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Riassunto Cavanna - Storia del diritto moderno e contemporaneo, Dispense di Storia Del Diritto Moderno E Contemporaneo

Dispensa sostitutiva per sostenere l'esame di storia del diritto moderno e contemporaneo con il prof. Solimano

Tipologia: Dispense

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Scarica Riassunto Cavanna - Storia del diritto moderno e contemporaneo e più Dispense in PDF di Storia Del Diritto Moderno E Contemporaneo solo su Docsity! Parte II Sezione I – Illuminismo giuridico Capitolo I Il tribunale della ragione (p. 71-87) 1. Illuminismo in generale e “illuminismo giuridico” Filangeri scrive nella sua opera Scienza della legislazione: “la legislazione è oggi oggetto comune di coloro che pensano”, intendendo con legislazione il diritto, con coloro che pensano, invece, lo spirito raziocinante dell’élite di intellettuali del XVIII sec. Sono questi due elementi fondamentali per l’Illuminismo del Settecento, da considerarsi come una coppia, non in maniera scinta. Da parte delle classi colte c’era grande attenzione nei confronti del diritto, inteso come la forma razionale della vita degli uomini, nonché strumento per la loro rigenerazione. L’illuminismo non è un sistema filosofico-dottrinale, ma un atteggiamento mentale, un modo di ragionare diverso da quello ordinario, il modo di pensare proprio dell’intellettualità settecentesca europea. Essa guarda con grande attenzione al diritto, pertanto, il complesso di orientamenti, proposte di riforma aventi come tema il diritto viene definito Illuminismo giuridico. Lo stesso Kant aveva cercato di rispondere all’interrogativo cos’è l’Illuminismo? in questo modo: sapere aude , abbi il coraggio di servirti della tua personale intelligenza. Ciò presuppone la fuoriuscita dell’uomo da una minorità, che non è mancanza di ragione, ma mancanza di coraggio di servirsene senza una guida superiore all’uomo stesso. L’uomo deve liberarsi da ogni Autorità che voglia imporgli una verità, così facendo acquisterà una dignità nuova. In questo contesto è implicita l’idea che spetti all’élite di filosofi il compito di guidare l’umanità verso la liberazione (elitismo pedagogico); ciò presenta effetti negativi la pretesa di educare le masse dall’alto, con tecniche di costrizione sociale e di manipolazione dell’opinione pubblica. • Un’ala dell’Illuminismo sostiene che le capacità della ragione siano circoscritte all’esperienza. Le ipotesi metafisiche che trascendono il mondo sensibile direttamente osservabile sono fuori dalla possibilità di conoscenza e dominio dell’uomo Studio sperimentale della ragione l’uomo deve liberarsi dalla soggezione acritica ai dogmi che hanno fondamento nell’autorità di una rivelazione. Ogni campo del sapere è ricondotto a concetti scientifici, è riconosciuta la possibilità di una libera ricerca della verità, è sancito il primato della ragione sulla tradizione. ↓ Si parla di antistoricismo radicale, rifiuto del passato. Il vero bersaglio dell’Illuminismo non è la storia, ma la tradizione. [tradizione = opinioni e regole ricevute dal passato senza controllo critico della ragione; storia = presuppone l’esercizio di questo controllo critico, discernimento razionale tra ciò che del passato deve essere accolto e ciò che deve essere rigettato]. • Atteggiamento pragmatico; la cultura dei lumi è pratico-operativa, vuole trasformare il mondo e rigenerare l’uomo, quale creatura perfettibile. ↓ Rigenerazione 1) manipolazione-strumentalizzazione dell’uomo; 2) ricca di ideali umanitari, l’uomo viene illuminato sulla propria libertà e capacità di crearsi una personale identità. • Idea di progresso l’umanità può progredire verso forme più elevate di benessere, verso la felicità. Il progresso non è affidato ad una provvidenza soprannaturale, ma è un’opera di progettazione razionale controllata dall’uomo ed ispirata al principio di utilità. Morale utilitaristica: l’agire umano è giusto solo se diretto alla felicità. • Spirito di riforma verso il complesso delle istituzioni attraverso cui è ordinata la società. Per progettare una società nuova fondata su utilità e felicità, bisogna rifondare l’ordinamento in cui si vive. Riformare significa non solo cambiare, ma addirittura demolire. • Si assiste ad una laicizzazione-razionalizzazione dello Stato. Al sovrano sono negate le prerogative sacrali conferitegli dalla tradizione dell’Ancien Regime. Il suo potere non poggia più sul diritto divino, bensì sulla delega che per contratto i cittadini hanno conferito al monarca affinchè assicuri il bene dei sudditi. Storia del diritto moderno e contemporaneo 1 • Si verifica una riduzione del potere ecclesiastico e la razionalizzazione della religione, trasformata in religione civile, complesso di principi conformi alla natura, strumento di disciplinamento sociale (Francia). In Germania si cerca di purificare la religione, affrancandola dai pregiudizi popolari; in Austria, invece, nonostante la forte ingerenza dello Stato nelle questioni della Chiesa, non verrà mai accolto il deismo francese. 2. L’illuminismo giuridico: caratteri comuni e differenziazioni interne nel giudizio della storiografia L’espressione illuminismo giuridico è difficile da definire; potrebbe essere intesa quale complesso di concetti generali relativi al diritto. Vengono proposti due orientamenti. a. Mario Cattaneo individua due postulati fondamentali dell’illuminismo giuridico. Postulato razionalistico, cui si lega la concezione illuministica del diritto naturale. Cattaneo nota come la maggior parte degli autori condivida l’idea per cui esista un diritto naturale-razionale, costituito da un complesso di principi universali di giustizia (d. naturale concepito in un’ottica soggettivistica). La ragione è fonte della giustizia, che si traduce nel riconoscimento all’individuo del diritto naturale alla vita, sicurezza, proprietà, libertà d’azione e pensiero. Postulato volontaristico, cui si lega la concezione illuministica del diritto positivo. Questo altro non è se non la traduzione storica dei diritti naturali individuali, manifestazione di volontà ispirata alla ragione del legislatore statuale. Diritto naturale e positivo sono in un rapporto di equilibrio. Cattaneo sottolinea che, con la codificazione, venne avanzata la pretesa di racchiudere nel codice civile l’intera giustizia naturale, negando esistenza giuridica dei principi d’etica naturale; il diritto è solo la norma positiva. Venuto meno il postulato razionalistico, l’illuminismo giuridico, ridotto al solo postulato volontaristico, termina il suo cammino. b. Giovanni Tarello nota come l’espressione illuminismo giuridico sia plurivalente. Dà rilievo alla diversa funzionalità ideologica delle dottrine illuministiche. L’espressione presuppone una lista di idee comuni a tutti gli illuministi, ma, attraverso un’analisi più approfondita, appare che essa altro non sia se non il risultato di una razionalizzazione operata a fine secolo dal tardo illuminismo francese. Bisogna quindi distinguere, almeno nella sua fase iniziale, tra due illuminismi giuridici: 1. d’area germanica qui le teorie dei lumi ispirano il programma di governo dell’Assolutismo illuminato, grazie alla presenza di funzionari e burocrati 2. francese in Francia non si può parlare di Assolutismo illuminato. Le idee dei lumi daranno luogo a teorizzazioni astratte, dottrine di opposizione contro l’Ancien Regime. Anche altri autori distinguono tra giusnaturalismo illuminista, che in Prussia e Austria è etica politica, ed illuminismo, che in Francia si lega al sentimento di nobiltà e borghesia di abbattere l’Assolutismo. Abbiamo due interpretazioni storiografiche diverse, che non si escludono, ma si completano. Gli autori guardano da punti di vista diversi lo stesso fenomeno; Cattaneo cerca di individuare aspetti comuni a tutti i filosofi, Tarello sottolinea la diversa funzionalità di quelle idee a seconda del contesto culturale, politico in cui si sviluppano. 3. Due modi di pensare le stesse idee: il caso della Lombardia austriaca A Milano, un gruppo di intellettuali, seguaci delle idee dei philosophes francesi fonda in via Montenapoleone un salotto di conversazione, denominato Accademia dei Pugni. Tra i suoi assidui frequentatori vi era Beccaria, autore dell’opera Dei delitti e delle pene del 1764, diventata ben presto il manifesto dell’illuminismo europeo. L’opera attira l’attenzione dei grandi sovrani austriaci, che condividono l’idea di sottoporre ad un’unica legislazione l’intero corpo sociale, ponendo fine al particolarismo giuridico ed al sistema del privilegio. Le idee illuministe sono accolte dalla Corte di Vienna, però la loro valenza individualistica viene depotenziata, a favore di quella statualistica. Quando le riforme sono varate nell’Impero, esse appaiono come uno schema pianificato da un sovrano, che decide limiti e contenuti delle libertà dei cittadini. Gli intellettuali milanesi chiedevano un codice fisso di leggi da applicarsi alla lettera, offrendo così tutela ai cittadini; chiedevano un legislatore, che per la felicità dei sudditi codificasse la libertà. Il sovrano è autorizzato all’esercizio della piena autorità, ma solo subordinatamente a premesse utilitaristiche e liberali. Nel codice promulgato in Austria verrà sancito il primato della legge, il principio della certezza del diritto, era però la volontà del sovrano a fissare i diritti dei sudditi. Storia del diritto moderno e contemporaneo 2 Nel pensiero illuminista, la legge è strumento di rigenerazione sociale a una condizione: il legislatore deve conoscere i bisogni e la natura dell’uomo. L’antropologia presupposta dal legislatore è punto di incontro degli itinerari della cultura illuministica. Qual è la natura dell’uomo? • Sensisti e materialisti → l’uomo non nasce libero, è spinto nelle sue azioni dalle sensazioni. I diritti naturali sono il prodotto, non il presupposto, della legislazione. Il legislatore deve far funzionare come socialmente utili le pulsioni egoistiche dei singoli, così gli uomini coopereranno per il bene comune. • Illuminismo lombardo → l’uomo non nasce libero, ma può diventarlo grazie alla virtù innata della perfettibilità; il legislatore deve educarlo, elevarlo alla libertà e garantirgliene l’esercizio. In una comunità di uomini liberi, ciò, che è socialmente utile, sarà anche giusto, dove le leggi non subordinino all’utile la libertà individuale. • Corrente wolffiana → sussistenza di un sistema di libertà ed obblighi innati che corrispondono a leggi naturali. Si parla di razionalismo giuridico wolffiano. Wolff elabora una catena di deduzioni sillogistiche, attraverso cui dimostrare scientificamente che tutti i diritti dell’uomo derivano dalla natura. Non c’è contraddizione tra la Rivelazione cristiana e le leggi naturali; concepisce il diritto positivo come un complesso di norme di diritto civile conseguenti alla razionalità naturale. Il sovrano deve guidare i suoi sudditi verso la felicità, che spetta loro per natura. Il pensiero di Wolff sarà accolto presso le corti austriache e prussiane, grazie al contributo di funzionari illuminati come Von Sonnenfels e Martini. • Fisiocratici → filone economico-giuridico dell’illuminismo francese. Le leggi sulla produzione e circolazione della ricchezza di uno Stato obbediscono all’ordine della natura. Viene elaborata una concezione soggettivistica del diritto naturale, incentrato sul diritto di proprietà. L’uomo nello stato di natura possiede beni per il proprio vantaggio; nella società civile, il possesso naturale dell’uomo diviene libero esercizio di un diritto di proprietà legalmente tutelato. • Filone anglo-scozzese → Hobbes concepisce l’uomo come creatura malvagia, spinto dalle passioni, che devono essere bilanciate ai fini sociali. Il legislatore può conciliarle con l’interesse pubblico, senza pretendere di rendere l’uomo virtuoso. Smith accoglie l’idea dell’egoismo dell’uomo, ma sottolinea come in lui sia presente una tendenza simpatetica, che lo induce a partecipare alle passioni altrui. Nella società progettata dall’autore, capace di autoequilibrio e autodisciplina, sono favorite le passioni approvabili socialmente e scoraggiate quelle riprovevoli. • Morelly riconduce l’uomo alla sua originaria felicità, eliminando la proprietà e istituendo un’organizzazione della società civile e del lavoro fondata sull’uguaglianza. • Voltaire. È opportuno distinguere tra il Voltaire degli scritti epistolari, ove traspare il suo pessimismo negatore della libertà, e quello delle opere di propaganda, i pamphlet. Voltaire qui afferma che tutti gli uomini nascano liberi, con la capacità di discernere tra ciò che è bene e ciò che è male. Condanna il diritto positivo, che non è la riformulazione in leggi del diritto naturale, ma un caos di leggi contradditorie, fatte da legislatori dominati dall’interesse politico. Prospetta la necessità di un legislatore illuminato che promulghi un diritto chiaro e semplice. Mentre Wolff parla di un sistema di diritti naturali che richiede un complesso sistema di norme positive; Voltaire richiede un diritto scarno e semplificato. Anche qui è presente l’idea dello stretto rapporto tra conoscenza della natura umana e legislazione benefica. • Rousseau elabora una dottrina politica con valenze democratiche e totalitarie, coerente con l’idea dell’onnipotenza costruttiva del legislatore e con il rapporto natura dell’uomo-attività legislativa. L’uomo nello stato di natura è un bruto isolato e libero, guidato dalle passioni, insediato nella sua libertà da forze irrazionali. Stanco di vivere in un costante stato di guerra, attraverso il contratto sociale dà origine alla società civile. Il legislatore deve conoscere la natura originaria dell’uomo per cambiarla; toglie all’uomo le forze originarie, attribuendogliene di nuove, da poter usare solo nel rapporto con l’altro. L’uomo si trasforma da selvaggio a cittadino. • Condorcet è l’ultimo dei grandi illuministi, per alcuni la sua opera si presenta come la sintesi dei filoni del razionalismo illuministico. Accoglie l’idea del contratto sociale, attraverso cui gli uomini auspicano ad una maggior tutela dei diritti naturali. Le leggi positive devono rispettare il preesistente modello naturale. Significativo è il ruolo dell’educazione. Non enfatizza la figura del legislatore, tutti possono discutere sul contenuto della legge. L’opera di Condorcet non è, dunque, il testamento dell’illuminismo in generale, ma il messaggio finale dell’età dei lumi. Storia del diritto moderno e contemporaneo 5 3. Sintesi L’ambizione della maggior parte dei filosofi illuministi era quella di illuminare il potere politico sulle riforme per il perseguimento del bene comune. Molti accolsero la dottrina del contratto sociale, tutti l’idea del diritto quale strumento fondamentale per realizzare il bene della società. Si assiste ad una gigantizzazione della figura del legislatore e alla proclamazione della religione della legge. Elementi comuni a tutti gli illuministi: • Necessità di una riforma giuridica, economia, istituzionale; • Obiettivo da perseguire: il bene comune; • La legge è lo strumento per la realizzazione del bene comune ↓ Si deve fondare su presupposti antropologici (conoscenza della natura umana). Per alcuni essa deve adeguarsi alla natura umana (Wolff, Condorcet, Voltaire dei pamphlet); per altri deve cambiare la natura umana, costringendo l’uomo ad essere libero come parte di un unico agente libero – il corpo sociale – (Rousseau), oppure inducendolo a cooperare all’utilità collettiva, facendogli credere di perseguire liberamente il proprio interesse (Helvetius, D’Holbach). • Circa i contenuti della legge; alcuni filosofi cercano di elaborare la legge sulla base della propria concezione sulla libertà individuale e sulla giustizia, tuttavia i sovrani despoti illuminati, considerandosi quali unici interpreti del bene comune, elaboreranno la legge sulla base di tale formula. • C’è un aspetto che è proprio di tutti i filosofi → il primato e la potenza della legge, che porterà al concetto di codificazione ed al suo avvio. Sezione III – Illuminismo italiano Capitolo II Lumi Solari (p. 190-222) 1. Cesare Beccaria tra giudici e leggi nella Milano del Settecento La giustizia penale a Milano e nella Lombardia austriaca è amministrata secondo un modello comune all’Europa continentale d’Ancien Regime. Il diritto comune, grazie al consolidarsi di un uso forense europeo del corpus iuris, conserva il carattere di ordine giuridico sovrastatuale, ma contemporaneamente assume sfumature nazionali e regionali a seconda di come le varie corti coordinino dottrina e norme romanistiche con la legislazione del sovrano e gli iura propria (es. statuti). Il diritto penale a Milano è dato da un diritto comune europeo e dal coordinamento delle norme di derivazione romanistica e quelle di fonte lombarda. Il corpo dei giudici nel tribunale dello Stato lombardo era rappresentato dal Senato di Milano, composto da giudici, magistrati e giuristi, che i sovrani avevano legittimato a giudicare in loro nome e con i loro stessi poteri. Essi si servono del Corpus Iuris, delle Nuove Costituzioni del Ducato di Milano di Carlo V e degli Statuti criminali delle varie città lombarde. Laddove tali fonti non siano sufficienti, essi giudicano secondo coscienza, ricorrendo al principio dell’arbitrio equitativo. Viene sancito il primato della giurisprudenza rispetto alla legge, le sentenze hanno forza di legge. I giudici sono mediatori del diritto, godono del timore riverenziale e del consenso del popolo. Il sistema penale era caratterizzato, dunque, da una giustizia amministrata secondo coscienza; la pena doveva riaffermare la forza dello Stato e colpire il criminale come castigo esemplare, la sanzione capitale era il deterrente più efficace; il processo penale era di tipo inquisitorio, faceva largo uso della tortura per raggiungere la confessione; non era prevista la presunzione di innocenza. È contro tale sistema che Beccaria si scaglia. Beccaria nasce a Milano nel 1738, studia giurisprudenza e diventa assiduo frequentatore dell’Accademia dei Pugni. Spronato dai fratelli Verri nel 1763 intraprende una ricerca sulla giustizia penale in Lombardia e nel 1764 elabora la sua opera “Dei delitti e delle pene”, ben presto manifesto dell’intero Illuminismo europeo. Il suo trattato ribaltava la concezione dell’intero ordine giuridico; non senza contraddizioni, si presenta come un’opera sempre fresca, ancora oggi espressione della giustizia penale di ogni moderno Stato di diritto. 2. La critica del diritto penale vigente L’attacco di Beccaria al diritto penale vigente sprigiona non poche polemiche. Secondo l’autore il diritto penale era caratterizzato da un diritto romano millenario, su cui andavano ad innestarsi leggi ed usi locali a Storia del diritto moderno e contemporaneo 6 forte componente germanica (“riti longobardi”); a partire da questa massa normativa erano state elaborate molteplici interpretazioni dottrinali. La figura del legislatore si dissolve, il testo legislativo è sostituito dalle arbitrarie opinioni degli interpreti; la sorte dei cittadini è affidata all’interazione tra dottrina e giurisprudenza. Beccaria sottolinea la necessità di fare appello ai sovrani, affinché elaborino un intervento risanatore. L’autore vuole sostenere “gli interessi dell’umanità”, tracciare i confini del giusto e dell’ingiusto, dell’utile e del danno per la società. La formula utilità sociale = giustizia è presente nella sua opera, ma Beccaria tende a sostituire l’utilità con il parametro della difesa dei diritti dell’uomo. Ecco che il binomio di ispirazione utilitaristica si trasforma in uno di stampo umanitario, non senza contraddizioni. 3. L’ipotesi contrattualistica Sulle orme di Rousseau, Beccaria indica l’abbandono dello stato di natura come il momento di origine della società retta da leggi, intese come le condizioni attraverso cui gli uomini, stanchi di vivere in un costante stato di guerra, si uniscono in società, sacrificando una parte della loro libertà, per godere della restante in sicurezza. ↓ Conseguenze • La somma di tutte le porzioni di libertà singolarmente cedute forma il deposito della salute pubblica, il bene comune; origina la sovranità, poiché l’amministratore di tale deposito è il sovrano. • La salute pubblica può essere messa in pericolo dall’aggressione di privati; spetta al sovrano difenderla. Tale dovere di difesa sociale è corredato da un diritto, quello di punire i delitti. Come? Attraverso le pene, stabilite dal sovrano per scoraggiare i possibili infrattori della legge; lo Stato per prevenire la criminalità deve minacciare un male di cui gli uomini abbiano materialmente timore (no ammonizioni moraleggianti) → è questa la concezione formalizzata del diritto penale. Beccaria prospetta un limite al diritto di punire. Gli uomini, nello stipulare il contratto sociale, hanno rinunciato solo al minimo indispensabile della loro libertà. Poiché la misura del diritto di punire è data dalla somma delle minime porzioni di libertà cedute, anche la misura del diritto di punire sarà minima. Dottrina dei limiti del diritto di punire → il diritto penale si trasforma in una legislazione minima necessaria, che consideri reati i soli atti realmente nocivi alla società. La singola pena, per realizzare l’effetto desiderato, deve minacciare un male superiore al beneficio che deriva dal delitto quel tanto che basta da far apparire al potenziale criminale svantaggioso compiere il fatto criminoso. 4. Il problema della funzione della pena Nell’ottica di Beccaria la funzione della pena non è quella retributiva; non si vuole compensare il male con il male; il fine non è tormentare o affliggere l’essere umano. Anche se è impossibile scindere dalla pena una certa dose di sofferenza, questa non deve esserne lo scopo ultimo. La pena non è un castigo fine a sé, non è una compensazione volta a ripristinare l’ordine giuridico violato, secondo un’esigenza etica di giustizia. Il fine della pena è quello di impedire al reo di fare nuovi danni alla società e dissuadere i consociati dal fare gli stessi danni commessi dal reo. La pena non guarda al passato, ma al futuro. Beccaria accoglie la teoria che affida alla pena una funzione di prevenzione generale (intimidire i consociati) e di prevenzione speciale (neutralizzare il delinquente). La prevenzione penale può attuarsi a due livelli: a. Minaccia legislativa della pena – teoria della coazione psicologica; b. Inflizione giudiziale della pena stessa. Non c’è posto per la teoria dell’emenda, dottrina che assegna alla pena un compito etico di risocializzazione del colpevole. Perché? L’autore si fa sostenitore di una concezione laica del diritto penale, ripugna l’idea di assegnare allo Stato il compito di effettuare una valutazione morale sulla coscienza del colpevole; sostiene, inoltre, che il rapporto pena-emenda sia pericoloso dal punto di vista della certezza del diritto → la pena dovrebbe prolungarsi fino a quando non si sia verificata la rieducazione dell’individuo, il che impedisce al giudice di fissarne previamente l’estensione. Viene dato spazio, invece, all’idea che la prevenzione possa attuarsi anche indirettamente, con mezzi diversi dalla pena a livello prepenalistico (attuale teoria della prevenzione indiretta). Quali sono i mezzi Storia del diritto moderno e contemporaneo 7 Per comprendere come egli ragioni, occorre considerare che tipo di giustizia penale fosse presente nella Milano del tempo. Beccaria parla di terrorismo punitivo, inutili supplici, ampio utilizzo della pena di morte, solitamente praticata su pubblica piazza, corredata da una lugubre cornice scenografica atta ad esaltarne la spettacolarità e acuire le sofferenze del reo, destinato all’impiccagione. Quando dodici anni dopo la pubblicazione dell’opera, Maria Teresa sollecita il parere del Senato di Milano sull’opportunità di abolire la tortura e ridurre la pena di morte, i giudici, sbalorditi, rispondono che è proprio la pena capitale l’unico deterrente efficacie contro la criminalità. È a questi giudici che Beccaria deve rivolgersi; dopo aver compreso che l’appello morale al valore dell’umanità non sia sufficiente, è opportuno dimostrare attraverso il ragionamento utilitaristico che pene così atroci sono non solo ingiuste, ma anche politicamente controproducenti. 6. Il problema della pena di morte Anche le pagine dell’opera di Beccaria, nelle quali l’autore proclama l’illegittimità della pena di morte, sono concepite secondo l’intreccio utilitarismo-umanitarismo. La pena di morte è utile e giusta? Beccaria vuole dimostrare come la pena di morte leda l’inviolabilità della vita umana, tuttavia, nel fare ciò, l’autore porrà solo alla fine della sua argomentazione il tema che a lui sta più a cuore, ossia quello della sacralità della vita umana. Al contrario, pone maggiormente l’accento su due argomentazioni che a detta degli studiosi risultano essere poco convincenti, per dimostrare: 1. che l’afflizione della pena di morte non è un diritto di cui lo Stato possa avvalersi per contratto; 2. che la pena di morte non è necessaria perché meno utile della detenzione perpetua. 1. Argomento contrattualistico la pena di morte non ha fondamento giuridico. Essa non trae origine dal contratto sociale, in quanto gli uomini, stipulandolo, hanno sì delegato il diritto di punire, ma hanno comunque sacrificato una minima porzione di libertà. Beccaria si chiede come da quel minimo sacrificio di libertà di ciascuno possa scaturire il massimo sacrificio di tutti i beni, ossia la vita. È questa un’argomentazione ingegnosa, fondata, però, sulla sola ipotesi logica e non storica del contratto sociale. 2. Argomento utilitaristico la pena di morte non è né utile né necessaria. Beccaria presenta due ipotesi extra in cui la pena di morte può credersi non solo utile, ma addirittura necessaria: • In una situazione di anarchia, in cui non vi è la società civile né un ordinamento giuridico funzionante, in piena guerra civile, il contratto sociale è stato sciolto; l’uccisione del nemico pericoloso obbedisce alla legge della guerra. Questo primo caso non può dirsi eccezione alla regola, in quanto la regola è quella della non necessità della pena di morte in una società civile. Al contrario, esso è l’enunciazione della medesima regola, ma in modo capovolto. • In una società civile, la condanna a morte può credersi l’unico freno per contenere la criminalità. È opportuno soffermarsi sull’espressione può credersi Beccaria spiega che si potrebbe credere alla necessità della pena di morte come deterrente estremo. Continua la sua argomentazione, notando però che, se tale ipotesi venisse verificata con riguardo alla storia, ci si renderebbe conto del fatto che spesso ciò che sembra necessario in realtà non lo è; la storia dimostra, infatti, che la pena di morte non ha mai distolto gli uomini dal delinquere. In base alla natura umana, invece, ci si renderebbe conto del fatto che non è l’intensità della pena che produce un effetto deterrente, ma la sua estensione. Lo spettacolo della morte di un delinquente è sicuramente terribile, ma effimero; un uomo condannato alla schiavitù perpetua è il freno più forte contro i delitti. Secondo l’autore, dunque, in un ordinamento giuridico funzionante, la pena di morte non è mai né utile né necessaria. 3. Argomento morale la pena di morte viola la sacralità della vita umana. La vita di ogni uomo è sacra, nessuno può disporre della vita altrui; la distruzione della vita è totalmente ingiusta. Storia del diritto moderno e contemporaneo 10 L’umanizzazione del diritto penale è il risultato che Beccaria vuole ottenere; tuttavia, egli punta soprattutto sulle poco convincenti argomentazioni dell’infondatezza giuridica e dell’inutilità della pena di morte, mettendone meno in evidenza l’illegittimità morale. Beccaria doveva fare i conti con gli uomini del suo tempo, per questo si serve soprattutto del teorema contrattualistico e dell’argomentazione della scarsa utilità della sanzione capitale. 7. Beccaria e il processo penale Nel suo libro, Beccaria mette bene in evidenza la massima sulla quale dovrebbe basarsi l’intero processo penale: nessuno può essere considerato colpevole prima della sentenza del giudice. Egli nota come tale massima venga costantemente applicata nella realtà giudiziaria, ma in modo del tutto capovolto. Osserviamo il processo penale funzionante in Europa al tempo di Beccaria; si trattava di un processo caratterizzato da un meccanismo antigarantistico, fondato su un rito scritto, segreto ed inquisitorio, segnato da tre aspetti principali: assenza della presunzione di innocenza, preminenza dell’inquirente sull’inquisito, coincidenza del magistrato che promuove l’accusa e di quello che giudica. • Nella fase istruttoria, i capi d’accusa non venivano comunicati all’imputato, non era previsto alcun tipo di contradditorio, si presumeva che l’imputato fosse colpevole. • La fase della ripetizione dei testi in presenza dell’inquisito comportava la semplice rilettura delle deposizioni già verbalizzate. • L’intervento del difensore era ammesso solo alla fine del processo e a questi erano concessi tempi brevissimi per presentare le proprie eccezioni. L’intero processo funzionava, dunque, secondo il sistema delle prove legali; se durante il giudizio, in concreto, si fosse verificata la presenza di dati probatori normalmente previsti dalla legge, allora il convincimento del giudice si determinava automaticamente e senza alternative. Alla fine del processo, l’imputato doveva risultare convinto ( schiacciato dalle evidenze probatorie previste dalla legge) o confesso ( in un sistema siffatto, la confessione era considerata la regina delle prove). [Tra le altre piene prove ricordiamo anche il fatto notorio, la prova legale irrefragabile e due testimonianze coincidenti provenienti da fonti attendibili]. Tale sistema, in teoria, doveva funzionare anche a tutela dell’inquisito, poiché vincolava rigidamente il giudice alla legge: o vi è la prova qualificata dalla legge come piena oppure si viene assolti. Nella pratica delle corti, le cose andavano diversamente. In mancanza di prove piene, ossia di presupposti ottimali per la condanna, l’inquirente cercava di acquisire un certo numero di prove c.d. semipiene, le quali, accumulate, potevano formare una prova piena. Spettava al giudice decidere d’arbitrio. • Se gli indizi a carico dell’inquisito erano deboli, il magistrato poteva infliggere una pena straordinaria, una sanzione minore rispetto a quella ordinaria, edittale; • Se il delitto, invece, era grave e gli indizi calzavano univocamente, ma a causa del rigore formale del sistema mancava la prova piena, il giudice poteva far ricorso alla pratica della tortura. Era la tortura uno strumento ottimale per il giudice al fine di verificare le proprie convinzioni, che tuttavia, sottolinea Beccaria, riduceva l’imputato da persona a mera cosa parlante, da cui estrapolare pezzo per pezzo la confessione. Beccaria denuncia l’ingiustizia di un rito incentrato sulla confessione e sottolinea l’importanza del principio della presunzione di innocenza. Occorre – scrive – abbandonare il sistema delle prove legali, poiché, se da un lato esso vincola il giudice ad in infliggere la pena ordinaria solo in presenza di una prova piena, dall’altro, se gli indizi risultino insufficienti, legittima il giudice a procurarsi la prova con la tortura. A questa logica processuale deforme deve essere sostituito il criterio del libero convincimento del giudice; è il giudice soggetto terzo, affiancato da uomini scelti mediante sorteggio, che deve valutare liberamente le prove, fino ad ottenere certezza morale che lo sostenga nella decisione. L’abbandono del sistema delle prove legali produrrà il ridimensionamento dello sproporzionato valore dimostrativo attribuito alla confessione e la soppressione della tortura. 8. Conclusioni Beccaria elabora la sua opera dopo aver intrapreso un’indagine sul diritto penale del tempo chiedendosi se esso fosse giusto. Con rammarico ne constata l’ingiustizia, in questo esso non si fonda sul valore dell’umanità. Storia del diritto moderno e contemporaneo 11 L’intento dell’opera è quello di difendere i valori dell’umanità e di stabilire i confini del giusto e dell’ingiusto, necessari nel processo di codificazione di un nuovo diritto penale. Anche se i confini del giusto e dell’ingiusto, in un primo momento, sembrano coincidere con quelli dell’utile e del dannoso per la società, occorre sottolineare che, a dispetto dei temi utilitaristici, in Beccaria prevale l’esigenza umanitaria; nel testo, alla fine, utilità e giustizia non sono più accoppiati, ma dissociati “ogni volta che le leggi permettono che l’uomo cessi di essere persona e diventi cosa, non c’è più libertà”, “se le pene producono un bene, non sempre sono giuste; lo sono solo se necessarie. Un’utile ingiustizia non può essere tollerata”. 9. L’influenza di Beccaria sugli epigoni italiani del diritto comune L’opera di Beccaria è fondamentale perché: • contempla i principi fondamentali da porre alla base del processo di codificazione del nuovo diritto penale; • esercita grande influenza su alcuni legislatori di fine ‘700 (Giuseppe II e Leopoldo II); • in Italia fu il principale mezzo attraverso cui molte dottrine umanitarie penali riuscirono a valicare le barriere imposte fino ad allora dal diritto comune. Il primo criminalista che in Italia tecnicizzò le teorie di Beccaria sul giusto processo e sulla giusta pena, sempre entro gli schemi del diritto comune, fu Paolo Risi, sulla scia del quale si mossero altri criminalisti italiani e non. Essi vengono definiti traghettatori, poiché operano nel momento del passaggio dal d. comune all’età dei codici, tra tradizione e illuminismo. La loro viene definita opera di mediazione giuridica. Parte III Sezione III – Area austriaca Capitolo I La codificazione del diritto civile (p. 253-291) 1. La politica riformistica di Maria Teresa d’Austria Maria Teresa regna tra l’ascesa e il tramonto dell’illuminismo europeo. Quando sale al trono, esercita il doppio titolo di regina della casa d’Austria e di cattolica imperatrice del Sacro Romano Impero. Si trova a regnare su un universo politico vastissimo e multietnico, comprendente i territori ereditari di lingua tedesca (es. Slesia, Moravia, Boemia, Austria, Tirolo, Gorizia, Trieste), Ungheria, Paesi Bassi e Lombardia. Maria Teresa ha una concezione della sovranità del tutto tutelare e patriarcale; ben presto comprende l’incompatibilità tra le prerogative detenute in campo finanziario, amministrativo e giurisdizionale anche in Austria dagli Stande e l’esigenza di un primato delle attribuzioni regie. I primi passi della sovrana nell’ambito dei provvedimenti da compiere risultano cauti; di anno in anno la sua azione diviene più risoluta, fino alla predisposizione di un vero programma riformatore fondato sulla riconduzione allo Stato dell’intera attività di creazione e applicazione del diritto. Senza abbandonare le strade solcate dai suoi predecessori, Maria Teresa decide di circondarsi di collaboratori illuminati tra cui Von Sonnenfels, Kaunitz e Martini, che la influenzano su ciò che riguarda il governo dello Stato; tuttavia, ella agisce come moderatrice di tali uomini, rendendo il proprio governo un compromesso tra le dottrine dei lumi e il suo personale pensiero sulla felicità dei sudditi. Il suo obiettivo è quello di rinnovare la società, attribuendo un ruolo fondamentale al diritto, senza sottovalutare le tradizioni radicate nelle varie aree dell’impero. Dal 1740 al 1750 il processo di modernizzazione dello Stato procede per tappe ben precise, finalizzate a superare l’organizzazione cetuale-feudale della società, ridurre l’autonomia degli Stande e accentrare nelle mani della Corona funzioni giurisdizionali, amministrative, economiche e finanziarie. Nel 1748 viene adottato un rigoroso sistema di imposizioni fiscali che prevede ad es. la riscossione dei tributi da parte dei funzionari governativi, la valutazione periodica del reddito catastale delle terre e la fissazione di oneri per i contadini. Nel 1750, coerentemente con le dottrine del mercantilismo, che implicano la diminuzione delle importazioni ed un aumento della produzione interna, negli Stati ereditari di lingua tedesca viene unificata la moneta (nasce il tallero teresiano) e vengono soppresse le dogane interne. Al fine di giungere alla centralizzazione dell’ordinamento giudiziario, viene istituito il supremo tribunale giudiziario, con competenze di ultimo appello, dotato di prerogative proprie di un moderno ministero di giustizia. Storia del diritto moderno e contemporaneo 12 futuro codice civile. Sono cinque, tutti più o meno diretti a colpire i gruppi di potere che si frapponevano tra il sovrano ed i sudditi: nobiltà, clero, corporazioni mercantili. • Con l’editto di tolleranza del 1781, Giuseppe II consente la libera professione di fede ad una serie di confessioni diverse dalla cattolica, riconfermata però culto dominante. Nel 1782 emana un importante atto finalizzato a migliorare la condizione giuridica degli ebrei. Ciò che ispira la politica tollerante del sovrano è un atteggiamento di ostilità nei confronti della Chiesa di Roma, che prende il nome di giuseppinismo: egli propugna un anticurialismo che implica: la gestione degli affari ecclesiastici da parte dello Stato; la riduzione dell’autorità della Chiesa al solo ambito spirituale; la limitazione delle prerogative del pontefice, potenziando quelle del collegio episcopale. Tra 1781-1783 ordina la confisca dei beni dei conventi, considerati inutili, quindi chiusi; le rendite ecclesiastiche sono sottoposte al controllo dello Stato come la formazione dei ministri di culto attraverso l’istituzione dei seminari generali. Indipendentemente da questa forte ingerenza dello Stato nelle questioni della Chiesa, è bene notare come con l’editto di tolleranza, che accorda agli acattolici la parità dei diritti civili e l’accesso ai pubblici uffici, vengano meno le tradizionali differenze giuridiche legate allo status religionis. È questo un passo decisivo verso l’unificazione del soggetto di diritto. • Con l’editto matrimoniale nel 1783, viene sottratto al diritto canonico ed alla giurisdizione ecclesiastica il matrimonio, concepito ora come un contratto di diritto civile. Si assiste alla laicizzazione dei sacerdoti, trasformati in pubblici ufficiali. • L’editto successorio 1786 rivoluziona il campo del diritto ereditario, tradizionalmente caratterizzato da tre diversi regimi di successione immobiliare: quello dello Stand dei nobili; quello dello stand borghese-cittadino; quello del ceto contadino. Il regime giuridico dello stand borghese-cittadino viene elevato a regime generale, volto a favorire la libertà del de cuius di testare, a promuovere il frazionamento e la circolazione dei beni immobiliari, a facilitare la divisione ereditaria. Gli altri due regimi sono ridotti ad un complesso di norme eccezionali. • L’editto sulla libertà di commercio del 1786 mira a sopprimere il monopolio commerciale detenuto dalle corporazioni mercantili al fine di favorire la libera concorrenza e la libera circolazione dei beni. • Con l’editto sulle terre feudali del 1789, Giuseppe II intende modificare la destinazione giuridica dei fondi coltivati dai contadini e munire questi ultimi di un nuovo titolo; essi non sono più persone assoggettate al dominio di un feudatario, ma divengono affittuari ereditari del fondo, con la possibilità di trasformare in proprietà il fondo stesso. c. Il codice civile giuseppino del 1786 L’interventismo di Giuseppe II si ripercuote sulla commissione legislativa nominata da Maria Teresa nel 1772; il lavoro dei giuristi che ne fanno parte subisce una forte accelerazione sia a causa delle pressioni del sovrano sia perché i contenuti del futuro codice coincidono in gran parte con la legislazione edittale dell’imperatore. Nel 1786, infatti, la commissione ha steso in modo definitivo il prime dei tre libri del codice civile (i due seguenti rimarranno incompiuti perché la commissione verrà sciolta l’anno seguente per cause politiche). Il testo è dedicato ai principi generali del diritto, al diritto delle persone e di famiglia. Giuseppe II ha fretta di pubblicarlo, il primo libro, indipendentemente dagli altri due, entra in vigore con il nome di Codice Giuseppino. Il presupposto del codice è quello di riprodurre perfettamente il sistema di diritti e doveri innati nella natura dell’uomo in norme positive, per opera di un sovrano legislatore, tenuto per contratto sociale a guidare i sudditi verso la felicità etica del servizio. Storia del diritto moderno e contemporaneo 15 Giuseppe II, privo del consenso dei suoi sudditi, muore nel 1790, lasciando dietro di sé un ingente numero di riforme rivoluzionarie, ma incomprese. Dieci anni per cambiare così radicalmente la società, scrivono i critici, erano troppo pochi. 4. Dal Progetto Martini al Codice Civile Galiziano (1794-1797) a. Il dopo Giuseppe II e il Progetto Martini (1794) Dopo il 1790, nella storia della codificazione civile austriaca, due uomini si muovono in primo piano: Leopoldo II, fratello di Giuseppe II, e Carlo Antonio Martini. Leopoldo II, di mente più duttile del fratello, ha incarnato al meglio negli anni precedenti lo spirito dell’assolutismo illuminato, ricevendo grandi consensi. Granduca di Toscana, promulga la più celebre legislazione ispirata all’illuminismo penale di stampo beccariano; la Leopoldina del 1786, che porta alla depenalizzazione del reato di lesa maestà ed all’abolizione della pena di morte. Il giurista Martini, invece, viene nominato da Maria Teresa quale precettore del figlio Leopoldo, avendo così tra le mani la chiave dell’assolutismo illuminato del futuro imperatore. Con Giuseppe II, diviene consigliere imperiale, incaricato di riorganizzare l’apparato giudiziario in Ungheria e Lombardia. Leopoldo II, poi, lo chiamerà nuovamente presso la sua corte, nominandolo presidente di una commissione atta a redigere un nuovo progetto di codice civile. Martini rielabora i materiali normativi del codice giuseppino e degli incompiuti secondo e terzo libro. Nel 1794 presenta al nuovo imperatore Francesco I il suo codice; è il famoso Progetto Martini, con struttura tripartita. Tre libri dedicati rispettivamente a principi generali-diritto delle persone-famiglia; proprietà-diritti reali-successioni; contratti-aree normative che non trovano spazio nelle prime due parti (es. rapporti patrimoniali tra coniugi). b. Il codice civile galiziano (WGGB 1797) Nel 1796 un provvedimento imperiale dispone che delle commissioni regionali presentino le proprie osservazioni circa il Progetto Martini ad una superiore commissione di revisione, la quale, poi, stabilirà contenuti e forma con cui il codice dovrà essere promulgato. Prima che tale iter si completi, le osservazioni di alcune commissioni regionali portano alla stesura di un ulteriore progetto. Il nuovo testo contiene scarse variazioni rispetto al Progetto Martini e viene promulgato in via sperimentale in Galizia nel 1797. Entra così in vigore il c.d. codice civile galiziano – WGGB. Fino a pochi anni fa la storiografia italiana non aveva bene in mente il fatto che Progetto Martini e WGGB fossero due testi normativi distinti; il secondo presentava alcune modifiche rispetto al primo, un perfezionamento del Progetto, era nel codice che il sapere giuridico del Martini si vitalizzava in norme positive di altissimo livello tecnico. Il WGGB incarna bene l’idea che oggi abbiamo di codice civile, in quanto mira a rimpiazzare il pluralistico sistema giuridico previgente, di cui dispone l’abrogazione, salvando solo le consuetudini conformi al codice. Le materie da esso disciplinate sono intese come contenuti specifici del diritto privato; il codice è programmato per accogliere solo norme di diritto privato, inteso questo, dunque, come il solo diritto che si trova nel codice (diritti e doveri reciproci dei sudditi. Sono esclusi diritti politici del sovrano, norme penali e processuali, norme che istituiscono privilegi di ceto). L’esclusione dal diritto privato, in quanto considerate di diritto pubblico, delle norme che istituivano privilegi di ceto sottolinea una tendenza rinforzata da una tecnica legislativa distinguere come sottoposti a disciplina diversa non alcuni soggetti (es. contadini), ma beni o atti ad essi collegati (fondo rustico e suo uso). È un grande passo verso l’unificazione del soggetto giuridico; nonostante nel codice vi siano aree di diritto eccezionale, il legislatore visualizza un unico destinatario delle norme, il suddito austriaco. È su questa figura del suddito-soggetto giuridico che Martini basa i principi generali, necessari per reggere l’intero codice e capaci, come una sorta di teoria generale, di giustificare la funzione del codice quale strumento nella vita associata. Quali sono tali principi? Storia del diritto moderno e contemporaneo 16 • Il soggetto, prima che suddito, è uomo e come tale gode di innati diritti naturali. • È nella natura dell’uomo associarsi con i suoi simili nello Stato, che ha lo scopo di perseguire il bene comune. • Lo Sato persegue il bene comune garantendo i diritti naturali di libertà e di proprietà dei consociati, i quali si vedono riattribuire tali diritti muniti della sanzione delle leggi positive. • I diritti che lo Stato positivizza e riconsegna all’uomo quando costui diviene suddito sono: la conservazione della vita, la difesa della persona e dei beni, la libertà di godere e di disporre di tali beni, la tutela dell’onore, l’elevazione delle capacità fisiche e spirituali. È questa una sorta di dichiarazione dei diritti della persona che risente anche dell’influsso della teologia cattolica. Quando il codice galiziano viene promulgato, in Francia era da poco stata varata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Martini, però, guarda a tale dichiarazione non come ad un documento proclamante i diritti dell’uomo, ma come ad un documento volto ad innescare una rivoluzione contro questi stessi diritti; secondo lui, infatti, i diritti naturali dell’uomo possono essere determinati e garantiti solo da un legittimo sovrano, interprete della legge naturale, servitore dello Stato. Non è un caso, quindi, che nel WGGB i diritti naturali del suddito siano sciorinati in formule molto generali, in quanto sarà il sovrano a determinarne l’effettiva portata idea per cui il legislatore ha la potestà di direzione e limitazione dell’esercizio dei diritti individuali, laddove è l’interesse al bene comune ad esigerlo. In conclusione, quella del WGGB è una sorta di controdichiarazione alla Dichiarazione francese dell’89. Tuttavia, entrambe le formule ideologiche sono controproducenti in termini di libertà individuale; nell’Assolutismo illuminato, le libertà dei sudditi esistono nella misura in cui il potere intende riconoscerle, la Rivoluzione, invece, abbatte l’Assolutismo in nome di tali libertà, poi negate dal totalitarismo giacobino. In caso di oscurità o lacuna della legge, il codice prevedeva che il giudice, esaurito ogni tentativo di analogia, potesse integrare il testo ricorrendo ai principi giuridici generali questa disposizione apre il codice ad interventi ermeneutici integrativi. Martini stesso è favorevole a tale soluzione giusnaturalistica per due ragioni: 1. un codice che dichiara i diritti innati degli uomini deve prevedere la propria integrazione con i principi di natura su cui quei diritti si fondano 2. l’interpretazione del giudice secondo equità naturale non è pericolosa, perché i magistrati austriaci sono devoti alla corona e dotati di serietà professionale. Per quanto concerne il contenuto, il diritto di famiglia, in particolare, assume un’impronta pedagogica; lo Stato vive nel tempo attraverso le famiglie, fondate sul matrimonio, i cui figli sono una benedizione per lo Stato stesso. Provvedere alla cura e all’educazione dei figli è un diritto-dovere esercitabile dai genitori sotto il rigoroso controllo dello Stato. Questa impostazione permane anche nel codice del 1811. 5. La promulgazione dell’ABGB (1811) a. I lavori preparatori e l’approvazione dell’ultimo progetto (1801-1811) Il secolo dell’Illuminismo, che credeva di aver scoperto la felicità del genere umano e le illimitate possibilità benefiche di un legislatore onnipotente, si conclude, invece, a lumi spenti, poiché la Rivoluzione ha portato con sé molte delle illusioni dell’Illuminismo. Nell’ambito della monarchia austriaca, il nuovo secolo muove i primi passi in un contesto segnato dal confronto con la crescente potenza nemica francese ed animato da contrapposte tendenze conservatrici e liberali. L’eterno problema del rapporto tra la tutela dei poteri dello Stato e quella dei diritti dei sudditi attende nuove risposte; risposte difficili da trovare, se si tiene conto del fatto che fino alla prima metà dell’Ottocento, nell’impero austriaco, l’idea di una costituzione che garantisca gli inviolabili diritti individuali non ha spazio. Nell’800 il codice galiziano pare anch’esso superato; così nel 1801, una commissione imperiale riunita da Francesco I revisiona i contenuti del WGGB mettendo a punto nel 1811 un codice capace di superare i tempi. Il percorso del testo fu difficile, poiché respinto per ben due volte dalla conservatrice burocrazia austriaca; Storia del diritto moderno e contemporaneo 17 Le norme dell’ABGB fanno sembrare superate quelle del Codex Theresianus da cui ea partito il processo di codificazione. Gli obiettivi che Zeiller ed i suoi si pongono e raggiungono sono due: una formulazione chiara delle norme, la brevità complessiva del testo. La brevità viene ottenuta evitando di sminuzzare i singoli precetti in una casistica dettagliata, mentre la chiarezza, evitando di complicare il fraseggio normativo con motivazioni paternalistiche. Puntando alla sobrietà espressiva, il legislatore austriaco ottiene non solo un codice breve, ma anche delle norme che vantano i requisiti di generalità ed astrattezza. Il codice, però, non presenta la struttura dell’imperativo giuridico. Lo confrontiamo con quello francese. Il codice napoleonico è caratterizzato da norme imperative, mentre quello austriaco da norme aventi carattere enunciativo e definitorio. Il linguaggio del legislatore austriaco è di carattere didattico – volutamente ripudiato da quello napoleonico – e come tale dà vita ad un modello di codice completamente differente da quello francese: • nel modello francese il legislatore emette comandi imperativismo legislativo • nel modello asburgico, il legislatore emette principi dottrinarismo legislativo. L’aver optato per un codice breve va a discapito della completezza del testo (requisito vantato dal Code Civil); tale incompletezza presuppone l’integrazione ad opera dei giudici dell’impero (scelta rifiutata dal legislatore francese, volto a limitare il più possibile l’autonomia dell’interprete). e. Il paragrafo 7 Il problema dell’interpretazione delle norme viene risolto dall’ABGB nel famoso paragrafo 7; dando, infatti, per scontata la lacunosità del testo, il legislatore concede all’interprete prima il ricorso all’analogia, poi, i caso di dubbio persistente, la facoltà di fare appello ai principi del diritto naturale. L’ABGB si discosta così sia dall’ALR (codice prussiano), che concede al giudice il solo ricorso all’analogia, sia dal Code Civil, che obbliga il giudice a trarre dal codice stesso la norma per interpretare il caso. f. Cenni e taluni contenuti dell’ABGB L’ABGB mette a punto un progetto di modernizzazione della società civile di impronta liberal-borghese in modo del tutto indipendente dal modello napoleonico. Non deve stupire il fatto che in alcuni casi il codice opti per soluzioni meno innovative rispetto al Code Civil, mentre in altri faccia delle scelte decisamente più avanzate. L’ABGB riconosce la piena capacità giuridica degli individui e il possesso dei diritti che derivano dalla natura, nonché l’abolizione di ogni forma di schiavitù. In Francia, invece, la tratta dei neri nelle colonie d’oltremare viene abolita solo cinque anni dopo la Dichiarazione dell’89 e continua ad essere praticata sottobanco, finché Napoleone non la reintroduce con il divieto di matrimonio tra persone libere e non. Lo spirito liberale del legislatore asburgico si manifesta anche sotto altri fronti. • La diversità di religione non influisce sui diritti civili • In tema di libertà matrimoniale, ognuno può contrarre matrimonio, purchè non gli osti alcun impedimento • I genitori devono provvedere in proporzione alle loro sostanze agli alimenti ed all’educazione dei figli anche naturali • La donna coniugata può amministrare il proprio patrimonio e compiere atti di straordinaria amministrazione senza obbligo di richiedere il consenso del marito cade l’istituto dell’autorizzazione maritale, presente nel Code Civil, venuta meno in Italia solo nel 1919. L’intera disciplina del diritto di famiglia, delle persone e delle successioni ha un’impronta liberale rispetto ai tempi; tuttavia, proprio dove il codice compie delle scelte più progressiste rispetto al codice napoleonico, qui si colgono anche altrettante manifestazioni di conservatorismo e punti in cui il codice non ha potuto evitare un compromesso con la tradizione. Storia del diritto moderno e contemporaneo 20 Es. L’ABGB accoglie la concezione del matrimonio civile quale unica forma di vincolo riconosciuta dallo Stato; orientamento, questo, che addossa ai parroci le funzioni di ufficiali di stato civile e, in un’ottica aconfessionale, spinge il legislatore a preoccuparsi anche delle minoranze non cattoliche presenti nell’impero, concedendo lo scioglimento di matrimoni tra non cattolici e tra individui di religione ebraica. Ecco che, tuttavia, entra in gioco il forte attaccamento della Corona al cattolicesimo, che esercita un’influenza in senso opposto, ridimensionando il principio dell’irrilevanza dello status religionis. Il codice proclama l’indissolubilità del matrimonio tra cattolici e recepisce la disciplina canonistica degli impedimenti. Al paragrafo 64 si considera invalido il matrimonio tra cristiani e persone che non professano la religione cristiana, mentre al paragrafo 768 si riconosce ai genitori la possibilità di diseredare il figlio che abbia apostatato dalla religione cristiana. Viene mantenuto il fedecommesso, i figli illegittimi sono esclusi dalla successione. ↓ Contro la secolarizzazione! Anche la proprietà non è emancipata dalla tradizione del diritto comune, che distingue tra dominio diretto e dominio utile. Essa è definita in termini di assolutezza l’ABGB si allinea al Code Civil che la considera come il diritto di godere e di disporre delle cose nella maniera più assoluta. L’ABGB, contrariamente al Code Civil, mantiene lo schema del dominio diviso, conservando quelle forme di regime signorile di dominio sulla terra, che la Rivoluzione ha annientato in Francia. Il codice austriaco distingue gli immobili soggetti a dominio diviso in beni feudali, beni oggetto di locazione ereditaria e beni concessi in enfiteusi. Quanto all’ambito contrattuale, l’ABGB si allinea al modello francese nel delineare il contratto come semplice accordo. Tuttavia, il modello austriaco, meno innovativo, per ciò che attiene al momento in cui si produce l’effetto dei contratti traslativi di diritti reali, nega immediata efficacia traslativa al consenso. Per il trasferimento di beni mobili, il criterio accolto è quello della traditio. Per i beni immobili, invece, il sistema austriaco è quello dell’intavolazione. La tipicità del sistema tavolare sta nel fatto che è organizzato secondo il criterio reale e non personale nei registri non sono visualizzate le persone, ma gli immobili quali diretto oggetto dell’iscrizione. Il sistema di pubblicità immobiliare, in Francia, sarà introdotto solo nel 1855. Il regime tavolare è tutt’ora in uso in Trentino e Venezia Giulia. Capitolo II La codificazione del diritto penale (p. 292-335) 1. La Constitutio Criminalis Theresiana (1769) Nel 1769, Maria Teresa riesce a promulgare una compilazione del diritto penale e processuale penale, messa a punto da una commissione; si tratta della Constitutio Criminalis Theresiana, che però si rivela un insuccesso. In essa sono semplicemente raccolti i diritti penali territoriali previgenti, che però non risultano essere legati tra loro dai tipici requisiti formali dei moderni codici penali. Mancano, infatti, • il principio di legalità, tanto che sono accolte le pene arbitrarie; • il divieto di analogia, che era ammessa; • l’unità del soggetto giuridico. Suddiviso in una parte processuale e in una sostazionale, il codice nasce già vecchio, in quanto si approccia al problema della repressione penale con una mentalità criminalistica d’ancien regime, senza neppure sospettare che esso abbia bisogno di soluzioni nuove. Storia del diritto moderno e contemporaneo 21 Nella parte dei delitti si cerca di limitare la rilevanza dello status del reo e della vittima, ma la condizione sociale dei destinatari delle norme conserva pur sempre un grande ruolo nell’inflizione delle pene. A crimini di concezione antica, come la bestemmia, corrispondono pene anch’esse antiche; la pena di morte è dispensata tantissimo dal codice teresiano, tanto che la si distingue tra pene più benigne, che provocano la morte in pochi secondi (decapitazione), e pene più severe, che rendono la morte lenta (rogo). Per quanto riguarda la parte processuale, indispensabile è la tortura, mezzo necessario per trarre la confessione dall’imputato. Come la pena di morte, anche la tortura è multiforme, tanto che la Theresiana è impreziosita, in appendice, da un catalogo illustrato dei tipi di supplizio. A Vienna prendono sempre più piede le idee illuministiche di Beccaria e così, dopo numerose richieste di abolizione della tortura da parte dei più influenti giuristi del tempo, Maria Teresa ne dispone la soppressione, riducendo anche i casi in cui applicare la pena di morte (1776). 2. Il codice penale di Giuseppe II (1787) L’opera di Giuseppe II nell’ambito del diritto penale si sostanzia in un codice penale (1787) e in un codice di procedura penale (1788). Il primo, il codice penale, possiede tutti i requisiti per poter essere considerato un autentico capolavoro legislativo; da despota illuminato quale è, Giuseppe II ha una vocazione naturale a pensare strategie per risolvere i problemi di politica criminale. Il codice che egli promulga è da ritenersi il primo codice penale veramente moderno. a. L’autonomizzazione giuseppina del diritto penale Se si vuole capire perché la Giuseppina – nome con cui il codice penale è noto – sia moderna e perché sia la più importante espressione dell’illuminismo nell’ambito della legislazione penale, occorre considerarla • in rapporto consequenziale con il codice civile, • in posizione autonoma rispetto ad esso. Fissate nel codice le regole fondamentali della convivenza nella società e identificato il bene dello Stato con quello dei privati, occorreva che lo Stato stesso predisponesse anche un apparato di pene minacciate, che servissero a tutelare l’ordinamento nel suo complesso. Il diritto penale acquisisce a poco a poco un’identità autonoma, nuova, che nella tradizione del diritto comune il vecchio diritto chiamato “criminale” non aveva mai posseduto, rispetto al diritto civile; il diritto penale è ora visto come la sola branca della legge che può fissare le pene. b. La formalizzazione del diritto penale: legalità, completezza, astrattezza della legge punitiva Il diritto penale giuseppino vanta un alto grado di formalizzazione; essendo le fattispecie formulate secondo i criteri di tassatività, tipicità, determinatezza, viene considerato reato solo quel fatto espressamente previsto dalla legge. Questi tre criteri identificano il principio di legalità del diritto penale che, insieme al divieto di analogia, è proclamato nel codice. Oltre ad autonomia e legalità del diritto penale, la Giuseppina contiene un ulteriore requisito, quello della completezza, che • esclude l’eterointegrabilità del testo, • presuppone l’abrogazione dell’intera normativa penale previgente, a cui esso si sostituisce. Ultimo importante requisito, per mezzo del quale tutti i consociati sono considerati uguali di fronte alla legge, è quello dell’unicità del soggetto di diritto penale. Il destinatario delle norme del codice è privo di caratterizzazioni relative al ceto sociale; ad un soggetto indeterminato, qualificato come reo, viene collegato un crimine tipizzato e la minaccia di una pena che astrae anch’essa dallo status del colpevole. La codificazione è guidata da propositi liberal-garantistici? No! Uguaglianza e certezza del diritto sono solo effetti indiretti. L’obiettivo del legislatore è autoritario-statualistico; sublimare il potere dello Stato verso sudditi egualmente obbligati alla legge. Solo in secondo luogo si cerca la sicurezza. c. La subordinazione del giudice alla legge penale Storia del diritto moderno e contemporaneo 22 Ci sono norme sul concorso di persone e sul tentativo, punito alla stregua del reato consumato. C’è un elenco di cause di esclusione dell’imputabilità per mancanza di capacità d’intendere e di volere (infermità mentale, età inferiore a 12 anni), cui si aggiungono due cause soggettive di esclusione (forza maggiore, errore sul fatto). Nel codice è contemplata anche una gerarchia dei beni protetti; al primo posto troviamo i delitti contro lo Stato e il sovrano (lesa maestà), seguiti da quelli contro la p.a., l’amministrazione della giustizia e la fede pubblica. Infine ci sono i delitti contro la vita umana (omicidio, suicidio, duello), onore e libertà (calunnia, violenza carnale), facoltà e diritti (furto, rapina). 2. La pena Giuseppe II contempla nel codice il principio di proporzionalità della pena rispetto al delitto commesso. Si susseguono poi i principi della personalità della pena, secondo cui essa può colpire solo l’autore del delitto, della pubblicità della pena secondo cui il giudice non può eliminare la pena attraverso un compenso tra delinquente e danneggiato, della imprescrittibilità della pena. Non sono proclamati, ma ugualmente presenti, i principi della laicità della pena – contraddetto dal caso del suicidio – e della sua uguaglianza per tutti i consociati. Il fine della pena è duplice: • prevenzione generale, intesa come intimidazione dei consociati e non come incoraggiamento ad osservare le norme, • prevenzione speciale, concepita come neutralizzazione del criminale e non sua risocializzazione. L’obiettivo del sovrano è quello di mettere fuori uso il delinquente; ciò lo dimostra anche il sistema delle sanzioni, minuziosamente proporzionate secondo una progressione di deterrenza, più temibili della morte stessa – la pena di morte è esclusa. Es. Il condannato al carcere durissimo deve trascorrere in galera da un minimo di 30 ad un massimo di 100 anni, con un cerchio di ferro introno al torace, con ferri ai piedi, dormire su un letto di assi, in isolamento assoluto. Se a ciò si aggiunge il lavoro pubblico, deve trainare i battelli sul Danubio. Non si trattava di sanzione capitale, ma una pena siffatta portava comunque alla distruzione del corpo del condannato. ↓ Legalità – terribilità. 3. Il codice di procedura criminale di Giuseppe II Se la Giuseppina è per eccellenza il primo codice penale moderno della storia, il codice di procedura penale giuseppino è a sua volta il primo moderno codice di procedura penale; esso rappresenta quello che può essere definito il modello di processo penale dell’assolutismo illuminato. Coerentemente con la politica dell’assolutismo, il sistema accolto è quello inquisitorio, fondato sui principi della segretezza e della scrittura, segnato dall’assenza del contradditorio. Tuttavia, il giudice che deve giudicare non è più quello dell’ancien regime, provvisto di grandi poteri arbitrari, ma un magistrato burocratizzato, sorvegliato passo passo dallo Stato. Il giudice percorre iter formali precostituiti e pronuncia decisioni che sono automaticamente controllare dalle istanze superiori, come il supremo Tribunale di Giustizia. Il codice, dunque, si compone di due volti; uno garantistico, l’altro statualistico. a. Elemento garantistico Il giudice del codice di procedura penale giuseppino si muove secondo la logica del sistema delle prove legali, che vincola a priori la sua pronuncia in questo modo; • se esiste la piena prova legale del delitto l’inquisito viene condannato alla pena fissata dal codice penale per il delitto stesso, • se non esiste la prova legale del delitto l’inquisito viene assolto, • se non si ha la piena prova legale del delitto, ma una prova incompleta, di carattere indiziario l’inquisito viene assolto per insufficienza di prove. È proprio quest’ultimo punto delle mezze prove che costituisce un fondamentale momento garantistico di rottura con processo penale d’ancien regime. Quando non si è in presenza di prove piene, infatti, Storia del diritto moderno e contemporaneo 25 mentre il giudice di diritto comune poteva decidere a suo arbitrio se condannare il semi-reo a pene straordinarie o se sottoporlo alla tortura, per ottenere la confessione necessaria alla condanna alla pena edittale, il giudice giuseppino viene invece privato di ogni prerogativa arbitraria, in quanto il suo giudizio non può che essere l’automatica presa d’atto della sussistenza o meno delle prove. Le prove che la legge predetermina tassativamente come vincolanti il giudice sono: • la confessione dell’inquisito, da ottenersi attraverso l’interrogatorio, • la deposizione di almeno due testimonianze convergenti, provenienti da fonti attendibili – una sola testimonianza non basta, • il concorso di circostanze deve sussistere un rapporto stretto tra inquisito e delitto, cosicché nessun altro possa essersi trovato in quella situazione. Tuttavia, laddove sussista il solo concorso di circostanze, la pena dovrà essere diminuita di un grado, poiché per il legislatore, pur essendo piena prova, risulta comunque fragile. Se fino ad ora si è collegato il garantismo all’adozione di un sistema di prove legali depurato da ogni sorta di arbitrio giudiziale ed ancorato al principio che obbliga il giudice a ricercare eventuali prove d’innocenza, occorre ora guardalo in relazione al valore probatorio della confessione. Anche per il legislatore austriaco, infatti, la confessione è per eccellenza la regina delle prove; il giudice, durante l’interrogatorio, deve porre in atto le più sofisticate tecniche analitiche per metterlo con le spalle al muro. Tuttavia, la confessione non costituisce una prova se è ottenuta attraverso promesse, minacce, violenze o altri mezzi illeciti. Anche se la tortura è già stata abolita, non devono essere consentite neppure formule subdole di estorsione della risposta. Questo sarà, però, un garantismo a favore dello Stato e non a tutela dell’inquisito. b. L’elemento statualistico Nella patente di promulgazione del codice si asserisce che il giudice deve essere il più zelante difensore dell’innocenza dell’inquisito; l’onere della ricerca delle prove, dunque, viene posto a carico del magistrato e la formula assume, in questo modo, un taglio garantistico. Essa, tuttavia, possiede anche un significato antitetico, di stampo statualistico, secondo cui al giudice è affidato anche l’ufficio della difesa dell’imputato. Nessun avvocato difensore compare, infatti, davanti al giudice-factotum visualizzato da codice. Si precisa, poi, che al giudice è fatto divieto di usare mezzi non corretti per ottenere la confessione; norma che, per il suo garantismo, potrebbe essere il fiore all’occhiello del legislatore austriaco. Tuttavia, questo principio ne presuppone altri due, che impongono la stessa correttezza all’inquisito, secondo una singolare regola di reciproca lealtà tra le parti; ■ Guai all’imputato che si finga pazzo, rispondendo in modo insensato all’inquirente, in quanto, qualora se ne accerti la sanità mentale, verrà punito a bastonate. ■ Guai all’imputato che si trinceri nel mutismo, poiché, non rispondendo alle domande del giudice, verrà punito a bastonate, finché non ricomincerà a parlare. La giustizia dello stato giuseppino, assoluto e illuminato, non può, dunque, essere macchiata dall’uso della tortura, ma chi la offende con la non collaborazione o con il silenzio deve essere castigato. Scompare il nome di tortura, sostituito da quello di castigo; l’imputato, però, rimane ancora mezzo di prova. 4. Il “dopo Giuseppe II” – il codice penale del 1803 La Giuseppina e il codice di procedura penale rimasero in vigore per circa 15 anni, quando, nel 1803, vennero sostituiti da un nuovo codice penale-processuale promulgato da Francesco I. A differenza delle due antecedenti normative settecentesche, questo codice disciplinò la giustizia in una vasta area dell’Italia, rimanendo in vigore nel Lombardo-Veneto fino all’unità, come l’ABGB, in vigore in Lombardia fino al 1859 ed in Veneto fino al 1866. a. Uno sguardo d’insieme alla fisionomia del codice penale del 1803 (parte sostanziale) Al codice penale universale austriaco del 1803 ben si addice la qualifica di monumento legislativo. La sua struttura è indiscutibilmente razionale; Storia del diritto moderno e contemporaneo 26 • Una parte dedicata ai delitti, cui si correla la relativa parte processuale, • Una seconda parte dedicata alle contravvenzioni, anch’essa seguita da una parte processuale. La bipartizione del testo diventa quadripartizione. L’architetto di questa costruzione è Von Sonnenfels, il più celebre elaboratore settecentesco della dottrina volta a bipartire l’universo penalistico in delitti e contravvenzioni di polizia. L’obiettivo, ancora una volta, è quello di tracciare una esatta linea di confine tra i delitti e le gravi trasgressioni di polizia. Tenendo a mente questo fine, in una parte generale del codice viene subito proclamato il principio di legalità del diritto penale; si dichiara anche che è escluso ogni arbitrio del magistrato e che la pena deve essere erogata in base a circostanze tassativamente precostituite. Ritroviamo anche i principi: • della personalità, proporzionalità e pubblicità della pena, • del dolo intenzionale, considerato dal legislatore come l’essenza stessa dell’azione o dell’omissione delittuosa, • del dolo eventuale, • della preterintenzione. La responsabilità per colpa è esclusa dai delitti, immessa nelle contravvenzioni. I giuristi austriaci hanno grandi capacità sistematiche; per mezzo del loro spirito razionale hanno costituito una tabula gerarchica dei beni e dei valori da tutelare, hanno pensato delle pene che corrispondono proporzionalmente ai beni offesi. Tuttavia, ad essere adottato è il doppio sistema delle pene. L’alternativa per i delitti è costituita dalla morte sulla forca o dalla ritenzione del reo in carcere. Il codice prevede ■ un carcere di primo grado senza ferri, ■ un carcere duro di secondo grado con ferri ai piedi, letto di nude assi, nessun contatto con l’esterno, ■ un carcere durissimo di terzo grado, con ferri a mani e piedi, cerchio intorno al corpo, cibo caldo a giorni alterni, isolamento assoluto; questo carcere durissimo è, insomma, una pena di morte diluita nel tempo. Come Giuseppe II, anche il legislatore del 1803 ha la mano pesante; il codice, infatti, è una lista contenente i tre principi che reggono il diritto penale di un moderno Stato di diritto, ma con davanti un “non”: • non umanità della pena, • non educatività della pena, [La severità della pena è commisurata alle esigenze della prevenzione generale, prima ancora che alla gravità dell’offesa arrecata. La pena non esaurisce la sua funzione al momento della minaccia, ma nel momento della applicazione, operando come castigo esemplare], • non laicità della pena, [Bestemmia, propaganda antireligiosa e diffusione di dottrine contrarie alla religione cristiana sono punite con il carcere da sei mesi ad un anno]. b. Le radici giuseppine del codice penale del 1803 In genere, ciò che determina la fine di un codice è un’ideologia politica innovativa, che lo priva del consenso che esso aveva precedentemente. Storia del diritto moderno e contemporaneo 27 Ciò che aveva spinto, secondo il Gonfalonieri, nei processi politi degli anni venti, alle confessioni non era stata l’ignoranza della pena di morte, ma la conoscenza ed il timore della tortura. Il codice del 1803: ■ nella parte sostanziale, è un codice contrassegnato da un rigoroso accoglimento del principio di legalità e dal corrispondente rifiuto del criterio di umanità della pena, ■ nella parte processuale, è un codice dilaniato dall’antinomia tra norme poste a tutela della persona dell’imputato e norme volte a sollecitarne la confessione attraverso la violenza. Nel complesso, questa parte risulta un’impossibile conciliazione tra assolutismo e garantismo. d. La tecnica legislativa del codice penale austriaco Codificare il diritto non significa semplicemente scriverlo. Per Giuseppe II codificare il diritto significò articolare i singoli imperativi, cristallizzando la prassi dell’ancien regime nella forma del comando legislativo, oltre che conformare agli assiomi dell’assolutismo illuminato le regole del diritto comune. Nel codice penale, il legislatore austriaco ha operato come professore, dando lungo ad una parte generale da manuale, adottando uno stile didascalico dottrinale ed elaborando un corpo normativo di carattere moraleggiante. Storia del diritto moderno e contemporaneo 30 Parte IV Sezione I – Diritto e politica nella Rivoluzione francese Capitolo I L’interpretazione della Rivoluzione: un problema (p. 395-414) 1. Le origini della rivoluzione francese: critica delle classiche opinioni comuni La storiografia oggi sta svolgendo un’operazione di revisione introno alla Rivoluzione francese, che ha già prodotto il capovolgimento di alcune tesi considerate canoniche. Occorre però sottolineare il fatto che noi non siamo ancora usciti pienamente dal movimento innescatosi nel 1789, tant’è che generazione dopo generazione continuiamo a scrivere e riscrivere la storia. Vengono proposte tre chiavi di lettura, che ribaltano tre interpretazioni storiografiche tradizionali, chiarendo chi non ha fatto la Rivoluzione. a. La rivoluzione, che è giunta ad abbattere l’assolutismo monarchico, non è stata innescata da forze che combattevano, bensì da forze che difendevano il regime del privilegio. La rivoluzione non è nata come movimento volto a rovesciare la monarchia assoluta, in quanto quest’ultima viene sgretolata da componenti interne al sistema. Nel contesto di una crisi senza precedenti, il debole Luigi XVI, incapace di mantenere una determinata linea politica, si muove in modo incoerente, da un lato affidandosi a ministri intesi a modernizzare l’amministrazione dello Stato e risanarne il debito pubblico, dall’altro mostrandosi riluttante a ripristinare gli Stati Generali, ossia le rappresentanze attraverso cui clero, nobiltà e terzo stato potevano dar voce ai propri problemi (gli Stati Generali non sono più stati convocati dal 1614). In questo vuoto istituzionale, ad approfittarne sono le grandi corti del regno, i Parlaments. I membri di queste 13 corti sono proprietari della carica che rivestono; carica che comporta il diritto di registrazione dei provvedimenti legislativi della corona. È proprio avvalendosi di questo diritto che i Parlaments fronteggiano l’azione politica della monarchia. Nonostante i Parlaments di Parigi fossero stati destituiti dal loro incarico da parte del cancelliere Maupeau ( che aveva proclamato la gratuità dei processi, liquidato l’ordine dei procuratori e ridotto quello degli avvocati di Parigi ad una Compagnie di appena cento persone), Luigi XVI rimette al loro posto i già sospesi parlamentari; assumendo nuovamente, dunque, il ruolo di denunciatori degli abusi del re e dei ministri, i supremi tribunali organizzano un sistematico ostruzionismo verso ogni iniziativa ministeriale volta a risanare il deficit pubblico, costringendo la Corona, in piena bancarotta, a riconvocare gli Stati Generali. Sono i Parlaments, dunque, con l’intento di porre limiti all’assolutismo e conservare il proprio potere, a sferrare il primo colpo alla monarchia, istituendo la piattaforma di lancio della Rivoluzione, per poi essere liquidati dall’Assemblea Rivoluzionaria, che essi stessi avevano voluto. b. La rivoluzione non è stata né provocata né preparata consapevolmente dalle ideologie dell’Illuminismo Quella delle origini intellettuali della Rivoluzione è un’ipotesi da escludere; lo stesso Voltaire era antidemocratico, mentre Rousseau era contro la violenza e la sua opera, il “contratto sociale”, seguirà e non precederà la Rivoluzione. Il pensiero dei lumi, tutt’altro che rivoluzionario, fu proprio di una minoranza di intellettuali, miranti a riformare piuttosto che distruggere l’ordine politico tradizionale. Se davvero è esistito un fenomeno culturale che ha contribuito ad indebolire le basi dell’ancien regime, questo fenomeno è da ravvisare nella letteratura di basso livello attraverso cui dei philosophes falliti descrissero i presunti vizi dei detentori del potere. L’Illuminismo degli alti livelli non volle né causò la Rivoluzione. L’idea che caratterizza tutto il pensiero dei lumi è quella di un élite di pensatori capaci di elevare l’uomo alla felicità, insegnando l’arte della legislazione ad un sovrano benefattore idea non affine al pensiero rivoluzionario. In realtà, fu la Rivoluzione a presentarsi come erede dei lumi; si impadronì del linguaggio dei lumi, adattandolo ad una teoria e una prassi politica dai lumi non previste. Storia del diritto moderno e contemporaneo 31 L’illuminismo non causò la Rivoluzione, ma sopravvisse a lungo nel corso di essa, conservandosi in schemi concettuali che i rivoluzionari recepirono ai propri fini. C’è solo un tratto del pensiero illuminista che rimane invariato nella rivoluzione: • la religione della legge come strumento per la rigenerazione dell’uomo • la concezione dell’uomo come essere plasmabile grazie alla legge. c. La rivoluzione non fu fatta dalla borghesia né ebbe natura di classe L’interpretazione di stampo marxista che, coerentemente all’idea secondo cui le classi sono le uniche protagoniste della storia, attribuisce alla Rivoluzione una natura di classe, oggi, regge ormai ben poco. Bisogna eliminare ogni possibile equivoco sul significato del termine borghesia. Considerando che il processo di industrializzazione si attiverà nel continente circa mezzo secolo dopo, tale termine non può certo essere inteso in senso capitalistico, anticipando al 1789 l’immagine di un meccanismo volto a sfruttare la forza lavoro. È al contrario la Rivoluzione a creare questa classe, con un effetto postumo, che si è prodotto nel giro di trent’anni dalla fine della Rivoluzione. Se parliamo di borghesia, occorre farlo pensando ad una borghesia precapitalistica, un ceto sociale non definibile con precisione, variegato e privo di configurazione unitaria: un ceto a più livelli, privo di coscienza di classe e di valori esclusivamente suoi. Questa borghesia aspirava ad accedere alla nobiltà, non a combatterla. Anche la nobiltà si presentava come una classe disomogenea, composta da personaggi dal titolo antico, il cui patrimonio era caduto in rovina, e una noblesse colta, aperta ai valori del capitalismo. Fino al 1789 le frange colte della borghesia e della nobiltà progressista vogliono dar luogo ad una rappresentanza nazionale che si pronunci in tema di riforme finanziarie e amministrative. Viene osservato come sarà proprio la nobiltà la principale forza trainante della contestazione all’assolutismo. Agli inizi del 1789, dunque, nessuna classe sta pianificando una lotta contro un’altra classe; la Rivoluzione, per quanto paradossale possa essere, ha natura accidentale e circostanziale. 2. La natura circostanziale della Rivoluzione e i suoi sviluppi Una volta che gli Stati Generali vengono riuniti, • i Parlaments chiedono che i tre stati siedano in tre camere separate e votino per ordine; • il partito dei patrioti reclama una camera unica, il raddoppio dei deputati del terzo stato e il voto per testa. Concesso il raddoppio della rappresentanza del terzo stato, all’apertura degli Stati Generali, la questione si focalizza sul voto per testa. La questione è cruciale, in quanto i deputati sono 1200, di cui 600 del Terzo Stato, e negli altri due stati non mancano nobili e preti favorevoli all’apertura di casta. Soprattutto nello stato dei nobili, tantissimi deputati, contrari all’idea di abbandonare il tradizionale inquadramento nei tre ordini per sostituirlo con l’assemblea unitaria, convincono il sovrano a non concedere il voto per testa. Avviene così che i deputati del terzo stato si proclamino Assemblea Nazionale, autorizzando provvisoriamente con decreto la riscossione delle imposte. Questa delibera è di per sé la rivoluzione; con un’autentica presa di potere, infatti, una nazione uniforme si è sostituita alla società per ceti d’ancien regime. Luigi XVI ordina a clero e nobiltà di unirsi al terzo stato; nel luglio del 1789 l’assemblea nazionale si proclama costituente. I fatti ora elencati mostrano che la Rivoluzione in sé non ha un regista; essa, non concepita come lotta di classe, trova la sua rampa di lancio nella riunione degli stati generali e si mette in moto definitivamente prima con la questione della procedura di votazione, poi per via del terzo stato. Gli artefici dell’89 non erano rivoluzionari. Anche nei suoi sviluppi la Rivoluzione si muove spesso secondo spinte imprevedibili; i principi della stessa Dichiarazione non corrispondono alle aspirazioni precise di nessuna componente d’ancien regime. Storia del diritto moderno e contemporaneo 32 La radicalizzazione ideologica del processo rivoluzionario sotto la Convenzione avviene in un contesto politico in cui Luigi XVI era stato incarcerato e alla ghigliottina venivano mandati centinaia di “sospetti”. Eletti a seguito di votazioni a suffragio universale, cui ha partecipato, però, solo il 10% del corpo elettorale, i deputati della Convenzione pretendono di essere la voce del popolo, quando, invece, non sono altro che l’assemblaggio dei club della rivoluzione democratica, rafforzati dagli estremistici membri della terroristica “comune” di Parigi. La Convenzione è mossa da due correnti principali: i Girondini e i Giacobini, non molto diversi da un punto di vista ideologico, ma in costante lotta per il potere. In mezzo risiede il maggioritario, ma disorganizzato gruppo della Palude. Dal giugno del ’93, dopo un’epurazione fatta attraverso la ghigliottina, la Convenzione si verticizza in capo alla vincente fazione dei Giacobini; istituzionalizzato il Terrore e istituito il Comitato di Salute Pubblica, i Montagnardi governano la Francia a regime di partito unico. La dittatura personale di Robespierre è sostenuta nelle varie regioni del paese dai sans-culottes, gruppi di attivazione quotidiana del Terrore. Chi cerca di minare il potere di Robespierre viene via via eliminato. [significativa è l’ideologia giacobina ha la presunzione che la volontà del popolo prenda forma in seno alle sedute dei membri del movimento e che la democrazia non sia realizzabile in queste sedute se non con l’unanimità. Sono adottati abili espedienti per conseguirla, soprattutto con riguardo alle scelte più estremiste, facendo tacere qualsiasi voce dissenziente. Resa nota al Paese, la decisione unanime diventa volontà del popolo. Risulta necessaria un’intimidazione permanente dell’avversario o l’epurazione]. Questo governo imposto da Robespierre, sfibrato da continue autoamputazioni, cadrà in quanto vittima di una congiura. Dopo questo momento culminante della Rivoluzione – Termidoro – la successiva convenzione termidoriana, caratterizzata da misure antigiacobine, sopravvive fino al ’95, lasciando poi spazio al regime del primo, secondo e terzo Direttorio. Il codice civile compare circa 10 anni dopo il Termidoro; il suo processo di crescita coincide con il percorso di indietreggiamento reazionario della Rivoluzione; infatti, come dice Portalis, un buon codice civile non si può fare nel mezzo di una Rivoluzione. Il droit intermediaire è, comunque, una produzione normativa cospicua, improvvisata, velleitaria, per frammenti. Presenta l’ossessiva volontà di rigenerare l’uomo, liberandolo dalla storia e sottomettendolo alla legge e allo Stato ciò non poteva avvenire se non trasformando il diritto privato in strumento di battaglia politica. 2. La libertà, come indipendenza da ogni potere personale, nel droit intermediaire “Gli uomini nascono e restano liberi e uguali nei diritti” – art. 1 Dichiarazione ’89. Nascere e restare liberi significa non essere sottomessi al potere di nessun altro uomo. Nella notte del 4 agosto 1789, l’Assemblea nazionale vota la soppressione dei privilegi feudali; scelta dettata dal panico suscitato dalle violente sommosse contadine e dalla concitazione emotiva che prevaleva nella notte in cui tale decisione fu assunta. Se l’Assemblea, tuttavia, nei giorni successivi, rimeditando su quanto fatto, correggerà il tiro su tanti punti (perdita dei censi, canoni, pedaggi, decime relative ai fondi sottoposti al regime feudale), per quanto concerne i privilegi comportanti un limite all’uguaglianza civile e una restrizione alla libertà delle persone soggette ad un signore in ragione della terra da loro posseduta, la promessa del 4 agosto opera irreversibilmente. Scompaiono dalla Francia le rimanenze del servaggio della gleba, status di soggezione servile che vincolava la persona alla terra e si manifestava nella forma della manomorta, per cui il servo doveva trasmettere il fondo alla sua morte ai figli, che avrebbero pagato un’imposta di successione al signore, il quale aveva diritto ad impossessarsi dell’immobile se il servo decedeva senza eredi. Tuttavia, se la Costituente, in nome dei diritti dell’uomo, abolisce il servaggio, non si pronuncia sulla schiavitù. Rimane così pienamente praticata la tratta dei neri d’Africa nelle colonie francesi in America, già disciplinata nel Code Noir del 1685. Nel 1794 la Convenzione proclamerà la liberazione degli schiavi, mai di fatto applicata, tanto che Napoleone ripristinerà la pratica della schiavitù. La schiavitù nelle isole francesi scompare nel 1848. 3. La libertà di culto nel droit intermediaire: dalla libertà di religione alla religione rivoluzionaria Storia del diritto moderno e contemporaneo 35 L’emancipazione dei protestanti e degli ebrei. Essere liberi significa godere della libertà di pensiero, di cui è manifestazione fondamentale il diritto di professare la propria fede religiosa. Un regio editto di tolleranza del 1787 aveva elargito lo stato civile ad un milione di protestanti viventi in Francia, riconoscendo la legittimità dei loro matrimoni e quella di status della loro prole, decretando la fine delle tradizionali incapacità da cui erano paralizzati. Questo editto nel 1789 non risulta essere stato registrato da tutti i Parlamenti, rimanendo così inapplicato. Per quanto riguarda gli ebrei, molti di loro, soprattutto nelle zone della Lorena e dell’Alsazia, si muovono ancora nel 1789 in una gabbia di gravami e incapacità: devono versare una tassa per godere di accoglienza, protezione e abitazione nella città, pagare dei pedaggi per la circolazione, richiedere la pubblica autorizzazione per unirsi in matrimonio… I tempi dell’emancipazione cominciano nel dicembre 1789, quando l’Assemblea Costituente ammette i cristiani non cattolici all’esercizio delle pubbliche funzioni. Tra ’90 e ’91 viene emesso un decreto che prevede la restituzione ai protestanti dei loro beni, confiscati un secolo prima; agli ebrei si concede la cittadinanza ed il libero esercizio di culto. Da questo momento in poi le differenze di professione religiosa perdono ogni rilievo ai fini del godimento dei diritti civili da parte di coloro che vivono sul suolo francese, in quanto l’Assemblea abolisce tutte le istituzioni che ledono la libertà e l’uguaglianza dei diritti. Ai suoi esordi, dunque, la Rivoluzione sembra realizzare un perfetto accordo della religione e della libertà; tuttavia, questa armonia si rileva ben presto illusoria, in quanto lo spirito rivoluzionario, in realtà, sta soffiando nella direzione opposta a quella della libertà religiosa: trascina tutti verso una campagna di scristianizzazione che culminerà con l’instaurazione di una religione di stato. La costituzione civile del clero. I primi passi verso una religione rivoluzionaria, sostitutiva di ogni altro culto, sono compiuti dall’Assemblea Costituente nell’agosto dell’89, con la soppressione delle decime ecclesiastiche (imposte in natura percepite dal curato di ogni parrocchia, equivalenti alla decima parte del raccolto) senza prevedere alcuna indennità. Nel novembre dello stesso anno decreta la confisca dei beni immobiliari della Chiesa, la cui vendita serve a sanare il deficit pubblico → trasformazione dei beni ecclesiastici in beni nazionali, dei parroci in salariati dello Stato. “Tutti i beni ecclesiastici sono a disposizione della nazione, che provvede alle spese del culto, al mantenimento dei ministri…i beni di cui gode e di cui non può disporre il clero gli sono stati conferiti non nell’interesse delle persone, ma al servizio delle funzioni”. È decretato il divieto dei voti monastici e la soppressione degli ordini religiosi, approvata la costituzione civile del clero (diminuzione del numero delle parrocchie e delle diocesi, elezione di vescovi e parroci da parte dei cittadini, riduzione allo status di pubblico funzionario per ogni religioso con l’obbligo di giurare fedeltà alla Nazione e alla Costituzione). L’obbligo del giuramento porta ad una spaccatura nel clero francese, poiché solo alcuni lo presteranno. Il popolo francese, legato alla religiosità tradizionale, possiede ora due cleri; uno costituzionale, politicizzato, ha prestato giuramento, uno refrattario, destinato alla ghigliottina. La laicizzazione dello stato civile. Nella sua ultima seduta, l’Assemblea Legislativa vara la disciplina del divorzio e laicizza lo stato civile (settembre 1792). La Chiesa, infatti, con i suoi registri parrocchiali, era stata per secoli l’esclusiva fonte di riferimento per la determinazione dello stato civile delle persone, nonché la sola autorità competente a stabilire i requisiti e gli impedimenti del matrimonio. Una volta dichiarato il matrimonio come un puro contratto disciplinato dalla legge dello Stato, gli atti di stato civile vengono secolarizzati e la tenuta dei pubblici registri viene affidata alle autorità municipali. La “scristianizzazione”. Nonostante tutte le misure secolarizzatrici adottate dall’Assemblea Legislativa, non siamo ancora giunti alla scristianizzazione vera e propri, ove la Chiesa sarà dissolta definitivamente nella Nazione e lo Stato verrà trasformato quale una nuova chiesa. Storia del diritto moderno e contemporaneo 36 L’effettiva scristianizzazione avviene quando si passa dal piano dei provvedimenti legislativi a quello della violenza volta a farli attuare ad ogni costo. Poiché, infatti, i provvedimenti laicizzatori sono accolti con sfavore sia dal clero che dalla popolazione, tra settembre e ottobre del 1793 si scatena un po’ ovunque la campagna di scristianizzazione; i gruppi di attivisti nei vari dipartimenti innescano feste anticlericali, abbattono campanili, saccheggiano e chiudono le chiese, sottopongono i preti a cerimonie di abiura. Il calendario rivoluzionario. Nell’ottobre del ’93 la Convenzione adotta il nuovo calendario repubblicano. Questa idea di rivoluzionare anche il tempo è un ulteriore passo del progetto di scristianizzazione e rigenerazione; ci si rende conto che il calendario cristiano possiede un’incredibile forza educativa, basata sull’intangibilità della tradizione, è un martirologio, che imprime significato religioso all’intera vita dell’uomo. Ora l’uomo è cittadino e lo Stato si impadronisce del suo nuovo tempo, definito l’era della libertà. Progettato da Romme e messo a punto da Fabre d’Eglantine, il nuovo calendario fa piazza pulita di santi e della domenica, divide l’anno in 12 mesi, ognuno dei quali composto da tre decadi, e definito con nomi poetici (Ventoso, Vendemmiaio, Brumaio, Pratile, Termidoro, Fruttidoro…). L’anno inizia il 22 settembre 1792 – anniversario della Repubblica. L’atteggiamento della popolazione nei confronti del calendario oscilla tra l’indifferenza e il disprezzo. Il culto della Dea Ragione e quello dell’Ente Supremo. Il delirio delle celebrazioni pagane tocca l’apice nel novembre 1793, quando il giacobino Fouchè consegna alla Convenzione gli oggetti preziosi prelevati dalle chiese, mentre il vescovo di Parigi si spreta di fronte all’Assemblea. Tre giorni dopo a Notre Dame viene celebrata la prima festa civica in onore della libertà, vista come il trionfo della Ragione su 18 secoli di pregiudizi. Nel 1794, quando vige la legge dei sospetti e la Rivoluzione ha portato a termine la devastazione religiosa, è Robespierre ad arrestare la scristianizzazione; è stato sottovalutato l’attaccamento delle masse alla religione. La Convenzione, su richiesta di Robespierre, decreta l’instaurazione del culto dell’Ente Supremo e dichiara che il popolo francese riconosce l’immortalità dell’anima. Se da un lato vi è il desiderio di riordinare la società sulla base di valori e una moralità profondi, dall’altro il moralismo sanguinario di Robespierre è orientato verso due scopi: ancorare la Rivoluzione ad una religione di stato; trovare un mezzo adeguato per appoggiare il Terrore a un’ortodossia – non si poteva far accogliere alla popolazione il Terrore con la sua idea di sacrificio dell’individuo allo Stato-Tutto se non accoppiandovi la fede rassicurante in una trascendente forza provvidenziale. [È significativo che due giorni dopo la festa dell’Ente Supremo la Convenzione voti la Legge pratile sulla giustizia rivoluzionaria, che sopprime ogni garanzia di legalità a tutela degli accusati → è strana questa Rivoluzione, nata proclamando la libertà religiosa, culminata assimilando Giustizia e Terrore, instaurando una religione totalitaria]. Dopo l’esecuzione di Robespierre, la Convenzione termidoriana sarà costretta a riconoscere la liberà di culto e molte chiese riapriranno i battenti. “Il popolo è più legato all’indipendenza delle sue opinioni religiose che ad ogni idea di libertà…chi garantisce questa libertà avrà molti seguaci”, afferma un ex giudice rivoluzionario. Napoleone, stipulando il Concordato con la Chiesa romana, dimostrerà proprio questo. Storia del diritto moderno e contemporaneo 37 Queste leggi hanno la patria potestà come bersaglio ultimo; celebrano il trionfo della politica volta a moltiplicare la piccola proprietà (essa colpisce nel loro tradizionalismo le generazioni più anziane e guadagna alla Rivoluzione i giovani, presunti come maggiormente aperti a nuove idee). La Rivoluzione mira ai giovani perché più facilmente coinvolgibili nel processo di rigenerazione della società “I figli appartengono alla Repubblica prima ancora che ai loro genitori” (Danton), “Solo la patria ha diritto di educare i suoi figli…” (Robespierre). ↓ Questa altro non è se non una dittatura della libertà (Saint-Just). 7. Eguaglianza dei sessi e libertà della donna nel droit intermediaire Nel suo trattato relativo alla potestà maritale e alla persona della moglie, il giurista Pothier osserva che il matrimonio, formando una società tra il marito e la moglie, di cui il primo è il capo, conferisce al marito un diritto di potestà sulla persona della moglie riflette fedelmente la condizione della moglie d’ancien regime: condizione di inferiorità e sottomissione al marito, accettata e accolta come naturale dalla maggior parte della popolazione femminile. L’amministrazione dei beni familiari è affidata esclusivamente al marito, che ne è padrone assoluto. A giustificare il primato maschile nel governo della famiglia vi è l’esigenza di tutelare l’unità istituzionale della comunità domestica, la solidità del patrimonio di casa, nonché l’istituzionalizzazione della figura del pater familias, unico proprietario e gestore dei beni necessari al sostentamento domestico; la donna è vista come una creatura debole, sia fisicamente che psicologicamente. ↓ La donna coniugata è incapace di agire , è il fondamento della potestà maritale, venuto meno nel diritto romano maturo e ripristinato a partire dal Medioevo (in Italia sarà abolita nel 1919, in Francia definitivamente nel 1965). Il marito, munito di poteri direttivi che gli assicurano l’obbedienza, ha un irrinunciabile dovere di protezione nei confronti della moglie; deve affiancarla nel compimento di qualsiasi atto negoziale che ecceda le piccole spese della quotidianità domestica. La mancanza dell’autorizzazione maritale produce la nullità di ogni atto inter vivos posto in essere dalla donna sposata: senza il consenso del marito ella non può fare nulla (unica eccezione validi i contratti stipulati dalla donna commerciante, previa autorizzazione del marito ad esercitare un qualche commercio). Alla fine dell’ancien regime sono queste le condizioni della donna, ma la Rivoluzione inciderà su di esse solo su due fronti: divorzio, parità successoria. L’incapacità d’agire della donna e la potestà maritale attraverseranno indenni il droit intermediaire. C’è, infatti, una vera e propria contraddizione di fondo; si concede alla donna di disporre pienamente di se stessa, offrendole il mezzo legale per svincolarsi dalla supremazia del marito (divorzio), ma si lascia intatta questa stessa supremazia, ripudiando la scelta di abolire direttamente la potestà maritale e i suoi corollari. Perché? I rivoluzionari continuano ad essere dell’idea che l’incapacità di agire della donna si fondi su una insuperabile legge di natura, che ne ha costituito l’intrinseca debolezza nel fisico e nel carattere (rara eccezione Condorcet, che sostiene l’emancipazione femminile). Solimano ha notato che la medicina stessa continuava ad avvalorare l’immagine di una donna quale congenitamente inferiore al maschio (conformazione della ossa, psicologia instabile). Uno dei trattati di maggior successo fu pubblicato nel 1775 dal medico Roussel, il quale sostiene che l’immaginazione della donna non è un elemento di danno, ma la abilita alle funzioni a cui ella è chiamata. Sulla base di ciò, Oudot affermerà che l’autorità maritale è un’autorità di fatto, risultante dall’ascendenza maritale dell’uomo sulla donna. Tutto ciò spiega come mai la Rivoluzione sia animata fin dalla partenza da uno spirito discriminatorio: già Sieyes nell’89 esclude le donne dalla vita pubblica. Nel ’93 ci sono alcuni giuristi che propongono l’abolizione della potestà maritale; intendono sostituirla con un potere di amministrazione dei beni familiari attribuito ad entrambi i coniugi e con una diarchia genitoriale onerata di compiti educativi e protettivi nei confronti della prole – è così, per es., nel terzo progetto Cambaceres. Far amare la Rivoluzione alle donne! La Rivoluzione provocò un notevole mutamento d’opinione nelle donne stesse. Le grandi promesse dell’89 avevano acceso, infatti, nel sesso debole aspirazioni alla libertà e all’uguaglianza, dischiudendo la possibilità di contestare l’idea di una naturale estraneità della donna alla vita pubblica e agli affari. Storia del diritto moderno e contemporaneo 40 Tutto questo spiega la grande partecipazione femminile ad alcuni dei più drammatici eventi rivoluzionari. Anche i movimenti femministi fecero la loro prima comparsa in veste organizzata, prima dando luogo ai club, poi a società di militanza integralmente femminile (es. Società delle repubblicane rivoluzionarie). Ricordiamo anche la Dichiarazione della donna e della cittadina, redatta da Olympe de Gouges, finita al patibolo. Nel ’93 la Convenzione ordinò la chiusura dei club delle attiviste. Dopo la svolta di Termidoro, un dato rimase fermo: l’integrale incapacità politica femminile Legge 4 Pratile anno III (1795) dispose che le donne non avrebbero potuto assistere a nessuna assemblea politica. È possibile affermare che la donna fu oggetto della Rivoluzione, non considerata come vero individuo. 8. Il diritto di proprietà nella legislazione rivoluzionaria In meno di cinque anni, la Rivoluzione compie due importanti modificazioni della proprietà, che hanno come effetto la fine della società d’ancien regime e la nascita della borghesia. Le due innovazioni sono: a. unificazione strutturale del diritto di proprietà; b. ridistribuzione della proprietà a nuovi e molteplici proprietari. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo ricomprende la proprietà tra i diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo (art. 2) e la definisce come un diritto sacro ed inviolabile, di cui nessuno può essere privato se non quando la necessità pubblica lo esiga ed a condizioni di una giusta indennità (art. 17). Nella Costituzione del ’91 senza proprietà non si è né cittadini attivi né elettori, poiché il diritto di voto è concesso a partire da un certo livello di contribuzione fiscale. La proprietà “sacra” dell’89 non è la stessa della tradizione d’ancien regime, poiché l’Assemblea il 4 agosto aveva distrutto il regime feudale. Unificazione strutturale della proprietà della terra. Nel 1789, la Francia è agricola al 90%, 1/3 della terra appartiene alla Corona, alla grande nobiltà ed agli enti ecclesiastici. In parte questa massa di terreni è lasciata incolta; in parte popolata da braccianti o coltivatori non proprietari che sopravvivono con ciò che rimane del raccolto a canone versato. Una piccola quota delle terre restanti è in mano ad agiati possidenti; c’è poi il grosso delle terre coltivate del Paese, su cui risiede una miriade di piccoli proprietari una parte minoritaria è composta dalle terre allodiali, sfruttate da famiglie contadine a titolo di dominio pieno, senza alcun vincolo di soggezione signorile. La maggioranza degli altri appezzamenti agricoli è costituita dalle terre signorili, occupate e messe a frutto da piccoli proprietari, ai quali il fondo è stato concesso da un signore feudale, con la convenzione che a lui ed ai suoi eredi assicura poteri e diritti di esazione (tasse, censi, prelievi in natura, servigi personali…). Il diritto esercitato da questi tenutari è proprietà (dominio utile), cui se ne affianca un’altra (dominio diretto) in capo al signore in forma di rendita fondiaria (versamenti in denaro o in natura) due diritti di proprietà sullo stesso bene. Il dominio utile è spesso di faticoso esercizio, il raccolto può non bastare alla sussistenza della famiglia contadina; il contadino deve fare i conti con il signore feudale, il fisco ed i condizionamenti che derivano alla sua proprietà dai diritti della comunità: la gestione del fondo deve essere compatibile con quella dei beni comunali (il fondo non può essere recintato per permettere il passaggio del bestiame diretto ai pascoli ad es.). Infine, questa proprietà non è sicura; deve trascorrere un certo lasso di tempo perché l’acquirente del terreno sia al riparo dal retratto esercitabile dai parenti del venditore o del signore feudale. Per molta parte della popolazione contadina, gli oneri che derivano dal regime feudale sono ai limiti della sopportabilità. Le folle inferocite reclamano il calmieramento del prezzo del pane, l’abolizione dei privilegi fiscali, perequazione contributiva, la liberazione delle terre dai diritti feudali. L’abolizione dei privilegi feudali, approvata dalla Costituente dopo un concitato dibattito, è stata una scelta politica d’emergenza; il mattino seguente, un comitato feudale si mette al lavoro per ridurre il più possibile le perdite patrimoniali avute con la proclamazione notturna. Verranno proclamati nel corso della settimana successiva al 4 agosto dei decreti che preciseranno la portata effettiva della promessa di abolizione dei diritti feudali. Con la soppressione dei privilegi fiscali e la proclamazione dell’uguaglianza tributaria, la Costituente miete i diritti che traggono vita dal signore come tale: cadono i privilegi onorifici esteriori (diritto all’omaggio, banco in chiesa…), il servaggio della gleba e la manomorta, le corvée e le varie figure di servitù personale, la decima ecclesiastica. Resta lo zoccolo duro del diritto reale vantato dal signore come titolare del dominio diretto sul fondo; diritto che grava sul suolo ed obbliga i concessionari alla corresponsione di canoni, decime. Storia del diritto moderno e contemporaneo 41 Quanto a questo tipo di diritto, la Costituente non dispone l’abolizione, ma il riscatto, che permette al contadino di congiungere al suo dominio utile anche quello diretto, divenendo così proprietario unico del bene. Il riscatto non è altro che il versamento del prezzo della proprietà diretta, quantificabile in una somma pari a 20/25 volte il canone annuale. Una decisiva svolta è compiuta con due decreti da parte dell’Assemblea Legislativa (1792), quando ormai nelle campagne vanno generalizzandosi forme di resistenza alle richieste signorili (“ogni proprietà fondiaria è da ritenersi libera, a meno che il signore non esibisca l’originale atto d’infeudazione del fondo”) . Poiché, tuttavia, ritrovare l’atto originale che legittima il fondo risulta pressoché impossibile, questa probatio diabolica imposta dalla Legislativa rappresenta l’inizio della rovina del regime signorile. Nel ’93, la Convenzione dichiara che tutti i diritti dei signori, derivanti dalla stipulazione di un contratto feudale e già dichiarati riscattabili sono aboliti senza indennità; in ogni comune i titoli documentanti le proprietà signorili sarebbero dovuti essere bruciati pubblicamente entro tre mesi. Caduto ogni legame fa direttari e utilisti, restano in piedi solo individui proprietari, titolari di una proprietà non più duplicabile. Ciò segna la scomparsa della vecchia società, mentre la nuova società deve essere composta da un numero il più esteso possibile di titolari del diritto di proprietà. Per quanto riguarda l’abolizione senza indennità della decima ecclesiastica, confiscate le proprietà immobiliari della Chiesa, due decreti (1790) ne dispongono la messa in vendita al pubblico – questa operazione avrebbe dovuto aumentare il numero dei proprietari e permettere il rimborso del deficit pubblico. La vendita dei beni nazionali viene organizzata favorendo la divisione delle grandi proprietà in piccoli lotti, aggiudicabili all’asta a prezzo politico e a pagamento dilazionato. Un secondo passo verso il frazionamento si ha quando l’Assemblea Legislativa impone la divisione delle terre comuni destinate allo sfruttamento collettivo, ma di fronte alle resistenze contadine, la Convenzione trasformerà in facoltativa la divisione dei beni comunali. Terzo atto vendita dei beni degli emigrati (1792), già confiscati e dichiarati nazionali nell’aprile dello stesso anno. La messa all’asta si svolse come per i beni del clero (divisione in piccoli lotti, assegnazione con pagamento del prezzo facilitato). Chi erano gli emigrati? Coloro che tra l’89 e il Terrore abbandonarono la Francia, circa 150mila persone, di cui oltre la metà appartenenti al Terzo Stato e i restanti a clero e nobiltà. L’emigrato fu visualizzato dalla Rivoluzione come il nemico del popolo, non sospetto, ma conclamato. Questo spiega il decreto di condanna a morte per tutti gli emigrati del 1792. La condizione di emigrato continuò a generare ostilità anche dopo la fine del Terrore e la retromarcia della Rivoluzione: essi, scampati alla ghigliottina, potevano tornare in Francia e reclamare la proprietà confiscata. Sarà il code Napoleon a rassicurare gli acquirenti della Rivoluzione. Risultati della politica sociale della Rivoluzione in tema di proprietà? Il governo rivoluzionario immette nel mercato un’enorme massa di terre; ciò favorisce la crescita numerica delle piccole proprietà ed un accesso al diritto “sacro” da parte delle famiglie non proprietarie. Tuttavia, se i contadini avevano sete di terra, lo Stato ne aveva di denaro, necessario per colmare il deficit pubblico; fu così che nelle aggiudicazioni si preferirono coloro che pagavano subito ed in contanti. La vendita delle terre rese più ricchi coloro che già lo erano, con un potenziamento delle ineguaglianze economiche, in un contesto che voleva essere di uguaglianza giuridica. La forza economica della nobiltà, ripresasi dall’abolizione dei diritti feudali con l’acquisto dei beni nazionali si mantenne. La borghesia, invece, con la nobiltà superstite, andò a costituire il nuovo notabilato (insieme dei personaggi più autorevoli di una comunità), contrassegnato non più da privilegi, ma dal denaro investito nei fondi. I nuovi ricchi si aggiungono ai vecchi nel possesso della terra come primaria fonte di ricchezza. Con l’aristocratizzazione di una nuova borghesia provvista di ricchezza terriera, e la borghesizzazione di una nobiltà riprovvedutasi di terre, si passa dal regime del privilegio a quello del denaro, trasformato a sua volta in proprietà immobiliare, giuridicamente unificata. Questo rimescolamento sociale è il principale risultato della Rivoluzione e la sovranità del popolo resta un fantasma. Capitolo IV Storia del diritto moderno e contemporaneo 42 compassione per il criminale, infatti, induce Lepeletier a ridurre la pena ed a prospettare un sistema di rigenerazione dell’uomo che renda la pena stessa inutile. Le pene sono caratterizzate da umanità, proporzionalità, legalità, uguaglianza, educatività, temporaneità, laicità (depenalizzazione di crimini quali l’eresia, il sortilegio, la magia…). Sono accolti anche i canoni della pubblicità e della personalità della pena stessa. Tipologia delle pene. • Pene afflittive (detentive), si riducono a tre, sono da scontarsi in stabilimenti separati e permettono di svolgere qualche lavoro: • cachot detenzione in catene in cella di isolamento senza finestre con giornate lavorative d’intervallo; • géne detenzione in cella d’isolamento non buia, cintura di ferro, lavoro quotidiano remunerato, due giorni su sette in collettività; • prison detenzione semplice con lavoro in comune con gli altri detenuti. • Pene infamanti, che consistono nella degradazione civica e la gogna per gli uomini, nella sola gogna per le donne. Dopo un periodo di espiazione è prevista la riabilitazione e rintegrazione nella condizione di cittadino. Lepeletier non prospetta pene pecuniarie né lavori forzati; parla di lavoro volontario, mezzo per migliorare le inclinazioni morali del condannato e per preparargli una risorsa al momento della sua libertà. Non sono previste pene mutilanti, corporali, il marchio o il bando. No alla pena di morte, considerata diseducativa, immorale e ingiusta in caso di errore giudiziario. Sistema di applicazione della pena pene fisse, no discrezionalità del giudice. Lepeletier come Beccaria prospetta un codice di leggi fisse che si devono osservare alla lettera. Il legislatore ha dunque il compito di predeterminare tassativamente la pena ordinaria per ogni reato, un elenco di circostanze aggravanti, eventuali aumenti di pena. La Costituente approva questa soluzione per porre fine all’arbitrium iudicis, ma non accoglio l’abolizione della pena di morte. 5. Il codice penale del 1791: la discussione del progetto e la questione della pena di morte L’esame del testo passa in seno alla Costituente nell’estate del 1791. L’assemblea accoglie i principi di temporaneità, proporzionalità, personalità, uguaglianza, legalità-fissità; accoglie anche i tipi di pena con qualche ritocco (es. aggiunta della deportazione a vita). Cambia il cachot con lavoro volontario in lavori pubblici forzati (ferri). L’impiego dei condannati ai lavori pubblici diviene una pena di utilità sociale. Questione della pena di morte. La proposta di Lepeletier era appoggiata da Robespierre, Duport…Tuttavia, la maggioranza dei deputati sostiene che la pena capitale sia il più valido dei deterrenti , di cui non ci può di certo privare nella situazione allora corrente, sull’orlo dell’anarchia. Il primo giugno del 1791 la pena di morte non è abrogata. Modalità di esecuzione rito pubblico, no inasprimento corporale o accessorio, testa tagliata. Lo strumento che verrà utilizzato sarà la ghigliottina, ogni dipartimento ne ha una. 6. Il codice penale del 1791: il testo promulgato e la sua applicazione Il progetto di Lepeletier entra in vigore nel settembre 1791 con le sue pene afflittive e infamanti, con la pena di morte. Sono 225 articoli suddivisi in due parti: • delle condanne, • dei crimini e loro punizioni parte speciale. È riconosciuto il principio di laicità; non ci sono crimini contro l’ortodossia o la morale religiosa, sono depenalizzati reati quali l’eresia, il suicidio, la magia, l’adulterio; il sistema repressivo è semplificato. C’è grande attenzione alle infrazioni quali reati che mettono in pericolo la personalità dello Stato, le istituzioni politiche, l’ordine pubblico (es. delitti contro la fede pubblica, attentati alla Costituzione). Storia del diritto moderno e contemporaneo 45 Ci sono quattro norme sul concorso di persone nel reato, mentre i restanti articoli sono dedicati ai delitti contro persone e patrimonio. L’applicazione del codice risulta essere difficoltosa, poiché il sistema delle pene fisse paralizza l’intervento discrezionale del giudice, e limitata. Ricordiamo che la Convenzione attuerà poi una disciplina politica della repressione penale; una legislazione con una serie di crimini definiti contro rivoluzionari e applicabili dai tribunali straordinari. Ciò avverrà nel periodo del Terrore. La Costituente ha varato il sistema di Lepeletier che immobilizza il giudice con un apparato di pene non modulabili e con il verdetto della giuria popolare. La giuria opera a due livelli: 1. d’accusa definisce se si possa o meno procedere criminalmente contro il sospetto 2. di giudizio si pronuncia su tre questioni: se il fatto consti, se l’imputato ne sia l’autore, se abbia agito con intenzione criminosa. Il sistema delle pene fisse porta a delle disfunzioni nell’applicazione del testo normativo. In caso di circostanze attenuanti che il giudice non può valutare, le giurie preferiscono pronunciare un verdetto negativo. Sia presso le giurie d’accusa, ma soprattutto presso quelle di giudizio si verifica un certo lassismo; esse o non riconoscono le aggravanti o si pronunciano per l’assoluzione. Tale sistema porta a patologie giudiziarie sia quando le giurie adempiono al loro compito (es. il semplice furtarello al mercato può costare 8 anni di ferri), sia quando non pronunciandosi portano ad assoluzioni aberranti. Sostituiscono la loro equità alla legalità del codice. 7. Il “Terrore giudiziario” Tra 1793-1795, una cospicua parte del codice dedicata a reprimere gli attentati contro la sicurezza interna ed esterna dello Stato, qui concepiti come reati di diritto penale comune, fu soppiantata da un diritto penale d’eccezione, messo in opera attraverso tribunali rivoluzionari giudicanti con procedura straordinaria. A metà del 1792, la coppia giustizia-terrore non muove ancora la macchina della Rivoluzione; non siamo al Terrore giudiziario, ma è individuabile un suo primo germe, che si pone nella dissociazione tra diritto penale ordinario e giustizia straordinaria. Il secondo germe sta nelle misure terroriste attuate in via giudiziaria. • Novembre 1792, gli emigrati dalla Francia per la Rivoluzione sono dichiarati per decreto sospetti di congiura, così come i preti refrattari. La nozione di sospettabilità è alla radice del nuovo diritto penale politico; i sospetti sono criminali potenziali, per i quali la presunzione d’innocenza è sostituita da quella di colpevolezza. • Nei primi mesi del 1793, la nozione di sospetti è estesa. • Nel settembre del 1793, viene varata la legge sui sospetti, che contempla una lista di persone così definite (es. partigiani della tirannia, nemici della libertà, funzionari pubblici sospesi…); Habert dichiara che dovrebbero essere inclusi anche avvocati, ex magistrati, procuratori. • Ottobre 1793, il Consiglio Generale della Comune di Parigi definisce chi sono coloro a cui non deve essere rilasciato il certificato di civismo (patente di patriottismo), perciò da considerarsi sospetti. In questo elenco di anti-cittadini vanno ricompresi anche colore che hanno accolto con indifferenza la Costituzione e che non hanno fatto nulla per la libertà. Quali sono le prove? Robespierre afferma che l’esistenza di tali delitti si avverte moralmente. Il criterio della piena sufficienza della prova morale è istituzionalizzato con la Legge del 22 Pratile (1794), che semplifica la procedura nei tribunali rivoluzionari; talvolta viene escluso l’interrogatorio, prospetta l’eliminazione di testimoni e della fase istruttoria, basta la convinzione morale del giudice. Non si parla più di sospetti, ma di nemici del popolo. La Corte giudica rivoluzionariamente è questo il Grande Terrore. Sospetto elevato a sistema. Quali sono gli organi di applicazione? Storia del diritto moderno e contemporaneo 46 • Tribunale criminale straordinario, istituito a Parigi nel 1793; • Tribunali criminali ordinari autorizzati a giudicare rivoluzionariamente, ossia sommariamente, i sospetti; • Comitati rivoluzionari o popolari; • Commissioni militari al seguito delle armate rivoluzionarie interne, che reprimono le manifestazioni reazionarie di rilievo. La Legge del 22 Pratile istituzionalizza il Grande Terrore come manifestazione legittima e benefica della Giustizia rivoluzionaria. Si apre l’epoca delle grandi infornate dei condannati. La Rivoluzione rinnega i diritti dell’uomo proclamati nel 1789. Quali sono le ragioni discolpanti del Terrore? La storiografia fa riferimento a circostanze esterne alla Rivoluzione. Questa situazione brutale era necessaria per salvare la Repubblica dai pericoli della guerra alle frontiere e da una guerra civile. Tuttavia, il Grande Terrore raggiunge l’apice quando questi pericoli svaniscono. Il Terrore come male necessario per salvare la Repubblica è un’idea che non regge. Come opera il Governo rivoluzionario sotto la Convenzione giacobina. Nel giugno del 1793, la Convenzione vota la Costituzione dell’anno I repubblicano. La Costituzione proclama l’uguaglianza come diritto naturale precedente a libertà, proprietà e sicurezza; rinnova la Dichiarazione dell’89; predispone un corpo legislativo eletto a suffragio universale; le leggi sono sottoposte all’approvazione diretta dell’elettorato. La Costituzione non sarà mai applicata, perché si impone una nuova formula, quella di Governo rivoluzionario, per cui l’autorità pubblica si legittima se conforme alla Rivoluzione e non grazie alla Costituzione. ↓ Contrapposizione Rivoluzione – Costituzione. La Costituzione che garantisce i diritti dell’uomo non serve; deve essere sostituita dal governo rivoluzionario, poiché ora è necessario tutelare la salute pubblica. Organi di attivazione del Governo rivoluzionario: • Comitato di Salute Pubblica, composto da 12 membri, autorità su tutti gli altri organi amministrativi; • Comitato di Sicurezza Generale, con funzioni di polizia politica e di direzione rispetto all’apparato giudiziario. ↓ Sono i bracci esecutivi della Convenzione, che è il centro unico di orientamento dell’intera azione dello Stato. Il nuovo governo è fondato sulla salvezza del popolo o salute pubblica. Il popolo non è l’insieme dei cittadini (≠ dalla Costituzione), ma l’insieme dei soli cittadini virtuosi, che appoggiano la Rivoluzione; gli altri sono nemici del popolo, perciò da annientare. All’annientamento fisico di essi serve il Terrore, che esercita una funzione salvifica, è strumento dell’azione epurativa del Governo. Eliminata la parte malata, rinascerà nella libertà il popolo, società felice di uomini nuovi rigenerati politicamente e moralmente attraverso la legge. L’ala giacobina della Convenzione esce vittoriosa nella lotta per il potere contro i girondini, ma si aprono forti tensioni in seno al partito vincitore; gli schieramenti sono in lotta e minacciano la stabilità del Comitato. Marzo 1794, le agitazioni di queste correnti sono definite congiure contro il popolo, tutte le fazioni devono essere colpite. ↓ Grande Terrore i congiurati sono ghigliottinati. Robespierre è padrone della Francia, personifica la Nazione, la Rivoluzione e il Terrore. La sua fazione è da lui definita come popolo. Tuttavia, sembra che i nemici spuntino anche in seno al gruppo egemone e devono essere annientati. È questo un paradosso; il Terrore che ha la funzione di annientare i nemici, finisce per annientare se stesso. Storia del diritto moderno e contemporaneo 47 Dietro, tuttavia, c’era un motivo politico, il veto politico del Comitato di salute pubblica, che ha aggiornato la Costituzione dell’anno III e sta varando il governo rivoluzionario. Adottare un codice civile avrebbe significato porre termine alla Rivoluzione, preparare la pace prima che la guerra fosse conclusa; aggiornarlo, invece, che né la guerra né la Rivoluzione erano terminate. 2. Il secondo progetto Cambaceres (9 settembre 1794) A dispetto della delibera della Convenzione, che aveva stabilito che il progetto del codice avrebbe dovuto essere semplificato dai 6 filosofi tra cui Couthon, esso torna a Cambaceres: è lui, che anche questa volta si occupa della stesura del secondo progetto di codice civile, presentando il 9 settembre 1794 alla nuova Convenzione – Termidoriana – il codice non giuridico reclamato dalla precedente Convenzione giacobina. Come gli era stato richiesto, egli elabora un codice breve , composto di tre soli libri dedicati alle persone, alle cose e alle obbligazioni; abbandona il più possibile ogni tecnicismo, le norme appaiono come coincise e perentorie, scritte in uno stile spartano (es. i beni sono mobili o immobili, non c’è convenzione senza consenso, chi causa un danno è tenuto a risarcirlo). In tutto ciò c’è una controindicazione; una società civile che ha più massime che norme, di conseguenza più lacune che disposizioni, non può certo reggersi in piedi. Tuttavia, Cambaceres ne è consapevole, tanto che per primo dichiara che l’opera avrà bisogno di un’integrazione di leggi che sviluppi i postulati. Contenuto: (ci sono poche modifiche rispetto al primo come ad es. le donazioni tra vivi o per causa di morte sostituiscono il testamento, nel ’93 erano irrevocabili, ora sono revocabili, l’eliminazione della potestà maritale è attenuata dove si dice che il domicilio della donna sposata è quello del marito) . La famiglia continua ad essere collocata nel quadro che già conosciamo → generata dal matrimonio, che è contratto in obbedienza ad una legge primitiva di natura, organizzata secondo canoni di uguaglianza, allargata ai figli naturali non adulterini e adottivi, può essere sciolta dal divorzio, manifestazione del diritto di ciascuno di disporre di sé stesso. Questo concetto, secondo cui l’uomo nasca dotato di piena libertà di disporre della propria persona e che tale libertà-proprietà si traduca in taluni diritti fondamentali da esercitare autonomamente anche in società è il perno della concezione che l’autore ha del diritto privato; concezione liberal-individualistica ripresa da Locke. Nonostante sia stata osteggiata da una legislazione totalitaria, questa sua ideologia ricompare in tutti e tre i progetti; basti pensare alla riproposizione dello schema tripartito di Giustiniano. Questo impianto è lo schema delle tre condizioni per una vita felice: “tre sono le cose necessarie all’uomo che viva in società: essere padrone della sua persona, possedere beni a fronte dei suoi bisogni, poter disporre della propria persona e dei propri beni. I diritti civili si riducono ai diritti di libertà, proprietà, contrattare”. In virtù di ciò è stato attribuito a Cambaceres l’idea di un individualismo possessivo come canone dominante i rapporti tra privati. Nell’atomizzata società dei singoli da lui postulata, l’individuo, portatore del proprio interesse isolato, è fine a se stesso. È un paradosso perché all’apice della Rivoluzione il vero fine della vita associata è lo Stato e l’individuo è il cittadino virtuoso rigenerato dallo Stato stesso, che lo rende felice. Cambaceres presenta il secondo progetto ad una Convenzione intenta allo smantellamento del Terrore giudiziario; un momento difficile, tenendo conto che l’opera era stata rielaborata alla luce delle richieste fatte dal governo rivoluzionario e dai giacobini. La discussione della Convenzione si limitò ai primi articoli e subito respinse il testo, considerato troppo corto, incompleto e impregnato dal radicalismo giacobino. Così cadde anche il secondo progetto di codice civile; il primo troppo lungo, il secondo troppo succinto tanto da apparire l’indice di un codice. Questo altro non è se non “l’effetto Termidoro”. Sezione II La Codificazione napoleonica Capitolo I Da Termidoro a Brumaio: verso il Code Napoleon (p. 525-552) Storia del diritto moderno e contemporaneo 50 1. Premessa: il mito delle origini del codice civile francese. È il 1803. Il codice napoleonico non ha ancora concluso il suo iter formativo . Il code civil costituisce l’opera di quattro anni o di quattro secoli, è l’idea di un solo uomo o di molteplici eroi? È storia o Favola? Sedillez si interroga, alludendo al fatto che il codice veniva propagandato come opera di un solo uomo, Napoleone. A raccontare questa favola sarà Pastoret nel 1808; il suo intento è quello di separare il code civil dalla Rivoluzione, presentandolo come creazione esclusiva dell’Empereur, come prodotto uscito di getto dal laboratorio degli artisans al servizio del primo Console, nascondendo il fatto che esso era frutto di sforzi iniziati già dieci anni prima. Cento anni dopo questa versione sarebbe circolata ancora. Il colpo di stato di Bonaparte costituisce una cesura, in quest’ottica, che separava l’incopiuto (gli sforzi per la codificazione), dal compiuto (il code civil). Esso in realtà è il frutto finale di un’opera collettiva realizzata nell’arco di un decennio, in cui i progetti post- termidoriani, che anticipano il contenuto del testo del 1804, rappresentano gli anelli di congiunzione di una catena che porta ad esso. Dunque il codice del 1804 non può essere concepito unicamente e riduttivamente come istantanea manfestazione della volontà di uno solo: con i suoi riflessi termidoriani, esso non è che il risultato di un lavorio tecnico, della cultura e delle preoccupazioni politiche di molti eroi. Il resto è solo una favola. 2. La restaurazione post-termidoriana È il 10 Termidoro, anno II, la dittatura di Robespierre è caduta e i termidoriani vogliono terminare la Rivoluzione, eliminando l’eredità del regime giacobino, ciò sempre senza rinnegare i principi “libertà, uguaglianza, fraternità” dell’89. Essi non si limitano a demolire la legislazione prodotta nei giorni del Terrore, ma auspicano l’avvento di un regime di ordine e sicurezza; non è sufficiente abbattere le strutture istituzionali dei Giacobini, ma bisogna procedere alla ricostruzione della società. Questo comporta in primo luogo la riedificazione della famiglia, la ridefinizione dei rapporti interfamiliari sconnessi dalla Rivoluzione. La famiglia è il luogo della stabilità, dell’ordine, il microcosmo che rispecchia il macrocosmo sociale. Ecco i contro-obbiettivi reazionari alla legislazione giacobina: • Atteggiamento di diffidenza verso il divorzio, che si ottiene troppo facilmente; • Appare urgente tracciare un solco tra i figli naturali e quelli legittimi: non pochi convengono che la favorevole condizione successoria dei figli naturali vada drasticamente ridotta; • La politica della forte famiglia per il forte Stato postula che al vertice del governo familiare venga ricollocato il padre; gli viene restituito il testamento, arma con cui può farsi rispettare dai figli; • La moglie deve essere posta in uno stato di incapacità d’agire: essa non deve poter compiere alcun atto di straordinaria amministrazione senza l’autorizzazione del marito. La cellula familiare deve essere consolidata nel segno dell’autorità. 3. Il terzo progetto Cambaceres: epilogo della Revolution o prologo della reaction? È nel clima della convenzione termidoriana che Cambaceres elabora il terzo progetto di codice civile, presentato in aula nel 1796. La Convenzione ha ceduto il posto al Direttorio. 1104 articoli, 34 titoli e 3 libri; si tratta di un testo più accurato e meno compendioso rispetto ai precedenti. È fatto seguire da un discorso preliminare, ove sono ripresi passaggi contenuti nei codice precedenti → mélange tra continuità e rottura. Nel testo da una parte si conservano alcuni istituti già introdotti dal legislatore rivoluzionario (divorzio, si salva il divieto di esercizio dell’azione di riconoscimento della paternità, la patria potestà è concepita come un dovere di protezione, si mantiene un atteggiamento di sfavore nei confronti del testamento, poiché la disponibile è limitata, in presenza di discendenti, a un decimo del patrimonio). Dall’altra parte sono inseriti principi che danno al progetto un taglio ambiguamente conservatore; se nel ’93 l’ordine naturale portò l’autore ad affermare che l’amministrazione del patrimonio spettasse ad entrambi i coniugi, ora questo è rimesso al solo marito; si recupera la distinzione tra figli naturali e legittimi (i primi, se riconosciuti dopo il matrimonio e in concorso con i figli legittimi, hanno diritto a metà della porzione ereditaria spettante ai secondi – prima Cambaceres aveva ritenuto opportuno eliminare ogni distinzione, ora sono concepiti come prodotto di un’unione illecita o frutto della depravazione). Per quanto riguarda l’adozione, ora solo i coniugi senza figli possono farvi ricorso. Storia del diritto moderno e contemporaneo 51 Cambaceres ha compiuto, nell’elaborazione del terzo progetto, cercando di mitigare gli eccessi della legislazione giacobina, un’opera di mediazione. Anche con riguardo agli istituti rivoluzionari accolti c’è un temperamento (es. divorzio ottenuto solo dopo quattro mesi; nelle successioni, la facoltà di disporre è ampliata in linea collaterale). Siamo di fronte ad un testo contradditorio: da un lato appare come pioniere della reazione, dall’altro come l’ultima fiammata della Rivoluzione. Forse una chiave di interpretazione è da ricercarsi nella composizione della Commissione, che riunisce nostalgici della Rivoluzione e sostenitori del nuovo ordine (Berlier, Oudot, Guillemot, Duhot). Dunque, anche il terzo progetto mostra di essere superato prima ancora di essere sottoposto alla discussione. Il Comitato di Classificazione è invaso da petizioni di privati che chiedono di emendare la legislazione “terrorista” e di introdurre modifiche molto più radicali di quelle prospettate da Cambaceres. Gli articoli definitivamente approvati sono solo due. A nulla vale la circostanza che il progetto nel terzo libro segni un ritorno all’antico (Cambaceres dichiara di essersi ispirato alle norme della Coutume di Parigi relativamente alla disciplina delle servitù urbane). All’ordine del giorno vi era il diritto di famiglia rivoluzionario ed anche la questione Babeuf e la cospirazione di Brottier che distolsero l’attenzione del Consiglio dei 500. (vedi pag. 532) Cambaceres getta la spugna, ma la sua opera non sarà vana, in quanto ripresa dalla Commissione dei quattro artisans e apprezzata nel suo Discorso Preliminare da Portalis. 4. La reazione prosegue: nuove svolte nel diritto civile e penale Nel diritto civile. Un brusco arresto del processo di codificazione? Il disegno conservatore di ostilità verso il divorzio, di sfavore verso i figli naturali e favore per il testamento, la volontà di affidare al solo marito la gestione del patrimonio familiare assume maggior vigore nel 1797, quando la classe politica inizia ad essere ossessionata da queste questioni. Al quadro della reazione si aggiunge anche l’elemento della reintroduzione del carcere per i debitori insolventi, soppresso nel marzo 1793. In questo lasso di tempo, l’idea di realizzare un codice civile viene accantonata, poiché i deputati sono intenti ad emendare la legislazione del biennio 1793-1794. In un brano, Portalis descrive al meglio la situazione sul codice civile: l’autore compie una virata rispetto alla rotta tracciata dai Giacobini, che volevano un codice ispirato ai soli principi di diritto naturale, e rispetto alle direttive dei Costituenti, che con il codice civile voleva risolvere il problema del particolarismo giuridico. Il corpus iuris, filtrato attraverso il giusnaturalismo, applicato dagli interpreti con le consuetudini, è uno strumento imprescindibile per la società civile; il legislatore deve limitarsi a disciplinare la materia della famiglia e delle successioni. Portalis bolla come velleitario ogni progetto di codificazione, ma sarà poi scelto da Napoleone per concludere l’impresa codificatoria. In seguito al colpo di stato di Fruttidoro (1797), il processo di codificazione riprende il suo corso. Nel diritto penale. Si sentiva l’urgente esigenza di riformare il codice penale del 1791. Per rafforzare l’azione punitiva dello Stato, agli occhi dei deputati è indispensabile potenziarne gli aspetti intimidatori e abolire il principio della temporaneità delle pene. Solo una giustizia esemplare è in grado di porre un freno alle passioni socialmente nocive. Il testo di Lepeletier è giudicato lacunoso, troppo mite e ispirato ad una filosofia utopistica. Le riflessioni di personalità come Pastoret, criminalista che nel 1796, denunciando l’emergenza criminalità, era riuscito a far passare la proposta di punire il delitto tentato alla stregua di quello consumato, e Rousseau, deputato che sottolinea l’importanza del timore di una morte cruenta e disonorevole per frenare i crimini, conducono al ripristino della pena di morte per i rapinatori e i loro complici (ritorno all’ancien regime). Anche il diritto processuale è posto sotto accusa, soprattutto per quanto riguarda l’istituto della giuria: i giurati si lasciano intimidire dagli imputati e o non si presentano al processo oppure assolvono l’imputato per non aver commesso il fatto, soprattutto laddove la sanzione risulti eccessiva rispetto al fatto commesso. Essi sfruttano un sotterfugio offerto dalla legge del 1791: devono porre la question intentionelle, ossia verificare se vi sia o meno l’intenzione di compiere il fatto; essi dichiarano che quest’ultima non c’è stata. Da qui la proposta di punire i giurati che non ottemperano al loro ufficio. Storia del diritto moderno e contemporaneo 52 Per quanto concerne la disciplina della famiglia, il clima post-termidoriano esercita sull’autore suggestioni profonde: figli naturali inferiori rispetto a quelli legittimi, i genitori possono far incarcerare i figli indocili, la donna sposata è priva di capacità d’agire, i nubendi devono ottenere il consenso dei genitori per le nozze, l’adozione è consentita solo a chi non ha figli, il divorzio è disincentivato diritto di famiglia all’insegna della reazione. La proprietà è dichiarata sacra ed inviolabile, ma il suo esercizio deve essere sorvegliato. Target reintroduce l’incarceramento per debiti. Anche secondo l’autore, il legislatore deve servirsi delle pulsioni degli individui per orientarne la condotta: gli esseri umani sono sensibili agli interessi, il legislatore deve entrare nel loro cuore e renderli utili alla società. L’unico criterio è quello dell’utilità. A titolo d’esempio, consideriamo il divorzio. La legittimità dell’istituto non deve essere valutata in termini di giustizia, ma solo sulla base di un calcolo utilitaristico: il divorzio deve essere utile e senza danno. Il Giusto coincide con l’Utile. Il progetto di codice sulle successioni di Guillemot (1799). Guillemot ha fatto parte della Commissione che ha redatto il terzo progetto Cambaceres; nel 1797 predispone un codice di procedura civile e nel 1799 presenta al Consiglio degli Anziani un personale progetto di codice sulle successioni, che propone vigorose misure restauratrici. Egli invoca la reintroduzione della patria potestà, della differenza tra figli naturali e legittimi e del testamento, esibendo una concezione disincantata della natura umana: l’uomo è dominato dall’egoismo e dalla ricerca del piacere, dalle passioni e dall’interesse personale. Al legislatore spetta il compito di sfruttare la cupidigia dell’uomo, a favore dell’interesse pubblico. Guillemot è scettico sulla possibilità di affidare al puro affetto la coesione delle famiglie, per questo predispone il reinserimento del testamento, deterrente ineguagliabile e efficace mezzo persuasivo. Ciò che è fondamentale è ottenere il rispetto dei figli, l’unità della famiglia e la stabilità dello Stato, tutto attraverso il testamento. Guillemot è persuaso che il legislatore possa gestire i sentimenti dell’uomo attraverso l’aumento della quota disponibile in quanto i figli, in previsione di una maggior quota, porteranno rispetto ai padri e miglioreranno se stessi. Laddove il testamento non funzioni, Guillemot attribuisce al pater familia l’arma della diseredazione. 8. Il Progetto Jacqueminot (1799). A poco più di un mese dal colpo di Stato di Brumaio, Jacqueminot, forte dell’appoggio di Bonaparte, che di lui ha grande stima, presenta alla commissione legislativa dei 500 un parziale, ma corposo progetto di codice, con 9 titoli (matrimonio, maggior età e interdizione, minori, donazioni, successioni, rapporti patrimoniali tra coniugi, patria potestà, divorzio, paternità e filiazione), preceduti da un rapporto. Si tratta di piano di codificazione incompleto, non sottoposto a discussione, ma sarà il più importate contributo post-termidoriano alla codificazione civile. Confrontandolo con il code civil napoleonico, notiamo che la maggior parte delle disposizioni sono state lì trasfuse. Il progetto Jacqueminot non è solo un abbozzo di codice, esso è il code civil. Anche Portalis vi farà riferimento nel suo discorso preliminare, menzionando una commissione, i cui utili lavori hanno indirizzato e abbreviato i nostri. Se un anno prima, nel 1798, Jacqueminot, presentando il suo programma, aveva usato toni concilianti, ora, invece, manifesta liberamente il suo pensiero; egli non esita a denunciare che il fanatismo rivoluzionario di un’uguaglianza follemente interpretata ha sconvolto il diritto civile. I tempi nuovi richiedono l’adozione di misure legislative volte a rendere gli uomini virtuosi e più facili da dirigere, allo scopo di garantire, attraverso l’unione della famiglia, la pace dello Stato. L’autore non si limita a sottolineare che il matrimonio vada difeso, come nel 1798, ora egli reclama un termine al divorzio, che ha ridotto il matrimonio ad una sorta di concubinato. Implora il ripristino della patria potestà e dichiara l’importanza dell’istituto del testamento, il mezzo più efficacie per ricompensare la pietà filiale o punire l’ingratitudine. Attraverso il codice si realizzerà l’epurazione dei costumi. Si intravede l’abbozzo di un nuovo disegno di ristrutturazione sociale. Questo per quanto concerne il Rapport, ma anche nel codice si nota la virata conservatrice. Storia del diritto moderno e contemporaneo 55 Es. patria potestà viene reintrodotta la misura del carcere per il minore ribelle. Il ruolo dell’autorità giudiziaria (≠ legge 1790) è nullo: il giudice di pace è obbligato a rilasciare il mandato d’arresto sulla mera richiesta del padre. Es. diritto di testare è elevata la porzione disponibile ad un quarto (≠ Cambaceres, un decimo). Es. condizione della donna incapacità d’agire: non può stare in giudizio senza l’assistenza del marito, non può donare, alienare senza il suo consenso, è obbligata a seguirlo. Trionfo della potestà maritale. Es. divorzio condizioni più gravose per l’ottenimento. Anche Jacqueminot si ispira alla tradizione giuridica francese, attingendo a piene mani dai trattati di Pothier. 9. Riflessioni conclusive A partire dal Termidoro prendono corpo taluni programmi di politica del diritto di ispirazione reazionaria rispetto alla legislazione giacobina. Nella messa a punto della restaurazione giuridica e sociale, i giuristi appaiono profondamente segnati dall’esperienza del Terrore, nell’incubo del quale hanno maturato convinzioni antropologiche pessimistiche. Le teorie degli Ideologues e di Bentham sembrano indicare la via più ragionevole per uscire dalla crisi e porre fine alla Rivoluzione. È proprio in seno alla cultura termidoriana che si prefigurano gli orientamenti autoritari che seguirà il legislatore napoleonico. Possiamo dire che il code civil non è un’opera uscita di getto, ma un progetto che affonda le sue basi nel tempo addietro, nasce da una scala ascendente di progetti. La codificazione napoleonica è spiritualmente iniziata molto prima di quanto si pensi; il suo fondamento risiede nel Termidoro. Capitolo II Il Code Civil (p. 553-589) 1. Napoleone, il ceto dei giuristi e il code civil Il 18 Brumaio dell’anno VIII (1799) si consuma il colpo di Stato. Bonaparte rappresenta per il partito dei philosophique un secondo Washington, destinato a ristabilire l’ordine che il Direttorio non era riuscito a garantire, l’uomo d’ordine aspettato dal 1795. I sostenitori del colpo di Stato cercano nel Generale uno strumento docile e controllabile, attraverso cui consolidare le conquiste repubblicane e porre fine alla Rivoluzione. Essi si illudono, Bonaparte, infatti, rivela un proprio disegno egemonico e diventerà ben presto un autentico dittatore: autocrate geniale, attento alla meritocrazia, ma pur sempre statista e senza scrupoli. Fin dai primi momenti della sua carriera politica, egli comprende l’importanza di legare a sé gli uomini; incanta gli intellettuali dell’Institut e affascina i giuristi. Napoleone sceglie con oculatezza i suoi futuri e fedelissimi legittimatori del nuovo ordine politico. La maggior parte dei suoi giuristi, infatti, presentano lo stesso corredo cromosomico: • Tutti professionisti della giustizia durante l’Ancien Regime • Hanno guardato alla monarchia costituzionale come modello politico ottimale • Durante il Terrore si sono trovati ad un passo dal patibolo • Provano repulsione per le filosofie sulla socievolezza umana e sull’annullamento dell’individuo nell’interesse del tutto. Essi ora ritengono essenziale il ripristino della sicurezza e dell’ordine . Si tratta di Portalis, avvocato durante l’Ancien Regime, imprigionato durante la Convenzione ed esiliato dopo Fruttidoro; Maleville, avvocato al Parlamento di Bordeaux e fautore di una monarchia costituzionale; Bigot de Preameneu, avvocato prima in Bretagna e poi a Parigi; Tronchet, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Parigi, difensore di Luigi XVI. Ricordiamo anche altri giuristi, redattori del code criminelle del 1801, come Target, Viellart, Simeon, Pastoret, per i quali Napoleone rappresenta il capitano della nave venuto a salvarli. Non tutti i giuristi napoleonici, però, sono passati dall’illusione al disincanto. Napoleone chiama presso il Consiglio di Stato o mantiene nelle loro cariche presso il Tribunale di Cassazione alcuni giuristi compromessi con la rivoluzione: Merlin, Cambaceres, Berlier, Oudot, i quali, tuttavia, all’indomani del Termidoro, mostrano le vesti di reazionari convinti. Tra i giuristi e Napoleone si creerà ben presto una salda alleanza: programmi collegati, identica volontà di terminare la Rivoluzione e gestirne l’eredità. Napoleone sta edificando il progetto autoritario di istituzionalizzazione del proprio potere, i giuristi, invece, reclamano la restituzione del loro ruolo sociale Storia del diritto moderno e contemporaneo 56 perso con la Rivoluzione e sollecitano il ripristino della tradizione (patria potestà, potestà maritale, testamento) → chiedono il ribaltamento della libertaria legislazione giacobina. Le rispettive aspirazioni di costoro convergono nell’idea di code civil: • Per Napoleone il codice costituisce un imprescindibile strumento per governare ed un mezzo di glorificazione del proprio trionfo; • Per i giuristi, esso è visto come un inestimabile monopolio di ceto. Esso significa ordine, stabilità, consacrazione dei nuovi assetti della ricchezza e salvataggio della tradizione. Il codice non costituisce il ritorno all’antico ordine, ma suggella le prime conquiste della Rivoluzione; racchiude di positivo e di utile la Rivoluzione ha portato, come i postulati di libertà e uguaglianza (poi rinnegati di fatto da Napoleone, che reintrodurrà la schiavitù delle colonie, istituirà il maggiorasco, permetterà al potere esecutivo di segregare per un anno individui che si ritiene non opportuno far giudicare ai tribunali, emanerà un decreto discriminatorio contro gli ebrei). La formula codice intende realizzare un compromesso tra tradizione e rivoluzione, normalizzar una società ossessionata dall’incubo di una mobilitazione rivoluzionaria permanente. 2. La formazione del codice civile napoleonico Come osservato dal Costa, il codice civile è destinato a divenire il perno dell’ordine giuridico francese e il caso più riuscito di intervento legislativo moderno, una regolamentazione coerente ed uniforme di tutti i rapporti intersoggettivi nell’ambito del suo territorio. La nomina della Commissione. Il 12 agosto del 1800 Napoleone incarica una commissione composta da Tronchet, Bigot de Preameneu, Portalis, Maleville, di approntare il più velocemente possibile il codice civile: questa ha a disposizione quattro mesi scarsi, ma attinge dai progetti elaborati fino a quel momento, in particolare il progetto Jacqueminot. Per quanto riguarda i commissari, essi svolgono un ruolo di altissimo livello nell’ambito della magistratura: Tronchet è presidente del tribunale di Cassazione, Portalis è, invece, commissario al Consiglio delle Prede. La scelta dei quattro assi del diritto non è casuale; risponde all’esigenza di conciliare la tradizione giuridica dei paesi di diritto scritto con quella dei paesi di diritto consuetudinario. Tronchet e Bigot difendono gli interessi dell’esperienza coutumiere, mentre Maleville e Portalis quelli della tradizione romanistica. Il progetto dell’anno IX. Nel 1801 il progetto è pronto, ripete la tripartizione giustinianea ed è composto da circa 2400 articoli. Le aspirazioni dei post-termidoriani sono esaudite: il diritto di famiglia è concepito all’insegna della restaurazione (restaurata la patria potestà, la moglie è sottomessa al marito, i figli naturali sono posti in una condizione di inferiorità rispetto a quelli legittimi, l’adozione non è ammessa, il divorzio è concesso solo per le cause determinate dalla legge). L’ultima disposizione del progetto affronta il problema del rapporto tra il codice ed il diritto anteriore – diritto romano, ordinanze, consuetudini, statuti, regolamenti – che, nelle materie disciplinate dal codice, si considera abrogato. Si tratta di una norma importante, trasfusa nella legge del Ventoso, anno XII. Per quanto concerne le soluzioni tecnico-giuridiche, i commissari si sono ispirati a Pothier, Domat, Bourjon, ma anche ad opere concepite per la prassi. Per quanto riguarda le fonti legislative, oltre al droit intermediaire, sono state considerate anche le Ordonnances. Dal Consiglio di stato al Corpo legislativo. L’iter legis previsto dalla Costituzione prevede la discussione del progetto di legge presso il Consiglio di Stato sotto la direzione dei Consoli; il testo passa poi al Tribunato, composto da 100 membri, che si limita a discuterlo e ad esprimere un parere; infine al Corpo Legislativo, 300 membri, che lo approva o respinge, senza poterlo modificare. Il ruolo del Consiglio di Stato è fondamentale: qui il progetto viene ampiamente discusso, limato (l’opera di revisione è agevolata dalle osservazioni fatte pervenire al Governo. Ricordiamo quelle inviate dalla Cassazione, che richiede l’introduzione dell’adozione, l’ammissibilità del divorzio per incompatibilità di umore e carattere, l’accoglimento della diseredazione). Storia del diritto moderno e contemporaneo 57 l’equità a cui faceva riferimento era un’equità legale, ossia ricavata dalla legge. L’art. 4 era inquadrato, dunque, in un’ottica legalistica, che avrebbe portato al decollo il positivismo giuridico. Bobbio scrive che l’art. 4, considerato isolatamente, fu interpretato in modo totalmente diverso, nel senso che si dovesse ricavare sempre dalla legge la norma per risolvere qualsiasi controversia. Nonostante non pochi interpreti cercarono di contrastare tale approdo, la concezione statualistica che vedeva nel codice la fonte esclusiva di regolazione dei rapporti interprivati ebbe qui la sua consacrazione. 6. Il diritto di famiglia e delle successioni Lo spirito della Rivoluzione si era nutrito di odio nei confronti di due istituti cardine della famiglia di stampo patriarcale: la patria potestà, posta sotto accusa come potere dispotico in grado di soffocare i figli, e il testamento, visto come strumento di ricatto, impiegato dal padre per tenere a freno i figli con la minaccia della diseredazione e capace di creare inique disparità nella cerchia dei discendenti. Dietro questa offensiva vi era una politica volta a moltiplicare la piccola proprietà e ad eguagliare le fortune moltiplicando i successibili e a vedere nel figlio ribelle il giovane patriota, mentre nel padre autoritario un nemico della Rivoluzione. Erano stati travolti nella Rivoluzione i privilegi successori d’ancien regime, la patria potestà, quella maritale ed era stato anche accolto il divorzio, ammesso, oltre che nei sette casi previsti dalla legge, anche per mutuo consenso o incompatibilità di carattere o per separazione di fatto superiore a 6 mesi. Nel codice civile del 1804 si ritrovano sì il matrimonio civile, il divorzio, il divieto di diseredazione, il principio di uguaglianza successoria dei figli ed il diritto di costoro ad una quota legittima sul patrimonio ereditario; tuttavia, ci si accorge subito del fatto che Napoleone ed il suo entourage hanno: • restaurato l’istituto della patria potestà tramite d’autorità tra società e individuo, torna ad essere un complesso di poteri direttivi e correttivi, che agiscono come una sorta di magistratura, tanto che il padre ha il potere di far incarcerare i figli ribelli (il figlio è soggetto all’autorità paterna fino alla maggior età, 21 anni, o all’emancipazione; non può abbandonare la casa senza il suo consenso salvo il caso di arruolamento volontario. Tra i mezzi correttivi vi sono il carcere fino a un mese per il minore di 16 anni, oltre tale età fino a 6 mesi. In entrambe le ipotesi non sono previste formalità giudiziali, il padre sarà tenuto solo a sottoscrivere un atto in cui si impegna a provvedere alle spese e agli alimenti del figlio), deve dare la propria autorizzazione affinchè il figlio, minore di 25 anni, possa sposarsi (dopo la maggior età matrimoniale – 21 per le femmine, 25 per il maschio – è richiesto fino ai 30 anni il consiglio dei genitori tramite atto formale rinnovato due volte in caso di opposizione). • fatto rinascere il testamento , tanto che il codice riconosce al padre la facoltà di disporre liberamente di una quota del proprio patrimonio: con questo ripristino della quota disponibile, viene riconosciuta al padre la facoltà di premiare i figli virtuosi e punire quelli snaturati. Il riconoscimento dei figli naturali, in quanto figli fuori dalla famiglia, non viene certo favorito, in quanto la società, dice Napoleone, non ha interesse a che i “bastardi” vengano riconosciuti. Di qui una serie di svantaggi sul piano successorio (i figli naturali non sono eredi, ma se riconosciuti hanno diritto solo ad un terzo della quota spettante ad un figlio legittimo). Anche la disciplina del divorzio viene ridimensionata, tanto che esso – male necessario e rimedio estremo – viene ammesso solo in pochissimi casi tassativamente determinati dalla legge (es. sevizie, ingiuria grave; condanna a pena afflittiva o infamante; adulterio). È mantenuto il divorzio per mutuo consenso, ma con molte cautele e limiti atti a scoraggiare lo scioglimento del vincolo: es. può richiedersi dopo due anni di matrimonio ed è escluso dopo 20 anni, è necessario il consenso dei genitori da manifestarsi per quattro volte durante l’anno. La potestà maritale, infine, viene rimessa sul piedistallo di sempre e riconsegnata all’uomo, quale capo assoluto del governo familiare disparità tra i sessi. L’obbedienza della moglie al marito è un omaggio reso al potere che la protegge (Portalis). La moglie è incapace d’agire, non può avere domicilio diverso da quello del marito, che amministra beni e costumi di lei. La donna ha bisogno di protezione perché più debole, il marito è libero perché più forte. Obbligo di fedeltà reciproca il codice prevede che il marito possa chiedere il divorzio invocando l’adulterio della moglie, lei solo se il coniuge ha introdotto una concubina in casa. La adultera potrà essere rinchiusa in una casa di correzione. Storia del diritto moderno e contemporaneo 60 Questo rigore austero e questo autoritarismo sono finalizzati al rafforzamento dello stato che, potendo poggiare sull’autorità dei padri di famiglia, può contare su di loro per supplire alle leggi, preparare all’obbedienza e mantenere la pubblica tranquillità. Le rigorose strutture gerarchiche della famiglia napoleonica non sono pensate nel presupposto che i membri della famiglia siano mossi da sentimenti altruistici, ma sono pensate – con un grande pessimismo antropologico – nel presupposto che tutti i membri della famiglia siano spinti unicamente dall’interesse. Di qui la concezione, presa dagli Ideologues, che il legislatore possa servirsi del fatto che l’uomo guarda solo all’interesse per giungere al bene comune. L’idea è quella della infantilizzazione dei governati. 7. La disciplina della proprietà Essa rappresenta il fulcro dell’intero codice, che definisce la proprietà come il diritto di godere e disporre delle cose nella maniera più assoluta (art. 544). La Dichiarazione dell’89 la qualificava quale diritto inviolabile e sacro; idea che riecheggia nei verbali preparatori del codice. Sembra che si voglia assolutizzare nella proprietà non solo la manifestazione fisica della libertà, la condizione dell’esistenza, ma anche la credenziale per l’esercizio della funzione pubblica primaria, poiché sono i proprietari a scegliere i governanti. Nel 1804 Portalis qualifica la proprietà come elemento costitutivo dell’essere umano, diritto fondamentale su cui si fondano tutte le istituzioni; infatti, le persone stesse, anche nell’ambito del diritto di familia, sono concepite solo sotto un profilo patrimoniale. Tuttavia i giuristi non la concepiscono come un primordiale diritto naturale che lo Stato deve riconoscere in quanto ad esso preesistente. Essa nasce dal lavoro dell’individuo in seno alla società civile organizzata ed è concepita da una legge che la genera, e garantita da uno Stato che la protegge, la regola e la limita, tanto che il codice, dopo aver asserito che il privato può godere e disporre dei suoi beni nella maniera più assoluta, continua dicendo che tutto ciò è valido, purché di essa non se ne faccia un uso proibito dalle leggi o dai regolamenti (lo Stato può limitare o vietare talune forme di utilizzazione dei beni). Qualificando la proprietà come summa unitaria del potere di godere e di disporre, il codice intende escludere ogni possibile rinascita del tradizionale regime signorile di dominio sulla terra. Nazionalizzate le proprietà confiscate al clero, il governo rivoluzionario le aveva vendute a piccoli lotti; si realizzava così una trasformazione della natura giuridica dei beni. Sono, dunque, proprio gli acquirenti dei beni nazionali, che il codice vuole rassicurare proclamando l’assolutezza del diritto di proprietà. 8. Il Contratto Per quanto riguarda il diritto delle obbligazioni e la disciplina dei contratti, anche qui ci troviamo di fronte ad un celebre articolo art. 1134, in cui il XIX sec. avrebbe scorto la magna charta della libera iniziativa economica privata. Asserendo che le convenzioni formate legalmente hanno forza di legge nei confronti di coloro che le hanno poste in essere, l’articolo sembra voler dire che sia la volontà dei privati, e non la legge, a dare forza vincolante al contratto ed è norma tra le parti. Alla sua origine, tuttavia, questo articolo non è concepito come enunciazione dell’autonomia e della forza giuridica creativa della volontà dei privati, in quanto ciò che ispira i suoi redattori è piuttosto il principio che i contratti, stipulati legalmente, cioè nei termini richiesti dalla legge dello Stato, obbligano le parti a rispettare gli impegni assunti. Allo scopo di far rientrare il commercio nell’alveo dell’onestà, occorre che lo Stato munisca i contratti tra privati della stessa forza costrittiva della legge il contratto legalmente formato è emanazione della legge. Nell’intuizione dei redattori del code, il contratto trae la sua forza dalla legge e non dalla volontà delle parti: ai privati è concessa la libertà di contrarre, ma il loro impegno è reso obbligatorio dalla legge statuale. Il contratto impegna i contraenti a rispettare oltre ciò che hanno voluto anche tutti gli effetti che l’equità, gli usi o la legge riconnettono alle obbligazioni. Nemmeno nell’ambito degli scambi, Napoleone intese lasciare la società civile a se stessa: la filosofia del code era quella di incanalare nelle leggi la volontà dei privati, perché senza leggi le ingiustizie non avrebbero avuto freni. 9. L’emersione del principio del consenso traslativo Storia del diritto moderno e contemporaneo 61 Nell’ambito della disciplina delle obbligazioni e dei contratti, è opportuno soffermarsi su una disposizione; art. 1138 per cui “l’obbligazione di consegnare la cosa è perfetta col solo consenso dei contraenti. Ciò costituisce il creditore proprietario e la cosa è nel di lui pericolo dal momento in cui dovrebbe essere consegnata; se il debitore è in mora della consegna, il rischio ricade su quest’ultimo”. Secondo il legislatore napoleonico, infatti, la proprietà può essere trasferita solamente per mezzo del consenso manifestato dalle parti. Questo principio del consenso traslativo, ribadito nell’ambito con riguardo agli effetti della compravendita, tuttavia, sarebbe già stato operante in Francia al momento della codificazione del codice, tanto che il legislatore si sarebbe limitato a consacrarlo nel suo testo (la vendita è perfetta, benché la cosa venduta non sia stata ancora consegnata e che il prezzo non sia stato ancora pagato…il contratto è sufficiente ). Questa idea si poteva riscontrare già nel pensiero di Pufendorf e Grozio. Nei principi del nostro diritto francese il contratto è sufficiente a trasferire la proprietà…Va tenuto presente che la disciplina della circolazione dei beni nell’ancien regime in Francia era molto articolata. Nei paesi di diritto scritto e in molti di diritto consuetudinario, la traslatio dominii avveniva dando per avvenuta la consegna della cosa attraverso l’inserimento nel contratto di una clausola di spossessamento (traditio ficta), a Nord con l’iscrizione nei pubblici registri, in altre regioni di diritto consuetudinario il trasferimento avveniva attraverso un’investitura signorile. Se la maggior parte della dottrina concepiva l’elemento della consegna come essenziale per la produzione dell’effetto reale, alcuni giuristi nelle aree di d. consuetudinario compivano un passo avanti, proclamando la piena efficacia del consenso e scagliandosi contro le disposizioni di d. romano. Queste posizioni emerse nell’ancien regime saranno accolte da Target e Cambaceres nei loro progetti di codice e dallo stesso Portalis. 10. Le radici filosofiche del code civil: alcuni aspetti problematici Occorre rispondere a due interrogativi: • In che misura i giuristi coinvolti nell’opera della codificazione si sono lasciati condizionare dalle concezioni filosofiche circolanti durante il Direttorio? I giuristi si sono persuasi del fatto che il legislatore debba conoscere l’essere umano in ogni suo aspetto, come un medico che prima di curare deve conoscere perfettamente la costituzione fisiologica dell’uomo. Viene recuperato il modello antropologico degli Ideologues: l’uomo è un essere sensibile, soggiogato dalle passioni e mosso dagli interessi. Al legislatore spetta il compito di dirigere accortamente queste passioni egoistiche verso l’interesse generale, come raccomandava lo stesso Bentham. Il vero segreto del legislatore sta ne fare in modo che il cittadino che obbedisce alle leggi creda di obbedire alla sua volontà. Dunque, proprio perché sono convinti di conoscere la sensibilità dell’uomo, i giuristi impegnati nella codificazione sono persuasi di poter orientare la condotta dei destinatari delle norme facendo leva sul sistema delle pene e delle ricompense; è per questo che la disponibile rappresenta, nelle mani del padre, lo strumento per eccellenza attraverso cui educare i figli. Tra i giuristi del code civil, dunque, non si respirano certo tendenze antropologiche spiritualistiche; lo stesso Portalis si lascia condizionare, quando sulla discussione in Consiglio relativa alle successioni mostra di condividere le posizioni degli Ideologues (“il diritto di disporre nelle mani del padre è anche uno strumento di ricompensa”). Da un lato Portalis, come Cambaceres, disapprova la vulgata degli ideologique, dall’altra sembra subirne l’influenza. Come spiegare ciò? È probabile che i tecnici del diritto napoleonici reinterpretassero il pensiero degli Ideologues e dello stesso Bentham compiendo una sorta di impasto. • Qual è stato il peso di altre culture più risalenti? L’idea che l’uomo sia stato dominato dall’interesse e che il legislatore debba sfruttare tale interesse per giungere a realizzare il bene comune, si radica in realtà in una tradizione culturale più risalnete, appartenente al pensiero di Port Royal, Pascal e Domat. Secondo costoro, infatti, l’uomo è dominato dall’amor proprio, sentimento sul quale far leva per conseguire finalità positive. Questa idea era comune anche all’empirismo di Hume, alla concezione di Helvetius e D’Holbach. Questa concezione del ruolo dell’amor proprio ha fatto presa su alcuni giuristi francesi precedenti alla Rivoluzione, che parlano di taluni concetti che Napoleone e i suoi poi riprenderanno. Una sorta di filo rosso sembra, dunque, legare la cultura d’ancien regime alla Rivoluzione e all’età napoleonica. Storia del diritto moderno e contemporaneo 62 Formazione del codice e problema della giuria. La necessità di assicurare stabilità all’ordine sociale e politico induce il legislatore ad una revisione della procedura criminale. ↓ Come? Attraverso il recupero di alcuni elementi di efficienza propri del rito criminale d’ancien regime e ridimensionando istituti e principi rivoluzionari. Con il Code Pénal condivide autori, origine e lungo periodo di incubazione. Nel 1802 passa al vaglio della magistratura, rielaborato dalla sezione di legislazione del Consiglio di Stato e approvato dal Corpo Legislativo. Viene promulgato nel 1808 ed entra in vigore nel 1811. Le vicende della sua approvazione sono molto travagliate. Terreno di scontro è soprattutto quello della giuria popolare. • Da un lato ci sono i fautori dell’abolizione di tale strumento di partecipazione dei cittadini all’amministrazione della giustizia criminale. Essi sostengono che il juri non abbia dato gran prova di sé; nel periodo del Terrore fu l’emblema della giustizia popolare amministrata dai tribunali rivoluzionari, sul piano della giustizia ordinaria, invece, fu elemento di disfunzione del sistema repressivo. Tuttavia, il giudizio rimase positivo anche nel clima post-termidoriano; il codice Merlin aveva mantenuto sia la giuria d’accusa che di giudizio. Con il regime napoleonico, il Consolato elimina tutto ciò che è d’ostacolo al ripristino della legalità e dell’ordine. Napoleone dispone una limitazione all’uso di tale istituto; fa approvare leggi eccezionali che sottraggono al juri, affidandola a tribunali speciali, la repressione di crimini di rilievo sul piano dell’ordine pubblico o commessi da certi soggetti – vagabondi, impone una riforma costituzionale che permetta al senato di sospendere per cinque anni l’attività dei giurati. • Dall’altro, c’è chi ritiene opportuno il suo mantenimento. La presentazione di un progetto che mantiene il juri nelle due forme provoca tensioni. Nel 1803, il tribunale di Cassazione esprime riserve sull’opportunità di mantenere un istituto che ha provocato il risultato dell’impunità dei maggiori crimini. Anche il ministro della Giustizia ne giustifica la necessità dell’abrogazione. Nel 1804, il progetto passa in Consiglio di Stato; il dibattito sulla giuria occupa una posizione centrale. Avversari Portalis, Bigot de Preameneu. Sono uomini segnati negativamente dall’esperienza della rivoluzione. Sottolineano i risultati negativi a cui la giuria ha condotto; consigliano l’introduzione del principio della pubblicità dei giudizi. Anche Napoleone interviene nel dibattito evocando il triste ricordo dei tribunali rivoluzionari. Difensori coloro che avevano fatto parte delle assemblee rivoluzionarie. Sostengono che i difetti della giuria sono compensati dai vantaggi; essi non dipendono dall’istituto, ma dal fatto che questo non abbia mai operato in condizioni di normalità. Solo la giuria è compatibile con il principio della certezza morale; i giudici formalizzerebbero il canone dell’intime conviction entro un complesso di regole precostituite, riproducendo l’antico sistema delle prove legali. Il partito degli abolizionisti è costretto a soprassedere; al termine della prima seduta è decretato il mantenimento dell’istituto. Nel 1808, il dibattito sulla giuria giunge ad un compromesso suggerito da Cambaceres. Il Consiglio di Stato dispone il mantenimento della sola giuria di giudizio (membri estratti a sorte da una lista), mentre le funzioni del juri d’accusa sono assunte da una Chambré de conseil istituita presso ciascuna corte d’appello e composta da tre magistrati togati. È resa stabile l’istituzione dei tribunali speciali. Caratteri della procedura penale napoleonica. L’accomodamento circa la questione della giuria conferma la natura transattiva del processo penale. Ricordiamo, inoltre, che la struttura del codice è bifronte; i due momenti che scandiscono la procedura Storia del diritto moderno e contemporaneo 65 possono essere ricondotti a modelli distinti fase istruttoria (ispirata ai canoni del processo inquisitorio), fase dibattimentale (ispirata ai canoni della procedura accusatoria). I codificatori del 1808 hanno delineato i tratti distintivi di quello che sarà il processo “misto” adottato tra ‘800 e ‘900 in Europa. Recupero del modello inquisitorio. 1. Istruzione preparatoria segreta e senza contradditorio; attivata dal procuratore pubblico e condotta dal giudice istruttore. ↓ Questo ha la facoltà di interrogare l’imputato, ma non è tenuto a comunicargli l’esito delle attività già svolte; può tenergli nascosti i fatti di cui è accusato. Interroga i testimoni senza che l’imputato possa interloquire. Prevale la segretezza sulla pubblicità. Solo nella fase dibattimentale l’imputato può chiedere una copia della documentazione istruttoria. 2. Principio della scrittura. Il codice dispone l’obbligatoria verbalizzazione degli interrogatori dei testimoni. La Chambré de conseil delibera l’accusa sulla base della sola lettura dei verbali istruttori e delle conclusioni del procuratore pubblico 3. Assenza di un difensore; il suo intervento è previsto solo dalla fase dibattimentale ≠ dall’Ordonnance criminelle che, in casi eccezionali, permetteva l’intervento di un avvocato dopo l’interrogatorio. Il dibattimento conferma le garanzie introdotte dalla legislazione rivoluzionaria. 1. Oralità; audizione dei testi e discussione delle parti, condotta dal presidente della Corte. Udienze pubbliche, pena la nullità. 2. Valgono i principi della difesa tecnica e del contraddittorio; l’imputato e il suo difensore possono introdurre i testi a discolpa e controinterrogare quelli a carico. Durante la discussione finale replicano alle conclusioni dell’accusa, hanno diritto all’ultima parola. Dopo il riassunto della questione da parte del presidente, i 12 giurati decidono inappellabilmente sul fatto, a maggioranza secondo il principio del libero convincimento. Istruzione funzionalità repressiva. Dibattimento tutela dei diritti dell’imputato. Tuttavia, la distinzione delle due fasi del processo è meno netta di quanto si pensi. Il codice consente l’utilizzo della documentazione istruttoria per contestare ai testimoni difformità con le dichiarazioni rese in udienza; rimuove il divieto di lettura delle deposizioni istruttorie dei testimoni assenti, autorizzando, così, l’ingesso nel dibattimento di materiali probatori precostituiti non suscettibili di verifica in contradditorio. ↓ Preponderanza della procedura scritta, l’esito è spesso pregiudicato dall’opera del giudice istruttore. Indebolimento delle garanzie processuali sia rispetto alle conquiste rivoluzionarie (es. detenzione preventiva obbligatoria per i presunti autori di crimini e i vagabondi), sia rispetto all’ancien regime (es. le ipotesi di nullità degli atti processuali per inosservanza degli obblighi di forma nel codice sono meno numerose che nell’Ordonnance di Luigi XIV). Si parla di transazione mantenimento di alcuni principi rivoluzionari per rendere tollerabile la virata verso una procedura concepita nell’ottica della repressione. 3. Il codice di procedura civile (1806) È il codice meno discusso in seno al Consiglio di Stato e, secondo i contemporanei, quello redatto più in fretta, anche se su tale materia i rivoluzionari si erano soffermati a lungo. Nel 1790 il sistema viene, infatti, innovato all’insegna della razionalizzazione e dello snellimento del processo; i gradi di giurisdizione sono ridotti a due, vengono creati i giudici di pace, che, per le materie che eccedono la loro competenza, hanno l’obbligo di procedere al tentativo di conciliazione, si predispone la condizione di ammissibilità della domanda e dell’eventuale appello, è accolto l’arbitrato. Sono introdotti elementi garantistici come il principio di pubblicità e gratuità del processo, l’obbligo di motivazione della sentenza. Storia del diritto moderno e contemporaneo 66 È istituito il tribunale di Cassazione. Nell’attesa della redazione del codice, i costituenti mantengono in vigore l’Ordonnance civile del 1667 e i regolamenti successivi. Nell’ottobre del 1793 si ritiene opportuno semplificare la giustizia civile; il processo deve svolgersi nel modo più rapido possibile, senza avvocati, entro un mese, con delibera del giudice in pubblico ad alta voce. Ogni aspetto tecnico-giuridico viene semplificato: • gli atti introduttivi sono sostituiti da essenziali memorie; • la citazione è sostituita dalla notificazione di un semplice atto con l’indicazione dell’oggetto, dei motivi della domanda, il tribunale competente; • è posto il divieto di Ius Novorum in appello.. L’applicazione di tale legge si rivela un fallimento. Dopo il Termidoro, il cammino verso la codificazione riprende. Nel 1797 viene realizzato da Guillemot il testo di un nuovo codice in 900 art. i lavori del progetto si arenano, ma saranno presi in considerazione dai codificatori. Nel 1800 i Consoli emanano dei provvedimenti significativi sul processo civile reintroducono l’avvocato, aboliscono il principio di elettività del giudice, richiamano in vigore l’Ordonnance civile. Nel marzo 1802 è nominata una commissione governativa per redigere il codice, composta da 4 magistrati ed un professore, Pigeau. ↓ Il suo contributo consiste in un’opera di coordinamento tra le fonti della procedura dell’Ancien Regime e la legislazione dei costituenti. L’impianto sistematico da lui proposto non è accolto nel codice del 1806; egli desidera illustrare l’impianto e i fondamenti teorici della procedura. Tuttavia, questa scelta didascalica sarà bocciata dai codificatori, ma di gran lunga apprezzata dalla Cassazione. Pigeau propone, invano, una parte generale del codice, con forti analogie rispetto all’operato di Portalis. Dal 1805 il progetto della commissione è discusso in Consiglio, che lo suddivide in 6 leggi. Il codice entra in vigore il primo gennaio del 1807. Veste formale del codice due parti: 1) procedura davanti ai tribunali, ripartita in 5 libri, 2) procedure diverse, “speciali”, in 3 libri. Contenuto tre tipi di procedimento. • Il procedimento davanti al giudice di pace , dicono i critici, si ispira al processo sommario di diritto comune, incentrato sull’udienza in contradditorio orale delle parti. Per le materie non di competenza del giudice di pace, dei tribunali di commercio o che il codice non eccettua dall’esperimento di conciliazione, il giudice di pace svolge una funzione di conciliazione. Se non riesce in questo intento, invita le parti a farsi giudicare dagli arbitri e se queste rifiutano le rimette al tribunale civile. • Il procedimento davanti ai giudici di primo grado. I tribunali inferiori fungono da tribunali d’appello per le sentenze del giudice di pace. Tale procedimento è incentrato sul principio della scrittura, con momenti di oralità (l’arringa segna la fase orale). La trattazione termina dopo che le parti hanno esaurito le loro produzioni e gli atti sono rimessi al giudice per la decisione. Se si decide di deliberare senza assumere prove, il dibattimento è orale tout-court; la decisione deve essere preceduta dalla relazione di uno dei giudici e dalla discussione orale delle parti. C’è l’obbligo di munirsi di un avvocato – ma ci si può anche difendere da soli – le udienze sono pubbliche, le sentenze motivate. • I procedimenti speciali sono previsti in caso di divorzio o separazione. Si mantiene il tentativo di conciliazione e l’arbitrato. I giuristi napoleonici hanno fatto degli innesti tratti dalla legislazione rivoluzionaria sul tronco della procedura d’ancien regime. Il Petronio nota come tali scelte non siano diverse da quelle di Portalis, che aveva dichiarato di innovare senza sovvertire. Storia del diritto moderno e contemporaneo 67
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