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Macroeconomia totale, Appunti di Macroeconomia

dal libro di N. Gregory Mankiw e Mark P. Taylor: "Macroeconomia" La macroeconomia come scienza (Cap. 1) I dati della macroeconomia (Cap. 2) Il reddito nazionale: da dove viene e dove va (Cap. 3) Il sistema monetario: cos’è e come funziona (Cap. 4) L’inflazione: cause, effetti e costi sociali (Cap. 5) L’economia aperta (Cap. 6) La disoccupazione (Cap. 7) Introduzione alle fluttuazioni economiche (Cap. 10) La domanda aggregata I: il modello IS-LM (Cap. 11) La domanda aggregata II: applicare il modello IS-LM (Cap. 12) Una rivisitazione dell’economia aperta: Il modello di Mundell-Fleming e il regime di tassi di cambio (Cap. 13) L’offerta aggregata e il trade-off di breve periodo tra inflazione e disoccupazione (Cap. 14)

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 04/04/2024

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Scarica Macroeconomia totale e più Appunti in PDF di Macroeconomia solo su Docsity! INTRODUZIONE La macroeconomia studia il funzionamento generale del mondo economico rispetto a più mercati e alle loro influenze reciproche. È basata sul “dato” ovvero sugli avvenimenti del mondo economico: la crescita di reddito e ricchezza, il cambiamento di livello di prezzo e la sottoccupazione di risorse. Questo serve per indirizzare il governo alle sue politiche fiscali (tassazione e spesa pubblica). La macroeconomia è una disciplina che procede con la conoscenza cumulativa fatta di rivoluzioni ricorrenti a cambiamenti di paradigma. La storia della macroeconomia inizia nel periodo tra 1940 e 1970 basandosi quasi totalmente su Keynes (padre fondatore della macroeconomia) e la sua teoria generale e la cosiddetta “macroeconomia keynesiana”. Per spiegare la grande depressione e la disoccupazione seguente mise in evidenza che l’equilibrio che prima era considerato scontato dalla teoria classica e dalla scuola austriaca (laissez faire) non era infallibile. In questa prospettiva classica, la domanda e l’offerta di lavoro sono sempre eguagliate e si pensava fossero elementi esterni al mercato, come i sindacati, a produrre la disoccupazione ma nonostante il ribasso dei salari, la disoccupazione persisteva. Per Keynes se la domanda di lavoro è insufficiente a causa del calo del PIL allora si avrà disoccupazione involontaria (domanda aggregata depressa). C’era quindi bisogno dell’intervento del governo, con politiche fiscali o di sostegno al reddito, che risolvesse i fallimenti del mercato (Friedman). Le teorie di Friedman furono formalizzate per la nascita della macroeconomia moderna. Tra il 1960 e il 1970 iniziò la rivoluzione dei nuovi neoclassici che abbandonano la teoria keynesiana perché non rispettata dal dato. Le teorie che vennero formalizzate dai nuovi neoclassici non avevano più come obbiettivo spiegare la disoccupazione ma la crescita del PIL. Sostenendo che la politica monetaria può influenzare il PIL solo perché sorprende gli agenti dell’economia. Gli economisti neo-keynesiani introdurranno due deviazioni dai modelli precedenti: i mercati dei beni sono imperfetti, i prezzi dei beni non si aggiustano istantaneamente. CAPITOLO 1 “la macroeconomia come scienza” I modelli economici sono rappresentazioni stilizzate che rappresentano una realtà complessa e che vogliono determinare il prezzo e la quantità del mercato nell’equilibrio tra domanda e offerta, partendo dalle ipotesi di base (elementi essenziali). Hanno l’obbiettivo di identificare le relazioni tra le variabili economiche. Partendo dal fatto che il mercato è concorrenziale e quindi il compratore e produttore non possono scegliere il prezzo essendo irrilevanti nel mercato. Variabili economiche di interesse:  P = prezzo  QD = quantità domandata  QO = quantità offerta  Y = reddito aggregato = produzione aggregata  PF = prezzo della farina (fattore di produzione) Funzione generica (relazione tra le variabili):QD=D (P ,Y ) La curva di domanda esprime una relazione negativa tra quantità e prezzo (curva negativamente inclinata):QD=60−10 P+2Y La curva di offerta esprime una relazione positiva tra quantità e prezzi (retta positivamente inclinata). Le variabili endogene vengono determinate dal modello (equilibrio) dato il valore delle variabili esogene. Il valore delle variabili esogene viene, al contrario, determinato fuori dal modello e viene preso per dato (variabili non controllabili). Le variabili sono endogene o esogene a seconda del problema (modello) che si sta studiando. L’equilibrio del modello è individuato dall’intersezione tra curva di domanda e offerta. Al prezzo di equilibrio la quantità domandata e offerta sono uguali: “market clearing”. Un aumento del reddito comporta un aumento della domanda di bene per ogni livello di prezzo, la curva di domanda si sposta verso l’alto. Un aumento del prezzo di un fattore (esogeno) riduce l’offerta per ogni livello di prezzo e il prezzo aumenta e la quantità diminuisce. La curva di offerta si sposta verso l’alto. Ogni modello avrà domande a cui cerca di rispondere, ipotesi di base, che identificano gli elementi essenziali del problema, variabili endogene che sono spiegate dal modello mentre alcuni problemi non possono essere spiegati dal modello e sono identificati dalle variabili esogene. Nel breve periodo i prezzi cambiano lentamente in risposta ai disequilibri dei mercati (differenze tra domanda e offerta): i salari sono fissati per contratto e non cambiano istantaneamente. I listini prezzi non cambiano anche per lunghi periodi. Infatti nella realtà i prezzi non si aggiustano istantaneamente per rendere uguali domanda e offerta. Fino a quando i prezzi non variano in risposta a cambiamenti delle variabili esogene, i mercati non sono in equilibrio (no market clearing). Quindi possiamo osservare: eccesso di offerta di lavoro quindi disoccupazione e eccesso di offerta di beni e servizi quindi le imprese non vendono tutto il prodotto. Nel lungo periodo vale l’ipotesi di equilibrio dei mercati (market clearing). I prezzi sono flessibili, non esistono frizioni e le risorse disponibili sono pienamente impiegate. Quindi nel lungo periodo è caratterizzato dai prezzi flessibili cioè prezzi aggiustati istantaneamente ai cambiamenti che nel breve periodo sono rigidi. CAPITOLO 2 “i dati della macroeconomia” L’attività economica di un paese si misura col PIL che però non prende in considerazione cose molto importanti come l’impatto sull’ambiente, i beni usati, le scorte di magazzino, le abitazioni, i beni intermedi e l’economia sommersa (dal 2014). Il costo della vita è calcolato con inflazione e prezzi, la disoccupazione misura l’andamento del mercato del lavoro. Il PIL è composto dal consumo, investimenti, spesa pubblica e esportazioni nette e misura il flusso monetario corrispondente allo scambio di beni e servizi tra individui e imprese nel sistema economico di riferimento. Ovvero il valore di mercato di tutti i beni e servizi finali prodotti nell’ambito di un sistema economico in un dato periodo di tempo. Il PIL può essere calcolato come reddito totale derivante dalla produzione (salari + profitti) o spesa totale per l’acquisto di beni e servizi finali. Gli individui e le imprese sono in circolo quindi la somma di tutte le spese è uguale alla somma di tutti i redditi prodotti. Quando calcoliamo il PIL dobbiamo tenere conto dei prezzi di mercato. Ogni bene deve essere moltiplicato per il prezzo e sommati tra loro. Un altro modo per calcolare il PIL è usare il valore aggiunto, che è pari al valore del prodotto finale meno il valore dei beni intermedi utilizzati per produrlo: PIL=valore finali=sommadei valoriaggiunti∈tutti gli stadi di produzione Pil=prezzo iniziale+valore aggiunto Il prodotto interno lordo (PIL) è il reddito totale ottenuto dai fattori di produzione in Italia anche se esteri Il prodotto nazionale lordo (PNL) è il reddito totale ottenuto dai fattori di produzione nazionali anche all’estero PNL=PIL+redditodi esteriresidenti – redditi interni nonresidenti La differenza tra PNL e PIL è maggiore quanto più un paese si sostiene grazie ai residenti esteri PNN ( prodottonazionale netto )=PNL – ammortamenti investimenti finanziari, dei beni e servizi. Il reddito nazionale è la produzione che viene prodotta dalle imprese, e viene poi distribuito ai fattori. La pubblica amministrazione offre servizi dai ricavi e quindi ha una spesa pubblica e per il resto (risparmio pubblico) investe nei mercati finanziari. Il modello macroeconomico ha variabili esogene e endogene, delle ipotesi e un obbiettivo. L’obiettivo è studiare la domanda e l’offerta (produzione e produttività) di beni e servizi e le componenti della domanda aggregata (endogene). Trovare poi l’equilibrio tra domanda e offerta. Le ipotesi sono che i fattori di produzione (lavoro e capitale) e l’intervento pubblico sono esogeni (prese come date) e totalmente utilizzati. I prezzi devono essere flessibili e i mercati sempre in equilibrio (market clearing) in un economia chiusa (senza scambi). Normalmente c’è un tempo breve dove i prezzi non si aggiustano rispetto all’inflazione ma nel modello si aggiustano istantaneamente. La prima componente del modello è la produzione di beni e servizi determinata dalla produzione di beni e servizi (reddito), dalla domanda e offerta dei fattori produttivi (capitale e lavoro) infine dai prezzi dei fattori e distribuzione del reddito. La seconda componente è la domanda di beni e servizi formata dalle componenti della spesa aggregata (C, I, G) e dalla domanda di capitali di prestito (per gli investimenti). Infine c’è la determinazione dell’equilibrio formata da mercati di fattori produttivi e produzione e il mercato finanziario: i capitali di prestito. Il primo mercato, ovvero il mercato dei fattori di produzione è basato sulla produzione che determina il reddito, il prezzo del lavoro (salario) e il prezzo del capitale interesse. Analizziamo la domanda e offerta dei fattori di produzione e troviamo l’equilibrio. La produzione di beni e servizi avviene attraverso capitale K (strumenti utilizzati nella produzione) e il lavoro L (impiego di lavoratori) per produrre un bene finale devono essere combinati con una funzione di produzione generica indicata come: Y=F(K,L). Rappresenta la tecnologia disponibile per trasformare capitale e lavoro in beni e servizi. Indica quanta produzione Y si ottiene da K unità di capitale e L unità di lavoro dato il livello della tecnologia produttiva disponibile in un dato momento. Le ipotesi del modello sono che il livello di tecnologia è fisso, il livello di capitale e lavoro sono fissi e pienamente utilizzati (no disoccupazione) e la produzione sarà data da . Infine la funzione di produzione ha rendimenti di scala costanti ovvero l’effetto sulla produzione totale di un aumento equi proporzionale di tutti i fattori produttivi. L’offerta di ogni fattore è fissa mentre varia la domanda. Anche l’output totale è fisso. La domanda dei fattori (imprese), puntano a massimizzare i profitti. Il prezzo dei fattori sono determinati dal mercato concorrenziale e sono prezzi di equilibrio (teoria neoclassica della distribuzione) sono i salari W e la rendita dei capitale R che è il prezzo pagato per l’uso di capitale. Profitto=ricavi−costo del L−costo del K=¿ ¿ PY –WL– RK=¿ ¿ PF(L , K )–WL(costo del lavoro)– RK(costo del capitale) I prezzi reali saranno: salarioreale=W /P rendita reale=R/P L’impresa mette a confronto il ricavo addizionale che ottiene dall’aumento di produzione (risultante da un aumento di L) e la remunerazione aggiuntiva. Il prodotto marginale del lavoro è la quantità aggiuntiva di prodotto ottenuta da 1 unità in più di lavoro. PML=F (K , L+1 )– F (K , L ) Profitto=ricavo– costo=(PML×P)−W Matematicamente la PML è rappresentata dalla derivata (parziale) della funzione di produzione rispetto al lavoro: PML=dY (K ,L ) dL Graficamente è rappresentata dalla pendenza della funzione di produzione. La produttività marginale di un fattore decresce al crescere delle quantità di fattore utilizzata (date tutte le altre variabili). Se K è costante ma L cresce, ci saranno meno impianti disponibili per ogni lavoratore e minore produttività. Quindi la domanda di lavoro è determinata da: W = P x PML PML = W/P (salario reale) Esempio: P=2€/unità di prodotto e W=10€/ora allora l’impresa continuerà ad assumere fino a quando il lavoratore aggiuntivo produce 5€ di unità di prodotto/ora. L’offerta di lavoro è costante quindi il salario (prezzo di equilibrio) è determinato dalla domanda. La produttività marginale è decrescente anche per il capitale: se scende il prodotto marginale del capitale allora sale il capitale. La curva della produttività marginale del capitale rappresenta la curva di domanda di capitale. L’impresa domanda capitale fino al punto in cui la produttività e il costo marginale sono uguali: PMK = R/P. Possiamo quindi studiare la distribuzione del reddito (prodotto finale) ai fattori lavoro e capitale. Reddito totale distribuito a L è: WP L=PML Reddito totale distribuito a K è: RP K=PMK Remunerazione lavoro: PML x L Remunerazione capitale: PMK x K Profitto economico = Y – (PML x L) – (PMK x K) Quindi la distribuzione del reddito totale è: Y = (PML x L) + (PMK x K) + Profitto economico ma se la funzione di produzione ha rendimenti di scala costanti, il profitto è uguale a 0 (teorema di Eulero). Il teorema di Eulero dice che se la funzione di produzione ha rendimenti di scala costanti allora la produzione aggregata si distribuisce tra la remunerazione del K e la remunerazione del L. Quindi il profitto economico che rimane all’azienda è 0. La teoria neoclassica della distribuzione della ricchezza afferma che ogni fattore è pagato secondo il suo prodotto marginale. Se applichiamo questa teoria alla realtà, i lavoratori guadagnano un salario basso perché la loro produttività marginale è bassa. La seconda componente del modello macroeconomico è la domanda di beni e servizi. Le componenti della domanda aggregata sono le stesse del PIL, senza le esportazioni perché abbiamo un’economia chiusa quindi consumi, investimenti e spesa pubblica.  Il consumo delle famiglie dipende dal reddito disponibile dopo il pagamento delle tasse al governo (Y-T). La funzione di consumo indica quanta parte del reddito disponibile viene destinata al consumo: C = C(Y – T ). La propensione marginale al consumo si indica l’aumento di C aggregato indotto da un aumento unitario di reddito disponibile (pendenza della retta). Se aumenta il reddito disponibile aumenta anche il consumo. In questo modello le imprese prendono a prestito il capitale dalle famiglie, che sono le proprietarie di tutti i fattori di produzione.  Gli investimenti delle imprese dipendono dal costo di prendere a prestito i capitali necessari, dato dal tasso di interesse reale (r)(prezzo capitale), ovvero il tasso d’interesse nominale corretto per l’inflazione. La funzione di investimento mette in relazione la quantità di investimenti con il tasso di interesse reale: I = I(r). Il tasso di interesse reale misura: il costo reale di prendere a prestito fondi mutuabili e il costo opportunità di usare i propri fondi/risparmi per finanziare investimenti. Maggiore è il tasso di interesse reale minore il numero di investimenti profittevoli (ovvero con redditività non inferiore al costo). Quindi se il tasso di interesse cresce gli investimenti totali calano. La funzione degli investimenti esprime una relazione negativa tra tasso di intesse reale e gli investimenti totali.  La spesa pubblica include tutte le spese pubbliche per l’acquisto di beni e servizi ed esclude i pagamenti per trasferimenti. Le tasse T rappresentano le entrate per il governo prese dai lavoratori. G e T sono variabili esogene, l’unica variabile aggiustabile è il tasso d’interesse che determina l’equilibrio e si determina nel mercato finanziario. Il bilancio pubblico è dato da G – T ed è: in pareggio se G = T, in avanzo se G < T e in disavanzo (deficit) se G > T. Il governo finanzia il suo deficit emettendo titoli di stato (buoni del tesoro) e prendendo a prestito dal pubblico. Deficit persistenti nel tempo implicano prese a prestito persistenti che fanno crescere il debito. Immaginiamo un tasso di inflazione al 2%. Lo Stato prende a prestito 100.000€ tramite l’emissione di Bond con un tasso di interesse nominale al 3%. Supponiamo che il tasso di inflazione aumenti al 10% su base annua: dopo la sorpresa inflazionistica, lo Stato ci guadagna perché dovrà ripagare 100.000€ il cui valore reale è ora 90.000€ (perché l’inflazione è al 10%). Se la BCE, aumenta i tassi di interesse per ridurre l’inflazione, aumentano anche gli interessi che lo Stato deve pagare sulle nuove prese a prestito (bond). Finché il tasso di interesse medio riconosciuto dai titoli di Stato in circolazione (in scadenza) è maggiore a quello dei titoli di nuova emissione (con tassi in rialzo) l’inflazione riduce la parte di debito pubblico che ancora non è stata ancora rinnovata. Lo spread è la differenza fra il rendimento di due valori finanziari, ovvero lo scarto di rendimento tra i BTP (Buoni del Tesoro Pluriennale) a 10 anni italiani rispetto a quelli di un Paese benchmark, i Bund (Bundesanleihen), titoli di Stato della Germania. Si esprime in “basis point” (bp), ad esempio se lo spread è a 161 “basis point” (punti base), significa che c’è un differenziale di rendimento sul tasso di interesse tra i BTP italiani e i Bund tedeschi dell’1,61%. Esempio: BTP 10 anni Germania = 2.7864 a 2.7864% BTP 10 anni Italia = 4.6493 a 4.6493 % Spread = 4.6493 % – 2.7864 % = 1.8629% ovvero 186.29 punti base. L’intervento del governo non è spiegato dal modello. Sia la spesa pubblica G sia le tasse T sono variabili esogene al modello (e sono considerate costanti). Il modello permette di cartacea con banconote e ordini di pagamento. Nascono in Cina e a partire dal settecento le banche centrali iniziano a emettere banconote in serie. Dalle banconote private e quelle garantite da un bene fino ai cosiddetti Fiat Money, emessi dalla banca centrale e dichiarati moneta senza alcun valore intrinseco ma accettate sulla fiducia. Il signoraggio è il reddito che deriva dall’emissione di moneta. Il signoraggio iniziò già nel medioevo, molti stati usarono queste entrate per coprire le proprie spese producendo monete con una sola frazione del metallo prezioso contenuto in precedenza (monetizzazione del debito). Le monete però perdevano valore rispetto ai beni e si verificava inflazione. L’iperinflazione avviene quando l'inflazione mensile eccede il 50% (è più dell’1% al giorno). Le conseguenze sono la perdita del potere d’acquisto, l’imposta da inflazione, la mancanza di liquidità, l’instabilità economica e finanziaria. Per superarla si può tornare al baratto, pagare con valuta straniera o riformare il sistema politico economico e sociale. Oggi il signoraggio viene percepito dalle banche centrali, che hanno il monopolio della creazione di moneta, le quali lo riversano poi agli stati. Quando la banca centrale emette moneta, questa viene fornita dalle banche commerciali attraverso prestiti o attività finanziarie. Alla produzione di banconote (passività) corrispondono attività fruttifere nell’attivo. Il reddito monetario (signoraggio) di ogni BCN è il reddito ottenuto dagli attivi (titoli emessi da governi, banche, società, etc.) detenuti in contropartita delle passività (moneta in circolazione). Questo è trasferito alla BCE e da questa ridistribuito alle BCN sulla base della loro partecipazione al capitale della BCE (Italia 13,8165%). Le Banche centrali nazionali, a loro volta, lo fanno affluire ai rispettivi Stati attraverso il prelievo fiscale (Italia fino al 98%). Il signoraggio non è più dato da un reddito ma è il flusso di interessi che derivano dalle attività finanziarie che vengono usate per mettere in circolo la moneta. L’offerta di moneta, è la quantità di moneta disponibile nell’economia e si calcola guardando i due tipi di moneta a corso legale o fiat money (senza valore intrinseco): il circolante ovvero banconote e monete (perfettamente liquido) e i depositi in conti correnti (depositi a vista) ovvero fondi in forma liquida nei conti correnti (M=C+D). Il grado di liquidità di un’attività finanziaria è la facilità di scambio col circolante. Esiste un grado decrescente di liquidità: M0: La base monetaria o moneta ad alto potenziale (high-powered money or monetary base) è l’ammontare della moneta emessa dalla BC ed è costituita dal circolante e dalle riserve (libere e obbligatorie) costituite dalle banche presso la banca centrale B=C+R M1: M0 + depositi privati a vista presso banche, utilizzabili direttamente per transazioni (transaction money) M2: M1 + depositi vincolati a breve (< 2 anni o rimborsabili con preavviso entro 3 mesi) M3: M2 + depositi vincolati a lungo (> 2 anni) + altri strumenti (fondi comuni monetari) La politica monetaria è il controllo sulla quantità di moneta offerta, attuata dalla banca centrale (BCE, FED). Il sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) è composto dalla BCE e le banche centrali nazionali dei paesi membri. Il SEBC è retto dagli organi decisionali della BCE. Il consiglio direttivo composto da un comitato esecutivo di 6 membri e i governatori delle banche centrali nazionali che hanno adottato l’euro. Hanno le funzioni di adottare gli indirizzi e prendere decisioni formulando la politica monetaria in Europa. Poi abbiamo un comitato esecutivo con il presidente, il vice e 4 membri nominati dai paesi europei. Ha la funzione di preparare le riunioni del consiglio direttivo e attuare la politica monetaria e impartire istruzioni alle BCN. Poi abbiamo il consiglio generale composto dal presidente, il vice e tutti i governatori delle BCN anche se non hanno l’euro, che predispone i rapporti di convergenza e fissano i tassi di cambio. La moneta è data quindi dal circolante e i depositi in conto corrente. Le riserve invece sono la parte di depositi che le banche non utilizzano per prestiti (I debiti delle banche includono i depositi e le attività delle banche includono le riserve e i prestiti). Con il 100% di riserve il sistema bancario non cambia la moneta. Invece in un sistema con riserve frazionali il sistema bancario crea moneta ma non crea ricchezza o reddito. Questo perché i prestiti delle banche creano liquidità e un pari ammontare di debiti. rr= riserve depositi La leva finanziaria (leverage) è il rapporto tra assets (attività finanziarie) e il capitale iniziale che il proprietario della banca investe nella sua banca. Per ogni euro versato dai proprietari la banca detiene un totale di attività date dal leverage. All’aumentare del capitale iniziale la leverage si riduce mentre un leverage elevato rende le banche fragili. Una semplice recessione fa sì che il capitale netto della banca debba essere usato per coprire le spese per depositanti e detentori che devono essere pagati. Se i depositi non sono garantiti dallo stato si può verificare la “corsa agli sportelli”. Per questo è stato fissato un capital requirement ovvero un capitale minimo imposto per legge per aumentare le probabilità che le banche abbiano assets sufficienti a ripagare i debiti. Dopo la crisi del 2008-2009 è maggiore per le banche che hanno assets rischiosi. Nel modello di offerta di moneta le variabili esogene (date dal modello) da cui dipende l’offerta sono:  Base monetaria B = C + R (M0) controllata dalla banca centrale  Rapporto riserve/depositi rr = R/D dipende dalle leggi del settore bancario e dalle scelte delle banche  Rapporto circolante/depositi cr=C/D dipende dalle scelte delle famiglie ovvero dalla preferenza tra circolante e depositi M=C+Doffertamoneta B=C+Rbasemonetaria M B =C+D C+R = C D + D D C D + R D = cr+1 cr+rr m= cr+1 cr+rr moltiplicatoredellamoneta M=m×Boffertamoneta Il moltiplicatore della moneta è l’aumento dell’offerta di moneta associato ad un aumento unitario di base monetaria. È inversamente proporzionale a rr. Se rr è minore di 1 allore m è maggiore di 1. Avendo un effetto moltiplicato sull’offerta di moneta, la base monetaria viene spesso chiamata moneta ad alto potenziale. Più aumenta il moltiplicatore tanta più moneta le banche possono creare. Tanto minore è rr, tanto più le banche possono concedere prestiti e tanta più moneta crea il sistema bancario (l’offerta aumenta). Se le banche accantonano molte riserve l’offerta di moneta diminuisce. Tanto minore è cr, tanto maggiore è la quota di base monetaria che finisce depositata. Gli strumenti che la banca centrale ha per cambiare la base monetaria B sono (politica monetaria):  Operazioni di mercati aperto (a titolo definitivo): La BCE compra titoli di stato dal pubblico sul mercato pagandoli in moneta nuova stampata. Cede moneta e acquisisce titoli, fornendo liquidità al sistema e aumentando l’offerta di moneta. Non c’è un accordo di rivendita o riacquisto e possono essere distinte in operazioni: o di rifinanziamento principali (preferito dalla BCE): operazioni regolari (settimanali) di immissione di liquidità con un tasso di offerta chiamato Tasso di Rifinanziamento Principale (TRP) che è un tasso policy indicativo. o di rifinanziamento a più lungo termine: operazioni di immissione di liquidità con durata di 1 o 3 mesi. Nel 2014 il Consiglio Direttivo ha deciso di condurre per un periodo di due anni, con cadenza trimestrale, una serie di operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine (Targeted Longer Term Refinancing Operations) a tasso fisso con scadenza entro il 2018. o di regolazione puntuale (fine tuning): senza scadenza prestabilita e per regolare impreviste fluttuazioni della liquidità e dei tassi di interesse. Nel 2007, a causa del prosciugamento della liquidità nel mercato interbancario in euro per il rarefarsi degli scambi, le Autorità monetarie sono state costrette a immettere sul mercato 95 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva. o di tipo strutturale: con lo scopo di correggere l'ammontare di liquidità a lungo termine presente nel mercato: operazioni temporanee di rifinanziamento, emissioni di certificati di debito, acquisti/vendite definitivi di titoli “quantitative easing” (QE).  Operazioni su iniziativa delle controparti: operazioni a brevissimo termine che consentono alle banche (controparti) di gestire uno squilibrio di liquidità al termine della giornata operativa. Possono essere: o di rifinanziamento marginale: una banca si finanzia presso la propria BCN con scadenza overnight (pari a 1 giorno) a un tasso prestabilito denominato Tasso di Rifinanziamento Marginale (TRM) depositando, a titolo di garanzia, un quantitativo di titoli. o di deposito overnight: la banca deposita fondi in eccesso presso la propria BCN con scadenza overnight a un tasso prestabilito denominato Tasso di Deposito Overnight (TDO).  Riserva obbligatoria (ROB): le banche devono detenere presso la BCN il 2% dei depositi e passività. Il livello di riserva obbligatoria deve essere osservato in media nel mese. Il cuscinetto di liquidità sono le variazioni intorno alla media. È uno strumento di politica passivo. La BCE quindi gestisce la liquidità cambiando 3 tassi (tassi policy): di rifinanziamento principale, di rifinanziamento marginale e di deposito overnight. I tre tassi variano contemporaneamente e delineano le politiche monetarie: un rialzo dei tassi indicano una politica restrittiva e un ribasso indica una politica espansiva. I tassi di rifinanziamento marginale e di deposito overnight sono penalizzanti (rispettivamente, più alti e più bassi) rispetto ai corrispondenti tassi di mercato perché si debbono usare in “ultima istanza” e determinano, rispettivamente, la soglia massima e la soglia minima del tasso interbancario overnight (corridoio dei tassi overnight). La BCE però non può controllare la base monetaria perché non può influire sulle decisioni di famiglie, che cambiano il cr, e in quelle delle banche che possono variare il rr detenendo riserve in eccesso. Queste operazioni possono solo variare la moneta e il moltiplicatore. Dopo la crisi del 2008, nel 2009 si registrò una lunga fase di stagnazione. Nel 2011, il quasi fallimento della Grecia ha portato maggiore volatilità nei mercati e ad ampliamenti dello spread. Il forte rialzo dei rendimenti dei titoli pubblici (BTP) (interessi sul debito a carico del bilancio dello Stato) aumentano il deficit e il debito. Poiché allo stesso tempo c’è stata una forte riduzione “precauzionale” dei consumi privati, era difficile usare lo stimolo fiscale per rilanciare l’economia. La BCE allora decise di effettuare operazioni straordinarie di finanziamento a medio termine non-convenzionali volte a stimolare l’espansione. Nel 2014 la BCE annunciò l’adozione dell’Expanded Asset Purchase Programme (quantitative easing) ovvero la creazione di moneta mediante l’acquisto di attività finanziarie (azioni o obbligazioni anche rischiosi) con effetti positivi sulla struttura di bilancio delle banche, trasformando in contanti i titoli di problematica liquidabilità stimolando l’offerta di moneta. Le banche non hanno mai messo in circolo la moneta perché la crisi era scaturita dal fatto che le banche concedevano prestiti rischiosi e di conseguenza avevano aumentato i requisiti per concedere prestiti. Inoltre avevano aumentato anche le riserve abbassando il moltiplicatore monetario. Negli anni 30 dopo la Grande Depressione, la riduzione della fiducia nelle banche portò le famiglie a detenere più circolante e meno depositi bancari (cr cresce e m diminuisce). Anche I prezzi P cambiano endogena mente fino a quando la domanda e l’offerta di saldi monetari reali sono uguali. Un aumento dell’offerta di moneta M non cambia la domanda di moneta perché aumenta di pari ammontare anche P (inflazione). Di conseguenza l’inflazione attesa πe cresce e aumenta “i” (r+inf.attesa) mentre la domanda di moneta L(i, Y) cala. Se l’offerta cresce e la domanda cala, i prezzi dovranno crescere ancora di più (inflazione). Quando la domanda di liquidità diminuisce però l’offerta non cambia istantaneamente. L’annuncio inaspettato di una politica monetaria futura che fa sì che gli individui si aspettino prezzi più alti e quindi un’inflazione attesa alta che fa alzare i prezzi prima dell’offerta di moneta. Una percezione comune è che l’inflazione riduca i salari. Questo è vero nel breve periodo, quando i salari nominali sono fissati dai contratti. Nel lungo periodo, i salari reali sono determinati dall’offerta di lavoro e dal prodotto marginale del lavoro, non dal livello dei prezzi o dal tasso di inflazione. La teoria classica indica che il salario reale è uguale alla produttività quindi nel lungo periodo l’inflazione è neutrale: se tutti i prezzi aumentano, salari inclusi, nella stessa proporzione allora il potere d’acquisto non cambia. La moneta non ha effetti reali (neutralità), cioè non cambia la produzione e il reddito reale. La contrattazione dipende dalle istituzioni del lavoro. Nella teoria classica, un cambiamento nel livello dei prezzi, è come un cambiamento nell’unità di misura di tutti i prezzi. Ci sono due tipi di costi sociali nell’inflazione: quando è perfettamente anticipata (inflazione attesa) e quando non è stata correttamente prevista (inflazione inattesa). I costi della prima sono:  Costo del consumo delle suole: costi e disturbo per ridurre la quantità di moneta detenuta al fine di evitare la tassa da inflazione. Se l’inflazione sale e anche il tasso d’interesse nominale (i) allora la domanda scende. Il numero di prelievi in banca (e i costi di transazione) aumenterà perché è più sconveniente detenere moneta liquida.  Costo di stampa del menù: cambio listino  Costo psicologici di programmazione: rendono difficile il confronto tra valori in periodo diversi.  Distorsione fiscale: alcune tasse come il capital gain non tengono conto dell’inflazione. Quindi se il guadagno reale è uguale all’inflazione non si guadagna nulla perché le tasse vengono pagate sul guadagno nominale (senza tenere conto del cambiamento di prezzi).  Distorsione di prezzi relativi: le imprese cambiano i prezzi a intervalli regolari ma non in modo sincrono. Quindi i prezzi relativi dei beni variano e anche le scelte dei consumatori che riallocano la spesa tra beni diversi. I costi dell’inflazione inattesa:  Ridistribuzione del potere d’acquisto: se l’inflazione è diversa da quella aspettata qualcuno ci rimette e altri ci guadagnano per esempio se abbiamo contratti indicizzati o contratti di prestito (mutuo). Se l’inflazione è maggiore di quella aspettata allora i debitori ci guadagnano se è minore ci guadagna il creditore. Per questo di solito i tassi fissi sono più alti di quelli variabili.  Aumento dell’incertezza: l’inflazione rende difficile pianificare il futuro  Riduce i salari non indicizzati: I salari nominali raramente vengono ridotti mentre è il salario reale di equilibrio che dovrebbe diminuire. Senza inflazione il salario reale sarebbe sopra quello di equilibrio. Il mancato aggiustamento dei salari reali può portare a disoccupazione nel lungo periodo. L’unico modo è far sì che lo faccia l’inflazione. Un livello di inflazione al 2% che riduce i salari reali, può aiutare il mercato del lavoro se i salari nominali non vengono aggiustati. Se l’inflazione è maggiore del 50% al mese si chiamerà iperinflazione. Tutti i costi dell’inflazione aumentano esponenzialmente con l’iperinflazione inoltre la moneta perde le sue funzioni. Forme estreme di signoraggio portano agli episodi iperinflazionistici. La soluzione è una politica fiscale restrittiva perché le entrate tributarie sono annullate dai redditi che perdono velocemente valore. Nella dicotomia classica le variabili nominali non hanno effetti sulle variabili reali. L’offerta di moneta non influisce sulle variabili reali (neutralità della moneta) nel lungo periodo. Variabili reali misurate in quantità e prezzi relativi:  Salari reali: beni guadagnati in un’ora di lavoro  Tasso di interesse reale: beni ottenibili in futuro prestando un’unità di bene oggi Variabili nominali misurate in unità di moneta:  Salari nominali: euro per ora di lavoro  Tassi di interesse nominali: euro ottenibili in futuro prestando un euro oggi  Prezzo: euro necessari per comprare un bene o servizio CAPITOLO 7 “disoccupazione” La disoccupazione è un fenomeno che riguarda quelli che sono disoccupati ma anche il resto della popolazione. Quando la disoccupazione è alta, è più probabile che gli occupati vedano aumenti salariali più contenuti, un aumento dell’incertezza economica, e un aumento della criminalità (tasso di criminalità è strettamente legato al tasso di disoccupazione). Inoltre, c’è una correlazione tra la disoccupazione e il tasso di felicità. Infatti la disoccupazione è il terzo fattore più importante che determina infelicità dopo la morte del proprio partner e il divorzio. La disoccupazione rappresenta uno spreco di risorse: più è alto il tasso di disoccupazione, minore è la forza lavoro coinvolta nella produzione di beni e servizi (minor livello PIL). La cause della disoccupazione possono essere classificate in breve e lungo periodo. Questa parte si occupa di lungo periodo, in particolare sulle cause del tasso naturale di disoccupazione: il tasso di disoccupazione medio attorno a cui l’economia fluttua. Il tasso di disoccupazione corrente può essere superiore o inferiore a quello naturale. È superiore a quello naturale durante periodi di recessione economica ed è inferiore durante i periodi di espansione (boom). Un primo modello del tasso naturale coinvolge i disoccupati (U) e gli occupati (E), che insieme compongono la forza lavoro. Il tasso di disoccupazione sarà dato da: U/L. Il tasso di separazione (s) sarà la percentuale di occupati che perde il lavoro (% occupati che perde lavoro) e il tasso di collocamento al lavoro (f) è la percentuale di disoccupati che trova lavoro (% disoccupati che trova lavoro). L, f e s sono esogene per le ipotesi del modello. Il mercato del lavoro è in stato stazionario (o equilibrio di lungo periodo) se il tasso di disoccupazione è costante. La condizione stazionaria è: s×E=f ×U n° occupati che lasciano il posto di lavoro=n° disoccupatiche trovano lavoro s× (L−U )=f ×U (s×L)−(s×U )=f ×U ( s×L )=( f+s)×U s s+f =U L Il tasso di disoccupazione naturale cala se: f aumenta e s diminuisce. Se la ricerca del lavoro fosse istantanea (f=1) allora tutti i periodi di disoccupazione sarebbero brevi e il tasso naturale sarebbe vicino allo zero. Ci sono due ragioni per cui f è minore di 1: per la ricerca di lavoro (disoccupazione temporanea o frizionale) e per la rigidità salariale (disoccupazione persistente o strutturale). La durata della disoccupazione permette di capire se si tratta di disoccupazione frizionale o strutturale. Se è di breve periodo è frizionale e se è di lungo periodo (oltre 1 anni) è strutturale. Una perdurata condizione di disoccupazione rende meno probabile l'ingresso nel mercato del lavoro (lavoratore scoraggiato). La disoccupazione frizionale è causata dal tempo impiegato dai lavoratori per cercare un lavoro anche quando la domanda di lavoro è sufficiente a dare lavoro a tutti. Per trovare un lavoro occorre tempo perché i posti di lavoro non sono tutti uguali e i lavoratori sono diversi tra loro (abilità, istruzione, ecc.). Bisogna reperire informazioni sui posti di lavoro e sui lavoratori e la mobilità geografica richiede tempo ed è costosa. La disoccupazione frizionale è dovuta anche a cambiamenti nella composizione della domanda tra settori o regioni, dal cambiamento tecnologico che aumenta la domanda di addetti alla riparazione di computer e diminuisce la domanda di addetti alla riparazione di macchine da scrivere. Ci vuole tempo perché i lavoratori cambino settore che compone la nuova domanda. L’innovazione tecnologica cambia in continuazione la domanda di lavoro. Per ridurre la disoccupazione frizionale, il governo può rendere più facile l’incontro tra lavoratori e imprese: con centri per l’impiego oppure può in prima persona attivarsi per riqualificare i lavoratori con competenze obsolete o può pagare i sussidi di disoccupazione ovvero parte dei precedenti salari (per un periodo di tempo limitato) dopo la perdita del lavoro. I sussidi consentono ai lavoratori più tempo per la ricerca che può portare a maggiore produttività e redditi più elevati. Ma può anche ridurre f (tasso con cui si trova un lavoro) perché riduce il costo opportunità della disoccupazione e riduce l'urgenza di trovare lavoro. Il governo può irrigidire il mercato del lavoro cercando di ridurre s aumentando i costi di licenziamento, ma così trovare lavoro diventa più difficile e se f si riduce con s allora il tasso naturale non cambia. I lavoratori più anziani hanno minori probabilità di perdere il lavoro ma la disoccupazione giovanile cresce e anche la durata della disoccupazione cresce (e può portare a uscite da forza lavoro). La disoccupazione strutturale proviene dalla rigidità salariale questo perché nel mercato del lavoro se il salario non è libero di aggiustarsi liberamente non tutto il lavoro viene impiegato e non viene raggiunto l’equilibrio tra domanda e offerta. Se per esempio esiste un salario minimo allora l’offerta è superiore alla domanda quindi non tutti il lavoro viene impiegato perché il salario reale è bloccato al di sopra del livello di equilibrio. Le cause principali della rigidità salariale sono: le leggi sul salario minimo, i sindacati e la contrattazione collettiva e i salari d’efficienza. Il salario minimo legale in molti paesi è sotto il salario d’equilibrio quindi non può spiegare la disoccupazione. Tuttavia è spesso superiore per i lavoratori a bassa qualifica e per lavoratori giovani con poca esperienza. Un aumento del 10% del salario minimo riduce l’occupazione giovanile dell’1-3%. I sindacati rappresentano (e massimizzano l’utilità) degli occupati (insiders: occupati con una rendita di posizione) mentre i disoccupati (outsiders: disoccupati, ec. sommersa, neoassunti ancora privi di rendita di posizione) preferirebbero salari inferiori che garantiscano una piena occupazione. Per la teoria dei salari di efficienza è possibile che le imprese decidano volontariamente di pagare salari superiori a quelli di equilibrio se i salari elevati aumentano la produttività e permettono di aumentare i profitti. Questo è vero se alti salari: attirano i lavoratori migliori, riducono il “turnover” e i costi di formazione di nuovo personale, aumentano l’impegno sul lavoro e riducono l’assenteismo, riducono i conflitti sindacali e gli scioperi e per i paesi in via di sviluppo: migliora lo stato di salute e di nutrizione. La rigidità della protezione dell’impiego aumenta la disoccupazione giovanile, aumenta la durata della disoccupazione e protegge solo gli insider. L'aumento della disoccupazione europea dopo gli anni 80 ha due spiegazioni: i generosi programmi di assicurazione sociale (isteresi) e lo spostamento della domanda da lavoratori non qualificati a lavoratori qualificati, a causa del cambiamento tecnologico. In Europa le imprese non sono libere di aggiustare i salari mentre negli Stati Uniti, con una maggiore flessibilità del mercato del lavoro e dei salari, il cambiamento ha causato un aumento del divario salariale tra qualificati e non qualificati invece di un aumento della disoccupazione (skill premium). In Europa è cresciuta la disoccupazione a causa dell’introduzione di generosi ammortizzatori sociali (in parte su pressione di forti sindacati). La politica fiscale ha puntato su una diminuzione della spesa pubblica per diminuire il deficit (restrittiva), ovvero indirizzata a convincere gli investitori della sostenibilità del debito. In U.S la disoccupazione è calata ma sono aumentate le disuguaglianze salariali. Uno degli effetti più importanti della crisi del debito sovrano è stato disattivare in parte gli strumenti di stabilizzazione macroeconomica: effettiva è la somma che gli agenti economici spendono per acquistare beni e servizi e uguaglia la produzione Y. La spesa programmata è la somma che desiderano spendere e in forma d’equazione è: E=C [c(Y-T)]+I+G. La spesa programmata dipende solo dal reddito Y perché tutte le altre componenti sono fisse. La pendenza della spesa programmata è la PMC. La spesa effettiva può essere diversa da quella programmata a causa di disinvestimenti non programmati di scorte. Se l’economia si trova in una condizione diversa dall’equilibrio, le imprese possono aumentare (non vendendole) le loro scorte o diminuirle (vendendole), per ritornare all’equilibrio. La spesa effettiva finale sarà sempre uguale alla produzione. La curva IS è il luogo di equilibrio tra reddito nazionale e tasso di interesse nel mercato dei beni di breve periodo ed è quindi negativamente inclinata. Se aumenta il tasso di interesse, si riducono gli investimenti e cala la spesa programmata. Per mantenere l’equilibrio allora cala anche la spesa effettiva. La curva IS può essere vista anche come funzione dei mercati mutuabili (a prestito). Inoltre il risparmio S deve essere uguale agli investimenti I. Quindi S = Y- c(Y-T) - G = I(r). La curva LM rappresenta le combinazioni di tasso di interesse e reddito per cui il mercato di saldi monetari reali (scontata per i prezzi) è in equilibrio. Per derivarla serve la teoria delle preferenze della liquidità che mette in relazione la domanda di moneta reale con il tasso di interesse. Alzando i tassi d’interesse, la banca spinge a investire. L’offerta M/P è esogena mentre la domanda di saldi monetari reali è funzione negativa del tasso d’interesse e positiva del reddito quindi la curva LM ha pendenza positiva. L’equilibrio di breve periodo è dato dalla combinazione di tasso di interesse r e reddito Y (variabili endogene) tali per cui sia il mercato dei beni e servizi sia quello dei saldi monetari reali sono in equilibrio. Se aumenta la spesa pubblica la spesa programmata si sposta verso l’alto. Le imprese prima riducono le scorte che vendono in più e poi aumentano la produzione. L’aumento della spesa pubblica aumenta il reddito in misura superiore all’aumento effettivo di spesa pubblica. L’effetto indiretto dell’aumento di spesa pubblica è che se il reddito aumenta anche il consumo genera un ulteriore aumento del reddito finale. Moltiplicatore della spesa pubblica ΔY ΔG = 1 1−PMC Anche una riduzione delle tasse fa aumentare la spesa programmata che va verso l’alto. Aumenta il reddito e anche il consumo ma tuttavia l’impatto diretto è inferiore a quello della spesa pubblica. La polarità dice che mentre il moltiplicatore della spesa pubblica è positivo, quello delle imposte è negativo. L’effetto delle imposte è esclusivamente indiretto e soltanto una frazione pari a PMC del nuovo reddito disponibile si materializza in nuova domanda aggregata. Moltiplicatore delle imposte ΔY ΔG = PMC 1−PMC CAPITOLO 12 “APPLICAZIONE DEL MODELLO IS-LM” La curva IS è la relazione tra tasso d’interesse e reddito che garantisce l’equilibrio del mercato dei beni e dei fondi mutuabili. È costruita partendo dalla croce keynesiana e dalla curva d’investimento ed è negativamente inclinata. La curva LM è la relazione tra tasso d’interesse e reddito che garantisce l’equilibrio nel mercato dei saldi monetari reali. Nel breve periodo l’offerta di moneta è fissa perché i prezzi sono vischiosi. La domanda è negativa rispetto al tasso d’interesse e positiva rispetto al reddito e quindi è positivamente inclinata. L’equilibrio di breve periodo si ha quando il tasso d‘interesse e il reddito mette in equilibrio il mercato dei beni e quello dei saldi monetari reali. Il modello viene utilizzato per vedere come reddito e tassi d’interesse vengono cambiati nel breve periodo da shock e politiche economiche quando i prezzi sono fissi. Nel modello, le variabili di politica fiscale e monetaria (M, G e T) sono variabili esogene (fisse). Nella realtà, sono controllate dal governo e dalla banca centrale. Politica espansiva Politica restrittiva Il governo aumenta le imposte e sposta la IS a sinistra. A questo punto la banca centrale dispone di più alternative: mantenere M costante, mantenere r costante, mantenere Y costante. Se vuole mantenere l’offerta di moneta costante, a fronte di un aumento di tasse, osserviamo una recessione. Il reddito e il tasso d’interesse calano per indurre le famiglie (più povere) a detenere più moneta. Se la spesa pubblica aumenta, la IS si sposta verso destra. Aumenta il tasso d’interesse che riduce gli investimenti e ciò fa sì che il reddito di equilibrio sia più alto. Il reddito finale di equilibrio aumenterà ma meno della variazione di domanda di saldi reali che aumenta di 1 1−PMC ∆G. Se diminuiscono anche le imposte le famiglie risparmiano una frazione (1 – 𝑃𝑀𝐶) dall’aumento di reddito disponibile. L’aumento di domanda aggregata (spostamento IS verso alto) è di −PMC 1−PMC ∆T inferiore a quello che si otterrebbe con un pari aumento di spesa pubblica. Anche in questo caso l’aumento del reddito aumenta la domanda di moneta e gli investimenti calano perché il tasso d’interesse aumenta. Il reddito finale di equilibrio è quindi sempre inferiore alla variazione di domanda. Al contempo, un aumento di M sposta la curva LM verso destra che fa calare i tassi d’interesse. I tassi più bassi fanno aumentare gli investimenti e la domanda. L’economia si sposta lungo la IS fino all’equilibrio. L’aumento di reddito è inferiore allo spostamento della curva LM. Se vuole mantenere il tasso d’interesse costante dovrà ridurre l’offerta di moneta spostando a sinistra la LM. Riducendo ancora di più il reddito. Se vuole mantenere il reddito costante, dovrà aumentare l’offerta di moneta e la LM si sposta verso destra. La politica monetaria espansiva compensa la variazione di reddito ma il tasso di interesse di equilibrio cala ulteriormente. Il modello IS-LM può subire degli shock che riguardano la curva IS quando ci sono cambiamenti nella domanda di beni e servizi, aspettative di imprenditori che variano investimenti o cambiamenti nel consumo e nella ricchezza. Ma gli shock più frequenti sono quelli sulla curva LM ovvero cambiamenti nella domanda di moneta. Domanda aggregata Il modello IS-LM, insieme dei punti d’equilibrio tra mercato dei beni, dei fondi mutuabili e dei saldi monetari reali, è alla base della domanda aggregata. La curva di domanda aggregata rappresenta la relazione negativa tra P e Y. Politiche fiscali e monetarie generano uno spostamento della domanda aggregata. Con una politica espansiva, aumenta G o diminuisce T, questo porta a un’espansione di IS e di domanda di moneta quindi anche ad un’espansione di domanda su LM che aumentano il reddito. Quindi anche il reddito nella domanda aumenta. Nel modello una variazione di reddito implica uno spostamento lungo la curva di domanda aggregata se deriva da una variazione dei prezzi. Mentre rappresenta uno spostamento della curva DA se i prezzi vengono mantenuti costanti. Nell’approccio classico il livello dei prezzi è perfettamente flessibile e la produzione si trova sempre al suo livello naturale. Nell’approccio keynesiano i livello dei prezzi è fisso e la produzione può scostarsi dal suo livello di equilibrio, in funzione della politica fiscale e monetaria. profitti a rischio nullo. Questa maggiore offerta di fondi mutuabili porta a una riduzione del tasso di interesse interno fino a che i due tassi non si eguagliano riequilibrando la situazione. Se i prezzi mondiali sono uguali a quelli nazionali allora il tasso di cambio reale mondiale e il tasso di cambio nominale nazionale si eguagliano perché: T .C reale mondiale (ε )=T .C nominalenazionale (e)× Pnazionali(P) Pmondiali ¿¿ Se aumenta il tasso di cambio ciò che io produco rispetto a quello che viene portato dall’estero, sostituirò quello che viene prodotto dentro con quello fuori e questo fa diminuire le esportazioni e aumentare le importazioni. Se diminuisco il tasso di cambio, il compratore estero compra più prodotti interni e le esportazioni aumentano diminuendo le importazioni. Con le esportazioni cresce anche la spesa programmata, la domanda aggregata e la produzione e quindi anche il reddito dell’economia. Per le esportazione nette si costruisce la curva IS*. Nella LM* l’offerta di moneta reale è esogena (fissa) quindi è una retta verticale. Poiché il tasso è uguale a quello mondiale la domanda di moneta sarà L(r*,Y) e dipenderà solo dal reddito Y. Circolerà meno valuta quando i tassi d’interesse sono più alti perché terrò la moneta in fondi fruttosi. IS* e LM* sono tracciate per un dato tasso di interesse mondiale, politiche fiscali (G e T) e monetarie (M e P) (variabili esogene). L’equilibrio di breve periodo tra le due è dato dalla combinazione di tasso di cambio e di reddito Y (variabili endogene) tali per cui sia il mercato dei beni e servizi/fondi mutuabili sia quello dei saldi monetari reali sono in equilibrio. Il tasso di cambio rappresenta il prezzo relativo delle attività nazionali e di quelle estere. Quante unità di attività nazionale servono per acquistare un’unità di attività estera. Se un’economia è aperta, il mercato dei beni è in equilibrio quando il flusso di merci e il flusso di capitali sono uguali (esportazioni e importazioni si equivarranno in termini reali). Un aumento dell’offerta di moneta (spostamento a destra della LM*) equivale a una minore domanda di moneta e il tasso di cambio si abbasserà, o il contrario. Ci sono regimi di tassi di cambio flessibili (il tasso fluttua in risposta alle condizioni della domanda e offerta di valuta) e tassi di cambio fissi (il decisore politico o l’autorità s’impegna a mantenere un determinato tasso e scambia valuta variando l’offerta di moneta al fine di mantenere invariato il tasso di cambio). Il caso estremo del cambio fisso è per esempio la dollarizzazione e l’eurizzazione. In un regime a tasso di cambio flessibile con una politica fiscale espansiva, un aumento di G aumenta la domanda aggregata. La IS* si sposta a destra facendo pressione sul tasso di interesse r. L’investitore internazionale fiuta vantaggi maggiori nel mercato domestico che aumentano l’afflusso di capitali e aumenta la domanda di valuta nazionale per acquistare nel paese. Il tasso di cambio cresce. Quando i tassi sono flessibili la politica fiscale non può espandere il reddito nel breve periodo e l’espansione fiscale spiazza gli investimenti ma solo parzialmente, induce un apprezzamento del tasso di cambio che spiazza le esportazione nette, ma non ha effetto su Y. La politica monetaria espansiva dell’offerta di moneta provoca un flusso di capitali verso l’estero perché la LM* va a destra e r scende, allora i tassi di cambio calano e aumentano le esportazioni nette. Il reddito disponibile aumenta facendo salire la domanda di moneta fino a che i tassi d’interesse non sono come quelli mondiali. In regime di cambi flessibili la politica monetaria può espandere il reddito nel breve periodo. Il meccanismo di trasmissione però è diverso. In un’economia chiusa l’espansione monetaria riduce il tasso di interesse e stimola gli investimenti. In un’economia aperta con cambi flessibili, l’espansione monetaria induce un deprezzamento del tasso di cambio e un aumento delle esportazioni nette. La politica commerciale può intervenire nella bilancia commerciale per rendere le esportazioni più convenienti e le importazioni più costose (dazi, tasse su import, quote, contingentamenti (max import) e sussidi alle esportazioni (stato paga export)). Se il governo attua dazi o quote allora la IS* va a destra e il tasso di cambio aumenta facendo calare le esportazioni. La politica commerciale quindi rende un paese più chiuso e può aumentare la disoccupazione frizionale. Nei regimi di tassi di cambio fissi le banche centrali sospendono la loro capacità di decidere come modificare l’offerta di moneta. La politica monetaria agirà per mantenere stabile il tasso di cambio. Le banche centrali si impegnano ad acquistare e vendere qualunque ammontare di valuta nazionale ad un tasso di cambio prestabilito. Vendendo moneta estera, la banca riduce l’offerta di moneta. Per fare questo deve essere disposta a stampare euro e deve detenere sufficienti riserve di valute estere. Se il tasso di cambio di mercato è superiore o inferiore all’equilibrio esistono possibilità di arbitraggio. Gli arbitraggisti possono acquistare valuta estera sui mercati e la possono vendere in cambio di euro alla banca centrale a un prezzo superiore. Se operiamo una politica fiscale espansiva con un aumento della spesa pubblica e una diminuzione delle tasse si sposta la IS* a destra facendo pressione sul tasso d’interesse che aumenta la domanda di valuta interna. La BC è costretta a comprare valuta estera in cambio di euro creando un flusso di capitali verso l’estero. In cambi fissi la politica fiscale espande il reddito nel breve periodo. La politica monetaria espansiva aumentando M può spostare la LM* a destra. Il flusso di capitali all’estero riduce la domanda di valuta interna. La banca centrale è costretta a vendere valuta estera in cambio di euro causando un flusso di capitali verso l’esterno. Per la politica commerciale un governo che applica dei dazi o una quota fa diminuire le esportazioni e la IS* si sposta a destra. Il tasso di cambio sale e la banca deve aumentare l’offerta di moneta. La politica commerciale aumenta il reddito, l’occupazione e migliora la bilancia commerciale perché le importazioni si riducono e le esportazioni aumentano. POLITICA FISCALE ESPANSIVA POLITICA MONETARIA ESPANSIVA POLITICA COMMERCIALE RESTRITTIVA CHIUSA I- r+ Y+ I+ r- Y+ // APERTA PICCOLA (FLEX) e+ Nx- Y= e- Nx+ Y+ e+ NX= Y= APERTA PICCOLA (FIX) e= Nx= Y+ Riserve- e= Y= e= Nx+ Y+ Il tasso interno può differire da quello internazionale (𝑟 ≠ 𝑟*) se c’è il rischio che il paese debitore faccia bancarotta a causa di fattori politici o economici. I creditori richiedono un maggiore interesse come premio per il rischio. Se esistono aspettative di deprezzamento del tasso di cambio allora i debitori devono pagare tassi di interesse più elevati per compensare delle perdite attese dovute ai cambi. Considerando un premio per il rischio 𝜽 tale che 𝑟 = 𝑟∗ + 𝜃, un aumento del rischio aumenta il tasso di interesse interno. Le equazioni del modello di Mundell-Fleming quindi diventano:𝐿𝑀∗ ⇒ 𝑀 𝑃 = 𝐿(𝑟∗ + 𝜃, 𝑌)𝐼𝑆 ∗ ⇒ 𝑌 = 𝐶(𝑌 − 𝑇) + 𝐼(𝑟∗ + 𝜃) + 𝐺 + 𝑁𝑋(𝑒) L’aspettativa che una valuta perda valore nel futuro porta a un aumento del premio per il rischio e quindi la valuta perde valore immediatamente. Le banche centrali tendono a intervenire per evitare il deprezzamento aumentando l’offerta di moneta e gli individui aumentano la domanda di moneta perché preferiscono mantenere liquidità (le altre attività sono meno sicure per il rischio paese). La IS* si sposta a sinistra a causa della diminuzione degli investimenti e la LM* si sposta a destra per la riduzione di domanda di moneta e l’aumento di offerta di moneta. Con programma di aggiustamento strutturale si intendono una serie di riforme chieste dal FMI e WB (Washington consensus) ad alcuni paesi come condizione per accedere a prestiti volti al risanamento del debito pubblico dei paesi richiedenti: la riduzione della spesa pubblica, della M, l’aumento di r e anche una riduzione dell’occupazione pubblica. Stimoli a Nx e I con la svalutazione di e e 𝜀, la liberalizzazione delle importazioni e sussidi alle esportazioni. Infine riforme istituzionali e settoriali. I risultati sono l’aumento delle disuguaglianze all’interno dei paesi coinvolti, la deflazione e la disoccupazione, spirali contrattive, aumento dell’esposizione a crisi finanziarie. I tassi di cambio flessibili permettono una politica monetaria utilizzata per il controllo dell’inflazione e la stabilizzazione del reddito. I tassi di cambio fissi riducono l’incertezza e la volatilità rendendo le transazioni internazionali più facili, prevenendo una crescita eccessiva di moneta e le iperinflazioni. Un paese non può mantenere perfetta mobilità di capitale, politica monetaria indipendente e contemporaneamente un regime di cambio fisso. I pro di entrare in un’unione monetaria sono i minori costi di transazione, nessun rischio di cambio, più concorrenza e commercio. I contro sono la nessuna politica monetaria nazionale. Per derivare la domanda aggregata in una piccola economia aperta dal modello di Mundell- Fleming consideriamo sempre un cambiamento di prezzi. Essendo le due curve del modello: LM* ⇒ 𝑀/𝑃 = 𝐿(𝑟∗, 𝑌) IS* ⇒ 𝑌 = 𝐶(𝑌 − 𝑇) + 𝐼(𝑟∗) + 𝐺 + 𝑁𝑋(𝜀) Se i prezzi scendono, l’offerta di moneta sale quindi la LM* si sposta a destra abbassando la 𝜀 e alzando le esportazioni e la produzione. L’offerta di breve periodo va verso il basso perché si abbassano i prezzi. La curva DA incrocia la curva di offerta di breve al livello di reddito di pieno impiego. - Economia chiusa: 𝑀↑ ⇒ ↓ 𝑟 ↑ 𝐼 - Economia aperta: 𝑀↑⇒ ↓ 𝜀 ↑ 𝑁𝑋 Alcuni paesi come la Cina o gli Stati Uniti, che sono grandi economie aperte, influenzano i tassi d’interesse, ma consideriamo solo il caso di una piccola economia aperta (Mundell- Fleming), dove il tasso di interesse prevalente sui mercati internazionali (𝑟∗) è esogeno e i prezzi internazionali sono fissati. Se il tasso d’interesse mondiale è fisso, per definire la relazione tra attività commerciale e il deflusso netto di capitali (DNC) si usa: aumento inatteso della domanda aggregata. La curva DA si sposta verso l’alto. Il prodotto e i prezzi crescono al di sopra del loro tasso naturale. Quindi i produttori osservano un aumento generalizzato dei prezzi oltre che un aumento di produzione. Nel breve periodo, le aspettative sui prezzi non cambiano (la variazione era inattesa). Nel tempo però, anche 𝑃𝑒 cresce e sposta la OABP in alto. I prezzi crescono ulteriormente ed il prodotto torna al suo livello naturale. Lungo e breve periodo si riconciliano grazie al ruolo delle aspettative. Le politiche economiche, fiscali o monetarie, possono permettere un aumento temporaneo della produzione e quindi una riduzione della disoccupazione ma possono mettere anche i prezzi sotto pressione e creare inflazione. Esiste quindi una relazione inversa tra disoccupazione e inflazione. La curva di Phillips cattura questa relazione in relazione agli spostamenti lungo la curva di offerta aggregata. La curva di Phillips esprime l’inflazione 𝜋 come funzione di: π=πe−β (u –un )+v πe=inflazioneattesa β=sensibilità del l' inflazionealla disoccupazione ciclica(differenza tra tasso correntedi disoccupazione e il livello naturale) v=shock diofferta (cost pull ) u=disoccupazione effettiva un=disoccupazione naturale NAIRU (Non Accelerating InflationRate of Unemployment ) - Dalla curva OABP: 𝑃 = 𝑃𝑒 + 1/𝛼 (𝑌 – 𝑌_) - Aggiungo gli shock di offerta 𝑣: 𝑃 = 𝑃𝑒 + 1/𝛼 (𝑌 – 𝑌_) + 𝑣 - E sottraggo il livello dei prezzi del periodo precedente (inflazione attesa): 𝑃 −𝑃−1 = 𝑃𝑒 −𝑃−1 + 1/𝛼 (𝑌 – 𝑌_) + 𝑣 - Ricordando la legge di Okun (disoccupazione e produzione): 𝟏/𝜶 (𝒀 – 𝒀_) = −𝜷(𝒖 − 𝒖𝒏) - Arriviamo infine alla curva di Philllips: 𝝅 = 𝝅𝒆 − 𝜷(𝒖 − 𝒖𝒏 ) + 𝒗 La curva OABP mette in relazione la produzione con i prezzi. Mentre la curva di Phillips mette in relazione la disoccupazione con l’inflazione (e le aspettative). Le aspettative adattive implicano che gli individuai formano le loro aspettative sull’inflazione futura basandosi sull’osservazione dell’inflazione passata. Quindi l’inflazione attesa è uguale a quella dell’anno precedente (𝝅𝒆 = 𝝅−𝟏). Se includiamo le aspettative adattive nella curva di Phillips avremo𝝅 = 𝝅−𝟏 − 𝜷(𝒖 − 𝒖𝒏 ) + 𝒗. Se le aspettative sono adattive, questa implica l’esistenza di inerzia nell’andamento dell’inflazione. In assenza di shock di offerta o disoccupazione ciclica l’inflazione rimane al tasso corrente perché l’inflazione passata influenza le aspettative correnti su quella futura che, infine, influiscono sulla determinazione di prezzi e salari. Possiamo identificare almeno due cause che determinano variazioni nei prezzi. L’inflazione da costi che risulta da shock di offerta che aumentano i costi di produzione e inducono le imprese ad aumentare i prezzi creando inflazione. L’inflazione da domanda che risulta da shock di domanda che inducono un aumento dell’occupazione e tendono a fare crescere l’inflazione. Nel lungo periodo non esiste relazione inversa tra disoccupazione e inflazione. Per ridurre l’inflazione i responsabili della politica economica possono contrarre la domanda aggregata portando la disoccupazione al di sopra del suo tasso naturale. Il tasso di sacrificio misura la percentuale di PIL che è necessario sacrificare per potere ridurre l’inflazione del 1%. Stime empiriche del tasso di sacrificio affermano che per ridurre il tasso di inflazione dell’1% è necessario sacrificare il 5% del PIL. Per la legge di Okun questo implica un aumento del 2,5% del tasso di disoccupazione. Esempio: si vuole ridurre l’inflazione dal 6% al 2%. Il tasso di sacrificio è 5 a 1, quindi la riduzione dell’inflazione di 4 punti richiede una perdita del 4 × 5 = 20% di PIL annuo. Secondo la teoria delle aspettative razionali (Sargent), le persone basano le loro aspettative di inflazione futura su tutta l’informazione loro disponibile sulle politiche economiche future. Se le aspettative sono razionali e la credibilità del decisore politico alta, il tasso di sacrificio può essere molto piccolo. Se la banca centrale annuncia una politica monetaria restrittiva finalizzata a ridurre 𝜋 dal 6% al 2% allora 𝜋𝑒 scende immediatamente del 4%. Quindi, anche 𝜋 può scendere senza indurre alcuna variazione in 𝑢. Il tasso di sacrificio della disinflazione di Volcker è dato dal rapporto tra variazione di PIL e tasso d’inflazione. La credibilità e determinazione riducono le aspettative di inflazione e, quindi, il tasso di sacrificio. Variazioni della domanda aggregata influiscono su reddito e disoccupazione solo nel breve periodo (ipotesi del tasso naturale). Nel lungo periodo il reddito e la disoccupazione tornano ai livelli di pieno impiego. L’ipotesi alternativa è l’isteresi dove la storia conta nel determinare i valori di variabili come il tasso di disoccupazione. Shock negativi della domanda possono avere effetti permanenti sulla disoccupazione. Questo include perdita di capitale umano e un cambiamento di politiche e istituzioni. I disoccupati possono perdere potere nell’influire sulla determinazione dei salari: gli insider (lavoratori impiegati) possono contrattare salari più elevati per se stessi. Quindi gli outsider possono trasformarsi da disoccupati frizionali in disoccupati strutturali. In sintesi: Tre modelli di offerta aggregata di breve periodo e tutti e tre i modelli implicano che il reddito cresca quando i prezzi calano. La curva di Phillips afferma che l’inflazione dipende da: inflazione attesa, disoccupazione ciclica, shock di offerta. I policy maker fronteggiano quindi un trade-off di breve periodo tra inflazione e disoccupazione. La formazione delle aspettative di inflazione avvengono sull’inflazione passata (adattive) e implicano quindi una sorta di inerzia oppure sono basate sull’informazione disponibile (razionali).
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