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Macroeconomia: introduzione, Schemi e mappe concettuali di Macroeconomia

Spiegazione iniziale macroeconomia

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 04/04/2024

marialetiza-diano
marialetiza-diano 🇮🇹

4 documenti

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Scarica Macroeconomia: introduzione e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Macroeconomia solo su Docsity! Un importante passo per l’integrazione monetaria fu attuato nel 1946 con l’entrata in vigore del regime di cambi fissi contro il dollaro concordato nella conferenza di Bretton Woods: questa aveva infatti posto le basi di un sistema monetario mondiale che attribuiva al dollaro statunitense lo status di valuta di riferimento internazionale. Nel 1969 la forte variabilità dei tassi di cambio delle valute comunitarie spinse i vertici europei alla formazione di un gruppo di esperti con lo scopo di elaborare un programma per la realizzazione di un’integrazione monetaria europea. Il Rapporto Werner, pubblicato nel 1970, definiva come principale obiettivo della comunità il raggiungimento di un’unione monetaria efficace per realizzare “una convertibilità totale e irreversibile delle monete, l’eliminazione dei margini di fluttuazione dei corsi di cambio, la fissazione irrevocabile dei rapporti di parità e la liberalizzazione totale dei movimenti di capitale”. Questo rapporto non fu però mai messo in atto, in quanto si basava sul sistema di Bretton Woods che andò in crisi nel 1971, proprio quando doveva avere inizio la prima fase del Rapporto. Nel 1972, le BC dei vari Paesi membri della CEE diedero vita ad un regime di cambio europeo chiamato “serpente nel tunnel del dollaro”, all’interno del quale le monete europee potevano oscillare in maniera congiunta contro il dollaro entro un limite del 2,25% al di sopra e al di sotto dello 0. Ciò però è risultato difficile sin dal principio, tanto che nel 1977 molti Paesi vi si ritirarono. Nel 1979 il precedente sistema fu rimpiazzato dal Sistema Monetario Europeo (SME), che aveva un sistema di tassi di cambio fissi con bande di fluttuazione delle singole valute non più intorno al dollaro, ma ad una nuova moneta che rappresentava il paniere delle valute degli stati membri della CEE: la European Currency Unit (ECU). La ECU si preponeva quattro obiettivi:  La creazione di una “zona di stabilità monetaria” che comportasse bassa inflazione e tassi di cambio stabili  Un contesto che migliorasse la cooperazione di politica economica tra gli Stati membri  L’attenuazione dell’instabilità monetaria mondiale tramite l’adozione di politiche comuni nei confronti dei Paesi terzi  L’auspicio che gli accordi di cambio dello SME determinassero un sentiero di convergenza economica e monetaria che avrebbe portato all’unione monetaria e valutaria vera e propria. Lo SME rimase in vita 13 anni, ma fu caratterizzato da due elementi di debolezza: la convergenza monetaria e valutaria come preferibile a quella reale; il ruolo preminente del marco tedesco sulla gestione degli accordi di cambio. Il sistema infatti soffriva di un’asimmetria per la quale i Paesi con disavanzi della bilancia dei pagamenti erano costretti a ripristinare l’equilibrio dei conti con l’estero tramite una deflazione dei livelli di produzione e reddito, mentre i Paesi che invece registravano avanzi non subivano la stessa costrizione. Lo SME si caratterizzava come un sistema di cambi relativamente fissi, per cui ciascuna valuta poteva apprezzarsi o deprezzarsi all’interno di una banda di oscillazione. Qualora una delle valute avesse raggiunto un valore massimo nella banda di oscillazione consentita, la BC del paese in questione avrebbe dovuto intervenire con misure di sostegno della valuta. La natura degli aggiustamenti operati dalle BC è strutturalmente diversa a seconda che si trovasse ai margini superiori o inferiori della banda di oscillazione. - In caso di eccessivo deprezzamento, la BC dovrebbe intervenire cedendo valuta estera e dunque riducendo le proprie riserve. Ciò non è però preferibile (le riserve sono infatti limitate), quindi per rispettare gli accordi la BC dovrebbe attuare una politica monetaria restrittiva, in modo di aumentare il tasso di interesse, scoraggiando le importazioni e il deflusso di capitali. - In caso contrario di eccessivo apprezzamento, la BC dovrebbe intervenire acquistando valuta estera e accrescendo le proprie riserve: seguirebbe dunque una politica monetaria espansiva, abbassando i tassi di interesse in termini di un aumento del reddito e delle importazioni e quindi una diminuzione nella bilancia dei pagamenti. Ma, contrariamente alle situazioni di disavanzo, dove una politica monetaria restrittiva è d’obbligo, nelle situazioni di avanzo il vincolo di attuare politiche monetarie espansive non è altrettanto rigido. Le BC potrebbero infatti attuare politiche di sterilizzazione, neutralizzando l’aumento di moneta determinato dal canale estero con una riduzione di pari importo dei finanziamenti alle banche commerciali e al settore pubblico. Non si avrebbe infatti un incremento della quantità complessiva di moneta, e verrebbe meno la spinta all’aumento del reddito e al conseguente riequilibrio della bilancia dei pagamenti. Il marco tedesco era la valuta più sensibile all’apprezzamento nello SME, e l’atteggiamento da loro attuato può essere considerato come un caso particolare del cosiddetto “problema dello n-esimo paese”, cioè se il tasso di interesse prevalente nell’area è quello di un Paese egemone, questo ha la possibilità di stabilire autonomamente il proprio tasso di interesse, mentre gli altri n-1 Paesi saranno costretti a determinare un’offerta di moneta coerente con le decisioni assunte dal Paese dominante. Tale è infatti la soluzione “egemonica”, antitetica a quella “cooperativa”, in cui sono tutti gli n Paesi a decidere unitamente il tasso di interesse dell’area. Lo SME subì una crisi irreparabile nel 1992, in seguito ad avvenimenti concatenati. - A seguito dell’unificazione della Germania nel 1989, vi fu uno scollegamento tra la politica fiscale e quella monetaria. Ciò portò a diverse decisioni che furono accettate ma non condivise dalla Bundesbank:  La conversione dei marchi della Germania Est (Ostmark) nella valuta della Germania federale ad un tasso di cambio unitario: ciò provocò una sopravvalutazione dell’Ostmark, ma il Governo accettava tale sopravvalutazione per incrementare significativamente il potere di acquisto dei cittadini delle regioni orientali, fortemente svantaggiati.  L’estensione a tutta la Germania del regime retributivo e normativo e del sistema di protezione e sicurezza sociale della Germania Federale  L’erogazione di massicce incentivazioni finanziarie per l’ammodernamento della struttura industriale orientale e l’attuazione di programmi capillari di investimenti pubblici in infrastrutture. La politica economica era dunque caratterizzata una politica fiscale espansiva e una politica monetaria restrittiva. - L’incremento dei tassi di interesse tedeschi si tradusse in un aumento generalizzato dei tassi di interesse in tutti i Paesi, e tale fenomeno fu accompagnato dalla progressiva tendenza verso la perfetta mobilità dei capitali (per il quale è necessario che tutti i tassi di interesse convergano ad uno internazionale). L’equilibrio nella bilancia dei pagamenti può essere dunque raggiunto solo nel caso in cui i=if e la curva BP sia orizzontale. Nel caso in cui il tasso di interesse tedesco (che era appunto quello che faceva da “guida” per tutti gli altri Paesi) aumenti, sarebbe stato inevitabile che anche gli altri Paesi si fossero adeguati: il raggiungimento di tale equilibrio può avvenire esercitando due combinazioni di politiche monetarie e fiscali opposte. o Il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo non deve superare un valore di riferimento pari al 60% del PIL. - Rispetto dei margini normali di fluttuazione previsti dal meccanismo di cambio del Sistema Monetario Europeo per almeno due anni. La partecipazione al meccanismo di cambio è volontaria e le bande di fluttuazione consentite sono ±15%. - Stabilità dei tassi a lungo termine. Il criterio della convergenza richiede che il tasso d’interesse nominale a lungo termine di uno Stato membro non abbia ecceduto di oltre 2 punti percentuali quello dei tre Stati membri che hanno conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi. Una notevole rilevanza viene attribuita alla politica fiscale e alle sue componenti di flusso, il disavanzo pubblico, e di stock, il debito pubblico. Il mancato rispetto di tali criteri comporta l’avvio di una “procedura di infrazione per disavanzi eccessivi”. Alla disciplina di bilancio contribuiscono anche il divieto della concessione di crediti alle amministrazioni pubbliche da parte della Banca Centrale e il divieto di qualsiasi forma di accesso privilegiato del settore pubblico alle istituzioni finanziarie. Dunque, non è possibile per uno Stato lasciar lievitare il proprio debito pubblico contando poi di disfarsene; un governo che non rispetti le regole non potrà contrare sull’intervento di altri Paesi in suo soccorso. Il Patto di Stabilità e Crescita (PSC), firmato nel 1996 ed entrato in vigore nel 1997, mira a garantire la disciplina di bilancio degli Stati che già fanno parte dell’area euro. Il PSC, nella sua versione originale sanciva: - Il rapporto disavanzo pubblico-PIL, massimo del 3% e il rapporto debito pubblico-PIL del 60% - La possibilità di deroghe solo in caso di recessione economica, definita come una riduzione annua del PIL reale pari almeno al 2% - Il compito affidato all’Ecofin (Consiglio dei Ministri dell’Economia dei Paesi aderenti all’UEM) di decidere l’avvio di una Procedura per Deficit Eccessivo (PDE) declinata in tre fasi: avvertimento, raccomandazione e sanzione. Se il deficit di un Paese membro si avvicina al tetto del 3% del PIL, la Commissione europea propone, e l’Ecofin approva (o meno), un avvertimento preventivo, al quale segue una raccomandazione vera e propria in caso di superamento del tetto. Se a seguito della raccomandazione lo Stato interessato non adotta misure sufficienti per correggere la politica di bilancio, esso viene sottoposto a una sanzione che assume la forma di deposito infruttifero, da convertire in ammenda dopo due anni di persistenza del deficit eccessivo. L’ammontare della sanzione presenta una componente fissa pari allo 0,2% del PIL e una variabile pari a 1/10 dello scostamento del disavanzo pubblico dalla soglia del 3%. Se lo Stato adotta tempestivamente misure correttive, la procedura viene sospesa fino a quando il deficit non sarà sceso sotto il3%. Se però tali misure si rivelano inadeguate, la procedura ritorna in vigore e alla fine sarà irrogata la sanzione. Molti Stati aderenti all’UEM hanno cominciato sin dal 2002 ad evidenziare disavanzi di bilancio e livelli del debito pubblico eccedenti i valori “soglia” fissati dal PSC, e le politiche restrittive poste in essere di volta in volta dai Paesi per rispettare i vincoli del PSC contribuirono sensibilmente al basso tasso di sviluppo dell’area dell’euro, rispetto al resto del mondo, nel primo decennio di vita dell’UEM. Iniziò a diffondersi dunque l’opinione che il PSC non promuovesse la crescita né la stabilità, e nel 2005 l’Ecofin decise di renderlo più flessibile: il nuovo regolamento prevede che si abbia recessione quando la variazione annua del PIL reale sia negativa, ma vengono presi in considerazione anche altri parametri che giustifichino uno sfondamento dei limiti di bilancio. Sono rimaste fisse, invece, le regole di bilancio, tese a frenare la tentazione dei governi a spendere più di quanto si possano permettere, facendo gravare l’onere alle generazioni future, in quanto questo può alimentare una tendenza a privilegiare l’accumulo di disavanzi che dà luogo a un debito crescente, a tassi di interesse a lungo termine più elevati e a investimenti privati più modesti a causa della competizione per il risparmio privato. Questo principio, definito dell’“austerità” è stata posta in seria discussione in seguito alla Grande Recessione del 2008-2009 e dopo la crisi dei debiti mondiali.
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