Scarica Riassunti delle lezioni di Filosofia del Diritto - Prof. Bruno Romano e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia del Diritto solo su Docsity! TESI 1 – RAPPORTO TRA TEORIA GENERALE DEL DIRITTO E FILOSOFIA DEL DIRITTO Una filosofia che non pensa il nomos (giustizia/norme-diritto) delle relazioni tra gli uomini si spegna, perché non si apre al logos (verità/linguaggio-discorso), illuminato dalle domande dei singoli, che si possono formare e svolgere soli in un dire intersoggettivo disciplinato dal nomos. Residua un dire narcisistico, individuale o collettivo, incapace di aprire interrogativi ed ipotesi di ricerca di senso, attivabili solo dal dire-dirsi nella reciprocità delle relazioni di riconoscimento incondizionato ed universale tra gli uomini, che sono custodite nel nomos. Senza il pensare- coesistere nel diritto, il pensiero filosofico si dissolve. La prima del tesi del corso di filosofia del diritto riguarda i rapporti fra la teoria generale del diritto e la filosofia del diritto. Per distinguere questi due itinerari è necessario tornare all’inizio del pensiero occidentale, all’inizio del pensiero filosofico, così come compare nei primi momenti della cultura greca dove viene discussa la distinzione ed il legame tra il logos ed il nomos. Il logos consiste nel linguaggio che è esclusivo degli uomini. Soltanto gli uomini hanno la capacità di esercitare un linguaggio. Il nomos riguarda la disciplina dei rapporto tra i soggetti.. Tornando alla differenza tra teoria generale del diritto e filosofia del diritto, si può dire che sono possibili due tipi di legami: legare in modo da impiegare una tecnica, la tecnica dei nodi, nell’esempio utilizzato da Legendre (filosofo contemporaneo francese) (tori legati per le corna), è un legame funzionale, destinato a far funzionare le operazioni, un legame per qualcosa che mette in primo piano il qualcosa ed in secondo piano gli uomini; E’ un legame tipico dei sistemi biologici si limita a funzionare perché sia conservata quella specie biologica. Nei sistemi biologici si presenta sempre ed esclusivamente soltanto una successione di informazioni vitali. Questo tipo di legame è quello della tecnica del funzionamento sistemico delle norme giuridiche. Questo legame tecnico funzionale si dispiega nei modelli di un linguaggio numerico, che tende a svuotare il diritto dalla sua specificità, trasformandolo in una delle tecniche della prassi manageriale, orientata dal funzionalismo gestionario; il legare che nasce con le parole, ed è il legame che gli uomini stabiliscono tra loro incontrandosi nel reciproco rapporto, nella reciproca relazione, di riconoscimento. Qui il 1 modello non è quello di un legame tecnico ma è un modello di un legame che impegna l’arte esclusivamente umana dell’istituire le norme giuridiche, di interpretare le norme di diritto. Si tratta di un legame esistenziale. E’un legame che appartiene al linguaggio disnumerico, non padroneggiabile dalla attualità vincente del mercato, in quanto la parola è polisensa, dice oltre quel che dice ed esige l’interpretazione giuridica. Il legare con le parole è formato ogni volta nella pienezza della lingua, che non è frammento settorializzabile dell’uomo, ma presenta il parlante nella sua unità esistenziale, l’io. Legare con le parole si può esemplificare pensando alla promessa, al promettere. Nietzsche dice che soltanto l’uomo è in grado di promettere e promettere vuol dire stabilire un legame che nasce con le parole, che viene istituito con le parole. Diversamente dal legame biologico, l’esercizio della soggettività da parte dell’uomo ovvero della sua inscrizione di senso nell’esistere con gli altri, non ha alle spalle una spiegazione scientifica. Il parlante si pone delle domande sul senso della vita oltre le operazioni biologiche: i sistemi biologici non istituiscono norme giuridiche, né si avvalgono al terzo-Altro, il giudice, con procedure istituite (penali, civili) differenziate rispetto al procedere naturalistico che continua le forme di vita, prive di un linguaggio svolto nella creatività del discorso intersoggettivo e triale. Tornando all’inizio di questa prima tesi bisogna considerare che nella realtà contemporanea, nelle realtà culturale contemporanea, si afferma tendenzialmente sempre più una direzione che ritiene di poter dare una spiegazione dell’uomo così come si dà un spiegazione dei sistemi biologici. La cultura contemporanea tende ad eclissare questa dimensione non spiegabile scientificamente dell’uomo, tende anzi a dare spiegazioni scientifiche alla stessa attività di produzione delle norme (attività legislativa), e la stessa attività dell’applicazione delle norme (attività giurisdizionale). L’italiano Esposito, nel suo dialogare con il francese Nancy, sostiene che “la libertà non è un diritto, ma soltanto un’esperienza” ovvero una delle innumerevoli modalità in cui può manifestarsi il senso. Quando si afferma questo convincimento che dell’uomo si può dare un spiegazione scientifica si afferma un itinerario che consapevolmente o meno finisce per aprire la via al nichilismo in generale ed al nichilismo giuridico. Se si pretende di spiegare la libertà degli uomini, se si pretende di spiegare la produzione delle norme che disciplinano la libertà degli uomini che sono in relazione, si finisce per dover affermare che la libertà è un nulla. La libertà è ciò che non si spiega, è ciò che stupisce, che non si lascia anticipare. Essa è ciò che, come coglie Aristotele, genera questo senso di meraviglia, di stupore, di sorpresa, proprio perché l’uomo nell’esercitare la sua libertà mostra il non essere oggettivabile 2 comportare una sorta di declino, di caduta del pensiero giuridico perché esigono che l’uomo sia incontrato in diversi frammenti, che l’uomo del diritto possa essere incontrato come una parte dell’essere uomo. Invece la filosofia del diritto sollecita a pensare che ogni volta che ogni volta che un insieme di norme istituite incontra l’uomo, lo incontra nella sua interezza, lo incontra proprio per questo nella sua responsabilità, come colui che risponde della sua soggettività. Il nichilismo diventa un nichilismo giuridico quando spezza questo ponte essenziale fra una teoria generale del diritto ed una filosofia del diritto, ovvero quando spezza questo ponte essenziale fra incontrare l’uomo anche nelle sue distinte, diversificate presentazioni particolari che sono quelle trattate dalle diverse scienze, ed invece incontrarlo nella unità, nella sua esistenza che non può essere frammentata perché sempre ripropone, tornando a destare ciò che è proprio dell’inizio della filosofia, ovvero la meraviglia e lo stupore, perché appunto ripropone questa unità non anticipabile di un soggetto creatore che però esistendo in un mondo dove non ce n’è abbastanza per tutti entra in conflitto, entra in una coesistenza che è attraversata dallo stato di penuria e dunque chiede la disciplina giuridica, ricordando però che la giuridicità è sempre tale se ha i tratti che sono propri di una regola terza e non di una regola di parte. Fenomenologia, nel pensiero di Heidegger, è la ricerca di ciò che innanzitutto e per lo più non si manifesta, ciò che è nascosto ma esprime il senso ed il fondamento della cosa, diversa da ciò che si lascia mostrare della cosa stessa. 5 TESI 2 – L’ORDINE SIMBOLICO: TRIALITA’ DEL LINGUAGGIO (LOGOS) E TERZIETA’ GIURIDICA (NOMOS) La trialità del logos si dispiega nell’”ordine simbolico” dove i soggetti parlanti prendono e destinano la parola ipotizzante, tenendosi in un luogo terzo, che non è di un singolo, ne di una qualsiasi altra entità. Qui si apre il darsi inevitabile delle controversie tra gli uomini, alimentate dalla condizione di penuria del mondo e regolate alla terzietà del nomos (filosofia del diritto), secondo la principalità del modello relazionale della filiazione, esclusivamente umano e non riducibile in quello biologico della riproduzione animale (Tecno Scienza del bio-diritto). Trialità del logos: i soggetti prendono la parola a partire da un luogo terzo, da un luogo che non è né il luogo di chi prende la parola, né il luogo di quanti sono gli interlocutori, i destinatari di questo prendere la parola. Tra i soggetti di una relazione comunicativa c’è questo spazio terzo, non padroneggiabile con la forza, dove ognuno prende la parola e la ridestina. A garanzia di questo spazio è posta la terzietà del nomos: il diritto, dunque le norme giuridiche vigenti in un tempo in un luogo, operano in modo tale che ognuno possa esercitare questo diritto primo, prendere la parola ovvero dire se stesso, partecipare a ciò che appartiene alla coesistenza. Nessuno può impedire che ognuno nella sua struttura esistenziale concepisca una comunicazione la faccia transitare agli altri nei modi e nei tempi che sono propri di ogni forma che ricostituisce una relazione caratterizzata dal reciproco riconoscimento. L’impiego del termine soggetto, come viene sostenuto da Derrida, non è confondibile con la sostanza della struttura delle cose. L’uomo è titolare di diritti perché non è una cosa, è titolare di una soggettività giuridica perché è soggetto ed è soggetto perché la sua struttura non coincide mai con una nessuna sostanza definita, non ha una possibile conformazione di tipo sostanzialistico. Derrida sostiene che bisogna sempre tornare a criticare ogni visione del soggetto ritenuto come sostanza identica a se stessa. Perché se si dovesse ritenere che il soggetto, l’uomo, colui che parla, come una sostanza identica a se stessa, si finirebbe per dire che questo soggetto non è aperto alla creazione del suo discorso, non è aperto a creare un senso ed a iscriverlo nel mondo condiviso con gli altri. Derrida insiste in una critica di ogni forma sostanzialistica di riduzione dell’uomo a sostanza così come sono riducibili le cose a sostanza. L’uomo non è una cosa, non è un semplice vivente perché non è oggettivabile in nessuna sostanza, la supera sempre, c’è sempre nella manifestazione di ogni singolo uomo di un plus che eccede qualsiasi confine in una possibile sostanza definita e proprio in questo plus compare l’inesauribile esercizio del diritto da parte dell’uomo, del diritto a formare la sua identità. L’identità che però è un’identità esistenziale, quindi non è una identità data una volta per sempre. 6 Il diritto garantisce che l’uomo costruisca una identità che non è mai ultima, che non è mai definitiva, che è sempre da riprendere nel lavoro continuo della comunicazione discorsiva con gli altri uomini. Diversamente da Derrida, Roberto Esposito che ha colloquiato in un volume con Nancy, arriva ad affermare che la libertà non è nient’altro che una esperienza. Quindi la libertà non sarebbe un diritto ma nient’altro che una esperienza perché la stessa questione del senso è una esperienza. La questione del senso viene presentata in modo paradossale da Esposito in “libertà in comune”, che afferma che “ogni senso è libero di essere uno degli infiniti sensi in cui è esploso il senso” e dunque non può essere qualcosa che costituisce il contenuto dell’esercizio di un diritto incondizionato di ogni singolo uomo. Se è soltanto l’esplosione il senso non c’è che da stare a vedere ciò che si afferma, non c’è che da rassegnarsi a prendere atto di ciò che essendo vincente si afferma su altre forme, su altri tentativi di far emergere un senso invece che in un altro, e di farlo emergere tramite alcuni uomini invece che attraverso altri uomini. Nel sostenere questo Esposito non tiene conto che il modo in cui si descrive questa esplosione di senso non è indifferente: non si stratta soltanto di un gioco, non è un fenomeno ludico di tipo vitalistico come si può osservare negli altri animali. Gli effetti possono essere radicalmente opposti, si può dire che in base al modo in cui è esploso il senso, si potranno avere delle forme di coesistenza che sono nettamente diverse. Si potrà avere l’affermarsi dei crimini contro l’umanità che è una direzione in cui il senso è esploso, oppure si può avere invece una mondializzazione dei diritti dell’uomo. Dunque non si può condividere la posizione di Esposito e di Nancy che vedono nella questione del senso soltanto un giuoco che registra questo formarsi di modalità sempre distinte, sempre difforme del senso, che finiscono per dar vita poi a delle forme diverse di organizzazione della stessa vita quotidiana, della stessa vita pubblica, delle stesse istituzioni anche giuridiche. Non si può condividere che sia solo questo perché si dovrebbe allora concludere che le istituzioni giuridiche in modo indifferente possano essere il luogo dove si praticano dei crimini contro l’umanità come accade nei sistemi dittatoriali, o invece siano le istituzioni giuridiche quei luoghi che sono destinate a garantire la mondializzazione dei diritti dell’uomo. Il termine soggetto nel pensiero moderno, soprattutto dopo che Freud ha dato attenzione all’inconscio, ha una valenza diversa da quella che ha avuta nella storia del pensiero filosofico precedente. Con Freud si prende atto che il soggetto è sia l’autore di ciò che dice, ma è anche colui che è sempre attraversato da ciò che non dice, e questo non è senza rilievo nella vita del diritto (nel diritto penale il soggetto, l’autore di un delitto, è incontrato nella sua soggettività non soltanto se viene incontrato nell’essere il portatore di ciò che dice ma se si riesce a svelare ciò che gli appartiene pur non essendo mai stato posto in parole, ciò che gli appartiene perché è la sua dimensione inconscia). 7 TESI 3 – GUSTIZIA E LEGALITA’: L’ARTE DEL GIURISTA L’arte del giurista non si esaurisce nel servire una forma vuota che è legge a se stessa:la legalità (Teoria generale del diritto) senza la giustizia (filosofia del diritto). Nella situazione contemporanea, l’opera della ragione giuridica è impegnata nell’illuminare la differenza tra l’umanesimo del diritto ed il post-umanesimo delle norme, costitutivo oggi delle diverse figure di funzionario-tecnico del “sistema normativo”, concepito come sistema di funzione , desoggettivato ed indifferente alla qualità del relazionarsi nel rispetto o nella violenza dell’altro. Il metodo trionfa sulla scienza quando si afferma un itinerario dove il solo metro è la precalcolabilità di ciò che viene trattato. L’uomo ritarda e devia il trionfo del metodo sulla scienza perché, con il suo esistere nell’ascolto artistico, disnumerico e disfunzionale, lascia presentarsi ancora ciò che non si lascia calcolare nell’anticipazione di quel che è calcolabile impiegando un definita metodologia. Il senso della Teoria del diritto si illumina nella differenza-di-senso nei confronti degli oggetti della teoria dell’economia, della politica. Le parole del diritto nascono dal silenzio creativo sulle parole dell’economia, della politica, è solo quel silenzio che consente di nominare il diritto, differenziandolo nella sua direzione fenomenologica. Il silenzio, così come definito da Platone, incide come la luce: il silenzio non si sente e non si legge, ma rende possibile l’ascoltare-comprendere; la luce non si vede, ma è condizione del poter guardare. Il silenzio è la preparazione responsabile delle parole da enunciare. Il “pensiero preparatorio” sollecita lo scegliersi dei parlanti nell’istituire il futuro, che non va confuso con l’accadere poi di una commistione fattuale ed a-soggettiva. Ciò, cioè il semplice accadere-poi si afferma nel nichilismo giuridico perfetto, condizione del post-umanesimo compiuto. L’umanesimo, nella prospettiva di Jaspers, afferma cha appartiene all’ uomo l’esercizio responsabile della libertà, nella condizione contemporanea, però, lo sviluppo delle tecno-scienze costringe ogni esistente in itinerari dove solo chi è capace di una competenza specializzata può oggi produrre qualcosa di significativo. La condizione per umanesimo futuro è l’infinito affaticarsi intorno all’assimilazione e al controllo della tecnica. In questo “affaticarsi” emerge il compito esistenziale del diritto nel disciplinare gli effetti delle tecno-scienze, che incidono sulla qualità del poter essere liberi in un mondo condiviso. Del resto l’estensione del dominio della tecnica non ha confini, coincide con l’attuale processo di globalizzazione del mercato, così che oggi è divenuto impossibile emigrare in altre terre per fondarvi un’altra migliore comunità. 10 Jasper osserva che molte civiltà sono tramontate e l’umanità è minacciata nella sua totalità e che tale minaccia è avvertita più acutamente di sempre e che,nella sua virulenza, non coinvolge più soltanto i beni della vita, ma lo stesso essere uomo. Si aprono in questo modo gli itinerari di un oscurasi dell’ umanità nel post-umanesimo. L’umanesimo non è la causa della libertà né il suo fine ultimo, ma ne costituisce lo spazio spirituale. La libertà non è mai l’oggetto di un sapere totale che spieghi i nessi causali e casuali, ma si chiarisce sempre in sapere parziale. Heidegger non condivide la tesi di Nietzsche, secondo il quale ciò che caratterizza il XIX secolo non è la vittoria della scienza, ma il trionfo del metodo scientifico sulla scienza. Heidegger infatti sostiene che per metodo si intende la totale calcolabilità di tutto ciò che si rende necessario e dimostrabile nell’esperimento. In questo senso, il metodo è un trionfo anche sull’uomo, che diventa solo uno tra i materiali pre-calcolabili, così d affermarsi il convincimento che l’uomo rappresenta ancora un fattore di disturbo. Crea disturbo l’apparentemente libero pianificare e fare dell’uomo. L’uomo infatti devia il trionfo del metodo sulla scienza perché con il suo ec-esistere artistico, disnumerico e disfunzionale , si presenta ancora come ciò che non si lascia calcolare. Si descrive così la dimensione artistica dell’opera del linguaggio –discorso, della parola rinviante che eccede il successo sistematico fattuale dei linguaggi numerici, usati nelle tecno-scienze. La discussione della condizione contemporanea può progredire con la critica di Nancy che sostiene che la libertà è un fatto, cioè una libertà fittizia, consistente nel suo stesso farsi,senza alcuna regola. Le tesi di Nancy però non considerano il peculiare incidere della “formatività”sulla condizione dell’essere liberi, che nasce e si costudisce nel medio della trialità (logos)-terzietà (nomos) e dunque nel reciproco chiarirsi del linguaggio-discorso e della struttura del diritto. La teoria della formatività si deve analizzare, riferendola: 1) alle modalità peculiari dell’arte pura, poetica, musicale; 2) agli elementi costitutivi dell’arte istituire-applicare il diritto . Nell’arte pura l’opera riuscita non ha altro titolo per offrirsi al riconoscimento che l’essere riuscita. Fuori dall’arte pura, quindi essenzialmente l’arte del diritto, la riuscita è misurata dalla corrispondenza dei fenomeni sociali agli scopi che li specificano. Tali scopi non possono essere confusi né con una creatività assoluta del singolo artista (eccezione) né con l’occasionalità di ciò che accade (casualità). Nelle istituzioni radicate dell’arte del diritto, gli uomini si relazionano giuridicamente solo in quanto conoscono già la norma istituita che precede e disciplina i loro atti e che conferisce ad essi una forma certa. 11 Il giurista,diversamente dall’artista dell’arte pura non opera con una forma che è legge a sé stessa. Opera invece con una forma che ha la sua Legge nella specificità della differenziazione del fenomeno diritto degli altri fenomeni sociali. La libertà non è un fatto innocente, senza l’unità-differenza delle dimensioni temporali-passato, presente e futuro- non si svuota nel declino nichilistico del senso, è l’esercizio della responsabilità che memora il passato e, nel presente, progetta il futuro del mondo con-diviso e disciplinato dall’ortonomia del diritto dell’uomo, che conferisce senso esistenziale all’ incidere delle norme giuridiche nelle relazioni tra gli uomini. 12 Il solo titolare del diritto, di una pretesa giuridica rivolta al terzo altro, una pretesa a non essere usato nell’esecuzione di una tecnica, il solo titolare è l’uomo che pretende di manifestare il suo essere diverso rispetto a qualunque altro e questo comunica ogni volta che va valere uno dei suoi diritti fondamentali ma anche ogni volta che fa valere un diritto che è contenuto in qualche enunciato normativo. Sempre diventa essenziale un rinvio al ripristino la condizione differenziale dell’uomo, l’aspettativa dell’uomo di essere incontrato dal terzo attraverso l’arte del diritto e non da un tecnico delle norme. Il palazzo di giustizia non è un’officina che ripara guasti, è un luogo dove si ricerca il giusto nel legale. Ciò consente a Scheler (autore del pensiero tedesco moderno, primi decenni del 900, che si forma con Husserl, dando avvio ad una fenomenologia dell’uomo e del diritto) di affermare che “per quale altro motivo noi non ci attendiamo mai che gli animali possano obbedire alle leggi, alle leggi morali, giuridiche? E perché non ce lo attendiamo dalle macchine, neanche da quelle intelligenti? Perché né animali né le macchine si trovano mai davanti all’alternativa tra violare o rispettare una norma. La macchina ha un guasto, ma non compie gesti di violazione delle regole che sovrintendono al suo funzionamento. I concetti di giusto e bene e rispetto si oppongono al concetto di non giusto e di male e di non rispetto attengono ad una condizione che attiene ad una alternativa aperta che necessita di una disciplina, la disciplina giuridica. Negli uomini non c’è mai coincidenza tra le norme che sono istituite e le loro condotte: c’è sempre uno spazio, un vuoto, che lascia aperto all’uomo la scelta tra rispettare la legge istituita e non rispettarle. Il diritto rispetta la struttura delle relazioni tra gli uomini se rispetta le modalità attraverso le quali il diritto per incontrare gli altri ricrea di continuo la dimensione artistica, che è capace di incontrare la soggettività nelle sue dimensioni mai anticipate, mai riproducibili. Non ci sono scienze che possono riprodurre o anticipare la condotta degli uomini. L’uomo ha l’aspettativa a trovare una garanzia nel diritto affinché il suo desiderio non sia confuso e svuotato nelle modalità animali. Ciò che inquieta nel mondo moderno è che la cosiddetta fabbrica dell’uomo occidentale, per usare una frase di Legendre, è una fabbrica che ritiene di potere sempre di anticipare sempre l’opera di fabbricare l’uomo, del costruirlo come consumatore, pretendendo di ridurlo ad uno solo degli elementi del sistema dell’economia. Ma l’uomo è una bestia avida portatrice di una voglia di infrangere la possibilità di essere costretto nella condizione di consumatore costruito dalla fabbrica dell’occidente, chiede che la sua condizione gli sia garantita dal diritto e consista nel contenuto primo delle norme giuridiche e delle pretese giuridiche che rivolge al terzo nella consapevolezza di rivolgersi ad un terzo che è tale in quanto imparziale e disinteressato. La comunicazione, luogo del destinare-ricevere la libertà che è dire-dirsi nelle parole, è già il relazionarsi nella struttura e nelle leggi non disponibili del linguaggio-discorso, così che la libertà dei parlanti non è coesistibile fuori da leggi non disponibili, non è dunque senza leggi, ovvero 15 non una modalità di autolegislazione fattizia, consistente in una forma, pura e vuota, di un accadere aperto a tutti i possibili contenuti che si affermano perché di fatto vincono ed emergono. L’uomo esercita la libertà ma non dispone del trovarsi in essa o fuori di essa. Il diritto dell’uomo corrisponde al rispetto del soggetto parlante, mentre trattare ed usare l’esistente come un vivente-parlato corrisponde al diritto nell’uomo. Nelle aule di giustizia viene discusso il diritto dell’uomo, non il diritto nell’uomo, non vi entrano né le nude norme né i nudi fatti costituenti la “libertà fattizia” senza un chi responsabile del suo scegliersi. La filosofia del diritto sollecita le domande sul senso del legame tra la giuridicità, l’interezza dell’uomo e l’opera d’arte del giurista (Carnelutti), che consiste nell’istituire, interpretare e nell’applicare le norme. L’osservazione e l’analisi del soggetto parlante mostrano che fenomenologicamente si incontra prima l’uomo, “chi” del logos, nella trialità del linguaggio discorso connessa alla terzietà del nomos che disciplina (giusto/non giusto) il prendere-destinare la parola in uno spazio logico- esistenziale non padroneggiabile da qualcuno escludente l’altro. Solo poi si incontrano le norme istituite, costitutive di un ordine giuridico positivo (legale/non legale) storicamente individuato. Le leggi dei viventi non umani risultano da un divenire integralmente coincidente con l’evoluzione, priva della coalescenza di logos, pathos e nomos, che formano e differenziano la storia. 16 TESI 5 – CONVENZIONE FUNZIONALE E RELAZIONE GIURIDICA: IL SENSO GIURIDICO La Teoria tratta le norme nella prospettiva delle convenzioni funzionali (numerare il per-qualcosa). La filosofia pensa il diritto nelle convenzioni essenziali (il dire per se stesso); discute l’istituzione delle forme ortonome della relazione giuridica che, in una duplice e connessa direzione, tolgono dall’in-forme, senza un senso e liberano dall’assoggettamento alle forme imposte dalla attualità vincente del più forte, che oggi consiste nel funzionare-più del Nessuno, nucleo del fondamentalismo funzionale. La lezione discute il rapporto tra convenzione ed il diritto, intendendo per convenzione ciò che costituisce l’incontro tra due volontà che convengono. Si ha una modalità del convenire funzionale e del convenire essenziale. La prima riguarda le forme e i contenuti e gli itinerari con cui due soggetti convengono su qualcosa di definito, per qualcosa, come nel contratto. La convenzione essenziale consiste nel convenire iniziale per se stessi, ovvero in quel convenire che manifesta uno scegliersi del singolo soggetto e dell’altro singolo soggetto ed attiene alla priorità giuridica dell’io, al suo non asservimento né agli altri, né all’asservimento al successo del mercato o di definite operazioni funzionali ad un per qualcosa. Ogni relazione si stabilisce in un convenire per qualcosa, ma che all’inizio ha un convenire per se stesso. Il convenire su qualcosa che tralascia il per se stesso: si conviene su qualcosa che non muove dal convenire per se stesso. Il convenire funzionale si configura in un ruolo (venditore etc), mentre il convenire essenziale eccede ogni ruolo, ma costituisce il senso del convenire di un uomo con un altro uomo, e costituisce un esercizio della propria libertà. Il convenire essenziale è alla genesi di ogni convenire funzionale. La convenzione funzionale è fenomenologicamente omogenea alla giuridicità (è giusta) quando viene radicata e misurata nella convenzione essenziale. Nancy dice che si ha nel convenire l’apertura di uno spazio libero del senso, dove compare l’io come soggetto di diritto nella sua unità esistenziale. Il convenire essenziale dove compare il soggetto nella sua unità non divisa, l’io. 17 convenire per se stessi (giustizia) come misura-regola del convenire per qualcosa (legalità) che qualcuno potrebbe voler imporre ad un altro escludendolo. Il diritto mostra come una forma che viene data alle relazioni è diversa da quelle data alle altre entità naturali, che è già data dalla struttura naturale. Nella relazione tra gli uomini le forme sono istituite, sono una forma storica e non coincidono più con la condizione naturalistica. Il diritto così istituito dà origine a qualcosa che a che fare con la creatività originale, diversamente dai soggetti biologici che non hanno caratteri di creatività. E’ semplicemente l’esecuzione delle regole della natura. Istituire significa (Legendre) dar vita ad una seconda vita nella quale viene deciso insieme un diverso modo di inscrivere un senso. Negli uomini la struttura specifica della relazione giuridica ha il suo modello nel “debito simbolico”, come detto da Lacan, cioè ciò che da vita all’istituire una forma diversa da quella semplicemente naturalistica. Il debito che è detto simbolico perché non è mai saldabile. E’ il debito dove tutto ciò che si conviene tra gli uomini, che da vita al convenire giuridico, impegnando la libertà degli uomini impegna il dovere ogni uomo la sua libertà anche agli altri uomini. Il debito segnico nomina ciò che è proprio del vivente non umano. Qui ogni vivente deve qualcosa a qualche altro: si tratta di un debito segnico, che il vivente ha sperimentato essere proprio del mondo biologico. Non ha a che vedere con l’opera d’arte che è la formazione delle regole della relazione intersoggettiva. 20 Lezione 6 - La forma del diritto e la formalità dell'arte La Filosofia mostra come la formatività dell’arte strutturi la forma giuridica, che è tale perché non è vuota, ma seleziona i contenuti delle norme secondo il senso del relazionarsi nell’ortonomia, distinta da una autonomia arbitraria (contingenza) e da una eteronomia della forza (necessità). La Teoria enuncia una ‘formatività’ solo sistemica, funzionale ma indifferente al senso esistenziale dei contenuti delle norme, usabili così per legalizzare ogni tipo di relazione: dalla reciprocità del riconoscimento alla sproporzione dell’escludere. La formatività del diritto è l’incidere della forma nelle relazioni. La fenomenologia del diritto è la descrizione (Heidegger) del fenomeno cogliendo ciò che innanzitutto e per lo più non si manifesta ma ne costiuisce il senso ed il fondamento. Sartre diceva che la legge è quello che mi lega e frena. Il lavoro fenomenologico dimostra che il diritto però, non è un limite, ma è ciò garantisce la qualità della relazione coesistenziale dando forma alla relazione. Infatti il diritto, come l’arte, ha un incidere che è formativo, di creazione di forma. La forma presentata del diritto è analoga alla forma dell’arte, ha i suoi caratteri e tratti peculiari. Il diritto incidendo come forma, forma la libertà ai soggetti che coesistono. Il diritto conferisce una forma alle relazioni degli uomini, alla loro libertà. Nancy interpreta la libertà, sostenendo che questa non è data da nessuna altra parte, la libertà è tale perché non ha nessuna determinazione: ha manifestazione nella stessa manifestazione di libertà. Ma se la libertà è la possibilità dove tutto è possibile, significa che è un contenitore dove possono essere posti tutti i possibili opposti contenuti. Nancy poi avverte anche che la mia libertà non comincia dove finisce libertà dell’altro, ma comincia dove comincia la libertà dell’altro. La mia libertà deve trovare l’essenziale sollecitazione nella libertà dell’altro. Posso diventare uomo solamente con altri uomini, solo se ricevo sollecitazioni dall’altro. La scienza giuridica contemporanea, come dice IRTI, porta invece a dire che la norma è per il giurista il luogo di partenza della sua indagine ma anche il luogo di arrivo: la formatività del diritto è quindi tutta racchiusa nei testi delle norme vigenti. Si tralascia così che le norme sono incontrate ogni volta secondo le due direzioni essenziali ed aperte, ovvero la differenza di senso ed il rinvio di senso. Le norme costituirebbero un cerchio chiuso dove la coscienza del giurista non viene impegnata e ci si deve attenere strettamente alla norma. La scienza giuridica è vista dall’autor come scienza di secondo grado, considerata un sapere che ha come oggetto un sapere che è già stato 21 posto, un sistema di norme mai ripreso ed interpretato nella priorità fenomenologica del giusto (convenire per se stessi) sul legale (convenire per qualcosa). Il giurista deve agire nella libera opera ermeneutica di interpretazione, impegnando il giurista nel passaggio dalla norma astratta alla decisione del caso concreto. In questo passaggio vi è un vuoto, che si può definire il rinvio alla questione del senso del diritto, che comporta che la forma giuridica non è aperta ad ogni contenuto. Il giurista deve ricercare il giusto nel legale. Il giurista deve avere una attenzione creativa alla peculiarità del caso. Il diritto ha una forma formante, selettiva, perché non incontra tutti i possibili contenuti come fossero tutti possibili. Il giurista deve ricercare il giusto nel legale, si deve interrogare quali siano i contenuti che hanno i caratteri della giuridicità. La forma del diritto non è simile alla forma che si ha in natura, alle leggi della natura, puramente biologiche, dove la forma più forte o più efficiente è la forma che vince. Nel diritto non è così, la forma giuridica non è aperta ad ogni contenuto: se fosse così, pur sorgendo per dare una forma di giuridicità, potrebbe assumere anche contenuti di antigiuridicità, confondendo la violenza con il rispetto dell’altro; inscriverebbe alcuni comportamenti giusti ed altri non giusti. La giuridicità è una forma formante, non aperta a tutti i contenuti, discrimina sui contenuti, alcuni ascrivendoli al posto del giusto, altri al polo del non giusto. La forma che non è selettiva, formante, che confonde i contenuti della legalità fa scivolare la soggettività dell’uomo nella sua negazione. La soggettività c’è perché quando la si esercita si avverte che nell’uomo qualcosa dipende da lui, l’uomo può decidere di sé. Questo decidere di sé è inaccessibile a qualsiasi spiegazione scientifica (Jaspers). La decisione appartiene all’uomo perché apre la dimensione della possibilità, da non confondere con l’eventualità. La possibilità impegna il decidere del se stesso, l’eventualità si limita a registrare ciò che accade. La possibilità è l’esercizio della possibilità, nello scegliere esercita la responsabilità e pertanto è imputabile delle sue scelte. In altre direzioni il giurista non ricerca il giusto nel legale, non si fa più domande sul contenuto del diritto, ma scivola verso lo spegnersi della soggettività responsabile. Nietzsche parla di arte senza artista, un’arte che segnala il semplice accadere delle forme che vincono su altre forme, nel quale si prende semplicemente atto del primeggiare di alcune forme sulle altre, ma scompare la soggettività dell’artista, che diventa innocente come un bambino. Nietzsche lo dice per l’arte che descrive il superuomo non è un uomo più forte, ma è un post uomo, un uomo che non è più soggetto, che ha spento la significatività del giusto e dell’ingiusto, tra il bene ed il male, limitando le proprie domande in un nichilismo dove non c’è più spazio per il senso per alcun perché, dove vi è il nulla; il nichilismo, un’arte senza artista. 22 In questa affermazione di DIO E’ MORTO vi è però una contraddizione. Se sono stati gli uomini a uccidere Dio, quindi a cancellare i valori classici, impegnandosi in un impegno di manifestare la loro soggettività. Solamente dopo hanno cancellato anche la loro soggettività. Perché si dice di essere al di là del giusto e dell’ingiusto, al di là della soggettività si ha uno svuotamento della soggettività. Si chiede il massimo delle energie del soggetto per negare il soggetto. Negli ordinamenti giuridici, in quanto sistemi funzionali di norme, possono operare solo delle forme vuote, un nihil colmato operazionalmente dai due poli: il legale ed il non legale, determinati nei loro contenuti dai fatti attualmente vincenti nel sistema del fondamentalismo funzionale. I filosofi maggiori interpreti di Nietzsche sono Heidegger e Jaspers. Per Heidegger il nichilismo si viene compiendo attraverso il passaggio dal mondo greco, ovvero dall’idea di Platone, al mondo moderno, ovvero al concetto di cogito di Cartesio (l'uomo riscopre la sua esistenza nell'esercizio del dubbio. Cogito ergo sum: dal momento che è propria dell'uomo la facoltà di dubitare, l'uomo esiste). Il nichilismo secondo Heidegger si forma passando dall’idea di disvelamento della verità di Platone al concetto di Cartesio di considerare vero non ciò che è portato dal nascosto alla luce, ma l’idea che diventa certa modellata sulla certezza scientifica, vicina al linguaggio numerico delle scienze. Con Cartesio diventa vero ciò che viene posto vicino ad un linguaggio numerico delle scienze, secondo il modello della matematica, della certezza. Quindi i valori diventano un nulla, secondo Heidegger, perché i valori non possono essere accomunati ai numeri delle scienze. I valori nel pensiero classico aprono delle linee guide, ma non possono essere situati nel mondo scientifico, perché i valori riguardano la soggettività dell’uomo. Quindi l’uccisione di Dio, dice Heidegger, consiste nella posizione dell’idea come oggetto per il soggetto ovvero il tralasciare l’apertura per lo svelamento della verità che non è mai ultima a favore della certezza di un oggetto sperimentato scientificamente, raggiunto attraverso modelli matematici. Nietzsche dice che nazionale ed internazionale sono categorie dell’umanità che si sono date sinora, ma che hanno poco senso. Queste categorie hanno un significato per l’uomo inteso per un soggetto che esercita la soggettività nella cultura di un luogo, nella relazione tra le culture, che necessitano di una disciplina giuridica che le regolamenti. Oggi internazionale e nazionale è solo lo spazio dell’unico terreno che è il mercato globale. Abbiamo una sola globalizzazione relativa al mercato che cancella l’attenzione delle peculiarità delle culture dei luoghi. La società diviene di massa, anonima, di una massa che appartiene ai canali del mercato globale. 25 Il concetto Dio è morto ha anche il significato della cancellazione delle differenze esistenziale dei molti luoghi abitati dagli uomini nella terra. Jaspers dice che ormai non hanno più valore le affermazioni storiche filosofiche sulle differenze culturali, sul sapere che metta in questione l’uomo in ogni terra abitata, che essendo uomo realizza sé stesso nelle diverse culture rimanendo soggetto di diritti che gli appartengono come uomo indipendentemente della razza. Secondo Jaspers l’attenzione a questioni filosofiche che mettono l’attenzione sull’uomo in quanto uomo, perché ormai nulla è un sapere che meriti una attenzione. Con l’affermazione del nichilismo non vi è più u senso, un perché, che necessiti un sapere sull’uomo. Vi è una contraddizione del nichilismo giuridico, perché il nichilismo dovrà continuare ad affermare un pathos, un impegno che richiede molte energie, una partecipazione affettiva, magari solo per affermare l’inversione dei valori, per cancellarli. Il nichilismo però afferma che non c’è alcun senso, alcun perché. Il pathos testimonia l’esistenza di una partecipazione, mentre la fine del senso testimonia la fine di ogni partecipazione che abbia un pathos, condannando l’uomo ad un semplice stare a vedere. In Nietzsche questo gioco appartiene solo all’innocenza del bambino che guarda una ruota che gira da sola senza un perché, senza un pathos, un senso, con l’uomo che sta a vedere con indifferenza lo scivolare degli eventi, senza un alto ed un basso, un giusto ed un ingiusto. C’è ancora un giusto e un ingiusto, un alto e un basso? Che diviene la giustizia una volta che si è al di là del giusto e dell’ingiusto? Secondo Heiddeger nell’interpretare il percorso di Nietzsche dice che nel nichilismo la giustizia diventa la giustificazione. La giustizia lascia il giusto e l’ingiusto e la relativa libertà di scelta dell’uomo con le relative conseguenze, ovvero ciò che guida le scelte degli uomini. Si passa alla giustificazione, cioè che segue i fatti già avvenuti, ne prende atto, ovvero si da il via al processo di legalizzazione, la forza che ha vinto diventa il contenuto delle norme, la legalizzazione. Jaspers dice che la giustizia non è più quella per cui l’uomo lotta ed aspira: l’essenza della ricerca della verità delle relazioni tra gli uomini. La giustizia diventa l’essenza delle cose nel loro accadere. Dice in modo diverso ciò che Heiddeger dice parlando di giustificazione, cioè il diritto non è più ciò che orienta il soggetto nella scelta tra il giusto e l’ingiusto, ma viene a prendere atto i fatti come sono accaduti, della forza che ha vinto. Il tentativo di umanizzare il mondo del superuomo, nel senso del tentativo dell’uomo di divenire padrone del mondo attraverso la certezza dell’idea matematica, non tanto mediante la sostituzione dell’uomo a Dio (nichilismo imperfetto), ma la costruzione del mondo attraverso l’inversione dei valori, ovvero secondo l’abbandonarsi alla volontà di potenza che pone i valori solo come punti di 26 vista del suo stesso accrescimento perfetto (nichilismo perfetto). L’uomo deve tuttavia poi rendersi conto che il mondo è diventato il padrone dell’uomo, cancellando anche i suoi diritti non disponibili. Il mondo non è un luogo padroneggiato, ma privandolo della dimensione giuridica, cancellando le dimensioni non disponibili dei diritti dell’uomo, il mondo diventa un luogo dove accadono gli elementi vincenti. Nella prospettiva di Nietzsche (1995) il diritto “è la funzione di una potenza reggente ad ampio raggio, che vede al di la delle ristrette prospettive del bene e del male, ed è tale da costituire un orizzonte che è più ampio del vantaggio del conservare qualcosa di questa o di quella persona”. La giustizia non appartiene più a nessuna persona,ogni uomo non riesce a confinarla. Il diritto appartiene al padroneggiamento degli eventi per come si manifestano. Si ha il permanere di un “Nessuno”, che può essere il nome da dare agli eventi nei confronti dei quali l’uomo non ha alcun diritto, alcun potere. L’immagine del superuomo svela dunque il suo compimento nel post- uomo, nella fine dell’uomo, comportando una radicale trasformazione del fenomeno della giuridicità. L’uomo, il soggetto di diritto, diviene oggetto delle norme; così matura la progressione verso il nichilismo giuridico perfetto, ovvero verso un apparato normativo strumentale alla forza che funziona di più. Si danno solo norme trattate con altre norme, che usano l’uomo per il crescere della volontà di potenza del Nessuno e mai rinviano al diritto dell’uomo, alla giustizia illuminata dalla ragione giuridica (terzietà del nomos), che è strutturata come la ragione dialogica (trialità del logos). Jaspers mostra che in Nietzsche dice che “le categorie del pensiero sono delle illusioni necessarie alla vita”, ma sono uno strumento di cui la vita si serve per mantenere in essere se stessa. Anche la categorie del pensiero giuridico sono state illusioni così come le categorie che distinguono il giusto dal legale (ciò che è giusto perché è giusto nei contenuti che si riferiscono alla struttura dell’uomo e ciò che è legale perché posto da chi ha avuto più forza) diventano una illusione. Il diritto sembrerebbe essere solo un sintomo della forza, che non appartiene a nessuno, che di volta in volta sembra appartenere a chi è più forte, ma che poi svuota anche questo qualcuno. La coerenza del nichilismo vuole lo spegnimento della soggettività e la cancellazione di ogni manifestazione di ogni uomo, anche in quelle manifestazioni di chi ha esercitato una forza più forte di altri. Dal libro 27 capacità a manipolare ad elaborare in modo efficiente ed efficace degli enti e degli uomini considerati enti tra gli altri enti e per questo vincente. L’itinerario della ricerca della verità viene variata in una ricerca dell’efficienza. Questo porta, secondo Heiddeger, l’uomo a non pensare, a non interrogarsi sul senso, limitandosi all’intervento tecnico. Ecco perché si è detto che la scienza non pensa, ma è solamente un insieme di operazioni tecniche efficienti. Analogamente non si domanda che cos’è il diritto, non ci si interroga sul giusto, ma ci si interroga solamente se le norme siano efficaci, con il solo riferimento ad altre norme. Vi è una legalità indifferenza alla giustizia, che quindi può legalizzare tutto, dalla schiavitù al razzismo. Heidegger critica questo scivolamento dall’idea occidentale platonica della ricerca della verità (lo svelamento) alla semplice manipolazione tecnica, che si assolutizza. Tuttavia in Heidegger però non è pensata la centralità del diritto. Non compare alcuna riflessione su come il logos (luogo che custodisce l’uomo soggetto parlante) sia custodito dal nomos (il diritto). Per Heidegger il concetto di libertà è solamente un eventarsi dell’uomo, ovvero libertà semplice scorrere di eventi. In Heiddeger, proprio perché non è centrale il pensiero sul diritto, non ci si interroga sulla libertà che non sia un semplice evento. Non si interroga sulla differenza degli effetti della liberta sugli uomini e tra altri uomini. Non c’è alcuna attenzione sulla molteplicità della libertà di comportamento delle relazioni tra gli uomini. Eventi che non hanno una disciplina giuridica. La libertà diventa in Nancy una libertà fattizia, che il suo stesso accadere, senza regole perché è regola a se stessa. Se la libertà viene intesa come un succedersi di eventi che accadono, non può avere regole perché è essa stessa a regolarsi. Questo chiarisce perché una siffatta concezione della libertà non incontra mai le domande sul diritto, non si interroga sulla genesi fenomenologica e sull’uso esisenziale del diritto La libertà diventa paradossalmente una sorta di proprietà dell’uomo, che l’uomo si trova ad avere ma sulla quale non si fa delle domande; la libertà non impegnerebbe la responsabilità, a scegliere per il giusto o l’ingiusto. In questo modo le forme lasciano spazio allo scorrere di altre forme, lasciando spazio all’informe, lasciando spazio all’entrare dell’ingiusto al posto del giusto. Situato nel campo del diritto segna come le condotte dell’uomo appartengono solo al legale e al non legale, che sono solo eventi: ora accade l’uno, ora l’altro, a seconda dei rapporti di forza. L’ingiusto può diventare legale, perché non c’è una riflessione sulla qualità di libertà, che in questo caso non impegnerebbe l’uomo alla responsabilità sulla scelta del giusto e l’ingiusto. 30 Per il giurista è necessario interrogarsi sulla differenza tra la presenza ed il presentarsi. La differenza va interrogata (che effetto esistenziale ha la distinzione, la successione di eventi, in che modo può costruire una società) Oggi tra i molti sistemi sociali, si vede il dominio del sistema mercato, quale subsistema del sistema economia (Luhmann – Teoria dei sistemi sociali). Il sistema mercato si impone sugli altri sistemi ed anche sul sistema diritto, imponendo orientamenti anche agli altri sistemi. Il diritto diventa uno strumento del mercato, delle operazioni mercantili. Il denaro è il significante più annichilente ogni significazione. (Lacan). Si torna a cogliere la distinzione tra il significato ed il significante. Il significato consiste nell’enunciare semplicemente ciò che enuncia ovvero è solamente un enunciato definito. Il significante è l’aprirsi di un rinvio alla ricerca del senso di un oltre di ciò che è stato enunciato. Nella tesi di Lacan viene detto che il danaro è un significante ovvero dice un enunciato ma lo dice in modo tale da non essere confinato in quell’enunciato. Il denaro è quindi non solo un significato ma un significante, perché è in grado di nominare molti oggetti oltre quei singoli significati. 10 dollari dicono alcuni oggetti e parimenti altri oggetti. La stessa somma di denaro domina molte cose, che vengono rese fungibili dal quantum del denaro. Il danaro monetizza le cose e le rende un nulla, con un passaggio tipico del nichilismo. Tutto ha un prezzo, nulla è in sé qualcosa. Tutto è un nulla. Il potere nientificante del denaro (Heiddeger). Questa tesi che segna la principalità del denaro ed il suo potere nientificante impone al diritto di porsi delle domande. La filosofia del diritto interroga la scienza del diritto, la sociologia del diritto e ne evidenzia i limiti della commercializzazione dell’uomo, della monetizzazione dell’uomo. Ci sono dei limiti del potere del denaro? Se ci si pongono queste domande si comincia ad uscire dal nichilismo. Ciò che non può essere nientizzato quantificandolo nel denaro è l’uomo in quanto soggetto di diritti; i diritti dell’uomo non sono monetizzabili. Queste sono le domande sui rapporti tra il diritto e l’economia, tra il diritto ed il mercato. Il diritto è uno strumento del mercato o deve mettere dei limiti al mercato, affermando così che l’uomo non è una merce? Ponendosi le domande tra diritto e mercato/economia, ci si interroga se ci sono gerarchie tra i sistemi sociali. Nella teoria di Luhmann (che trae la sua tesi da due biologi, Varela e Maturana) si dice che non vi è alcuna gerarchia tra i vari sistemi, ad esempio tra il sistema mercato ed il sistema diritto. Si afferma quindi che a seconda del tempo ad esempio per un certo periodo il sistema religione ha prevalso sul sistema diritto e che oggi il sistema mercato prevale sul sistema diritto. Se si lasca 31 senza gerarchia i sistemi, allora si apre la strada che porta il diritto ad essere asservito al sistema sociale vincente. Ma se il diritto non ha alcun contenuto, essendo asservito agli altri sistemi, il diritto ha semplicemente la funzione di sistema immunitario. Il sistema immunitario garantisce il funzionamento degli altri organi. Il diritto analogamente in sé non ha uno scopo, ma si limita a garantire, a regolare il funzionamento degli altri sistemi sociali. Il diritto non ha quindi alcun contenuto: non c’è alcun diritto dell’uomo, all’uomo accade di avere una condizione imposto in modo eteronomi di alcuni sistemi rispetto ad altri sistemi: il nichilismo giuridico perfetto. 32 L’oscurarsi della differenza tra l’ente e l’essere produce certo uno stato del mondo dove la condizione di spaesatezza dell’uomo rispetto alla sua essenza viene rimpiazzata con l’instaurazione della conquista della terra, con la parvenza che l’uomo, liberato nella sua umanità, abbia assunto in suo potere l’ordinamento dell’universo. Le qualificazione della necessità sono diverse ed opposte: 1) vi è una necessità che consiste nel venire asserviti al trovarsi quotidianamente presi-tra-gli- enti 2) una necessità che svolge un’opera di liberazione (svelamento dell’essere). Nell’analisi della giuridicità analogamente il muovere da alcuni sistemi di norme per volgersi ad altri complessi normativi situa l’uomo nel cerchio captativi dell’essere-preso-tra-le-norme, così da non poter mai aprire le domande sul diritto, destinato ad un funzionamento del sociale che è stato privato di senso esistenziale e dunque senza senso. 35 Lezione 10 L'essenza del nichilismo: il fondamentalismo funzionale L’essenza del nichilismo si concretizza attualmente nel Sistema del fondamentalismo funzionale, che si afferma sostituendo, alle domande sul senso del futuro scelto, il calcolo monetizzante delle operazioni sistemiche, determinate l’una dopo l’altra dai fatti che hanno successo mercantile e producono una ‘decisione’ che è del Nessuno e dunque ‘funziona’ senza autori, né scopi, né senso. È una ‘decisione’ che ha potenza perché, nel suo immediato presentarsi nella ‘società complessa’ non si lascia contrastare, essendo priva di una genesi e di un volto individuabili. Le analisi di Heiddeger sul nichilismo ricevono una chiarificazione dalle tesi di Luhmann che discutono il concetto di decisione, sollecitando a considerare anche i concetti di scelta e di responsabilità, formativi del diritto, descrivibile come sistema distinto dagli altri sistemi sociali. La decisione è un concetto che implica il riferimento alla responsabilità di chi decide, comporta il rinvio agli argomenti che costituiscono la qualità della decisione, la conformità della decisione a delle norme, la conformità della decisione ai riferimenti che dalle norme vigenti aprono al questionare sulla ricerca del giusto nel legale. Aprono quindi al complesso dell’attività ermeneutica, che porta a pienezza il decidere nel diritto. Luhmann sostiene che nell’economia della società il momento centrale è il momento del saldo, del pagamento; l’economia si regge sul momento del pagamento (senza il quale gli altri piani dell’economia sarebbero inutili ad es. produrre o fare pubblicità se poi non si concretizzasse il pagamento). Analogamente nel diritto si dice che il momento centrale è quello della decisione del terzo giudice. Se non ci fosse questo momento le attività del legislatore e della forza di polizia sarebbero delle operazioni private, come l’esperto che dà consigli, non ci sarebbe la certezza della concretezza, poi garantita dal terzo polizia. Che ne è della decisione in generale nella società contemporanea? La decisione fa riferimento alla scelta, dopo aver effettuato un’opera selettiva. La decisione giuridica è tale se comporta anche la responsabilità, che costruisce la struttura nei vari gradi di giudizio della decisione. Luhmann mette in discussione il concetto di decisione secondo la sua teoria generale dei sistemi, costruita sul concetto principale di tale teoria: la funzione della funzione è solo la funzione. La teoria generale dei sistemi ha il suo asse nella suddetta tesi, vuol dire che non c’è nulla oltre il 36 semplice funzionare: vi è solo il funzionalismo che configura il fondamentalismo funzionale. Soltanto la fluidità lascia emergere alcune forme invece di altre solo perché più, perché vincenti, ma senza un perché, senza una domanda sul senso. Fondamentalismo funzionale – nichilismo. La partecipazione ha in Luhmann non ha più quel significato, quel pathos, che doveva indicare come si diventa uomini e come gli uomini dovevano essere trattati dagli uomini. La partecipazione per Luhmann non ha più riferimento al valore dell’uomo, ma deve solo chiedersi come si possono raggiungere i migliori risultati possibili: la partecipazione è soltanto funzionale. La partecipazione giuridica, prendere parte all’organizzazione giuridica, non significa più cercare di avvicinare la soluzione migliore per la qualità delle relazioni giuridiche tra gli uomini, la ricerca del giusto, ma cercare la soluzione migliore dal punto di vista del fondamentalismo funzionale, ovvero una soluzione funzionale e coerente alle norme, al legale; senza interrogarsi se corrisponda alla soluzione più giusta. Un diritto che accade nell’uomo ma che non ha nulla a che vedere con il diritto dell’uomo. Si trasforma anche il concetto di organizzazione. Diventa ciò che è chiesto dalla non conoscenza del futuro, deve soltanto concretizzare il successo delle operazioni dei sistemi, per garantire la velocità del combinarsi delle molte operazioni dei sistemi. L’organizzazione deve essere ciò che tratta l’incertezza. Significa trattare l’incertezza non con riguardo alla qualità delle relazioni giuridiche tra gli uomini, ma trattare l’incertezza con riguardo al successo delle molte operazioni dei diversi sistemi sociali, tra i quali oggi il sistema dominante è quello economico del mercato. Si ha quindi una organizzazione che non ha quale centro di riferimento la custodia della dignità dell’uomo, ma custodire l’efficacia delle operazioni dei molti sistemi, che non hanno un volto, non hanno riferimento all’esercizio della soggettività. Ci si allontana molto quindi dal concetto classico di ordine giuridico. In Luhmann le diverse organizzazioni non sono orientate allo scopo ma sono organizzazioni che cercano uno scopo. Le prime hanno come criterio la giustizia dello scopo, organizzazioni che si lasciano condizionare ed orientare da questo criterio, la ricerca la giustizia nel legale. Le seconde cercano uno scopo , nel senso che si adattano a quel che accade; è una organizzazione caratterizzata da un fluire liquido, dove lo scopo è quel che volta per volta guadagna una forma. 37 Lezione 11 'Memoria personale e memoria sistemica': il fondamentalismo funzionale Il fondamentalismo funzionale trasforma la ‘memoria personale’ in una ‘memoria sistemica’; così le memorie del ‘giuridico’ - norme, giurisprudenza, ecc. - non impegnano il giurista-uomo sulla qualità del coesistere nel diritto, ma riguardano il funzionario delle tecno-norme quanto all’efficienza di ‘decisioni’ determinate dalle fasi asoggettive di una evoluzione modellata nell’ordine di un bio-diritto. Si produce la nientificazione dei soggetti di diritto, tali solo in quanto soggetti di storia e non oggetti dell’evoluzione, che mai ha presentato alcunché dei fenomeni della giuridicità. La storia del diritto eccede la cronologia dell’evoluzione biologica di una specie di viventi. Se si vuole incontrare la realtà contemporanea bisogna fare una riflessione sul diritto caratterizzato dal nichilismo giuridico che sono attualmente in progressivo concretizzarsi nel sistema del fondamentalismo funzionale. L’annuncio di Nietzsche sul nichilismo diventa sempre più concreto con l’affermarsi del fondamentalismo funzionale. In questo contesto, afferma Luhmann (teoria dei sistemi sociali) anche il concetto di memoria cambia significato. Trasformazione da memoria personale a memoria sistemica. Si ha la trasformazione dal giurista uomo al funzionario delle tecno-norme. Il nichilismo trova così il suo compimento: nel nichilismo giuridico non interessa più la storia del pensiero giuridico, ma solamente la continua trasformazione asservita al funzionamento dei sistemi al fine dell’efficacia delle operazioni giuridiche (senza alcun riferimento ai diritti dell’uomo, alla dignità dell’uomo quale concetto centrale della giuridicità). Il funzionamento del sistema ha due fasi: apertura informativa e chiusura organizzativa. Sono momenti essenziali che servono a far sì che il diritto custodisca la sua funzione, ovvero secondo Luhmann conservare la autopoiesi (secondo Maturana un sistema autopoietico è un sistema che ridefinisce continuamente se stesso ed al proprio interno si sostiene e si riproduce) ovvero la conservazioni delle operazioni del sistema, che conservando la sua differenza continua ad esistere. Il singolo sistema continua ad esistere se la sua auto poiesi viene custodita. Il sistema si distingue dagli altri sistemi perché custodisce la sua funzione specifica e la fa rientrare in ogni sua fase. Il 40 diritto opera come un sistema immunitario, ha attenzione alla conservazione della vita degli altri sistemi. Il sistema diritto non è posto davanti alla scelta giusto-non giusto, ma sovrintende solo al funzionamento degli altri sistemi. Il sistema non ha una coscienza, non ha neppure quello che è proprio della coscienza. Si tratta di una analisi che non può essere certo avvicinata a quella della doppia contemporaneità nella quale compaiono la coscienza, l’io, il se stesso e compare la responsabilità. Essere contemporaneo agli ambienti, agli elementi che lo ambientano, alle cose che lo circondano ma essere anche contemporaneo a questa contemporaneità. In questo intervallo tra queste contemporaneità compare ciò che non compare nella vita dei sistemi, ovvero compare l’io, la coscienza… compare ciò che è esclusivo dell’uomo. Luhmann invece distingue tra macchina banale e macchina non banale (il diritto è una macchina non banale). Per Luhmann sono banali le macchine prive di auto-osservazione, che compiono solamente delle funzioni immesse dall’esterno. Le macchine capaci di auto-osservarsi sono macchine non banali; sembrano compiere le operazioni proprie della coscienza, ma non hanno nulla della struttura della coscienza. Sono in grado di auto aggiustarsi ovvero sono fluide e flessibili con la realtà che muta. Per Luhmann sono macchine non banali le macchine storiche, i sistemi sociali; le macchine banali sono tutte le altre macchine che non hanno una flessibilità adattativa. I sistemi, in quanto macchine non banali, compensano secondo Luhmann la propria chiusura operativa con l’autoosservazione. Nella macchina non banale del sistema diritto, la decisione (per Luhmann) ha un significato diverso dal significato attribuitole dal pensiero classico fino a prima dell’affermarsi del nichilismo. La funzione della funzione è solo la funzione. La decisione dunque non persegue uno scopo (che implicherebbe una scelta, che richiama ad una coscienza, alla libertà umana), ma ha soltanto dei fini (che si trovano anche nell’intelligenza artificiale, ripetizione di un insieme di operazioni). Trasformazione della memoria personale in memoria organizzativa. Per Luhmann la decisione in una macchina non banale come il sistema diritto è un insieme di attività che lascia apparire la decisione ma attribuisce a tale parola un significato completamente diverso rispetto all’affermazione del nichilismo giuridico. Nei sistemi come il diritto non compaiono gli scopi, che comporterebbe la presenza di una soggettività che sceglie: nelle macchine non banali non ci sono scopi, ma solamente fini. Le memorie degli uomini hanno centrale 41 riferimento alle selezioni degli scopi, diversamente dalle altre del non umano che hanno solo fini, che sono ripetizione di un insieme di operazioni che si riproducono senza che intervenga la coscienza per la responsabilità. In Luhmann la differenza tra sistema ed ambiente viene copiata all’interno del sistema perché orienta, ripetendole con flessibili autosservazioni funzionalmente specifiche delle memorie di quel singolo sistema: non si apre però lo spazio terzo, costitutivo della trialità del logos dove la libertà del parlante si lega al senso del diritto, nomos dell’uomo e non solo apparato del funzionamento strumentale delle norme dell’uomo. Luhmann dice che uno dei compiti dei sistemi è trasformare una memoria personale in una memoria organizzativa, che significa eclissare sempre più la presenza anche nel terzo giudice della soggettività libera e responsabile, rimuovendo anche in chi si trova davanti al terzo giudice la memoria personale, lasciando spazio solo alle memorie organizzative, ovvero ciò che chiede ogni volta la vita dei sistemi, che non ha soggettività e può continuare a funzionare anche sacrificando la qualità della soggettività, la condizione e il riconoscimento dell’io. Luhmann: nelle organizzazioni moderne non si muore. E’ questo un paradosso che significa che la morte non ha più un rilievo esistenziale, è soltanto un evento tra gli altri eventi , viene trattato nell’organizzazione come nient’altro che un incidente. L’uomo non è più l’unico soggetto ad avere il senso della morte, e di conseguenza anche il senso della responsabilità. Altro paradosso di Luhmann: le persone non pensano. Attualmente, secondo la teoria dei sistemi sociali, gli uomini sono costruzioni della società a fini della società stessa. Gli uomini devono il loro io soltanto al continuarsi dei sistemi sociali. Essendo prodotti dei sistemi sociali non sono individui portatori di libertà, ma solo dei luoghi di transito delle molte informazioni dei vari sistemi (politica, economia) che si incrociano. L’uomo essendo solamente un luogo di transito, non ha nessuna soggettività, l’uomo non dice niente di se stesso, e quindi non ha nessuna responsabilità ed è per questo che, come dice Nietzsche, è innocente. Cadrebbe la differenza tra l’uomo e l’animale, la differenza tra il diritto e le leggi biologiche. Ma è il pensiero che distingue l’uomo dagli altri viventi non umani. L’uomo è soggetto di di diritto in quanto soggetto di pensiero e per questo capace di compiere delle scelte, di emettere delle decisioni e quindi di assumersi delle responsabilità. Il pensiero non ha una spiegazione scientifica, l’arte non ha nessuna spiegazione, l’arte è extra sistemica, non si lascia precalcolare. 42 Luhmann per la decisione fa l’analogia con il tempo: anche il tempo è un paradosso; il tempo nel tempo è lo stesso tempo ma contemporaneamente nel tempo il tempo è un che di diverso, è un divenire. Per Luhmann la decisione è un evento comunicativo e non un qualcosa che è nella testa di un individuo. Vuol dire che la decisione è un evento (che succede autonomamente) e che è comunicativo perché si dà per il darsi delle molte informazioni, ovvero un evento informazionale. Non è nella testa di un terzo significa che non appartiene alle sue scelte, non gli è riferibile, non è opera di una sua selezione, non è imputabile alla soggettività responsabile del terzo giudice. Luhmann dice ancora che la decisione è possibile solo perché il futuro è ancora indeterminato, sconosciuto: in questo consiste la responsabilità. La decisione e la responsabilità sono state considerate sinora, ma non correttamente secondo Luhman, solo quel che ancora l’uomo non conosce e quindi vi è uno spazio per decidere. Se l’uomo conoscesse tutto non avrebbe nulla da decidere, non avrebbe alcuna responsabilità. Una tesi opposta a quella di Luhmann è quella di Jaspers che dice “mi accerto del fatto che qualcosa alla fine dipende solo da me, là io decido cosa sono”. Anche davanti ad un sapere compiuto, l’uomo potrà dire di no, rimarrà sempre libero, rimarrà sempre l’essenzialità dell’io. Anche la conoscenza scientifica integrale non potrà impartire comandi sugli aspetti affettivi propri dell’uomo. Il concetto di orientamento allo scopo viene sostituito da Luhmann con il concetto di assorbimento dell’incertezza. Nella descrizione di Luhmann rimane assente l’apertura affettiva dell’uomo e dunque rimangono assenti gli a priori dell’intenzionalità affettiva (differenza tra amore e odio, etc) ed anche gli a priori dell’intenzionalità cognitiva (principio di non contraddizione, etc) che illuminano gli apriori dell’intenzionalità giuridica (opposizione giusto=riconoscimento, ingiusto=esclusione). I tre piani del pathos (apertura dell’intenzionalità affettiva), del logos (apertura dell’intenzionalità cognitiva) e del nomos (apertura dell’intenzionalità giuridica) non sono tre sistemi, non sono separabili, costituiscono un complesso unitario. Non si aprono inofrmativamente l’uno all0altro, come tre sistemi, per poi chiudersi ciascunto nella razionalità esecutiva della sua signaola funzione: sono come tre anelli di corda, uniti da un nodo che è il nodo borromeo, (Lacan). Se si taglia uno degli anelli si sciolgono anche gli altri due. 45 L’uomo non è solo un portatore di fini (non scelti ma trovati), ma di scopi. (Scheler distingue tra scopi che sono cercati, scelti, ed i fini che sono trovati). Per Luhmann la decisione non è assunta dal terzo giudice nella sua dimensione unitaria, di pathos, nomos e logos, ma è un qualcosa che accade, ma non è assunta nella dimensione unitaria di pathos, logos e nomos. Per Luhmann gli scopi non sono altro che dei disagi, che l’uomo ha chiamato scopi. Non sono fattori motivazionali, sono dei disagi che consentono di agganciare alcune operazioni di un sistema ad altre operazioni di un altro sistema. Disagi nel senso di un funzionamento perfettamente efficiente di qualche sistema sociale. I disagi vengono degradati a fini. Luhmann tralascia la soggettività del terzo Altro, ovvero si tralascia la soggettività giuridica, ovvero non si interroga sul futuro dell’esistenza dell’uomo, ma un sostituirsi da un dopo, una successione di momenti che accadono: non è il futuro, che è costituito da una scelta responsabile. Il pensiero giuridico classico ha analizzato la responsabiltià nella condizone dell’essere imputabile quanto ad una decisione che un soggetto assume in una dimensione del tempo: In Luhmann decisione e tempo diventano paradossi. La decisione ed il tempo diventano un passaggio verso un lavoro per assorbire l’incertezza: il concetto di orientamento allo scopo (pensiero classico) viene sostituito dall’assorbimento dell’incertezza. E’ il momento centrale della tesi di Luhmann: il futuro non interessa, non responsabilizza il soggetto che sceglie, non impegna la libertà, si passa da una memoria personale ad una memoria organizzativa perché il futuro viene ad essere solo l’assorbimento di incertezza, assimilandola in forma sistemica, trattandola in modo che i sistemi continuino a funzionare efficientemente, senza guardare alla qualità dell’esistenza dell’uomo. Le tesi di Luhmann sulla decisione sostengono che la responsabilità si darebbe soltanto perché l’uomo tratta qualcosa di non pienamente conoscibile in una definita condizione del sapere. La responsabilità consisterebbe pertanto nel non poter raggiungere i livelli di conoscenza e della speciazione propri della scienza, quanto ai rapporti tra l’uomo e le entità che egli incontra e tratta. Se tali livelli di conoscenza fossero raggiungibili l’uomo sarebbe innocente, perché pienamente dispiegato nel funzionamento delle operazioni dei sistemi. Luhmann sostiene che la responsabilità non sorge perché l’uomo non è esposto al poter scegliere diverse gradazioni dei due poli opposti che costituiscono i modelli principali dell’esistere in relazione con gli altri: il polo del rispetto e quello della violenza. 46 Uscendo dalla costruzione di Luhmann la responsabilità nasce non perché non sono ancora conosciuti scientificamente il rispetto e la violenza, ma perché l’uomo pur conoscendo le due dimensioni, esercita e manifesta la sua libertà rendendosi responsabile della sua decisione nel rispettare l’altro oppure nell’usargli violenza. Luhmann dice nel caso di una informazione completa nessuna decisione potrebbe essere riconoscibile come decisione, ovvero non ci sarebbe un problema di decisione, ma neanche un problema di linguaggio. Se l’informazione non chiedesse all’uomo il senso dell’operazione e si esaurisse nel sistema funzionale, e l’uomo non fosse chiamato a descrivere il senso, verrebbe meno il linguaggio perché non ci sarebbe nulla da dire. Nella teoria dei sistemi il linguaggio non è il linguaggio di un soggetto ma sarebbe solo il linguaggio del linguaggio, ovvero il succedersi delle operazioni dei vari sistemi, una dopo l’altra. Ma il linguaggio pieno che investe la responsabilità del soggetto parlante è un linguaggio che si domanda sugli eventi dei sistemi, si trova chiamato ad avvertire la responsabilità di sceglier un orientamento piuttosto che un altro. I parlanti non si limitano a mettere in parole ciò che accade, ma dicono le loro ipotesi, prendono distanza da ciò che viene enunciato perché vede apparire subito la possibilità che altri abbiano altre interpretazioni. Il parlante vede nella comunicazioni con gli altri vede il suo ipotizzare, che è tale perché vede emergere le possibili conflitti di sensi. Nella teoria dei sistemi sociali di Luhmann la decisione potrebbe diventare un semplice stare a vedere il succedersi delle operazioni vincenti. Le decisioni sono degli eventi autoreferenziali, si limitano a consentire che si passi da una contingenza aperta ad una contingenza chiusa, rimanendo nella contingenza, senza vedere il contenuto della libertà. Luhmann dice che i diritti fondamentali alla libertà ed alla uguaglianza, simbolizzano una forma di inclusione degli individui nella società di tutti gli individui in quanto individui; ovvero dice che gli individui sono degli elementi inclusi in una organizzazione che serve all’organizzazione stessa; individui inclusi e non individui riconosciuti nella società in quanto portatori di una soggettività giuridica. L’inclusione è uno svuotamento della originalità dell’uomo. 47 Nancy ha una tesi opposta che ritiene la libertà sia un evento dove accade qualsiasi contenuto: libertà uguale il niente. Ovvero libertà aperta ad ogni itinerario, ogni contenuto è possibile. La libertà non riposa né nella indipendenza né nella necessità, non è spontanea e non è imposta. Libertà è trovarsi davanti all’accadere di un accadimento, lo stare a vedere innocente (una folgorazione). Se fosse così la libertà finirebbe per essere confusa con l’indifferenza, con la non responsabilità sia giuridica che morale, che appartiene alle macchine ed agli animali, non all’uomo. L’uomo soggetto ha una sua storia (richiede soggettività), non è l’oggetto di una evoluzione. L’evoluzione si lascia conoscere scientificamente ma non interpretare. La libertà non è un nulla ma un ritrovarsi costantemente nell’esercizio della responsabilità. La libertà di un singolo è la formulazione di una ipotesi interpretativa, che non potrebbe essere tale se non ci fossero altre ipotesi. L’ipotesi non è possibile che sia slegata dal rinvio ad altre ipotesi di senso. Soltanto quando io ascolto, ovvero faccio opera di comparazione con le ipotesi di altri, solo allora ho la consapevolezza che la mia è una ipotesi, solo allora ho la libertà. Altrimenti sarebbe lo svolgimento di una operazione biologica. Gli uomini ipotizzano perché discorrono in uno spazio terzo, quello dello logos e del nomos, che nessuno può padroneggiare. Non tutte le possibili interpretazioni saranno equivalenti: alcune avranno i tratti della giuridicità, ovvero espressione della ricerca del giusto nella legalità. Il diritto deve avere la modalità del riconoscimento e non dell’esclusione. Nella situazione contemporanea si prende atto che la tendenza è di modellare l’interpretazione secondo il modello della tecnica, trascurando l’arte: la tecnica modella l’interpretazione secondo come il mercato modella la tecnica. Se il dominio è del mercato si avrà il capovolgimento del pensiero classico, che distingue le cose di valore (beni che entrano nel mercato) che possono essere manipolati dalle tecniche, dai valori come giustizia, solidarietà, etc. Ciò chiede di orientare la formazione del giurista: attualmente emergono problemi che il tecnico delle norme non può avvicinare. 50 Lezione 14: Il diritto strutturato come il linguaggio che è discorso. Le leggi - strutturali e non convenzionali - del linguaggio consentono di enunciare e comunicare le creazioni di senso, ma non sono create né dai parlanti, né dai linguisti. Le leggi delle cose, dei viventi e delle macchine sono scoperte ed enunciate dall’attività di ricerca delle scienze, ma non sono ‘istituite’ dagli scienziati; non si individuano legislatori nelle leggi della fisica, della chimica, della neurobiologia, ecc. Le norme giuridiche sono invece istituite, nella ripresa, storicamente sempre originale, del principio: il diritto(nomos) è strutturato come il linguaggio che è discorso(logos), illuminato dagli a priori dell’apertura affettiva(pathos). L’attenzione all’interezza dell’io comporta l’interpretazione del silenzio del non detto, che avvia il senso del detto. Il parlante esiste e coesiste proprio nel nesso tra il non detto (sapere che non si sa/inconscio) ed il detto (sapere che si sa/conscio). Il giurista compie l’opera dell’interpretazione custodendo il legame tra la fedeltà al contenuto enunciato nel testo (detto/norme) e la lettura originale del testo (non detto/diritto). Anche per quel che riguarda la giuridicità si può sostenere che l’interpretazione v’è solo se fedeltà e libertà sono affermate insieme. Nell’opera del giurista si afferma il nesso ermeneutico che unisce inseparabilmente la verità e la sua formulazione. Le molte possibili modalità interpretative non sono tutte equivalenti, ma sono misurte e distinte da loro riferimento al polo della relazione giusta o a quello della relazione non giusta in quanto non manifesta e concretizza le tre figure imparziali della terzietà (legislatore, giudice, polizia), ma impone un contenuto di parte, manifestando il suo non essere sopra le parti. La differenza nomologica (norme/diritto) consise nella separazione tra le norme (dicibili, dette) ed il dirito (non dicibile, non detto). Il linguaggio degli uomini ha una struttura diversa dai messaggi degli altri viventi. Il linguaggio dell’uomo è discorso, che implica una formazione di ipotesi. Il linguaggio dell’uomo comporta l’istituzione di una seconda vita. Le leggi del linguaggio degli uomini consentono alla discorsività degli uomini una creazione di senso. Quando questo non accade abbiamo un noioso transitare di informazioni funzionali. Il linguaggio discorso non consente però una creazione delle leggi del linguaggio che è discorso; se si ha questa pretesa si scivola verso la fuga delle parole, verso un caos di un dire senza senso. Lo scienziato è il chimico, il botanico, ma mai il legislatore delle leggi della scienza, della chimica o della botanica. Gli scienziati lavorano per portarle alla luce, per enunciarle ma non ne sono i legislatori delle leggi della chimica o della botanica, le scoprono. 51 Le norme giuridiche sono istituite a differenza delle leggi della scienza, ed anche a differenza delle leggi del linguaggio; si può convenire su alcune formulazioni linguistiche ma non si può disporre delle leggi profonde del linguaggio, non si può mai disporre della distinzione del significato e del significante. La parola è un elemento che non è riducibile ad un numero. L’uomo, pur non disponendo delle leggi del linguaggio che è discorso, ha la responsabilità di istituire (attraverso le leggi di un linguaggio che è discorso) le norme e di selezionare i contenuti delle norme giuridiche. Questa è la responsabilità del terzo legislatore. Si apre poi la responsabilità dell’opera del terzo giudice nell’opera interpretativa non riconducibile al lavoro scientifico in quanto presuppone un lavoro di interpretazione, che ha sempre a che fare con la soggettività. Pareyson: la personalità dell’interprete è una situazione invalicabile dalla quale egli non può uscire, perché nessuno può uscire da sé. L’interprete non può liberarsi dalla responsabilità dell’interpretazione, non può essere sostituita dai modelli scientifici perché ciò necessiterebbe che l’interprete uscisse da se stesso e non fosse più uomo. L’interpretazione non può essere lasciata all’intelligenza artificiale, perché non incontrerebbe più la soggettività. Soltanto la soggettività del terzo giudice in quanto uomo può incontrare l’altro uomo nella sua soggettività. Solo se l’opera ermeneutica rimane nel campo dell’arte potrà incontrare la soggettività di chi entra in un palazzo di giustizia La soggettività non è oggettivabile. La coscienza si sottrae ad ogni considerazione oggettiva perché l’esistenza è ciò che non diventa mai oggetto. (Jaspers) Nella tendenza alla ingegnerizzazione del diritto, sembra che si prospetti una maggiore imparzialità scientifica. Sembrerebbe che affidandosi ad un sistema bio macchinale si potesse eliminare i tratti di parzialità tipica dell’uomo giudice, che in quanto uomo è portatore di una inevitabile parzialità perchè portatore di una storia personale. Ma non è affidandosi ad un congegno bio macchinale che si raggiunge l’integrale imparzialità. Il tecnico delle norme non è imparziale perché è al servizio della funzionalità dei sistemi, non incontra la soggettività dei soggetti di diritto; appare più imparziale ma in realtà è dalla parte della efficienza funzionale dei sistemi quale che sia il costo esistenziale degli uomini. 52 Il condannato non è un oggetto che viene reso innocuo, che non possa creare altro danno. Il condannato viene riconosciuto nella sua soggettività umana e per tanto una pena che è destinata al reinserimento del singolo nel complesso delle relazionalità sociali; questo conferisce alla pena un senso esistenziale, la distingue dalla quantificazione della vendetta animale. 55 Lezione 15: Istituire, interpretare ed applicare le norme: la dimensione dell'arte nel diritto, oltre il suo "funzionamento" Nell’istituire, interpretare ed applicare le norme, il giurista opera nella dimensione dell’arte, formativa di ogni modalità del linguaggio delle parole creative, origine anche del legame giuridico tra gli uomini. Quando le parole scivolano verso i numeri, si ha quel ‘funzionamento’ dei sistemi sociali dove il nichilismo progredisce verso il suo affermarsi come ‘fondamentalismo funzionale’, retto dal principio ‘la funzione della funzione è la funzione’, senza perché e senza senso. Il nichilismo può essere vissuto in un suo stadio ancora ‘imperfetto’, ‘non tragico’; può circolare come una merce culturale, esposta, tra le altre, nei canali mercantili dei mass media. L’opera del giurista uomo ha due possibili itinerari: uno che si costruisce nel modello dell’arte e l’altro che si costruisce secondo il modello della tecnica. Sono modelli presenti da sempre nella storia del pensiero giuridico. Attualmente è divenuto più forte la presenza del modello tecnico-scientifico. Quando ci si riferisce all’opera del giurista si riferisce alle tre figure della terzietà giuridica, che costituiscono l’intera esperienza giuridica: opera dell’istituire le norme, del terzo legislatore; opera dell’interpretare ed applicare le norme, del terzo giudice; opera dell’eseguire, del porre in concreto i passaggi precedenti, del terzo polizia. La peculiarità della condizione contemporanea emerge nella tendenza a proporre una spiegazione scientifica della libertà dell’uomo che il pensiero filosofico dei classici discute con il concetto di libero arbitrio. Ritenuta raggiunta la spiegazione della libertà, ne consegue che anche il diritto ed il linguaggio giuridico siano incontrati secondo modelli scientifici, principalmente dalla neurobiologia e dall’intelligenza artificiale. La maggiore presenza delle costruzioni fondate sul versante della tecnica dipende dal fatto che la scienza ritiene di proporre una spiegazione del libero arbitrio dell’uomo. Gli itinerari che ritengono di poter spiegare il libero arbitrio scientificamente sono sostanzialmente quello delle scienze neurobiologiche e quelle che ruotano attorno all’intelligenza artificiale. Questi due versanti avvengono oggi in un processo di ibridazione tra di loro. 56 Dennett (L’evoluzione della libertà, 2004): l’atmosfera del libero arbitrio che avvolge tutto, che tutt’ora continua a conferire il potere che modella la vita, è composta da quelle azioni intenzionali che consentono di progettare, di sperare, di promettere (quindi la spiegazione del libero arbitrio), ma che ormai è in via di archiviazione. E’ possibile una condizione umana dove è nominato il libero arbitrio, ma la scienza ci permette di dire che non è stato altro che una ideologia che ha modellato la vita in questi millenni. Possiamo imparare a fare a meno a questo riferimento ideologico. La libertà, il libero arbitrio, secondo Dennett, sarebbe stato null’altro che un sintomo, uno dei fenomeni processo evolutivo. Per Dennett non esiste un libero arbitrio nell’uomo che sceglie ed è libero e responsabile e quindi giuridicamente imputabile. La caduta dei questa concezione farebbe cadere la distinzione tra l’evoluzione (processo non scelto) e la storia (scegliersi degli uomini delle diverse fasi della storia). Changeux (neuro biologo francese): le scienze cognitive possono giovarsi di straordinari sviluppi e metodi che avrebbero aperto quello che mai prima si era reso accessibile all’umanità; avrebbero aperto una finestra scientifica sulla soggettività. Questo avrebbe portato una nuova luce sulla normatività. Questo sé (se stesso, l’io) non sarebbe più il sé profondo esistenziale, dello spirito, ma sarebbe il sé dei neuroni o degli elettroni, la massa cerebrale ove avvengono le sinapsi o un elaboratore capace di intelligenza artificiale. Dunque (i neuroni e gli elettroni) una macchina non banale capace di auto osservarsi, autoaggiustarsi, come dice Luhmann, mostrandosi capace di adattarsi ai cambiamenti che incontra. Per questo si potrebbe parlare di una scienza giuridica senza giurista, perché l’insieme delle attività giuridiche non sarebbero altro che la combinatoria dei neuroni ed elettroni. Non ci sarebbe però più differenza con la combinatoria che mantiene in vita gli animali, i vegetali e le macchine. Cancellato il libero arbitrio si guarda alle spalle la storia di produzione delle norme e si vede che non si è trattato null’altro che un sintomo dell’evoluzione dei sistemi biologici. L’attività della terzietà del giurista non sarebbe altro che un’opera cerebrale: il cervello secerne pensiero come il fegato secerne bile (Roudinesco). Essendo spiegabile, l’attività di secrezione farebbe cadere la differenza fra uomo e ciò che non è uomo. Questa posizione è contraria a quella che sostiene che il diritto esiste in quanto il soggetto e la libertà non si spiegano. Ci sarebbe un nichilismo giuridico compiuto, senza alcuna domanda sul senso dell’istituire le norme, alcuna differenza tra ciò che accade e ciò che si sceglie e di conseguenza alcuna 57 Che ne è del giurista nella condizione contemporanea? Il giurista è in una situazione difficile, di transito. Non è più il giurista dell’arte, della ragione. Non è ancora però un software, un elaboratore. Questa situazione si misura nella quotidianità della giurisprudenza. E’ possibile che il giurista artista della ragione lasci il posto al tecnico delle norme? Questo interrogativo permane, e ci dobbiamo chiedere perché allora i processi si fanno solamente agli uomini. Perché non si processano le macchine intelligenti o gli animali? Perché il processo giuridico ha solo gli uomini come attori? Secondo Scheler anche gli animali sono stati processati e sono stati condannati a morte. Se però si considera più da vicino questi processi agli animali, si sono in realtà processate le proiezioni proprie dell’uomo sugli animali. Né alcuna macchina intelligente è stata parte di un processo, né un animale può essere parte di un processo. Nel diritto è essenziale il momento di responsabilità e l’imputabilità dell’uomo, che sono collegate alla libertà di agire. Solo l’uomo è imputabile, solo l’uomo è responsabile. Questa responsabilità è legata alla libertà dell’uomo, ovvero alla non spiegabilità tecno-scientifica della condotta dell’uomo. Le condotte a giudizio dell’uomo sono la conseguenza di scelte libere dell’uomo, per questo non scientificamente spiegabili. Quando l’uomo si trova in una situazione che oscura questa libertà di scelta propria dell’uomo, non è più imputabile. Il diritto appartiene esclusivamente agli uomini. L’uomo è un soggetto parlante; enuncia parole polisense, non sono dei numeri univoci, non si lasciano incontrare in un’unica maniera. C’è una presenza forte della storia nella vita del diritto, che oggi ha dei tempi sempre più veloci, il diritto è sempre mutante. L’uomo è soggetto di storia, ma non si identifica con nessuna delle fasi storiche. Le norme invecchiano perché l’uomo non coincide con la fase storica. Così l’uomo non coincide con le espressioni pronunciate, subito dopo l’uomo è già oltre. Oggi è chiesto un maggiore impegno al giurista nell’arte dell’interpretazione, per la rapidità dei cambiamenti sociali della situazione contemporanea. L’uomo non coincide con il linguaggio che pronuncia, ma sempre lo eccede, ogni volta che esprime le parole è già oltre, così funziona anche con la produzione normativa. Heidegger: la scienza non pensa; perché la scienza si risolve in formulazioni che hanno dei modelli numerici ed hanno una riproducibilità in laboratorio della scoperta scientifica. Il pensiero è un materiale che non si lascia trattare in nessun laboratorio, non è riproducibile. 60 Pietro Barcellona, giurista civilista contemporaneo: il problema dell’interpretazione è definibile come l’insieme dei procedimenti attraverso cui l’interprete colma (come artista della ragione) quel vuoto inevitabile fra diritto e realtà. Se si vuole spiegare scientificamente la libertà dell’uomo l’interpretazione diventa inessenziale, si cancella questo spazio vuoto tra il diritto e la realtà che è lo spazio dove vi è ancora in gioco la libera soggettività degli uomini. Una volta resi omogenei gli uomini ai non umani il vuoto viene cancellato, e c’è solo la fluidità dell’applicazione delle tecno norme. Allora l’interpretazione non è necessario, né contingente (occasionale). Quindi l’interpretazione, non è (come ritiene il nichilismo) nulla che ha a che vedere con il caos della necessità, ma è un’opera originale compiuta nell’esercizio della responsabilità che assume l’interprete nel colmare il vuoto inevitabile fra l’astrattezza della norma e la concretezza esistenziale dei casi. Il processo interpretativo quando si compie ripropone ciò che è proprio della struttura dell’arte. Luigi Pareyson fa un’analisi dell’arte musicale: l’esistenza dell’opera musicale non è quella inerte e muta dello spartito, ma è quella viva e sonora dell’esecuzione, che è sempre personale e quindi sempre nuova e mai anticipabile. E’ l’interpretazione musicale delle note dello sparito musicale. Analogamente così è per l’interpretazione giuridica. Il diritto non è costituito dalle norme del codice, che sono prive di vita, come le note dello spartito. Le norme verranno messe in vita nella concretezza delle relazioni giuridiche e dall’attività interpretativa. Attività del soggetto giudice che incontra altri soggetti, ed in particolare gli attori del processo. Quella controversia giuridica non sarà mai riproducibile in nessun laboratorio nell’attività delle tecno scienze. Quando l’attività dell’interpretazione si spegne pensando che possa essere sostituita dai processi propri del funzionario delle norme prima e dai sistemi informatici dopo, si finisce per costruire un esito dove all’ascolto dell’altro si sostituisce intendere l’altro. Nancy: “ Si ascolta sempre solo il non codificato”, ciò che non è ancora inquadrato in un sistema di rinvii significativi, mentre s’intende solo il già codificato; tra l’ascolto e l’intendere vi è una opposizione radicale: l’ascolto ha a che fare con il rispetto del diritto dell’altro mentre l’intendere ha a che fare con il calcolare e l’usare l’altro. Si ascolta il diritto dell’uomo, si intendono le norme dei sistemi giuridici. Il terzo altro del giudizio tratta ed interpreta il singolo caso che, nella sua non precalcolabile originalità, esige l’ascoltare (filosofia del diritto) oltre l’intendere (teoria generale del diritto). 61 Fuori della pienezza dell’opera ermeneutica, il modello di una interpretazione costruita seguendo il linguaggio tecno-scientifico è quello che si consuma nella cosiddetta interpretazione letterale ovvero strutturalmente omogenea alla dimensione numerica; qui l’interprete non è sospeso nel rischio della condizione rinviante della parola, che invece chiede sempre l’arte del giurista, segnalando l’insufficienza dell’ingegnerizzazione del diritto mediante qualche prodotto dell’intelligenza artificiale, strutturalmente chiusa alla dimensione disnumerica dell’unità esistenziale del parlante dove il pathos ed il logos is coappartengono nel nomos. Il tecnico delle norme opera nel registro del numero che dice solo quel che dice (le norme); il giurista rischia la parola e dice oltre quel che dice, si apre al silenzio creativo proprio del non detto (il diritto). Il giurista è artista della ragione perché la sua opera eccede l’intendere=calcolare la realtà oggettivabile e consiste invece nell’ascoltare l’originalità della singola, concreta controversia tra i parlanti, non anticipabile in alcuna codificazione Ogni modalità dell’ascoltare l’altro muove dall’unità del pathos e del logos, nel conferire lue al nomos. Quando emergono problemi di interpretazione. L’arte del giurista è insostituibile, è la dimensione dell’arte configurata nel nesso che lega la parola ed il silenzio, il detto (norma) ed il non detto (diritto), il sapere saputo (conscio) ed il sapere che non si sa (inconscio), dimensioni che si originano tutte dall’attraversarsi del pathos (apertura affettiva all’alterità) e del logos (comunicazione logico-relazionale). L’opera dell’interprete disvela la sua struttura nella prospettiva del pathos che illumina il logos nella vita del nomos. La formazione del giurista non può compiersi nella rimozione degli sunti umanistici. 62 mondo. E’ un silenzio preparatorio del per se stesso, non preparatorio di una operazione per qualche cosa. Cornelio Fabro (ha tradotto Kirkegaard dal danese): la libertà è quel certo principio mediante il quale possono avvenire certe cose che altrimenti non sarebbero accadute. Possono non avvenire certe cose che altrimenti sarebbero avvenute. E’ il sì o il no che viene detto tenendo presente il collegamento del logos con il nomos. Il se stesso è all’origine di certi eventi e la scelta permette di farli accadere oppure no. Lo spegnersi e l’oscurarsi dellegame parola-silenzio svuota l’attività del legislatore, che è tale se custodisce le dimensioni distinte, ma connesse, della trialità del logos (detto/non detto), e della terzietà del nomos (norme/diritto), entrambe illuminate dal pathos e dunque non quantificabili nel linguaggio numerico oggi più efficace, quello dei prezzi, che fa girare le tecno-scienze, privo dell’apertura patetico-affettiva. La terzietà del diritto opera nell’unità-differenza del terzo-legislatore, del terzo-giudice e del terzo-polizia. Jaspers: la soggettività non è oggettivabile. L’essere nel senso dell’essere oggetto e l’essere nel senso dell’essere libero si escludono, si oppongono. L’esercizio della libertà non si lascia mai oggettivare, ha una dimensione originale; la libertà ha la struttura della responsabilità. Non una libertà senza legge; una libertà senza condizionamenti ma avere la possibilità di dire sì o no ad una ragione, non una libertà arbitraria. Una ragione giuridica. Una libertà esercitata con violenza verso gli altri sarebbe la negazione stessa della libertà. La libertà viene continuamente alimentata dall’ascolto degli altri, altrimenti si perderebbe nella libertà di Narciso; una libertà di chi si specchia in una immagine che è lo specchio dell’acqua dove viene restituito il volto, ovvero non un confrontarsi con gli altri, non ascoltare gli altri. Una libertà vera ha il rispetto del confronto con gli altri. Il diritto non è un semplice self service normativo (Legendre) perché se così fosse il diritto non avrebbe più a che fare con la priorità del giusto – non giusto, prioritari al polo del legale – non legale. Comporterebbe la rimozione delle domande sul giusto e quindi della stessa responsabilità. Se si dà soltanto il darsi fattuale, il vincere funzionale, la responsabilità non ha più ragione . Se gli eventi accadono per regole di natura, all’uomo non rimane che osservare gli accadimenti del più forte, e quindi non avrebbe più senso la propria responsabilità. Derrida (Forza di legge): nell’esercizio del diritto opera un lessico della responsabilità di cui si dirà che non corrisponde ad alcun concetto, ma che oscilla senza rigore attorno ad un concetto 65 introvabile. Il concetto di responsabilità è inseparabile da tutta una griglia di concetti connessi alla vita reale del diritto; è connesso ai concetti di proprietà, di intenzionalità, che costituiscono la vita reale del giuridico. Nietzsche: nell’uomo tutto può essere comprato, tutto ha un prezzo, tutto ha una quantificazione; anche la libertà dell’uomo sarebbe una merce ovvero sarebbe un nulla. Il diritto sarebbe una sorta di self service normativo. Il diritto si nientificherebbe nelle leggi spicciole, il diritto si risolverebbe in atti di amministrazione. La giustizia merce, comprata secondo il prezzo del mercato (Nietzsche), e la giustizia riferita ad un concetto “introvabile” di responsabilità (Derrida), sfuggente e vuoto, sono due direzioni interpretative accumunate negativamente dal non cogliere che il giusto ed il vero non si lasciano definire in una qualche oggettivazione calcolabile nell’ordine di un quantum; si presentano invece nell’arte del giurista che incontra la qualità esistenziale delle relazioni tra i parlanti, riprendendo il diritto (non dicibile) nell’interpretare i contenuti delle norme (dette). Benedetti: se si dimentica il riferimento alla non disponibilità del diritto, alla coppia giusto non giusto, il diritto si nientifica nelle leggi spicciole che si accavallano ogni giorno risolvendosi in atti di amministrazione Ogni volta che nasce un nuovo ordinamento, che nasce un processo rivoluzionario, non si è già con un legale – non legale presenti che si trovano e che l’uomo prende come self service normativo; l’uomo avviando un nuovo ordinamento giuridico ha soltanto le domande prioritarie che attengono alla differenziazione tra il giusto e non giusto, che attengono alla qualità delle relazione. Lezione 18: Verità e giustizia nella relazione. Narcisismo del singolo e amore per l'altro 66 La qualità - positivamente la giustizia - delle relazioni con gli altri è la verità della coesistenza; è la verità accessibile alla finitudine degli uomini, i soggetti parlanti. Circolarmente, il giusto(nomos) è il reale contenuto del relazionarsi nel vero ed il vero(logos) ha la sua realtà coesistenziale nel ‘giusto’, misura non formale del ‘legale’. Non si discute nulla quanto alle interpretazioni della verità permanendo chiusi nella legge narcisistica del singolo, vissuta come quella presunta autosufficienza dell’io che è la negazione della verità=qualità del coesistere nel rispetto dell’altro, del diritto universale degli uomini in quanto uomini; analogamente non ci si apre alle domande sull’amore dell’altro muovendo dalla chiusura nell’amore di sé, assunto quale regola ‘misurante, non misurata’. Il fenomeno diritto, il fenomeno amore. Hanno elementi comuni ed altri in netta contrapposizione. Il riferimento all’amore viene fatto con riferimento agli scritti di Kirkegaard. La comparazione fenomenologica fra diritto e amore nasce perché accennando al diritto, accanto al legale e non legale, si apre la questione fondamentale del giusto – non giusto. Non è poi possibile argomentare nulla sulla giustizia senza discutere della verità. I due momenti del giusto e del vero, sono uno coessenziale all’altro. Il passaggio iniziale del confronto di questi due momenti, viene dal confrontare l’amore con il diritto. Kierkergaard, Gli atti dell’amore. “Il beone non ama l’alcol e l’avaro non ama il danaro, ma entrambi ne dipendono.” La qualità del rapporto da chi è dipendente dal quantum del denaro, ha poco a che fare con la libertà. E’ una condizione in cui la libertà lascia il passo all’assoggettamento. Si è assoggettati e dunque non vi è soggettività. L’amore consiste nel donare, nella struttura donativa. Nella qualità della relazione amorosa emerge come sia essenziale non tanto il che cosa della verità ma il come della verità; nel come ci si avvicina all’altro nell’ordine dell’affettività o nell’ordine di un calcolo. Kierkergaard. C’è una contraddizione apparente del Cristianesimo, nel quale l’amore è un dovere. Sembra una definizione contraddittoria in quanto se si pensa all’amore si pensa alla libertà: l’amore è donazione gratuita; il dovere viene ad evocare dei legacci e dei confini, che vengono a mortificare la libertà. Questa contraddizione tra libertà e la legge è una contraddizione apparente: l’idea di una libertà assoluta è una contraddizione in se stessa in quanto senza la legge non c’è libertà. E’ la 67 Nella aspettativa normativa non si è abbandonati a ciò che ne sarà della relazione. Si è passati dal piano dell’affettività al piano della giuridicità. Il singolo ha la certezza garantita dal diritto che ciò che è stato posto in essere nella relazione tra i due soggetti di diritto secondo le forme e la sostanza della giuridicità avrà concretizzazione. Se qualora una delle parti non volesse dare concretezza, l’altra parte potrà pretendere controfattualmente l’intervento del terzo giudice che restauri il contenuto della relazione e l’intervento del terzo polizia che concretizzi la relazione prestabilita. La pretesa è peculiare della giuridicità. Non è dell’amore né del fenomeno economico. Heidegger: Scheler ha diretto la sua attenzione sulle connessioni che legano da una parte e che dall’altra distinguono gli atti rappresentativi e gli atti interessativi. Il diritto vive di questa connessione. Gli atti rappresentativi sono gli atti che consistono in una enunciazione logica normativa, la teoria generale del diritto (nei quali il logos è scisso dal pathos); gli atti interessativi aprono uno spazio essenziale che considera la centralità della dimensione del pathos. Negli atti rappresentativi si ha una costruzione logico – formale senza alcuna partecipazione affettiva, negli atti interessativi si ha invece l’aprirsi di uno spazio dove ognuno avverte che ne và dell’io, del se stesso e del se stesso dell’altro. Una soggettività che è in gioco. Una apertura affettiva. Nella dimensione degli atti interessativi quando si nomina il diritto in gioco non c’è qualcosa, ma in gioco c’è qualcuno. Un itinerario nella dimensione della percezione affettiva, dove nominando il diritto si nomina la verità. Si nomina la condizione della verità che è accessibile alla condizione finita dell’uomo; quando si nomina il diritto si nomina la verità intesa come la qualità della relazione tra i soggetti parlanti, verità che consiste nella qualità del relazionarsi degli uomini. Una verità non scientifica. Il giusto sollecita l’attenzione al vero ed il vero sollecita l’attenzione a che la realizzazione di ciò che è vero si ha nella qualità con cui ci si rivolge agli altri, che ha il suo modello non secondario nella relazione giuridica disciplinata dalla terzietà del diritto. Un diritto che garantisce la non sproporzione tra i soggetti, una uguaglianza non quantificabile, senza prezzo; l’uguaglianza della dignità dell’uomo. Scheler e Lacan distinguono tra appetire qualcosa e impegnarsi per un valore. L’appetire si orienta verso una entità che è capace di saziarlo e che, una volta compiuta questa funzione, non costituisce più un tema in grado di attivare la loro soggettività, anzi li annoia. Il valore invece è apprezzato in quanto tale e non perché può essere usato per spegnere una attesa consumatoria. Il diritto viene istituito perché consiste in un valore che non si limita a saziare la momentaneità di un appetire, ma dura nell’orientare l’esercizio della soggettività e nel disciplinare quegli effetti del coesistere che 70 incidono nella qualità delle relazioni intersoggetive. Il diritto conferisce alla relazione una formatività nella durata. Nel descrivere l’opera del terzo altro si prende atto che tra sapere e decidere c’è un salto che si impone come necessario, anche se prima di prendere la decisione è opportuno sapere quanto più e meglio possibile. Il termine salto nomina il darsi dello spazio aperto dell’arte del giurista, che colma il vuoto tra generalità/astrattezza delle norme e la singolarità/concretezza del caso da trattare. Non c’è salto nelle fasi di svolgimento della tecnica impiegata dal funzionario delle norme, che si limita ad eseguire il flusso delle fasi sistemico-fattuali. Nietzsche sostiene che la giustizia diviene la giustificazione, a posteriori, della forza di chi ha vinto perché più forte. Il giudizio giuridico non sarebbe terzo imparziale, ma enuncerebbe la attualità di una parte vincente senza perché e senza scopi. Segue che la decisione delle controversie sarebbe un evento de soggettivato, innocente, del nichilismo giuridico perfetto, che utilizza la forma informe di una legalità contenitore usabile per qualsivoglia contenuto delle norme. Quando il coesistere nella giuridicità viene esaurito nei due poli del legale e del non legale, segue che si afferma un nomos impersonale. Soltanto nella priorità esistenziale dell’ordine del giusto e non giusto diviene centrale il riferimento al se stesso nell’interezza della sua personalità, illuminata nel reciproco alimentarsi del logos e del pathos. Lezione 19: La priorità della parola sui numeri. Convenire essenziale e convenire funzionale 71 Nella descrizione fenomenologica dell’esperienza giuridica, il saper fare si presenta nella struttura del come fare per, dove il ‘come’ enuncia le operazioni del convenire funzionale in un per qualcosa, perseguito dalle norme, ed il ‘per’ enuncia il convenire essenziale nel per se stesso, custodito dal diritto, che garantisce la priorità regolativa del ‘per’(scopi) sul ‘come’(mezzi) e dunque del ‘giusto’ sul ‘legale’. La priorità così nominata è analoga a quella della parola sui numeri, che non possono enunciare una creazione di senso, originale ed evocante, propria dell’arte ermeneutica del giurista. Nella descrizione fenomenologica dell’esperienza giuridica, si evidenzia la distinzione del saper fare dal come fare per. Questa distinzione è principale perché nel saper fare compaiono soltanto due elementi che costituiscono questa espressione: il sapere (l’acquisizione di una qualche modalità di sapere) e poi l’adattamento di questo sapere e la prassi che lo concretizza, ovvero un come saper fare. Nel come fare per compaiono tre elementi, non compaiono soltanto un fare, ma un come fare per. Il come indica le operazioni che sono il convenire dei soggetti cui interessa l’operazione giuridica, che li interessa nel convergere della volontà che è libera verso un per qualcosa. Il come indica le operazioni, le peculiarità di una determinata operazione giuridica. Accanto al come ed al fare, il terzo elemento, il per, si enuncia l’istituzione di uno scopo scelto, che costruisce la storia, eccedente sia l’evoluzione della natura (intelligenza biologica), sia la ricorsività delle operazioni macchinali (intelligenza artificiale). Il per è discusso nel logos, linguaggio-discorso del pensiero preparatorio; il come viene eseguito, oggi, dalle memorie della bio info sfera. E’ un convenire essenziale perché non è in gioco il per questo o il per quel contenuto, ma il per se stessi, è in gioco la qualità dell’interpretazione della soggettività di ciascuno, è in gioco la qualità della relazione con gli altri; l’alternativa tra la relazione di rispetto dell’altro e la relazione di indifferenza all’altro. Nella relazione giuridica non c’è solo un saper fare, ma un come fare per. La filosofia del diritto è il pensiero preparatorio del per nel relazionarsi giuridico, qualificato dall’avere la sua genesi nell’interezza dell’io, che orienta sia il terzo legislatore nel disciplinare il per-qualcosa dei contenuti normativi, selezionati dalla priorità regolativa del per se stesso, sia il terzo giudice nell’arte del giudizio, non riducibile in una tecnica del saper fare, avviata a trovare il suo compimento nel girare di un software funzionalmente efficace nella frammentazione dell’io. 72 filosofia del diritto mettere in questione in modo incondizionato gli interrogativi sulla qualità della disciplina, della selezione degli scopi nel coesistere della vita di relazione. Lezione 20: Il diritto come strumento tecnico delle operazioni del Nessuno 75 Ambientata nei modelli del linguaggio numerico, la quotidianità contemporanea è qualificata dalla tendenziale ibridazione tra l’intelligenza biologica e l’intelligenza artificiale. Tutto diviene merce bio macchinale calcolabile nel dispiegarsi liquido dell’avere=potere, operante nel ‘monetario’ dominato dal ‘finanziario’. Trattato da una ermeneutica che perde la dimensione esclusivamente umana dell’arte, anche il diritto si trasforma in strumento tecnico delle operazioni del Nessuno, figura omogenea al post umanesimo del nichilismo giuridico ‘perfetto’. La quotidianità contemporanea è qualificata dalla tendenziale ibridazione tra l’intelligenza biologica e l’intelligenza artificiale; questa tendenza riguarda il diritto perché in modo non secondario è l’aprirsi di una via che cerca di costruire una ingegnerizzazione sempre più marcata della giuridicità. Questo col convincimento che quanto più si riesce ad intervenire con la modulazione scientifica del diritto, tanto più il risultato è positivo. Dunque la discussione della realtà contemporanea del diritto è una discussione che incontra questo processo di ibridazione formativo della bio info sfera; una sfera dove si compongono il biologico e l’informatica, ovvero il macchinale. Al comunicare il discorso dei soggetti, al comunicare del logos, si sostituisce il computare in una forma definita di numerazione. Questa trasformazione è proprio il tentativo della ingegnerizzazione del diritto. Roudinesco: l’uomo non è né misurabile, né quantificabile quindi non può essere quindi incontrato da alcun procedere ingegnerizzante. Nancy: la singolarità dell’uomo è portatore di una uguaglianza che è tale da essere incommensurabile; ovvero l’uguaglianza esistenziale delle singolarità non è mai misurabile. Non c’è nessun metro che possa ingegnerizzare la libertà, i modi di manifestazione della libertà che hanno rilievo giuridico. La realtà contemporanea, essendo dominata da un discorso numerico, e principalmente dal discorso finanziario che interviene ed incide sul discorso monetario, è una realtà sottoposta ad un processo costituito da un duplice annichilire. Il finanziario annichilisce due volte, perché annichilisce il monetario. Il monetario rende nullo tutto ciò che è nella sua specificità. Tutto può essere reso indistinto in un unicum monetario. Il monetario cancella la peculiarità di ciò che viene trattato dalla singola moneta, perché la moneta tratta allo stesso modo le altre cose più diverse. Il finanziario annichilisce il monetario perché a sua volta interviene in modo tale da incidere, manipolando il 76 monetario, e dunque annichilendolo e così mostrando che l’ordine del finanziario è un processo di duplice intervento annichilente. Derrida: la velocità delle comunicazioni in borsa è tale nella realtà contemporanea che le condizioni del mercato finanziario possono cambiare in una frazione di secondo. La progressione dal monetario al finanziario qualifica la realtà contemporanea nel processo di dematerializzazione dei beni. Il monetario dematerializza i beni, il finanziario dematerializza il monetario. E’ un duplice processo dematerializzante. La spiegazione scientifica può essere resa una entità virtuale, e quindi situata nei mini spazi immateriali informatici, che sempre più hanno contribuito alla dematerializzazione dei beni. Dennett: finalmente nella condizione contemporanea l’uomo ha abbandonato la visione dell’uomo portatore di una anima; un’anima che abita e controlla il suo corpo materiale. La spiegazione scientifica ha abbandonato questi concetti. L’anima non conferisce senso e spiritualità al corpo umano. Ognuno di noi oggi si spiega nel suo essere composto soltanto di operazioni robotiche, non pensanti, non legate alla dimensione dell’anima. Non avremmo nessun ingrediente non fisico. Dice Derrida in maniera critica, che dovremmo allora concludere che residuano soltanto gli elementi di una condizione post umana. Il post umanesimo consisterebbe proprio in questo, non residua nulla che non sia fisico, che non abbia un funzionamento non robotico. In maniera critica dovremmo dire che il mondo contemporaneo lascerebbe spazio solamente a due grandi ordini: lo spazio del computer e dell’intelligenza artificiale che si troverebbero a sostituire il pensiero, e lo spazio dei processi cognitivi propri di una attività fisiologica e biologica. Questi due versanti sono radicati nell’unidimensionalità dominante del linguaggio dei numeri che opera nel monetario e nel finanziario. In tutto questo il diritto sarebbe niente altro che un apparato strumentale, una memoria organizzativa (Luhmann), che nulla ha a che fare con la memoria personale. Il diritto diventerebbe una merce tra le altre, una merce nel self service del mercato mondiale, quindi si può fare shopping del diritto che più conviene. In questi processi si tralascia la differenza profonda tra il sentire biologico ed il sentire il valore in senso assiologico (Scheler) Nel rapportare la percezione affettiva e patetica (del pathos) al quid di eventuali oggetti, si deve affermare che i valori vengono prima, vengono percepiti anteriormente; i 77 Il palazzo di giustizia non è il luogo destinato alle patologie sinaptiche, non è il luogo destinato a riparare i guasti di un procedere affine a quello dell’intelligenza artificiale. Il palazzo di giustizia è il luogo dove un soggetto, il terzo altro del diritto incontra un altro soggetto, il soggetto del diritto che è presente (davanti al terzo del diritto) con la sua responsabile libertà e con le condotte che ha scelto ed i cui effetti sono transitati negli altri uomini che dunque ne chiedono una valutazione che non è semplicemente di ordine fisiologico o macchinale. Il terzo altro del giudizio, il giudice non è semplicemente un tecnico delle operazioni neurologiche, non è il meccanico dei guasti macchinali. Tesi centrale del corso: connessione tra il diritto ed il linguaggio che è discorso. Il diritto si presenta e si svolge nella differenza nomologica (nomos) che nomina l’unità-scissione tra norme (l’enunciato del dire) e diritto (il silenzio del non detto). Il linguaggio discorso si presenta nella differenza logologica, comunicata esemplarmente nell’arte, che è tale perché attiva il nesso- distinzione tra il reale ed il senso del reale e dunque sollecita l’opera dell’interpretazione. L’opera dell’interpretazione è rivolta oltre la morta soggettività costituita dalla materialità delle cose (colori nella pittura, pietra nella scultura). Connessione tra una differenza nomologica (differenza propria del nomos, differenza tra norme enunciate e diritto che non ha mai una enunciazione ultima) e differenza logologica (differenza propria del logos, la distinzione volta per volta tra il reale ed il senso del reale). Si richiede sempre l’opera ermeneutica creativa del terzo giudice, creativa non perché arbitraria, ma creativa nella ricerca del giusto nel legale e nella ricerca del senso del reale. Questa opera non può essere effettuata da un software, ma richiede la soggettività del terzo giudice, la soggettività del giurista. In questa attività interpretativa compare ciò che Jaspers ha definito come proprio della cifra. La cifra è ciò che presenta una verità ma la presenta nel suo non essere una verità indagabile con gli strumenti della tecnica e della scienza. La cifra richiede l’arte dell’interpretazione, la cifra non è indagabile scientificamente. Cosa rimane dei concetti giuridici nell’epoca dell’ingegnerizzazione del diritto? Si registra un slittamento progressivo della parola (per) verso i numeri (come); il pensiero preparatorio (come fare per) si svuota e si frammenta nelle memorie modellate dalle operazioni bio macchinali (saper come fare). La prima forma del tempo giuridico istituente è quella della memoria (Ost). Nominando la memoria si nomina la dimensione veritativa della memoria. 80 Soltanto l’uomo nella esperienza giuridica viene chiamato a testimoniare, a giurare. Che significa rispondere di sé. Queste questioni sono assenti nelle memorie artificiali, nelle memorie biologiche e queste memorie non sono né vere né false. Non richiamano la verità responsabilità. Fabro (che ha tradotto Kierkegaard) l’io si afferma soltanto mediante l’io. La libertà attua la libertà rischiando la libertà stessa. La libertà e l’io sono come il concavo ed il convesso, si presentano e crescono nell’essere uno per l’altro; in questo spazio si presenta la responsabilità. Pareyson (verità ed interpretazione): il principio fondamentale dell’ermeneutica è che l’unica conoscenza adeguata della verità è l’interpretazione. La sola conoscenza adeguata della verità transita nel lavoro interpretativo, ovvero la verità è accessibile in molti modi, ma nessuno di questi molti modi è privilegiato rispetto ad altri. Non c’è una unica interpretazione. Per la certezza e la struttura del diritto questa affermazione pone delle questioni. C’è un rapporto originario tra libertà ed il nulla; il nulla non è periferico, ma è centrale e profondo perché la nascita della libertà è positiva ed è legata al contatto originario tra libertà ed il nulla. Tutto questo riguarda il diritto perché la libertà può aprire a ciò che ha a che fare con la responsabilità, rilevante nel diritto. La libertà è giuridicamente rilevante perché non ha una causa che la renda innocente. Questo il significato del contatto con il nulla, ma che non può essere inteso come il nulla che permetta una libertà arbitraria. Gli itinerari della libertà non sono arbitrari, la libertà deve rispettare gli altri, la libertà non è indifferente, la libertà non rimane nella indifferenza del nulla. Il momento della imputabilità è il momento della responsabilità, che pone luce al momento della libertà, una libertà che non si lascia spiegare scientificamente. La verità e la libertà si inscrivono nel mondo mediante la qualità della relazione con l’altro. Pertanto gli “atti rappresentativi” (logos, enunciazione ed ermeneutica della verità) si formano contemporaneamente con gli “atti interessativi” (pathos, esercizio relazionale della libertà) ed entrambi si svolgono e si qualificano nelle alternative che qualificano il relazionarsi tra i poli opposti del riconoscimento-rispetto (dike) e l’esclusione violenza (adikia). Si ha un compiacimento del pensiero debole, del diritto debole quando ci si limita alla cronologia degli eventi (genesi fattuale); si lascia essere un evento dopo l’altro senza discriminare qualitativamente; si lascia avere che alcuni contenuti siano assegnati al polo del legale ed altri al polo del non legale. Poli sono semplicemente funzionali, efficienti. Ma nulla della pretesa veritativa. Non ci si interroga giusto o non giusto. La legalità non misurata dalla giustizia è una 81 formula vuota, un contenitore dove tutto può essere contenuto, sintomo di pensiero debole, diritto debole. Sostenere che “il primo diritto fu una violenza che ebbe fortuna” (Jankelevitch – Ironia) significa sostenere una genesi fattuale del diritto, una cronaca della fattualità, il primo diritto non è stato altro che un fatto, dove si realizza ciò che ha più fortuna, ciò che è più forte, vincente. Questo è nichilismo giuridico. Jaspers e Heidegger sono gli unici due filosofi che meritano una attenzione dei vari studi su Nietzsche. Jaspers: in Nietzsche c’è un duplice significato del diritto: in una prima accezione si intende il dominio di aspirazioni dei mediocri (ciò che causa, ciò che genera il diritto, leggi che si accumulano all’infinito per confondersi quasi con semplici atti amministrativi, senza una ragione giuridica, un self service normativo) in una seconda accezione il diritto diventa nient’altro che un insieme di garanzie che non hanno a che fare coi mediocri ma anzi date ai creatori. In Nietzche i creatori sono i vincenti; gli uomini sono disuguali e i creatori delle norme sono gli uomini biologicamente più forti. Dunque se sono disuguali bisogna prendere atto che non ci sono diritti umani, non c’è alcun diritto incondizionato dell’uomo in quanto uomo, ma c’è soltanto un tipo di uomo che di fatto ha potere, biologicamente vincente, economicamente vincente. Il diritto non sarebbe il diritto degli uomini, ma si limiterebbe a prendere atto che alcuni sono gerarchicamente più, la legalizzazione di questa sproporzione. A questa lettura della genesi fattuale del diritto si oppone la lettura della genesi fenomenologica del diritto, che non si limita a cogliere il diritto come fatto di violenza che ha avuto fortuna, ma cerca nel diritto quello che distingue il diritto dagli altri fenomeni sociali . Nella genesi fenomenologica del diritto, si vede il diritto strutturato come il linguaggio, che è discorso, relazioni di parlanti che hanno uguale diritto nel prendere la parola in un luogo che è terzo; così il diritto è la relazione tra parlanti strutturata dal rapporto di uguaglianza, e non di sproporzione, tra soggetti di diritto che hanno custodita questa soggettività giuridica in un luogo terzo che è quello della terzietà formativa e differenziante il fenomeno diritto rispetto agli altri fenomeni. 82 che avviene in uno spazio terzo. Quando si è in questo spazio che è il reciproco ascoltarsi, non si è nella logo tecnica, si è nello spazio del logos che non può assumere i tratti della tecnica. La tecnica non ascolta, ma manipola. La tecnica interviene a chiudere il dirsi degli altri; non è interessata ad ascoltare gli altri, non è interessata ai diritti incondizionati degli altri. Nel sapere totale la giustizia cade verso una giustizia mediatica, la giustizia spettacolo; una giustizia che ritiene che la giustizia si amministri come si amministra il gioco, che è innocente, senza senso e senza scopo, se non quello della consumazione del giocare, del trascorre dei momenti di spettacolo. Una giustizia consumatoria è una giustizia innocente, ovvero irresponsabile. Nello spostamento dall’arte, sapere parziale, alla tecnica, sapere totale, si ha uno spostamento che porta a che la giustizia diventi innocente, irresponsabile. La libertà in questo contesto diventa essa stessa un evento di un gioco, uno spettacolo. Il filosofo francese contemporaneo Nancy: la libertà si presenta nel suo sorgere improvviso ed inassegnabile. E’ quella libertà che consiste nella possibilità che sopraggiunga una singolarità irriducibile. E’ quel che mi accade non quel che scelgo con responsabilità. E’ quel che accade dello spazio del gioco. Non è dotata di autonomia. La libertà è un gioco che sopraggiunge in uno spazio libero. Ma allora di volta in volta la libertà avverte di essere irresponsabile; significa non rispondere di A davanti a chi. Significa essere esposti in questo gioco che è un accadere dopo un altro accadere secondo un gioco innocente. La libertà non è una combinatoria di eventi senza uno scegliersi argomentato, non è indifferente, aperta ad ogni contenuto. Per Nancy la giustizia consiste semplicemente nella decisione, che ogni volta viene rinnovata; la giustizia consiste nel dire di no alla ricerca di una giusta misura. Analogamente come la libertà è divenuta il trovarsi in uno spazio libero, la giustizia diviene il trovarsi nella negazione di una qualunque ricerca di una misura giusta, perché la giustizia consiste nel trovarsi nell’incommensurabile. La verità diverrebbe soltanto il prendere atto dell’incommensurabile ovvero la negazione di ogni possibile misura. La negazione di ogni possibile misura è immediatamente la negazione di ogni distinzione tra i contenuti delle norme positive. La giustizia si trova nella indifferenza tra le molte possibili misure. Si afferma la misura legale, ma che è legale perché ha vinto, che è quell’atto di violenza che ha avuto fortuna, vincente rispetto ad altri atti possibili. La giustizia coincide con il fatto che vince. Una giustizia che ha una genesi solamente fattuale, ovvero la semplice osservazione di ciò che si 85 afferma in quanto più forte. Il giurista diventa un tecnico idraulico, perché la giuridicità diventa liquida. La giuridicità diventa liquida perché diventa un semplice fluire di fatti, una giustizia liquida senza una forma, senza un perché, senza uno scopo, ovvero la pienezza del nichilismo giuridico. Fabro: “Il nichilismo vuole essere l’ultima parola della filosofia… così l’uomo, nel mondo moderno, è caduto nella insignificanza e nella disperazione e non riesce a trovare, come Ulisse, la via del ritorno.” I contenuti ed il linguaggio della giuridicità liquida trovano la loro concretizzazione postumana in quella scienza giuridica senza giurista che, rimosso l’artista della ragione, non perviene ancora all’evoluzione coerente e compiuta della figura del tecnico delle norme, trasmutato in un software, in un funzionare bio-macchinale di una memoria ripetizione che è la negazione compiuta della soggettività creativa dell’ermeneuta. 86 Lezione 23: Il Diritto alla Filosofia del Diritto: oltre il nulla dei diritti dell'uomo I concetti fondamentali delle scienze sistemano con metodo le diverse regioni del conoscere=sperimentare. I concetti fondamentali della Filosofia del diritto discutono l’io, nel suo relazionarsi agli altri rapportandosi al mondo; analizzano gli scopi delle istituzioni e delle norme che ne disciplinano la concretizzazione, secondo valori che orientano il volere. L’espressione ‘Dio è morto’ nomina l’‘inversione dei valori’, afferma il nulla dei diritti incondizionati dell’uomo. Le relazioni scorrono così nella contingenza liquida, senza una direzione di senso oltre il non senso della forza del più forte, decisa dalla legge, senza terzietà, del mercato che tratta anche l’uomo come una ‘unità di conto’. Il superamento di questo esito è aperto dal Diritto alla Filosofia del diritto. Nella analisi filosofica del diritto, compare la distinzione di come vengano intesi i concetti fondamentali del diritto dalla scienza e dalla filosofia del diritto. Fondamentali sono due lavori: La “Polemica sui concetti giuridici” (Irti) che ripropone una discussione sui concetti giuridici così come si erano dati nel 1935-1945; l’altro riferimento sono i lavori di Heidegger sui concetti fondamentali del pensiero. I concetti fondamentali delle scienze sono quei concetti che individuano le diversi regioni del conoscere, le diverse regioni della sperimentazione, e le individuano con un metodo che di volta in volta è il metodo scientifico di quella singola area. I concetti fondamentali della filosofia del diritto sono i concetti che discutono l’io nel relazionarsi agli altri nella storia delle istituzioni giuridiche. I concetti fondamentali sono quelli che indicano una rappresentazione generale di un ambito definito delle scienze, gli elementi formativi di una certa area trattata dalla singola scienza. Ad es. nella scienza biologica i concetti fondamentali-generali sono quello che si intende per vitale, per l’accrescere delle forme di vita. Per la scienza medica un concetto fondamentale è la fisiologia, il corretto funzionamento, ed accanto per opposto appare il concetto di patologia. I concetti fondamentali delle scienze permangono aperti alla dimensione del pensare il rapporto dell’io con i fenomeni considerati: in questo itinerario si formano i concetti fondamentali del pensiero. 87 l’arte è senza artista e la scienza giuridica è senza giurista poiché queste due regioni si sono strutturate nella progressiva rimozione di una soggettività esercitata da chi risponde-di-a, dunque pure della soggettività dell’artista, che risponde del bello, e della soggettività del giurista, che risponde alla ricerca del giusto e del legale. Si assiste ad una inversione del valore del diritto, nel quale il sistema normativo diventa un sistema immunitario, modellato secondo le operazioni dei sistemi biologici, in cui l’arte è sostituita dalla tecnica dell’uomo-software. Scheler: in Nietzsche non ci sono fenomeni morali, ma ci sono soltanto interpretazioni morali di fenomeni morali. Queste interpretazioni morali di fenomeni morali sono esse stesse extra morali, ovvero sono soltanto di natura biologica. Non ci sono fenomeni giuridici, ma ci sono soltanto interpretazioni di fenomeni giuridici, e queste interpretazioni giuridiche di fenomeni giuridici sono esse stesse delle interpretazioni extragiuridiche, ovvero sono interpretazioni da riferire al nessuno della vita, all’essere uguale divenire, al caos che si intreccia con la necessità lasciando presentarsi una scienza che si limita alla constatazione di una combinatoria che non è imputabile ad un singolo e neanche ad un insieme di singoli, ma è soltanto l’essersi dato di un accadimento invece di un altro accadimento. 90 Lezione 24: 'Inversione dei valori' e 'nichilismo giuridico' Nell’‘inversione dei valori’ perseguita da Nietzsche, il nichilismo giuridico è la negazione delle regole che precedono le condotte, perché regola e regolato coincidono ora nell’essere=divenire del Nulla e dunque il diritto non viene né violato, né rispettato, ma è l’Accadere senza un senso. È ‘giusto’ ciò che ha già fattualmente vinto. Negato il legame tra la verità(logos) e la giustizia(nomos), le espressioni ‘giusto processo’, ‘gradi di giudizio’, ‘errore giudiziario’, ecc. perdono ogni significato. La spiegazione scientifica dell’uomo ed il nichilismo ‘perfetto’ si alimentano reciprocamente e si concretizzano oggi nell’usare il diritto come sistema immunitario del fondamentalismo funzionale, orientato dal mercato. Nell’‘inversione dei valori’ (nella morte di Dio) descritta da Nietzsche si realizza una percorso che porta al nichilismo giuridico. In questo percorso si ha la negazione delle regole che precedono le condotte (regolato), perché nel nichilismo giuridico regola e regolato coincidono. Si afferma il nichilismo ( e quindi non c’è né un perché né uno scopo) ma c’è soltanto l’essere che è uguale al divenire, uguale al vivere. Proprio perché cade la distinzione tra regola ed il regolato, distinzione che è esclusiva dell’uomo; negli animali non c’è alcuna distinzione tra regola e regolato, c’è sempre perfetta coincidenza. Il nichilismo giuridico è la negazione di questa differenza tra regola e regolato (ovvero tra il principio giuridico che qualifica l’uomo nelle sue condotte e le sue condotte che sono scelte, conformi o no a giustizia, conformi o no ai principi giuridici), e dunque si è sempre innocenti, si è sempre irresponsabili. Nel nichilismo giuridico si ha soltanto il diritto nell’uomo e non il diritto dell’uomo . Il diritto non è il contenuto di ciò che è preteso dal singolo soggetto, ma è ciò che accade negli uomini. Si ha soltanto una constatazione di accadimenti. Per Heidegger il capovolgimento dei valori di Nietzsche ha questo ragionamento. Perché i valori della giustizia, della relazione di riconoscimento, del rispetto giuridico dell’altro, della proprietà dell’altro, che sono sempre comparsi nella storia del pensiero giuridico, dovrebbero continuare ad esserci? Questi valori, dice Nietzsche, a che cosa servono i valori supremi se non garantiscono la certezza, se non garantiscono con certezza sia la via sia i mezzi per realizzare ciò che è il loro stesso contenuto. A cosa serva il diritto se permane la possibilità di essere violato? A cosa serve la giustizia se non ha una realizzazione certa? Nel concetto nichilistico di scienza non servono a nulla in quanto non danno alcuna intrinseca certezza quanto al concretizzarsi delle loro operazioni: quindi si tende a una nuova posizione dei valori nella forma di un capovolgimento di tutti i valori. 91 Se questi valori continuano a rimanere nella differenza tra la regola ed il regolato, questi valori non hanno mai la certezza della loro realizzazione, della loro concretizzazione; sarà sempre possibile che si affermi un valore ma che poi questo valore così affermato non trovi nessuna certezza, anzi trovi la sua stessa negazione nella realtà del coesistere degli uomini. Ma, dice Nietzsche, se un valore non ha certezza allora a che cosa serve? Non servono a nulla ed allora devono essere capovolti. Il capovolgimento porta a considerare che non c’è più nessuna distinzione tra scopi e mezzi, tra fini e strumenti, tra la regola ed il regolato. C’è soltanto questa fluidità dell’accadere degli eventi che interessano la coesistenza degli uomini. I valori diventano solamente degli strumenti, dei mezzi, delle prospettive, dei punti di vista che si appartengono al procedere stesso dell’essere uguale divenire. Il valore diventa il fluire di ciò che si afferma. E ciò che si afferma, una volta che si è affermato è ciò che è accaduto, ed essendo già accaduto il diritto non ha che da constatarlo, non ha che da nominarlo. Il diritto diventa la legalità, la legalità che è soltanto il mettere in espressioni scritte o orali ciò che è già accaduto . Ciò che ha già vinto, ciò che è certo perché già si è dato. I valori sono soltanto quei fatti che si sono già dati e che essendosi già dati sono certi, questo essersi imposti è diventato il contenuto della legalità vigente. In questa visione la giustizia non è più l’insieme dei principi delle valutazioni che dicono ciò che appartiene al giusto, ciò che appartiene al modello principale della relazione giuridica giusta che è una relazione di riconoscimento reciproco incondizionato ed universale. La giustizia diventa giustificazione, ciò che prende atto di ciò che è già accaduto. Non si può pretendere la giustizia, ma si può soltanto eseguire ciò che avendo già vinto si è affermato, e che trova una formulazione nelle espressioni costitutive la legalità. La giustizia non è più quel che precede le condotte. E’ ciò che giustifica, ovvero esprime in formule, le operazioni che hanno vinto. Sono le formule della legalità, che sono le formule che hanno vinto, che funzionano meglio. La giustizia diventa giustificazione e quindi si limita ad osservare ciò che di volta in volta ha avuto successo. Siamo nel sistema del fondamentalismo funzionale. Il sistema del fondamentalismo funzionale non appartiene a nessuno, nel senso che non appartiene agli uomini. E’ di nessuno, appartiene agli accadimenti che finiscono per usare gli uomini. Con l’inversione dei valori, con la spiegazione scientifica dell’uomo, Dennett dice “ la libertà non è altro che un museo degli orrori” un qualcosa che va definitivamente dimenticato. Perché la libertà, che è un qualcosa di non spiegabile, è una favola è un orrore, perché tutto è spiegabile. (secondo la prospettiva di Nietzsche). Se ciò è vero allora il diritto non ha senso di essere, perché viene meno la responsabilità e l’imputabilità. Senza libertà non c’è ragione perché un uomo entri 92 Lezione 25: La funzione del diritto come sistema: il self-service del diritto Nella situazione contemporanea, la forza più si specifica nel funzionare più ed i nuovi valori, che Nietzsche ‘inverte’, diventano quelli che consistono solo nel successo contingente necessario della loro concretizzazione sistemico funzionale. Questo esito trova espressione nella tesi di Luhmann ‘la funzione della funzione è la funzione’, che nientifica la prospettiva del pensiero, connessa al libero donare perché consiste nel prendersi, con gli altri, un gratuito, disfunzionale intervallo di senso, creativo e non producibile nel mercato. Attualmente nel funzionare più dei canali mercantili viene esposto anche il self service di un diritto prodotto e consumato tra le merci post umane del nichilismo ‘perfetto’. L’interpretazione filosofica del diritto è un lavoro che per un verso coglie gli aspetti peculiari di questo fenomeno, che sono elementi che non hanno una struttura storica, ovvero sono elementi che fenomenologicamente distinguono il fenomeno diritto dagli altri fenomeni. Dall’altro verso questa opera di interpretazione filosofica del diritto coglie questo fenomeno, avendone descritto gli elementi che lo differenziano dagli altri fenomeni, lo coglie nella sua storicità, ovvero nomina il diritto avendo attenzione a che ne è della giuridicità nella condizione storica contemporanea. Proprio nell’attenzione alla contemporaneità si coglie questa tendenza a che il pensiero diritto diventi sempre più soltanto un pensiero funzionale. Il filosofo contemporaneo francese Nancy ricorda che il pensiero ha sempre una struttura che è quella della gratuità donativa. Il pensiero, essendo nel suo sorgere legato alla ricerca del senso è anche connesso a donare quel che è il risultato, a donare la presentazione della ricerca del senso. Il pensiero giuridico ha questa struttura donativa; attualmente vi è invece la tendenza a rimuovere la gratuità del pensiero perché si afferma la dimensione funzionale della giuridicità. Il diritto non viene più proposto nella struttura che appartiene e che distingue il pensiero, ma viene proposto in una sorta di self service normativo, dove in quella singola contingenza storica si prendono gli elementi che servono per far funzionare meglio la realtà, l’insieme delle operazioni giuridiche. Nell’analisi di questa tendenza si rileva la necessità di far emergere quel che lega la verità, l’arte nel diritto. 95 Nel lavoro di Heidegger (seminari del 37 e del 44) sull’interpretazione di Nietzsche, si rileva come la verità e l’arte siano i valori più alti perché servono per il continuo accrescersi della stessa volontà di potenza. L’arte apre all’uomo la possibilità di accrescimento della vita, una capacità di schiudere all’uomo un accrescimento dell’intensità della vita; dunque un valore più alto della verità. Perché la verità si limiterebbe a dire quel che è della condizione statica della vita , mentre l’arte aprirebbe itinerari altri, dei cammini che consentirebbero di accrescere la dimensione più vitale della vita, al di la del semplice enunciare statico di quello che è la vita. Nietzsche: abbiamo l’arte per non perire a causa della verità. L’arte libera delle forze essenziali che permettono una apertura alla sensibilità, all’ ebbrezza dionisiaca, alla sovrabbondanza animale. Sono queste tre chiavi che permettono un’apertura per andare oltre la semplice staticità di quello che è vero. L’arte aprirebbe un potenziarsi dove la volontà riuscirebbe a diventare più forte, a potenziare ciò che più vive. Un’arte che serve ad accrescere la potenza stessa della volontà, dimenticando il soggetto dell’arte. Un’arte senza artista. Attualmente l’arte si macchinalizza, perde la sua struttura creativa ed acquista una struttura strumentale, l’arte serve a potenziare non tanto ciò che ha più vita ma a potenziare ciò che funziona in modo più forte. Serve a far crescere il sistema del fondamentalismo funzionale, che tutto ingloba, che tutto gerarchizza. Un sistema dove i programmi producono altri programmi, che funzionano, ma che non sono di nessuno, una società senza volto. Aveva profetizzato Nietzsche un’arte senza artista, perché la permanenza di un artista costituirebbe un limite in questo progressivo tendere a potenziarsi della volontà di volontà, sarebbe un confine, sarebbe un fissare una durata e dunque un ostacolo all’accrescimento inesauribile senza autore, senza volto della stessa volontà di potenza. Così come aveva profetizzato Nietzsche un’arte senza artista, che serve ad accrescere la volontà di volontà, così parimenti si ha una scienza giuridica senza giurista. La permanenza di un giurista significherebbe la permanenza di una soggettività e la soggettività ha come sua struttura temporale la durata. Ma ciò che dura ostacola il divenire inesauribile, il divenire che è uguale all’essere. La permanenza di un giurista significherebbe la permanenza di una soggettività che si pone domande sul senso del diritto, ostacolando questo accrescimento del potere, della volontà di potenza che non appartiene a nessuno. Né ai soggetti di diritto né ai giuristi in quanto soggetti. 96 Nella scienza giuridica nel sistema del fondamentalismo funzionale, nell’inversione dei valori, viene cancellato anche il concetto fondamentale della terzietà. La terzietà è imparziale, è disinteressata e quindi non è neanche dalla parte del funzionare più efficace dei molti sistemi sociali. Essendo imparziale e disinteressata non è al servizio del sistema oggi dominante che è quello economico e del mercato, che a sua volta si inscrive nel sistema del fondamentalismo funzionale. Oggi la controversia giuridica tende ad essere una lotta bio-informazionale, che ha una componente modellata nell’ordine biologico ed una componente che è modellata nell’ordine informazionale tipico dell’intelligenza artificiale. Un diritto dove dell’uomo tutto si lascia ridurre in un quantum, tutto si lascia numerare, tutto si lascia essere in un sistema di funzione dove il diritto è un self service posto in un linguaggio di tipo numerico, perché, in una strumentalità del diritto, si possa prendere ciò che serve a potenziare il sistema del fondamentalismo funzionale. In un sistema numerico non c’è spazio per il silenzio, dopo un numero ne viene subito un altro, non c’è spazio ad alcuna riflessione. Nel mondo digitale o si ha uno zero o si ha un uno. Non trova posto neanche la libertà, perché la libertà sorge proprio nell’intervallo del silenzio, dove il silenzio si pone la questione del dubbio e del domandarsi perché in modo diverso sceglierà poi come orientare le sue condotte. Sceglierà come mettere insieme con gli altri una formazione di coesistenza che sarà ambientata nelle istituzioni giuridiche. Nella tendenza contemporanea, nella dimensione del quantum, delle operazioni sistemiche, ciò che ha un senso è la dimensione procedurale del diritto. A differenza della dimensione selettiva dei contenuti, a differenza dell’arte della ragione giuridica che è preoccupata di incontrare la qualità delle relazioni degli uomini, la dimensione procedurale non si occupa della qualità della selezione dei contenuti ma interviene come un insieme di strumenti, come ciò che si può prelevare da questo self service normativo per far funzionare in modo più efficace le operazioni dei molti sistemi di funzione. Si tralascia quindi il luogo della polis, definito da Fink il luogo del sapere discorsivo, per lasciar emergere la scienza giuridica senza giurista. Si deve certamente dire sì alla tecnica, alla tecnologia, alle scienze, al progresso scientifico e tecnologico, ai sistemi informatici, all’intelligenza artificiale, se questo insieme di elementi, di apparati cognitivi, scientifici e tecnici siano asserviti alla non assoggettabilità dell’uomo ad un semplice funzionamento tecno-scientifico. La giustizia non può servire semplicemente alla sicurezza e certezza del funzionamento del mercato o del fondamentalismo funzionale. La giustizia deve essere orientata a custodire l’uomo nella sua irriducibilità ad essere una merce tra le altre, ad essere un oggetto usato e consumato come gli altri oggetti. Uomo 97