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Preparazione all'Esame di Stato per Assistente Sociale (albo B), Appunti di Metodi E Tecniche Del Servizio Sociale

Queste pagine contengono tutto il necessario per risolvere i casi proposti nel terzo scritto dell'Esame di abilitazione per assistenti sociali (albo B)

Tipologia: Appunti

2016/2017
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Mary.C.
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Scarica Preparazione all'Esame di Stato per Assistente Sociale (albo B) e più Appunti in PDF di Metodi E Tecniche Del Servizio Sociale solo su Docsity! INTRODUZIONE In genere, l’intervento professionale dell’assistente sociale si svolge per conto di un ente pubblico oppure di un’organizzazione del Terzo Settore. Tale intervento consiste in un’azione di aiuto nei confronti di tutti i cittadini oppure di particolari categorie di persone, a seconda delle finalità che l’ente si pone. Gli interventi dell’assistente sociale dipendono, dunque, dal tipo di ente di cui fa parte, dal tipo di problematiche che egli deve affrontare e dalla collocazione gerarchica dell’assistente sociale in questione. In genere si distinguono due grandi categorie di azioni: quelle finalizzate all’erogazione di prestazioni personalizzate e quelle di aiuto “aperto”, che consiste nell’accompagnare le persone nel percorso di trasformazione della propria vita per affrontare una difficoltà. Erogazione personalizzata di prestazioni Erogazione di prestazioni negli enti pubblici In questa categoria rientrano tutte quelle azioni degli assistenti sociali volte ad erogare in maniera personalizzata le prestazioni messe a disposizione dall’ente pubblico. Alcuni esempi di queste prestazioni sono: l’indennità di accompagnamento, la pensione di invalidità civile, l’assistenza domiciliare, le residenze sanitarie assistenziali, l’inserimento lavorativo protetto, le comunità terapeutiche e l’affido familiare. A volte la situazione dell’utente è particolarmente complessa cosicché non ci si può limitare a una sola prestazione, ma bisogna creare un “pacchetto” di prestazioni. Nello scegliere a chi erogare le prestazioni e di quali prestazioni debba trattarsi, l’assistente sociale deve tenere conto delle norme di legge e dei regolamenti dell’ente in cui lavora. Erogazione di prestazioni negli enti di Terzo Settore Anche nel Terzo Settore l’assistente sociale può essere incaricato di fare arrivare le prestazioni a chi ne ha bisogno. Ciò accade in tre casi specifici. Nel primo caso un’organizzazione di Terzo Settore incarica l’assistente sociale di assegnare le prestazioni erogate dall’organizzazione medesima. Ad esempio, in molte città la Caritas mette a disposizione degli indigenti dei pacchi di alimenti e, per organizzarne la distribuzione, viene assunto un assistente sociale. Nel secondo caso l’assistente sociale appartenente all’organizzazione di Terzo Settore collabora con un collega del settore pubblico per assegnare le prestazioni erogate dal Terzo Settore ma finanziate dall’ente pubblico. Ad esempio, pensiamo a una cooperativa che vince un appalto per erogare il servizio di assistenza domiciliare. Questa cooperativa assumerà un assistente sociale per definire il progetto di intervento e coordinare gli operatori, mentre il suo collega del Comune dovrà individuare i singoli casi su cui intervenire. Il terzo caso si verifica quando, per valutare i casi da prendere in carico e per decidere quali prestazioni fornire, il Comune si rivolge direttamente a una cooperativa, la quale fa svolgere questi compiti a un assistente sociale appositamente assunto. Il libro si occupa, però, principalmente del primo caso. Aiuto “aperto” (riflessivo) 1 L’aiuto che l’assistente sociale può offrire non consiste solo nell’erogazione di prestazioni a chi ne ha bisogno, perché in molti casi, ciò non basta, ma è necessario che l’utente si impegni in prima persona per cambiare qualche aspetto della propria vita. L’aiuto “aperto” consiste nell’accompagnare l’utente a riflettere su questo. Non esistono norme di legge che regolino l’aiuto aperto, ma ciò non significa che esso possa essere effettuato a casaccio. Al contrario, ci si deve basare sulla metodologia del lavoro sociale. L’aiuto aperto non spetta solo all’assistente sociale, in quanto ogni lavoratore del sociale (per esempio l’educatore professionale e l’operatore socio-sanitario) può svolgerlo. 2 effettuerà il controllo di gestione, cioè un processo attraverso il quale i responsabili dei servizi verificano se gli obiettivi sono stati raggiunti. Il piano esecutivo di gestione Esso è composto di due parti. Nella parte descrittiva si indicano gli obiettivi che l’amministrazione intende perseguire. Nella parte contabile si indicano le risorse economiche assegnate per il perseguimento di quegli obiettivi. Rendiconto di gestione e revisione economico-finanziaria Il rendiconto serve a evidenziare i risultati conseguiti in termini di equilibrio finanziario, economico e patrimoniale, ma anche a fornire elementi utili al collegio dei revisori dei conti. Il conto del bilancio è il primo documento di cui si compone il rendiconto e mostra i risultati finali della gestione annuale delle spese e delle entrate. Il conto economico è il secondo documento e documenta costi (per esempio i costi relativi al personale) e ricavi (cioè il valore dei beni e servizi prodotti). Il conto del patrimonio, infine, documenta i risultati della gestione dell’ente a fine esercizio, evidenziando le variazioni intervenute (per esempio nel possesso di beni immobili o nella disponibilità di denaro liquido). Il collegio dei revisori è l’organo preposto a vigilare sul rendiconto e su tutta l’attività economico- finanziaria dell’ente. Forme di gestione dei servizi La realizzazione e la gestione dei servizi pubblici locali può avvenire attraverso diverse forme: in economia, in affidamento a terzi, in convenzione, in consorzio, in unione dei comuni, tramite un’azienda speciale, tramite una società di capitali, tramite titoli (buoni o voucher) per l’acquisto di servizi sociali da parte dell’utente, tramite una fondazione di partecipazione. In economia L’ente provvede da solo, mediante i propri uffici. Questa forma viene adottata quando, per le caratteristiche del servizio da realizzare, non è opportuno utilizzare altre forme. Affidamento a terzi Si pratica quando non è conveniente la gestione in economia e allora si affida la realizzazione del servizio ad aziende esterne, mediante gara d’appalto. Specifichiamo che solo la gestione spetta all’azienda esterna, dal momento che la titolarità del servizio resta all’ente pubblico. In genere l’affidamento a terzi si utilizza per i servizi di refezione scolastica, per i trasporti scolastici, per l’assistenza domiciliare e per gestire le case di riposo. Convenzione con altri enti pubblici Due o più enti pubblici possono decidere di stipulare fra loro una convenzione, cioè una forma di contratto, per gestire insieme alcuni servizi. In genere questa forma viene adottata da piccoli comuni per gestire la polizia municipale, i servizi scolastici e quelli sociali, in modo da ottimizzare l’uso del personale. Consorzio 5 Esso viene costituito per la gestione associata di più servizi, ma, a differenza della convenzione, acquisisce una personalità giuridica sua propria e quindi anche un proprio bilancio e propri organi. Unione di comuni Le unioni di comuni sono enti locali costituiti da due o più comuni, spesso confinanti, per esercitare insieme alcune funzioni. Il presidente dell’unione è scelto fra i sindaci dei comuni che ne fanno parte. L’unione si finanzia tramite le tasse riscosse in ciascuno dei comuni. Azienda speciale L’azienda speciale è un soggetto pubblico, istituito dall’ente locale, con il compito di erogare i servizi secondo criteri territoriali. Tali servizi vengono erogati a fronte di un pagamento dell’utente. Ad esempio, “Cremona solidale” è un’azienda speciale che gestisce i servizi sociali alla persona, in particolare le strutture per i minorenni, gli anziani e i disabili. Società di capitali La società di capitali può essere costituita con denaro solo pubblico oppure pubblico e privato. Ad esempio la GE.S.S.TER di Asti, il cui capitale è interamente pubblico, si occupa di cure domiciliari. Titoli per l’acquisto di servizi sociali (voucher) La legge 328/2000 all’art. 17 prevede che i comuni possano fornire i voucher (o “buoni”) agli utenti per l’acquisto di determinati servizi di cura e assistenza. Questi servizi devono essere acquistati da uno degli erogatori, pubblici o privati, accreditati dall’ente locale, che operano in concorrenza tra di loro. Gli erogatori, a loro volta, presenteranno il voucher al comune per essere rimborsati. Tuttavia, il grande interesse inizialmente riservato ai voucher non ha poi trovato corrispondenza nei servizi sociali, perché la stragrande maggioranza dei comuni e delle ASL non fornisce voucher. Nei pochi luoghi in cui essi sono presenti, riguardano strettamente l’assistenza ad anziani non autosufficienti. Fondazione di partecipazione Si tratta di un ente privato che viene utilizzato dall’ente pubblico per svolgere attività di pubblica utilità. (Esempio che ho trovato io: la fondazione di partecipazione “Perugiassisi 2019” è stata creata per svolgere tutte quelle attività destinate a promuovere la candidatura di Perugia e Assisi a capitali europee della cultura nel 2019. Essa è stata creata per volontà della Regione Umbria, del comune di Assisi e del Comune di Perugia). Piano di zona Si tratta dello strumento attraverso il quale i comuni programmano i servizi sociali insieme ai soggetti presenti nel territorio (ASL, aziende pubbliche di servizi alla persona, Terzo Settore, mondo del volontariato). Esso è previsto dalla legge 328/2000. Fasi di costruzione del piano di zona La prima fase consiste nell’individuare i soggetti con cui dialogare. Ciò è compito del tavolo di coordinamento politico-istituzionale (composto dai sindaci del territorio) e dal tavolo tecnico per il piano di zona, molto importante anche perché dirige l’elaborazione del piano, coordina i diversi soggetti e poi monitora il processo. 6 La seconda fase consiste nel raccogliere i dati sulla domanda e l’offerta di servizi, in modo da valutare i particolari bisogni della popolazione e ciò che già si sta facendo. In questa fase è fondamentale l’apporto degli operatori sociali che, a loro volta, possono far partecipare gli utenti e le loro famiglie, in modo che portino il loro punto di vista. La terza fase consiste nell’analizzare come e quanto i diversi servizi presenti lavorino in maniera integrata tra di loro. La quarta fase consiste nello stabilire come sviluppare i servizi e come destinare le risorse. In questa fase si delinea il Piano di zona in senso stretto. I suoi contenuti sono: la descrizione del contesto socio-economico del territorio con l’analisi della domanda e dell’offerta di interventi sociali, gli obiettivi del Piano, i servizi socio-sanitari da realizzare (per esempio interventi per l’infanzia e l’adolescenza), le modalità di gestione dei servizi (per esempio, esternalizzazione), le risorse finanziarie, il programma di attuazione. Gli strumenti del piano di zona La conferenza di Piano è l’incontro tra tutti i soggetti coinvolti. Essa serve a coordinare l’attività amministrativa funzionale alla stesura del Piano. I tavoli di concertazione sono le sedi in cui si realizza la programmazione del Piano di zona. I tavoli si occupano di svariati temi (anziani, disabili, minori …). L’accordo di programma è un atto politico mediante cui vengono resi ufficiali gli impegni presi durante la programmazione e deve essere firmato da tutti gli enti che hanno partecipato, cioè comuni, Terzo Settore, ASL, ecc. L’ufficio di Piano è un organismo tecnico-gestionale che opera insieme all’assemblea dei sindaci del territorio. Esso è formato dagli assistenti sociali e dai dirigenti, con lo scopo di rilevare i bisogni del territorio, attivare i tavoli di concertazione e stendere il documento finale. Aziende pubbliche di servizio alla persona Le aziende pubbliche di servizio alla persona (o ASP) sono enti di diritto pubblico, dotati di autonomia contabile, statutaria, tecnica e gestionale. Hanno propri organi (per esempio un consiglio di amministrazione) e un proprio bilancio. Autorizzazione al funzionamento Le leggi regionali prevedono che determinati servizi sociali e sanitari debbano ricevere l’autorizzazione della pubblica amministrazione. Ciò vale, ad esempio, nel caso delle ASP (che sono pubbliche) ma anche nel caso delle cooperative sociali (che sono private). Secondo la L. 328/2000 tale autorizzazione deve essere rilasciata dai comuni. I requisiti per il funzionamento L’autorizzazione viene data solo alle organizzazioni in possesso di specifici requisiti, che sono di due tipi. I requisiti minimi strutturali, impiantistici e abitativi sono legati, per esempio, alla tutela dell’igiene e all’assenza di barriere architettoniche; i requisiti minimi organizzativi riguardano la programmazione dei servizi. 7 CAPITOLO 2 LE ORGANIZZAZIONI NON PROFIT Terzo settore, privato sociale, enti non profit, onlus: significato dei termini Con i termini Terzo Settore, privato sociale, enti non profit si indicano organizzazioni private che producono beni e servizi di interesse pubblico ma senza fini di lucro. L’espressione “non profit” sottolinea proprio il fatto che queste organizzazioni non si propongono di ottenere un guadagno economico. “Privato sociale” indica che, pur trattandosi di organizzazioni private, esse hanno a cuore il benessere della società. Onlus significa: organismi non lucrativi di utilità sociale. Possono essere onlus solo gli enti privati che svolgono attività nei seguenti settori: assistenza sociale, istruzione, sport dilettantistico, tutela dell’ambiente, promozione della cultura, tutela dei diritti civili, ricerca scientifica. Inoltre, la qualifica di onlus spetta alle cooperative sociali e alle organizzazioni di volontariato. Gli enti non profit: principali caratteristiche comuni Si tratta di organizzazioni private che, pur non avendo scopi di lucro, gestiscono determinate risorse economiche e materiali che consentono di erogare le prestazioni. Gli enti non profit, inoltre, possono essere di quattro tipi: associazioni, cooperative, fondazioni, altri tipi. Per creare un’organizzazione non profit occorre che i suoi componenti fissino un atto costitutivo e uno statuto, uno scopo comune e le regole con cui perseguirlo. Associazioni Nell’art. 18 della Costituzione le associazioni sono nominate esplicitamente, in quanto ai cittadini viene concessa la libertà di associarsi. Le associazioni riconosciute hanno un proprio patrimonio e sono regolamentate dagli articoli 14-35 del Codice Civile (gli stessi che regolano le fondazioni). Per ottenere il riconoscimento giuridico è necessario presentare lo statuto e l’atto costitutivo a un notaio. Le associazioni non riconosciute, invece, non hanno patrimonio proprio. Associazioni di volontariato Per essere di volontariato, l’associazione deve avere uno statuto che preveda assenza di fini di lucro, democraticità della struttura, obbligo di assicurare i propri aderenti contro infortuni e malattie connesse alle attività di volontariato, gratuità delle prestazioni fornite. Le associazioni di volontariato godono di agevolazioni fiscali. Centri di servizi per il volontariato (CSV) La legge quadro sul volontariato (L. 299/91) all’art. 15 stabilisce che le Regioni debbano istituire dei fondi speciali da destinare al volontariato. Tali fondi sono gestiti da appositi Comitati di gestione regionali i quali, a loro volta, promuovono la creazione dei Centri di servizi per il volontariato, i quali si occupano sia di rafforzare il volontariato locale (anche diffondendo informazioni alla cittadinanza) che di offrire assistenza e formazione alle associazioni e ai singoli volontari. Ogni Regione ha un albo delle organizzazioni di volontariato. Le associazioni iscritte a questo albo da almeno 6 mesi hanno la possibilità di stipulare convenzioni con gli enti pubblici. Associazioni di promozione sociale 10 Esse sono previste dalla L. 328/2000. Possono essere riconosciute e non riconosciute. Il loro fine è svolgere attività di utilità sociale sia a favore dei propri associati che di terze persone, ma senza finalità di lucro. Devono iscriversi all’apposito albo. La differenza rispetto alle associazioni di volontariato è che queste ultime non sono autorizzate a instaurare rapporti di lavoro con i propri associati, mentre le aziende di promozione sociale possono farlo. Costituzione e funzionamento di una associazione Gli atti formali che danno vita a un’associazione sono l’atto costitutivo e lo statuto. Nell’atto costitutivo i fondatori manifestano la volontà di associarsi. Esso è un contratto in cui si indicano i nomi dei soci fondatori, il nome dell’associazione, la sua sede legale e l’ambito operativo. Lo statuto, invece, stabilisce le regole di funzionamento dell’associazione e quali saranno i suoi organi sociali. Se atto costitutivo e statuto vengono firmati alla presenza di un notaio, l’associazione riceve riconoscimento giuridico. Gli organi sociali svolgono le loro funzioni attraverso persone fisiche alle quali vengono attribuiti determinati incarichi. Si distingue tra organi individuali, come il presidente, e organi collegiali, come l’assemblea dei soci. In genere, l’assemblea dei soci elegge il consiglio direttivo e il collegio dei revisori; il consiglio direttivo ha poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione; il presidente è il legale rappresentante dell’associazione; il collegio dei revisori controlla la gestione economico-finanziaria dell’associazione. L’associazione è tenuta a documentare le proprie attività per mezzo di libri sociali che sono disponibili alla consultazione sia dei soci che di terze persone. Cooperative Una cooperativa è un’associazione di persone che si uniscono per soddisfare i propri bisogni economici, sociali e culturali attraverso la creazione di un’impresa a proprietà comune controllata democraticamente. Di conseguenza la cooperativa presenta contemporaneamente le caratteristiche di un’impresa privata e di un’associazione: è un’impresa nella quale il socio in quanto persona è più importante dell’aspetto economico. La differenza principale fra una cooperativa è un’associazione sta nel fatto che alla cooperativa è consentito svolgere attività economiche. Perciò essa deve avere una struttura interna abbastanza complessa e ha maggiori vincoli e controlli, analoghi a quelli che gravano su qualsiasi azienda privata. Vari tipi di cooperative Le cooperative possono essere classificate a seconda dell’attività che svolgono. Ad esempio, ci sono cooperative di produzione e lavoro, cooperative agricole, cooperative di trasporto e cooperative sociali. Costituzione e funzionamento di una cooperativa Per costituire una cooperativa è indispensabile che ci siano almeno nove soci, che possono essere persone fisiche o giuridiche. I soci di una cooperativa possono essere soci lavoratori (partecipano all’attività della cooperativa con il proprio lavoro) o soci sovventori (che forniscono i capitali). 11 Gli organi sociali di una cooperativa sono: assemblea dei soci (elegge le cariche sociali), consiglio di amministrazione (gestisce la cooperativa), collegio sindacale (vigila sull’osservanza delle leggi e dello statuto). Piccole società cooperative Sono forme semplificate di cooperativa, previste dalla L. 266/97 art. 21. Struttura e gestione sono più semplici, per esempio non c’è bisogno del consiglio di amministrazione. Possono avere un minimo di tre e un massimo di otto soci. Cooperative sociali La L. 381/91 (Disciplina delle cooperative sociali) ha riconosciuto la possibilità di costituire cooperative dedicate a perseguire gli interessi di soggetti non soci. Le operative sociali sono onlus e godono di particolari agevolazioni fiscali. Inoltre, possono avere soci volontari, cioè soci che non ricevono una retribuzione, anche se beneficiano di tutela assicurativa contro infortuni e malattie e di rimborso spese. Le cooperative sociali di tipo A sono finalizzate a progettare e gestire servizi sociali, sanitari, educativi e assistenziali. Si tratta, ad esempio, di progetti di reinserimento sociale, formazione per operatori, centri di aggregazione per ragazzi, centri sociali per anziani, centri rieducativi per malati psichici, case-famiglia, assistenza domiciliare per anziani. Le cooperative di tipo B sono finalizzate all’integrazione lavorativa di persone fragili (ad esempio ex tossicodipendenti), attraverso lo svolgimento di svariate attività produttive. La gestione dei volontari in un’associazione o in una cooperativa Tale gestione può richiedere l’intervento di un assistente sociale che si occupi di seguire non solo la gestione, ma anche la formazione e l’accompagnamento dei volontari. Per prima cosa si provvede a reclutare i volontari, informandoli preventivamente sul tipo di attività che andranno a svolgere, in quali orari e con quale frequenza. Poi si procede alla prima accoglienza, ossia alla conoscenza reciproca, perché è molto importante conoscere le potenzialità del volontario e da quali motivazioni è spinto. Si passa poi a individuare una prima collocazione del volontario. È importante che l’assistente sociale segua i volontari, proponendo loro delle riunioni in cui ragionare tutti insieme sulle attività, scambiarsi esperienze e sostegno reciproco. Naturalmente, è sempre possibile che un volontario rinunci a prestare la propria opera. Ciò può essere comunque visto in chiave positiva, per spingere l’organizzazione a riflettere sui propri aspetti critici. Fondazioni Una fondazione è un ente privato che ha il patrimonio come elemento centrale: uno o più fondatori mettono a disposizione un certo fondo per perseguire scopi di pubblica utilità. Le fondazioni sono regolamentate dagli artt. 14-35 del Codice Civile. Le fondazioni operative realizzano direttamente servizi di pubblica utilità, come le case di cura. Le fondazioni di erogazione 12 CAPITOLO 3 INTERVENTI RIVOLTI A PERSONE CON DIFFICOLTÀ DI REDDITO E DI ALLOGGIO Premessa Gli interventi economici di tipo assistenziale esaminati in questo capitolo e quelli riguardanti l’assistenza a domicilio e in struttura cambiano a seconda del territorio e possono variare anche di anno in anno, a seconda della disponibilità di fondi. Infatti, queste prestazioni assistenziali non sono diritti soggettivi ma solo interessi legittimi. Quindi la pubblica amministrazione deve prenderli in considerazione, ma non è obbligata a soddisfarli. I contributi economici L’intervento di assistenza economica è costituito dall’erogazione di contributi in denaro, in forma continuativa o straordinaria, finalizzati a contrastare condizioni di povertà. L’assistenza economica è anche un’occasione per spingere la persona in difficoltà e la sua famiglia a seguire un progetto di aiuto e ad attivarsi per modificare la situazione. Questo aiuto economico, inoltre, deve essere integrato con informazioni finalizzate alle modalità di ricerca di un lavoro. Infine, l’assistente sociale deve aiutare l’utente a decidere quali bisogni affrontare per primi con la somma messa a disposizione. L’assistenza economica ha diverse forme. Innanzitutto, ci sono i contributi continuativi di integrazione al minimo vitale, destinati a persone che si trovano in difficoltà economica e la cui situazione non prevede margini di miglioramento (come le persone che ricevono la pensione di invalidità civile). Sono anche previsti contributi a favore di nuclei familiari in condizioni economiche disagiate in cui sono presenti soggetti particolarmente fragili, come i minori e i portatori di disabilità gravi. Poi ci sono contributi straordinari, finalizzati ad affrontare un problema circoscritto (ad esempio, la caparra per l’affitto di una persona appena uscita da una comunità di accoglienza per tossicodipendenti). Tra l’assistente sociale e il destinatario degli aiuti economici si stipula un patto con cui l’utente di impegna a dimostrare che usa il denaro solo per gli scopi prestabiliti. In alcune situazioni, però, l’assistente sociale incarica un parente o un volontario di gestire il denaro per conto del destinatario, ad esempio quando egli è un ex tossicodipendente e si sospetta che potrebbe usare il denaro per procurarsi la droga. Procedimento per l’erogazione L’erogazione dei contributi economici è disciplinata dal regolamento comunale, in cui si stabilisce la soglia di reddito minima per raggiungere la quale viene erogato il contributo. Generalmente la soglia coincide con l’importo della pensione minima dell’Inps che è di 501 euro. Ciò vuol dire che se una famiglia ha un reddito mensile di 470 euro, il contributo versato dal Comune per arrivare a 501 euro deve essere di 31 euro. Il procedimento per l’erogazione consta di varie fasi. Dapprima l’assistente sociale ha un colloquio con la persona che ha chiesto il contributo. Poi si raccolgono le informazioni necessarie, anche con una visita domiciliare, si verificano il reddito della persona e se è in possesso di tutti i requisiti per accedere al contributo. Inoltre, si deve stabilire con precisione per cosa sarà usato il denaro. Infine, 15 l’assistente sociale compila la proposta di erogazione e la invia al dirigente per la determina. Se la proposta è accettata, la tesoreria provvede a erogare la somma direttamente alla persona. La valutazione della situazione economica: l’ISEE La valutazione della situazione economica viene richiesta per molti interventi socio-assistenziali: ad esempio, per gli interventi di integrazione del reddito serve per accertare se vi sono i requisiti di accesso. Normalmente si utilizza l’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente), il quale misura: il reddito, il valore dell’abitazione di proprietà, l’eventuale presenza di soggetti con disabilità grave, l’eventuale mutuo. Per ottenere l’ISEE ci si reca presso il CAF del patronato. In realtà, l’ISEE si usa solo per alcune prestazioni sociali, perché per le altre – come la pensione di invalidità – viene richiesto il reddito IRPEF. Inoltre, in generale il sistema dell’ISEE è ritenuto mal funzionante e causa di numerosi contenziosi fra cittadino e pubblica amministrazione. Buoni sociali Si tratta di contributi in denaro che vanno a sostituire specifiche prestazioni, ad esempio l’assistenza domiciliare. A volte, se la famiglia è in condizioni economiche particolarmente gravi, servono per acquistare generi alimentari. Contributo regionale affitti Le singole regioni disciplinano con norme proprie l’erogazione di contributi finalizzati a sostenere le spese di affitto per i cittadini meno abbienti. Inoltre, il singolo comune può decidere di integrare con denaro proprio il fondo messo a disposizione dalla Regione. Ogni anno il comune emana un bando seguendo le norme regionali. Affinché un cittadino possa entrare in graduatoria per ottenere il contributo bisogna verificare che abbia la residenza nel comune di riferimento, che abbia un contratto di affitto regolare e che abbia un reddito corrispondente a quello stabilito nella normativa. Servizi per la risposta immediata a bisogni primari I bisogni primari sono quelli indispensabili alla sopravvivenza, per cui questi servizi sono destinati ai cittadini senza dimora e a chi si trova in condizioni di estrema indigenza. L’assistente sociale effettua un colloquio di prima accoglienza con la persona che chiede aiuto per esplorare la situazione e consigliarle di accedere ai servizi di volontariato. Mense convenzionate e buoni pasto La possibilità di accedere a mense convenzionate, o l’erogazione di buoni pasto, rappresentano un aiuto per le persone senza dimora e per chi, per vari motivi, ha difficoltà a gestire la quotidianità: per esempio anziani in condizione di povertà e persone che non sono in grado di preparare i pasti da sole. Alcune mense, gestite da associazioni di volontariato, sono gratuite: in questo caso l’assistente sociale può effettuare la segnalazione e l’invio del diretto interessato tramite telefono o documento scritto. Nel caso di mense gestite dal Terzo Settore, cioè mense convenzionate, è previsto un contributo economico per il pasto, quindi l’assistente sociale deve prima verificare che la persona 16 abbia i requisiti, poi verificare che il comune possa sostenere il costo e infine definire la data di avvio e conclusione dell’intervento. Alloggi collettivi temporanei (dormitori) I destinatari di questa forma di aiuto sono i cittadini senza dimora. I dormitori possono essere completamente gratuiti – se gestiti da organizzazioni religiose e di volontariato - oppure richiedono un corrispettivo economico. In questo secondo caso l’assistente sociale valuta il bisogno, verifica la disponibilità di un posto e se il comune può coprire i costi per un certo periodo. I cittadini stranieri senza permesso di soggiorno vengono, invece, indirizzati alle strutture del volontariato, perché non possono accedere a quelle convenzionate con gli enti pubblici. Case popolari La richiesta di un alloggio di edilizia popolare può essere effettuata tramite assegnazione ordinaria oppure straordinaria. Nell’assegnazione ordinaria l’Istituto per l’edilizia popolare emana un bando al quale possono partecipare tutti i cittadini aventi diritto. In tal caso l’assistente sociale ha il compito di spiegare agli interessati i contenuti del bando e di affiancarli nella stesura della richiesta. Per quanto riguarda l’assegnazione straordinaria, il servizio sociale fa una segnalazione al comune a proposito di una situazione di emergenza (per esempio una famiglia sfrattata) e si cerca di provvedere grazie a una quota di unità abitative che il comune detiene a questo scopo. Strutture residenziali comunitarie In genere queste strutture sono abitazioni di proprietà del comune, di associazioni di volontariato o di cooperative sociali. Esse rappresentano un aiuto per chi si trova in condizioni di precarietà esistenziale, cioè adulti e anziani soli, privi di una rete familiare. L’accesso è sempre gestito dal servizio sociale. Dapprima l’assistente sociale segnala al responsabile della struttura la presenza di una persona in difficoltà e verifica la disponibilità di un posto. Poi scrive una relazione contenente i dati anagrafici della persona, la problematica e la durata dell’accoglienza. Questa relazione serve per stabilire l’impegno economico che l’ente pubblico dovrà sostenere, per cui deve essere inviata al dirigente per la determina. Se c’è disponibilità di fondi, si procede. Se l’utente, nel corso del progetto trova un lavoro, partecipa alle spese per la propria accoglienza. Vi possono essere inviate anche donne vittime di gravi conflitti familiari o persone parzialmente autosufficienti che hanno subito uno sfratto. Alcune di queste strutture si rivolgono solo ad alcune categorie di persone in difficoltà, ad esempio prostitute vittime della tratta. In genere ci sono sempre alcuni posti tenuti da parte per situazioni emergenziali, ad esempio per persone che riescono a sfuggire agli abusi che subiscono in famiglia. In questi casi sono coinvolte le forze dell’ordine, perché chiamate a intervenire dalla vittima. Gli agenti portano subito la vittima in una di queste strutture, poi procedono ad avvisare i servizi sociali. In tal caso l’assistente sociale deve verificare la situazione di persona, incontrando la vittima e gli operatori della struttura in cui è stata portata. In seguito effettuerà il normale percorso amministrativo, inserendo nella documentazione anche il verbale della polizia o dei carabinieri. Successivamente si incontra la persona interessata per ragionare del futuro immediato e quello a lungo termine, anche insieme agli operatori della struttura. 17 tendono ad evitare ogni contatto con gli enti pubblici. Quindi, il compito del servizio sociale è quello di guidare rom e sinti a conoscere i propri diritti, ma anche, più semplicemente, a capire come compilare una richiesta di contributi o altre prestazioni. 20 CAPITOLO 4 INTERVENTI PER PERSONE NON AUTOSUFFICIENTI E CON DISABILITÀ (1): IL PERCORSO DI AIUTO Lo svantaggio legato a una menomazione fisica non dipende solo dalla menomazione in sé ma anche dal contesto in cui si vive. Ad esempio, se una persona non è in grado di camminare, ma vive in un contesto privo di barriere architettoniche e dispone di una sedia a rotelle, il suo svantaggio sarà minore. Le barriere, però, non sono solo fisiche ma anche sociali nel momento in cui il disabile è vittima degli atteggiamenti di imbarazzo o fastidio da parte delle persone sane. Il ruolo delle professioni sociali nei confronti del disabile è innanzitutto quello di ridurre lo svantaggio a livello sociale. La titolarità della “presa in carico” La titolarità degli interventi sociali di assistenza e di tutela rivolti alle persone non autosufficienti o con disabilità spetta al comune di residenza della persona. Il comune può esercitare questa funzione direttamente oppure tramite un altro ente (ad esempio, un consorzio di comuni). Le situazioni di disabilità e di non autosufficienza di norma richiedono anche un intervento di tipo sanitario, ragion per cui il comune deve collaborare con la ASL. Segnalazione Ci sono vari modi in cui l’assistente sociale può venire a conoscenza di una situazione di difficoltà riguardante una persona con disabilità: richiesta del diretto interessato, segnalazione da parte dei familiari, segnalazione da parte di servizi sanitari, segnalazione da parte di conoscenti e vicini di casa. Dopo aver ricevuto una segnalazione, è necessario avviare una prima raccolta di informazioni per esplorare il problema e farsi un’idea delle possibili risorse e azioni da intraprendere. Valutazione preliminare Dopo la segnalazione l’assistente sociale incontra la persona non autosufficiente o con disabilità. Se il diretto interessato è d’accordo, è utile anche incontrare i suoi familiari e chiunque gli sia vicino nella vita quotidiana. Questi colloqui possono essere svolti alla presenza di tutti o separatamente. Inoltre, il colloquio con il disabile può avvenire in ufficio o tramite visita domiciliare, se l’interessato ha difficoltà di deambulazione). Ad ogni modo la visita domiciliare è necessaria, se si vuole conoscere l’ambiente di vita della persona e la sua famiglia. A seguito del colloquio l’assistente sociale redige una valutazione preliminare, al termine della quale, con il consenso del diretto interessato, si avvia l’azione di aiuto. Tuttavia, può accadere che il disabile ritenga di non avere bisogno di aiuto. In tal caso, se invece l’assistente sociale ha timore che la situazione possa peggiorare, deve lasciare i propri recapiti al disabile. Se il disabile non ritiene di avere bisogno di aiuto, ma l’assistente sociale è seriamente preoccupato per la situazione, deve attivare le forze dell’ordine, perché potrebbe essere necessario sottoporre la persona a un TSO. Ovviamente, quando non ci sono bisogni particolari, l’assistente sociale non procede oltre. 21 Indicazioni di base per l’assessment: la valutazione multidimensionale (VMD) L’espressione “valutazione multidimensionale” è stata introdotta dall’OMS nel 1980 per indicare un nuovo modo di classificare menomazioni e svantaggi che potesse favorire migliori interventi di assistenza. La VMD, infatti, definisce lo stato di salute fisica, psichica e funzionale di una persona non autosufficiente, insieme ai suoi bisogni e alle sue risorse. Gli elementi che emergono da una VMD facilitano la costruzione di un progetto di intervento sanitario e assistenziale. La VMD viene realizzata compilando appositi moduli che si occupano dell’aspetto clinico, funzionale e mentale. Dimensione clinica In genere la valutazione della dimensione clinica viene effettuata dal medico di base o comunque da personale sanitario. Si valuta la presenza di patologie, specialmente quelle croniche. Poi si esaminano i bisogni sanitari che richiedono assistenza di tipo infermieristico (per esempio, l’eventuale presenza di piaghe da decubito). Si valuta anche l’assunzione di farmaci, specialmente per quanto riguarda le possibili interazioni negative tra un farmaco e l’altro. Inoltre si esamina lo stato nutrizionale della persona e il suo stile di vita (fumo, alcol). Infine si prendono in considerazione la qualità degli organi di senso e la capacità di comunicare. Dimensione funzionale Ciò si riferisce al grado in cui la persona disabile riesce a svolgere le funzioni necessarie alla propria vita: capacità di mantenere l’igiene personale e di avvertire stimolo urinario e fecale, di vestirsi, di muoversi all’interno dell’abitazione, di alimentarsi. Ciò serve a capire quanto la persona dipenda dagli altri, allo scopo di stabilire il tipo di intervento assistenziale. Si possono considerare anche altri tipi di attività quali: capacità di usare il telefono, di fare acquisti e gestire il proprio denaro, di prepararsi i pasti ed eseguire i lavori domestici, di utilizzare mezzi di trasporto pubblici e privati, di assumere autonomamente le medicine. Tutte queste informazioni si ricavano dal disabile stesso e da chi vive con lui o lo aiuta nella vita quotidiana. Dimensione mentale In riferimento a questa dimensione vengono esplorati l’eventuale presenza di deficit cognitivi, l’umore, e la presenza e gravità di disturbi quali ad esempio deliri, allucinazioni e ansia. Di solito si utilizzano dei test che possono essere somministrati sia da personale medico che da altri operatori, per esempio OSS. (Vedere gli esempi di test a p. 97) Dimensione sociale L’esplorazione di questa dimensione è compito dell’assistente sociale e prende in esame diversi aspetti: condizioni abitative (accessibilità dell’alloggio e sue condizioni igieniche, presenza di telefono, riscaldamento e servizi igienici, eventuali rischi quali un impianto elettrico deteriorato), presenza di servizi in zona (trasporto pubblico, negozi di alimentari, sportello bancario e postale, farmacia e ambulatorio medico), relazioni con familiari, amici, colleghi e vicini, situazione economica della persona e della sua famiglia, eventuali prestazioni sociali e sanitarie di cui la persona già usufruisce. Il contributo dell’assistente sociale 22 caregiver, inoltre, devono lasciare il loro impiego per prendersi cura del parente in maniera continuativa. Di conseguenza il reddito della famiglia cala drasticamente. A livello emotivo quasi sempre il caregiver si sente isolato e in trappola. Ciò crea un circolo vizioso emotivo fatto di sensi di colpa e rabbia che, nei casi estremi, viene sfogata sul disabile oppure sugli operatori eventualmente presenti. I bisogni dei caregiver Il principale bisogno è quello di avere delle pause e qualcuno che possa dare il cambio. Inoltre, c’è bisogno di un sostegno pratico nelle mansioni quotidiane, come qualcuno che aiuti il caregiver a sollevare il disabile. A questo proposito, ci si dovrebbe preoccupare di insegnare al caregiver tecniche di sollevamento più agevoli. Infine, il caregiver ha bisogno di sostegno emotivo. Quando l’assistenza porta a conflitti in famiglia La cura del familiare anziano o disabile, le rinunce, gli stress inevitabili a cui sono sottoposti i caregiver, gli eventi che caratterizzano la vita delle persone e le loro relazioni interpersonali, sono tutti fattori che influenzano pesantemente le dinamiche familiari. Quando l’assistente sociale prende contatto con la famiglia si trova davanti a problemi riguardanti la suddivisione dei compiti di cura, il fatto che alcuni familiari si rifiutino di assolvere a tali compiti, il carico emotivo che pesa sul caregiver principale. L’operatore sociale, però, non può prendere le parti di nessuno e, anzi, deve ascoltare le opinioni di tutti, per poi mediare, perché il suo compito principale è assicurarsi che il disabile sia adeguatamente assistito. Per poter effettuare questa mediazione l’assistente sociale dovrà avere una formazione specifica. 25 CAPITOLO 5 INTERVENTI PER PERSONE NON AUTOSUFFICIENTI (2): PROTEZIONE LEGALE La carenza di autonomia nel decidere della propria vita: l’incapacità di intendere e volere Talvolta la malattia o la menomazione incidono sullo stato mentale della persona e sulla sua capacità di valutare le situazioni e di esprimere la propria volontà. In questi casi si pone il problema di come proteggere questa persona dagli effettivi negativi di una tale incapacità. Stabilire che una persona non è in grado di decidere per se stessa e assumersi la responsabilità di farlo al suo posto è un’operazione delicata. Fortunatamente le modalità con cui deve essere fatto sono rigidamente regolate dalle leggi. Capacità giuridica, capacità di agire, capacità di intendere e di volere La capacità giuridica consiste nell’essere titolare di diritti e doveri contemplati dalla legge. Si acquisisce fin dalla nascita e si conserva fino alla morte (art. 1 del Codice Civile). La capacità di agire consiste nella capacità di compiere atti giuridici e si acquisisce con la maggiore età (art. 2 C.C.) La capacità di intendere e di volere si riferisce al fatto che la persona è in grado di capire se i propri atti sono contrari alle leggi e di decidere se adottare o meno un comportamento antigiuridico e antisociale. Difficoltà che si creano per un maggiorenne incapace di intendere e volere Una persona maggiorenne si può trovare in una situazione di incapacità di intendere e volere a causa di una malattia o dell’uso di stupefacenti. In tal caso è necessario un provvedimento dell’autorità giudiziaria per nominare il rappresentante legale di questa persona. Ci sono tre diverse possibilità per una persona incapace di intendere e volere: interdizione giudiziale, inabilitazione e amministrazione di sostegno. Questi non sono provvedimenti contro la persona, bensì mirano a proteggerla da ciò che potrebbe nuocerle. Interdizione e inabilitazione Interdizione giudiziale Se un soggetto maggiorenne è totalmente incapace di intendere e di volere, deve essere interdetto, il che significa che torna allo stato giuridico di un minorenne. Il Tribunale, quindi, nomina un tutore, che è una figura molto importante. Ad esempio, poniamo il caso che la persona incapace di intendere e volere debba subire un intervento chirurgico. Anche se questa persona esprime chiaramente il suo assenso, i medici non sono autorizzati a procedere. È il tutore a rappresentare legalmente la persona interdetta, quindi è il tutore che esprime o meno il consenso alle cure. Alla persona interdetta non può essere rilasciata la patente di guida né altri tipi di permessi (per esempio il porto d’armi). Fino a poco tempo fa, la persona interdetta non poteva svolgere da sola nemmeno azioni semplici come comprare un giornale o servirsi del trasporto pubblico. Ma la L. 6/2004 ha modificato in parte questo stato di cose, stabilendo che alcuni atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti dalla persona interdetta anche in assenza del tutore. Inoltre, la persona interdetta può 26 lavorare, ma il contratto di assunzione deve essere firmato dal tutore (allo stesso modo in cui sono i genitori a firmare il contratto di lavoro di un figlio minorenne). Inabilitazione Se un soggetto maggiorenne è parzialmente incapace di intendere e volere, egli deve essere inabilitato da un Tribunale. A differenza di chi è interdetto, la persona inabilitata può compiere da solo qualsiasi atto di ordinaria amministrazione, ma deve essere affiancato da un curatore per qualsiasi atto di straordinaria amministrazione (inoltre, è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare). Procedura per la dichiarazione di interdizione o di inabilitazione La prima cosa da fare è presentare un ricorso. Ciò può essere fatto dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo o da un pubblico ministero. Il ricorso deve essere consegnato alla cancelleria del Tribunale e deve contenere l’esposizione dei fatti per cui si presenta il ricorso. I servizi sanitari e sociali non sono autorizzati a presentare un ricorso, però possono inviare alla Procura della Repubblica una segnalazione riguardo un certo utente. Successivamente il presidente del Tribunale fissa un’udienza in cui ascolterà chi ha presentato il ricorso, la persona interessata e chiunque abbia informazioni utili, per esempio un medico legale a cui chiedere una consulenza. Già al termine dell’udienza può essere nominato il tutore provvisorio (o il curatore provvisorio). Poi il Tribunale emette una sentenza definitiva e il giudice tutelare provvede a scegliere il tutore o il curatore. Al termine della procedura, il Tribunale chiede al tutore o al curatore il rimborso delle spese legali. Per i parenti, ma anche per tutore e curatore, è comunque prevista la possibilità di impugnare la sentenza. Il tutore e il curatore: nomina e compiti In genere il tutore e il curatore sono parenti della persona interdetta/inabilitata, ma se questa persona non ha parenti allora è l’amministrazione locale, nella persona del sindaco, a ricevere la nomina. Oppure si può incaricare un ente di assistenza. In entrambi i casi l’ente pubblico e l’ente di assistenza nomineranno a loro volta un proprio incaricato, che in genere è l’assistente sociale. I principali compiti del tutore sono: sostituire la persona nel compimento di tutti gli atti di natura patrimoniale, amministrare il suo patrimonio e prendersi cura del benessere psico-fisico della persona interdetta. Il curatore viene scelto con gli stessi criteri del tutore. Il suo compito è di assistere l’inabilitato negli atti di straordinaria amministrazione e in tutti gli atti di riscossione di capitali. Il tutore e il curatore: rapporti con il giudice tutelare Entro dieci giorni dalla sua nomina il tutore deve cominciare a inventariare il patrimonio dell’interdetto e terminare entro un mese. L’inventario contiene beni mobili, immobili, crediti e debiti. Inoltre, ogni anno il tutore deve presentare al giudice tutelare il resoconto della propria attività. Per alcune azioni, il tutore deve prima ottenere il consenso del giudice tutelare, ad esempio per acquistare beni (tranne quelli di uso quotidiano), accettare eredità e donazioni, riscuotere capitali, stipulare contratti di locazione. È necessaria invece l’autorizzazione del Tribunale per attività di vendita di beni e costituire ipoteche. 27 Si tratta di un intervento in cui un medico chiede che un paziente sia sottoposto a visita psichiatrica anche contro la sua volontà. Tale richiesta va inviata al sindaco che, con l’ausilio delle forze dell’ordine, fa in modo che il paziente in questione sia visitato dal Servizio psichiatrico. La richiesta di ASO è valida solo se non esiste necessità di TSO. Doveri dei familiari verso la persona priva di autonomia Obbligo agli alimenti e al mantenimento Il legame familiare comporta il dovere di fornire i cosiddetti alimenti, ossia il necessario per vivere (mangiare, vestirsi, curarsi, pagare le bollette e l’affitto di casa). Chi deve provvedere agli alimenti può versare del denaro oppure accogliere in casa propria il familiare bisognoso. Il mantenimento è invece la somma necessaria a mantenere il tenore di vita di cui si è sempre goduto. L’obbligo di mantenimento è previsto fra i coniugi, per i genitori nei confronti dei figli, per il figlio convivente nei confronti dei genitori. In base all’art. 433 c.c. chi si trova in stato di bisogno e non è in grado di provvedere da solo alla propria sussistenza può rivolgersi al Tribunale per imporre ai parenti di aiutarlo. Violazione degli obblighi di assistenza familiare L’art. 570 del codice penale, al fine di tutelare i rapporti di assistenza nell’ambito familiare afferma che i seguenti comportamenti costituiscono reato: un genitore o un coniuge si sottraggono ai doveri di assistenza, oppure il genitore o il coniuge privano una persona dei mezzi di sussistenza (può però essere giustificato chi si trova in una situazione di oggettiva impossibilità). Abbandono di incapace Consiste nel lasciare la persona da sola o in compagnia di soggetti inidonei a prendersene cura, esponendola a un rischio per l’incolumità personale. Si tratta di un reato previsto dall’art. 591 del codice penale e si riferisce ai minori, ai disabili e agli anziani malati cronici non autosufficienti. 30 CAPITOLO 6 INTERVENTI PER PERSONE NON AUTOSUFFICIENTI E CON DISABILITÀ (3): ASSISTENZA A DOMICILIO E IN STRUTTURA I servizi di community care Per community care si intende un orientamento delle politiche sociali teso a sviluppare servizi socio-assistenziali che favoriscano l’indipendenza di anziani in tutto o in parte non autosufficienti, disabili e pazienti psichiatrici, consentendo loro di rimanere nel proprio domicilio. A questo scopo sono possibili diversi tipi di intervento e cioè interventi a domicilio, interventi di sostegno economico e interventi di sollievo alla famiglia (come i centri diurni). Il servizio sociale è investito della responsabilità di realizzare gli interventi di community care. Infatti, è l’assistente sociale a fare da punto di riferimento, a valutare la situazione, a collegarsi con gli altri servizi e con i volontari, ad attivare le prestazioni, a spiegare i requisiti di accesso ad altre risorse (quali le pensioni di invalidità) e a sostenere le relazioni tra i familiari. L’assegno di cura Si tratta di un sussidio economico mensile per permettere assistenza e cura a domicilio di persone che, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, hanno bisogno di un’assistenza continua. L’obiettivo di questa forma di assistenza è quello di promuovere la domiciliarità e di ridurre il ricorso a strutture residenziali. Ogni regione ha le proprie norme riguardanti l’assegno di cura, ma, in genere, i beneficiari sono sempre disabili (adulti o bambini) e anziani parzialmente o totalmente non autosufficienti. In certe regioni gli assegni vengono destinati a coprire lo stipendio delle badanti, affinché la famiglia possa regolarizzare il contratto di lavoro. In altre regioni, invece, la famiglia riceve sia l’assegno di cura che il cosiddetto “assegno badante”. Anche la cifra dell’assegno cambia da regione a regione: nelle Marche il massimo è 200 euro, mentre in Lombardia si può arrivare a 1000 euro. I criteri per determinare l’entità dell’assegno sono: il tipo di assistenza necessaria, la quantità di assistenza e la condizione economica della persona e del suo caregiver. La domanda per l’assegno deve essere presentata dalla persona o dal suo caregiver al comune o alla ASL. L’assistente sociale deve effettuare una visita domiciliare per eseguire una prima valutazione socio- economica. Poi l’UVM effettua la valutazione delle condizioni sanitarie e socio-ambientali. Le domande ritenute idonee vengono inserite in una graduatoria. Prima dell’erogazione del contributo è necessario elaborare un piano di assistenza in cui indicare gli impegni che la famiglia si assume normalmente e le eventuali prestazioni già erogate dal servizio sanitario e/o sociale. Periodicamente l’assistente sociale dovrà verificare l’andamento di questo piano. Agevolazioni lavorative per i caregiver 31 Le norme nazionali che intervengono in materia di rapporti di lavoro prevedono alcune forme di agevolazione per chi è impegnato nell’assistenza a un familiare. I lavoratori possono rivolgersi a un patronato per essere aiutati nella compilazione della domanda di agevolazione. Congedi I congedi biennali retribuiti sono rivolti a chi deve assistere una persona con disabilità (il coniuge, oppure un figlio, oppure un fratello o sorella). I congedi parentali sono rivolti ai genitori: entro i primi otto anni di vita del bambino ci si può astenere dal lavoro fino a 10 mesi. Nei primi sei mesi si riceve il 30% della propria retribuzione. Oltre i sei mesi, l’indennità di congedo si riceve solo se non si supera un determinato reddito complessivo. Inoltre, se il bambino ha una disabilità grave il congedo parentale può essere prorogato fino a tre anni, ma sempre entro i primi otto anni di vita del bambino. In alternativa al congedo, si può chiedere due ore di permesso giornaliero retribuito fino al compimento dei tre anni del bambino, ma ricevendo il 30% della propria retribuzione. I permessi per decesso o grave infermità sono tre giorni di permesso retribuiti ogni anno, previsti in caso di morte o grave infermità del coniuge o di un parente entro il secondo grado. I congedi per gravi motivi familiari sono pari a due anni, che possono essere utilizzati anche in maniera frazionata. La famiglia in questo caso è anche quella di fatto. I motivi familiari in questione sono: necessità derivanti dal decesso di un familiare e situazioni che richiedono un impegno particolare nella cura o nell’assistenza di un familiare. I permessi mensili retribuiti consistono in tre giorni di permesso mensile, ai quali ha diritto chi deve accudire un familiare con disabilità grave. Anticipazione del trattamento di fine rapporto Il codice civile (articolo 2120) prevede vari casi in cui è possibile ottenere l’anticipazione del trattamento di fine rapporto (TFR), per esempio nei casi in cui vi è grave malattia del lavoratore o di un familiare. Agevolazioni rispetto alle condizioni di lavoro I commi 5 e 6 dell’articolo 33 della L. 104/1992 prevedono che il genitore o il familiare lavoratore, nonché il lavoratore disabile stesso possano scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, se questo è possibile. Le stesse norme proibiscono di trasferire il genitore o il familiare o il lavoratore disabile stesso in una sede di lavoro più lontana senza il loro consenso. Inoltre, essi non possono essere obbligati ad effettuare lavoro notturno e hanno il diritto di trasformare il proprio contratto di lavoro da full time a part time. Assistenza domiciliare In cosa consiste L’assistenza domiciliare permette alla persona di rimanere nel proprio domicilio e nel proprio contesto familiare per ricevere le cure e l’assistenza necessarie, contemporaneamente sollevando parzialmente la famiglia dal carico assistenziale. L’assistenza domiciliare è svolta da personale OSS che aiuta nella cura personale, nel tenere pulita la casa, nello sbrigare le pratiche burocratiche, nel fare la spesa e preparare i pasti, nel lavare la biancheria (presso lavanderie centralizzate) e, inoltre, accompagna la persona negli spostamenti in città. 32 Servizio di formazione all’autonomia È un servizio rivolto a giovani con disabilità medio-lieve e ha lo scopo di accrescere le loro capacità, valorizzando l’autonomia personale e favorendo l’inserimento lavorativo. Tramite il servizio di formazione all’autonomia le persone acquisiscono competenze quali muoversi autonomamente nella zona di residenza e si rendono autonome dalla famiglia, per esempio imparando a cucinare. Inoltre, questo servizio mira a potenziare le risorse cognitive e le abilità della persona, in vista di un inserimento lavorativo. Si possono svolgere delle esercitazioni per insegnare un lavoro al disabile, oppure accompagnarlo in contesti esterni all’abitazione, per esempio in una biblioteca o un maneggio di cavalli, in modo che la persona impari come si fanno determinate cose. Si tratta di un percorso personalizzato, realizzato di concerto con la famiglia. In Lombardia questo servizio è di competenza dei comuni che possono, farlo gestire a organizzazioni accreditate. Invece, in altre regioni, il servizio di formazione all’autonomia è solo un’iniziativa del Terzo Settore. Servizi residenziali per disabili In cosa consistono L’assistenza di tipo residenziale si effettua in strutture funzionanti 24 ore al giorno tutti i giorni. Le comunità alloggio socio-sanitarie ospitano fino a 6 persone dotate di una certa autonomia. Al contrario, le residenze sanitarie assistenziali possono ospitare fino a 60 persone portatrici di disabilità gravi. I requisiti per l’accesso sono l’inesistenza di un nucleo familiare o l’impossibilità per la famiglia di prendersi cura del disabile, il cui grado di autonomia residua non è sufficiente a permettergli di stare solo neanche per poche ore al giorno. In genere, però, i familiari non chiedono mai il servizio residenziale, nonostante la loro stanchezza e insofferenza, come si deduce dal fatto che questo tipo di richiesta arriva all’attenzione del servizio sociale solo quando si verifica un’emergenza. Per evitare questo, bisogna sensibilizzare le famiglie a iniziare il percorso di inserimento in struttura molto prima. Attivazione, avvio, monitoraggio del collocamento in struttura Dapprima il servizio sociale riceve una richiesta da parte dell’interessato o dei suoi familiari. In seguito a tale richiesta egli avvia una procedura di valutazione multidimensionale coinvolgendo la UVM. Poi si identifica la struttura più adatta, in base ai posti disponibili e alle preferenze del disabile e della famiglia. L’assistente sociale si reca nella struttura per avere un colloquio con il responsabile e gli operatori. Nel periodo che precede l’inserimento l’assistente sociale deve fare in modo che il cambiamento non sia un’occasione di turbamento per il disabile, per cui aiuterà i suoi familiari a spiegargli la situazione (se necessario può chiedere l’aiuto di qualche operatore esterno alla famiglia ma che già conosce il disabile). È anche opportuno organizzare una visita della famiglia e del disabile stesso alla struttura. In questa occasione essi possono rendersi conto di come funziona la struttura, come ci si regola per le visite, ecc. Il momento dell’inserimento è poi seguito da un periodo di conoscenza in cui prepara un piano educativo personalizzato. L’assistente sociale, in seguito, dovrà monitorare la situazione con colloqui periodici. Copertura dei costi e compartecipazione alla spesa 35 Le strutture residenziali per disabili sono gestite, in genere, da organizzazioni di Terzo Settore accreditate dal comune. Oppure da aziende pubbliche di servizi alla persona. Il pagamento della retta è diviso tra utente, ASL e comune. Servizi residenziali per anziani Diversi tipi di servizi residenziali La casa di riposo (o residenza assistenziale per anziani autosufficienti) è destinata ad anziani autosufficienti ma che necessitano di una limitata assistenza infermieristica e non possono essere assistiti dalla famiglia né vogliono stare soli. Nelle case di riposo si offre un servizio di tipo alberghiero e assistenza di base, come l’aiuto nell’igiene personale. Sono previste anche attività di animazione e socializzazione. Le case albergo (o comunità alloggio/alloggio protetto) sono delle abitazioni destinate a una o più persone. È previsto un servizio di portineria per controllare che l’utente rincasi. Inoltre, si effettua il servizio lavanderia e la pulizia dell’alloggio, nonché assistenza infermieristica e prestazioni di riabilitazione, se necessario. In genere gli ospiti sono anziani non completamente autosufficienti. Le residenze assistenziali flessibili (RAF) sono a metà strada tra una casa di riposo e una residenza sanitaria assistenziale (v. sotto). Gli ospiti sono anziani non autosufficienti che non è possibile assistere a domicilio, ma che non hanno bisogno di tutte le prestazioni tipiche di una residenza sanitaria assistenziale. Le residenze sanitarie assistenziali (RSA) sono dedicate ad anziani non autosufficienti che non è possibile assistere a domicilio e, in più, necessitano di un trattamento sanitario e assistenziale continuo. Si distinguono dagli ospedali, perché nelle RSA si cerca di rispettare i ritmi quotidiani di ciascun anziano, ad esempio lasciando libertà di scelta sull’orario dei pasti e su quali attività sociali e ricreative svolgere. Le residenze socio-sanitarie (o residenze protette) sono destinate ad anziani non autosufficienti e sono dotate di personale medico e infermieristico specializzato. L’obiettivo di queste residenze è ottenere il massimo recupero possibile delle capacità psico-motorie degli ospiti. Il collocamento in RSA L’anziano può fare richiesta al servizio sociale del comune o all’ASL. Se nel momento in cui vuole fare richiesta si trova in ospedale, la gestione della richiesta spetta al servizio sociale dell’ospedale. È necessario effettuare una UVM. Nel caso questa valutazione dia esito positivo, la persona anziana viene inserita in una graduatoria di accesso sulla base sia del suo grado di salute e autonomia che del contesto abitativo e familiare. La RSA deve essere individuata in base ai posti disponibili e alle esigenze dell’anziano. È un momento delicato, specialmente per i figli, che devono scegliere il luogo, sapendo che probabilmente è anche quello in cui il genitore morirà. Per questo, la famiglia non va lasciata sola, bensì accompagnata nella scelta, anche fornendo degli opuscoli informativi sulle strutture oppure organizzando una visita. Il periodo che va dalla domanda di inserimento all’inserimento effettivo può anche essere lungo. L’assistente lo sfrutterà per spiegare all’anziano la situazione, perché è molto importante che egli sia soddisfatto di essere collocato in una RSA. Al momento dell’ingresso vero e proprio l’anziano sarà accolto dal responsabile e/o da un infermiere, che gli faranno visitare il luogo. Bisogna anche valutare l’opportunità di un inserimento graduale, ma la cosa più importante è che i familiari siano costantemente presenti almeno nei primi 36 giorni. Concluso l’inserimento, gli operatori esaminano le condizioni psico-fisiche dell’anziano e cercheranno di conoscerlo meglio, per esempio i suoi gusti in fatto di cibo. Può essere utile la presenza dell’assistente sociale in questi momenti. Poi si elabora un piano di assistenza individualizzato finalizzato alla riabilitazione globale o a quella di mantenimento, nei casi in cui non è possibile alcun tipo di recupero. Il piano, inoltre, è focalizzato alla riattivazione psico-sociale dell’anziano, allo scopo di non farlo sentire isolato. Infine, è molto importante impedire tutti quei disturbi connessi all’immobilità (per esempio, le piaghe da decubito). Copertura dei costi e compartecipazione alla spesa Le RSA possono essere pubbliche o private (per esempio gestite da cooperative). La retta è divisa in due parti, una alberghiera e una sanitaria. La valutazione UVM, fra le altre cose, ha lo scopo di stabilire se la parte sanitaria deve essere pagata dall’ASL. La parte alberghiera è a carico dell’utente ed è circa la metà del totale, arrivando a costare anche 100 euro giornalieri. In base alle condizioni reddituali dell’utente il comune può pagare la parte alberghiera in tutto o in parte. Servizi semiresidenziali per anziani Centri diurni Il centro diurno è riservato ad anziani discretamente autosufficienti. Nel centro essi trovano servizi di igiene e cura della persona, parrucchiere ed estetista. Il centro fornisce assistenza continuativa e cerca di promuovere la socializzazione. La frequenza di un centro diurno consente all’anziano di rimanere nel suo domicilio, ma allo stesso tempo alleggerisce la famiglia di alcuni compiti di cura. I centri diurni sono gratuiti o con una retta modesta, ma per prestazioni specifiche l’utente deve partecipare alle spese. Centro diurno integrato Esso è rivolto ad anziani non autosufficienti oppure che rischiano di perdere la propria autosufficienza, quindi che presentano problematiche difficilmente gestibili a domicilio, ma non così gravi da giustificare l’ingresso in una RSA. Nel centro diurno, quindi, l’anziano usufruisce di prestazioni sanitarie apposite. Ciò serve a permettergli di essere seguito senza dover abbandonare la propria casa. I principali servizi offerti dal centro diurno integrato sono: servizio di accompagnamento al/dal servizio, pasti, fisioterapia, igiene della persona, assistenza infermieristica, attività di socializzazione e animazione. L’accesso avviene dopo la valutazione multidimensionale. Il costo è in gran parte sostenuto dal fondo sanitario regionale, così la somma che spetta all’utente è ridotta. Centro anziani È un centro con funzioni di aggregazione sociale, dotato di bar, biblioteca, sala conferenze e impianti sportivi. Sono finanziati dai comuni e l’accesso è libero. Cure palliative Le cure palliative sono interventi terapeutici e assistenziali finalizzati alla cura dei malati terminali. L’aspetto fondamentale è ridurre il dolore e alleviare i problemi psicologici, in modo da restituire la dignità al malato. In Italia esse sono regolate dal D.M. 28/9/1999 (Programma nazionale per la 37 CAPITOLO 7 INTERVENTI PER PERSONE NON AUTOSUFFICIENTI O CON DISABILITÀ (4): ACCERTAMENTI, INDENNITÀ ECONOMICHE E AGEVOLAZIONI A differenza delle misure di cui si è parlato nel cap. 3 (difficoltà di reddito e alloggio) e di alcuni interventi del cap. 6, i sussidi e le agevolazioni di questo capitolo sono diritti soggettivi, cioè prestazioni a cui la persona ha assolutamente diritto, se possiede i requisiti. Invece, nei capitoli precedenti si era parlato di prestazioni che costituiscono interessi legittimi, cioè che possono essere erogate solo se l’ente ha la disponibilità economica sufficiente. L’assistente sociale non è chiamato in causa nell’erogazione delle indennità economiche e delle agevolazioni di cui parleremo ora. Tuttavia, può inviare l’utente a un patronato o a un CAF, affinché egli possa essere aiutato a richiedere indennità e agevolazioni. Accertamento dell’invalidità civile (L. 118/1971) L’invalidità è la difficoltà a svolgere alcune funzioni tipiche della vita quotidiana a causa di una menomazione o di un deficit fisico (anche a carico di vista e udito), psichico o intellettivo. L’invalidità civile è l’invalidità che non è stata causata dalla professione svolta, né da azioni di guerra. Essa viene espressa con una percentuale: è invalido colui che ha una menomazione che compromette di almeno un terzo la sua capacità lavorativa. Se, però, la persona è minorenne o ha più di 65 anni si considera invalida se la sua menomazione compromette la possibilità di svolgere le azioni normali alla sua età. A cosa serve l’accertamento dell’invalidità Con il riconoscimento dell’invalidità si ha diritto a ottenere provvidenze economiche (es.: pensioni) che variano in base al reddito dell’interessato e alla gravità della sua menomazione. Inoltre, si ha diritto ad agevolazioni fiscali e lavorative, agevolazioni per l’assistenza sanitaria e per la mobilità. Come viene effettuato l’accertamento L’interessato o chi lo rappresenta legalmente (per esempio un genitore) fa domanda di riconoscimento dell’invalidità all’INPS. Tale domanda può essere inviata telematicamente oppure affidata a un patronato sindacale o CAF, affinché sia trasmessa all’INPS. Lo status di invalido civile, cieco civile e sordomuto può avvenire anche se l’interessato è deceduto, perché in tal caso i benefici economici arretrati saranno concessi ai suoi eredi. La persona interessata deve essere esaminata da una commissione medica dell’ASL. Chi riceve il riconoscimento dell’invalidità può in seguito presentare anche richiesta di aggravamento seguendo il medesimo procedimento. Accertamento dell’handicap (L. 104/1992) L’handicap è la situazione di svantaggio sociale dipendente dalla disabilità o menomazione e dal contesto sociale in cui una persona vive. L’handicap è considerato grave quando la persona ha 40 bisogno di assistenza continuativa e permanente non solo per se stesso, ma anche per continuare ad avere relazioni sociali. La persona che presenta una menomazione può ottenere sia la certificazione di invalidità civile, sia quella di handicap, sia quella di disabilità. A cosa serve la certificazione di handicap Il possesso della certificazione di handicap non dà diritto a provvidenze economiche, ma consente di detrarre dalle tasse le spese di assistenza e di abbattimento delle barriere architettoniche nella propria abitazione. Inoltre, le persone con handicap certificato sono esentate dal pagamento del bollo auto se l’handicap è di natura motoria. Come viene effettuato l’accertamento Si segue lo stesso procedimento visto per l’invalidità civile e anche in questo caso la persona deve essere esaminata dalla commissione della ASL. Accertamento della disabilità (L. 68/1999) L’accertamento della condizione di disabilità ha lo scopo di agevolare la ricerca di un posto di lavoro appropriato alla persona disabile, attraverso servizi quali il collocamento mirato. Tutte le persone affette da minorazioni fisiche e psichiche, i portatori di handicap intellettivo con un riconoscimento dell’invalidità civile superiore al 45% e le persone con cecità o sordomutismo possono chiedere di essere sottoposte a questo accertamento. Come viene effettuato Il procedimento per chiedere l’accertamento della propria disabilità è il medesimo visto precedentemente. In particolare, la commissione della ASL elabora una diagnosi che stabilisce lo stato psico-fisico e sensoriale della persona, il suo profilo socio-lavorativo e una relazione conclusiva che contiene suggerimenti riguardanti l’inserimento lavorativo e il mantenimento del posto di lavoro. La ASL trasmette una copia della relazione alla persona disabile e alla commissione provinciale per le politiche del lavoro. Inoltre, la stessa commissione deve ripetere l’accertamento qualora le condizioni del disabile risultino aggravate (in questo caso, l’accertamento può essere richiesto anche dal datore di lavoro del diretto interessato). Indennità economiche assistenziali Le indennità economiche di tipo assistenziale sono quelle a cui la persona ha diritto per il fatto di presentare determinati requisiti di invalidità ed eventualmente basso reddito. Il pagamento di queste indennità spetta all’INPS. Pensione di inabilità (o invalidità civile) La pensione di inabilità spetta agli invalidi civili adulti (18-65 anni) che siano totalmente inabili al lavoro e in stato di bisogno economico. L’importo è di 279 euro mensili per 13 mensilità. Questa pensione può essere cumulata solo all’indennità di accompagnamento. Quando la persona compie 65 anni la pensione di inabilità si trasforma in assegno sociale. 41 Indennità di accompagnamento Questa misura assistenziale è stata introdotta dalla L. 18/1980. È un sostegno economico statale erogato alle persone che hanno un’invalidità del 100% e non possono camminare senza accompagnatore, oppure necessitano di assistenza continua, perché non sono in grado di svolgere le attività quotidiane. L’indennità di accompagnamento non è collegata ai limiti di reddito o di età e viene erogata anche se la persona lavora. Essa è pari a 504 euro mensili per 12 mensilità. Inoltre, spetta anche se la persona si trova in una struttura residenziale a pagamento. Tuttavia, se la necessità di assistenza è solo temporanea, l’indegnità di accompagnamento non viene concessa. Essa spetta inoltre ai ciechi assoluti, alle persone che devono eseguire la chemioterapia ma non possono recarsi da sole in ospedale e alle persone con morbo di Alzheimer. Assegno mensile di assistenza Si tratta di una misura di assistenza che spetta agli invalidi civili adulti che hanno una capacità lavorativa ridotta del 74%, che non lavorano e che hanno un reddito annuo non superiore ai 4.795 euro all’anno. Non può essere cumulato ad altre pensioni di invalidità. L’importo è pari a 279 euro mensili per 13 mensilità. Indennità mensile di frequenza Si tratta di una misura assistenziale erogata ai minorenni invalidi civili che abbiano un reddito annuale non superiore ai 4.795 euro e ha lo scopo di permettere al giovane di frequentare la scuola o un centro di addestramento professionale, ma anche le strutture per la riabilitazione. L’importo è di 279 euro mensili e viene erogato solo nei mesi di frequenza scolastica. Indennità economiche previdenziali Le indennità di tipo previdenziale sono quelle a cui la persona ha diritto in quanto è invalida ma, prima di diventarlo, aveva lavorato e quindi aveva versato dei contributi previdenziali. Queste indennità sono pagate dall’INPS. L’importo dipende dall’inquadramento del lavoratore e da quanti contributi aveva versato. L’assegno ordinario di invalidità lavorativa viene erogato a chi subisce una riduzione pari a due terzi della propria capacità lavorativa e ha versato almeno cinque anni di contributi, mentre la pensione di inabilità lavorativa è concessa a chi ha un’invalidità del 100% e ha versato almeno 5 anni di contributi. Esenzione ticket sulle prestazioni diagnostiche e sui farmaci Esenzione dal ticket per invalidità Gli invalidi civili e gli invalidi del lavoro non pagano il ticket oppure lo pagano in maniera ridotta, a seconda delle regioni. Esenzione dal ticket per malattia Chi soffre di una malattia cronica o invalidante di una patologia oncologica, oppure è in attesa di trapianto o è un tossicodipendente in terapia con il metadone ha diritto ad esenzione totale o parziale dal ticket. Agevolazioni fiscali I disabili e le persone non autosufficienti godono di alcune agevolazioni, come la detrazione dalle tasse delle spese per i figli disabili, spese per acquisto e mantenimento del cane guida, spese per 42 restino affidati a entrambi i genitori e determina tempi e modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore. Se questo non è possibile, il giudice deve scegliere a quale dei due genitori affidare i figli in via esclusiva. Ma anche in questo caso, salvo che il giudice non decida diversamente, tutte le decisioni importanti sui figli devono essere prese da entrambi i genitori. Infatti, il genitore non affidatario deve continuare a vigilare sull’istruzione ed educazione dei bambini e può rivolgersi al giudice, se ritiene che l’altro genitore abbia preso decisioni nocive per loro. Il genitore non affidatario, inoltre, è tenuto a versare un assegno di mantenimento per i figli e a partecipare alle spese straordinarie (per esempio quelle mediche). Per emanare tutti questi provvedimenti, il giudice può rivolgersi ai servizi sociali, affinché compiano un’indagine sulla situazione. Inoltre, è consigliabile la presenza dell’assistente sociale se il giudice vuole ascoltare personalmente il parere dei minori. Separazione giudiziale Si ricorre alla separazione giudiziale se non vi è accordo tra i coniugi. Anche in questo caso, il giudice, per prendere le decisioni del caso, può avvalersi di operatori del servizio sociale e di psicologi, oppure può incaricare il servizio sociale di svolgere un’indagine psico-sociale sui coniugi e dei figli minori. Qualora il conflitto tra i coniugi sia così acceso da essere dannoso per i figli minori, il giudice può affidarli al servizio sociale. Anche se essi restano a vivere con uno dei due genitori, è il servizio sociale a gestire gli incontri con l’altro genitore. Inoltre, l’assistente sociale può consigliare al giudice le decisioni da prendere in merito al percorso scolastico, alla salute e alle vacanze dei minori. In caso di conflitti particolarmente gravi, oppure quando uno dei due genitori potrebbe mettere in pericolo i minori, il servizio sociale fa in modo che le visite di questo genitore avvengano in forma protetta. Tuttavia, è importante che l’assistente sociale non faccia sentire troppo il peso della sua autorità durante i contatti con la famiglia: è preferibile che tutte le persone interessate si sentano coinvolte e non dominate. Ciò è importante per diminuire il conflitto. Non bisogna dare l’impressione di essere alleati di uno dei due genitori. Al contrario, essi vanno aiutati a focalizzarsi solo sui bisogni dei figli. Le famiglie di fatto La L. 219/2012 e il D.Lgs. 154/2013 hanno parificato la situazione giuridica dei figli nati fuori dal matrimonio, equiparandola a quella dei figli nati all’interno di un matrimonio, sia dal punto di vista dei diritti (es.: diritto di successione) sia nelle procedure in caso di separazione dei genitori. Quindi, anche in questo caso ci si deve rivolgere al Tribunale ordinario (mentre prima decideva il Tribunale dei Minori). La mediazione familiare La mediazione è un processo attraverso il quale due o più parti si rivolgono a una terza neutrale – cioè il mediatore – per ridurre gli effetti indesiderabili di un conflitto. In particolare la mediazione familiare mira a ristabilire il dialogo all’interno della coppia, in modo che si ristabilisca un corretto modo di relazionarsi, soprattutto per il bene dei figli. Il mediatore non deve cercare la soluzione al posto dei genitori, ma solo accompagnarli mentre cercano essi stessi una soluzione. 45 Cosa la mediazione familiare non è La mediazione familiare non è una terapia né un mezzo per salvare il matrimonio. Non è neppure un arbitrato, perché l’arbitraggio è un processo mediante il quale due o più parti si rimettono alla decisione di una terza parte. Inoltre, la mediazione familiare non è una consulenza legale, perché il mediatore non può sostituirsi all’avvocato o allo psicologo. Casi in cui proporre la mediazione familiare La mediazione familiare non può funzionare in tutti i casi e quindi è consigliabile solo a quelle coppie che, pur vivendo un conflitto acceso, sono consapevoli dell’importanza di ritrovare un equilibrio tra di loro in quanto genitori e si fidano reciprocamente della loro capacità di badare ai figli. Inoltre, è consigliabile quando i due coniugi, nel corso della separazione, sono già a riusciti a risolvere altri tipi di controversie, per esempio economiche. Infine, si consiglia a quelle coppie che non si attaccano tra di loro denunciandosi o querelandosi. Non è invece possibile iniziare un percorso di mediazione familiare se solo uno dei due coniugi vuole intraprenderlo. Gli invianti L’invio in mediazione può essere effettuato da molti soggetti diversi: conoscenti che l’hanno già fatto, avvocati, psicologi e operatori sociali che già conoscono la coppia. La qualifica di mediatore La professione di mediatore può essere svolta solo da una persona in possesso di una formazione specifica acquisita in ambito universitario o tramite un percorso formativo accreditato. Possono svolgere, dunque, tale funzione avvocati, psicologi, assistenti sociali ed educatori che abbiano conseguito un’apposita specializzazione. Attivazione del gratuito patrocinio La procedura di separazione giudiziale comporta il bisogno di essere assistiti da un avvocato. Se gli interessati non dispongono del denaro necessario, lo Stato copre il costo dell’assistenza legale. Infatti, il gratuito patrocinio è un diritto riconosciuto dall’art. 24 della Costituzione e consiste nel fornire assistenza legale gratuita. Esso è previsto per le cause civili e amministrative, per le cause penali e del lavoro, per impugnare il decreto di espulsione di uno straniero e per chiedere al Garante la tutela dei propri dati personali. La domanda va presentata dall’interessato al Consiglio dell’Ordine degli avvocati della città in cui ha sede il Tribunale in cui si deve comparire. Gratuito patrocinio e servizio sociale Il servizio sociale non ha responsabilità specifiche nell’avvio della procedura per attivare il gratuito patrocinio, però svolge un’importante funzione nell’informare i cittadini meno abbienti dell’esistenza di questa possibilità. In alcuni casi, può essere necessario che l’assistente sociale accompagni personalmente la persona all’Ordine degli Avvocati e la aiuti a compilare i moduli. Ciò avviene, ad esempio, quando la persona non conosce bene l’italiano o non è in grado di arrivare da solo agli uffici dell’Ordine. Interruzione volontaria di gravidanza 46 L’interruzione volontaria di gravidanza è disciplinata dalla L. 194/1978. Per richiederla ci si può rivolgere al consultorio, oppure a un medico di fiducia o a un medico ospedaliero. In consultorio è previsto un colloquio con un assistente sociale e/o uno psicologo, in cui la donna espone il motivo per cui ha richiesto l’IGV. L’assistente sociale può illustrare alcune alternative e anche gli aiuti che la donna potrebbe ricevere dopo il parto. Se la donna lo desidera, a questo colloqui può essere presente anche il padre del concepito. Ma se la donna rimane ferma nel proposito di ricorrere a IGV, viene visitata dal ginecologo del consultorio, il quale deve accertare lo stato della gravidanza e da quanto tempo essa è iniziata. L’IGV deve avere luogo dopo 7 giorni da questa visita in day hospital. È una prestazione gratuita e dal 2010 si può effettuare senza intervento tramite pillola abortiva. Procedimento per l’IGV da parte di una minorenne Il minorenne, a qualsiasi età, può accedere ai consultori familiari e ottenere prescrizioni contraccettive all’insaputa dei genitori e garantendogli anonimato. Infatti, nei consultori è attivo il cosiddetto “spazio adolescenti”, cioè un giorno o un orario dedicato esclusivamente ai giovani. La L. 194/78 prevede che, se chi richiede l’IGV è una ragazza minorenne, bisogna avere il consenso di entrambi i genitori. Tuttavia, nel caso solo uno dei genitori sia d’accordo oppure la ragazza non voglia coinvolgere nessuno dei due, dovrà ottenere l’autorizzazione all’IGV dal giudice tutelare. Questa procedura richiede che un assistente sociale invii al giudice una relazione sulla situazione e sulle motivazioni della ragazza. Ma, prima di redigere la relazione, l’assistente sociale, eventualmente insieme a uno psicologo dovrà effettuare alcuni colloqui con la ragazza, anche per cercare di capire perché non vuole informare i genitori e per aiutarla a vincere i propri timori (a volte, da tali colloqui, emerge un contesto familiare violento). Inoltre, questi colloqui sono mirati a individuare chi, nel contesto sociale della ragazza, possa essere considerato una figura di riferimento, per poterla accompagnare in ospedale e sostenerla in un momento così delicato. La relazione da inviare al giudice tutelare dovrà contenere i dati anagrafici della minorenne, la descrizione della sua situazione familiare, il suo livello di istruzione e/o condizione lavorativa, motivazioni per cui non è possibile coinvolgere i genitori, motivazioni per richiedere l’IGV. L’assistente sociale accompagnerà la ragazza in udienza per essere ascoltata dal giudice, poi egli deciderà se concedere o meno l’autorizzazione. Il diritto di non riconoscimento alla nascita La donna, anche coniugata, ha la possibilità di non riconoscere il bambino al momento della nascita e di lasciarlo in ospedale nel più assoluto anonimato. Ha dieci giorni di tempo a partire dal parto per decidere, trascorsi i quali la situazione di abbandono viene segnalata alla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni che apre un procedimento di adottabilità. Il non riconoscimento è una misura alternativa all’IGV che può essere consigliata alla donna dal consultorio familiare. Consulenza orientativa per madri nubili Il consultorio può monitorare e sostenere i progetti di vita di donne che si trovano a portare una gravidanza da sole, senza l’appoggio del padre del bambino e nemmeno della propria famiglia. Il consultorio non dispone di risorse economiche proprie per avviare interventi di aiuto, ma può fornire tutte le informazioni per richiedere questi aiuti ai servizi competenti. Per esempio, c’è un contributo finalizzato al mantenimento del figlio fino all’età di 14 anni. 47 CAPITOLO 9 OBBLIGO DI ISTRUZIONE, INTEGRAZIONE SCOLASTICA E INTEGRAZIONE LAVORATIVA Obbligo di istruzione e procedure in caso di inadempienza L’obbligo di istruzione fino a 16 anni e l’obbligo formativo fino a 18 anni sono stati introdotti dalla L. 296/2006, art. 1, comma 622. In particolare, l’obbligo formativo va dai 16 ai 18 anni e si tratta dell’obbligo di conseguire una formazione, ottenendo il diploma o la qualifica professionale. I percorsi possibili sono i seguenti: scuola, formazione professionale, lavoro. Interventi del servizio sociale nei casi di elusione dell’obbligo di istruzione I genitori dei minori o coloro che ne fanno le veci sono responsabili dell’obbligo di istruzione e formazione. Il comune, il dirigente dell’istituzione scolastica e i soggetti che assumono i giovani con il contratto di apprendistato sono tutti tenuti a vigilare sull’adempimento di questo dovere da parte della famiglia. Infatti, in presenza di ripetute assenze ingiustificate nell’anno scolastico, il dirigente, sentito il consiglio di classe, dovrà assumere un’iniziativa idonea a contrastare il fenomeno, per esempio informando il sindaco. Egli, a sua volta, deve ammonire i genitori del minore, invitandoli a rispettare la legge. È anche opportuno che il sindaco avverta i servizi sociali, in modo che possano individuare le iniziative più opportune per fare in modo che il minore continui a frequentare la scuola. A tal proposito, l’assistente sociale deve subito convocare la famiglia e spiegare bene in che cosa consiste l’obbligo di istruzione. Ad esempio, può trattarsi di una famiglia straniera che non ha compreso bene le leggi vigenti nel nostro Paese. È sempre opportuno capire il motivo per cui il ragazzo frequenta solo saltuariamente la scuola. Potrebbe darsi che il suo percorso scolastico sia sempre stato complicato e irto di difficoltà che il ragazzo non ha più il coraggio di affrontare. Una delle situazioni più comuni è che, a causa della precarietà economica della famiglia, il ragazzo, invece di andare a scuola, lavora in nero. Un’altra situazione comune è quella dell’abbandono: in questo caso il minore vive in una famiglia dove esiste un problema di tossicodipendenza o salute mentale e nessuno si occupa di lui. Una volta che l’assistente sociale ha valutato la situazione, si può pensare a un nuovo percorso scolastico o formativo. Ad esempio, se il problema risiede nella povertà della famiglia, il progetto di aiuto potrà prevedere il collegamento con il Centro per l’impiego, un contributo economico finalizzato a sostenere le spese del percorso formativo (per esempio, i pasti fuori casa) e l’affiancamento di un educatore per un breve periodo. Saranno necessari molti colloqui con la famiglia per monitorare l’andamento della situazione nonché l’inserimento della famiglia stessa in un gruppo di auto/mutuo aiuto dedicato ai problemi educativi e alla relazione genitori/figli. Si tenga presente che, certe volte, l’abbandono scolastico è spia di una condizione di sofferenza molto grave: se l’assistente sociale incontra una famiglia che non vuole stabilire una relazione vantaggiosa con i servizi sociali e, anzi, manifesta apertamente disinteresse per ciò che fa il ragazzo, non è possibile attivare un progetto di aiuto. In casi come questi, l’assistente sociale deve segnalare la situazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minori. Tirocinio formativo 50 L’utilizzo del tirocinio formativo è utilizzato per l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate, ma è aperto a tutti coloro che, già inseriti in un percorso scolastico o formativo, abbiano necessità di imparare sul campo. A proporre il tirocinio possono essere soggetti pubblici e privati come università, scuole e cooperative sociali. Il tirocinio non è un lavoro subordinato, quindi non devono esserci costi a carico dell’organizzazione che lo offre. La sua durata non può superare i 12 mesi (24 se il tirocinante è un disabile). Contratto di apprendistato L’apprendistato è un rapporto di lavoro nel quale il datore di lavoro è tenuto a impartire la formazione necessaria affinché il lavoratore possa acquisire la capacità tecnica necessaria per acquisire una certificazione. Ci sono tre tipi di apprendistato: 1) apprendistato per l’espletamento dell’obbligo di istruzione e formazione. Esso è rivolto alla fascia di età tra i 16 a i 18 anni; 2) apprendistato professionalizzante che è destinato ai giovani tra i 18 e i 29 anni (può durare fino a sei anni); 3) apprendistato per l’acquisizione di un diploma o di una laurea o altro titolo di studio di alta formazione, anch’esso destinato ai giovani tra i 18 e i 29 anni. Se l’apprendista è portatore di handicap, i limiti di età sono elevati di due anni. Provvedimenti per l’integrazione scolastica delle persone disabili Il diritto all’educazione e istruzione della persona disabile Questo diritto è garantito dagli artt. 2, 34 e 38 della Cost. Inoltre, il diritto all’inserimento sociale dei disabili è garantito dall’art. 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000) e dall’art. 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (ONU, 1948). La L. 517/77 sancisce il diritto di frequentare la scuola come tutti (prima del 1977 i disabili erano isolati in scuole “speciali”). Procedura e documentazione per attivare gli interventi di integrazione scolastica Il percorso di avvio delle misure per l’integrazione prevede la produzione di alcuni documenti, innanzitutto, la famiglia del bambino disabile deve farsi rilasciare dalla ASL la certificazione di handicap, che va consegnata a scuola prima dell’iscrizione. A questo punto il consiglio di classe, con l’aiuto di esperti della ASL, redice il PEI (Piano educativo personalizzato), nel quale vengono descritti gli interventi didattico-educativi riservati al minore disabile, mirati alla sua istruzione, riabilitazione e socializzazione. Nel PEI si dà molta attenzione ai bisogni del minore in questione e alle prestazioni a lui riservate (per esempio, la somministrazione di farmaci), agli obiettivi educativi/riabilitativi, alla socializzazione, all’apprendimento, alle attività extrascolastiche (per esempio le gite), ai metodi e materiali adatti per realizzare gli obiettivi e, infine, a come valutare il PEI stesso. Il PEI può anche prevedere, eventualmente, la riduzione dell’orario scolastico per l’alunno portatore di handicap. Le competenze della scuola riguardo agli alunni disabili L’attività di sostegno all’alunno disabile è svolta mediante l’assegnazione di uno o più insegnanti di sostegno che devono coordinarsi tra loro e rispettare la programmazione didattica generale. Ai sensi della L. 104/92 l’insegnante di sostegno è riservato a quegli alunni che presentino una minorazione 51 fisica, psichica o sensoriale. Inoltre, la scuola deve offrire l’assistenza di base al disabile, intesa come aiuto per attività quali l’uso dei servizi igienici. L’assistenza di vase è uno specifico compito dei collaboratori scolastici. Le competenze degli enti locali riguardo agli alunni disabili Gli enti locali devono garantire l’adeguamento delle strutture scolastiche alla normativa vigente (per esempio, eliminando le barriere architettoniche). Inoltre, devono garantire il trasporto scolastico per i disabili e l’acquisto di attrezzature specifiche per favorire l’apprendimento da parte delle persone disabili e di arredi scolastici adatti all’utilizzo anche dei allievi disabili. Il personale educativo-assistenziale nelle scuole È compito dell’ente locale fornire assistenza specialistica ai disabili, da svolgersi mediante personale qualificato, come, ad esempio, il traduttore del linguaggio dei segni. Compiti del servizio sociale in relazione al personale educativo-assistenziale La gestione del personale educativo-assistenziale e dei singoli progetti di assistenza agli alunni disabili dovrebbe ricadere sull’Assessorato all’Istruzione, ma – di fatto – se ne occupa il servizio sociale. Quindi, l’assistente sociale si trova a dover monitorare le attività svolte dal personale educativo-assistenziale. La prima cosa da fare è aprire una cartella a nome dell’alunno disabile, poi si effettuano i colloqui con la famiglia e il minore, in modo da valutare il bisogno di assistenza. Infine, bisogna essere presenti a scuola tutte le volte che si discute il progetto di aiuto relativo all’alunno disabile. Gruppi di lavoro A supporto dei processi di integrazione scolastica sono previsti dei gruppi di lavoro. In particolare, per ogni alunno disabile c’è un GO (Gruppo Operativo), costituito dalla famiglia, dal dirigente scolastico, dagli insegnanti oppure dal referente della formazione professionale, se l’alunno in questione sta svolgendo un percorso formativo), da personale della ASL, dall’assistente sociale e/o altri operatori che hanno a che fare con il ragazzo. Il GO deve riunirsi almeno due volte all’anno. Inoltre, c’è il GLH (Gruppo di lavoro di circolo o di istituto), che promuove i progetti delle varie scuole a favore dell’integrazione. Esso è formato dal dirigente scolastico, da un rappresentante dei docenti, un rappresentante della ASL, un rappresentante degli studenti, un rappresentante di tutti i genitori e un rappresentante dei genitori di alunni disabili. Integrazione lavorativa delle persone disabili In genere, gli enti che forniscono servizi socio-assistenziali prevedono al proprio interno il SIL (Servizio per l’Integrazione Lavorativa), che si occupa di aiutare le persone disabili a entrare nel mondo del lavoro. Gli operatori del SIL sono assistenti sociali ed educatori che collaborano con altri servizi, come il Centro psico-sociale. Il SIL si muove su richiesta del disabile e della sua famiglia, oppure su richiesta della scuola al termine dell’obbligo scolastico, oppure su richiesta di altri servizi (per esempio il Centro psico-sociale o la Neuropsichiatria infantile) che già seguono il giovane disabile. L’atteggiamento della famiglia è determinante: una famiglia che ritiene impossibile progettare il futuro e non vede alcuna potenzialità nel giovane finisce per opporsi all’assistente sociale, assumendo un atteggiamento di aperto boicottaggio e di critica verso tutte le proposte, 52 CAPITOLO 10 TUTELA DEI MINORI (1): IL PERCORSO DI AIUTO La titolarità della presa in carico La responsabilità degli interventi sociali di protezione e cura rivolti ai minori spetta al comune di residenza del bambino o dell’adolescente (oppure quello di “presenza” nel caso di minori stranieri non accompagnati). Il comune, a sua volta, esercita questa funzione direttamente oppure tramite un altro ente (per esempio l’ASL o un’organizzazione di Terzo Settore). Segnalazione e valutazione preliminare La rilevazione di condizioni di malessere e disagio, fino ad arrivare a gravi forme di sofferenza nei minori, non è un compito esclusivo dei servizi sociali, dal momento che ogni cittadino è tenuto a segnalare tali disagi (in particolare deve farlo chi per mestiere ha quotidiani contatti con i minori). Ci sono vari modi in cui un assistente sociale può venire a conoscenza di una situazione di difficoltà che coinvolge un minore: può trattarsi di una segnalazione inviata dalla scuola o da altri servizi (per es. quelli sanitari) o dalle forze dell’ordine o dalla famiglia stessa o dai parenti o dai vicini di casa. A seconda dell’origine della segnalazione, l’assistente sociale avrà un approccio al problema leggermente diverso, ma comunque il fine sarà sempre quello di valutare le condizioni in cui vive il minore e cogliere i segnali che aiutano a capire se è sufficiente avviare un percorso con la famiglia oppure occorre allertare l’autorità giudiziaria minorile, affinché si dispongano misure di protezione per il minore. Segnalazione dalla scuola e altre istituzioni educative È di fondamentale importanza che gli operatori sociali che si occupano di disagio minorile collaborino con la scuola e insegnino ai docenti come riconoscere i segnali di disagio. Gli indicatori di trascuratezza, maltrattamento e abuso più facilmente rilevabili a scuola sono: segni di traumi, contusioni e lesioni; rivelazioni – a voce o scritte – di maltrattamento o abuso sessuale (ivi compresi i disegni e le affermazioni che alludono ad atti sessuali e le conoscenze sessuali che non coincidono con l’età del bambino); segnali di trascuratezza (il minore appare denutrito, stanco, fa continue assenze ingiustificate). Altri campanelli di allarme sono la scarsa autostima, il pianto improvviso, la ricerca continua di attenzioni da parte degli adulti, l’igiene approssimativa, l’abbigliamento trascurato, la difficoltà a relazionarsi con gli altri serenamente, i compiti non fatti, il corredo scolastico inadeguato, i continui ritardi al mattino. L’assistente sociale che riceve una segnalazione da parte della scuola deve concordare con gli insegnanti un modo per approcciare la famiglia. Infatti, dovrebbero essere gli insegnanti stessi a consigliare alla famiglia di entrare in contatto con i servizi sociali, spiegando che questo potrebbe essere vantaggioso e fornendo anche orari e recapiti. Tuttavia, se i genitori lo vogliono, il primo colloquio potrebbe avvenire a scuola, coinvolgendo un insegnante di cui si fidano. In seguito, però, sarebbe opportuno avere un altro colloquio solo con i genitori e poi effettuare una visita domiciliare. A volte i genitori rifiutano di entrare in contatto con l’assistente sociale. Altre volte, quando si sospetta che il minore sia vittima di maltrattamenti gravissimo da parte degli stessi genitori, è opportuno non informare la famiglia, per evitare che se la prendono con il bambino. In tal caso bisogna immediatamente avvertire l’autorità giudiziaria. Segnalazione da parte di altri servizi sociali o sanitari 55 La segnalazione di una situazione difficile riguardante un minore può provenire anche da altri servizi sociali o socio-educativi, per esempio il SerT, oppure da un servizio sanitario, ad esempio il Servizio di Salute mentale, ma anche dal pediatra o dal medico di base. In tutti questi casi l’assistente sociale deve verificare con il segnalante se i genitori sono stati informati e se erano d’accordo nell’effettuare la segnalazione. Poi, sempre insieme al segnalante, si esaminano i segnali di rischio. Se è possibile, dovrebbe essere il segnalante stesso a spingere la famiglia a contattare l’assistente sociale. Se la famiglia si rifiuta, il segnalante deve mettere per iscritto la propria segnalazione e fornirla sia al servizio sociale che alla Procura presso il Tribunale per i minorenni. Segnalazione dalle forze dell’ordine Si tratta in genere di segnalazioni relative a fatti di cui le forze dell’ordine sono venute a conoscenza in seguito ai loro interventi, come per esempio l’acceso a una casa in cui era in corso una violenta lite domestica. La segnalazione, nel caso delle forze dell’ordine, è sempre scritta e contiene un invito ai servizi ad approfondire le informazioni sommarie contenute nella segnalazione stessa. In questo modo, l’assistente sociale può contattare la famiglia oggetto della segnalazione, specificando che ciò avviene su precisa richiesta della polizia o dei carabinieri. Inoltre, grazie a questo tipo di segnalazione, l’assistente sociale può subito effettuare una visita domiciliare senza concordarla prima con la famiglia. Obbligo di segnalazione alla Procura presso il Tribunale per i Minorenni Gli assistenti sociali e gli operatori sociali, sanitari o della scuola rientrano nella qualifica di “incaricato di pubblico servizio” e quindi, ai sensi dell’art. 9 della L. 184/83 sono tenuti a segnalare alla Procura del Tribunale per i minorenni che c’è un minore in stato di abbandono. La scheda di segnalazione Si tratta di un modulo che raccoglie i dati essenziali per descrivere il minore a rischio e la natura del problema. La funzione della scheda di segnalazione è di agevolare la comunicazione tra le diverse istituzioni coinvolte, infatti il compito di compilarla spetta alla struttura segnalante, per esempio la scuola. Il destinatario è, invece, il servizio sociale. Richiesta spontanea In questo caso l’assistente sociale è contattato dalla famiglia del minore che si trova in una situazione di disagio. Segnalazione dai parenti o da uno solo dei membri della famiglia Quando il primo contatto con il servizio sociale viene stabilito da un solo familiare, la prima cosa da fare è ascoltare le sue preoccupazioni. Poi l’assistente sociale deve cercare di capire chi altri sia a conoscenza della situazione e cosa ne pensino i genitori. A volte, infatti, questo tipo di segnalazione viene fatta all’insaputa dei genitori e/o degli altri componenti della famiglia. In tal caso, è molto frequente che il familiare che contatta l’assistente sociale abbia un atteggiamento di “denuncia” contro il resto della famiglia e si aspetti che l’assistente sociale stia subito dalla sua parte. Però l’assistente sociale non deve mai assecondare gli atteggiamenti di denuncia e rabbia, ma solo quelli di sincera preoccupazione per il minore, perché solo questo tipo di atteggiamento può condurre alla soluzione del problema. L’assistente sociale dovrà dire alla persona che è venuta a fare la segnalazione che deve convincere i genitori del minore a venire loro stessi. Segnalazione da conoscenti o vicini di casa 56 Questo è uno dei casi più complessi da gestire, perché, una volta ricevuta la segnalazione, l’assistente sociale deve contattare la famiglia segnalata ed è costretto a dire il nome di chi gli ha parlato della situazione. In effetti, sarebbe preferibile che il segnalante accompagnasse personalmente l’assistente sociale al domicilio della famiglia in questione (queste precauzioni servono a essere sicuri che il problema sia vero e non solo il frutto di litigi tra vicini di casa). La valutazione preliminare: possibili esiti Dopo la segnalazione, l’assistente sociale cercherà di incontrare i genitori e il minore. Di solito il primo colloquio viene effettuato in ufficio, solo con i genitori, e poi si fa una visita domiciliare per conoscere anche il bambino/ragazzo. La valutazione preliminare può avere vari esiti. Ad esempio, l’assistente sociale può rendersi conto che la segnalazione ricevuta non corrisponde a realtà. Oppure, può decidere che è meglio avviare un progetto di aiuto, se c’è il consenso dei genitori. Inoltre, ci sono dei casi in cui si è costretti a segnalare la situazione alla Procura per i minorenni, cioè quando si notano segnali di rischio e chi dovrebbe prendersi cura del minore non vuole aiuto dall’esterno oppure quando i genitori rifiutano il contatto con l’assistente sociale oppure in una situazione di emergenza. Indicazioni di base per l’assessment nelle situazioni di tutela minorile: contenuti da prendere in considerazione Ci sono tre categorie di elementi da tenere presente quando si esegue tale tipo di assessment. Assessment dei bisogni Per prima cosa si deve eseguire l’assessment dei bisogni del minore, cioè ciò di cui ha bisogno per crescere bene sul piano fisico, emotivo, cognitivo e sociale. A questo proposito, è utile tenere presente che anche il benessere dei genitori è importante: se i genitori stanno male, ciò incide sulla loro capacità di prendersi cura del figlio. I bisogni del minore riguardano innanzitutto la salute: il minore deve ricevere le appropriate cure mediche e i vaccini quando è necessario, seguire un’alimentazione corretta e fare esercizio fisico. I genitori devono poi occuparsi di farlo sottoporre a periodici controlli dentistici e oculistici. Molta attenzione deve essere posta sul bisogno di istruzione e quello di un corretto sviluppo emotivo e comportamentale. Poi c’è il bisogno di identità, che si riferisce allo sviluppo del senso di sé come individuo dotato di un proprio lavoro, quindi l’assistente sociale dovrà cercare di capire come il minore percepisce se stesso e le proprie capacità. Un altro bisogno molto importante è quello di avere relazioni familiari e sociali buone, sia con i genitori che con i propri coetanei. A ciò è connesso anche il bisogno di acquisire le corrette norme di comportamento, tra le quali vanno inserite anche le pratiche di igiene personale. Infatti, il minore deve imparare ad avere cura di sé, per esempio imparare a vestirsi e a mangiare da solo. Nell’assessment dei bisogni del minore andranno inserite anche tutte le funzioni positive che i genitori dovrebbero compiere nei suoi riguardi. Innanzitutto, si valuta l’accudimento di base, cioè in che modo i genitori provvedono ai bisogni fisici del minore (nutrizione, salute …). Bisogna chiedersi se i genitori si preoccupano che il bambino/ragazzo non soffra il freddo, abbia vestiti puliti e appropriati e un’adeguata igiene personale. Poi si valuta se i genitori si occupano della sicurezza del minore, cioè se lo proteggono dai pericoli e dagli adulti pericolosi. Si deve anche cercare di sapere se i genitori danno affetto e contatto fisico al minore, in modo che si senta amato. Inoltre, i genitori dovrebbero offrire stimoli intellettuali al minore, interagendo con lui, rispondendo 57 Il pediatra è un’ottima fonte, ma bisogna coinvolgerlo solo se siamo convinti che potrebbe darci informazioni che non possiamo recuperare in nessun altro modo (ad esempio se sospettiamo un abuso sessuale). Se il nucleo familiare è già seguito, l’assistente sociale può contattare i servizi che hanno già avuto modo di conoscere la situazione e chiedere un incontro con i rispettivi operatori, ad esempio un neuropsichiatra oppure uno psicologo. Eventuali contatti con altre persone di riferimento Altre possibili forme di informazioni sono le persone con cui il minore e la sua famiglia hanno rapporti regolari, come un nonno o un catechista. La scelta di contattarli è molto delicata, specialmente perché implica il fatto che, in questo modo, queste persone verranno a sapere che la famiglia è seguita dai servizi sociali. Quindi, devono essere contattate solo se siamo davvero convinti che potrebbero offrire informazioni importanti. Contesto sociale Per quanto riguarda le informazioni sul contesto sociale in cui vive il minore, l’assistente sociale farà riferimento a quello che già sa su quello specifico territorio. Il progetto di aiuto Grazie all’assessment si individuano le finalità da raggiungere per migliorare la situazione del minore e si costruisce un progetto d’aiuto intorno a queste finalità. Il progetto deve seguire questo schema: 1. Finalità da raggiungere 2. Azioni previste e tempi di realizzazione (per esempio, interventi del servizio sanitario e azioni positive dei genitori) 3. Criteri e tempi di verifica. Il progetto deve essere realizzato, ove possibile, con la collaborazione dei diretti interessati, perché ciò aumenta le probabilità di successo. Inoltre, il minore andrà ascoltato periodicamente. Il progetto educativo individuale Nel caso in cui il progetto di aiuto preveda che il bambino sia affidato ad altra famiglia o collocato in una casa-famiglia, si deve elaborare un progetto educativo individuale. Esso andrà stabilito anche sentendo il parere del minore e della famiglia che lo prende in affidamento. Nel caso della casa- famiglia, il progetto viene elaborato dagli operatori prima dell’inserimento del minore. Nel progetto si indicano: nome del responsabile della struttura; obiettivi di medio e lungo periodo; interventi; relazioni tra minore, famiglia di origine e famiglia affidataria; collaborazione con altri servizi; tempistica; modalità del monitoraggio e della verifica; come si conclude il progetto (cioè: si dovrebbe prevedere un percorso di accompagnamento del bambino nella fase di rientro nella famiglia di origine). Passaggio del caso ad altro servizio 60 Nel caso in cui la famiglia cambi residenza, il suo “caso” e tutta la relativa documentazione devono passare al servizio sociale del nuovo comune, ma con gradualità, per evitare che la famiglia si trovi all’improvviso senza nessuno che la segua. Attività di vigilanza nei collocamenti residenziali La vigilanza ha lo scopo di verificare 1) che il bambino o il ragazzo allontanati dalla famiglia e inseriti in una famiglia affidataria o in casa-famiglia trovino adeguata accoglienza e soddisfazione dei loro bisogni in un ambiente privo di pericoli per il loro sviluppo, 2) che venga attuato il piano educativo individuale. La vigilanza spetta alle regioni e ai comuni (art. 6, comma 2, L. 328/2000), al servizio sociale titolare del caso (art. 4, comma 3, L. 184/83) e alla Procura minorile (art. 9, L. 184/83). 61 CAPITOLO 11 TUTELA DEI MINORI (2): RAPPORTI CON L’AUTORITÀ GIUDIZIARIA Le competenze dell’autorità giudiziaria in tema di tutela dei minori sono divise tra vari soggetti: Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, Tribunale per i minorenni, procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario e Tribunale ordinario. Ma l’organo più importante di questi quattro è sicuramente il Tribunale per i minorenni, che decide in merito ai ricorsi per adottabilità, decadenza di responsabilità genitoriale, allontanamento dalla famiglia, affidamento ai servizi. Inoltre, può prescrivere misure educative nei confronti di quei minori che hanno una condotta irregolare, non per limitare la responsabilità genitoriale, ma per rafforzarla. Infine, il Tribunale per i minorenni interviene nei casi in cui il minore si sia reso colpevole di un reato. I servizi sociali possono sollecitare l’iniziativa del Pubblico Ministero con una segnalazione. Segnalazioni alla Procura per i minorenni per i procedimenti civili e amministrativi Tutti i cittadini possono segnalare delle situazioni di pregiudizio o abbandono di minorenni. Tuttavia, ai fini del collocamento del minore al di fuori della sua famiglia, l’art. 1, comma 2, della L. 216/1991 precisa che a fare la segnalazione debbano essere i servizi sociali, oppure, gli enti locali oppure le istituzioni scolastiche oppure l’autorità di pubblica sicurezza. Situazioni specifiche che gli operatori sono sempre tenuti a segnalare In alcune situazioni specifiche è previsto che i servizi sociali o sanitari siano obbligati a fare una segnalazione alla Procura per i minorenni. Queste situazioni sono: lo stato di abbandono di un minore (ai fini dell’eventuale dichiarazione del suo stato di adottabilità), l’allontanamento in via di emergenza e collocamento in luogo sicuro (in questo caso l’autorità giudiziaria ha il compito di convalidare la decisione presa dall’assistente sociale), un minorenne che si prostituisce, la proroga di un affidamento familiare o di un collocamento in comunità, minorenne straniero senza genitori e vittima di reati di prostituzione, pornografia minorile, tratta e commercio. Segnalazioni di situazioni di rischio o pregiudizio: quando segnalare Oltre alle situazioni appena elencate ce ne sono altre in cui i servizi sociali e/o sanitari dovrebbero effettuare una segnalazione, vale a dire quando vengono a conoscenza di una situazione di pregiudizio grave o di un pericolo serio di pregiudizio relativi a un minore, nel caso in cui gli interventi sociali e/o sanitari (che comunque devono essere effettuati prima di rivolgersi al giudice) non bastano e occorre un provvedimento giudiziario che incida sulla responsabilità genitoriale. È quindi opportuno procedere alla segnalazione se si ritiene che nell’interesse del minore si debba sospendere la sua relazione con i genitori, quando i genitori non vogliono collaborare con i servizi sociali oppure fanno solo finta di volerlo fare. Infatti, a volte i genitori non vogliono aiuti perché negano i fatti, oppure non li negano ma addossano la responsabilità al minore (“lo maltratto perché se lo merita”), oppure negano che i fatti abbiano conseguenze negative sul minore, oppure non si rendono conto di danneggiare il minore in quanto l’uso di sostanze stupefacenti offusca le capacità di ragionamento. 62 famiglia (perché a volte l’assistente sociale decide di allegare alla relazione un altro documento contenente le osservazioni della famiglia in questione). La relazione La relazione scritta deve riportare gli eventuali interventi assistenziali già messi in campo per la famiglia; le notizie di cui l’assistente sociale e lo psicologo sono venuti a conoscenza; notizie sul minore e sui suoi problemi; il comportamento degli adulti nei suoi riguardi; le possibili azioni da intraprendere che coinvolgano altri familiari che hanno a cuore il bambino/ragazzo. Partecipazione al procedimento giudiziario civile Nel corso di un procedimento civile gli operatori sociali vengono interrogati sulle misure prese a favore della famiglia e sul loro esito. Bisogna portare con sé la cartella sociale in modo da poterla consultare. Ascolto del minore Il D.Lgs. 154/2013 afferma che l’autorità giudiziaria deve ascoltare il bambino o il ragazzo prima di emanare provvedimenti che lo riguardano. Il giudice può effettuare personalmente il colloquio con il minore oppure incaricare gli operatori dei servizi, per esempio l’assistente sociale. Esecuzione dei provvedimenti limitativi della potestà genitoriale Quando il genitore viola i doveri connessi alle sue responsabilità riguardo ai figli il Tribunale per i minorenni può disporre la limitazione della sua responsabilità genitoriale oppure la sua decadenza dalla responsabilità genitoriale oppure la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore. Queste decisioni, però, non vanno intese come punizioni inflitte ai genitori ma solo come misure di protezione del minore, tanto è vero che vengono assunte anche quando il genitore non può occuparsi del figlio per cause indipendenti dalla sua volontà, per esempio una grave malattia. Limitazioni della responsabilità genitoriale, prescrizioni, affidamento al servizio sociale Quando la condotta di uno o entrambi i genitori non è così grave da farli decadere dalla responsabilità genitoriale, ma appare comunque nociva per il figlio, il Tribunale per i minorenni può adottare misure limitative della responsabilità genitoriale sia rispetto all’attività educativa sia rispetto alle funzioni di rappresentanza (come per esempio l’iscrizione a scuola e il dialogo con gli insegnanti). Inoltre, si può disporre l’allontanamento di casa del figlio o del genitore. I genitori ricevono dal Tribunale per i minorenni delle prescrizioni, cioè l’ordine di tenere una condotta positiva, di astenersi da tutti i comportamenti che recano pregiudizio al minore e di collaborare con i servizi. Inoltre, è previsto l’affidamento al servizio sociale, cioè i genitori sono tenuti a concordare con l’assistente sociale le principali scelte educative riguardanti il minore e a seguire le sue indicazioni per quanto riguarda l’organizzazione della vita familiare e il comportamento nei confronti del minore. Infine, è possibile che il minore sia allontanato dal suo nucleo familiare per proteggerlo. Le relazioni periodiche all’autorità giudiziaria 65 Quando un minore è affidato al servizio sociale, l’assistente sociale aggiorna periodicamente il Tribunale per i minorenni sulla situazione. Nel caso in cui la sua valutazione sia negativa e ritenga utile modificare il progetto messo in atto, deve inviare una relazione scritta alla Procura della Repubblica per i minorenni. Se, invece, il bambino è stato affidato a una comunità di accoglienza, aggiornare periodicamente l’autorità giudiziaria (che in questo caso è la Procura della Repubblica per i minorenni) è compito della comunità stessa. Se il bambino si trova presso una famiglia affidataria le autorità da aggiornare periodicamente sono: il giudice tutelare (in caso di affidamento consensuale) e il Tribunale per i minorenni (in caso di affidamento coatto). Decadenza dalla responsabilità genitoriale Questo provvedimento è previsto nei casi più gravi (art. 330 del Codice civile). Esso comporta che i genitori perdano ogni diritto nei confronti del figlio – per esempio il diritto di vivere con lui – ma non i doveri (alimenti e mantenimento). Tuttavia, questo provvedimento può anche non comportare l’allontanamento del bambino dalla propria casa: in questo caso non si interrompono i rapporti tra genitori e figlio, ma questi rapporti vengono regolamentati dal Tribunale. In altri casi, il Tribunale, insieme alla decadenza dalla responsabilità genitoriale, può disporre l’interruzione di ogni rapporto tra genitori e figlio (nei casi più estremi ai genitori non viene rivelato nemmeno il nuovo domicilio del figlio). Per i minori i cui genitori siano stati dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale occorre nominare un tutore , che può essere un parente oppure il sindaco (in quest’ultimo caso è l’assistente sociale che si occuperà della gestione del minore). Dichiarazione dello stato di adottabilità La pronuncia è adottata dal Tribunale per i minorenni quando risulta che il minore è privo di cure materiali e morali e i genitori e i parenti non sono in grado di provvedere. L’allontanamento in situazioni di urgenza (art. 403 del Codice civile) L’allontanamento in situazioni di urgenza viene disposto quando si è certi che la permanenza del minore presso i suoi genitori (o altri adulti con cui vive) gli fa correre gravi rischi di maltrattamento e abuso, oppure quando il minore assiste a frequenti litigi violenti tra gli adulti di casa, oppure quando entrambi i genitori vengono incarcerati. Di conseguenza, è una misura che si adotta solo nei casi urgenti in cui non c’è altra soluzione, ma deve essere convalidata da un magistrato della Procura per i minorenni (il quale deve essere reperibile telefonicamente 24 ore su 24). Il servizio sociale che effettua l’allontanamento porta il bambino in un luogo sicuro, redige un verbale e lo invia immediatamente alla Procura della Repubblica per i minorenni o al giudice tutelare (leggere un esempio di verbale a p. 285). Il luogo sicuro in questione è una struttura di pronto intervento specializzata nell’accogliere minori per brevi periodi di tempo, mentre il servizio sociale elabora un progetto per il futuro del bambino, per esempio affido familiare presso parenti. L’allontanamento disposto dal tribunale ordinario Il tribunale ordinario, mentre si occupa della separazione o del divorzio di una coppia, può assumere provvedimenti volti a tutelare i minorenni coinvolti, compreso il loro allontanamento da 66 casa. In tal caso, il Tribunale deve anche fissare quanto a lungo durerà l’affida ad altra famiglia o l’inserimento in una comunità. L’attuazione dell’allontanamento Quando è l’autorità giudiziaria a disporre l’allontanamento del minore, essa incarica i servizi sociali di attuare il provvedimento. Ma in questo caso l’allontanamento deve essere graduale e l’assistente sociale dovrà valutare quale tra queste possibilità è la più fattibile: affidare il minore a un’altra famiglia ove siano presenti coetanei del bambino; affidare il minore a una famiglia priva di figli minori; affidare il bambino a un singolo; affidare il bambino a una comunità. Impugnazione dei provvedimenti civili del Tribunale per i minorenni I provvedimenti del Tribunale per i minorenni sono impugnabili e sottoposti, quindi, all’esame del giudice di secondo grado, la Corte d’Appello, che una sezione specifica per i minorenni. Possono impugnare i provvedimenti del Tribunale per i minorenni sia il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni che i soggetti privati – come i genitori – legittimati a richiedere l’impugnazione. I servizi, invece, non possono fare ricorso, in quanto non fanno parte del processo. Tuttavia, se ritengono che sia doveroso modificare una decisione presa dal Tribunale per i minorenni, possono inviare una relazione scritta alla Procura della Repubblica per i minorenni oppure alla Corte d’Appello. 67 Avvio degli incontri L’operatore del servizio per il diritto di visita e di relazione, prima di arrivare alla realizzazione dell’incontro e dopo avere acquisito tutte le informazioni per una prima comprensione della situazione, effettua incontri preliminari con tutti i soggetti con cui entrerà in contatto. Ciò gli serve per acquisire il loro punto di vista sulla situazione e costruire un rapporto di fiducia. È importante che l’operatore ascolti anche il punto di vista del minore. Colloqui di supporto e verifiche Successivamente, l’operatore fisserà delle riunioni per monitorare l’andamento degli incontri del minore con la sua famiglia. Se l’operatore ritiene che sarebbe meglio modificare le modalità della visita (per esempio, i tempi) deve preparare un resoconto scritto da fornire all’assistente sociale. Compartecipazione alla spesa Non ci sono norme riguardanti la compartecipazione alla spesa nell’ambito della tutela minorile. Del resto, non è consigliabile richiedere denaro ai genitori per finanziare un servizio stabilito dall’autorità giudiziaria e sul quale, con ogni probabilità, i genitori stessi non sono d’accordo. Interventi semiresidenziali Inserimento diurno in comunità di accoglienza Il Centro diurno per minori è una struttura che accoglie nelle ore dopo la scuola alcuni bambini o ragazzi che necessitano dell’attenzione di figure educative. Le prestazioni offerte dal centro diurno sono: supporto nel percorso scolastico, educazione alla relazione con altri minori, promozione della salute e dell’igiene personale, accompagnamento alle attività ricreative presenti nel territorio (per esempio sport). L’accoglienza nel Centro diurno può essere richiesta dalla famiglia oppure suggerita dall’assistente sociale oppure prescritta dall’autorità giudiziaria. Il servizio sociale si occupa di contattare il responsabile del centro diurno che, perlopiù, è gestito da un’organizzazione di Terzo Settore. Il responsabile valuta se è possibile soddisfare le richiesta. In caso affermativo si terrà un incontro di presentazione a cui partecipano l’assistente sociale, il responsabile e gli educatori del Centro, ma sarebbe meglio far partecipare anche la famiglia e il minore. In ogni caso, il minore deve visitare il centro prima dell’inserimento. Dopo un breve periodo di conoscenza del minore e della sua famiglia gli educatori del centro elaboreranno un PAI (v. cap. 10). L’assistente sociale deve accertarsi che i genitori abbiano ben compreso la funzione del Centro diurno: non è un luogo dove si fa doposcuola, quindi non devono aspettarsi che ogni sera il bambino torni con i compiti fatti e inizi ad andare bene a scuola, ma è un luogo dove ci si occupa del corretto sviluppo psico- fisico del minore, laddove la famiglia non è in grado di garantire questo obiettivo. Centro aperto Il centro aperto è una struttura in cui si accolgono bambini dai 6 ai 14 anni inviati dai servizi sociali a causa di situazioni familiari problematiche che influiscono sui bambini, compromettendo la socializzazione, il rendimento scolastico e il comportamento. Per ciascuno di questi minori si elabora un progetto educativo personalizzato. La frequenza è pomeridiana, più volte a settimana. A differenza del centro diurno, però, il centro aperto accoglie tutti i minori che vogliono prendere parte alle attività, infatti il Centro aperto è molto più grande di un Centro diurno. Le attività del 70 centro aperto sono: aiuto nei compiti, attività di gioco, laboratorio di attività manuali, accompagnamento a eventi esterni, animazione estiva. L’obiettivo fondamentale è favorire la socializzazione, ma ci sono interventi specifici per le difficoltà di ognuno. Centri di aggregazione giovanile e servizi educativi di strada Il Centro di aggregazione giovanile è uno spazio di ritrovo per adolescenti e giovani in cui degli operatori adulti propongono varie opportunità di svago, come giocare a calcio o ascoltare musica. La funzione del Centro di aggregazione è prevenire la devianza giovanile. Per questo si rivolgono soprattutto a giovani che vivono in contesti di emarginazione, ma accolgono chiunque voglia prendere parte alle attività. Non è richiesta un’iscrizione formale né un obbligo di frequenza e anche le attività sono libere. Il servizio educativo di strada consiste invece in educatori professionali che “agganciano” quei bambini e ragazzi che passano il loro tempo libero per strada, allo scopo di prevenire comportamenti a rischio e favorire una corretta relazione con gli adulti e gli altri coetanei. Comunità educative residenziali Diversi tipi di comunità Le comunità educative residenziali sono normali abitazioni ma di vaste dimensioni. Esse accolgono dai 6 agli 8 bambini, maschi e femmine insieme. La giornata di questi bambini deve essere del tutto simile a quella dei loro coetanei che vivono in famiglia, cioè scuola, pasti, compiti, giochi, letture, sport, ecc.). Esistono diversi tipi di comunità educative residenziali. La comunità di accoglienza si caratterizza per una vita di tipo familiare e per la presenza di un’equipe di operatori sociali 24 ore su 24. La comunità di prima accoglienza (o di pronto intervento) accoglie i minori che devono essere allontanati urgentemente dalla famiglia, ma, per il resto, sono del tutto simili alle comunità di accoglienza. La casa-famiglia si caratterizza per una vita di tipo familiare e per la presenza costante di un nucleo di adulti: può trattarsi di una coppia di coniugi oppure semplicemente due persone accomunate dalla volontà di aiutare i bambini (massimo 6) e assumersi i doveri delle figure genitoriali. Questa coppia gestisce le funzioni educative insieme a personale specializzato. Di solito, dal punto di vista amministrativo, la casa-famiglia è gestita da una cooperativa o un’associazione. Poi ci sono i gruppi appartamento: sono riservati a ragazzi di 16-17 anni che, dopo essere stati in una comunità di accoglienza o in affido, devono imparare a gestirsi in maniera autonoma, dal momento che non hanno genitori né altri parenti. Il gruppo appartamento è un ambiente protetto, in cui degli educatori aiutano il ragazzo a gestire l’abitazione e i propri soldi e lo aiutano a scoprire le risorse dedicate ai giovani nel territorio. La comunità terapeutica per minori è una struttura residenziale per minori affetti da gravi disturbi del comportamento e patologie psichiatriche che non possono essere trattate in ambulatorio né presso il domicilio del minore. Le comunità mamma-bambino ospitano madri che hanno bisogno di essere aiutate nei compiti di educazione e accadimento, per questo ci sono degli educatori che affiancano le mamme. Infine, i gruppi appartamento per gestanti e mamme con bambino accolgono donne incinte o che hanno già partorito e hanno bisogno di vivere temporaneamente lontano dal proprio domicilio, ma non di aiuti per quanto riguarda la funzione genitoriale. Attivazione, avvio, monitoraggio e verifiche del collocamento in comunità Il collocamento in comunità avviene in genere per ordine del Tribunale dei minorenni. Tuttavia, a volte succede che siano i genitori a chiedere all’assistente sociale di condurre il bambino nella 71 comunità più adatta (può capitare, ad esempio, se la famiglia è monogenitoriale e quell’unico genitore deve essere ricoverato in ospedale). In entrambi i casi, l’assistente sociale gestisce tutto il percorso di inserimento. Salvo situazioni urgenti, l’inserimento non deve essere improvviso, ma preparato con attenzione. Quando il collocamento viene deciso dall’autorità giudiziaria, la prima cosa che l’assistente sociale deve fare è spiegare il provvedimento ai genitori e consentire loro di esprimere la loro rabbia e dolore. Anzi, ciò è consigliabile, perché è un primo passo per creare uno spazio di riflessione sul futuro. Bisogna accettare il fatto che, in questa prima fase, i genitori fanno molta fatica a collaborare con l’assistente sociale, perché provano un sentimento di perdita, simile a quello del lutto. Poi bisogna cercare di capire, insieme ai genitori, come comunicare al bambino che dovrà andare via di casa. Le spiegazioni date al bambino devono essere semplici e chiare e l’assistente sociale può anche decidere di essere affiancato da uno psicologo, dal momento che è importantissimo lasciare anche al bambino tutto il tempo per poter esprimere tutto ciò che prova. Il secondo passo è scegliere la struttura che più risponde ai bisogni del minore. Uno dei requisiti è che sia vicina al suo domicilio per non allontanarlo da tutte le relazioni sociali che aveva in precedenza, cioè i genitori e gli amici. Tuttavia, ciò è assolutamente sconsigliabile 1) se il minore aveva avuto dei comportamenti devianti, perché la devianza è sempre collegata al tessuto sociale di provenienza; 2) se il minore viene allontanato da casa a seguito di violenze da parte dei suoi familiari. La terza fase consiste nel contattare la comunità per chiedere se è possibile accogliere il minore. Se non ci sono problemi, ci sarà un incontro di presentazione e spiegazione del caso tra l’assistente sociale, il responsabile e gli educatori della comunità. Successivamente, si tengono alcuni incontri ai quali deve partecipare anche la famiglia, allo scopo di dare tutte le informazioni possibili sul minore (ciò è positivo, perché i genitori ne ricavano la sensazione di essere ancora importanti nella vita del figlio). Poi l’assistente sociale accompagna il minore a visitare la struttura, preferibilmente alla presenza dei genitori. C’è un primo periodo di inserimento del minore durante la quale gli educatori lo osservano, allo scopo di elaborare un progetto educativo soddisfacente, che tenga anche conto del punto di vista del minore stesso e della sua famiglia: se, infatti, il bambino e la famiglia sono soddisfatti del progetto educativo collaborano più volentieri con gli educatori. I genitori, inoltre, non devono deresponsabilizzarsi, ma anzi si richiede di provvedere a tutto quello che potrebbe servire al bambino, specialmente l’abbigliamento. Quando inizia la fase dell’accoglienza vera e propria il compito degli educatori è quello di sostituire i genitori nei compiti di accudimento ed accompagnamento educativo, però gli educatori devono affiancare i genitori stessi nel tentativo di riprendere in mano la propria funzione educativa, in modo che il bambino stia in comunità per meno tempo possibile. Infatti, la permanenza in comunità non dovrebbe superare i due anni, specialmente se il bambino ha meno di 14 anni. Dopo che il bambino ha fatto ritorno a casa (oppure viene dato in affido o adottato), la comunità deve continuare a seguirlo per un po’ di tempo, perché il bambino ha bisogno di punti di riferimento quando la situazione che lo circonda cambia. Quindi si devono organizzare alcuni incontri con i genitori (che siano biologici, affidatari o adottivi) per dare continuità al progetto educativo iniziato in comunità. Copertura dei costi Il comune si addossa i costi connessi al collocamento dei minori nelle comunità educative. Tuttavia, se si tratta di una comunità terapeutica (per esempio una comunità dove si curano disturbi psicologici), è il SSN a dover coprire i costi. 72 1. Obiettivi e caratteristiche dell’affidamento (ad esempio, affido a tempo pieno) nonché sua durata prevista; 2. Gestione della vita quotidiana (ad esempio frequenza e modalità dei contatti tra il minore e la sua famiglia naturale, criteri per gestire la vita quotidiana, gestione degli aspetti sanitari, come ad esempio le visite dal dentista) 3. Interventi di supporto all’affido (possibilità di un sostegno psicologico per il minore, sostegno alla famiglia affidataria tramite colloqui con gli operatori del Centro per l’affido, sostegno alla famiglia di origine tramite operatori del servizio sociale, contributo economico alla famiglia affidataria, contributi alle spese da parte della famiglia di origine) 4. Verifiche periodiche (con relazioni da inviare al giudice tutelare). L’avvio dell’affidamento A seguito dell’elaborazione del progetto di affido si può cominciare la fase di ambientamento, cioè un passaggio graduale del minore dall’una all’altra famiglia. È opportuno, in questo primo periodo, coinvolgere il più possibile i genitori biologici del ragazzo, affinché diano alla famiglia affidataria indicazioni utili alla gestione della vita quotidiana, per esempio quali cibi mangia più volentieri il ragazzo. È da tenere presente che, anche nel caso che i genitori siano decaduti dalla responsabilità genitoriale, ciò non implica automaticamente che debbano essere totalmente estromessi dalla vita del ragazzo: nella prospettiva di un recupero delle loro funzioni genitoriali dovrebbero anzi avere la possibilità di prendersi cura del minore fin dove riescono, eventualmente con il sostegno degli operatori e, se è necessario, essere sollecitati a farlo. Aspetti amministrativi Iscrizione nello stato di famiglia Lo spostamento della residenza anagrafica del minore, con l’iscrizione nello stato di famiglia degli affidatari, può essere disposta negli affidamenti a lungo termine, previo il consenso del servizio sociale e dei genitori naturali del minore (a meno che non vi sia un provvedimento di decadenza dalla responsabilità genitoriale). Assistenza sanitaria Se un minore viene affidato a una famiglia che appartiene alla sua stessa ASL rimane valido il tesserino sanitario pre-esistente, ma se la famiglia appartiene ad altra ASL al minore sarà rilasciata l’iscrizione provvisoria ad un altro pediatra. In caso di necessità e urgenza i genitori affidatari sono tenuti a prendere le decisioni di carattere sanitario più opportune per salvaguardare la salute del minore (ad es. un ricovero). Invece, per quanto riguarda gli interventi chirurgici programmabili, le indagini diagnostiche invasive, le vaccinazioni facoltative, la chemioterapia, bisogna prima interpellare i genitori biologici o il tutore. Documentazione per potersi recare all’estero con il bambino La richiesta per ottenere il documento per potere andare all’estero con un minore in affidamento deve essere firmata dai genitori biologici (o dal tutore) e dagli affidatari, in base alla L. 1186/67, art. 3. 75 Scuola Nei rapporti con la scuola gli affidatari fanno in pieno le veci dei genitori per tutti gli aspetti ordinari, come le giustificazioni per le assenze. Invece, decisioni circa a quale scuola secondaria iscrivere il minore o la scelta di continuare gli studi al termine dell’istruzione obbligatoria vanno concordate con chi esercita la potestà genitoriale (genitori biologici o tutore). Contributo mensile per le spese dell’affidamento Poiché l’affido deve potersi svolgere indipendentemente dalle condizioni economiche degli affidatari, il servizio sociale eroga un contributo mensile. Compartecipazione alla spesa da parte della famiglia di origine Come nel collocamento in comunità, anche per l’affido, la famiglia di origine deve sostenere in tutto o in parte le spese per il mantenimento del figlio, a seconda delle sue disponibilità economiche. Tuttavia, è meglio evitare un passaggio di denaro dalla famiglia di origine a quella affidataria. È consigliabile che i genitori biologici comprino di persona ciò che occorre al minore. Copertura assicurativa Al momento dell’ingresso del minore presso il nucleo affidatario, il servizio sociale provvede anche alla stipula di un’assicurazione per la copertura degli infortuni o dei danni che eventualmente il minore potrebbe arrecare a terzi. Congedo di maternità (o paternità); congedo parentale Il congedo di maternità/paternità è un congedo retribuito che spetta a un affidatario quando l’affidamento è a tempo pieno (massimo tre mesi). Il congedo parentale spetta ai due coniugi per un periodo complessivo di 10 mesi. Il sostegno al minore La ragione per cui si effettua un affidamento è quella di permettere al minore di vivere presso una famiglia dotata delle corrette capacità genitoriali, perciò, in teoria, l’assistente sociale non deve fare nulla mentre l’affidamento è in corso. Tuttavia, è sempre meglio avere costanti contatti con il minore per tutta la durata dell’affido. Infatti, non è sufficiente informarsi dell’andamento dell’affido chiedendo informazioni solo alla famiglia biologica o a quella affidataria, perché potrebbe esserci qualcosa che non va e che il bambino non ha il coraggio di dire a nessuno. Il sostegno alla famiglia affidataria È importante che la famiglia affidataria non si senta sola di fronte alle difficoltà, per cui l’assistente sociale deve organizzare incontri periodici con gli affidatari e il minore in affido per parlare di vari argomenti tra cui: le relazioni del minore con i diversi membri della famiglia affidataria, il rapporto con la famiglia di origine, l’andamento scolastico, attività fuori casa. La collaborazione con le associazioni familiari 76 La pratica dell’auto/mutuo aiuto tra famiglie affidatarie è una delle modalità più efficaci per il sostegno dell’affidamento, perché le associazioni di famiglie hanno un ruolo significativo nel sostenere il processo di formazione di una famiglia affidataria e nell’organizzare una sorta di tutoraggio reciproco. Il sostegno alla famiglia di origine Anche sostenere la famiglia di origine è di fondamentale importanza. Tale sostegno viene offerto dai servizi sociali ed eventuali altri servizi specialistici, per esempio il SerT. Per prima cosa bisogna conoscere i bisogni primari della famiglia (ad esempio, le condizioni economiche). Tuttavia, molto spesso l’indigenza si accompagna ad altri problemi, quali l’alcolismo o disabilità, che pure devono essere risolti. La cosa più importante è che la famiglia aderisca spontaneamente al progetto di aiuto delineato dall’assistente sociale. Un’altra cosa fondamentale riguarda il mantenimento dei rapporti con il bambino, per esempio organizzando delle attività da svolgere insieme al bambino e alla famiglia affidataria nel tempo libero. Le verifiche dell’affido e le relazioni all’autorità giudiziaria I progetti di affidamento sono molto complessi, a causa del sostanzioso numero di persone coinvolte, ma anche a causa della finalità che si propongono, cioè fare in modo che il minore possa tornare nella sua famiglia di origine. Per questo è indispensabile effettuare verifiche periodiche, tramite colloqui e visite domiciliari, sia per quanto riguarda la famiglia affidataria che quella di origine. Gli incontri di verifica permettono di valutare i risultati ottenuti e far fronte ad eventuali difficoltà, ma anche a preparare la conclusione dell’affido. Ogni sei mesi l’assistente sociale prepara una relazione per il giudice tutelare, che, però, prima deve essere letta alle due famiglie per raccogliere le loro eventuali obiezioni. Negli affidi decisi da un giudice, se l’assistente sociale vuole chiedere di effettuare modifiche, la relazione deve essere inviata anche alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni. La conclusione dell’affido familiare Quando si prevede di concludere l’affido con il rientro del minore nella propria casa, il servizio sociale e/o il Tribunale per i minori hanno l’obbligo di valutare se ciò sia possibile, cioè se sono venute meno quelle difficoltà della famiglia di origine che avevano portato a scegliere l’affido. In breve, bisogna capire se i genitori biologici hanno riacquistato le loro capacità genitoriali. Se così è, allora bisogna predisporre un percorsi di accompagnamento per il minore, in modo che il passaggio da una casa all’altra non avvenga in maniera brusca. L’assistente sociale potrà organizzare alcuni incontri con le famiglie per ragionare insieme sul rientro a casa, spiegare al minore la situazione ed eventualmente prevedere un sostegno educativo domiciliare per un certo periodo di tempo. Tuttavia, l’affidamento può concludersi anche in una maniera diversa dal rientro in casa: se, ad esempio, il ragazzo nel frattempo è diventato maggiorenne, si può pensare all’inserimento in un gruppo appartamento. In altri casi, l’affido deve concludersi perche non ha portato per il bambino le conseguenze positive che ci si aspettava ed è quindi necessario modificare il progetto di aiuto nella sua interezza. 77 L’apertura del procedimento per la dichiarazione di adottabilità viene disposta dal Tribunale per i minorenni, quando il giudice viene a conoscenza della situazione di difficoltà del minore tramite il servizio sociale o la Procura. Il Presidente del Tribunale deve informare i genitori o i parenti entro il quarto grado circa l’apertura del procedimento, perché essi hanno diritto di opporsi. Il Tribunale può inoltre disporre provvedimenti provvisori a tutela del minore, come il collocamento presso una comunità di accoglienza o presso una famiglia affidataria. Indagini e accertamenti Una volta aperto il procedimento per dichiarare lo stato di adottabilità, il Tribunale incarica il servizio sociale di effettuare indagini e accertamenti sociali e psicologici riguardo alla situazione del minore. Se nel corso di tali indagini emerge qualche possibilità di recupero del rapporto tra il bambino e la sua famiglia, nell’interesse del minore il Tribunale sospende il procedimento per circa un anno, affinché i servizi social possano mettere in atto un percorso di aiuto della famiglia, in modo da evitare l’adozione. Dichiarazione dello stato di adottabilità Concluse le indagini, in base alle informazioni ricevute dai servizi sociali il Tribunale decide se dichiarare o meno lo stato di adottabilità. In linea di massima, si ritiene che il minore si trovi in stato di adottabilità se i genitori risultano deceduti e non ci sono altri parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore e se il minore non è stato riconosciuto da nessuno dei due genitori. Se dovesse risultare che vi sia un genitore ancora in vita (o entrambi), quest’ultimo è chiamato a presentarsi. Se non lo fa (e non presenta un valido motivo) si può procedere a dichiarare lo stato di adottabilità. Se, invece, si presenta, il giudice deve ascoltare quello che ha da dire, perché se è in grado e ha la volontà di prendersi cura del figlio, non si può dichiarare lo stato di adottabilità. In quest’ultimo caso, il bambino è affidato al suo genitore biologico che, però, deve essere monitorato dal servizio sociale. Infatti, se a seguito di ripetute verifiche, l’assistente sociale dichiara che il genitore è perfettamente in grado di provvedere al figlio, il procedimento viene chiuso, perché il minore non è più adottabile. Se, invece, risulta che il genitore continua a trascurare o maltrattare il bambino, si deve dichiarare lo stato di adottabilità. Cessazione dello stato di adottabilità Lo stato di adottabilità termina quando il minore viene adottato, quando diventa maggiorenne, per revoca disposta dal Tribunale dei minorenni, se sono venute meno le condizioni di abbandono. Lo stato di adottabilità nell’adozione internazionale Nell’adozione internazionale spetta allo Stato di origine del bambino accertare lo stato di abbandono e dichiarare l’adottabilità, dopo aver verificato che non è possibile farlo crescere nella sua famiglia. I primi passi di chi desidera adottare In genere, le prime informazioni alla coppia vengono fornite dall’assistente sociale del servizio che si occupa di adozioni. A seconda di come sono organizzati i servizi a livello locale, il servizio per le adozioni può fare capo al consultorio, al comune o all’ASL. Di solito, la coppia che desidera adottare un bambino viene invitata a frequentare un corso di informazione-sensibilizzazione. 80 La formazione degli aspiranti genitori adottivi La L. 476/98 prevede che le coppie aspiranti all’adozione debbano fruire di opportune occasioni formative. I percorsi di formazione sono condotti dagli operatori delle equipe-adozioni, ovvero le stesse persone che, in seguito, dovranno valutare il percorso della famiglia quando il bambino adottato arriverà in casa. Di norma il percorso formativo è articolato in moduli, che affrontano varie tematiche (giuridiche, sociali, psicologiche …). Molto importante è anche il racconto delle famiglie che hanno già affrontato l’esperienza dell’adozione. Inoltre, sono previsti incontri con le associazioni accreditate per l’adozione di minori stranieri. Si lascia anche spazio affinché le coppie che partecipano al corso di formazione possano comunicare tra di loro, in modo che possano sostenersi a vicenda in un percorso che è costellato di difficoltà, paure e forti emozioni. La dichiarazione di disponibilità all’adozione Dopo avere frequentato il corso, la coppia presenta al Tribunale per i minorenni una dichiarazione di disponibilità all’adozione nazionale, internazionale o entrambe. Possono presentare tale dichiarazione le coppie sposate da almeno tre anni e in possesso della capacità di educare, istruire e mantenere il figlio adottivo. Lo studio di coppia/famiglia Quando riceve la dichiarazione di disponibilità all’adozione, il Tribunale per i minorenni incarica il servizio sociale di svolgere uno studio di coppia, ovvero acquisire le informazioni che riguardano la storia personale di ciascuno dei due coniugi, la loro storia di coppia, la loro situazione sanitaria, il loro ambiente sociale, le motivazioni che li spingono ad adottare e le capacità di cura di un figlio. Queste informazioni vengono raccolte tramite colloqui e visite domiciliari svolti dall’assistente sociale e uno psicologo. Storia e caratteristiche di ciascuno dei coniugi Storia personale. L’indagine sulla storia personale di ciascuno dei coniugi comprende: i dati anagrafici, il curriculum scolastico e lavorativo, la descrizione della famiglia di origine e degli attuali rapporti con essa, eventi significativi accaduti nel corso della vita – per esempio un lutto – e l’opinione dei familiari rispetto alla scelta di adottare. Caratteristiche in rapporto alle capacità genitoriali. L’assistente sociale e lo psicologo dovranno valutare la capacità di ciascuno dei coniugi di tollerare le frustrazioni e come pensano eventualmente di raccontare al bambino la storia della sua adozione. È utile invitare ciascuno dei coniugi a esplorare i ricordi delle proprie esperienze di figlio: in genere, chi ha avuto esperienze di difficoltà nel rapporto con i propri genitori poi sarà meno spaventato di fronte alle difficoltà che dovrà gestire nel corso dell’adozione, perché sarà più capace di mettersi nei panni del bambino. Di solito, l’osservazione delle caratteristiche individuali dei coniugi è di competenza esclusiva dello psicologo, tuttavia è bene che anche l’assistente sociale osservi le capacità riflessive e autocritiche dei coniugi, la loro eventuale difficoltà nell’esprimere le proprie emozioni, l’eventuale tendenza a minimizzare i problemi. Infatti, quando una persona tende a mettere le distanze tra sé e i problemi, poi avrà più difficoltà a capire le sofferenze del bambino. Se, inoltre, i coniugi non hanno capacità 81 di fare autocritica, in futuro potrebbero attribuire tutte le difficoltà del bambino alla sua famiglia di origine. Si deve fare attenzione anche alle relazioni dei coniugi con le rispettive famiglie di provenienza e all’accettazione del bambino da parte dei futuri nonni: le coppie che hanno poche relazioni con le rispettive famiglie avranno anche poco aiuto nella gestione del figlio. Storia della coppia. Assistente sociale e psicologo dovranno informarsi su come si sono conosciuti i coniugi e quale è stato il percorso che li ha portati a sposarsi. Inoltre, è bene conoscere quali cambiamento hanno dovuto affrontare dopo il matrimonio, come gestiscono la vita quotidiana e come prendono le decisioni, cosa apprezzano un dell’altro e cosa no. Bisogna chiedere anche informazioni su cosa fanno nel tempo libero e che rapporti hanno con gli amici e, in generale, con il conteso sociale. Infine, bisogna conoscere la loro situazione economica. Si tenga presente che se il rapporto di coppia è precario, l’arrivo del bambino non farà altro che scatenare forti tensioni, per cui è molto importante valutare i modi di interazione della coppia, per esempio: c’è ascolto reciproco? Progetto adottivo. Assistente sociale e psicologo dovranno indagare su quale motivo di base spinge la coppia a volere adottare un bambino. Per esempio: uno dei due è sterile? È importante far capire alla coppia che il bambino adottivo non può essere il sostituto di qualcos’altro, come un figlio morto, altrimenti non riusciranno ad accettarlo per quello che è. Inoltre bisogna capire quali siano gli eventuali dubbi della coppia e come hanno pensato di organizzarsi per l’arrivo del bambino, per esempio come intendono gestire gli impegni di lavoro. Rispetto all’adozione internazionale va tenuto presente che se i genitori si dichiarano disponibili ad adottare solo bambini con caratteristiche somatiche uguali alle proprie (per esempio il colore della pelle) ciò potrebbe nascondere il desiderio di tenere nascosta l’adozione. Quindi, questo è un campanello d’allarme che deve spingere l’assistente sociale e lo psicologo a chiedersi se per caso gli aspiranti genitori adottivi non abbiano dei pregiudizi rispetto ad etnie diverse dalla propria. Inoltre, se i genitori manifestano il desiderio di troncare il più presto possibile il legame del bambino con il suo Paese di origine, anche questo indica che qualcosa non va: i genitori rifiutano il bambino per quello che è e vogliono farlo diventare un’altra cosa. Occorre, infine, cercare di capire se sono a conoscenza delle enormi spese che dovranno affrontare per l’adozione internazionale. Storia di un’eventuale adozione precedente e/o dei figli biologici. In questo caso la coppia è invitata a descrivere il rapporto con i figli che già ha. Si tenga presente che i figli biologici possono nutrire sentimenti di rivalità verso il bambino adottato. Atteggiamenti della coppia nella relazione con gli operatori Il modo con cui la coppia reagisce ai momenti critici di un colloquio e alle domande delicate indica come reagiranno in futuro all’eventuale ostilità del bambino. Per esempio, riusciranno a sostenersi l’un l’altro? È utile osservare l’eventuale mancanza di rispetto delle regole fissate per i colloqui, la partecipazione attiva o meno agli incontri, la fretta di concludere, la sottovalutazione delle indicazioni degli operatori: tutto ciò è indicativo delle modalità di funzionamento della coppia in presenza di stress. La relazione scritta La relazione scritta contiene, dopo la descrizione e gli elementi di analisi relativi alle aree di contenuto elencate fin qui, una conclusione con il parere degli operatori. La relazione può essere elaborata dall’assistente sociale e dallo psicologo insieme o in forma separata. In questo caso, però, si deve aggiungere una conclusione comune, firmata da entrambi. Tale relazione deve essere letta 82 I genitori adottivi hanno diritto a un congedo non retribuito dal lavoro, di durata corrispondente al periodo di permanenza nello Stato estero per l’adozione internazionale. Congedo di maternità e paternità il congedo di maternità retribuita (massimo 5 mesi) spetta alle lavoratrici che abbiano adottato un minore. Qualora tale congedo non venga richiesto dalla lavoratrice, spetta al lavoratore. Congedo parentale Il congedo parentale dei genitori adottivi è utilizzabile per un periodo complessivo (tra i due coniugi) di dieci mesi, con il 30% della retribuzione. 85 CAPITOLO 15 INTERVENTI PER MINORI SOTTOPOSTI A PROCEDIMENTO PENALE Caratteristiche specifiche del processo penale minorile Quando l’indagato di un reato è minorenne, il procedimento penale nei suoi confronti viene gestito secondo regole apposite, diverse da quelle valide per gli adulti. Una prima diversità consiste nel fatto che il minore di 14 anni non è mai imputabile, dal momento che l’art. 97 del codice penale afferma che al di sotto dei 14 anni l’individuo è considerato incapace di agire in maniera consapevole. Invece, fra i 14 e i 18 anni l’imputabilità dovrà essere accertata caso per caso (art. 98 codice penale). Il percorso giudiziario che dovrà affrontare è regolamentato dal DPR 448/1988 (Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), dal DPR 449/1988 (Approvazione delle norme per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario al nuovo processo penale e a quelli a carico degli imputati minorenni) e dal D.L. 28 luglio 1989, n. 272 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie). La finalità di queste norme è di garantire al minore un procedimento penale che tenga conto della loro personalità, delle loro esigenze educative e della necessità di non interrompere il processo di crescita, anzi di favorirlo. Quindi il processo penale a carico del minore ha una finalità educativa: è un’occasione per esaminare il minore deviante nel suo contesto di vita, in particolare la sua situazione di disagio e le carenze nella sua educazione. Ma la caratteristica forse più importante del processo penale minorile è che l’irrogazione della pena, specie de detentiva, deve essere l’ultima delle opzioni in campo: prima si deve cercare di applicare altre misure, che consentano al ragazzo di uscire al più presto dal processo e di allontanarsi da quelle circostanze di vita che potrebbero aver provocato l’atto criminoso. Infatti, il processo penale minorile ha come obiettivo quello di riprendere il percorso educativo, perché si ritiene che i minori compiano dei reati proprio quando la loro educazione da parte della famiglia si interrompe. Per ottenere la ripresa del percorso educativo, come vedremo, è necessario che il servizio sociale collabori attivamente con l’autorità giudiziaria e i servizi della giustizia minorile (USSM) Avvio del procedimento Quando il minorenne è indiziato di reato, interviene la polizia giudiziaria, che ha apposite sezioni per interagire con i minorenni e le loro famiglie. Denuncia a piede libero Se non esistono i presupposti per una misura cautelare, il ragazzo viene denunciato a piede libero, cioè trascorre a casa sua – invece che in carcere - il periodo che intercorre tra il primo interrogatorio e l’inizio del processo. A seguito della denuncia il GIP (giudice per le indagini preliminari) potrebbe dichiarare il non luogo a procedere per la non imputabilità del minore oppure per l’irrilevanza del fatto. In tal caso il procedimento si chiude ancora prima di arrivare al processo. In caso contrario, il minore attende l’inizio del processo penale e si devono informare della cosa i servizi sociali. Collocamento nel Centro di prima accoglienza (CPA) 86 Per arresti in flagranza o reati molto gravi il ragazzo viene accompagnato in un Centro di prima accoglienza, dove viene seguito da alcuni educatori che gli spiegheranno che cosa sta accadendo e quali potrebbero essere i passaggi successivi. Inoltre, questi educatori cercano di conoscere meglio il minore e di capire cosa pensa del reato commesso. Essi devono mettersi in contatto con i servizi sociali del comune di residenza del minore per sapere se egli era già stato oggetto delle loro attenzioni e infine scrivono una relazione da inviare al GIP. Tutto questo deve avvenire entro 48 ore, al termine delle quali il GIP ha diverse possibilità: 1) rimettere in completa libertà il ragazzo in attesa del processo; 3) porgli delle limitazioni alla sua libertà di agire, ad esempio decidendo in quali ore della giornata non potrà uscire e quali posti non potrà frequentare; 3) mettere il minore agli arresti domiciliari (salvo per recarsi a scuola); 4) collocarlo in comunità nel caso in cui non sia possibile – per qualsiasi motivo – la permanenza del minore a casa propria; 4) collocarlo in custodia presso un istituto penale minorile (IPM). Quest’ultima soluzione si utilizza solo in caso di reati ripetuti o per quelli più gravi. Indagine psico-sociale A seguito dell’arresto o della denuncia di un minore, la Procura per i minorenni invia all’USSM (o al servizio sociale del comune) una richiesta di indagine psico-sociale e di assistenza al minore. Lo scopo è comprendere la personalità del ragazzo nonché la sua situazione familiare, in modo che l’autorità giudiziaria possa decidere se il minore è imputabile, quali sono gli interventi rieducativi più opportuni e se è il caso di mettere in atto anche dei provvedimenti di protezione del minore. Ricevuto l’incarico di effettuare l’indagine psico-sociale l’USSM – nella persona del proprio assistente sociale - convoca il ragazzo e la sua famiglia. In realtà, essi non sono obbligati a presentarsi, tuttavia collaborare con gli operatori sociali consente di affrontare il processo penale nel miglior modo possibile. Se il ragazzo e la famiglia si presentano, si effettua un colloquio di presentazione, in cui si spiega qual è il compito dell’USSM e come funzionerà il processo. Inoltre, il ragazzo è invitato a esporre la propria versione del fatto per cui è stato denunciato. Dopo questo primo colloquio, devono essercene anche altri, il cui numero dipende dalla complessità della situazione. Sono previste anche visite domiciliari e si richiede la presenza di uno psicologo. Terminata l’indagine, gli operatori riferiscono al ragazzo e alla famiglia le loro conclusioni e, se ci sono le condizioni, gli propongono di presentare al giudice un progetto di messa alla prova. L’indagine psico-sociale si conclude con una relazione da inviare alla Procura e al giudice dell’udienza preliminare. Se invece le persone non si presentano, l’USSM è tenuto a convocarle altre due volte, ma poi dovrà informare la Procura e il giudice dell’udienza preliminare. (leggere p. 364) Udienza preliminare Nell’udienza preliminare il reato viene valutato solo in base a ciò che è già noto e non si ascoltano testimoni. Si cerca di terminare il processo penale già in questa fase, secondo il principio della minima offensività nei confronti del minore. All’udienza preliminare partecipano il minore, i suoi genitori (o tutore) e l’avvocato, ma è presente anche l’assistente sociale sia per sostenere il ragazzo sia per spiegare i contenuti della relazione precedentemente inviata. 87 Dipartimento per la giustizia minorile Questo dipartimento è un servizio che dipende dal Ministero della Giustizia e si occupa dei giovani dai 14 ai 21 anni sottoposti a misure penali con interventi di tipo educativo e di reinserimento sociale. Centri per la giustizia minorile La loro funzione è la programmazione tecnica ed economica, nonché il controllo degli Uffici di servizio sociale per i minorenni (USSM), degli Istituti penali per i minorenni (IPM), dei Centri di prima accoglienza (CPA) e delle comunità. Istituti penali per i minorenni In essi il minore viene condotto per scontare la pena detentiva, nel caso non sia stato possibile ricorrere ad altre misure. In ogni IPM i ragazzi sono divisi in gruppi di 10-12, ognuno guidato da due educatori e sei agenti di polizia penitenziaria. Ai minori viene proposto un programma di attività: scuola, formazione professionale, animazione culturale e sportiva, in modo da favorire la loro crescita e maturazione. In particolare, le attività scolastiche e formative hanno lo scopo di diminuire le distanze rispetto al mondo esterno, per facilitare il reinserimento nella società. Centri di prima accoglienza Ospitano i minorenni in stato di arresto, fermo o accompagnamento all’udienza di convalida e non sono istituzioni di tipo carcerario. Comunità Nelle comunità per minori che fanno capo al Ministero della Giustizia vengono eseguiti: accompagnamento del minore in caso di arresto o fermo, la custodia cautelare prima del processo, la libertà vigilata, il riformatorio giudiziario. 90 CAPITOLO 16 INTERVENTI PER PROBLEMI DI DIPENDENZA Servizi per le dipendenze Dipartimento delle dipendenze I servizi pubblici che hanno il compito di occuparsi dei problemi di dipendenza da una o più sostanze psicoattive legali e illegali (droga, alcol, tabacco) e di dipendenze comportamentali (gioco d’azzardo, shopping compulsivo, ecc.) dipendono dal SSN. A livello di ASL c’è il Dipartimento delle dipendenze, costituito da tutte le unità – pubbliche e private – che si occupano di dipendenze. Il suo compito è la programmazione e il coordinamento delle varie unità operative locali, il controllo delle attività degli enti accreditati, la formazione degli operatori, accordi operativi con la prefettura, il comune, la scuola e, infine, l’elaborazione di progetti specifici. SerD Strettamente collegati al Dipartimento delle dipendenze, i servizi operativi a livello locale hanno varie denominazioni: NOA (Nuclei Operativi Alcologia), SerT (Servizi per le Tossicodipendenze), SerD (Servizi per le Dipendenze). Per semplicità, ci si riferisce a tutti questi servizi con la sigla SerD. All’interno di ogni SerD è presente un’equipe multidisciplinare: psicologi, infermieri, educatori, assistenti sociali. Il compito di un SerD è impostare una strategia per il recupero e l’assistenza – sanitaria, educativa, sociale e psicologica – nonché per il reinserimento nella società. Servizi e iniziative del privato sociale Accanto ai servizi pubblici vi sono molte organizzazioni del Terzo Settore che operano nel campo del recupero delle dipendenze. Alcune hanno un’esperienza notevolissima, durata decenni, in quanto sono nate molto prima dei servizi pubblici dedicati alla droga. Ricordiamo, ad esempio, San Patrignano, nata nel 1978, e la Comunità Exodus, inizio degli anni ’80. Nel campo della dipendenza da alcolici, in Italia esistono molti gruppi di auto/mutuo aiuto, per esempio quello degli AA (Alcolisti Anonimi), attivi in Italia fin dal 1972. Regolamentazione dell’uso di sostanze stupefacenti e psicotrope: cenni sull’evoluzione della normativa Fino al 1975 la detenzione e l’uso personale di droga erano un illecito penale: per la L. 1041/1954 la tossicodipendenza era un crimine, il consumatore era considerato uguale al trafficante e allo spacciatore ed erano previste pene severe, come la reclusione fino a otto anni. Con la L. 685/1975 si iniziò a tentare di conciliare prassi repressive e interventi riabilitativi (da effettuare in ospedale con la collaborazione del medico di base) e l’essere in possesso di modiche quantità di droga per uso personale non era punito. Con la L. 162/199 si inasprì la lotta al mercato della droga. Vennero introdotte sanzioni amministrative (ma non detentive) per chi era trovato in possesso di droga in quantità per uso personale, mentre per chi spacciava o era in possesso di quantità superiori al limite consentito era previsto il carcere. Inoltre, questa legge ha istituito sia il Fondo nazionale di lotta alla droga (che dedica risorse a specifici progetti di prevenzione) che il SerD. Per il DPR 171/1993 possedere sostanze stupefacenti rimane sempre illecito, ma l’uso personale comporta solo sanzioni amministrative (multe). 91 Infine, la L. 49/2006 ha equiparato, rispetto alle sanzioni previste, droghe leggere e droghe pesanti: detenere, cedere o consumare queste sostanze (in qualsiasi quantità) è punito dalla legge: si rischiano fino a 20 anni di carcere. Per quanto riguarda la dipendenza dall’alcol, questo problema è affrontato solo nella L. 125/2001, in cui si prevedono azioni volte a prevenire e curare la dipendenza, per poi reinserire la persona nella società. In particolare, questa legge contiene alcune disposizioni relative alla pubblicità di alcolici, vieta la vendita di alcolici in autostrada in determinate fasce orarie e richiede alle regioni di istituire servizi in ambito alcologico. Articolazione del percorso di aiuto nei Servizi per le dipendenze Accesso al servizio L’accesso al SerD può avvenire in diversi modi: per richiesta del diretto interessato (che può chiedere di restare anonimo), attraverso la richiesta di familiari e/o amici, per segnalazione della prefettura, per segnalazione della Procura o del Tribunale di sorveglianza, per invio da parte di una commissione medica apposita, per invio da parte del servizio sociale o della ASL. Per tutte le prestazioni terapeutiche l’accesso è gratuito, senza bisogno di prescrizione medica. Accoglienza La persona con problemi legati all’uso di sostanze stupefacenti o alcol che si rivolge al SerD per la prima volta (o dopo un periodo di assenza) di solito è accolta senza tempi di attesa, in maniera da rendere il più agevole possibile il primo contatto. Si effettua immediatamente una valutazione medica, specialmente quando la persona è una donna incinta. L’operatore che accoglie il nuovo utente deve compilare una cartella personale, ma garantendo il trattamento riservato dei dati personali. L’utente può anche scegliere di non rivelare mai il proprio vero nome, tuttavia questo gli impedirebbe di usufruire dei finanziamenti pubblici per il pagamento della retta nella comunità o dell’esenzione dal ticket. Successivamente l’operatore chiede l’utente il permesso di avvertire la sua famiglia e gli presenta l’organizzazione del servizio. Al termine di questo primo contatto di solito si fissa un appuntamento per una valutazione più approfondita e per definire un piano di intervento. Assessment Dopo il primo contatto prende avvio una fase di valutazione che, secondo le peculiarità della situazione, può coinvolgere varie figure professionali. L’elemento centrale dell’assessment è la motivazione al cambiamento: in un primo momento – chiamato stadio di precontemplazione, la persona non pensa di avere un problema. Infatti, nessuno si presenta spontaneamente al SerD quando si trova in questo stadio. Nel secondo stadio, detto di contemplazione, la persona prende in considerazione la possibilità di disintossicarsi, ma subito dopo la rigetta. Nello stadio della determinazione, la persona finalmente intraprende il percorso. Nel quarto stadio, quello dell’azione, la persona si impegna in azioni concrete. L’ultimo stadio, quello del mantenimento, si esegue il consolidamento del percorso. Quindi, prima di tutto, bisogna capire in quale stadio si trova la persona, per proporle azioni che le sembrino accettabili e praticabili. Di conseguenza, nella fase di precontemplazione si danno soprattutto informazioni. Nella fase di contemplazione si conduce la persona a esaminare i pro e i contro della dipendenza. Nella fase di determinazione finalmente si possono proporre progetti concreti e la si aiuta a prendere le decisioni (in questa fase, inoltre, il trattamento sanitario della dipendenza rende possibile avviare delle attività di reinserimento sociale). 92 distribuiscono siringhe e aghi sterili, tamponi e cerotti (per limitare il più possibile il contagio di HIV ed epatite). Il drop-in fornisce anche consulenza rispetto alle possibilità di uscire dal proprio stato di dipendenza ed emarginazione. Le unità mobili si strada hanno le stesse funzioni del drop-in e consistono in un camper a bordo del quale si trovano operatori specializzati. In genere il camper viene posizionato nei quartieri degradati, ma anche presso le discoteche. Terapie farmacologiche Le terapie farmacologiche consentono di trattare i sintomi della crisi di astinenza, aumentando le possibilità che la persona smetta del tutto di assumere la sostanza. Ad esempio, si può utilizzare il metadone, un oppioide sintetico distribuito gratuitamente dal SerD in base all’art. 43 della L. 309/90. Si assume per via orale, così non c’è il rischio di moltiplicare le malattie infettive. Se viene utilizzato correttamente, riduce gli effetti negativi sul comportamento legati all’uso dell’eroina, come ad esempio i comportamenti criminosi volti a trovare il denaro per procurarsi la dose. Inoltre, ha l’effetto di ridurre gli sbalzi di umore tipici dell’astinenza. Interventi psicologici e psicoterapeutici Lo psicologo approfondisce la storia di vita dell’utente e le sue dinamiche familiari, cercando quelle risorse psicologiche che si possono attivare ai fini del cambiamento. In base alla conoscenza dell’utente e del suo ambito relazionale si elabora una proposta terapeutica idonea: counseling, sostegno psicologico, psicoterapia individuale, psicoterapia familiare. Procedimento amministrativo per la detenzione di stupefacenti per uso personale Se, durante un fermo o una perquisizione le forze dell’ordine trovano sostanze stupefacenti viene avviato un procedimento di tipo amministrativo (se la sostanza è in quantità per uso personale) o di tipo penale, se si ravvisa il reato di spaccio. Tuttavia, non è soltanto la quantità di sostanza a determinare il reato bensì soprattutto la situazione: basta il fatto di avere dato quella sostanza ad un’altra persona per configurare il reato di spaccio, anche se la sostanza è stata ceduta gratuitamente. L’avvio del procedimento e il colloquio in prefettura L’art. 75 del TU 309/ 1990 stabilisce che chiunque sia scoperto a detenere sostanze stupefacenti in qualsiasi quantità può incorrere nella sanzione amministrativa di ritiro della patente, del passaporto e del porto d’armi. Questa persona viene convocata dal prefetto, per capire le ragioni per cui deteneva la sostanza. Segue un colloquio con il NOT (Nucleo Operativo Tossicodipendenze), composto da assistenti sociali e personale amministrativo. Tale colloquio ha lo scopo di fornire alla persona trovata in possesso di stupefacenti informazioni sulle leggi in vigore e sulle conseguenze per la salute dell’uso di tali sostanze. È anche possibile aiutare la persona a riflettere sulla propria situazione. Infatti, per moltissime persone il colloquio in prefettura è la prima occasione loro offerta per poter parlare del loro problema e riflettere sulle conseguenze del consumo di droga. Esiti del colloquio 95 Se è la prima volta che la persona è stata segnalata in prefettura e deteneva una droga leggera, il procedimento si conclude con un’ammonizione, cioè il formale invito a non fare mai più uso di sostanze illecite, perché si ritiene che il momento di riflessione e dialogo con le autorità e gli esperti sia stato sufficiente. Se la persona è minorenne, l’ammonizione può essere data più volte, anche in caso di droghe pesanti. Il prefetto deve valutare l’opportunità di convocare i familiari. Nel caso in cui la persona sia già stata segnalata, ma manifesti il desiderio di sottoporsi a un programma terapeutico, il prefetto la invia al SerD, che successivamente dovrà aggiornare il prefetto sull’andamento del programma di recupero. Nel caso in cui la persona non si presenti al SerD o interrompa il percorso, il prefetto deve effettuare un secondo colloquio per informarsi sulla situazione e capire se è possibile riprendere il trattamento. Le sanzioni amministrative L’art. 75 prevede l’applicazione delle sanzioni amministrative solo se il soggetto non si presenta al colloquio con il prefetto e se è impossibile attuare il progetto di recupero. Le sanzioni amministrative sono: sospensione della patente di guida, sospensione della licenza di porto d’arma, sospensione del passaporto, sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo. È il prefetto a scegliere la sanzione più idonea a seconda del caso. Segnalazione per consumo Se le forze dell’ordine non trovano sostanze ma deducono che la persona fermata ne consuma, perché ci sono indizi che lo dimostrano, possono inviare una segnalazione alla prefettura, che, a sua volta, comunica alla motorizzazione e al SerD che la persona in questione probabilmente assume sostanze stupefacenti. Anche in questo caso la persona è invitata in prefettura, ma non è obbligata a presentarsi. Invio al SerD da parte della commissione medica patenti La prefettura può disporre la revisione della patente di guida in vari casi legati al consumo di sostanze stupefacenti illegali o di alcol. In estrema sintesi: se la persona viene sorpresa a guidare dopo aver consumato alcolici, le viene sospesa la patente per un periodo variabile a seconda dei casi. Ciò vale anche se la persona guida dopo avere assunto sostanze stupefacenti. Per riavere la patente bisogna presentarsi alla CMLP, la Commissione Medica Patenti, che la sottoporrà a esami del sangue per accertarsi che abbia interrotto l’uso di sostanze. La Commissione può anche decidere di inviare la persona al SerD. Reato di produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti Lo spaccio di sostanze stupefacenti è un reato penale che prevede la reclusione fino a 20 anni più una multa che può arrivare fino a 260.000 euro. Commette tale reato chi vende, regala, coltiva, produce, trasporta e consegna sostanze stupefacenti. Quindi, può essere processato per spaccio anche chi offre marijuana agli amici. Responsabilità legali degli operatori Non obbligatorietà della denuncia 96 Chi si trova in una situazione di dipendenza da sostanze illegali ha più possibilità degli altri di commettere reati, semplicemente perché, come abbiamo visto, anche cedere gratuitamente la sostanza ad altre persone è un reato. Quindi, per la paura di essere denunciato, il tossicodipendente tende a non chieder aiuto a nessuno. Ecco perché l’art. 362 del codice penale prevede che gli operatori del SerD e della ASL non sono tenuti a denunciare la persona che viene a chiedere aiuto. Se, però, gli stessi operatori vengono a sapere di un reato commesso da qualcuno che non è in cura presso di loro, allora devono denunciare. Misure alternative alla detenzione per tossicodipendenti e alcoldipendenti La connessione tra droga e criminalità ha come effetto l’ingresso in carcere di un notevole numero di tossicodipendenti. Per ovviare a questa situazione, si fa in modo che ai detenuti tossicodipendenti vengano offerte delle opportunità di cura, in modo che la pena detentiva sia anche un’ occasione di riabilitazione. Le misure alternative al carcere sono riservate a quei tossicodipendenti che hanno commesso un reato a causa del proprio stato di tossicodipendenza e a quelli che sono malati di AIDS e che intendono seguire un programma di cura. Sospensione condizionale della pena Quando una persona tossicodipendente o alcol dipendente viene condannata per reati connessi al proprio stato di dipendenza, può chiedere la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva. Se nei cinque anni successivi non commette altri reati penali, la pena viene estinta. Tale possibilità viene concessa se la pena è pari o inferiore a sei anni e se la persona intende seguire un percorso di recupero. Inoltre, la sospensione della pena può essere concessa solo una volta. Affidamento in prova L’affidamento in prova per i tossicodipendenti e gli alcoldipendenti serve a disporre una forma di esecuzione della pena che, escludendo il contatto con il carcere, costruisca attorno alla persona opportunità positive, per esempio disintossicazione e riqualificazione professionale. Si concede solo se la pena da scontare è pari o inferiore ai sei anni e il condannato deve impegnarsi a seguire un programma di recupero. Questo beneficio non può essere concesso più di due volte. Altri benefici Se la persona si trova in condizioni di salute particolarmente gravi, c’è la possibilità di richiedere la detenzione domiciliare. Le persone affette da AIDS o da altra malattia particolarmente grave ha diritto al rinvio della detenzione, oppure alla sospensione, alla semidetenzione o alla libertà vigilata. Possono essere concessi gli arresti domiciliari, in alternativa alla custodia cautelare in carcere, alla persona tossicodipendente o alcol dipendente che ha in corso un programma di recupero. Doppia diagnosi e collaborazione con il Servizio di salute mentale Il termine “doppia diagnosi” si riferisce al fatto che la tossicodipendenza si accompagna a un disturbo psichiatrico. Doppia diagnosi e comunità terapeutiche In caso di doppia diagnosi, la comunità residenziale presso cui avviene il recupero del tossicodipendente deve comprendere nella sua equipe professionale anche uno psichiatra. È necessaria la collaborazione non solo con il SerD ma anche con il Servizio di salute mentale, anche 97
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