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Morfologia Thornton capitolo 6, Dispense di Morfologia e Sintassi

capitolo 6 completo per corso di Linguistica generale Andrea Scala

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 21/06/2019

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4.4

(38)

29 documenti

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Scarica Morfologia Thornton capitolo 6 e più Dispense in PDF di Morfologia e Sintassi solo su Docsity! 6 Morfologia e sintassi Nei capitoli precedenti abbiamo illustrato alcuni dei problemi e delle nozioni fondamentali riguardanti la struttura interna delle parole. A questo punto possiamo fermarci un attimo a riflettere su una questione che non abbiamo ancora esplicitamente tematizzato: la struttura interna delle parole è di natura diversa da quella dei sintagmi e delle frasi? La risposta non è ovvia. Di fatto, una gran parte di studiosi, in tutto il corso del ventesimo secolo, ha operato con modelli che non prevedevano una distinzione di natura tra morfologia e sintassi, cioè tra struttura delle parole e struttura dei sintagmi e delle frasi. 6.1 Indistinzione tra morfologia e sintassi I due modelli a entità e disposizioni e a entità e processi nascono come modelli dell’intera grammatica, e non della sola morfologia. Dato lo scopo del presente volume, nella nostra esposizione ci siamo limitati a illustrare i due modelli nelle implicazioni che hanno per la morfologia, ma nell’intenzione di molti studiosi che li hanno sviluppati e adottati entrambi i modelli potevano e dovevano essere utilizzati anche per i livelli di analisi superiori a quello della parola. L’articolo di Hockett (1954), che ha fatto per primo il punto sulle differenza tra i due modelli, si intitola non a caso “Two models of grammatical description” (corsivo mio), e contiene discussioni di fatti sintattici tanto quanto di fatti morfologici. Hockett caratterizza il modello a entità e disposizioni (in inglese, items and arrangements, abbreviato IA) nel modo seguente: The essence of IA is to talk simply of things and the arrangements in which those things occur […]. One assumes that any utterance in a given language consists wholly of a certain number of minumum grammatically relevant elements, called morphemes, in a certain arrangement relative to each other. The structure of the utterance is specified by stating the morphemes and the arrangement (Hockett, 1954, p. 212).1 Si noti che nel brano appena citato Hockett non nomina minimamente la parola come costituente rilevante per la descrizione della grammatica di una lingua: egli assume che i morfemi e la loro disposizione bastino a render conto della struttura degli enunciati (in inglese utterance), senza passare per entità di livello intermedio quali le parole. Anche Bloomfield assume un modello che opera in modo del tutto parallelo nell’analisi di parole e di sintagmi. L’unica differenza fra i due è che le parole possono avere come costituenti dei morfemi legati, mentre le frasi sono costituite da morfemi liberi: By the morphology of a language we mean the constructions in which bound forms appear among the constituents. By definitions, the resultant forms are either bound forms or words, but never phrases. Accordingly, we may say that morphology includes the constructions of 1 L’essenza del modello IA è di parlare semplicemente di cose e degli ordini (disposizioni) nei quali quelle cose occorrono […]. Si ipotizza che qualsiasi enunciato in una data lingua consista interamente di un certo numero di elementi minimi grammaticalmente rilevanti, detti morfemi, in un certo ordine (disposizione) gli uni rispetto agli altri. La struttura dell’enunciato è specificata dichiarando i morfemi e la loro disposizione. QUALCHE SEGNALE PER INDICARE CHE TRATTASI DI TRADUZIONE? words and parts of words, while syntax includes the construction of phrases (Bloomfield 1935, p. 207)2 Anche nella teoria saussuriana, non è necessariamente implicata una differenza di natura tra morfologia e sintassi. In questa teoria, il primitivo è un segno biplanare, unione indissolubile di un significato e di un significante; in Saussure il termine segno può riferirsi a entità di diverso ordine di grandezza, da unità più piccole della parola (come una radice o un affisso) a sintagmi e frasi; il segno linguistico minimo, quello che nella terminologia oggi più diffusa è denominato morfema, è denominato in Saussure unità (cfr. CLG 145 e De Mauro nota 207). I segni intrattengono gli uni con gli altri due ordini di rapporti, rapporti sintagmatici e rapporti associativi. Come esempi di rapporti sintagmatici Saussure cita sia rapporti tra due unità che costituiscono una parola complessa (re-lire “ri-leggere”) che rapporti tra parole all’interno di sintagmi (contre tous “contro tutti”, la vie humaine “la vita umana”) e di frasi (Dieu est bon “Dio è buono”, s’il fait beau temps, nous sortiron “se fa bel tempo, usciremo”) (CLG 170). Come esempi di rapporti associativi, invece, cita solo rapporti fra segni che sono parole, e come esempio principe di rapporti associativi cita il rapporto tra le diverse forme di un paradigma flessionale, cioè le diverse forme flesse di un lessema. ESEMPI? Quindi, nella dimensione associativa, riconosce implicitamente un ruolo privilegiato a quella sottoparte di segni che sono parole. Nella dimensione sintagmatica, invece, come si è appena mostrato, Saussure non riconosce alla parola un ruolo privilegiato, come entità a metà strada tra il segno minimo – nella sua terminologia unità, nella terminologia contemporanea morfema – e il sintagma. Conseguentemente, egli non sembra riconoscere la morfologia come livello di analisi autonomo.3 Qui si delinea una questione fondamentale, che è in ultima analisi una questione empirica: la combinazione di unità che danno luogo a parole obbedisce agli stessi principi della combinazione di unità che danno luogo a sintagmi e a frasi? Se la risposta è sì, la morfologia, intesa come disciplina che ha come oggetto d’indagine la struttura interna delle parole, non esiste AUTONOMAMENTE?; se la risposta è no, la morfologia esiste, e allora dobbiamo scoprire in che cosa le operazioni che si compiono per formare parole differiscono da quelle che si compiono per formare sintagmi e frasi. A questa questione si è cercato di dare una risposta lungo tutto il corso dello sviluppo della teoria linguistica oggi più diffusa nel mondo, la grammatica generativa, che ha avuto origine negli anni ’50 del XX secolo con il lavoro del linguista nordamericano Noam Chomsky. Sulle posizioni di Chomsky, e della linguistica generativa in genere, ci soffermeremo un po’ approfonditamente, in 2 Con morfologia di una lingua intendiamo le costruzioni nelle quali appaiono tra i costituenti delle forme legate. Per definizione, le forme risultanti sono o forme legate o parole, ma mai sintagmi. Quindi possiamo dire che la morfologia comprende le costruzioni di parole e parti di parole, mentre la sintassi comprende la costruzione di sintagmi.IDEM 3 Nel CLG si legge che «Linguisticamente, la morfologia non ha un oggetto reale ed autonomo; essa non può costituire una disciplina distinta dalla sintassi» (CLG 186); «ogni parola che non sia una unità semplice e irriducibile non si distingue essenzialmente da un membro della frase, da un fatto di sintassi; l’organizzazione delle sotto-unità che la compongono obbedisce agli stessi principi fondamentali della formazione dei gruppi di parole» (CLG 187). Queste affermazioni non sembrano avere riscontro nelle fonti manoscritte, il che costituisce un interessante problema di filologia saussuriana che qui non possiamo approfondire. Non sarà però forse casuale che anche per uno dei maggiori rappresentanti contemporanei della tradizione saussuriana, Tullio De Mauro, la distinzione tra morfologia e sintassi sia quantomeno labile, come testimonia il passo seguente, tratto da un suo manuale di introduzione alla linguistica: “Abbiamo dunque a che fare con due categorie diverse: da un lato morfi commutabili con molti altri di numero ampio e illimitato e con significati spesso sovrapposti, dall’altro morfi commutabili con pochi altri di numero assai piccolo e limitato e con significati che tendono a escludersi. I primi sono detti monemi o morfi lessicali, e sono presentati nei lessici o vocabolari o dizionari di ciascuna lingua e studiati dalla lessicologia; i secondi sono detti monemi o morfi grammaticali, sono presentati nella grammatica […] delle varie lingue e studiati dalla morfologia e sintassi o morfosintassi” (De Mauro, 19993, p. 63). (4)[30] the + man + Verbo + the + book 13i-v the + man + Aus + V + the + book 28i the + man + Aus + read + the + book 28ii the + man + C + have + en + be + ing + read + the + book 28iii- scegliendo gli elementi C, have + en, e be + ing the + man + S + have + en + be + ing + read + the + book 29i the + man + have + S # be + en # read + ing # the + book 29ii - tre volte the # man # have + S # be + en # read + ing # the # book 29iii Per completare la generazione di questa frase, si devono applicare delle regole morfofonemiche, che Chomsky non elenca nel dettaglio, ma di cui ci dà alcuni esempi in momenti diversi. Elenchiamo gli esempi di regole morfofonemiche proposti in Chomsky (1957) in (5) e (6): (5) a. will + S F 0A E will b. will + passato F 0A E would (Chomsky1957, ed. it. 1970, p. 57) (6)[ 19] i walk F 0A E /wOk/ ii take + passato F 0A E /tuk/ iii hit + passato F 0A E /hit/ iv /…D/ + passato F 0A E /…D/ + /id/ (in cui D = /t/ o /d/) v /…C sorda / + passato F 0A E /… C sorda / + /t/ (in cui C sorda è una consonante sorda) vi passato F 0A E /d/ viii take F 0A E /teyk/ (Chomsky1957, ed. it. 1970, p. 43) Sulla base di una regola come (5a) possiamo ipotizzare che nel modello di Chomsky (1957) la sequenza have + S che appare nell’ultima riga della derivazione in (4) sarà riscritta come has grazie ad un’apposita regola morfofonemica. Proviamo ora a enucleare alcune delle caratteristiche del modello di grammatica proposto da Chomsky (1957, 1965) per quanto riguarda l’oggetto tradizionale della morfologia, cioè la costituzione delle forme flesse dei lessemi. Osserviamo innanzitutto che il modello di grammatica di Chomsky è solo in parte riducibile a un modello a entità e disposizioni: esso incorpora anche una componente a entità e processi, in quanto sia le trasformazioni che le regole morfofonemiche sono formulate come processi che si applicano alle entità. In questo modello inoltre i morfemi non sono concepiti più necessariamente come entità biplanari: Chomsky, come già avevano fatto gli strutturalisti americani post-bloomfieldiani, chiama “morfemi” anche entità appartenenti al solo piano del significato, ancora disancorate da un corrispondente significante, quali Passato. Saranno poi regole di riscrittura morfofonemiche a provvedere questi “morfemi” di un significante. Dal punto di vista terminologico è per noi significativo in particolare il passo [29ii], in cui sono elencati e accomunati sotto la denominazione di affissi gli elementi passato, S, Ø, en, ing. Qual è lo statuto di questi elementi? Alcuni sono evidentemente elementi di puro significato: non sono neppure citati tramite una forma di citazione che rimandi a un loro possibile significante, ma direttamente con un termine che richiama solo il loro significato, quale Passato. Altri sono invece citati con elementi che appaiono come dei significanti (Ø, en, ing) o almeno come forme di citazione che rimandano a un insieme di allomorfi (S). Ma questa apparenza è illusoria: Chomsky usa questi simboli omografi di possibili significanti in modo puramente convenzionale e mnemonico. A ben guardare, l’elemento detto S, per esempio, non rappresenta un “arciallomorfo”7 dei tre allomorfi /Iz/, /s/ e /z/ che possono realizzare il morfema di terza persona singolare del presente indicativo (ad esempio, in forme verbali come pushes, breaks, lies), ma rappresenta direttamente il tratto morfosintattico “terza persona singolare del presente indicativo”: in verbi modali come will questo elemento non è rappresentato da alcun elemento del significante (cfr. la regola morfofonemica in (5a)); la sua distribuzione è assolutamente parallela a quella di un elemento di puro significato come Passato (si confrontino le due regole morfofonemiche 5a e 5b). Nel modello di Chomsky (1957), dunque, si fa uso di entità non più biplanari, ma riguardanti solo il piano del contenuto, in particolare quello dei significati delle categorie grammaticali; queste entità sono designate con terminologia varia: sono dette a volte formativi grammaticali, a volte morfemi, a volte addirittura affissi. L’uso spregiudicato di vari termini tradizionali (quali “affisso”), o anche di conio relativamente recente (quali “morfema”), in sensi almeno in parte diversi da quelli più comunemente associati al termine, può essere fonte di notevoli fraintendimenti: richiamiamo quindi per l’ennesima volta l’attenzione dei lettori sul fatto che alcuni termini, in particolare morfema, assumono significati diversi in diverse tradizioni di studi. Vediamo infine come si effettua nel modello illustrato la generazione di forme flesse. In primo luogo, le regole di riscrittura dispongono in una certa sequenza entità di diverso tipo, cioè formativi lessicali e formativi grammaticali. Come appare evidente osservando le regole morfofonemiche in (6), entrambi questi tipi di formativi sono entità puramente semantiche, ancora disancorate da un significante. La sequenza lineare di entità ottenuta con l’applicazione di regole come quelle in (1) e (2) viene poi sottoposta a trasformazioni, che possono modificare l’ordine delle entità, introdurre entità nuove o eliminare entità presenti. Tra le entità introducibili da regole trasformazionali stanno anche formativi grammaticali, quali Passato. Le trasformazioni possono anche modificare la disposizione reciproca delle entità: in particolare, la trasformazione numerata [29ii] in Chomsky (1957), nota con il nome di affix hopping (letteralmente, “salto dell’affisso”), riordina sequenze in cui i formativi grammaticali che portano i valori di terza persona singolare del presente indicativo, di participio passato, e di aspetto progressivo, simboleggiati rispettivamente da S, en, e ing, appaiono a sinistra del formativo lessicale cui si legano: l’operazione [29ii] li sposta alla destra del rispettivo formativo lessicale e introduce un confine di parola (simboleggiato con #) prima e dopo la nuova sequenza di formativo lessicale + formativo grammaticale. Dunque in un certo senso le parole (o almeno, alcune forme flesse di alcuni lessemi) cominciano a esistere solo dopo l’applicazione delle trasformazioni. Queste “parole” sono però ancora prive di un significante: il significante verrà loro associato tramite l’applicazione di regole morfofonemiche quali quelle in (6) ([19] in Chomsky 1957). È importante osservare che le regole in (6)=[19] sono ordinate, devono cioè applicarsi nell’ordine specificato dai numeri romani minuscoli: solo in questo modo è possibile assicurare, ad esempio, che la sequenza #take + passato# sia riscritta come / tuk/ (applicando [19ii]), e non come #/teyk/ + /t/#, applicando [19viii] e poi [19v].8 7 Utilizzo il termine di mia coniazione “arciallomorfo” in esplicita analogia con il termine “arcifonema” della tradizione praghese. In questa tradizione, si definisce arcifonema un elemento astratto che rappresenta l’insieme di due (o più) fonemi tra i quali è neutralizzata l’opposizione in certi contesti: ad esempio, in lingue quali il russo e il tedesco, in posizione finale di parola è neutralizzata l’opposizione tra occlusive sorde e sonore, in quanto un’occlusiva in questo contesto si realizza sempre come sorda (le forme tedesche Rad “ruota” e Rat “consiglio”, i cui plurali sono rispettivamente Rä[d]er e Rä[t]e, si realizzano entrambe come /rat/). Un arcifonema è indicato convenzionalmente con una lettera maiuscola, corrispondente al simbolo IPA del fono che si realizza in contesto di neutralizzazione: ad esempio, l’arcifonema che corrisponde alla neutralizzazione tra /t/ e /d/ è indicato con /T/. Ritengo assai probabile che l’utilizzo da parte di Chomsky di lettere maiuscole che richiamano un certo allomorfo quali simboli per certi valori di categorie grammaticali realizzabili in modo variabile, tramite diversi allomorfi anche non fonologicamente relati, sia stato ispirato alla notazione dell’arcifonema della tradizione praghese. 8 Chomsky (1957, ed. it. 1970, p. 85, nota (h)) dichiara inoltre che la “formulazione effettiva delle F 0 E 0regola morfofonemica che converte take + passato in /tuk/” è “senza dubbio” la seguente: ey u nel contesto t__k + passato. Questa formulazione è tipica di un modello a entità e processi, ed evita artefatti quali i “morfi sostitutivi” necessari in un modello a entità e disposizioni. Nel modello qui sinteticamente illustrato, appare evidente che non è previsto un livello di analisi morfologica dedicato specificamente alla struttura interna delle parole: si passa direttamente da un livello sintattico-semantico, in cui si hanno sequenze di elementi detti formativi lessicali e grammaticali, che sono di fatto elementi puramente semantici, ancora privi di un significante, a sequenze fonologicamente specificate (tramite regole dette morfofonemiche più per inerzia lessicale che per convincimento teorico dell’esistenza di un livello “morfo-”). Come è stato osservato da diversi autori impegnati nella ricerca in morfologia (cfr. almeno Anderson 1982, p. 571), in questo primo modello di grammatica generativa tutta l’informazione morfologica era ripartita tra sintassi (regole di riscrittura e trasformazioni) e fonologia (regole morfofonemiche), e non esisteva un insieme specifico e autonomo di regole morfologiche. 6.3 Il parziale ritorno della morfologia nei modelli generativi Negli anni immediatamente successivi alla fondazione della grammatica generativa, l’inesistenza di un confine tra disposizione e manipolazione trasformazionale di entità al di sotto della parola e disposizione e manipolazione trasformazionale di entità al di sopra della parola non è messa in discussione. Un’opera classica sviluppata nell’ambito di questo modello è lo studio di Lees 19632 sui lessemi composti dell’inglese.9 In questo lavoro, Lees propone di derivare composti come steam boat «battello a vapore» o oil well «pozzo petrolifero» attraverso una serie di trasformazioni come le seguenti: The well yields oil F 0A E well which yields oil F 0 A E well yielding oil F 0 A E oil-yielding well F 0 A E oil- well.10 L’ultimo passaggio si compie «simply by deleting the participle» (cfr. Lees 1966[1963 2], pp. 144-145). Un’impostazione di questo genere ha presto suscitato critiche, volte soprattutto contro l’eccesso di potere delle trasformazioni che questo modello di grammatica implicava (cfr. Booij 1977 pp. 7-9, Scalise 1983 pp. 24-26). Nei primi modelli di grammatica generativa, non solo i lessemi composti, ma anche i lessemi derivati erano analizzati come frutto di trasformazioni sintattiche. Ad esempio, erano considerati collegati trasformazionalmente il verbo inglese to refuse e il nome refusal: in questo modo era possibile esprimere una sola volta nella grammatica la restrizione di selezione per la quale il verbo refuse richiede un soggetto animato, restrizione che vale anche per il nome derivato refusal (cfr. Scalise 1983, p. 30, Scalise 1984, p. 17). Riflessioni successive hanno però portato a ipotizzare che la formazione di almeno alcuni lessemi derivati non fosse spiegabile facendo ricorso allo stesso tipo di regole responsabili della formazioni di sintagmi e frasi. Chomsky (1970) ha osservato che dai verbi inglesi è possibile derivare due tipi di nomi, o meglio che sono possibili, a partire da verbi inglesi, due tipi di nominalizzazioni, che egli ha denominato rispettivamente «nominali gerundivi» e «nominali derivati». I due tipi di deverbali differiscono per diverse proprietà. In particolare, mentre quasi ad ogni frase con verbo corrisponde un possibile nominale gerundivo, non ad ogni frase con verbo corrisponde un possibile nominale derivato: un esempio citato da Chomsky (1970, p. 268) è il contrasto tra (7a-b) e (7c): (7)a John amused (interested) the children with his stories ‘John divertì (interessò) i bambini con le sue storie’ (7)b John’s amusing (interesting) the children with his stories ‘Il divertire (interessare) i bambini con le sue storie da parte di John’ (7)c * John’s amusement (interest) of the children with his stories ‘Il divertimento (interesse) dei bambini con le sue storie da parte di John’ Dunque ci sono delle limitazioni sulla produttività della derivazione di nominali derivati, mentre la derivazione di nominali gerundivi, come altre regole sintattiche, ha produttività quasi illimitata.11 9 Per una rapida sintesi del lavoro di Lees e considerazioni critiche cfr. Scalise (1983, pp. 21-29). 10 F 0 A E F 0 A E F 0 A E ‘Il pozzo produce petrolio’ ‘pozzo che produce petrolio’ ‘pozzo producente petrolio’ F 0 A E‘petrolifero pozzo’ ‘pozzo petrolifero’. 11 Per alcune restrizioni su questa regola sintattica cfr. Chomsky (1970, p. 268, n. 1). volta scelto case), come mantenere una distinzione tra forme flesse di un lessema e lessemi derivati? Sembra infatti che sia l’uso della forma flessa case che l’uso del lessema derivato casetta siano determinati da libera scelta del parlante, e non da regole della sintassi. Alcuni studiosi hanno quindi proposto di distinguere due sottotipi di flessione, denominati flessione inerente e flessione contestuale: la flessione inerente «is the kind of inflection that is not required by the syntactic context, although it may have syntactic relevance», mentre la flessione contestuale «is that kind of inflection that is dictated by syntax», cioè da regole di accordo o di reggenza (Booij 1996, p. 2, cui si rimanda anche per una rassegna delle diverse fonti che propongono una distinzione analoga). È importante rilevare che non è possibile definire come inerente o contestuale una certa categoria grammaticale in assoluto, ma solo una certa relazione fra una categoria grammaticale e una classe di parole: il numero in italiano è flessione inerente nei nomi, mentre è contestuale negli articoli, negli aggettivi e nei verbi (dipende cioè dall’accordo con la testa del SN o con il soggetto). Di solito, nelle lingue, si presentano come inerenti le categorie di genere e numero nei nomi, di grado negli aggettivi, di aspetto e tempo nei verbi (con l’eccezione di casi di consecutio temporum, nei quali il tempo del verbo in una frase subordinata dipende dal tempo della principale, e si configura quindi come caso di flessione contestuale, cioè determinata da una regola sintattica); si presentano invece come flessione contestuale la categoria di caso nel nome (almeno per quanto riguarda i casi che contrassegnano le funzioni sintattiche fondamentali di soggetto e oggetto di una frase), le categorie per le quali gli aggettivi sono target di accordo (quindi genere e numero in italiano, genere, numero e caso in greco, ecc.), le categorie di persona e numero nel verbo (che in italiano, ad esempio, concorda in numero e persona con il soggetto; in altre lingue, si può avere anche accordo in numero, persona, ed eventualmente genere, con l’oggetto o anche con l’oggetto indiretto). 6.5 Split Morphology Stabilita una distinzione tra flessione inerente e flessione contestuale, possiamo tornare a un problema lasciato aperto poco fa, e cioè se la formazione di forme flesse si attui attraverso regole specifiche, o invece tramite regole della stessa natura di quelle della sintassi. Abbiamo visto che a partire da Chomsky 1970 si è riconosciuto che la formazione di nuovi lessemi non sembra poter essere effettuata dallo stesso tipo di regole che permettono la formazione di sintagmi e frasi, e che è preferibile supporre che esistano specifiche regole di formazione di lessemi. Abbiamo anche visto che una parte delle regole di formazione di forme flesse, quelle che abbiamo chiamato flessione inerente, condividono una caratteristica fondamentale con le regole di formazione di lessemi: la loro applicazione è determinata da una libera scelta dei parlanti, e non richiesta da regole sintattiche. Si potrebbe quindi supporre che anche la formazione di forme flesse che portano informazione flessiva (cioè obbligatoria) di tipo inerente si attui tramite regole diverse da quelle della sintassi, e in tutto simili alle regole di formazione dei lessemi, cioè regole che si applicano prima dell’inserimento di una parola in una struttura sintattica. Resta però da vedere se anche la formazione di forme flesse che portano informazione flessiva di tipo contestuale sia attuata tramite regole diverse da quelle della sintassi: la flessione contestuale è infatti definita proprio come quel tipo di flessione che è governata da regole sintattiche, e quindi sarebbe molto plausibile che la formazione di forme flesse che portano informazione flessiva contestuale fosse attuata da regole sintattiche. In effetti l’ipotesi che la formazione di nuovi lessemi si attui attraverso regole che operano prima dell’inserzione di un lessema in una struttura sintattica, mentre la formazione di forme flesse si attua nella stessa fase in cui si applicano le altre regole sintattiche, è sostenuta da diversi autori. Questa ipotesi è nota con il nome di split morphology, cioè morfologia «spaccata», spaccata a metà tra un componente lessicale, dove si formano nuovi lessemi, e un componente sintattico, dove si formano le loro forme flesse. Nella sua versione più forte, l’ipotesi della split morphology non tiene neppure conto della distinzione tra flessione inerente e flessione contestuale, e sostiene che le forme flesse dei lessemi sono generate interamente con lo stesso tipo di meccanismo con cui si generano sintagmi e frasi. In una versione più debole, questa ipotesi può essere riformulata in modo da sostenere che almeno i valori di tipo contestuale, che non sono inerenti in un lessema, né sono ad esso associati per una libera scelta del parlante, sono assegnati al lessema da regole della sintassi, e non da regole di altro tipo, che si applichino ai lessemi prima che questi siano inseriti in una struttura sintattica. Un modello che prevede la generazione delle forme flesse dei lessemi con lo stesso tipo di regole usate per generare sintagmi e frasi è difficilmente sostenibile, a causa di un certo tipo di caratteristiche che le forme flesse possono presentare, parte delle quali sono state illustrate nel cap. 5. Ad esempio, nel caso di amalgami, uno stesso morfo introduce contemporaneamente due o più tratti che in una struttura sintattica sarebbero invece distinti, e quindi necessariamente disposti in un certo ordine l’uno rispetto all’altro. Anche casi di esponenza multipla sono problematici: un dato tratto dovrebbe apparire una sola volta nella struttura sintattica, ma appare due o più volte nei morfi che costituiscono il significante della forma flessa. Altri problemi che si presentano a modelli che vogliano ridurre la generazione di forme flesse a meccanismi di tipo sintattico sono dovuti non tanto alla mancata biunivocità di corrispondenza tra un valore e un suo esponente (biunivocità che può essere presente o meno), ma all’ordine di apparizione degli esponenti di certi valori all’interno di una forma flessa. Passeremo ora brevemente in rassegna questo secondo tipo di problemi. 6.6 Ordine di apparizione tra morfi 6.6.1 Ordine di apparizione tra morfi flessivi e morfi derivazionali Un primo caso da esaminare è quello dell’ordine di apparizione tra morfi flessivi e morfi derivazionali. Se i morfi derivazionali segnalano la formazione di un nuovo lessema, derivato da un altro lessema precedentemente attestato, essi dovrebbero apparire nel(le forme flesse del) nuovo lessema più vicino alla radice dei morfi flessivi. Infatti si suppone che si attui prima una regola che forma il nuovo lessema, aggiungendo un morfema derivazionale a un lessema precedentemente esistente, e poi si formino le forme flesse del nuovo lessema, aggiungendo alla sua radice dei morfi flessivi. Come minimo, i morfi derivazionali dovrebbero apparire più vicino alla radice dei morfi flessivi di tipo contestuale, che segnalano valori che possono essere determinati solo quando il lessema entra in una relazione (di accordo o di reggenza) con altri elementi della frase in cui compare. Un modello di split morphology, secondo il quale la derivazione di nuovi lessemi è un’operazione di tipo lessicale, che aviene prima della generazione di forme flesse, e solo quest’ultima avviene con meccanismi sintattici, predice necessariamente che i morfi derivazionali appaiano sempre più vicini alla radice dei morfi flessivi. Di fatto, questa predizione è confermata da molti dati. Nella lista di universali linguistici stilata da Joseph Greenberg (1976 (19631)), l’universale n. 28 è il seguente: Se tanto la derivazione quanto la flessione seguono il radicale, o se esse precedono entrambe il radicale, la derivazione si trova sempre tra il radicale e la flessione (Greenberg 1976, p. 136). Nei decenni che hanno seguito i pionieristici studi di Greenberg sugli universali, però, sono stati scoperti diversi controesempi a questa generalizzazione. Ne analizzeremo ora alcuni (cfr. Rainer, 1996, per ulteriori esempi e una lucida discussione del fenomeno). Un controesempio solo apparente è dato dagli avverbi in -mente dell’italiano e di altre lingue romanze, come lo spagnolo e il portoghese. Si osservino le forme in (9): (9) aggettivo aggettivo avverbio a. forma di citazione b. forma femminile singolare c. (invariabile) strano strana stranamente giusto giusta giustamente chiaro chiara chiaramente Apparentemente, gli avverbi vengono formati a partire dalla forma femminile singolare degli aggettivi: se è così, un morfo derivazionale, il suffisso avverbiale -mente, viene a trovarsi in posizione più esterna di un morfo flessivo, l’amalgama di femminile singolare -a. Osserviamo però che gli avverbi in -mente, lessemi che appartengono a parti del discorso dette invariabili, che non presentano forme flesse, non comprendono, come parte del loro significato, né il valore femminile della categoria di genere né quello singolare della categoria di numero. Gli avverbi di fatto non hanno alcun valore né di genere né di numero, né inerentemente né come effetto di assegnazione contestuale, per accordo: ne è prova il fatto che presentano la stessa forma sia che modifichino verbi al singolare che verbi al plurale (agisce giustamente, agiscono giustamente / *giustimente / *giustemente), e sia che modifichino forme femminili che maschili (l’immagine è apparsa chiaramente, il profilo è apparso chiaramente / *chiaromente). Dunque si può argomentare che la -a che compare nelle forme in (9c) non sia un morfo cumulativo di femminile singolare, ma qualche altra entità. Anche senza dedicarci a scoprire di che tipo di entità si tratti,16 possiamo concludere che gli avverbi in -mente rappresentano un controesempio solo apparente all’universale n. 28: la forma cui si attacca il suffisso derivazionale è solo omofona della forma flessa di femminile singolare, ma non è una forma flessa femminile singolare, dato che l’avverbio non comprende nel suo significato i tratti di femminile e di singolare. Un altro tipo di controesempio all’universale n. 28 spesso citato riguarda il fatto che in diversi tipi di lessemi derivati un affisso derivazionale può attaccarsi a un nome plurale. Vediamo alcuni esempi da diverse lingue germaniche in (10): (10) a. olandese (dati da Booij, 1996, p. 6) held “eroe” helden “eroi” held-en-dom “eroismo” eroe-pl-Nqualitatis b. yiddish (lingua xxxx, dati da Perlmutter, 1988, p. 80) kind “bambino” kinder “bambini” kind-er-lex “bambinetti” bambino-pl-dim guf “corpo” gufim “corpi” guf-im-lex “corpicini” corpo-pl-dim Per analizzare questi esempi, è importante osservare che gli affissi derivazionali (-dom, che forma nomi di qualità, nei dati olandesi in (10a), e -lex, che forma diminutivi, nei dati yiddish in (10b)) qui si attaccano a forme di nomi flesse al plurale.17 Il plurale, come abbiamo visto (cfr. cap. 4, par. 4.2, e cap. 6, par. 6.4), nel nome è un tratto inerente, nel senso che la scelta di usare un nome al singolare o al plurale è una libera scelta del parlante, non governata da regole della sintassi (mentre ad esempio in un aggettivo i tratti di numero sono tratti contestuali, in quanto vengono assegnati alle forme tramite accordo). I tratti inerenti appaiono quindi di natura più simile all’informazione che può essere aggiunta da affissi derivazionali che a quella acquisita per via contestuale. Dunque i dati in (10) rappresentano un controesempio solo per una versione forte di split morphology, secondo la quale ogni tipo di tratto flessivo è assegnato da regole sintattiche; in una versione debole di split morphology, nella quale solo i tratti contestuali sono assegnati in sintassi, lessemi derivati come quelli in (10) non costituiscono un problema. Gli studiosi che si sono occupati approfonditamente della distinzione tra flessione inerente e flessione contestuale (cfr. in particolare Booij 1994, 1996) hanno osservato che i controesempi all’universale n. 28 riguardano quasi sempre casi in cui si hanno morfi flessivi di tipo inerente che precedono morfi derivazionali in un lessema derivato. Si ha tuttavia anche qualche raro esempio di 16 Su questo torneremo nel cap. 8. 17 L’analisi di Perlmutter è diversa… Ancor più attraenti sono i dati in (15), dove vediamo forme dello stesso lessema turco ev che presentano anche un morfo flessivo di possessivo di prima persona singolare, che esprime persona e numero del possessore.18 Il possessivo è una categoria inerente dei nomi, quanto il numero, e anche in questo caso vediamo che il morfo che porta un valore della categoria inerente precede il morfo che porta un valore della categoria contestuale di caso: (15) turco: forme del lessema ev “casa” con possessivo di prima persona singolare Caso singolare plurale nominativo evim evlerim “la mia casa / le mie case” (soggetto) genitivo evimin evlerimin “della mia casa / delle mie case” dativo evime evlerime “alla mia casa / alle mie case” accusativo evimi evlerimi “la mia casa / le mie case” (oggetto) ablativo evimden evlerimden “dalla mia casa / dalle mie case” Tuttavia, la situazione illustrata dal turco, che è perfettamente compatibile con una versione debole di split morphology, che distingua tra morfi flessivi di tipo inerente e di tipo contestuale, non si ritrova in tutte le lingue che presentino nelle loro forme flesse nominali morfi dei due tipi non amalgamati. Vediamo i dati del finlandese in (16)19: (16) finlandese: alcune forme del lessema talo “casa” Caso singolare plurale nominativo talo talo-t genitivo talo-n talo-j-en partitivo20 talo-a talo-j-a Le forme illustrate presentano qualche complicazione in più di quelle turche: il morfo del plurale è - t- nel nominativo, e -j- nel genitivo e nel partitivo, si ha cioè un’allomorfia di tipo suppletivo, paradigmaticamente condizionata; inoltre, come in turco, il morfo del nominativo è un morfo zero. Per il resto, però, osserviamo una situazione simile a quella del turco: i morfi di numero e di caso non sono amalgamati, e quello di numero precede quello di caso. Se in finlandese può esserci un morfo di possessivo legato alle forme dei lessemi di categoria nominale, ci aspetteremmo quindi di trovarlo, come in turco, più vicino alla radice di quello di caso. Invece non è così, come vediamo dai dati in (17): (17) finlandese: alcune forme del lessema talo “casa” con possessivo di prima persona singolare Caso singolare plurale nominativo taloni taloni genitivo taloni talojeni partitivo taloani talojani 18 I possessivi del turco non esprimono invece, diversamente da quelli italiani, il numero del posseduto, che è espresso solo dal suffisso di plurale: si osservi infatti che le forme che significano “la mia casa” e “le mie case” presentano lo stesso morfo di possessivo -im, attaccato alle forme che significano rispettivamente “la casa” e “le case”. 19 Ringrazio Krista Ojutkangas per avermi aiutato a raccogliere e analizzare i dati finlandesi presentati nel testo. 20 Il partitivo è un caso usato in finlandese per marcare l’oggetto diretto in alcuni tipi di costruzioni (per esempio, in frasi negative; cfr. Branch, 1990, p. 609). Per analizzare le forme il (16) è necessario sapere che a causa di regole fonologiche, /n/ e /t/ non possono occorrere prima dei suffissi possessivi: questo spiega perché il nominativo plurale è taloni e non * talotni, il genitivo plurale è talojeni e non * talojenni, e il genitivo singolare è taloni e non *talonni. L’ordine fra i morfi di numero, possessivo e caso appare al suo meglio nella forma del partitivo plurale, dove appare evidente che la segmentazione è quella riportata in (18): (18) talo j a ni casa pl part poss.1sg In (17) appare evidente che l’ordine di apparizione dei morfi che seguono il morfo lessicale è il seguente: numero – caso – possessivo. Abbiamo quindi un morfo che porta informazione di carattere contestuale, quello di caso, che si colloca tra due morfi che portano informazione di carattere inerente, quello di numero e quello di possessivo. Questo ordine è diverso da quello esibito dalle forme flesse paragonabili del turco, riportate in (15). L’ordine esibito dalle forme finlandesi è un problema per versioni anche deboli di split morphology, perché presenta morfi con tratti contestuali più vicini alla radice di morfi con tratti inerenti. Inoltre, il fatto che turco e finlandese presentino, per valori paragonabili, ordini diversi di apparizione dei morfi è un problema per i modelli che ritengono che questi morfi vengano attaccati alla radice da regole di tipo sintattico. Per capire meglio perché la presenza di ordini alternativi tra morfi che esprimono le stesse categorie grammaticali rappresenti un problema, dobbiamo illustrare un po’ più in dettaglio i modelli che ipotizzano che le forme flesse siano generate nello stesso modo dei sintagmi e delle frasi. In questi modelli le categorie grammaticali sono interpretate come veri e propri elementi (detti teste funzionali) costitutivi della struttura di una frase, al pari dei lessemi che in essa appaiono. 21 Una forma flessa come camminava è generata da una struttura sintattica come quella in (19): 21 Come osserva anche Pollock (1989, p. XXX), questo modello è in totale continuità con quello di Chomsky (1957), nel quale, come abbiamo visto, i valori delle categorie grammaticali, quali ad esempio Passato, erano componenti autonomi della struttura sintagmatica di una frase al pari degli elementi lessicali, e non previamente legati ad essi (in quanto l’unione di formativi lessicali e grammaticali si compiva solo al termine della derivazione di una frase, con l’operare di regole morfofonemiche). (19) AgrSP AgrS TP T VP -a V -v- cammina- Legenda: AgrSP = Subject Agreement Phrase “sintagma dell’accordo con il soggetto”; AgrS = Subject Agreement “accordo con il soggetto”; TP = Tense Phrase “sintagma del tempo”; VP = Verb Phrase “sintagma verbale”; V = Verb “verbo” Il lessema verbale (rappresentato in (19) dal tema del verbo) si arricchisce di informazione flessiva (un tratto di tempo, e tratti di persona e numero in accordo con il soggetto) spostandosi dal basso verso l’alto e da destra a sinistra all’interno della struttura sintattica in cui è inserito, e raccogliendo ad ogni tappa un morfo che segnala determinati valori di determinate categorie grammaticali, qui considerate teste funzionali. In questo modello, si torna in un certo senso all’idea che esistano dei morfemi intesi come entità biplanari: una certa testa funzionale (livello del significato) è espressa da un certo morfo (livello del significante) che appare nella struttura della frase al pari dei morfi lessicali. I modelli in esame incorporano il cosidetto “mirror principle”, cioè principio del rispecchiamento (proposto da Baker, 1985), secondo il quale l’ordine di apparizione dei morfi flessivi all’interno di una forma flessa rispecchia l’ordine in cui essi sono aggiunti nella derivazione sintattica. È sulla base di questo principio, ad esempio, che Belletti (1990) ha proposto che nella struttura sintattica il nodo AgrSP (che domina i morfi che esprimono accordo tra verbo e soggetto) domini il nodo TP (che domina i morfi di tempo verbale), contrariamente a quanto si era sostenuto in precedenza, sulla base di dati riguardanti solo l’ordine delle parole in una frase, e non l’ordine dei morfi in una parola (cfr. Pollock 1989). In modelli che ipotizzano la formazione delle forme flesse in sintassi, attraverso un meccanismo di movimento del morfo lessicale verbale cammina- che si sposta verso l’alto raccogliendo sulla sua strada, via via che li incontra, i morfi di tempo (-v-) e di persona/numero (- a-), una forma come camminava si può spiegare solo se la struttura è quella in (19). Una struttura come quella in (20) genererebbe la forma non attestata *camminaav.
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