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Doc. piva architettura , Appunti di Storia Dell'arte

Appunti 2 parte lezione con docente Piva

Tipologia: Appunti

2015/2016

Caricato il 16/06/2016

alberto_cungi
alberto_cungi 🇮🇹

4.8

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27 documenti

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Anteprima parziale del testo

Scarica Doc. piva architettura e più Appunti in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! Architettura degli edifici di culto nel Medioevo (lineamenti essenziali) La prima architettura cristiana Non si configura un’architettura cristiana prima degli inizi del IV secolo, più esattamente prima della legalizzazione di fatto del Cristianesimo da parte dell’imperatore Costantino. Anteriormente, la formula della domus privata messa a disposizione della comunità come sede del culto non si lascia ben documentare per l’Occidente, mentre è nota in Oriente col celebre esempio di Dura Europos (ante 256). Il tipo basilicale a più navate divise da colonnati – derivato dalla basilica civile romana come struttura polivalente (Krautheimer) – fu utilizzato per le riunioni liturgiche delle comunità cristiane solo dopo la pace costantiniana. Nel IV secolo il cristianesimo è ancora una religione urbana, ed anzi addirittura concentrato nelle grandi metropoli romane (Roma, Milano, Treviri, Gerusalemme, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia). Due sono le fondamentali categorie di edifici di culto della civitas christiana: la cattedrale e il santuario. La cattedrale sorge sempre internamente alle mura romane (anche se difficilmente presso il foro), a scapito della teoria che considerava le prime cattedrali esterne alle mura in ragione delle sepolture suburbane dei primi vescovi. La legge romana obbligava a seppellire fuori le mura (iniziarono le ‘trasgressioni’ solo con il V/VI secolo), e i vescovi furono sepolti nei grandi cimiteri suburbani, spesso presso un santuario che essi stessi avevano costruito in onore di un martire, oppure presso una semplice chiesa cimiteriale. In mancanza di martiri, furono talvolta gli stessi vescovi a diventare oggetto di culto. Dunque, la cattedrale è unica e sorge entro le mura, il santuario (martyrium) o la chiesa cimiteriale possono essere molteplici e sono ubicati all’esterno, in prossimità delle principali arterie stradali. Mentre il santuario non richiede un’officiatura continua ed è invece aperto al pellegrinaggio dei fedeli alla tomba santa, la cattedrale garantisce alla comunità cristiana una costante attività sacramentale e liturgica. Essa è la sede della cathedra del vescovo, ma soprattutto è domus episcopalis e domus ecclesiae. Il primo termine significa che non comprende solo una chiesa ma un’articolazione di edifici funzionali: l’aula di udienza vescovile e quella di riunione del clero (salutatorium e secretarium), l’abitazione del clero, il battistero, l’ospizio, la biblioteca, la sede dell’amministrazione; il secondo termine indica invece che il nucleo episcopale è prima di tutto il cuore della comunità cristiana organizzata (ecclesia). Il termine ecclesia finirà per coincidere con “cattedrale”, e in seguito con “chiesa”. Le chiese paleocristiane, a tre o più navate, seguono l’impianto basilicale, cioè il tipo strutturale che prevede una navata centrale più alta delle laterali, in modo tale da poter essere direttamente illuminata da finestre sulle pareti lunghe. Il tipo viene dalle basiliche civili romane, che erano impiegate per molteplici funzioni (dalla basilica forense fino a quella utilizzata dall’imperatore per le sue ‘apparizioni’, come la basilica di Massenzio e Costantino ai fori romani). I colonnati possono essere sovrastati da archi a tutto sesto oppure da architravi orizzontali continue (come, ad esempio, la navata centrale dell’antica San Pietro in Vaticano). L’architrave sosteneva le alte pareti della navata e doveva essere supportato da colonne piuttosto ravvicinate, essendo soggetto facilmente a lesioni. Gli archi invece, che presto si generalizzarono, avevano il vantaggio di deviare sulle colonne i carichi della parete che premevano dall’alto. Ogni arco è infatti un arco di scarico. La vita liturgica dei primi cristiani non era formalizzata; solo dopo il 313, quando appare una gerarchia ecclesiastica organizzata attorno al vescovo, si delinea una duplicità strutturale del culto cristiano: la celebrazione eucaristica festiva (messa) e l’ufficio quotidiano di mattino e sera, basato sul canto dei salmi in funzione della lode al Signore nelle ore chiave del giorno e sull’intercessione per i vivi e i morti. Tale duplicità cultuale si materializzò in molti casi in una duplicità architettonica (Aquileia, Gerusalemme, Treviri, Milano). Nell’ottica della ‘specializzazione’ degli spazi che connotava il gruppo episcopale, la messa domenicale e festiva venne celebrata in una chiesa maior, l’ufficio di mattino e vespro in una chiesa minore. È lo schema della cosiddetta “cattedrale doppia” (sopravvissuto, con modificazioni d’uso, fino al XII secolo), erroneamente spiegata in passato. La chiesa minore non fu mai il luogo di istruzione dei catecumeni (i non ancora battezzati), i quali partecipavano con i fedeli alla prima parte della messa (lettura del Vangelo e predica del vescovo) e agli uffici quotidiani, ma non alla seconda parte della messa (rito eucaristico). A Gerusalemme essi erano istruiti dal vescovo durante la Quaresima nella chiesa maggiore, se iscritti per essere battezzati nella Pasqua seguente, e dopo il battesimo pasquale potevano ricevere istruzioni sui dogmi nella chiesa minore Quello della conversione dei pagani e degli ebrei fu il problema fondamentale successivo alla pace della Chiesa del 313. Le due aule di culto avevano dunque anche un carattere polifunzionale, e anzi venne da subito costituita una terza aula: il battistero, in cui il battesimo pasquale era immediatamente seguito dalla cresima. La sua struttura non si fonda sullo schema basilicale ma è di tipo centralizzato (quadrangolari furono i primi battisteri di Milano e Aquileia, ottagonale - con o senza ambulacro - l’originario battistero costantiniano di Roma, ottagonale a nicchie alternate il secondo battistero di Milano attribuito a sant’Ambrogio). Il battistero non era infatti destinato a contenere folle di fedeli, ma ad essere ‘teatro’ di un atto rituale univoco e fortemente simbolico. Per questo, come ha mostrato Krautheimer, vennero adottate planimetrie connesse non tanto o non solo agli ambienti termali e ai ninfei privati (il battesimo era inizialmente una immersione nell’acqua benedetta), ma soprattutto ai mausolei: la conversione rappresentata dal battesimo appariva infatti come la morte dell’ ”uomo vecchio” e la resurrezione in Cristo, sulla base di san Paolo (Rom. 6, 3-7). Dal V secolo sono frequenti le piante complesse con ambulacro attorno al nucleo centrale. Cenni all’architettura carolingia Il periodo che va dalla seconda metà dell’VIII secolo fino all’XI-XII secolo sarà la grande età dei monasteri. Longobardi e Merovingi avevano già incrementato e arricchito le istituzioni monastiche (si pensi a San Salvatore di Brescia o a Saint-Denis presso Parigi), ma la premessa al ‘rilancio’ di età carolingia è la riforma dei canonici di cattedrale che il vescovo Chrodegang (742-766) attuò a Metz sulla base del modello monastico della vita comune. Al tempo di Carlo Magno (771-814) furono costruite abbazie ‘giganti’ (Centula, Lorsch II, Reichenau, Fulda), alle quali l’imperatore affidò un ruolo essenziale di formazione della classe dirigente e di natura economica: vere cittadelle autarchiche dal potere immenso. Le chiese relative assunsero proporzioni imponenti, essendo aperte ai laici, a differenza di quanto accadeva prima. A Centula si costruì il primo ‘corpo occidentale’ (il Westwerk, riflesso nell’unico esempio carolingio sopravvissuto: Corvey in Westfalen), utilizzato al piano terra come vestibolo, ma anche per la sepoltura del committente: l’abate Angilberto, e soprattutto per l’esposizione delle reliquie del Salvatore. Il piano alto era invece uno dei tre cori dei monaci, ma anche il santuario della grande messa pasquale cui i laici prendevano parte. Le tribune, soprastanti, infine, erano riservate ai cantori, che accompagnavano uffici e riti. In altre chiese dominano invece i modelli romani, già messi in voga dal vescovo Chrodegang, e poi ‘esplosi’ dopo l’incoronazione papale di Carlo Magno (800). La chiesa abbaziale di Fulda (Hessen) costituì una ‘copia’ dell’antico santuario apostolico di San Pietro in Vaticano, con abside occidentata e transetto ‘continuo’ destinati a ospitare la tomba dell’apostolo della Germania (san Bonifacio). Anche la chiesa di Seligenstadt, commissionata da Eginardo, ebbe un transetto continuo orientale, come era già quello di San Paolo fuori le mura a Roma. In Roma stessa il revival paleocristiano è evidente in una serie di chiese, soprattutto Santa Prassede. All’abside occidentata di carattere ‘martiriale’ (come nelle chiese costantiniane del Santo Sepolcro di Gerusalemme e di San Pietro a Roma) si associa talora un’abside opposta orientata (già tradizionale nelle chiese), come nella cattedrale di Köln (Colonia), nella stessa Fulda e nel progetto (non realizzato) della cosiddetta “pianta di San Gallo” (836). Quest’ultimo è un documento grafico eccezionale per l’altomedioevo: conservato nella biblioteca abbaziale di San Gallo (Svizzera), rappresenta una basilica e un monastero ‘gigante’, con numerose iscrizioni che rivelano le funzioni dei vari edifici (a partire da quelli del chiostro dei monaci) e gli arredi liturgici esistenti in chiesa (altari, ambone e lettorini, fonte battesimale). A partire dalla riforma monastica di Benedetto d’Aniane e dal concilio di Inden/Aquisgrana (816/817) si assiste a una duplice tendenza: la riduzione dimensionale delle chiese monastiche, improntata agli ideali più ascetici e meno ‘sociali’ del tempo di Ludovico il Pio; l’incremento del culto delle reliquie, che produce la comparsa di cripte ‘a corridoio’ sempre più articolate e complesse, evoluzione del percorso semi-anulare che era stato aggiunto a Roma attorno alla tomba di san Pietro circa l’anno 600, ma forse soprattutto di quello a corridoi ad angolo retto aggiunto contemporaneamente a San Paolo fuori le mura. Sono infatti a lunghi ‘corridoi angolari’ le cripte della chiesa di Eginardo a Steinbach nell’Odenwald (c. 827), della chiesa di San Gallo (830-835), dell’abbaziale di Werden nella Ruhr (c. 839) e soprattutto di Saint-Germain ad Auxerre (841-865) e Saint-Pierre a Flavigny. La gestione del pellegrinaggio ai corpi santi è in questa fase delegata ai monasteri. Le cripte a corridoio ebbero l’importante compito di trasmettere al medioevo la conoscenza delle volte a botte e delle volte a crociera, sebbene in piccola scala, che non venivano costruite sulle navate. Nelle cripte di Auxerre e di Flavigny si ha un fatto nuovo assai importante: all’interno del corridoio, la confessio del santo si amplia e diventa una vera e propria micro- basilichetta, vera capostipite delle cripta ‘a sala’ (cioè a più navatelle della stessa altezza) che si imporrà a partire dall’età ottoniana (960-1024). Accenniamo per ultima – ma avrebbe dovuto essere la prima – alla famosa cappella palatina di Carlomagno ad Aquisgrana (circa 800), unico grande capolavoro sopravvissuto dell’età che da Carlomagno prende il nome. Più che di una cappella si tratta di una monumentale costruzione poligonale a pianta centrale, con un nucleo centrale ottagonale (concluso da cupola a spicchi) e un deambulatorio, replicato in altezza al primo piano. Proprio il deambulatorio superiore, dove si trova il trono imperiale a occidente, costituiva la cappella vera e propria dell’imperatore, il quale poteva seguire la messa sia all’altare frontale del Salvatore, sia a quello della Vergine al piano basso. Inoltre, vedeva sulla cupola il mosaico del re dei cieli (Cristo in trono), in cui si ‘rifletteva’ come sovrano terreno. Ma la vera importanza della cappella sta nella presenza di coperture interamente voltate e nel relativo meccanismo statico. Il deambulatorio inferiore è coperto con volte a crociera raccordate da spicchi triangolari per assecondare il circuito. L’ambulacro superiore possiede invece volte a botte (sempre con spicchi di raccordo) rampanti verso il centro in modo da contraffortare la cupola a padiglione. La si può quindi considerare il primo edificio medievale completamente voltato. L'architettura ottoniana: caratteri e sopravvivenze Fino all’età ottoniana (seconda renovatio imperii: 962-1024) sopravvissero, nelle civitates christianae, le antiche cattedrali. Solo dal Mille circa, epoca di generale rinascita urbana, iniziarono importanti ricostruzioni. Forse solo il XII secolo può essere veramente definito “secolo delle cattedrali” (almeno in Italia con il medio/tardo romanico e in Francia con il proto-gotico), ma in Germania la dinastia imperiale di Sassonia aveva già promosso attorno all’anno Mille la costruzione di cattedrali (Magdeburg, Goslar, Augsburg, Regensburg, Mainz, Metz), in coincidenza con la politica episcopalista che assegnava al vescovo un ruolo di autorità civile fondamentale nella struttura dell’impero. Il ruolo del vescovo era già stato potenziato da Carlo Magno, ma quello dei grandi abati era stato anche più importante, e i cantieri erano stati quasi unicamente monastici. Come la rinascita dell’impero romano-cristiano degli Ottoni si riallaccia direttamente a quella carolingia, così le forme dell’architettura (e dell’arte) carolingia ne sono il punto di riferimento necessario. Le grandi costruzioni religiose ottoniane hanno ancora la struttura basilicale paleocristiana di quelle carolinge, anche se introducono forme di alternanza dei sostegni (colonna e pilastro); assumono tutte le varianti di transetto, recuperate (transetto continuo, transetto ‘a celle’) o introdotte (transetto a incrocio regolare) nel IX secolo; sviluppano più tipi di corpo occidentale (Westbau) e di abside opposta (talora di forma quadrangolare); formalizzano la chiesa bicefala, a doppio santuario e doppio coro opposto (come San Michele a Hildesheim). Il testo ancora basilare in proposito è L’architecture ottonienne di Louis Grodecki (Parigi 1958). I modelli romani ricevono un nuovo impulso, in particolare per quanto riguarda i transetti, spesso di carattere continuo (senza frazionamenti trasversali), ad imitazione del transetto occidentale dell’antica San Pietro in Vaticano (mediatore carolingio: Fulda), oppure del transetto orientale dell’antica San Paolo fuori le mura (mediatore carolingio: Seligenstadt). Non mancano gli esempi di transetto falso ‘a celle’ (San Pantaleone di Colonia), oppure di transetto basso (Saint-Denis a Liegi), o infine a incrocio regolare (San Michele a Hildesheim), tutti già esistenti in età carolingia. Persino il doppio transetto, a est e a ovest, ha rinnovata fortuna (San Michele a Hildesheim), sulla base dei modelli carolingi, in primis quello della cattedrale di Colonia. Una continuità fisica con l’età carolingia è dimostrata nel caso dell’abbazia di Hersfeld, dove il transetto continuo carolingio fu conservato nella ricostruzione post 1037. Ad Heiligenberg invece il transetto continuo orientale dell’863-875 fu trasformato con la creazione di un incrocio verso il 1025. Transetti continui (senza frazionamenti trasversali) La Baviera conobbe molti esempi: dalla cattedrale di Augsburg a numerose chiese di Regensburg (cattedrale di San Pietro, monasteri di Sankt Emmeram e di Obermünster). Quello di San Pietro (scavato nel 1924-1925) era occidentato e non sporgente, più largo della navata centrale. Costituì forse il modello per gli altri due casi monastici. A Sankt Emmeram il transetto occidentale è ancora conservato, mentre quello dell’Obermünster è visibile all’esterno. Altro transetto continuo (largo come la navata) fu quello dei SS. Apostoli di Colonia, gravemente danneggiato nell’ultimo conflitto mondiale. Si tratta di una collegiata consacrata nel 1035 dall’arcivescovo Pilgrim. In Bassa Sassonia (Nieder Saxen) è continuo il transetto di Santa Maria di Walbeck (ante 962?). In Alsazia, era continuo anche il transetto orientale della grande cattedrale di Strasburgo del vescovo Werner (1015-1028), un edificio immenso a navate colonnate. Dubbi sono i casi del duomo di Worms Reichenau/Mittelzell (fase dell'830). Comunque questa stessa chiesa nella versione della prima metà dell'XI secolo (consacrata nel 1048) ribadì la polarità doppia, con la contro-abside occidentale (ancora esistente) inclusa nella turris dell'abate Berno (Jacobsen 1992, pp. 152-163). Un’innovazione assai importante dell’architettura ottoniana è la formazione della cripta ‘a sala’ (U. Rosner, Die ottonische Krypta, Köln 1991; A. Segagni Malacart, Cripte lombarde della prima metà del secolo XI, in Medioevo: arte lombarda, Atti del Convegno internazionale (Parma, 26-29 settembre 2001), a cura di A.C. Quintavalle, Parma-Milano 2004, pp. 88-103), che era apparsa solo in embrione negli esempi carolingi di Auxerre e Flavigny, i quali combinano un percorso a corridoi angolari con una confessio (per il sepolcro di san Germano) a triplice navatella. In modo abbastanza rapido si produce la transizione dalla cripta a corridoio altomedievale alla cripta a sala (poi a navatelle, detta “ad oratorio”). Tuttavia in alcuni esempi di età ottoniana si trova ancora la combinazione del corridoio con la confessio ’a sala’ (San Wiperto a Quedlinburg, San Michele a Hildesheim). Nella maggioranza dei casi, però, la cripta è strutturata come “cripta a ciborio”, cioè con quattro colonne in quadrato a ‘sala’ (Gernrode, Rohr, Memleben), oppure con navatelle allungate (Unterregenbach, Bamberg, Würzburg, Hildesheim stessa). S. Rutishauser, Genèse et développement de la crypte à salle en Europe du Sud, « Les Cahiers de Saint-Michel de Cuxa », 24, 1993, pp. 37-5l, ha analizzato il nuovo significato funzionale delle cripte ‘a sala’, non più soltanto utili allo scorrimento davanti alle reliquie/tombe sante, ma anche allo stazionamento per la celebrazione della messa. Interessante l’esempio di cripta “fuori opera” (aggettante rispetto all’abside) e a due livelli di San Massimino a Treviri, nella linea della tradizione carolingia (ad esempio: cripta a due livelli di Saint-Germain a Auxerre, dotata di rotonda hors-d’oeuvre a tre livelli). Il livello inferiore, strutturato a celle parallele, sembra richiamare anche la cripta carolingia di Saint-Médard a Soissons. I modelli carolingi sono sottoposti ad elaborazione anche nel caso del Westwerk, che conosce una ricca serie di varianti, ma pur sempre basate sul modello carolingio di Corvey (873-885) in Westfalia, ancora esistente. Simile a Corvey doveva essere il Westwerk della cattedrale di Hildesheim, anteriore ad esso (852-872). Nel X secolo, all’abbazia di Gardersheim (cons. 923) e a Freckenhorst domina la turris occidentale. A Minden (913-959) si trova un portico fra due torri, da cui si accede a una “cripta” con otto massicci pilastri. Nelle facciate può dominare la torre unica o le due/tre torri (innalzando le torrette scalarie simmetriche carolinge). Nel 943 è consacrata l’abbaziale del San Salvatore di Werden, con Westwerk ancora esistente che inaugura la nuova formula del blocco svuotato al centro e attorniato da corpi a doppio livello, come poco dopo sarà quello più famoso del San Pantaleone di Colonia (984-996). San Ciriaco di Gernrode ha una tribuna ovest aperta con arcata doppia verso la navata e verso i matronei sulle navatelle. In altri casi il corpo occidentale viene fuso con il contro-coro, come a Reichenau/Mittelzell e a Essen, dove delle absidi sono contenute nella torre occidentale. Nella prima età salica, la cattedrale di Spira ha un portico d’ingresso sovrastato da una tribuna. La cattedrale di Strasburgo e l’abbaziale di Limburg an der Haardt hanno portici con tre arcate aperte verso l’esterno e una tribuna aperta verso l’interno. La facciata a doppia torre armonica (simmetrica) torna nelle abbazie di Einsiedeln e Muri. La facciata del duomo di Treviri (Trier) congloba numerosi elementi: torri, torrette, “cripta”, contro-abside con ingressi laterali. Forse deriva dall’abbazia di Fulda (fase 937-948), in parallelo al duomo di Magonza (Mainz). La Germania continuò ad essere pervasa dall’idea della doppia polarità e delle torri simmetriche a est e a ovest, così che gli ingressi finirono spesso sui lati lunghi. Le doppie torri sono talvolta a fianco dell’abside (chevet armonique). Tre casi di lettura San Ciriaco a Gernrode Questa chiesa sassone è l’unica del periodo ottoniano che sia veramente conservata in relativa integrità, anche se con qualche trasformazione successiva. Apparteneva a un monastero/canonica femminile fondato nel 961 dal marchese Gero (da cui il nome di Gernrode). La prima badessa fu sua parente e nipote di Ottone I. Il transetto orientale, creduto prima continuo, è oggi ritenuto in origine a crociera regolare (forse con torre), i cui archi est e ovest sarebbero stati eliminati nel XII (quando si edificarono le gallerie nei bracci del transetto) e ricostruiti nel XIX secolo. A occidente non esisteva un contro-coro absidato come oggi (XII secolo) ma un corpo di accesso all’edificio, la cui restituzione è però problematica (forse a due livelli e torre centrale: Plant 2003). Si tratta anche dell’unica chiesa sassone ad avere tribune sui matronei e un ritmo dei sostegni di navata di tipo “renano”. Un solo pilastro rettangolare al centro di ogni lato divide due doppie arcate su colonna. Anche a livello dei soprastanti matronei un pilastro centrale suddivide due esafore su cinque colonne per parte (o meglio: tre bifore per parte sotto archi di scarico). Per le gallerie è stato richiamato un modello greco, forse non lontano da San Demetrio a Salonicco, messo però in dubbio dal Plant (2003), il quale osserva che la bizantina Teofano fu solo più tardi nella vicina Quedlinburg (973-978) e che le gallerie esistevano già in numerosi altri edifici: le chiese romane di San Lorenzo e Sant’Agnese (secoli VI e VII), la cappella di Aquisgrana, lo stesso San Massimino a Treviri (ove altari a un piano alto vennero consacrati nel 942, però probabilmente solo alle estremità delle navate laterali). Le gallerie erano probabilmente destinate alle monache, che potevano così assistere alle celebrazioni dall’alto. Plant ritiene che le 24 aperture corrispondessero a 24 monache. I capitelli delle colonne sono corinzi, ma già fa capolino un tipo di capitello con protomi antropomorfe. Sotto la profonda abside centrale è inclusa una delle più antiche cripte a ‘sala’ (Ziborium-Krypta), con quattro pilastri e volte a botte. Avendo tre nicchie orientali in spessore di muro disposte a modo di croce, essa appare come una basilichetta a terminazione cruciforme. E’ stata interpretata (Plant 2003) come un incrocio fra una cripta a ‘sala’ e una a deambulatorio, in quanto ad est la curvatura della volta a botte sembra suggerire un corridoio. La chiesa fu restaurata nei secoli XIX e XX, quando venne anche ricostruita una delle due torrette ovest, ma già in origine gli esterni erano articolati da lesene (le attuali sono del XIX secolo): una ‘plastica’ murale che appare anche in San Pantaleone a Colonia. Su Gernrode è atteso un nuovo ampio studio a cura di Werner Jacobsen. San Pantaleone a Colonia L’arcivescovo Bruno (953-965), fratello di Ottone I, fondò nel 957 l’abbazia di San Pantaleone: un’abbazia femminile della riforma di Siegburg. La chiesa (prima fase) era già consacrata nel 980. Essa constava di una navata unica, con un falso transetto a celle e con un piccolo Westwerk a occidente. Questo tipo di edificio è stato confrontato ad altre chiese, come quelle di Soest e Dortmund (Binding 2001). Sull’asse ovest fu individuato un edificio incompiuto a pianta centrale, forse il mausoleo del fondatore (che in seguito sarà deposto in cripta). Su finanziamento dell’imperatrice Teofano, ormai vedova, fra il 984 e il 991 la chiesa fu allungata a ovest con un clamoroso corpo occidentale, dove Teofano verrà deposta nel 991. Nel XII secolo l’edificio fu ristrutturato a tre navate; in seguito ebbe un importante restauro (abside e cleristorio) nel XVII secolo, e un quasi integrale rifacimento nel XIX e XX secolo (a causa della guerra). La seconda fase conobbe l’aggiunta di absidi centrale e laterali (bracci del transetto) - che secondo alcuni erano tuttavia già presenti in prima fase (cripta compresa) -, e una ricca articolazione murale di archi su lesene, sia all’esterno che all’interno. Gli archi includono all’esterno le finestre, secondo una soluzione che richiama le costruzioni tardoantiche (basilica romana della vicina Treviri, San Simpliciano a Milano). La chiesa è anche decorata da archetti pensili: una modulazione che evidentemente non può essere considerata solo ‘meridionale’, cioè dell’area geografica del cosiddetto premier art roman. In realtà, questa modulazione (che in Germania si trova solo nell’XI secolo) ha anche fatto pensare a una data più recente per lo stesso corpo occidentale. L’elemento più sorprendente della seconda fase è proprio il corpo occidentale, che comprende un quadrato centrale svuotato a ‘pozzo’ e tre blocchi a due livelli disposti attorno al primo a croce. A Hildesheim due sole colonne della navata sono originarie, mentre sono per lo più conservate quelle delle tribune, a capitelli cubici e basi attiche. La chiesa, a causa dei danni riportati nell’ultimo conflitto mondiale (1945), venne quasi interamente ricostruita (fino al 1960) secondo la forma preesistente, ma in realtà essa aveva subito già numerosi rifacimenti e restauri nei secoli (per esempio la parte orientale era stata ricostruita nel 1667-69). Cluny II e il problema della ‘galilea’ E' l'origine stessa di Cluny a incarnare le tensioni di riforma della Chiesa entro il seno della cultura laica. Quando, l'11 settembre 909, il duca d'Aquitania e conte di Macon Guglielmo il Pio sancì la fondazione del monastero, dispose che fosse direttamente soggetto alla Chiesa di Roma per evitare ingerenze e usurpazioni di secolari (persino quelle eventuali del fondatore e dei suoi eredi). Pur non trattandosi del primo caso del genere, vi era già in nuce il privilegio dell'esenzione (da vescovi e laici) che Cluny avrebbe in seguito ottenuto: uno degli aspetti essenziali della riforma monastica. Di fronte al fenomeno ricorrente del monastero privato, Cluny ebbe subito riconosciuta la libera elezione dell'abate, meno il primo: Berno, scelto dal fondatore in quanto attivo riformatore di monasteri (Gigny, Beaume-les-Messieurs). Berno accumulò gli abbaziati già acquisiti a quello di Cluny: così venne stabilito anche il principio che porterà all'Ordo di Cluny (che qualcuno definì anche "monarchia"), in base al quale la maggior parte dei monasteri o priorati soggetti avrebbero avuto come unico abate quello cluniacense. L'abate Oddone fu un propagatore della riforma (che significava il ripristino della vita regolare nei cenobi), ma solo Maiolo (954-994) - con la collaborazione dell'impero ottoniano - ne fu l'organizzatore. Con Maiolo appare la prima grande chiesa abbaziale (la cosiddetta Cluny II), col successore Odilone (994-1049) - che aggregò o riformò altri monasteri già illustri - appaiono le prime articolate consuetudini scritte della liturgia e delle vita monastica cluniacense (forse già le Antiquiores, certo il Liber tramitis aevi Odilonis, noto nella versione farfense). Secondo gli scavi di Conant (1968), Cluny II avrebbe posseduto tutta una serie di elementi fondamentali per l’evoluzione successiva: la polarizzazione degli altari a est, il santuario a collaterali comunicanti e ad absidi échelonnées, il transetto stretto e ‘basso’ (ipotesi Grodecki) con incrocio a torre sottocupolata (ipotesi Conant), le navate con sostegni diversificati (rettangolari e cilindrici) in riferimento ai distinti spazi liturgici (coro maggiore dei monaci/coro minore dei novizi/altare della Croce – navata liturgica per conversi e laici), il corpo occidentale a due piani o galilea (ipotesi Sapin). Non vi è possibilità di riconoscere il carattere più innovativo dell'architettura di Cluny II se non si esaminano prima due aspetti connessi alla spiritualità (o forse meglio, "ideologia") e alla liturgia cluniacense: in primo luogo il legame con la riforma monastica carolingia di Benedetto d'Aniane, che il primo abate Berno ben conosceva e che si traduce nel predominio assoluto del tempo dedicato alla preghiera e all'officiatura liturgica su quello dedicato allo studio e al lavoro manuale (ma anche in formule precise), senza che ciò comporti un'ascetica fuga mundi ma solo le virtù monastiche dell'umiltà, dell'obbedienza e del silenzio; in secondo luogo, a scapito dell'"esenzione", un rapporto aperto col mondo secolare, che implicò la partecipazione di pueri alla scuola monastica. Il monaco cluniacense fu inoltre una sorta di "professionista" della preghiera e dell’officiatura per il conseguimento della propria e dell'altrui salvezza. Ciò permette di comprendere lo sviluppo eccezionale del santuario (chevet dei francesi) e, come vedremo, del coro nell'impianto di Cluny II, che l'americano Kenneth Conant restituì assai parzial- mente nel corso delle campagne di scavo nel nostro secolo. Si trattò di una restituzione lacunosa, a volte problematica o addirittura indebita, ma almeno non è dubbio lo sviluppo clamoroso della zona presbiteriale/absidale. A est di un transetto assai stretto, probabilmente "basso" (Grodecki) e forse dotato di una torre sottocupolata su base oblunga (anch'essa però non dimostrata), si apriva un santuario profondo, fiancheggiato simmetricamente e in progressione scalare (échelonnée) da due collaterali absidati (ideale proseguimento delle navate laterali), da due presunte cryptae rettangolari e dalle absidiole del transetto. Lo scavo del santuario pone una serie di dubbi irrisolti. Fermo restando che siamo in presenza di un'evidente moltiplicazione di spazi, absidati o meno, per le quotidiane messe private dei monaci (conosciamo in buona parte anche il nome degli altari), ci sfugge la configurazione in alzato di quegli spazi e persino se siano il prodotto di una o più fasi. Ad esempio: l'abside centrale ad andamento schiacciato e con almeno un poderoso contrafforte è forse esito di un rifacimento? Le scarne tracce di fondazioni all'interno della stessa (per Conant relative a una terminazione rettilinea internamente tripartita) appartengono a una chiesa più antica (Conant), a una eventuale cripta di Cluny II (Sapin), o addirittura all'originaria configurazione absidale della stessa Cluny II? Il monaco Bernardo, nella seconda redazione (1084-1086) delle sue consuetudini basata su quella del 1060-1075 circa, scrive che nell'abside centrale erano posti i tre altari utilizzati a turno per la messa di mattino (SS. Maria e Giovanni al centro, fra S. Paolo e S. Pietro), mentre più a ovest, al centro del santuario, stava l'altar maggiore, per la missa maior. Una configurazione absidale rettilinea e tripartita all'interno per tre altari, si trova nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo di Hirsau (1083-1091) nella Selva Nera, derivata da Cluny II nel titolo, nell'architettura e negli usi liturgici (Mettler). Ancora più interessante risulterebbe la formula della comunicazione con arcate fra la zona dell'altar maggiore (santuario) e i suoi lunghi collaterali (conclusi dalle absidiole con altri due altari): quella che il Lefèvre-Pontalis individuò come caratteristica precipua del cosiddetto plan bénédictin. Conant immagina tre archi su due colonne per parte, ma forse non trovò altro che fondazioni continue (Armi). Dunque gli archi, neppure certi, potevano essere per esempio anche duplici, come in alcune applicazioni di questa formula, di cui Cluny II costituì forse il prototipo ma la cui ragione liturgica ancora ci sfugge. Stazionavano forse nei collaterali, durante la celebrazione della missa maior, accoliti, cantori o altri adiutores? Si tratta di una vaga possibilità. Ogni giorno si celebravano due messe collettive (la matutinalis dopo Terza, tenuta in onore dei defunti a uno degli altari dell'abside centrale; la maior dopo Sesta, all'altar maggiore) e molte messe private. Già nella famosa abbazia carolingia di Centula, alle due messe principali comunitarie mane et meridie facevano riscontro altre trenta messe quotidiane ai vari altari. Inoltre questi erano oggetto di stazione durante i complessi e dispiegati circuiti processionali festivi, come a Cluny. Un rilievo particolare aveva al centro della navata maggiore l'altare della Croce, che si trova anche a Cluny (affiancato da altri due altari) e che dall'età carolingia fu un topos dell'architettura europea - specie monastica - come altare dei laici. Anche le absidi échelonnées erano state in qualche modo "prefigurate dai santuari complessi delle abbaziali carolinge di Saint-Germain d'Auxerre e di Saint-Pierre de Flavigny", ma se accettiamo la conclusione del Conant che gli altari di Cluny II fossero in gran parte a est e nessuno nelle navate laterali (assai strette), dovremmo registrare - rispetto a Centula e alla pianta di San Gallo - quella che Heitz ha definito la polarisation liturgique sur le chevet. Anche a proposito del coro riscontreremo fra poco qualcosa di simile. Non è esistita alcuna liturgia dei cluniacensi: essi l'hanno semplicemente intensificata, e hanno finalizzato in maniera più sistematica messe e preghiere a benefattori e defunti; inoltre hanno "concentrato" (invece della "dilatazione" carolingia) i luoghi - santuario e coro - deputati ai "professionisti" del suffragio, cioè a se stessi. A Centula i cori erano tre (ognuno di 100 monaci e 33 pueri) posti al piano alto del Westwerk, nella parte est della navata e presso il santuario orientale di Saint-Riquier. A Cluny si riducono a uno solo, corrispondente a quello che anche a Centula è interpretabile come il coro ordinario: quello della metà est della navata maggiore. Il transetto di Cluny II infatti era troppo contratto per non esser stato pensato come semplice asse trasversale di transito. Si può dunque accettare la conclusione di Conant che il coro fosse nella parte est della navata centrale, anche se egli scavò ben poco di questa e propose una restituzione basata su presunte tracce di pilastri, che potevano essere invece frazioni di una fondazione continua, come osservò Edson Armi. Gli ultimi due pilastri per parte della zona orientale gli parvero rettangolari, mentre i primi due a nord della zona occidentale vennero supposti come circolari. Se tuttavia la conclusione non fosse attendibile, anche l'individuazione di sette campate (secondo Conant tre riservate al coro, una all'altare della Croce e stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Matteo 28, 16-20, ma si vedano anche: Marco 16, 1-8; Luca 24, 1-11; Giov. 20, 17-22). Poco importa che il passo di Matteo 28 possa essere un’interpolazione successiva al testo originario. Di fatto esso determinò l’immagine del Cristo in maestà (Maestro nel gesto della parola e col libro della Parola, oltre che eterno Regnante), che non compare solo nelle absidi romaniche, ma anche all’interno della galilea (Heitz 1995, Krüger 2003), come indicatore di quel concetto nel luogo stesso che indicava un “passaggio”: dall’esterno all’interno della chiesa, dal mondo terreno alla Chiesa come anticipo celeste, da uno stato di peccato a uno di conversione, dalla morte alla vita perenne (come il Cristo risorto e asceso al cielo). Non a caso Agostino e Gregorio Magno considerano l’apparizione in Galilea del Cristo come trasferimento della grazia dal popolo ebraico al popolo eletto dei cristiani, mentre Heiric d’Auxerre come passaggio dal peccato a Dio, dal vizio alla virtù. La galilea era quindi considerata come una statio pasquale perenne, un “passaggio” di conversione e un simbolo della Chiesa come nesso fra uomini e Dio. Non a caso la ‘stazione’ nella galilea avveniva nell’ambito della liturgia domenicale e festiva, che era concepita come “eterno ritorno” della Pasqua di morte e resurrezione. La galilea di Saint-Philibert a Tournus, della metà circa dell’XI secolo, è forse l’esempio più integro, nel contesto di una chiesa eccezionale, sulla quale l’Henriet (1990, 1992) ha fornito precisazioni essenziali. La facciata a doppia torre incorporata nella galilea e l’abside orientale del piano alto (per l’altare di San Michele), in origine sporgente verso la navata, derivano verosimilmente da Cluny II, come ritiene Sapin. La galilea è strutturata con grande conoscenza della statica, utilizzando quattro diversi tipi di volta (due su ogni piano). Al piano inferiore sono utilizzate volta a crociera (al centro) e volta a botte trasversale (ai lati); al piano alto: botte longitudinale e mezza botte di rinfianco. La chiesa è di eccezionale importanza per le coperture voltate e la sua costruzione si svolge, secondo le cronologie di Henriet, lungo l’intero XI secolo (cripta, santuario e transetto, poi rifatto: 1009-1028; galilea e navate: dal 1035/40 in poi; volte della navata centrale: seconda metà/fine XI). Tournus non era un monastero cluniacense, ma gli abati che furono i committenti della chiesa (Bernier e Ardain: 1007-1056) ebbero strette relazioni con Cluny (Krüger 2002, p. 420). La galilea lo dimostrerebbe, ma la soluzione orientale a deambulatorio e cripta evidenzia d’altra parte una sostanziale indipendenza da Cluny II, che si manifesta ancor più nella navata centrale, dove l’esperimento di un sistema di volte a botte trasversali (ultima parte costruita) sarà ripetuto solo a Mont-Saint-Vincent (Henriet). L'influsso di Cluny II fu probabilmente assai maggiore di quanto si può intuire ora, con una sua conoscenza così insignificante. Il santuario a cappelle échelonnées e a collaterali (comunicanti?), il transetto basso forse a torre d'incrocio sottocupolata, la galilea, anche se non sempre tutti compresenti riguardano numerose chiese, prima solo connesse ai cluniacensi, poi anche esterne all'Ordo. Fra le prime, Guglielmo da Volpiano adottò il modello con somma libertà a Dijon e a Fruttuaria. Evoluzione strutturale e sperimentazione delle volte in muratura nella Francia romanica Tra il 980 e il 1050/60 molte chiese continuano l’elevazione tradizionale a capriate, con alti muri dotati di finestre (pareti della navata centrale). Le capriate avevano lo svantaggio di essere sottoposte a rischio di incendio. Tuttavia, con la copertura a volta non si sarebbe mai potuto edificare navate tanto larghe e alte: il rischio di crollo era anche peggiore di quello d’incendio. Infatti, le primissime navate voltate a botte sono piccole e basse. La Francia si dedicò soprattutto alla sperimentazione della volta a botte più che della volta a crociera, che aveva maggiori vantaggi (esercitava meno pressione sulle pareti laterali della navata) ma era più difficile da costruire, a partire dalle relative centine, ed era poco coesa (soprattutto sulle linee diagonali delle nervature, che dividono le vele o unghie). Quando si tentò di imporre volte a botte longitudinali a navate più larghe e più alte le difficoltà crebbero e molti esperimenti non ebbero esito positivo. La volta a botte - costruita sul tracciato di un arco a tutto sesto – costringeva a rendere più spessi i muri delle navate e soprattutto a ridurre le finestre, che indebolivano la parete che doveva reggere le spinte della volta. Gli architetti si trovarono così di fronte un dilemma di fondo: se praticavano molte forature nella parete (finestre e altro) mettevano a rischio la tenuta della volta, se invece conservavano un muro pieno riducevano l’illuminazione diretta della navata e mettevano a rischio le arcate sottostanti, sollecitate da un carico eccessivo. Talora optarono per i matronei (con volte che contraffortavano le volte centrali), ma anche questi accecavano la navata centrale; altre volte misero in atto compromessi, altre ancora soluzioni geniali (come quella della navata di Tournus). Verso il 1100 sia la volta a botte che la volta a crociera vennero sottoposte a miglioramenti tecnici: la prima divenne volta a botte spezzata (costruita sul tracciato di un arco acuto), la seconda volta a crociera costolonata (rinforzando le deboli linee di connessione diagonale con i costoloni). Ambedue i tipi di volta esercitavano minore pressione laterale se erano piuttosto rialzate e non troppo schiacciate. Solo agli inizi dell’XI secolo, con Saint-Martin de Canigou, compare un edificio interamente voltato, dove la volta a botte si trova con pilastri non articolati (colonne, nella chiesa superiore). Ad ambedue i livelli la chiesa ha tre navate, che si sovrappongono, e tre absidi. La navata centrale è larga solo 3 m. Nella chiesa inferiore anche la volta si eleva a soli 3 m, mentre nella chiesa superiore fino a 6 m. Qui tre volte a botte continua coprono le tre navate senza illuminazione. Anche per dimensioni così piccole i costruttori ebbero tuttavia problemi statici. L’architetto aveva adottato anche nella chiesa inferiore piccole colonne monolitiche nelle tre campate orientali (evidentemente per valorizzarne il santuario), ma non aveva calcolato bene i carichi. Già in corso d’opera si rivelarono dei guasti, che lo indussero e inglobare velocemente le colonne in blocchi di muratura (pilastri) e a rinforzare gli archi. Proseguì allora la costruzione verso ovest con massicci pilastri cruciformi e robusti archi trasversali. Questi consentirono di utilizzare nella chiesa superiore sottili colonne e volte a botte continue. Nel 1009 la chiesa inferiore venne consacrata alla Vergine, la chiesa alta a san Martino e la cappella del campanile autonomo a san Michele. Tuttavia è documentata una seconda consacrazione nel 1014 o nel 1026, forse proprio in corrispondenza con il restauro delle parti orientali e con la costruzione delle campate occidentali. L’avant-nef o antéglise di Saint-Philibert a Tournus è la più antica galilea cluniacense che ci sia conservata. Derivata probabilmente da quella scomparsa di Cluny II (di Odilone: 994-1049), si pone assieme a quella di Romainmotier all’inizio di una serie di strutture che si modificarono continuamente fino al XII secolo, evolvendo infine nella galilea a un solo piano di Cluny III e nella singolare struttura di Vézelay (atrio coperto con pozzo centrale e navatelle con relative gallerie su tre lati). Esse avevano un significato particolare nella liturgia cluniacense e, come ha recentemente mostrato Kristina Krüger (2002), costituivano non soltanto stazioni processionali al piano terra ma anche oratori funerari per le messe in onore dei monaci defunti al piano alto. Il nome galilea deriva dal fatto che, nella statio della processione festiva, i monaci andavano incontro all’abate così come i discepoli erano andati ad incontrare il Cristo in Galilea. E come la Galilea fu l’ultima ‚stazione’ di Cristo in terra prima dell’ascensione, così la galilea fu l’ultima stazione dei monaci prima dell’ingresso nella chiesa come Gerusalemme terrena. La galilea di Tournus è ampia (m 20 x 17), strutturata su due piani (vestibolo-santuario alto), dunque pur sempre nella linea del Westwerk carolingio. Ad ambedue i piani una navata centrale è assai più ampia delle laterali, e il piano basso serve da sostruzione del piano alto. Mentre le volte inferiori sono ovviamente alla stessa quota (a ‘sala’), a m 7,40 di altezza, al piano alto la volta centrale raggiunge m 12,50 di altezza determinando così una vera e propria struttura basilicale direttamente illuminata al centro. I sostegni sono ad ambedue i livelli poderosi pilastri cilindrici in muratura (diametro m 1,50), sulle cui sporgenze superiori vanno a ricadere gli archi trasversali delle volte. Al piano basso le volte a crociera centrali sono affiancate, nelle navatelle, da volte a botte trasversale, i cui archi di base si appoggiano sorprendentemente al corpo dei pilastri e dei semi- La funzione dei percorsi e delle tribune (a capriate a Cerisy, forse dall’inizio voltate a mezza-botte a Caen), cioè dell’elevazione a tre livelli, era in primis quella di alleggerire le alte pareti evitando alte zone di muratura piena. Le tribune inoltre irrigidivano da dietro pareti assai alte e quindi potenzialmente instabili. Il registro delle tribune ripete quello delle arcate, anche se Cerisy opta per bifore interne agli archi di scarico delle tribune stesse. L’accento è comunque sempre più sugli elementi strutturali invece che sul muro e sulla sua capacità di portata. L’XI secolo si chiude con un edificio eccezionale, che non ebbe più seguito: la navata di Saint- Philibert a Tournus, costruita entro i precedenti corpi del presbiterio/transetto e della galilea occidentale, che erano stati aggiunti alla chiesa preesistente, in questa fase abbattuta. Le navate laterali furono realizzate verso il 1040, quando la galilea era ancora in corso di costruzione. Mentre le navate laterali ebbero volte a crociera (come già a Saint-Savin), la navata centrale ebbe eccezionalmente delle volte a botte trasversali a 18 m di altezza. Queste scaricano non contro i muri laterali (che così ebbero le finestre sopra le arcate) ma su archi-diaframma sostenuti da brevi semicolonne e altissimi pilastri cilindrici (m 1,35 di diametro per 9,35 di altezza), che lo stesso maestro aveva utilizzato anche nella galilea (Henriet 1990-92 e 2008). Assieme alle finestre delle navate laterali, le finestre centrali possono riempire la navata maggiore di luce. L’esperimento non ebbe seguito: fu infatti troppo costoso per la necessità di altissime centine (che non poterono essere pensili) e costrinse più tardi a ricostruire il transetto e l’incrocio di inizi XI secolo. La cupola - alla stessa altezza delle volte - verso est, la galilea a ovest, e le volte delle navate laterali sui due fianchi, servirono infatti da ‘contenimento’ vero e proprio per le volte centrali. Nel caso delle grandi chiese dette “di pellegrinaggio” (Sainte-Foy a Conques, Saint-Sernin a Toulouse, Santiago de Compostela, e le scomparse Saint-Martial a Limoges e Saint-Martin a Tours) le volte a botte della navata centrale vengono rinfiancate da tribune voltate a semi-botte soprastanti le navatelle voltate a crociera. Non si tratta ovviamente di chiese con molta luce. Le semi-botti, rinforzate da archi-diaframma, contro-spingevano le ricadute della volta centrale, impedendo l’illuminazione della navata centrale. Nelle chiese a cinque navate come Saint-Sernin a Toulouse la portata delle volte centrali è scaricata verso l’esterno dalle volte laterali a semi-botte, dai contrafforti e dallo spessore delle pareti. A Tolouse sono le cinque navate échelonnées a consentire una navata centrale larga m 8,80 e alta 21 m, laddove a Conques – a tre navate – la navata centrale è di poco più alta (m 22) ma decisamente meno larga (m 6,80). Le tribune si affacciano al centro con bifore entro archi di scarico, che toccano quasi l’attacco della volta a botte. I pilastri compositi sono assai ravvicinati per conferire stabilità al sistema, che era staticamente solido ma non consentiva illuminazione diretta della navata centrale. La luce penetra soltanto dalle navatelle e, assai poco, dalle tribune. La chiesa canonicale e santuario di Saint-Sernin a Toulouse sembra essere stata iniziata verso il 1070-1080, in prossimità con la riforma del nucleo canonicale. Le chevet e le parti inferiori del transetto dovevano essere concluse al momento della consacrazione nel 1096 dell’altar maggiore, ad opera di Urbano II. Nel 1118, quando morì l’operarius Raymond Gayrard, erano costruite le tre campate orientali della navata e impostati i muri perimetrali. L’architetto edifica un deambulatorio inondato di luce attraverso finestre e oculi fra le cappelle radiali, e anche la veduta esterna, con aperture su due ordini, rivela il suo “pensiero rigoroso”, che conferisce unità e continuità a transetto ed abside (Vergnolle 1994). In Borgogna (Bois-Sainte-Marie) e nell’Ovest (Chauvigny, Saintes, Moirax) avviene a inizi XII secolo l’adozione della volta a botte spezzata, che esercita spinte laterali minori sulle pareti della navata centrale perché più ‘verticale’. È quindi più facile da contraffortare e può essere impiegata su navate più larghe e alte. L’illuminazione resta comunque limitata. L’exploit della volta a botte spezzata si ha con Cluny III, la grande chiesa distrutta dopo la Rivoluzione francese e di cui sopravvive il solo braccio sud del transetto maggiore (la chiesa aveva due transetti), assieme a tre campate della navata esterna e a due cappelle del transetto minore. La chiesa - la più grande dell’Europa romanica - venne edificata dal 1088 al 1130, partendo da est. Nel 1125 cadde parte della volta a botte spezzata della navata centrale e fu ricostruita, prima della consacrazione del 1130. La chiesa, come documentano i disegni anteriori alla demolizione, aveva cinque navate, certo in omaggio alle grandi chiese romane paleocristiane, visti i legami fra Cluny e il papato. La chiesa aveva doppio transetto con quattro torri, ambulacro a cinque cappelle radiali (con altari per le messe private dei monaci), una lunghezza di 150 m x 38,50, una navata centrale alta 30 metri e larga 11. La lunghezza venne ulteriormente incrementata con l’aggiunta di una galilea a un solo piano, accessibile da un ingresso con due torri, di cui restano poche parti in elevato. Mai una volta (a botte) era stata gettata a una simile altezza, ma per limitarne la portata si restrinsero la navata e il transetto alla base delle volte, grazie a cornicioni e ordini di paraste scanalate (porte-à-faux). Il disegno di Martellange (1700) evidenzia degli archi rampanti su due ordini sul fianco nord della chiesa. Conant ipotizza che fossero stati costruiti dopo il crollo della volta nel 1125, ma è più probabile l’ipotesi di Anne Baud (2003) che, osservando l’analogia con quelli all’esterno della galilea (fine XII secolo), argomenta un’edificazione dopo la costruzione della galilea, forse a causa di nuovi problemi statici prodotti dalla volta centrale. Seguirono il modello di Cluny III soprattutto due chiese borgognone ancora esistenti: la chiesa del priorato cluniacense di Paray-le-Monial e il santuario di Saint-Lazare a Autun. La prima può essere considerata una Cluny III in miniatura, con tre corte navate, un solo transetto, un deambulatorio con tre cappelle radiali, e un’elevazione interna che cerca di imitare Cluny; la seconda è una derivazione nel senso dell’elevato di navata, che assume una estrema raffinatezza grafica di marca antichizzante, per esempio nelle scanalature. Paray ha ancora contrafforti verticali sopra il tetto delle corte navatelle, mentre ad Autun furono aggiunti all’esterno archi rampanti gotici e ugualmente la volta a botte centrale fu rifatta nel XIX secolo. Anche le prime chiese della riforma cistercense (Borgogna) optano per la volta a botte spezzata (berceau brisé). Il monastero di Fontenay fu fondato nel 1119, la chiesa grande edificata fra il 1139 e il 1147. Questa ha solo due cappelle quadrate per parte a fianco della cappella maggiore, e risponde bene al plan e all’ideologia di Bernardo di Clairvaux: facciata senza articolazioni, assenza di torri, una navata centrale alta solo 16,70 m. La navata stessa è un vano senza finestre, con pareti a un solo piano, aperte da grandi arcate acute che al vertice raggiungono quasi lo spiccato della volta a botte spezzata longitudinale, cinghiata da archi trasversali acuti. Questa volta è rinfiancata nelle navatelle da botti trasversali (come nella chiesa di Ronceray ad Angers). La luce penetra nella navata dalle navatelle, dalla facciata, dal santuario e dall’arco diaframma che lo sovrasta. Il colore bianco delle vetrate e delle pareti doveva emanare a sua volta una luce surreale e quasi celeste, insieme all’ordine essenziale e al rigore delle strutture. Nel contesto della Borgogna costituisce un’eccezione il santuario della Maddalena a Vézelay, la cui navata rinuncia alla volta a botte spezzata di Cluny III e adotta la volta a crociera (come ad Anzy-le-Duc). La chiesa non ha più la sua terminazione originaria, bensì possiede un coro gotico a deambulatorio, ma la luce che penetra dal fondo e dalle pareti conferisce un’atmosfera seducente alla navata, giocando con le alternanze cromatiche degli archi trasversali e longitudinali. Anche l’elevato rifiuta il modello cluniacense, ridotto com’è a due soli livelli (arcate e finestre), così come rifiuta gli archi acuti. Dato che le navate laterali non sono molto alte, e non possono quindi rinfiancare le crociere centrali, si misero in atto una serie di provvedimenti: le volte della navata centrale vennero costruite in materiale leggero (impasto di calce, frammenti calcarei polverizzati e terra vegetale) e conformate verso il centro in assise concentriche, come cupole; gli archi formerets (incastrati) riducono inoltre la loro portata; infine, si inserirono nei muri due file di catene o tiranti di legno (una sopra le arcate, l’altra sotto le finestre), collegati trasversalmente alla navata da catene di ferro: queste furono eliminate quando (poco tempo dopo e per garantire maggior sicurezza statica) si costruirono gli archi rampanti esterni. Dal XVI secolo la chiesa non ebbe tuttavia alcuna spesso esapartita (cattedrali di Laon, Parigi, Noyon). Ma la vera rivoluzione gotica si produce verso il 1200 con le grandi cattedrali di Chartres, Reims e Amiens (gotico ‘classico’). L’alzato si riduce a tre livelli per la eliminazione dei matronei, che prima costituivano il sistema di rinfianco delle volte centrali. Questo sistema non sarà più nascosto ma visibile all’esterno. Per poter rinfiancare le volte costolonate della navata centrale, gettate a incredibile altezza e notevolmente ampie, si costruiscono alti pilastroni esterni, dai quali gli archi rampanti in più ordini sono gettati come ponti aerei a contrastare le spinte delle volte interne. Gli archi rampanti sono posti in corrispondenza dei nodi strutturali interni della navata centrale, cioè delle ricadute dei costoloni delle volte e degli archi trasversali sui salienti. In questo modo l’architettura diventa altissimo equilibrio di forze e scheletro strutturale visibile. Dall’interno della navata si ha la percezione di un assurdo statico: le volte sembrano appoggiarsi su pareti diafane e svuotate (le altissime finestre a traforo). Nella Sainte- Chapelle di Parigi (fase del gotico radiante o ‘rayonnante’) questo effetto si estende all’intero edificio, a navata unica, interamente ‘scavato’ dalle finestre vetrate. Il cantiere della cattedrale gotica richiede per la prima volta un’organizzazione strutturata e complessa: un magister autore del progetto, molti tecnici specializzati, una folla immensa di operai, e soprattutto un finanziamento continuo. Dietro queste imprese così dilatate nello spazio e nel tempo non poteva non esserci la monarchia. Il cantiere gotico è spesso raffigurato nelle miniature coeve, che mostrano pareti di grande spessore che si elevano, impalcature e ponteggi su cui lavorano i manovali, macchine di sollevamento dei blocchi di pietra. Gli incidenti sul lavoro erano ovviamente frequenti e potevano riguardare anche gli architetti, come Guglielmo di Sens che cadde dalle impalcature, o persino crolli del costruito (cattedrale di Beauvais). La tecnica aveva fatto comunque passi da gigante, anche se i singoli elementi strutturali erano già presenti nel Romanico (arco acuto, arco rampante, volta costolonata, volta esapartita, mur evidé). Ma mai l’architetto romanico aveva osato spingere le dimensioni fino a quel limite, gettare volte su navate centrali di quell’altezza e ampiezza, calcolare spinte e controspinte. Soprattutto non aveva mai standardizzato il materiale fino a quel punto, per cui ogni concio (tagliato e sbozzato in cava, poi trasportato e rifinito in cantiere) era progettato esattamente per la posizione che doveva occupare. Come si è compreso, la vetrata costituisce un elemento essenziale del Gotico: essa risponde alla nuova estetica della luce, mette in scena delle vere e proprie enciclopedie figurate (come la scultura), sostituisce le sequenze iconiche e narrative che il Romanico aveva tradotto in figura mediante la pittura murale (l’Italia proseguirà su questa via). Nelle grandi finestre o nei rosoni l’armatura è in pietra traforata, ma la struttura della vetrata (che è leggibile solo dall’interno della chiesa) è metallica. Essa è costituita di orizzontali e verticali, di lancette, di tondi e di altre figure geometriche. Dentro questa griglia i singoli pannelli di vetro erano montati in righelli di piombo, che costituivano sia lo scheletro portante, sia l’ordito compositivo secondario. La pasta vitrea era composta di un terzo di sabbia (vetrificante), di due terzi di ceneri di foglie oppure di alghe e piante marine (fondenti), di polvere di vetro e di ossidi metallici coloranti (rame, ferro, cobalto). L’impasto, fuso con la cottura in forno ad alta temperatura, era versato in dischi piatti (Francia) oppure soffiato in cilindri (Germania), che poi asciugavano. In atelier si faceva il modello 1:1 della finestra, su tavola di legno spalmata di gesso, che veniva inciso con punta metallica e poi rifinito col colore. Successivamente si ponevano nella posizione richiesta i singoli pannelli di vetro, tagliati con un ferro rovente, assecondando i disegni sottostanti che trasparivano. I pannelli erano poi dipinti a monocromo (grisaille) per sfumare, creare le ombre, attenuare, eseguire lineamenti di volti e panneggi, e infine erano posti a cottura definitiva. I soggetti delle vetrate erano i più diversi: dall’Antico al Nuovo Testamento, spesso confrontati tipologicamente, dall’Infanzia alla Passione di Cristo, fino alle figure dei Santi e a temi cosmologici e profani (leggende, animali, conflitti). Nuovi temi si affacciavano: il Trono di Salomone come Maria sedes sapientiae, l’Albero genealogico di Jesse che si concludeva col Cristo, numerose figure di donatori (come a Chartres, dove compaiono vescovi, canonici, nobili, milites, mercanti e borghesi). Figurano dunque sia temi iconici (singole figure di personaggi, santi, donatori) che temi narrativi. Nella cattedrale di Reims, sede delle incoronazioni dei re di Francia, figurano l’arcivescovo remsese, i suoi predecessori e i suoi suffraganei, i re di Francia. Le finestre alte si prestavano particolarmente per figure di re dell’Antico Testamento, Apostoli e Santi (cioè i tempi della storia ‘sacra’), mentre i rosoni a più lancette si prestavano per ruote della Fortuna o temi cosmologici. A ovest continuavano le rappresentazioni del Giudizio (presenti anche nelle sculture dei portali). I rosoni dei bracci del transetto potevano includere la Vergine con i re e i profeti dell’Antico Testamento (a nord), Cristo con angeli, evangelisti e vegliardi (da Apocalisse 4-5, a sud). Al di sotto del primo stanno Anna, David, Salomone, Melchisedech e Aronne; sotto il secondo Maria e gli evangelisti sulle spalle dei profeti come nani sulle spalle dei giganti (Bernardo di Chartres). Ciò accade ad esempio a Chartres, dove si sono conservate le vetrate originali dell’intera chiesa, una vera Bibbia in figura. Molti di questi temi si ripetevano nella scultura: ad esempio i re d’Israele (antecessori dei monarchi francesi) nelle gallerie delle facciate. Anche la scultura dei portali era coordinata attorno a tre nuclei fondamentali: l’età della Legge fino all’Incarnazione di Cristo; il Tempo della Chiesa e dei Santi; la Seconda Venuta e il Giudizio finale. Paolo Piva Università di Milano 25/02/2013 – 23/07/2015 Bibliografia essenziale -R. Krautheimer, Architettura paleocristiana e bizantina, Torino 1986 (Einaudi). -C. Heitz, L’architecture religieuse carolingienne, Parigi 1980 (Picard). -J.-P. Caillet, L’art carolingienne, Paris 2005 (Flammarion). -L. Grodecki, L’architecture ottonienne, Parigi 1958 (Seuil). -E. Vergnolle, L’art roman en France, Parigi 1994 (Flammarion). -L. Grodecki, Architettura gotica, Milano 1978 (Electa). -R. Bechmann, Le radici delle cattedrali, Milano 1989 (Oscar Mondadori).
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