, la curva IS si sposta verso sinistra. ( es. il lavoratori che si trovarono disoccupati da un giorno all’altro, modifico inevitabilmente la domanda, perché gli individui senza lavoro, iniziare a spendere di meno) Inoltre il blocco portò anche le imprese a cambiare i propri piani di investimento ( o annullare) Il nuovo equilibrio adesso è rappresentato dal punto A’. Vediamo cosa succede adesso nel medio periodo: Ipotizziamo che la produzione potenziale sia scesa da a . Scende nel breve periodo e rimarrà tale nel medio periodo. Né la politica fiscale né la politica monetaria possono pensare di aumentare la produzione più del nuovo livello potenziale. Non ha neanche senso cercare di aumentare la produzione aumentando la domanda con politiche espansionistiche (poiché una domanda più elevata non può essere soddisfatta al nuovo livello potenziale di produzione. Se i governi vogliono riportare la produzione potenziale al livello iniziale, dovrebbero ripristinare la capacità produttiva, sia migliorando gli incentivi per la creazione di nuove imprese sia ampliando le dimensioni di quelle esistenti.
 rn Yn Y′ n Yn Y′ n Pagina 21 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo IX. Dal breve al medio periodo: il modello IS-LM-PC 6.2 Effetti sul tasso di disoccupazione naturale 25 Nel breve periodo, un lockdown fa ridurre la produzione. Il crollo della domanda fa spostare la curva IS verso sinistra. La produzione diminuisce sia nel breve che nel medio periodo. MACROECONOMIA Supponiamo che il livello di produzione nel breve periodo, il livello di produzione sia inferiore al nuovo livello potenziale, , questo accade se il calo della domanda è molto più grande del calo della produzione. In questo caso le politiche economiche hanno la possibilità di riportare il livello di produzione al suo livello potenziale, attraverso due opzioni ( che possono anche essere un mix di politica economica) -i governi possono optare per misure di politica fiscale espansiva (riduzione tasse o aumento spesa pubblica) che spostano la curva IS verso destra, da IS’ a IS’’. - la banca centrale può optare per una politica monetario espansiva e diminuire il tasso di interesse da a , spostando la curva LM verso il basso da LM a LM’. il tasso di interesse più basso darà impulso agli investimenti e alla produzione fino al nuovo livello potenziale . In entrambi i casi la produzione aumenterà fino al livello potenziale , che in ogni caso sarà inferiore al livello originale; in ogni caso lo Stato dovrà accettare un output potenziale inferiore. Ci sono due importanti differenze con il caso dello shock petrolifero. Il calo della domanda può essere molto più forte, e nel breve periodo può portare ad una produzione ancora più bassa. Inoltre, non c’è consapevolezza di quella che può essere la durata del blocco, nel caso in cui il blocco fosse troppo prolungato alcune aziende potrebbero dover cessare la loro attività. Per tanto, il blocco seppur temporaneo, può avere effetti anche nel medio periodo. Se il blocco è prolungato e la ripartenza lenta, alcuni degli effetti dello shock possono essere permanenti. meccanismi di propagazione: effetti dinamici di uno shock sulla produzione e sulle sue componenti Differenti meccanismi di propagazione accompagnano differenti shock. Il messaggio chiave di questo capitolo: nel breve periodo, la domanda determina la produzione, nel medio periodo, la produzione ritorna al suo livello potenziale con l’aiuto della politica economica. CAPITOLO 10: LA CRESCITA : IL LUNGO PERIODO Come si misura la qualità della vita? Una ragione per cui ci occupiamo della crescita è da ricondurre al nostro interesse per la qualità della vita, osservando anni differenti, cerchiamo di capire se nel tempo la qualità della vita sia aumentata o diminuita. Inoltre, osservando paesi diversi, ci interessa sapere quanto sia migliore la qualità della vita in un paese rispetto a un altro. La variabile che analizziamo e con le quali osserviamo tempo e spazio è il PIL pro capite, ovvero il PIL di un paese diviso per il numero di abitanti. Ovviamente ci sono altre dimensioni importanti per la misurazione della qualità della vita oltre al PIL pro capite. Ad esempio, si è posto il problema che il PIL è una misura che si basa su numeri e non considera la felicità degli individui. Un’altra domanda è se l’aumento del PIL pro capite, ovvero la crescita, beneficia tutti gli individui o alcuni a discapito di altri, cioè se sia accompagnata da una maggiore o minore disuguaglianza. Per quanto riguarda il PIL pro capite abbiamo un problema pratico, ovvero come è possibile confrontare il PIL pro capite nei vari paesi, se questi molto spesso utilizzano valute di verse? È ovvio che la produzione di suddetti paesi è espressa nella valuta utilizzata da ciascun paese: Un rimedio potrebbe essere quello di utilizzare i tassi di cambio, questo metodo però non funziona per due motivi: Yt < Y′ n rn r′ n Y′ n Y′ n Pagina 22 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo IX. Dal breve al medio periodo: il modello IS-LM-PC 6.2 Effetti sul tasso di disoccupazione naturale 25 Nel breve periodo, un lockdown fa ridurre la produzione. Il crollo della domanda fa spostare la curva IS verso sinistra. La produzione diminuisce sia nel breve che nel medio periodo. MACROECONOMIA Quindi, da che cosa è generata la crescita? Perché il prodotto per lavoratore aumenta nel corso del tempo? l’equazione precedente fornisce una prima risposta: - gli aumenti del prodotto per lavoratore, derivano da aumenti del capitale per lavoratore. (l’aumento di (K/N) sposta un punto lungo la curva iniziale, verso destra) -gli aumenti del prodotto per lavoratore (Y/N) possono derivare anche da altri fattori, ad esempio da miglioramenti della tecnologia, che a parità di capitale per lavoratore impiegato permettono un aumento del prodotto per lavoratore. Un miglioramento nella tecnologia sposta verso l’alto la funzione di produzione. Possiamo quindi pensare che le fonti della crescita siano costituite dall’accumulazione di capitale e dal progresso tecnologico. Tuttavia, questi due fattori hanno ruoli molto diversi nel processo di crescita: • L’accumulazione di capitale da sola non può sostenere la crescita, questo, se si ci pensa, a causa dei rendimenti decrescenti del capitale, sostenere un aumento costante del prodotto per lavoratore richiederebbe aumenti sempre maggiori del livello di capitale per lavoratore. Ad un certo punto l’economia, l’economia non sarà più disposta a risparmiare abbastanza per aumentare il capitale e il prodotto per lavoratore smetterà di crescere. Questo ovviamente non implica che il tasso di risparmio (la porzione di reddito che viene risparmiata) è irrilevante. È ovvio che un maggior tasso di risparmio non può sostenere in modo permanente un maggior tasso di crescita della produzione, tuttavia può sostenere un maggior livello di produzione. • Una crescita sostenuta richiede senza dubbio un progresso tecnologico sostenuto. Intuitivamente se la prima da sola non può sostenere la crescita, possiamo sostenere che la crescita debba necessariamente derivare dal progresso tecnologico. Questo significa che nel lungo periodo un’economia con un elevato tasso di progresso tecnologico finirà per superare le altre. Ma quindi che cosa determina il tasso di progresso? Possiamo pensare allo stato della tecnologia come all’elenco dei progetti che definiscono sia la gamma di prodotti che possono essere commercializzati che la tecnologia utilizzata per realizzarli. CAPITOLO 11 RISPARMIO, ACCUMULAZIONE DI CAPITALE E PRODUZIONE Nel lungo periodo, il tasso di crescita di un’economia non dipende dal suo tasso di risparmio. Questo che non va considerato, poiché anche se non influenza il tasso di crescita in maniera permanente, potrebbero risentirne il livello della produzione e la qualità della vita. Alla base della determinazione della produzione nel lungo periodo ci sono due relazioni tra produzione e capitale: - l’ammontare di capitale determina l’ammontare possibile di produzione - il livello della produzione determina a sua volta il livello del risparmio, e quindi l’ammontare di capitale accumulato nel tempo. Gli effetti del capitale sulla produzione: Riportando l’equazione che definiva il prodotto per lavoratore: Il prodotto per lavoratore (Y/N) è una funzione crescente del capitale per lavoratore (K/N). Y N = F( K N ,1) Pagina 25 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo X. Crescita: un’introduzione 4.4 Le fonti della crescita 23 MACROECONOMIA Significa che al cresce dei valori di (K/N), il valori corrispondenti di (Y/N) rimangono invariati o crescono. Riscriviamo la relazione tra produzione e capitale per lavoratore come : In questo capitolo faremo due ulteriori ipotesi: - La prima è che la dimensione della popolazione, il tasso di partecipazione e il tasso di disoccupazione siano tutti costanti. Di conseguenza, anche N è costante. Quest’assunzione ci permette di concentrarci su come l’accumulazione di capitale influenzi la crescita: se N è costante, il solo fattore di produzione che varia nel tempo è il capitale K. - La seconda ipotesi è che anche il progresso tecnologico sia costante, cosicché la funzione di produzione non vari nel tempo. Adesso la nostra prima relazione tra produzione e capitale per lavoratore diventa: [11.1] Non abbiamo messo indice temporale ad N, perché per ipotesi è costante. Quindi, un maggior capitale per lavoratore porta a un maggior prodotto per lavoratore. Per derivare la relazione tra produzione e investimento, faremo tre ipotesi: - assumiamo che l’economia sia chiusa, ciò significa che l’investimento, I, è uguale al risparmio: . - Per concentraci sul comportamento del risparmio privato, assumiamo che il risparmio pubblico (T-G), sia uguale a zero: ; investimento uguale al risparmio privato. - assumiamo che il risparmio sia proporzionale al reddito : , il parametro s, rappresenta il tasso di risparmio ed ha un valore compreso tra 0 e 1. Introducendo gli indici temporali: . Il secondo passo mette in relazione l’investimento, che è un flusso (nuovi macchinari, impianti prodotti) e il capitale, che è uno stock (macchinari e impianti, esistenti in un dato momento). Assumiamo che il tempo sia indicato in anni. Assumiamo che lo stock di capitale sia misurato all’inizio di ogni anno. Assumiamo inoltre, che il capitale si deprezzi a un tasso annuo: ogni anno una porzione dello stock di capitale arrugginisce, diventa inutilizzabile. Invece una porzione dello stock di capitale rimane intatta ed è utilizzabile da un anno all’altro. L’andamento (o evoluzione) dello stock di capitale è dato da: lo stock di capitale all’inizio dell’anno (t + 1), , è uguale allo stock di capitale che non subisce deterioramento , più il nuovo stock di capitale accumulato durante l’anno t, cioè l’investimento . Unendo la relazione tra produzione e investimento e la relazione tra investimento e accumulazione di capitale per ottenere la seconda relazione. Otteniamo cosi la seconda relazione che ci serve: la relazione tra produzione e accumulazione di capitale: il capitale per lavoratore all’inizio dell’anno t+1, è uguale a quello dell’anno precedente, tenuto conto del deprezzamento, più l’investimento per lavoratore moltiplicato per il prodotto per lavoratore nell’anno t. Possiamo riscrivere l’equazione precedente come: [11.2] Y N = f( K N ) f Yt N = f( Kt N ) I = S + (T − G ) I = S S = sY It = sYt δ (1 − δ ) Kt+1 = (1 − δ )Kt + It Kt+1 (1 − δ )Kt It Kt+1 N = (1 − δ ) Kt N + s Yt N Kt+1 N − Kt N = s Yt N − δ Kt N Pagina 26 MACROECONOMIA la variazione dello stock di capitale per lavoratore ( la differenza tra i due termini sul lato sinistro) è uguale al risparmio per lavoratore ( primo termine dopo l’uguale) meno il deprezzamento del capitale per lavoratore (secondo termine dopo l’uguale). Questa è la nostra seconda relazione tra produzione e capitale per lavoratore. dopo aver determinato queste due relazione (11.1 e 11.2) mettiamole insieme per capire come sia determinato l’andamento della produzione e del capitale nel tempo. viene fuori: Questa relazione descrive cosa succede al capitale per lavoratore: la sua variazione da un anno all’altro dipende da due termini: - l’investimento per lavoratore. Il livello di capitale per lavoratore di un dato anno determina la produzione per lavoratore di quell’anno. Dato il tasso di risparmio, il prodotto per lavoratore determina l’ammontare di risparmio per lavoratore e quindi l’investimento di quello stesso anno - Il deprezzamento del capitale per lavoratore. Lo stock di capitale per lavoratore determina l’ammontare del deprezzamento per lavoratore dell’anno in corso. Se l’investimento per lavoratore è più grande rispetto al deprezzamento per lavoratore, la variazione del capitale per lavoratore è positiva. Se l’investimento per lavoratore è inferiore al deprezzamento per lavoratore, la variazione del capitale per lavoratore è negativa. Per l’investimento vale la stessa proprietà del prodotto per lavoratore, l’investimento per lavoratore cresce all’aumentare del capitale per lavoratore, ma in misura decrescente man mano che quest’ultimo aumenta. Quando il capitale per lavoratore è molto elevato, l’effetto di un ulteriore incremento del capitale per lavoratore sulla produzione, e a sua volta sull’investimento, è molto piccolo. La situazione nella quale prodotto per lavoratore e capitale per lavoratore sono costanti è chiamata stato stazionario dell’economia. Il valore del capitale per lavoratore in stato stazionario è dato da: il valore di stato stazionario del capitale per lavoratore è tale per cui l’ammontare del risparmio per lavoratore è esattamente sufficiente a coprire il deprezzamento dello stock di capitale per lavoratore esistente. (ricordiamo di aver ipotizzato che l’investimento è uguale al risparmio.) Dato il capitale per lavoratore (K*/N) , il valore di stato stazionario del prodotto per lavoratore(Y*/N) è dato dalla funzione di produzione: s f( K* N ) = δ K* N Y* N = f( K* N ) Pagina 27 MACROECONOMIA [sia sotto la prima che la seconda frazione ci andrebbe il +.] Il livello del prodotto per lavoratore dipende adesso sia dal livello del capitale fisico per lavoratore (K/N), sia dal livello del capitale umano per lavoratore (H/N). Come prima un aumento del capitale per lavoratore genera un aumento del prodotto per lavoratore. Ma anche un incremento del livello medio di capacità fa aumentare il prodotto per lavoratore. Lavoratori più qualificati possono usare macchine più complesse, far fronte più facilmente a complicazioni impreviste, adattarsi più velocemente a nuove mansioni. Tutto ciò aumenta il livello di prodotto per lavoratore. Prima, abbiamo ipotizzato che gli aumenti del capitale fisico per lavoratore facessero aumentare il prodotto per lavoratore, ma che l’effetto fosse tanto minore quanto maggiore era il livello di capitale per lavoratore. La stessa ipotesi chiaramente va applicata al capitale umano per lavoratore. Pensiamo ad aumenti di (H/N) come ad incrementi del numero di anni di istruzione. Come cambia la nostra analisi dei paragrafi precedenti con l’introduzione del capitale umano? Le conclusioni circa l’accumulazione del capitale fisico rimangono valide: un aumento del tasso di risparmio aumenta il capitale per lavoratore di stato stazionario e quindi il prodotto per lavoratore. Estendiamo le nostre conclusioni anche all’accumulazione di capitale umano. Un aumento di quanto una società “risparmia” in termini di capitale umano - attraverso l’istruzione e la formazione - fa aumentare il capitale umano per lavoratore in stato stazionario e quindi il prodotto per lavoratore. Nel lungo periodo, il prodotto per lavoratore dipende sia da quanto una società risparmia sia da quanto spende per l’istruzione. Abbiamo concluso che un paese che risparmia di più e/o spende di più in istruzione raggiungerà un maggior livello del prodotto per lavoratore in stato stazionario. Ma questo non ci dice che in questo modo un paese potrà sostenere per sempre una crescita maggiore del prodotto per lavoratore. A parità di capitale umano, aumenti del capitale fisico comporteranno rendimenti decrescenti. Allo stesso modo, a parità di capitale fisico, aumenti del capitale umano comporteranno via via rendimenti decrescenti. Ma consideriamo adesso il caso in cui sia il capitale fisico che il capitale umano crescano allo stesso tempo. Cosa succede al tasso di crescita? I modelli che prevedono una crescita endogena anche senza progresso tecnologico sono chiamati modelli di crescita endogena; in essi la crescita dipende da variabili quali il tasso di risparmio e il tasso di investimento in istruzione, anche nel lungo periodo. Possiamo aggiungere che il prodotto per lavoratore dipende dal livello sia di capitale fisico sia di capitale umano per lavoratore. Entrambi i tipi di capitale possono essere accumulati, il primo attraverso l’investimento, il secondo attraverso la formazione e l’istruzione. Aumentare il tasso di risparmio e/o la quota di reddito destinata all’istruzione può portare livelli maggiori di prodotto per lavoratore nel lungo periodo. Tuttavia, dato il tasso di progresso tecnologico, tali misure difficilmente faranno aumentare il tasso di crescita per sempre. Questo perché dobbiamo considerare che il tasso di progresso è collegato al livello del capitale umano nell’economia, perché forze di lavoro più istruite e più qualificate possono fa aumentare il progresso tecnologico. La conclusione è che l’accumulazione di capitale non può da sola sostenere la crescita, ha una conseguenza immediata, ma una crescita sostenuta deve essere accompagnata da un progresso tecnologico. CAPITOLO 12: PROGRESSO TECNOLOGICO E CRESCITA: Progresso tecnologico e funzione di produzione: Il progresso tecnologico può manifestarsi in diversi modi: - può generare una maggiore produzione a parità di capitale e lavoro ( es. nuovo tipo di lubrificante che consente ad un’automobile di viaggiare a una velocità maggiore ). - può consentire di realizzare prodotto migliori ( il costante aumento del comfort alla guida ) - può portare alla realizzazione di nuovi prodotti ( invenzione del telefono) - può ampliare la gamma di prodotti disponibili Pagina 30 MACROECONOMIA Tutti questi sono molto più simili di quanto non sembri a prima vista, se consideriamo che i consumatori non siano interessati ai prodotti in quanto tali, ma ai servizi forniti dai prodotti stessi, tutti hanno un elemento in comune: il progresso tecnologico fornisce più servizi ai consumatori. Se consideriamo la produzione come l’insieme dei servizi forniti dai beni prodotti in un’economia, possiamo considerare il progresso tecnologico come un fattore che aumenta la produzione a parità di fattori produttivi impiegati. Possiamo anche considerare lo stato della tecnologia come la variabile che indica quanto prodotto può essere ottenuto dal capitale e dal lavoro in un dato periodo di tempo. Indichiamo questa variabile con: La nostra funzione di produzione diventa: Questa è la funzione di produzione estesa; essa dipende sia dal capitale che dal lavoro, sia dallo stato di tecnologica, infatti a parità di capitale e lavoro, un aumento dello stato della tecnologia farebbe aumentare la produzione. Vediamo ora una forma più compatta della produzione: ciò vuol dire che la produzione dipende dal capitale e dal lavoro moltiplicato per lo stato della tecnologia. Questo ci permette di capire meglio l’effetto del progresso tecnologico sulla relazione tra produzione, capitale e lavoro. Possiamo pensare al progresso tecnologico in due modi equivalenti. - il progresso tecnologico permette di ridurre il numero di lavoratori necessari per ottenere una data quantità di prodotto . Un valore doppio di , permette di ottenere la stessa quantità di prodotto con la metà dei lavoratori. - il progresso tecnologico aumenta il prodotto ottenibile con una dato numero di lavoratori. Pensiamo ad come l’ammontare di lavoro effettivo nell’economia. Partendo da quello che abbiamo visto nei capitoli precedenti è ancora ragionevole assumere che esistano rendimenti di scala costanti: per un dato stato della tecnologia , raddoppiare sia la quantità di capitale che di lavoro, comportano un aumento anche nella produzione. Più in generale: È anche ragionevole assumere che entrambi i fattori, capitale e lavoro effettivo, abbiano rendimenti decrescenti. A parità di lavoro effettivo, un aumento di capitale farà aumentare la produzione, ma a un tasso decrescente. Analogamente, a parità di capitale, un aumento del lavoro effettivo farà aumentare la produzione, ma a un tasso decrescente. Come nel capitolo 11, anche qui sarà utile ragionare in termini di prodotto e capitale per unità di lavoro effettivo. La ragione è che come vedremo tra poco, lo stato stazionario dell’economia è caratterizzato da prodotto e capitale per unità di lavoro effettivo costanti nel tempo. Per ottenere la relazione tra prodotto e capitale per unità di lavoro effettivo poniamo se definiamo una funzione tale per cui in sostanza, il prodotto per unità di lavoro effettivo è una funzione del capitale per unità di lavoro effettivo. un aumento di K/AN fa aumentare Y/AN, ma ad un tasso decrescente.
 A Y = F(K, NA) A AN A F(xK, x AN ) = Yx x = 1 AN Y AN = F( K AN ,1) f (K /AN ) = F(K /AN,1) Y AN = f( K AN ) Pagina 31 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo XII. Progresso tecnologico e crescit Possiamo considerare il progresso tecnologico come un fattore che aumenta la produzione a parità di fattori produttivi impiegati. dic ndo con A lo stato di tecnologia, avremo la seguente funzione di produzione: O nella forma più compatta, per facilitare l’analisi: 4 Y F K N A= ( , , ) (+ + +) Y F K AN= ( , ) 1.1 Progresso tecnologico funzione di p oduzione Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo XII. Progresso tecnologico e crescita 8 1.1 Progresso tecnologico e funzione di produzione MACROECONOMIA Utilizzando le stesse ipotesi fatte nel capitolo 11, proveremo a costruire la tabella che mette in relazione le nostre variabili: l’investimento è uguale al risparmio privato e il tasso di risparmio privato è costante. dividiamo entrambi i lati per il numero di lavoratori effettivi: sostituiamo il prodotto effettivo con la sua funzione: La relazione tra investimento per unità di lavoro effettivo e capitale per unità di lavoro effettivo è uguale alla curva superiore, ovvero quella tra prodotto per unità di lavoro effettivo e capitale per unità di lavoro effettivo, moltiplicata però per s, ovvero il tasso di risparmio. Dobbiamo chiederci qual è il livello di investimento che mantiene costante un dato livello di capitale per unità di lavoro effettivo. Nel capitolo precedente eravamo arrivati alla conclusione che perché il livello di capitale rimanesse costante, l’investimento doveva essere uguale al deprezzamento dello stock esistente di capitale. Quindi la risposta è leggermente più complicata, infatti introducendo il progresso tecnologico, il numero di unità di lavoro effettivo aumenta nel tempo. Quindi mantenere, lo stesso rapporto capitale/lavoro effettivo (K/AN) richiede un aumento dello stock di capitale K, proporzionale all’aumento delle unità di lavoro effettivo. Sia il tasso di deprezzamento del capitale. Sia il tasso di progresso tecnologico. Sia il tasso di crescita della popolazione Se assumiamo che il rapporto tra occupazione e popolazione totale rimanga costante, il numero di lavoratori N cresce al tasso annuo . Queste ipotesi implicano che il tasso di crescita del lavoro in unità effettive Questo implica che il livello di investimento necessario per mantenere un dato livello di capitale per unità effettive di lavoro: oppure: Per mantenere costante lo stock di capitale serve un investimento pari a , mentre il restante ammontare è necessario affinché il capitale cresca allo stesso tasso di crescita del lavoro effettivo. Esempio… se il tasso di deprezzamento è 10% e il tasso di crescita del lavoro effettivo è 3%, allora per mantenere un livello costante di capitale per unità di lavoro effettivo è necessario un investimento pari a 13% dello stock di capitale. rappresenta la pendenza della retta, investimento necessario. I = S = sY I AN = s Y AN I AN = s f( K AN ) δ gA gN gN AN = gA + gN I = δK + (gA + gN)K I = (δ + gA + gN)K δK (gA + gN)K (δ + gA + gN) Pagina 32 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo XII. Progresso tecnologico e crescita La dinamica del capitale per unità di lavoro effettivo e del prodotto per unità di lavoro effettivo. 11 1.2 Interazione tra produzione e capitale MACROECONOMIA Il termine appropriabilità si riferisce alla misura in cui le imprese beneficiano dei risultati della propria attività di ricerca. Se le imprese non riescono ad appropriarsi dei profitti generati dai nuovi prodotti, non investiranno in R&S e il progresso tecnologico subirà un rallentamento. Dobbiamo considerare alcuni fattori. - la natura del processo di ricerca. Per esempio, se è ampiamente condivisa l’idea che la scoperta di un nuovo prodotto aprirà in breve tempo, la strada per la ricerca di altri prodotti (cioè c’è un alto grado di fertilità della ricerca) allora nessuno vorrà investire per prima. - Ancora più importante è la protezione legale accordata ai nuovi prodotti. Senza tale protezione, i profitti derivanti dallo sviluppo di nuovi prodotti saranno moderati. Per questo in tutti i paesi esistono norme relative ai brevetti. I brevetti, danno all’impresa che ha scoperto un nuovo prodotto ( ma anche una tecnica o un processo ) il diritto di escludere chiunque altro dalla realizzazione o dall’uso di tale prodotto per un certo periodo di tempo. Qual è il modo migliore di gestire l’area legale dei brevetti? Da un lato, la protezione è necessaria per dare un incentivo alle imprese a investire in R&S. Dall’altro lato, una volta che le imprese hanno scoperto nuovi prodotti, per la società nel suo complesso, sarebbe meglio se la conoscenza incorporata in quei prodotti fosse resa disponibile senza restrizioni alle altre imprese e agli individui. Una scarsa protezione porterà ad un livello insufficiente di R&S, una protezione eccessiva renderà più difficile per la nuova R&S basarsi sui risultati di quella passata e potrebbe anche portare a un livello ridotto di ricerca e sviluppo. Innovazione vs Imitazione: Sebbene la R&S sia un elemento chiave per il progresso tecnologico, sarebbe sbagliato concentrarsi unicamente su di essa in quanto anche altri aspetti sono rilevante. Ogni tecnologia infatti può essere usata in modo più o meno efficiente. Per garantire una maggiore efficienza da parte delle imprese serve una forte competizione. In alcuni paesi la R&S potrebbe essere meno importante che in altri. Bisogna fare una distinzione tra la crescita per innovazione e crescita per imitazione. Per sostenere la crescita economia, i paesi avanzati devono necessariamente innovare, e questo richiede grossi investimenti in R&S. I paesi più poveri invece, che sono ancora lontani dalla frontiera tecnologica, possono continuare a cresce limitandosi ad imitare, importando e adattando le tecnologie esistenti invece che svilupparne di nuove. Questo spiega anche perché paesi più poveri godano anche di una scarsa legislazione in termini di brevetti, in primo luogo non ci sono così tante invenzioni da proteggere, in secondo luogo, una legislazione potrebbe paralizzare il sistema economico locale, inoltre non essendoci una legislazione, le imprese nazionali possono importare nuove tecniche e processi da utilizzare senza pagare i rispettivi diritti alle imprese estere che le hanno realizzate. Ci sono alcuni paesi bravi nell’adozione di innovazioni altrui (Cina) e paesi meno bravi (Africani in generale) la ragione è da cercarsi, più che nella macroeconomia, nello sviluppo economico. CAPITOLO 13: LE SFIDE DELLA CRESCITA: Secondo Schumpeter, un’economista di Harvard che negli anni trenta, ha enfatizzato come il processo di crescita economica fosse fondamentalmente un processo di distruzione creatrice. Nuovi beni sono sviluppati, e questi rendono altri oggetti obsoleti. Nuove tecniche di produzione sono introdotte, e queste richiedono nuove abilità, che rendono altre abilità meno utili. Processo di rimescolamento: possiamo riassumere come, quella migrazione di individui che cambiano posto di lavoro, che si verifica quando gli individui perdono il posto di lavoro per colpa di un robot che ottimizza l’efficienza. Le cause dell’aumento della disuguaglianza salariale: Quali sono le cause di questo aumento della disuguaglianza nei salari? Pagina 35 MACROECONOMIA Il principale fattore dietro all’aumento del salario dei lavoratori qualificati relativamente al salario dei lavoratori poco qualificati è un costante aumento della domanda di lavoratori qualificati rispetto alla domanda di lavoratori poco qualificati. Di certo non è un comportamento nuovo, tuttavia, dopo gli anni ottanta, l’offerta relativa ha continuato ad aumentare ma non abbastanza velocemente da soddisfare il continuo aumento della domanda relativa. Il risultato è stato un costante aumento del salario relativo dei lavoratore qualificati rispetto a quelli poco qualificati. Ma cosa c’è all’origine di questo costante cambiamento della domanda relativa? Una spiegazione si concentra sul ruolo del commercio internazionale, notando come le imprese che impiegano una percentuale maggiore di lavoratori poco qualificati, vengono sempre di più spinte fuori dalle importazioni di beni prodotti che sono concorrenti ma in luoghi in cui il costo del lavoro è molto più basso. Allora l’azienda dovrà risolvere questo problema, probabilmente sceglierà di spostare parte della produzione in questi posti. Il risultato comunque provoca una riduzione della domanda di lavoro per lavoratore non qualificati. Non ci sono dubbi che il commercio sia in parte responsabile dell’aumento della disuguaglianza salariale. Tuttavia, un’analisi più approfondita mostra che in alcuni settori dell’economia questo si verifica anche in mancanza di concorrenza internazionale. Questo ci porta alla prossima spiegazione possibile, ovvero quella concentrata sul progresso tecnologico orientato verso il lavoro qualificato. Nuovi macchinari e nuovi metodi di produzione richiedono un numero sempre maggiore di lavoratori qualificati. Attualmente, la maggior parte degli economisti ritiene che questa sia la causa principale dell’aumento della disuguaglianza salariale. Quando si studia la disuguaglianza a livelli di ricchezza elevati, il salario non è più uno strumento per misurare detta disuguaglianza, perché gli imprenditori ottengono grosse percentuali, se non la totalità, del loro reddito da plusvalenze finanziarie e dal reddito proveniente dal capitale. CAPITOLO 17: APERTURA DEL MERCATO DEI BENI E DEI MERCATI FINANZIARI: Finora abbiamo assunto che l’economia fosse chiusa, cioè che non interagisse con il resto del mondo. Ovviamente a scopo semplificativo. Tuttavia dobbiamo cercare di comprendere le implicazioni macroeconomiche dell’apertura internazionale sarà il nostro obbiettivo. Il concetto di apertura nazionale ha tre dimensioni distinte: 1. Apertura del mercato dei beni: l’opportunità per consumatori e le imprese di scegliere tra beni nazionali e beni esteri. Anche se in nessun paese questa scelta è del tutto libera; ci sono delle quote - ovvero restrizioni sulle quantità - e dazi - tasse sui beni importati. 2. Apertura dei mercati finanziari: l’opportunità per gli investitori finanziari di scegliere tra attività finanziarie nazionali ed estere. In passato, erano in vigore, controlli sui movimenti di capitale: restrizioni sulle attività finanziarie estere che potevano essere detenute dai residenti nazionali e sulle attività finanziarie nazionali che potevano essere detenute da investitori esteri. 3. Apertura dei mercati dei fattori: l’opportunità per le imprese di scegliere dove localizzare un0attività produttiva e per i lavoratori di scegliere dove lavorare. Il mercato dei beni in economia aperta: esportazioni e importazioni: esportazione verso fuori dall’UE, importazioni verso dentro l’UE. La figura mostra due conclusioni principali: -Con il passare del tempo, l’economia dell’UE è diventata sempre più aperta. L’UE commercia molto di più di quanto non facessero gli stessi stati membri ma 50 anni fa. A differenza degli Stati Uniti che invece rispetto all’UE risultano molto più chiusi. -Le importazioni e le esportazione hanno seguito lo stesso trend crescente e a partire dal 2009 le esportazioni ganno superato le importazioni per più dell’ 1% in termini del PIL. Pagina 36 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo XVII. Aperture del mercato dei beni e dei mercati finanziari 1. Il mercato dei beni in economia aperta 1.1 Esportazioni e importazioni Dati per l’Unione Europea in percentuale del Pil dal 1960. Fonte: Banca Mondiale 4 MACROECONOMIA Diversa è stata la situazione negli Stati Uniti, dove sin dall’inizio degli anni Ottanta le importazioni ganno costantemente superato le esportazioni. Per più di 30 anni gli Stati Uniti ganno riportato un disavanzo commerciale ( ricorda capitolo 3). Tuttavia, il volume degli scambi non è necessariamente un buon indice del grado di apertura di un’economia. Molte sono le imprese esposte alla concorrenza estera indiretta (cioè senza che questo generi un aumento delle importazioni), banalmente mantenendo i prezzi riescono ad avere la loro quota di mercato e limitare le importazioni. Un indice di apertura migliore rispetto al rapporto delle importazioni o delle esportazioni sul PIL è la parte del prodotto aggregato composta da beni commerciabili ( ovvero beni che competono con quelli esteri sia sul mercato interno sia sui mercati esteri). domanda: un paese può avere esportazioni più grandi del suo PIL? La risposta è si, Il trucco sta nel rendersi conto che le esportazioni e le importazioni includono anche i beni intermedi. Perché si è notato, che nonostante il dominio dell’economia statunitense sulle altre, il rapporto più basso da esportazioni e Pil è proprio degli Stati Uniti? La risposta non è di sicuro da ricercarsi nella presenza di barriere commerciali. I fattori principali alla base di queste differenze sono la geografia e le dimensioni. È ovvio che un paese come la Svizzera che ha un rapporto tra esportazioni e Pil molto alto, non si può paragonare ad un paese come gli Stati Uniti. Più il paese è piccolo, più deve specializzarsi della produzione ed esportazioni di pochi prodotti, contando sull’importazione per il resto dei prodotti di cui necessita. La Svizzera difficilmente potrebbe produrre la gamma di beni che possono invece produrre gli Stati Uniti. La scelta tra beni nazionali e beni esteri: In che modo l’apertura del mercato dei beni modifica i nostri risultati sull’equilibrio nel mercato dei beni come abbiamo visto in precedenza? Finora abbiamo considerato le decisioni dei consumatori in termini di scelta tra consumo e risparmio. Ma quando i mercati dei beni sono aperti, i consumatori (individui, imprese e governo) devono affrontare una seconda scelta , se acquistare i beni nazionali o quelli esteri. Queste scelte hanno delle conseguenze sul piano della produzione, la scelta di acquistare un bene nazionale fa aumentare la domanda e la produzione di conseguenza. La scelta di acquistare un bene estero, fa aumentare la produzione del paese estero. La variabili cruciale in questa seconda scelta, è se acquistare beni nazionali o beni esteri, è il prezzo dei beni nazionali in termini di beni esteri. Questo prezzo relativo è noto come tasso di cambio reale. Tassi di cambio nominali: I tassi di cambio nominali tra due valute possono essere espressi in un dei due seguenti modi: - il prezzo della valuta nazionale in termini di valuta estera: se pensiamo all’Eurozona come nazione e Regno Unito come estero, possiamo esprimere il tasso di cambio nominale come il prezzo dell’ero in termini di sterline. ad esempio nel 2020, per acquistare un euro ci volevano 0.87 sterline - Allo stesso modo, lo possiamo esprimere come il prezzo della valuta estera in termini di valuta nazionale, e quindi quante sterline ci servono per acquistare un euro. Nel 2020, per acquistare una sterlina avevamo bisogno di 1.14 euro. Entrambe le definizioni sono correte, l’importante è utilizzarle nel modo corretto. Noi adotteremo la prima definizione, e quindi il tasso di cambio nominale è il prezzo della moneta nazionale in termini di moneta estera, e verrà denotato con . I tassi di cambio tra le monete sono determinati nei mercati dei cambi e mutano ogni minuto del giorno, queste variazioni prendono il nome di apprezzamenti nominali e deprezzamenti nominali. - un apprezzamento della moneta nazionale corrisponde ad un aumento del prezzo della moneta nazionale in termini di moneta estera, e corrisponde ad un aumento per la definizione che abbiamo adottato. E Pagina 37 MACROECONOMIA I mercati finanziari in economia aperta: L’apertura dei mercati finanziari consente agli investitori di detenere attività finanziarie sia nazionali che estere, e quindi, di diversificare il proprio portafoglio, di speculare sulle fluttuazioni dei tassi di interesse e dei tassi di cambio… Dato che l’acquisto o la vendita di attività finanziarie estere comporta l’acquisto o la vendita di moneta estera (valuta estera) il volume delle transazioni sul mercato delle valute è un indicatore dell’importanza delle transazioni finanziarie internazionali. Per un paese, l’apertura dei mercati finanziari ha un importante conseguenza: permette al paese di avere avanzi o disavanzi commerciali ( un paese in disavanzo commerciale compra dall’estero più di quanto non venda al resto del mondo, i beni importati superano la quantità di beni esportati.) Per sostenere questa situazioni è necessario che prenda a prestito la differenza tra il valore delle sue importazioni e il valore delle sue esportazioni. Per finanziare quel disavanzo commerciale, dovrà vendere agli investitori commerciali delle attività finanziarie domestiche in misura uguale alla differenza tra le esportazioni e le importazioni. La bilancia dei pagamenti: Le transazioni di un paese con il resto del mondo, siano flussi commerciali o finanziari, sono riassunte in una serie di conti chiamati bilancia dei pagamenti. Visto che si compone di due sezioni separate da una linea, le transazioni si dicono sopra la linea e sotto la linea. - Il conto corrente. Le transazioni sopra la linea registrano tutti i pagamenti da e verso il resto del mondo. Sono chiamate transazioni di conto corrente. 1.Le prime due righe riportano le esportazioni e le importazioni di beni e servizi. 2. Le esportazioni comportano pagamenti provenienti dal resto del mondo. Le importazioni pagamenti verso il resto del mondo. La differenza tra queste è il saldo della bilancia commerciale. 3. Le esportazioni e le importazioni non sono l’unica fonte di pagamenti da e verso il resto del mondo. Infatti, i residenti ricevono redditi da investimenti, ovvero redditi dalle attività finanziarie estere che possiedono e i cittadini residenti all’estero ricevono redditi da investimenti, cioè dalle attività finanziarie europee incluse nei proprio portafogli. 4. Un altro importante tipo di pagamenti da e verso il resto del mondo è rappresentato dai trasferimenti. I trasferimenti includono una grande varietà di transazioni, come i trasferimenti dovuti a brevetti e a diritti d’autore, o le donazioni internazionali. La somma dei pagamenti netti da e verso il resto del mondo prende il nome di saldo di conto corrente. Se i pagamenti netti dal resto del mondo sono positivi, il paese registra un avanzo di conto corrente; Se i pagamenti netti dal resto del mondo sono negativi, il paese registra un disavanzo di conto corrente. - Il conto capitale: Le transazioni sotto la linea sono dette transazioni di conto capitale e registrano tutti gli investimenti in attività finanziarie da e verso il resto del mondo. I flussi netti di capitale positivi sono chiamati avanzo di conto capitale, i flussi netti di capitale negativi sono detti disavanzo di conto capitale. Il saldo del corrente capitale e il saldo del conto capitale devono essere esattamente pari all’avanzo di conto corrente? In teoria si, in pratica no. Questo perché le cifre relative alle transazioni sopra la linea e sotto la linea hanno origine da fonti statistiche diverse, anche se dovrebbero avere lo stesso risultato, di solito ciò non avviene. La differenza tra queste prende il nome di discrepanza statistica. Pagina 40 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo XVII. Aperture del mercato dei beni e dei mercati finanziari 2.1 La bilancia dei pagamenti 21 MACROECONOMIA A questo punto, riprendiamo un argomento che abbiamo visto nel capitolo 2. La differenza tra due misure alternative di produzione Pil (prodotto interno lordo) : misura il valore aggiunto all’interno di un paese Pnl (prodotto nazionale lordo) : misura il valore aggiunto prodotto dai fattori di produzione nazionali. In economia chiusa, questi due valori coincidono, in economia aperta non necessariamente. Infatti, parte del reddito prodotto da imprese nazionali possedute da stranieri va all’estero, e i residenti nazionali ricevono parte del reddito prodotto dalle imprese estere che essi possiedono. Quindi per passare dal Pil al Pnl, bisogna partire dal Pil e aggiungere il reddito ricevuto dal resto del mondo, e sottrarre il reddito pagato al resto del mondo. Denotiamo questi trasferimenti di reddito netti con . La scelta tra attività finanziarie nazionali ed estere: L’apertura dei mercati finanziari consente alle persone ( o agli altri operatori) di investire scegliendo tra attività finanziarie nazionali ed estere. A prima vista sembrerebbe che ci siano due nuove decisioni da affrontare, ovvero la scelta tra la moneta nazionale ed estera e la scelta tra attività finanziarie fruttifere nazionali ed estere. Dobbiamo ricordare che le persone detengono moneta per effettuare acquisti quotidiani, ovviamente per i cittadini dell’Eurozona, l’unica moneta che hanno convenienza a tenere è l’euro poiché è la moneta maggiormente utilizzata, per questo motivo scartiamo il primo problema. L’unica scelta sarà fra detenere attività finanziarie domestiche o estere. Consideriamo la scelta tra titoli nazionali ed esteri, per esempio, tra titoli britannici a un anno e titoli europei a un anno, dal punto di vista di un investitore dell’Eurozona. - Supponiamo che decidiate di detenere titoli tedeschi. Sia ,il tasso di interesse nominale a un anno prevalente in Germania nell’anno t. Tutto quello che dobbiamo fare è acquistare il titolo e aspettare di ottenere un montante pari a - Supponiamo adesso di voler detenere titoli britannici. Con un tasso di interesse nominale corrispondente ad un anno, . Ovviamente i titoli tedeschi sono espressi in sterline. Quindi tutto quello che dovremo fare è innanzitutto, acquistare sterline ad un tasso di cambio nominale , poi aspettare di ricevere un montante pari a , una volta fatto ciò dovremmo riconvertire le sterline in euro. Se il tasso di cambio nominale atteso è , ogni sterlina varrà euro. Per tanto possiamo aspettarci di ottenere euro per ogni euro investito. Questo è importante; per valutare la redditività dei titoli tedeschi rispetto a quelli britannici, non basta guardare ai tassi di interesse tedeschi e britannici, bisogna anche formulare un’aspettativa circa l’andamento del tasso di cambio euro/sterlina tra quest’anno e il prossimo. Assumiamo che gli investitori finanziari siano esclusivamente interessati a detenere attività con il più alto tasso di rendimento atteso. Affinché sia conveniente tenere titoli sia tedeschi sia britannici, essi devono avere lo stesso tasso di rendimento atteso, cioè deve valere la seguente condizione: riorganizzando: Quest’ultima equazione è chiamata parità scoperta dei tassi di interesse, o parità dei tassi di interesse. L’ipotesi che gli investitori finanziari tengano soltanto i titoli con tassi di rendimenti atteso più elevato è troppo restrittiva: Rn Pnl = Pil + Rn it (1 + it) i*t Et Et(1 + i*t ) Ee t+1 1/Ee t+1 Et(1 + i*t )(1/Ee t+1) (1 + it) = (Et)(1 + i*t )( 1 Ee t+1 ) (1 + it) = (1 + i*t )( Et Ee t+1 ) Pagina 41 MACROECONOMIA - ignora i costi di transazione: acquistare e vendere titoli britannici, richiede tre transazioni ognuna dei quali con costi separati - ignora l’esistenza del rischio: poiché il tasso di cambio a un anno è incerto, per un investitore europeo tenere titoli britannici è più rischioso. Tuttavia essa spiega bene i movimenti di capitale, infatti piccole variazioni dei tassi di interesse o notizie di apprezzamenti o deprezzamenti imminenti possono spostare miliardi di dollari nel giro di pochi minuti. Per i paesi ricchi l’equazione precedente è una buona approssimazione della realtà, per i paesi poveri o dove esistono controlli suoi movimenti di capitale, gli investitori sono più propensi a scegliere il tasso nazionale. Tassi di interesse e tassi di cambio: Per capire meglio che cosa comporta la condizione di parità dei tassi di interesse riscriviamo: Questa espressione mostra la relazione fra il tasso di interesse nominale nazionale, , il tasso di interesse nominale estero , e il tasso di apprezzamento atteso . Se i tassi di interesse e il tasso di apprezzamento atteso non sono troppo elevati, esempio sotto il 20% annuo, si può approssimare alla seguente equazione: È la condizione di parità scoperta fra il tasso di interesse interno e quello estero: l’arbitraggio fa si he il tasso di interesse interno sia (approssimativamente) uguale al tasso di interesse estero meno il tasso di apprezzamento atteso della moneta interna. Notiamo, grazie all’evidenza, che il tasso di apprezzamento atteso della moneta interna, corrisponde al tasso di deprezzamento atteso della moneta estera. Un altro modo di vederla può essere, che il tasso di interesse nazionale deve essere uguale al tasso di interesse estero meno il tasso di deprezzamento atteso della moneta estera. Applicando queste considerazioni all’esempio della scelta tra titoli tedeschi e britannici: Detto in altro modo: se vale la condizione di parità scoperta dei tassi di interesse e se il tasso di interesse annuo tedesco è inferiore a quello britannico di tre punti percentuali, ciò significa che gli investitori si aspettano in media un apprezzamento dell’euro rispetto alla sterlina nel corso dell’anno seguente di circa tre punti percentuali. (1 + it) = (1 + i*t ) [1 + (Ee t+1 − Et)/Et] it i*t (Ee t+1 − Et)/Et it ≈ i*t − Ee t+1 − Et Et Pagina 42 Supponiamo che il tasso di interesse per i titoli tedeschi sia 2% e che il tasso di interesse per i titoli britannici sia 5%. In questo caso quali conviene detenere? - Dipende dall’eventualità che ci aspettiamo, che nell’anno successivo, la sterlina si deprezzi rispetto all’euro per un valore pari più o meno alla differenza fra il tasso di interesse tedesco e il tasso di interesse britannico, in questo caso 3%. - Se ci aspettiamo un tasso di deprezzamento della sterlina maggiore del 3%, sarà più conveniente per noi detenere titoli tedeschi - Invece se ci aspettiamo che il tasso di deprezzamento sia minore dell’1%, ci converrà detenere titoli britannici. MACROECONOMIA - fino a quando una parte della domanda aggiuntiva è rivolta ai beni nazionali, la AA è inclinata positivamente: un incremento del reddito fa aumentare la domanda interna di beni nazionali. Infine, dobbiamo aggiungere le esportazioni , otteniamo in questo modo la retta ZZ (che rappresenta la domanda di beni nazionali), che giace sopra la AA. La distanza tra la ZZ e la AA corrisponde alle esportazioni. Poiché queste non dipendono dal reddito interno, la distanza tra ZZ e AA è costante, e quindi, le due rette sono parallele. La AA è più piatta della DD e quindi anche la ZZ lo è. La prima figura permette inoltre di descrivere il comportamento delle esportazioni nette - la differenza tra importazioni ed esportazioni - in funzione della produzione. Nell’esempio si nota che, per un dato livello di produzione, Y, la distanza AC rappresenta le esportazioni, la distanza AB, rappresenta le importazioni, e la distanza BC rappresenta le esportazioni nette. Nella figura sotto, la relazione tra esportazioni nette e produzione è rappresentata dalla retta indicata con NX. Le esportazioni nette sono una funzione decrescente della produzione nazionali: all’aumentare della produzione nazionale, le importazioni aumentano e le esportazioni rimangono invariate, per cui le esportazioni nette diminuiscono. Chiamiamo (trade balance, o bilancia commerciale) il livello di produzione nazionale in corrispondenza del quale le importazioni sono uguali alle esportazioni e quindi le esportazioni nette sono uguali a zero. Per livelli di produzione nazionali , le importazioni sono più elevate e il paese registra un disavanzo commerciale. per livelli di produzione nazionali , le importazioni sono più basse e il paese registra un avanzo commerciale. Produzione di equilibrio e bilancia commerciale: Il mercato dei beni è in equilibrio quando la produzione nazionale è uguale alla domanda - nazionale più estera - di beni nazionali: Unendo le relazioni, che abbiamo trovato otteniamo: Questa condizione di equilibrio determina la produzione in funzione di tutte le variabili che abbiamo ipotizzato esogene: imposte, tasso di cambio reale, produzione estera e spesa pubblica. Nella figura superiore la domanda è misurata sull’asse verticale, e la produzione sull’asse orizzontale. La retta ZZ rappresenta la domanda in funzione della produzione, è la replica in effetti di quella nelle figure precedenti. Allo stesso modo la retta ZZ è inclinata positivamente, con pendenza minore di 1. La produzione di equilibrio è il punto dove la domanda è uguale alla produzione, cioè si trova in corrispondenza dell’intersezione della ZZ con la retta a 45°.La figura sottostante riproduce una delle figura precedenti, in cui si osservavano le esportazioni nette in funzione decrescente della produzione nazionale. X (X − IM /ϵ) YTB Y1 > YTB Y2 < YTB Y = Z Y = C(Y − T ) + I(Y, i ) + G − IM(Y, ϵ) + X(Y*, ϵ) Pagina 45 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo XVIII. Il mercato dei beni in economia aperta 1.5 Uniamo tutte le determinanti della domanda di beni nazionali 6 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo XVIII. Il mercato dei beni in economia aperta 2. Produzione di equilibrio e bilancia commerciale 9 MACROECONOMIA Aumenti della domanda: interna o esterna: Come cambia la produzione in seguito a variazioni della domanda in un’economia aperta? guardiamo cosa succede in seguito Un aumento della domanda interna: Supponiamo che l’economia sia in recessione e che il governo stia considerando l’opportunità di aumentare la spesa pubblica, aumentando la domanda interna e a sua volta la produzione. Quali saranno gli effetti sulla produzione e sulla bilancia commerciale? La risposta è contenuta nella figura superiore, prima dell’aumento della spesa pubblica, la domanda è data dalla retta ZZ, e l’equilibrio si trova nel punto A con una produzione pari a Y. Assumiamo che la bilancia commerciale sia in pareggio, e quindi che . Che cosa succede se il governo aumenta la spesa pubblica di ? Ad ogni livello della produzione, la domanda aumenta di ; per cui la retta che rappresenta la domanda si sposta verso l’alto in misura pari a , da ZZ a ZZ’. Il punto di equilibrio si sposta anch’esso a A’ e la produzione aumenta da Y a Y’. L’incremento della produzione è chiaramente maggiore dell’aumento della spesa pubblica, per effetto del moltiplicatore. L’effetto è simile a quello che succedeva in economia chiusa, ma ci sono delle differenze: - in economia aperta c’è un effetto sulla bilancia commerciale. Poiché la spesa pubblica non entra direttamente né nell’equazione dell’esportazione, né in quella delle importazioni, la retta delle esportazioni nette non si sposta. L’incremento di prodotto da Y a Y’genera un disavanzo commerciale pari a BC. Le importazioni aumentano mentre le esportazioni rimangono invariate. - non soltanto la spesa pubblica genera un disavanzo commerciale, ma il suo effetto sulla produzione nazionale è inferiore rispetto a quello registrato in economia chiusa. In economia aperta il moltiplicatore è più piccolo. Il disavanzo commerciale e il minor valore del moltiplicatore ganno la stessa causa: l’aumento della domanda interna ricade sia sui beni nazionali sia sui beni esteri. Di conseguenza, quando la produzione aumenta, l’effetto sulla domanda di beni nazionali è più piccolo di quello che si avrebbe in economia chiusa. Questi due effetti sono molto importanti. In un’economia aperta l’aumento della domanda oltre ad avere pochi benefici per la produzione ha un forte effetto negativo nella bilancia commerciale. Tanto più aperta è l’economia tanto minore sarà l’effetto sulla produzione e tanto maggiore l’effetto negativo sulla bilancia commerciale. Consideriamo il caso dell’Olanda che ha un rapporto importazioni/Pil molto elevato, un incremento della domanda si riflette in un aumento delle importazioni, invece che in un aumento della domanda di beni nazionali. È quindi probabile che un aumento della spesa pubblica in Olanda generi un notevole peggioramento nella bilancia commerciale. Anche per gli Stati Uniti, che hanno un rapporto importazioni/Pil molto più basso, un aumento della domanda interna sarebbe comunque associato a un certo deterioramento della bilancia commerciale. Un aumento della domanda estera: Consideriamo un aumento della produzione estera, , e supponiamo di volerne analizzare gli effetti sull’economia nazionale. Supponiamo di non sapere quale sia la causa di questo incremento. La domanda iniziale di beni nazionali è data da ZZ nella figura superiore. L’equilibrio si trova nel punto A, con un livello della produzione pari a . Y = YTB ΔG ΔG ΔG Y* Y Pagina 46 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo XVIII. Il merc to dei beni in economia aperta 3.1 Un aumento della domanda interna 11 Consideriamo l’esempio di un aumento della spesa pubblica. MACROECONOMIA Assumiamo che la bilancia commerciale, sia in pareggio e quindi ; La retta che mostra la domanda nazionale di beni, come funzione del reddito. Questa retta è indicata da DD. La differenza tra ZZ e DD è uguale alle esportazioni nette, per cui la bilancia commerciale è in pareggio nel punto A, il punto in cui la ZZ e la DD si intersecano. Consideriamo ora gli effetti di un aumento della produzione estera, . Un maggior livello di produzione estera si traduce in una maggiore domanda estera che riguarda anche i beni nazionali. L’effetto diretto è un incremento di un certo ammontare, diciamo , delle nostre esportazioni: - Per ogni dato livello della produzione nazionale, questo aumento delle esportazioni induce un incremento della domanda di beni nazionali pari a , per cui la retta che rappresenta la domanda di beni nazionali ZZ, si sposta verso l’alto, in misura pari a , da ZZ a ZZ’. - Dato il livello di produzione nazionale, all’aumentare delle esportazioni di la retta che rappresenta le esportazioni nette in funzione della produzione si sposta anch’essa verso l’alto in misura pari a da a . Il nuovo equilibrio si trova nel punto A’ e il nuovo livello di produzione a Y’. L’aumento della produzione estera induce un aumento della produzione nazionale (un maggior livello di produzione estera genera maggiori esportazioni di beni nazionali che a loro volta fanno aumentare la produzione interna e la domanda nazionale di beni attraverso il moltiplicatore.) Cosa succede alla bilancia commerciale? Sappiamo che le esportazioni aumentano. Ma potrebbe accadere che l’aumento della produzione interna generi un incremento delle importazioni cosi elevato da far peggiorare alla fine la bilancia commerciale? la risposta è no, la bilancia commerciale deve migliorare. Notiamo che quando la domanda estera aumenta, la domanda di beni nazionali si sposta verso l’alto da ZZ a ZZ’. Ma la retta DD, che rappresenta la domanda nazionale di beni in funzione del reddito non si muove. Quindi le importazioni aumentano ma non in misura tale da compensare l’incremento delle esportazioni, per cui la bilancia commerciale migliora. Politica fiscale: una rivisitazione: Abbiamo finora derivato due risultati: - un aumento della domanda nazionale provoca un aumento della produzione nazionale ma anche un peggioramento del saldo commerciale - un aumento della domanda estera provoca un aumento della produzione nazionale e un miglioramento del saldo commerciale. Questi risultati, a loro volta, hanno due importanti conseguenze. Primo; essi comportano che shock alla domanda in un paese hanno effetti anche in tutti gli altri paesi con i quali hanno rapporti commerciali e finanziari (anche se i legami commerciali hanno un impatto maggiore) Secondo; queste interazioni complicano in misura notevole, il compito delle autorità di politica economica, soprattutto quella fiscale. Partiamo dal presupposto che i governi preferiscono non incorrere in disavanzi commerciali: un paese con un disavanzo commerciale cronico accumula debito nei confronti del resto del mondo e quindi dovrà pagare interessi sempre più alti al resto del mondo. Per questa ragione i paesi sperano in un aumento della produzione estera piuttosto che quella nazionale. Y = YTB C + G + I ΔY* ΔX ΔX ΔX ΔX ΔX N X N X′ Pagina 47 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo XVIII. Il mercato dei beni in economia aperta 3.2 Un aumento della domanda estera 13 MACROECONOMIA Dietro questo esempio, c’è un principio generale. Nella misura in cui i governi si preoccupano sia del livello della produzione sia della bilancia commerciale, essi devono usare la politica fiscale insieme alla politica del tasso di cambio. Risparmio, investimento e saldo commerciale: Deriviamo la condizione di uguaglianza tra investimento e risparmio in economia aperta: partiamo dalla nostra condizione di equilibrio: spostando il consumo, al lato sinistro, e sottraendo le imposte, e indicando con NX le esportazioni nette otteniamo: Ricordando che in economia aperta, il reddito totale dei residenti è uguale al reddito nazionali, che è uguale alla produzione, Y, più il reddito netto dall’estero, NI. Sommando NI a entrambi i lati dell’equazione: Notiamo che il termine tra parentesi sul lato sinistro è uguale al reddito disponibile, quindi il lato sinistro è uguale al reddito disponibile meno i consumi (cioè risparmio privato, S). La somma delle esportazioni nette e del reddito netto dell’estero sul lato destro è uguale al conto corrente, CA: riordinando: Il saldo del conto corrente è uguale al risparmio nazionale - privato(S) e pubblico(T-G) - meno l’investimento(I). Un avanzo commerciale corrisponde a un eccesso di risparmio sull’investimento. Un disavanzo commerciale corrisponde invece a un eccesso di investimento sul risparmio. Per capire, ricordiamo quanto detto circa la descrizione del conto corrente e del conto capitale: un avanzo commerciale comporta un prestito netto al resto del mondo, un disavanzo commerciale comporta un indebitamento netto nei confronti del resto del mondo. Consideriamo un paese che investe più di quanto risparmia; è un paese che dovrà prendere a prestito la differenza dal resto del mondo, cioè dovrà sopportare un disavanzo commerciale. Allo stesso modo, un paese che presti al resto del mondo è un paese che risparmia più di quanto investe. - Un aumento dell’investimento deve riflettersi in un aumento del risparmio privato, del risparmio pubblico o in un peggioramento del saldo commerciale. - Un peggioramento del bilancio pubblico deve riflettersi in un aumento del risparmio privato, in una riduzione dell’investimento o in un peggioramento del saldo commerciale - Un paese con un alto tasso di risparmio, pubblico e privato, deve avere o un elevato tasso di investimento o un significativo avanzo commerciale. un deprezzamento incide sul risparmio e sull’investimento, attraverso la domanda di beni nazionali e attraverso un aumento della produzione. Y = C + I + G − IM /ϵ + X Y − T − C = I + (G − T ) + N X (Y + NI − T ) − C = I + (G − T ) + (N X + NI ) S = I + (G − T ) + CA CA = S + (G − T ) − I Pagina 50 MACROECONOMIA CAPITOLO 19: Produzione, tasso di interesse e tasso di cambio: Nel capitolo precedente abbiamo trattato il tasso di cambio come se potesse essere gestito dalla politica economica a disposizione del governo. Tuttavia, il tasso di cambio non è uno strumento di politica economica. L’equilibrio nel mercato dei beni: la condizione di equilibrio nel mercato dei beni in economia aperta è derivato dalla condizione: Abbiamo definito le esportazioni nette come: Riscriviamo la condizione di equilibrio come: La più importante conseguenza sta nel fatto che, adesso la domanda ( o produzione) dipende anche dal tasso di interesse e dal tasso di cambio reale. - Un aumento del tasso di interesse reale genera una riduzione della spesa per investimenti, e quindi una riduzione della domanda di beni nazionali; questo conduce a una riduzione della produzione. - un aumento del tasso di cambio reale provoca uno spostamento della domanda a favore dei beni esteri e, quindi un calo delle esportazioni nette. La riduzione delle esportazioni nette fa diminuire la domanda di beni nazionali e a sua volta, riduce la produzione. Introduciamo due semplificazioni: - il livello dei prezzi nazionali ed estero è costante: quindi il tasso di cambio nominale e reale si muovono assieme e quindi: - l’inflazione, effettiva e attesa, è nulla in quanto i livelli dei prezzi sono dati da: dopo queste semplificazioni possiamo riscrivere: L’equilibrio nei mercati finanziari: Quando l’abbiamo studiato in precedenza abbiamo ipotizzato che gli operatori dovessero scegliere solamente tra due attività finanziarie, titoli e moneta. Adesso dobbiamo scegliere anche tra titoli nazionali ed esteri. La scelta tra titoli nazionali ed esteri: Per analizzare la scelta tra titoli nazionali ed esteri, ci baseremo sull’ipotesi fatta precedentemente, ovvero che gli investitori sia nazionali che esteri, cerchino il tasso di rendimento atteso più alto, e non si interessino del rischio. Quindi, affinché in equilibrio gli individui detengano sia i titoli nazionali che esteri, essi devono avere lo stesso tasso di rendimento atteso. (ovviamente si tratta di un approssimazione della realtà). NX(Y, Y*, ϵ) ≡ X(Y*, ϵ) − IM(Y, ϵ)/ϵ P = P* → E = ϵ πe = 0 → r = i Y = C(Y − T ) + I(Y, i ) + G + N X(Y, Y*, E ) Pagina 51 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo XIX. Produzione, tasso di interesse e tasso di cambio 1. L’equilibrio nel mercato dei beni L’equilibrio nel mercato dei beni è dat dalla seguente equazione: Ovverosia l’uguaglianza tra produzione e domanda. Abbia o definito le esportazioni nette come: Possiamo quindi riscrivere la condizione di equilibrio come: 2 *( ) ( , ) ( , ) / ( , )Y C Y T I Y r G IM Y X Ye e e= - + + - + ( ) + ( , )+ - ( , )+ + * *( , , ) ( , ) ( , ) /NX Y Y X Y IM Ye e e eº - *( ) ( , ) ( , , )Y C Y T I Y r G NX Y Y e= - + + + ( , )+ - ( )-+-( ) + Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo XIX. Produzione, tasso di interesse e tasso di cambio 1. L’equilibrio nel mercato dei beni L’equ libri nel mercat dei beni è dato dalla seguente equazione: Ovverosia l’uguaglianza tra produzione e domanda. Abbiamo definito le esportazioni nette come: Possiamo quindi riscrivere la condizione di equilibrio come: 2 *( ) ( , ) ( , ) / ( , )Y C Y T I Y r G IM Y X Ye e e= - + + - + ( ) + ( , )+ - ( , )+ + * *( , , ) ( , ) ( , ) /NX Y Y X Y IM Ye e e eº - *( ) ( , ) ( , , )Y C Y T I Y r G NX Y Y e= - + + + ( , )+ - ( )-+-( ) + MACROECONOMIA Come abbiamo visto anche nei precedenti capitoli, l’ipotesi che gli investitori cerchino il tasso di rendimento atteso più elevato, ignorando il rischio, richiede che sia soddisfatta la seguente condizione di arbitraggio: la parità dei tassi di interesse: . Il lato sinistro, rappresenta il rendimento, in termini di valuta nazionale, dei titoli nazionali Il lato destro, rappresenta il rendimento in termini di valuta nazionali, dei titoli esteri. In equilibrio questi due rendimenti si devono eguagliare. La presenza di , deriva dal fatto che per poter acquistare titoli stranieri, è necessario prima acquistare moneta straniera. La presenza di deriva dal fatto che per consentire il rientro dei fondi nel periodo successivo, è necessario scambiare la valuta estera con quella nazionale al tasso di cambio che si prevede per quel periodo. Facendo alcune semplificazioni: per il momento considereremo il tasso di cambio futuro atteso come dato e lo denoteremo con . Omettendo gli indici temporali : Questa relazione ci dice che il tasso di cambio corrente dipende dal tasso di interesse nazionale ed estero, e dal tasso di cambio atteso. - un aumento del tasso di interesse interno provoca un aumento del tasso di cambio - un aumento del tasso di interesse estero provoca una riduzione del tasso di cambio - un aumento del tasso di cambio atteso porta a un aumento del tasso di cambio corrente. ecco un esempio: (1 + it) = (1 + i*t ) Et Ee t+1 Et Ee t+1 Et = (1 + i ) (1 + i*) Ee t+1 Ēe E = (1 + i ) (1 + i*) Ee Pagina 52 MACROECONOMIA Se l’aumento di G, sposta la produzione verso il livello potenziale, ma non al di sopra di esso, la banca centrale non si preoccuperà che l’inflazione possa aumentare e manterrà cosi il tasso di interesse invariato. L’equilibrio si trova inizialmente nel punto , un aumento della spesa pubblica di ; fa aumentare la produzione a parità di tasso di interesse e la curva IS si sposta verso destra, la curva LM invece non si sposta. Il nuovo equilibrio si sposta nel punto , con un maggior livello di produzione Y’. Quindi un aumento della spesa pubblica, quando la banca centrale lascia il tasso di interesse invariato, provoca un aumento della produzione, senza alcuna variazione del tasso di cambio. Cosa accade alle varie componenti della domanda? - Il consumo e la spesa pubblica, aumentano , il primo per effetto dell’incremento di reddito, il secondo per nostra ipotesi - anche l’investimento aumenta, dato che ; quando la produzione aumenta anche l’investimento aumenta, inoltre il tasso di interesse abbiamo detto che rimane invariato, quindi ancora meglio. - cosa accade alle esportazioni nette? Ricordiamo che cosa influenza le esportazioni nette: ; abbiamo ipotizzato che la produzione estera rimanga invariata; il tasso di cambio rimane anch’esso invariato a causa del tasso di interesse. L’ultimo agente in grado di influenzare le esportazioni nette rimane la produzione nazionale, dato che la produzione nazionale fa aumentare le importazioni, fissato il tasso di cambio le esportazioni nette diminuiranno. Di conseguenza, il disavanzo di bilancio porta a un deterioramento della bilancia commerciale. Ipotizziamo che l’aumento della spesa pubblica avvenga in un economia nella quale la produzione è vicina al suo livello potenziale. Il governo potrebbe decidere di aumentare la spesa pubblica anche quando l’economia si trova già al livello di produzione potenziale (ad esempio per finanziare la spesa di un evento eccezionale, come un inondazione), quindi ipotizziamo che non voglia finanziarlo immediatamente aumentando il livello delle imposte. In questo caso, la banca centrale si preoccuperà che l’aumento della spesa pubblica G, spostando la curva IS al di sopra del livello potenziale possa generare l’inflazione, e quindi è probabile che reagisca alzando il tasso di interesse. Nella figura è rappresentato quello che succede; inizialmente, con un tasso di interesse invariato, la curva IS si sposta verso destra, aumentando il livello della produzione da a ; e il tasso di cambio rimane invariato. In seguito ad un aumento del tasso di interesse la curva LM si sposta verso l’alto portando la produzione, più vicina alla produzione potenziale; da a ; e il tasso di cambio si apprezzerà da a . In questo caso cosa accade alle varie componenti della domanda? - il consumo e la spesa pubblica come prima aumentano; il primo per effetto dell’aumento della produzione, la seconda per ipotesi nostra; - quello che accade all’investimento è un pò ambiguo: da un lato la produzione aumenta, e quindi l’investimento aumenta, dall’altro il tasso di interesse aumenta e quindi la spesa per l’investimento diminuisce. - Le esportazioni nette diminuiscono sia per effetto dell’apprezzamento sia a causa dell’aumento della produzione: l’apprezzamento riduce le esportazioni e aumenta le importazioni, e l’incremento della produzione fa aumentare ulteriormente le importazioni. A ΔG > 0 A′ I = I(Y, i ) N X = N X(Y, Y*, E ) Yn Y′ Y′ Y′ ′ E E′ ′ Pagina 55 Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., «Macroeconomia» Il Mulino, 2020 Capitolo XIX. Produzione, tasso di interesse e tasso di cambio 4.2 Gli eff tti d lla politic fiscale in economia aperta 18 Gli effetti di un aumento della spesa pubblica quando la banca centrale reagisce aumentando il tasso di interesse. MACROECONOMIA Il disavanzo di bilancio provoca un peggioramento della bilancia commerciale. Tassi di cambio fissi: Fino ad ora abbiamo assunto che la banca centrale scelga l’offerta di moneta e aspetti che il tasso di cambio si aggiusti di conseguenza, tuttavia in molti paesi questo è irrealistico. Le banche centrali usano la politica monetaria per raggiungere determinati obiettivi in termini di tasso di cambio (alcune volte espliciti, altre volte impliciti) La parità, le parità mobili, le bande di oscillazione, lo SME e l’euro: Da un lato vi sono paesi (Stati Uniti, Giappone, Regno Unito e Canada) con tassi di cambio flessibili. Non hanno obiettivi specifici in termini di tasso di cambio. Sebbene le loro banche centrali prestino attenzione all’andamento del tasso di cambio si sono mostrate disposte a consentire ampie fluttuazioni dello stesso. All’estremo opposto, ci sono i paesi che operano in regimi di cambio rigidamente fissi, Questi, mantengono un tasso di cambio fisso in termini di qualche valuta estera, mantenendo cioè una parità tra il volume nominale della valuta nazionale e quella della valuta estera. Alcuni ancorano la moneta al dollaro; altri al franco francese (dopo l’adozione all’euro, è stata questa la valuta a cui si sono ancorati)… Altri ancora ancorano la moneta a un insieme di valute estere, con pesi proporzionali all’importanza di quelle valute nella composizione dei loro flussi commerciali. Il termine tasso di cambio fisso è leggermente fuorviante, poiché non è vero che essi non subiscono mai cambiamenti, è vero invece che le variazioni che subiscono sono piuttosto rare. Tant’è vero che gli economisti hanno chiamato in modo diverso queste variazioni: svalutazione = deprezzamento rivalutazione = apprezzamento Tra questi due estremi ci sono paesi che adottano regimi di cambi intermedi, tra il fisso e il flessibile, né perfettamente fissi, né perfettamente flessibili. Per esempio, alcuni paesi operano con una parità mobile del tasso di cambio rispetto al dollaro USA, scelgono di consentire lenti aggiustamenti rispetto al dollaro. Un altro tipo di accordo prevede che un gruppo di paesi mantengano il loro tassi di cambio bilaterali all’interno di certe bande di oscillazione; un esempio per antonomasia di questo sistema è lo SME (sistema monetario europeo) che ha determinato le variazioni dei tassi di cambio all’interno dell’UE prima dell’introduzione dell’euro. Secondo le regole, i paesi mantenevano il loro tasso di cambio, rispetto a ciascuna altra valuta del sistema, all’interno di una banda di oscillazione costruita intorno ad una parità centrale - un dato valore del tasso di cambio (quindi anche un valore obiettivo); valutazioni o svalutazioni erano possibili ma dovevano essere condivise dai paesi aderenti all’accordo. Politica monetaria in sistema di cambi fissi: Supponiamo che un paese decida di ancorare il proprio tasso di cambio a un dato valore, . Cosa può fare per raggiungere quel risultato? Non può annunciare un tasso di cambio e mantenerlo fisso, ma deve fare in modo che il tasso di cambio prescelto prevalga sul mercato de cambi. Con o senza cambio fisso, il tasso di cambio e il tasso di interesse nominale devono soddisfare la parità dei tassi di interesse: Quando un paese ancora il suo tasso di cambio a un livello, , il tasso di cambio corrente è ; Se i mercati finanziari e dei cambi credono che il tasso di cambio rimarrà effettivamente fisso, allora il tasso di cambio futuro atteso, sarà anch’esso uguale a ; e la parità dei tassi di interessa diventa: Ē (1 + i ) = (1 + i*)( Et Ee t+1) ) Ē Et = Ē Ee t+1 = Ē Pagina 56 MACROECONOMIA Se gli investitori finanziari si aspettano che il tasso di cambio rimanga invariato, essi richiederanno lo stesso tasso di interesse nominale in entrambi i paesi. In ipotesi di tassi di cambio fissi e di perfetta mobilità dei capitali, il tasso di interesse interno deve quindi essere uguale al tasso di interesse estero. In sintesi, in un sistema di cambi fissi, la banca centrale rinuncia alla politica monetaria come strumento di politica economica. Politica fiscale in sistema di cambi fissi: In un sistema di cambi fissi, che ruolo ha la politica fiscale come unica forma di politica economica? Gli effetti di un aumento della spesa pubblica, in sistema di cambi fissi, sono uguali a quelli generati in sistemi di cambio variabili, questo però finché la produzione è al di sotto della produzione potenziale; abbiamo visto che un aumento di , in situazioni in cui la produzione è uguale o al di sopra della produzione potenziale può generare un aumento dell’inflazione, solo che la politica monetaria, e quindi la gestione del tasso di interesse non è più disponibile, poiché deve essere uguale al tasso di interesse estero. Ci sono molte ragioni per cui questa potrebbe non essere una buona idea: - Fissando il tasso di cambio, si rinuncia a uno strumento efficace nella correzione degli squilibri commerciali e nel controllo del livello di produzione aggregata - Ancorandosi a un dato tasso di cambio fisso, un paese rinuncia anche al controllo del suo tasso di interesse. - Nonostante il paese mantenga una piena disponibilità della politica fiscale, un solo strumento di politica economica non è sempre sufficiente. Cosa spinge i paesi ad ancorare il tasso di cambio? è un argomento del capitolo 20 che non è argomento d’esame. CAPITOLO 22: LA POLITICA FISCALE: Il vincolo di bilancio del governo: disavanzo, debito, spesa e gettito delle imposte: Supponiamo che il governo, partendo da una situazione di bilancio in pareggio, riduca le imposte, generando in tal modo un disavanzo di bilancio. Partiamo dalla definizione di disavanzo di bilancio. Scriviamo il disavanzo di bilancio nell’anno t, come: tutte le variabili sono in termini reali: : è il debito pubblico all’inizio dell’anno t; : è il tasso di interesse reale, che qui consideriamo costante. : rappresenta gli interessi reali corrisposti sui titoli pubblici in circolazione. : è la spesa pubblica in beni e servizi nell’anno t; : le imposte al netto dei trasferimenti nell’anno t. Quindi: il disavanzo di bilancio è uguale alla spesa in beni e servizi, più gli interessi, meno le imposte al netto dei trasferimenti. (1 + i ) = (1 + i*) ⇒ it = i*t G disavanzot = rBt−1 + Gt − Tt Bt−1 r rBt−1 Gt Tt Pagina 57 MACROECONOMIA Possiamo trarre tre conclusioni: • L’eredità dei disavanzi del passato consiste in un maggior debito corrente. • Per stabilizzare il debito il governo deve eliminare il disavanzo di bilancio. • Per eliminare il disavanzo di bilancio, il governo deve registrare un avanzo primario uguale agli interessi sul debito esistente. Questo rende necessario un aumento permanente delle imposte. L’andamento del rapporto debito/Pil: Finora ci siamo occupati dell’andamento del livello del debito pubblico. Ma in un’economia in cui la produzione cresce nel tempo, ha più senso parlare di rapporto tra debito pubblico e Pil. Il motivo è che le risorse a cui il governo può attingere per ripagare il debito crescono al crescere del Pil. Consideriamo quindi l’equazione di qualche paragrafo fa ma dividendo per la produzione reale Dopo alcune semplificazioni: Adesso possiamo fare ulteriori semplificazioni, considerando ad esempio con il tasso di crescita della produzione, , può essere riscritto come : e poi: La variazione del rapporto debito/Pil è uguale alla somma di due termini: • il primo, è la differenza fra il tasso di interesse reale e il tasso di crescita del Pil reale, moltiplicato per il rapporto debito/Pil esistente alla fine dell’anno precedente. • Il secondo termine è il rapporto tra il disavanzo primario e il Pil. L’equazione precedente implica che l’aumento del rapporto debito/Pil sarà maggiore quando: – il tasso di interesse reale è maggiore; – il tasso di crescita della produzione è minore; – Il livello iniziale del rapporto debito/Pil è maggiore; – il rapporto tra disavanzo primario e Pil è maggiore. Equivalenza ricardiana: Come cambia la nostra analisi degli effetti del disavanzo pubblico sulla produzione, quando si tiene conto del vincolo di bilancio del governo? Secondo una visione estrema, quando si tiene conto del vincolo di bilancio del governo né il disavanzo né il debito hanno effetti sull’attività economica, questa proposizione è nota come teorema di equivalenza ricardiana (dall’economista Ricardo); può anche essere nota come proposizione di Barro-Ricardo. Per capirne la logica, esaminiamo la logica di una variazione delle imposte: Yr Bt Yt = (1 + r) Bt−1 Yt + Gt − Tt Yt Bt Yt = (1 + r)( Yt−1 Yt ) Bt−1 Yt−1 + Gt − Tt Yt g Yt−1/Yt 1/(1 + g) Bt Yt = (1 + r − g) Bt−1 Yt−1 + Gt − Tt Yt Bt Yt − Bt−1 Yt−1 = (r − g) Bt−1 Yt−1 + Gt − Tt Yt Pagina 60 MACROECONOMIA • Supponiamo che, a parità di spesa pubblica, il governo riduca le imposte di 1 quest’anno, finanziandosi emettendo debito. Supponiamo anche che, nello stesso momento, esso annunci che l’anno prossimo aumenterà le imposte di (1+r) per rimborsare interamente il debito. Quale sarà l’effetto sul consumo del taglio iniziale delle imposte? • una risposta plausibile, Nessuno; Perché i consumatori si rendono conto che la riduzione delle imposte non è affatto un regalo: le minori imposte di quest’anno saranno compensate da un aumento delle stesse l’anno prossimo • Possiamo giungere allo stesso risultato anche in un altro modo, e cioè ragionando in termini di risparmio più che di consumo. Affermare che i consumatori non variano il loro consumo in seguito alla riduzione delle imposte equivale ad affermare che il risparmio privato aumenta esattamente quanto il disavanzo pubblico ( cioè in misura uguale). Il Teorema di equivalenza ricardiana ci dice quindi che se il governo finanzia una data spesa pubblica con debito, il risparmio privato aumenterà in misura pari alla riduzione del risparmio pubblico, lasciando invariato il risparmio totale; di conseguenza anche le risorse dedicate all’investimento rimarranno invariate. L’economia quindi si ritrova ad avere il medesimo stock di capitale che avrebbe avuto se non ci fosse stato l’aumento. Tuttavia, è raro che un taglio delle imposte sia accompagnato dall’annuncio di un aumento delle imposte nel futuro. I consumatori non sono certi su quando e di quanto aumenteranno le imposte in futuro. Questo non invalida l’equivalenza ricardiana in se. Indipendentemente da quando avrà luogo l’aumento delle imposte, il vincolo di bilancio del governo comporta comunque che il valore attuale degli aumenti futuri delle imposte sia uguale alla riduzione delle imposte correnti. Ma quanto più lontani nel tempo e incerti sembrano gli aumenti delle imposte future agli occhi dei consumatori, tanto più è provabile che essi li ignorino. Essi potrebbero aspettarsi di non sopravvivere fino al momento in cui le imposte verranno di nuovo aumentate, oppure aspettarsi che tale aumento sarà molo lontano nel tempo. In entrambi i casi, l’equivalenza ricardiana è destinata a fallire. In conclusione; il disavanzo pubblico ha effetti rilevanti sull’attività economica, ma minori di quelli che ci saremmo aspettati. Nel breve periodo, è probabile che elevati disavanzi di bilancio facciano aumentare la domanda e la produzione. Nel lungo periodo, tuttavia, un maggior debito pubblico riduce l’accumulazione di capitale e quindi anche la produzione. Disavanzi di bilancio, stabilizzazione della produzione e disavanzo corretto per il ciclo: Per valutare se una data politica fiscale sia appropriata, gli economisti hanno costruito delle misure del disavanzo che dicono a che livello esso si collocherebbe se la produzione fosse al suo livello potenziale. Prende il nome di disavanzo corretto per il ciclo. Questa misura costituisce un semplice punto di riferimento in base al quale giudicare l’andamento della politica fiscale. Se il disavanzo corrente è positivo, ma il disavanzo corretto per il ciclo è nullo, allora la politica fiscale è compatibile con l’obiettivo di non aumentare sistematicamente il debito nel corso del tempo. È vero che il debito aumenterà finché la produzione sarà inferiore al suo livello naturale; ma prima o poi essa tornerà al suo livello naturale e il debito si stabilizzerà. Ovviamente questo non significa che l’obbiettivo della politica fiscale debba essere quello di mantenere sempre il disavanzo corretto per il ciclo uguale a zero. In periodi di recessione potrebbe decidere di generare un disavanzo tale da rendere positivo anche il disavanzo corretto per il ciclo, in questo caso, questo ci dice che il ritorno della produzione al suo libello naturale non sarà sufficiente a stabilizzare il debito, per farlo il governo dovrà produrre in futuro avanzi di bilancio. Stabilizzatore automatico: una recessione genera automaticamente un disavanzo, e quindi un’espansione fiscale che compensa parzialmente la recessione stessa. Pagina 61 MACROECONOMIA tax smoothing: mantenere aliquote di imposta relativamente costanti nel tempo. I pericoli di un debito pubblico molto elevato: Abbiamo visto come un maggiore livello del debito pubblico richieda maggiori imposte in futuro. Una lezione dalla storia è che un elevato debito può anche condurre a un circolo vizioso, detto spirale del debito. Il finanziamento monetario: Finora abbiamo assunto che l’unico modo a disposizione del governo per finanziarsi fosse attraverso l’emissione di titoli di stata. C’è un’altra possibilità, il governo può finanziarsi stampando moneta, in realtà, non stampa letteralmente moneta, ma emette titoli che vengono forzatamente acquistati dalla banca centrale in cambio di moneta. Questo processo prende il nome di finanziamento monetario o di monetizzazione del disavanzo. Quanto è grande il disavanzo che il governo può finanziare attraverso una tale monetizzazione? = ammontare di moneta emessa dalla banca centrale = la variazione dello stock di moneta da un mese all’altro. = la creazione di nuova moneta nel periodo in questione, divisa per il livello dei prezzi Le entrate risultati dalla creazione di nuova moneta vengono chiamate signoraggio: Per vedere qual è il tasso di crescita della moneta necessario per generare un dato ammontare di signoraggio : Possiamo pensare al signoraggio come al prodotto del tasso di crescita della moneta nominale ( ) per i saldi monetari reale ( ). Quanto sono maggiori i saldi monetari nell’economia, tanto maggiore sarà il signoraggio corrispondente a una dato tasso di crescita della moneta. Sostituendo: dividiamo entrambi i lati per Pil, Y: Tuttavia c’è un limite al disavanzo che il governo è in grado di finanziarie attraverso la monetizzazione. Tale limita deriva dal fatto che quando la crescita della moneta aumenta, l’inflazione segue a ruota. Presto l’inflazione si trasforma in iperinflazione, rendendo necessaria un drastico miglioramento della politica fiscale e l’eliminazione del disavanzo. Ma a quel punto i danni saranno ormai stati fatti. La politica monetaria: Nei due decenni prima del 2008-2009 vi fu una convergenza da parte della maggior parte delle banche centrali verso uno schema di condotta della politica monetaria chiamata, “inflation targeting” che si basa su due principi: H ΔH ΔH /P signoraggio = ΔH /P ΔH P = ΔH H H P ΔH /H H /P signoraggio = ΔH H H P signoraggio Y = ΔH H [ (H /P) Y ] Pagina 62 MACROECONOMIA Piuttosto che cercare di raggiungere il tasso di inflazione obiettivo in ogni periodo, a rischio di grandi fluttuazioni della disoccupazione, è meglio cercare di raggiungerlo solo nel tempo. Così la maggior parte delle banche centrali ha adottato quello che viene definito come l’inflation targeting flessibile (quando l’inflazione è lontana dal target, piuttosto che cercare di riportarla subito al target, esse adeguano il tasso di interesse per tornare al tasso di inflazione target nel tempo. Regole sul tasso di interesse: L’inflazione non è sotto il controllo diretto della banca centrale, ma il tasso di interesse a breve termine si. Quindi la domanda diventa, come scegliere il tasso di interesse a breve termine in modo che venga conseguito il tasso di inflazione obiettivo? - quando l’inflazione è superiore al tasso di inflazione obiettivo è necessario aumentare il tasso di interesse per ridurre la pressione sui prezzi; - quando è inferiore al tasso obiettivo è necessario diminuire il tasso di interesse nominale La regola di Taylor è la regola che la banca centrale dovrebbe seguire per fissare il tasso di interesse. • Sia il tasso di inflazione e l’inflazione obiettivo; • Sia il tasso di interesse (ovvero il tasso di interesse nominale fissato dalla banca) e il tasso di interesse nominale obiettivo ( ovvero il tasso di interesse nominale associato al tasso di interesse naturale ; e al tasso di inflazione obiettivo ; cosicché • Sia il tasso di disoccupazione e il tasso naturale di disoccupazione. Ogni periodo, la banca centrale sceglie il tasso di interesse nominale, ( ricordiamo attraverso le operazioni di mercato aperto, la banca centrale può raggiungere qualsiasi tasso desiderato di interesse a breve termine) Allora secondo Taylor, la banca centrale dovrebbe seguire la regola seguente: Dove , sono coefficienti positivi scelti dalla banca centrale • Se l’inflazione è uguale all’inflazione obiettivo ( ), e il tasso di disoccupazione ( ), allora la banca centrale dovrebbe fissare il tasso di interesse nominale , pari al suo livello obiettivo . In questo modo, l’economia rimarrebbe sullo stesso sentiero, con l’inflazione pari all’obiettivo e la disoccupazione pari al tasso naturale. • Se l’inflazione è maggiore dell’inflazione obiettivo , la banca centrale dovrebbe aumentare il tasso di interesse nominale al di sopra di . Questo maggior tasso di interesse farà aumentare la disoccupazione e tale aumento della disoccupazione ridurrà l’inflazione. Il coefficiente dovrebbe pertanto riflettere quanto la banca centrale si preoccupa dell’inflazione. Quanto più alto è , tanto più la banca centrale aumenterà il tasso di interesse in seguito all’inflazione, tanto più l’economia rallenterà, tanto più la disoccupazione aumenterà e tanto più velocemente l’inflazione tornerà al tasso obiettivo. πt π̄ it ī rn π̄ ī = rn + π̄ ut un it it = ī + α(π − π̄) − b(ut − un) α b πt = π̄ ut = un it ī (πt > π̄) it ī α α Pagina 65 MACROECONOMIA • In ogni caso, sostiene Taylor, che dovrebbe essere maggiore di 1, Perché quello che conta per la spesa è il tasso di interesse reale, non il tasso di interesse nominale. Quando l’inflazione aumenta, la banca centrale, se vuole ridurre la spesa e la produzione, deve aumentare il tasso di interesse reale. In altre parole, deve aumentare il tasso di interesse nominale più che proporzionalmente rispetto all’inflazione. • Se la disoccupazione è superiore al suo tasso naturale , la banca centrale dovrebbe ridurre il tasso di interesse nominale. Il minor tasso di interesse nominale farà aumentare la produzione, riducendo la disoccupazione. Il coefficiente dovrebbe riflettere quanto la banca centrale si preoccupa della disoccupazione. Quanto maggiore è , tanto più la banca centrale sarà propensa a deviare dall’inflazione obiettivo per mantenere la disoccupazione vicina al suo tasso naturale. Nel proporre la sua regola sul tasso di interesse, Taylor non sosteneva che essa dovesse essere seguita ciecamente. Numerose circostanze infatti, giustificano variazioni del tasso di interesse per motivi al di fuori di quelli considerati dalla regola di Taylor ( infatti, secondo la regola il tasso di interesse, dovrebbe reagire solamente all’inflazione e alla disoccupazione ) Tuttavia, il Taylor sosteneva che la regola rappresentasse un modo utile di pensare alla politica monetaria. Una volta che la banca centrale stabilisce il tasso di inflazione obiettivo, dovrebbe cercare di raggiungerlo attraverso opportuni aggiustamenti del tasso di interesse nominale. La regola afferma che, in questo processo, la banca centrale non dovrebbe prendere in considerazione solo l’inflazione corrente, ma anche la disoccupazione corrente. Il tasso ottimale di inflazione: Prima della crisi, la maggior parte delle banche centrali aveva come obiettivo il conseguimento di un tasso di inflazione pari circa al 2%. Un tale obiettivo era corretto? La risposta dipende dai costi e dai benefici. I costi dell’inflazione: Gli economisti identificano quattro piccoli principali costi dell’inflazione: - Le suole delle scarpe: Nel medio periodo un maggior tasso di inflazione comporta un maggior tasso di interesse nominale, e quindi un maggior costo-opportunità della moneta. Di conseguenza, le persone riducono i loro saldi monetari e si recano più spesso in banca per prelevare contante; da qui l’espressione costo delle suole delle scarpe. Questi ripetuti viaggi in banca potrebbero essere evitati se l’inflazione fosse minore, permettendo cosi alle persone di impiegare il loro tempo lavorando o godendosi il tempo libero, invece di recarsi continuamente in banca per prelevare. È chiaro che se un tasso di inflazione al 4% spinge le persone ad andare una volta di più in banca in un mese, questo non può considerarsi un verso e proprio costo dell’inflazione. - Le distorsioni fiscali: Il reddito imponibile è espresso in termini nominali e non in termini reali. In presenza di elevata inflazione, i contribuenti passano a fasce di reddito superiori, in quanto il reddito nominale, ma non necessariamente il reddito reale, aumenta di valore, effetto noto come drenaggio fiscale. α (ut > un) b b Pagina 66 MACROECONOMIA Quindi i cittadini si trovavano in fasce di reddito superiori e pagavano aliquote d’imposta superiori nonostante magari il reddito imponibile reale fosse invariato. - L’illusione monetaria: l’illusione monetaria è l’idea secondo la quale le persone sembrano commettere errori sistematici nel distinguere tra grandezze nominali e reali. L’evidenza empirica suggerisce che le persone trovano difficile fare questi conti e spesso non individuano le distinzioni rilevanti. - la volatilità dell’inflazione: Questo tipo di costi deriva dal fatto che una maggiore inflazione è di solito associata a un’inflazione più variabile . E un’inflazione più variabile significa che attività finanziarie come i titoli, che promettono pagamenti futuri fissati in termini annuali, diventano più rischiose. Come nel caso delle imposte, si potrebbe obiettare che questi costi non sono dovuto all’inflazione in sé, ma all’incapacità dei mercati finanziari di fornire attività finanziarie che proteggano dal rischio di inflazione. Invece di emettere solo titoli nominali, i governi o le imposte potrebbero emettere anche titoli indicizzati, cioè titoli che promettono pagamenti corretti per l’inflazione. I benefici dell’inflazione: Come tutti i mali anche l’inflazione non viene solo per nuocere. Possiamo individuare almeno tre benefici che sono: - il signoraggio: La creazione di moneta è uno in cui il governo può finanziare la sua spesa. In altre parole, la creazione di moneta è un’alternativa al prestito presso il pubblico o all’introduzione di nuove imposte. Quello che il governo può fare è emettere titoli e spendere il ricavato. Ma se questi titoli sono acquistati dalla banca centrale, che crea moneta per pagarli, il risultato è lo stesso: a parità di altri fattori, i ricavi dalla creazione di moneta - cioè - il signoraggio - consentono al governo di prendere a prestito dal pubblico una somma minore o di ridurre le imposte. Ovviamente questo è più rilevanti in alcuni casi (esempio, nelle economie che non hanno ancora introdotto un buon sistema fiscale), in altri, essa pare poco rilevante nell’ambito della discussione sull’opportunità per i paesi OCSE di ridurre il tasso di inflazione da un livello, diciamo, del 4% allo zero. - illusione monetaria: paradossalmente, la presenza di illusione monetaria di fatto costituisce un’argomentazione a favore di un tasso di inflazione positivo. Consideriamo due situazioni: • inflazione uguale all’4% e il salario aumenta dell’1% in termini nominali • inflazione uguale allo 0% e il salario diminuisce del 3% in termini nominali. In entrambi i casi si verifica la stessa riduzione del salario del 3% , tuttavia l’evidenza empirica mostra che molti accetterebbero più facilmente una riduzione del loro salario reale illustrata nel primo caso. Il processo di cambiamento che caratterizza le economie moderne comporta che alcuni lavoratori debbano subire tagli salariali in termini reali. In questo caso, un’inflazione positiva facilita l’aggiustamento, poiché una riduzione del salario reale non esclude un aumento del salario nominale, che verrebbe ben accolto dai lavoratori. - la possibilità di ottenere tassi di interessi reali negativi. Un’inflazione elevata riduce la probabilità di raggiungere lo zero lower bound. In seguito ad un esempio dato dal libro possiamo dire che: Un’economia con un elevato tasso di inflazione ha maggior margine di manovra per usare la politica monetaria allo scopo di combattere una recessione. Un’economia con un basso tasso di inflazione potrebbe non essere in grado di usare la politica monetaria per far tornare la produzione al suo livello naturale. Dopo lo scoppio della crisi, le banche centrali hanno raggiunto rapidamente lo zero lower bound e si sono ritrovare incapaci di ridurre ulteriormente i tassi di interesse reali. Pagina 67
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