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Psicologia Sociale Brown approfondito, Appunti di Psicologia Sociale

riassunto approfondito del libro di Brown &quot;Psicologia sociale&quot;<br />

Tipologia: Appunti

2010/2011
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Caricato il 27/10/2011

umbo7
umbo7 🇮🇹

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Scarica Psicologia Sociale Brown approfondito e più Appunti in PDF di Psicologia Sociale solo su Docsity! PSICOLOGIA SOCIALE DEI GRUPPI – Rupert Brown- CAP. 1: LA REALTA’ DEI GRUPPI 1: Concetto di gruppo Ci sono diversi significati associati alla parola “gruppi”: • per alcuni, la caratt più importante è l’esperienza di un destino comune; • per altri l’elemento chiave è l’esistenza di una struttura sociale formale o implicita, di solito sottoforma di relazioni di status o di ruolo. Es/la Famiglia: un gruppo in cui i suoi membri hanno fra loro delle relazioni ben definite, di solito accompagnate da precise differenze di potere e di status; • altri ancora pensano che i gruppi siano composti da individui in interazione faccia a faccia. La 2 e la 3 definizioni sono applicabili ai piccoli gruppi ed escludono categorie sociali su larga scala come i gruppi etnici, la classe sociale o la nazionalità. L’essere parte o meno ad una di queste categorie influenza il comportam delle persone. Ciò ha portato alcuni autori a proporre una definizione di gruppo più soggettiva nei termini dell’autocategorizzazione delle persone: un gruppo esiste quando 2 o + individui percepiscono se stessi come membri della medesima categoria sociale (TURNER). Qsta definizione però non considera il fatto che l’esistenza dei gruppi è normalmente nota alle persone. Va aggiunto quindi che un gruppo esiste quando 2 o + individui definiscono se stessi come membri e quando la sua esistenza è riconosciuta da almeno un’altra persona. 2: La relazione tra l’individuo e il gruppo ALLPORT ha definito il problema dei problemi della psicologia sociale quello della natura della relazione dell’individuo col gruppo. La domanda di fondo è: c’è qualcosa nei gruppi di + della somma degli individui che li compongono? Egli scriveva che non esiste una psico dei gruppi che non sia fondamentalmente ed interamente una psico degli individui. Qsta osservazione era rivolta ad alcuni suoi contemporanei che sostenevano che i gruppi hanno delle capacità mentali che non sono consapevoli di avere i membri. Sia LE BON sia McDOUGALL parlano di una folla dotata di una mente di gruppo che la induce a compiere azioni che sarebbero considerate impensabili dai singoli membri presi individualmente. Il punto fondamentale di ALLPORT è che un termine come mente di gruppo non potrebbe essere sottoposto a verifica indipendente; non è possibile osservare qsta entità che si suppone sia dotata di consapevolezza separatamente dagli individui che la compongono. Egli rimase sempre un individualista, credeva che i fenomeni di gruppo potessero essere ricondotti in definitiva a processi psicologici individuali. MEAD, poi SHERIF, ASH e LEWIN hanno messo in rilievo il carattere reale e distintivo dei gruppi sociali, ritenendoli dotati di proprietà uniche che emergono dalla rete di relazioni tra i singoli membri. ASH fa un’analogia con l’acqua: essa è composta da idrogeno e ossigeno, tutte e due elementi che presi singolarmente sono molto diversi dall’acqua. La loro unione, H2O forma una cosa diversa. Quando qsti stessi elementi vengono sono organizzati in modo differente, producono sostanze dotate di caratteristiche molto diverse tra loro,come il ghiaccio, il vapore, l’acqua. Quindi H2O non è la sola aggregazione dei suoi elementi ma è determinato dalla loro combinazione. Allo stesso modo avviene per i gruppi: “abbiamo bisogno di una concezione dei processi di gruppo che conservi la primaria realtà dell’individuo e del gruppo, ovvero dei due ruoli permanenti di tutti i processo sociali. Dobbiamo poter considerare le forze di gruppo come il risultato delle azioni degli individui poiché posseggono delle azioni che sono funzione delle forze di gruppo che essi stessi hanno creato.” Sia per ASH sia per SHERIF la realtà dei gruppi emerge dalle percezioni comuni che le persone hanno di se stesse in qualità di membri della medesima unità sociale e nelle varie relazioni reciproche all’interno di tale unità. Collegati a qste percezioni ci sono vari prodotti del gruppo come slogan, norme e valori, e anche qsti possono venir interiorizzati e assumere di conseguenza la funzione di guida dei singoli individui. 3: Il continuum “interpersonale-gruppo” TAJFEL sottolinea l’importanza di distinguere il comportam interpersonale dal comportamento in situazioni di gruppo. Per capire qsta distinzione ha introdotto 3 criteri: 1. è la presenza o l’assenza di almeno 2 categorie sociali chiaramente identificabili, per es: nero e bianco, uomo e donna, lavoratore o datore di lavoro. 2. è il grado di variabilità, bassa o alta, negli atteggiamenti o nel comportamento delle persone che si trovano all’interno di ciascun gruppo. Il comportamento intergruppi è normalmente omogeneo e uniforme mentre quello interpersonale è caratt dalla gamma normale di differenze individuali. 3. è il grado di variabilità negli atteggiamenti e nel comportamento di un individuo nei confronti dei membri degli altri gruppi. PAGE 43 La stessa persona si comporta in modo simile nei confronti di numerose altre persone differenti oppure mostra una riso differenziata? TAJFEL colloca tutto il comportamento sociale lungo un continuum che va dalla polarità intergruppi alla polarità interpersonale. Nel primo caso l’interazione è considerata determinata dall’appartenenza ai vari gruppi e dalle relazioni tra loro; nel secondo caso, dipende dagli individui, dalle caratt personali e dalle relazioni interpersonali. TURNER vede il concetto di sé formato da 2 elementi: • l’identità personale: si riferisce ad autodescrizioni sulla base delle caratteristiche individuale, per es/ “sono un tipo amichevole” oppure “sono un amante del blues”; • l’identità sociale: denota descrizioni in termini di appartenenza a categorie, per es/ sono una donna, oppure, sono un tifoso del milan. Ciò delinea l’idea secondo cui l’appartenenza ad un gruppo è parte dell’identità delle persone. Essa permette di attribuire un significato a diversi comportam degli individui nei confronti di altri gruppi e ci fa comprendere come mai i membri di un gruppo mostrino di frequente una uniformità di atteggiamenti e comportamenti. La motivazione a tale uniformità deriva dal fatto che gli individui, nel definirsi come membri di un gruppo particolare, stabiliscono un’associazione tra se stessi e i vari attributi e le norme comuni che sperimentano nel far parte di quel gruppo. In tal modo gli individui di un gruppo vedono i membri di altri gruppi in modi stereotipati e vedono se stessi come esseri relativamente intercambiabili con gli altri nel proprio gruppo. Per illustrare qsta distinzione interpersonale-gruppo possiamo usare i risultati di 2 esperimenti. Il primo esempio è tratto da uno studio condotto da DOISE, DESCHAMPS e MEYER: a dei bambini veniva chiesto di osservare una serie di foto di ragazzi e successivamente di ragazze. Davanti ad ogni foto i bimbi dovevano scegliere in un elenco di aggettivi quelli che meglio si applicavano all’immagine in questione. Nella condizione sperimentale i bimbi sapevano fin dall’inizio dell’esistenza di due serie di foto; il gruppo di controllo invece no, quindi la seconda serie di foto giungeva inattesa. Si può ipotizzare che la variabile genere fosse meno saliente per i bimbi nell’effettuare la prima serie di valutazioni. La seconda condizione di controllo potrebbe essere classificata come + interpersonale della prima, considerata invece + gruppale. Le valutazioni dei bimbi si sono dimostrate coerenti con qsto assunto. Nella condizione sperimentale esse seguivano criteri di genere, nel senso che le foto maschili e femminili difficilmente venivano qualificate in base agli stessi tratti. Nella condizione di controllo i bimbi prestavano maggiore attenzione alle caratteristiche specifiche di ciascuna immagine: le diff percepite fra le foto maschili e quelle femminili erano minori, come minore era la somiglianza all’interno di ciascuna categoria. Il secondo esempio è tratto dalla ricerca di DEUTSCH e GERARD sul conformismo. Lo studio è modellato su quello di ASH, che dimostra che gli individui possono essere indotti a fornire risp sbagliate ad un quesito fisico elementare dalla presenza di una maggioranza che dà giudizi unanimi ma scorretti. Qsti autori hanno mostrato che è possibile incrementare qsto conformismo definendo l’insieme dei soggetti che fanno parte dell’esperimento come un gruppo dotato di uno scopo definito. Osservazioni: 1. Ciò che distingue il comportamento interpersonale dal comportamento di gruppo non è principalmente il numero di persone coinvolte. 2. La distinzione interpersonale-gruppo è basata su una dimensione continua e non costituisce una dicotomia. La maggior parte delle situazioni sociali contiene elementi che sono parte di entrambi i comportamenti, interpersonale e di gruppo. 3. L’accettazione dell’esistenza di qste differenze rende necessarie delle teorie piuttosto diverse per comprendere i processi di gruppo rispetto a quelle che utilizziamo normalmente per spiegare il comportamento interpersonale. Le teorie del comportamento interpersonale tendono a invocare due tipi di processi: il primo è l’azione di qualche fattore interno all’individuo; l’altro è la natura della relazione tra gli individui. Le variazioni nel comport individuale sono spiegate o in termini di differenze fra le persone o in termini di differenza fra le relazioni. Ma nel momento in cui abbiamo a che fare con situazioni di gruppo tali spiegazioni risultano meno utili perché 2 delle caratteristiche di base delle situazioni di gruppo riguardano le uniformità tra gli individui e non le loro differenze. L’applicazione diretta di teorie sul comportam interpersonale a contesti di gruppo è in se stessa piena di difficoltà e per qsta ragione è necessario utilizzare le teorie alternative che riguardano in specifico il comportam di gruppo. 4: Nascita del comportamento collettivo: la folla come gruppo 4.1: Deindividuazione e comportamento nei gruppi In un primo momento si diceva che il contesto della folla faceva regredire le persone a modalità di condotta primitive e istintive. Secondo LE BON l’anonimato, il contagio e la suggestionabilità, fattori che riteneva costitutivi della folla, determinano nei singoli una perdita della razionalità e di identità, creando invece una mente di gruppo . Sotto l’influsso di qsta mente collettiva e liberi dalle normali costrizioni sociali, si scatenano gli istinti distruttivi degli individui, dando luogo ad una violenza sfrenata e ad un comportamento irrazionale. ZIMBARDO ha preso spunto dalle idee di Le Bon e ha creato un modello contenente delle variabili di entrata (input), alcuni cambiamenti psicologici intervenienti e il comportamento risultante. I 3 input + importanti sono: l’anonimato, la responsabilità diffusa e l’ampiezza del gruppo. PAGE 43 indicatori dell’”appartenenza al gruppo”: i membri venivano fatti sedere accanto, erano invitati ad inventare un nome per il loro gruppo e l’attenzione era rivolta alle somiglianze interpersonali tra di loro. Nei gruppi non coesi le persone potevano sedersi dove volevano, il gruppo riceveva un numero senza che fosse permesso di crearsi un nome e non veniva mai fatto riferimento ai partecipanti come ad un gruppo. Il compito dei gruppi era svolgere un disegno di moda rispetto al quale alla metà veniva fatto credere di aver fatto bene rispetto agli altri gruppi, e ai restanti si diceva che avevano fatto male. Nelle misure dell’autostima qsto risultato di gruppo influenzò solo i membri del gruppo coeso: il successo o il fallimento del gruppo avevano come conseguenza un innalzamento o un abbassamento dei livelli di autostima. Nei membri del gruppo coeso la percezione del successo del proprio gruppo influiva sulla valutazione che essi davano alla propria capacità di portare a termine da soli compiti futuri anche diversi. 1.3: L’iniziazione del gruppo MORELAND e LEVINE osservano che l’inserimento nel gruppo è sottolineato spesso da qualche cerimonia o rituale. Qsto avviene soprattutto nei gruppi o nelle organizzazioni stabili o formali. Qste cerimonie i iniziazione possono assumere forme diverse che vanno da un caldo benvenuto durante il quale il novizio riceve elogi e un trattamento favorevole, ad un’esperienza distintamente spiacevole nel corso della quale il nuovo viene preso in giro, messo in imbarazzo o sottoposto ad aggressione fisica. Le funzioni dei rituali sono 3: • Funzione simbolica per i membri e per il nuovo venuto: queste cerimonie svolgono una funzione simbolica sia per il nuovo venuto, sia per il gruppo stesso. Nel nuovo venuto favoriscono il processo di transizione dell’identità. A iniziazione conclusa l’individuo può sentirsi diverso da quel che era. Anche il gruppo può avere bisogno di simboli per definire i suoi confini. • Apprendistato: alcune procedure di iniziazione possono servire come apprendistato per l’individuo, introducendolo agli standard normativi del gruppo e alle competenze rilevanti necessarie per adempiere in modo efficace alle sue funzioni di gruppo. • Suscitare lealtà nel nuovo membro: si riferisce in particolare alle iniziazioni che comportano un trattamento favorevole o dispense speciali per il novizio. Le esperienze negative intuitivamente sembrerebbero scoraggiare l’aspirante membro anziché stimolarlo ad unirsi e ad identificarsi con il gruppo. ARONS e MILLS suggerirono che per la > parte degli individui è raro che l’esperienza della vita di gruppo sia del tutto positiva. Qsto allora può indebolire la coesione di gruppo. Secondo loro i gruppi possono cercare di contrastare qsti effetti sottoponendo i propri membri a un’iniziazione dolorosa o disagevole. Ciò avviene perché la consapevolezza da parte delle persone di aver subito l’esperienza spiacevole di essere ammesse nel gruppo è incompatibile con la scoperta successiva che alcuni aspetti del gruppo non sono come avevano previsto. Qsta percezione di incoerenza è psicologicamente spiacevole e le persone cercheranno di modi per ridurla. Quindi + severa è l’iniziazione, + il gruppo sembra attraente. Per mettere alla prova qsto fecero un esperimento: reclutarono delle studentesse universitarie per partecipare a discussioni di gruppo sulla psico del sesso, facendo loro credere che avrebbero preso parte ad un gruppo di discussione già costituito. Vennero sottoposte ad un pre-test che consisteva nel leggere a voce alta del materiale di carattere sessuale. Nella condizione di iniziazione severa le ragazze dovevano leggere dei brani molto coloriti tratti da romanzi sessualmente espliciti. Nella condizione moderata, dovevano solo leggere a voce alta 5 parole che avevano una certa connotazione sessuale ma che non erano oscene. Dopo di che presero parte alla discussione.Il brano che poi ascoltarono nel gruppo di discussione era una conversazione noiosa e pomposa sul comportamento sessuale secondario degli animali inferiori. Dopo ai soggetti fu chiesto di valutare sia la discussione, sia il gruppo. Le studentesse che avevano sperimentato il trattamento severo valutarono sia la discussione che i suoi partecipanti in modo + favorevole. GERARD e MATHEWSON confermarono qsto risultato. Modificarono il disegno sperimentale di Aronson e Mills e usarono l’uso di scariche elettriche leggere o intense come procedura di iniziazione. Ciò venne fatto per aggirare la spiegazione alternativa dell’eccitazione sessuale. Nella condizione di controllo si presumeva fossero semplicemente parte di un esperimento psicologico, mentre nelle condizioni sperimentali erano chiaramente legate ad una successiva esperienza di gruppo. Lo scopo di qsta manipolazione era quello di verificare se fosse l’esperienza spiacevole in sé e il sollievo seguente a causare gli effetti, o il fatto di essere una iniziazione spiacevole. Le valutazioni della discussione di gruppo, noiosa, e dei suoi partecipanti furono in generale + favorevoli quando le scariche elettriche erano viste come un’iniziazione anziché come parte di un esperimento. Poi gli individui che credevano che le scariche fossero veramente un test di iniziazione valutarono il gruppo in modo + positivo quando le scariche erano intense rispetto a quando erano leggere. 2: Interdipendenza e processi di gruppo Un fattore comune alla maggior parte dei gruppi è che i membri sono interdipendenti; le esperienze, le azioni e i risultati di un individuo sono legati in qualche modo alle esperienze, alle azioni, ai risultati degli altri membri del gruppo. Lewin fu il primo ad osservare l’importanza dell’interdipendenza nella formazione e nel funzionamento dei gruppi. Ha fornito 2 idee chiave: PAGE 43 1. L’interdipendenza del destino: Lewin credeva che i gruppi nascessero in senso psicologico non perché i loro membri fossero necessariamente simili tra di loro; piuttosto un gruppo esiste quando gli individui che lo compongono si rendono conto che il loro destino dipende dal destino del gruppo nell’insieme. L’importanza dell’interdipendenza del destino(trovarsi nella stessa barca) fu dimostrata sperimentalmente da RABBIE e HORWITZ che cercarono di stabilire quali fossero le condizioni minime per la formazione di un gruppo. Alcuni bimbi delle scuole elementari danesi, mai visti in precedenza fra di loro, vennero suddivisi in piccoli gruppi secondo criteri casuali(4). I gruppi furono definiti “verde” e “blu”. Alcuni bimbi venivano informati che uno dei gruppi avrebbe ricevuto una ricompensa per l’aiuto fornito nella ricerca, mentre l’altro, no. Qsto destino comune di ricompensa o deprivazione era deciso dal lancio di una moneta. Nella condizione di controllo qsta esperienza non aveva luogo e così i membri del gruppo avevano solo in comune l’etichetta del colore. Ai partecipanti fu poi domandato di esprimere a parte le proprie impressioni sull’altro gruppo. I risultati mostrarono che nelle condizioni in cui esisteva una certa interdipendenza sembravano esserci dei segni evidenti di influenza del gruppo sulle valutazioni. I bimbi valutarono coloro che provenivano dal proprio gruppo in modo+ favorevole rispetto a quelli dell’altro gruppo. Ciò avvenne indipendentemente dal destino incontrato(ricompensa o privazione) e dal modo in cui quel destino era stato deciso. Le valutazioni fornite dal gruppo di controllo non sembrarono mostrare tale favoritismo. Gli autori conclusero che la sola classificazione in se stessa non era suff per formare un gruppo e per influenzare i giudizi degli individui secondo criteri di gruppo. Ciò che sembrò necessario per la formazione del gruppo era un qualche senso elementare di interdipendenza. 2. L’interdipendenza del compito: Lewin affermò che è molto + importante l’esistenza di una certa interdipendenza negli scopi dei membri del gruppo: dove il compito del gruppo è tale che i risultati di ciascun membro hanno implicazioni per i risultati dei suoi compagni. Qste implicazioni possono essere positive o negative. Nel primo caso il successo di un individuo facilita direttam il successo degli altri o, in casi estremi, è effettivamente necessario affinché anche gli altri abbiano successo. Nell’interdipendenza negative, conosciuta come competizione, il successo di un individuo è l’insuccesso di un altro. Per molti gruppi il fondamento vero della loro esistenza è costituito dda qualche scopo o obiettivo comune. Che effetto hs il tipo di definizione data al compito sui processi di gruppo successivi? DEUTSCH ipotizzò che in situazioni di interdipendenza positiva si crea una motivazione a cooperare, ad aiutare gli altri e a considerarli piacevoli, e una forte spinta del gruppo nel suo insieme verso il suo scopo. In situazioni di interdip negativas, invece, si determinerà una motivazione a competere, la tendenza a considerare gli altri meno piacevoli e un indebolimento della forza complessiva del gruppo a raggiungere uno scopo. D. mise alla prova qste ipotesi utilizzando studenti di psicologia. A metà studenti venne detto che sarebbero stati valutati a seconda della prestazione del loro gruppo. In realtà tutti i componenti di ogni gruppo avrebbero ricevuto lo stesso voto. Qsti individui erano perciò positivamente interdipendenti tra di loro. Ai rimanenti studenti fu detto che avrebbero ricevuto voti individuali a seconda della loro prestazione all’interno del gruppo. Così si veniva a creare una interdipendenza negativa. Videro che i gruppi che lavoravano in condizioni di interdip positiva mostrarono una cooperazione reciproca superiore, furono visti partecipare e comunicare di + nei compiti di discussione, provano una maggiore simpatia reciproca, erano meno aggressivi e su alcuni indici erano più produttivi dei gruppi che lavoravano in condizioni di interdip negativa. Ricerche successive hanno confermato qsti risultati. 3: Esecuzione del compito e mantenimento delle relazioni 3.1: Analisi dei processi di interazione BALES parte dall’idea che la ragione di esistere di un gruppo è la realizzazione di un determinato compito; qualsiasi attività nel gruppo è vista in definitiva come diretta verso qsto fine. B. distingue tra comportamento diretto al compito o “strumentale” e comportamento socioemozionale, o “espressivo”. Egli crede che le azioni degli individui in un gruppo siano indirizzate verso l’obiettivo del gruppo. Ma nell’ambito di qsta attività strumentale possono sorgere determinati problemi che minacciano la stabilità del gruppo e che tendono a generare tensioni. Entreranno così in gioco processi di neutralizzazione per affrontare tali tensioni. Bales suggerisce che le tensioni presenti nel gruppo devono essere sciolte per mezzo di attività “espressive”. Qsti processi si concentrano sulle relazioni interpersonali e si rivelano attrav comportam che sono la diretta manifestazione delle emozioni dell’individuo o che riguardano in qualche modo i sentimenti degli altri. Poiché qsti comportamenti socioemozionali dipendono dalle attività dirette al compito, è + probabile che assumano una forma positiva anzichè negativa o inibitoria. Altro aspetto importante della teorizzazione di Bales è il presupposto che i gruppi abbiano una tendenza naturale verso l’equilibrio. Ogni azione tende a produrre una reazione. Le domande tendono a provocare delle risp o dei tentativi di risp. Le attività strumentali devono essere equilibrate da attività espressive. Qsto principio omoestatico è legato alla concezione di Bales dal modo in cui i gruppi affrontano il loro compito. Qsto processo segue 3 fasi: • Orientamento: inizialmente il gruppo deve orientarsi vs il problema che sta affrontando e prendere coscienza di tutte le info rilevanti. Ciò comporta un incremento della comunicazione e dello scambnio di opinioni. • Valutazione: qste idee diff devono poi essere valutate per mettere il gruppo in grado di prendere qualche decisione. • Controllo: quando si avvicina il momento della decisione, i membri inizieranno ad esercitare un controllo reciproco affinché la decisione sia formulata e applicata con successo. A qsto stadio c’è anche la necessità si aumentare l’attività socioemozionale per ridurre qualsiasi tensione prodotta dagli stadi precedenti. PAGE 43 Sulla base di qste idee Bales progettò uno schema di codifica per l’osservazione e l’analisi delle interazioni di gruppo, chiamato analisi dei processi di interazione o IPA. In qsto schema l’interazione del gruppo viene spezzata in una serie di “atti” microscopici. Un atto è essenzialmente la + piccola parte di comportamento significativa e identificabile che un osservatore può percepire. Ciascun atto viene classificato dall’osservatore in una delle 12 categorie mutamente esclusive. Al termine del periodo di osservazione è possibile contare il num di comportam codificati in ciascuna categoria e fornire un profilo dell’interazione di gruppo nell’insieme o degli individui nel gruppo, o la quantità di tempo che ciascun individuo ha trascorso interagendo con ciascuno degli altri e in che modo. Alcune conclusioni+ importanti che sono emerse dalle ricerche con l’IPA sono: alcuni membri del gruppo parlano + di altri;chi parla di + tende a ricevere la massima attenzione da parte del gruppo; la discrepanza tra colui che è il primo ad assumere l’iniziativa nel gruppo ed i suoi pari aumenta con le dimensioni del gruppo, infatti i i gruppi di grandi dimensioni tendono ad essere + dominati da un unico individuo; individui diversi nel gruppo tendono a prevalere in categorie di codifica particolari suggerendo una certa specializzazione di ruoli. In tutto qsto lavoro però manca un riferimento ai dati + soggettivi provenienti dal gruppo stesso. All’inizio Bales evitò qsta fonte di info ma successivamente corresse qsta dimenticanza rivolgendo la sua attenzione alla natura delle relazioni all’interno del gruppo per come sono percepite dai membri stessi. 4: La coesione del gruppo 4.1: Che cos’è la coesione? Nel linguaggio quotidiano è coeso quel gruppo capace i restare unito e al quale i suoi membri desiderano continuare ad appartenere. Secondo alcuni ricercatori la coesione costituisce la somma dei legami interpersonali esistenti fra i vari membri del gruppo(Lott e Lott). Ovvero è coesivo quel gruppo i cui membri si piacciono fra loro. Non solo, ma è possibile misurare il grado di coesione guardando al livello di attrazione reciproca fra i membri. Ci sono però 3 critiche : • Hogg ha rilevato che una concettualizzazione del genere è troppo semplicistica; riduce un fenomeno essenziale del gruppo ad una sommatoria di singole proprietà individuali, come a dire che il gruppo è la somma dei suoi elementi. • Inoltre un gruppo può restare coeso anche quando i membri non si piacciono fra loro. • Il fatto di concepire la coesione in termini di relazioni dirette fra i membri impedisce di applicare il concetto ai gruppi + ampi, nei quali i membri, spesso, non si conoscono affatto fra di loro. HOGG, per risolvere qsta difficoltà, definisce la coesione come attrazione dei membri all’idea di gruppo, alla sua immagine prototipica condivisa e al modo in cui essa si riflette nelle caratteristiche e nella condotta del membro tipico. Un gruppo è coeso, quindi, nella misura in cui i suoi componenti si identificano con forza nelle sue caratteristiche e nei suoi ideali distintivi. Qsta prospettiva deriva dalla teoria dell’autocategorizzazione di Turner, secondo la quale l’assimilazione al prototipo di gruppo interno e il contrasto rispetto al prototipo di gruppo esterno, costituiscono i processi di base che determinano il comportamento di ogni gruppo. Secondo Hogg la coesione del gruppo scaturisce dall’attrazione sociale nei confronti degli altri membri del gruppo in quanto tali, + ancora che in quanto individui 4.2: Le origini della coesione I primi lavori sull’origine della coesione sono incentrati su fattori ritenuti associati all’attrazione interpersonale. Il + elementare è la prossimità fisica , che producendo solitamente un aumento della frequenza di interazione, accresce il gradimento reciproco, probabilmente grazie alla scoperta da parte dei sogg interagenti di una comunanza di atteggiamenti e di gusti. FESTINGER, SCHACTER e BACK hanno dimostrato che i gruppi amicali tendono a formarsi fra persone che abitano nello stesso blocco di appartamenti e spesso sullo stesso pianerottolo. Sono riusciti a dimostrare che qsti gruppi erano tali rilevando la presenza di sistemi normativi specifici all’interno di ciascun isolato. Qsti sistemi normativi accrescono l’uniformità delle opinioni espresse dai membri del gruppo e rafforzano il gradimento reciproco. Non sempre però la somiglianza fra i membri costituisce un fattore importante di coesione. Nei gruppi orientati al compito può essere proprietaria la facilità nel raggiungere l’obiettivo. ANDERSON ha dimostrato questo fatto: ha formato gruppi di laboratorio composti di persone accomunate da valori condivisi o prive di qsto elemento di somiglianza. L’obiettivo di qsti gruppi era di progettare un nuovo dormitorio per studenti. L’obiettivo poteva essere facilitato o ostacolato, a seconda delle condizioni sperimentali, offrendo ai membri del gruppo informazioni e materiali di formazione simili o viceversa differenti. La coesione veniva misurata da una semplice domanda fatta dal ricercatore alla fine della discussione: “desideravano i partecipanti continuare a far parte del gruppo in un successivo incontro?”. I risultati furono: la maggioranza di coloro che avevano avuto modo di interagire + direttamente sul compito sosteneva di voler restare nel gruppo contro una percentuale inferiore di coloro che avevano preso parte alla condizione meno favorevole. La somiglianza di valori non aveva alcun effetto sul desiderio di continuare a far parte del gruppo. L’interdipendenza positiva rispetto al compito costituisce un ingrediente importante in molti gruppi e conduce tendenzialmente a un miglioramento del morale e della prestazione. Qsta non è il solo fattore che influisce sulla coesione del gruppo, poiché quest’ultima è determinata anche dalla natura dalle relazioni in gioco con altri gruppi. SUMNER ipotizzò l’esistenza di un legame funzionale fra conflitto intergruppi e coesione. Lo stesso SHERIF osservò qsto nel suo esperimento del “campo estivo”: man mano che la competizione fra i gruppi si intensifica, ogni gruppo diventa internamente + unito. PAGE 43 • contribuiscono a regolare l’esistenza sociale e di conseguenza aiutano a coordinare le attività dei membri del gruppo. Qsta funzione di regolazione sociale è legata alla prevedibilità alla quale le norme contribuiscono ad un livello individuale. • Saranno strettamente legate agli scopi del gruppo. Quando un gruppo sviluppa uno scopo chiaramente definito emergeranno inevitabilmente delle norme che facilitano i comportamenti in linea con l’obiettivo e scoraggiano quelli che vanno contro al suo raggiungimento. • Possono servire per migliorare o mantenere l’identità di gruppo. 5.2: Variazioni delle norme Non si dovrebbe pensare che le norme stabiliscano sempre esattamente il modo in cui i membri del gruppo dovrebbero comportarsi. In funzione dell’ambito al quale si riferiscono e della posizione dell’individuo nel gruppo, la gamma di comportamenti accettabile (chiamata da Scherif “ampiezza di accettazione”), può essere sia estesa che ristretta. Sulle norme generali e su quelle che si riferiscono agli aspetti periferici della vita di gruppo ci sarà un’ampia tolleranza, mentre su questioni fondamentali per l’esistenza del gruppo, concernenti la lealtà del gruppo, i limiti del comportamento accettabile saranno piuttosto ristretti. La posizione di un individuo nel gruppo avrà una grossa influenza sul grado di adesione che dovrà mostrare nei confronti delle norme stabilite. Normalmente i membri di status elevato avranno la possibilità di deviare dalle norme in misura superiore rispetto ai loro subordinati. SCHERIF e SCHERIF fecero uno studio sulle bande di adolescenti negli Stati Uniti. Alcuni osservatori partecipanti si infiltrarono all’interno di gruppi di adolescenti in diverse città americane. Furono in grado di identificare in tutti i gruppi delle norme distinte che riguardavano numerose questioni. La > parte dei gruppi si era data dei nomi e avevano adottato dei simboli distintivi. Spesso qsti erano associati a rivalità con altri gruppi vicini. Il tipo di abbigliamento concesso in ogni gruppo era spesso definito in modo rigoroso. Ciascun gruppo aveva propri valori sessuali ben distinti e regole di condotta rigorose per quanto riguarda i rapporti con gli “esterni”. Non è solo tra i membri del gruppo che si possono osservare variazioni delle norme. Le norme possono anche cambiare nel corso del tempo in risposta alle circostanze mutevoli affrontate nel gruppo. Nello studio di COCH e FRENCH i ricercatori furono testimoni di un vistoso cambiamento delle norme di produzione in 3 gruppi di lavoro in seguito alla implementazione di un nuovo sistema di gestione. 2 dei gruppi furono consultati dai dirigenti prima del cambiamento e furono in grado di partecipare in una certa misura alla formulazione del sistema. Il 3 gruppo veniva solo informato del cambiamento. Nei giorni successivi al cambiamento il ritmo di lavoro dei 2 gruppi coinvolti aumentò costantemente, mentre per il gruppo non coinvolto, diminuì. Ovviamente non tutte le norme sono soggette a cambiamenti. Molte abitudini e tradizioni di gruppo sono particolarmente stabili. CAP 3: ASPETTI STRUTTURALI DEI GRUPPI Ci sono degli aspetti della vita del gruppo che hanno una certa stabilità. I + importanti sono quelli che riflettono la struttura del gruppo, la cornice all’interno della quale hanno luogo i processi elementari(quelli trattati nel capitolo2). SHERIF e SHERIF definirono la struttura del gruppo come una rete interdipendente di ruoli e status gerarchici. Sia il concetto di ruolo che quello di status si riferiscono a modelli di comportamento prevedibili associati non tanto ad individui particolari nel gruppo, ma alle posizioni occupate da tali individui. La diff tra ruolo e status è di valore. I diversi ruoli in un gruppo possono avere un valore simile, ma posizioni di status differenti sono, per definizione, valutate in modo diverso. L’esistenza di diff di status è legata ad un processo sociale, quello dei confronti sociali. 1: La differenziazione di ruolo generalmente le norme sono regole generali che si applicano nel gruppo + o – rigorosamente. Spesso, però, troviamo che ad individui o posizioni particolari all’interno del gruppo sono associate aspettative diverse. Qsto è ciò che si intende per differenziazione di ruolo. Talvolta i ruolo sono stabiliti formalmente, come per esempio nelle scuole o in unità + piccole come una squadra sportiva. Tuttavia in molti gruppo tale delimitazione netta dei ruoli non è subito evidente, per esempio tra a mici o gruppi di discussioni informali. SLATER fece uno studio in questa direzione, usando il sistema IPA di Bales ed osservò 20 gruppi di problem solving nel corso di 4 sessioni consecutive. Domandò ai partecipanti di esprimere le proprie valutazioni su colui che ritenevano avesse fornito le idee migliori nel gruppo, che si era distinto come leader e che era piaciuto di +. Il risultato fu che l’individuo considerato come il + autorevole, non era quello che otteneva + simpatie. Ciò suggerì a Slater che la distinzione principale di Bales tra comportament strumentali ed espressivi potrebbe riflettersi in 2 ruoli: lo specialista del compito (l’individuo delle idee) e lo specialista socioemozionale (l’individuo che ottiene + simpatie). E’ stati anche visto che gli “uomini delle idee” passavano + tempo , rispetto agli altri, inattività dirette al compito e meno tempo in comportamenti socioemozionali positivi. PAGE 43 Alcuni esempi + evidenti della differenziazione di ruolo si trovano nella famiglia. Si possono identificare una serie di posizioni stabilite formalmente (genitori, figli) come pure alcuni ruoli con funzioni + chiaramente sociali. ZELDITCH in un’analisi interculturale tra 50 società diverse, trovò che oltre i ¾ mostravano una certa differenziazione nell’ambito della famiglia tra ruoli relativi al compito e ruoli socioemozionali., centrati sulle relazioni. Secondo PARSONS e BALES i risultati di Zelditch significavano che la famiglia dovrebbe essere considerata un piccolo gruppo che si confronta con i problemi consueti di conciliare comportamenti strumentali ed espressici. Ritenendo che fosse difficile per un individuo assolvere simultaneamente a qste funzioni, questi 2 autori ipotizzarono che le famiglie + efficienti e coese fossero quelle nelle quali è presente una chiara distinzione di ruoli fra i diversi membri e conclusero che tale specializzazione avverrebbe luogo attraverso una distribuzione dei ruoli secondo linee di genere, lasciando ai padri il ruolo strumentale e alle madri le funzioni espressive. Qsta proposta era basata su teorizzazioni psicoanalitiche sul presunto bisogno dei bimbi di raggiungere l’identificazione col genitore dello stesso sesso. La teoria della famiglia di Parsone e Bales si basa sul presupposto che le attività dirette al compito e le attività socioemozionali siano sempre incompatibili. Ma le cose non stanno così: lo stesso individuo può talvolta adempiere ad entrambi i ruoli. Secondo SCOTT e SCOTT in tutti i gruppi umani sarebbe presente una correlazione positiva fra differenziazione di ruolo e solidarietà. Qsta tendenza troverebbe un’eccezione solo nelle famiglie dove la relazione fra queste variabili è significativamente negativa. Ci sono prove che un modello di differenziazione troppo rigido possa rappresentare un serio limite anche nei gruppi di lavoro perché può impedire l’adattamento alle nuove situazioni. La differenziazione di ruolo è una caratt diffusa dei gruppi e ha 3 funzioni: 1. Divisione del lavoro: i ruoli implicano una divisione del lavoro tra i membri del gruppo, che può spesso agevolare il conseguimento dello scopo del gruppo. Uno dei problemi affrontati dal gruppo è quello di trovare dei modi per dividere il lavoro e la responsabilità tra i suoi membri,allo scopo di impedire il sovraccarico fisico o cognitivo nel(i) leader. Ciò significa anche che la scelta dei ruoli può essere specifica alla situazione poiché gli scopi del gruppo cambiano. 2. ordinare la vita di gruppo: bisogna contribuire a portare ordine nell’esistenza del gruppo. Come le norme, i ruoli implicano delle aspettative sul comportamento proprio ed altrui, e fanno sì che la vita del gruppo divenga + prevedibile e di conseguenza + disciplinata. 3. creare una nostra identità:i ruoli formano anche una parte della definizione che diamo di noi nell’ambito del gruppo, della consapevolezza di ciò che siamo. Aver un ruolo ben definito contribuisce in modo fondamentale alla nostra identità. 2: La differenziazione di status Non tutti i ruoli assunti dai diversi membri del gruppo sono egualmente valutati e neppure implicano lo stesso potere di influenza e controllo sugli altri. Ogni membro è rispettato o preferito in misura diversa. Strettamente legata al modello dei ruoli in un gruppo è l’esistenza di una gerarchia di status. Come definire lo status??? Ci sono 2 temi ricorrenti: • Lo status elevato implica una tendenza a dare inizio ad idee e attività che vengono continuate dal resto del gruppo (Bales, Sherif); • Lo status implica un certo prestigio consensuale, una valutazione o classificazione positiva da parte degli altri nel gruppo (Homans). La facilità e la regolarità con cui si possono osservare differenze di status nei gruppi non dovrebbero farci pensare che la gerarchia debba restare necessariamente immutabile. SHERIF e SHERIF osservarono cambiamenti nelle posizioni della struttura del gruppo quando i membri entravano a far parte del gruppo e lo abbandonavano. La differenziazione di status nei gruppi trova spiegazione nel bisogno di prevedibilità e ordine. Come i ruoli portano con sé delle aspettative sul tipo di comportamento che adotterà la persona che li occupa; così per le posizioni di status le aspettative riguardano la competenza delle persone nei vari settori. Riteniamo che individui diversi nel nostro gruppo siano migliori o peggiori di noi in qsta o quella attività, cosa che ci permette allora di assegnarli a determinati compiti in maniera appropriata. Tutto ciò a volte può produrre profezia che si autoavverano, spingendo le persone ad adeguarsi al livello che ci si attende da loro quando anche le loro capacità siano effettivamente superiori o inferiori. La spiegazione + sistematica dell’influenza dello status sul comportamento proviene dalla teoria degli stati di aspettativa. Essa ipotizza che quando un gruppo è impegnato in un compito, nella maggior parte dei casi i suoi membri hanno già sviluppato o sviluppano rapidamente delle aspettative sulle specifiche abilità prestazionali dei loro compagni. La funzione di qste aspettative è di punti di riferimento psicosociali che orientano la condotta successiva e fanno in modo che i membri di presunto status + elevato diano inizio, e abbiano la possibilità di farlo, a + idee e + attività di quelli di status inferiore e siano, per qsta ragione, considerati + influenti. Inoltre, con un processo inferenziale non molto corretto, i membri del gruppo tendono ad attribuire ai compagni di status superiore maggiore competenza anche in altri settori diversi. Ciò facendo le differenze iniziali di status si rinforzano e amplificano circolarmente. Le diff di status non emergono solo dall’interno del gruppo. Secondo questa teoria anche tratti esterni come la razza e il genere possono fungere da caratteristiche di status a partire dalle quali inferire le capacità prestazionali di un soggetto. PAGE 43 3: La valutazione di se stessi attraverso il confronto sociale Le diff di status, non solo provvedono a funzioni utili per il gruppo nell’insimee, ma, comportandosi come una specie di unità di misura sociale, aiutano anche l’individuo nel compito cruciale di valutare se stesso. Se i ruoli ci permettono di conoscere chi siamo, la nostra posizione di status ci aiuta a sapere quanto siamo capaci. 3.1: La teoria del confronto sociale Fu proposta circa 50 anni fa da FESTINGER. Egli inizia affermando che esiste una motivazione umana universale che ci spinge a valutare le nostre opinioni e capacità. Il fondamento di qsta convinzione è che la vita sarebbe difficile se non avessimo un modo per valutare correttamente le nostre capacità. Ma come otteniamo questa conoscenza di noi stessi? La cosa + ovvia sarebbe quella di ricorrere a strumenti oggettivi, ma spesso tali misure non sono poi così prontamente disponibili. Allora Festinger suggerisce di ricorrere all’aiuto degli altri per ottenere info sulle nostre capacità. Ma per ottenere una valutazione realistica delle nostre capacità, abbiamo bisogno di scegliere individui che ci possano fornire la maggiore e la + attendibile quantità di info. Secondo F. un confronto tra individui troppo diversi per capacità, non fornisce molte info. X qsta ragione tendiamo a scegliere per un confronto persone che si sembrano simili. I risultati di altri individui che hanno capacità simili alle nostre funzionano da guida per i nostri probabili risultati. Ecco perché la differenziazione di status nel gruppo è importante. Lo è poiché fornisce ai membri del gruppo una classificazione approssimativa delle competenze sui vari attributi, permettendo loro di scegliere degli altri confrontabili ai fini della valutazione di sé. L’ipotesi della somiglianza di Festinger sembra circolare. Lo scopo complessivo dell’attività di confronto sociale è quello di scoprire le capacità di un altro individuo in modo tale da poter fare delle inferenze sulle nostre capacità. Ma se già sappiamo che hanno delle capacità simili alle nostre, perché dovremmo avere il bisogno di confrontarci? Goethalas e Darley suggerirono che quello che facciamo veramente nel cercare altri simili per scopi di confronto è cercare altri che siano simili a noi in attributi che sono in relazione con la capacità che ci interessa. Secondo loro la nostra posizione di status nel gruppo funziona come un attributo generale. Osservando la prestazione in qualche a attività particolare di altri di status simile, siamo in grado di dedurre la nostra competenza in quello stesso ambito. Qsti confronti possono però fuorviare le persone rispetto ai risultati che possono raggiungere. Lo hanno dimostrato MAJOR e il suo gruppo in alcuni studi. In uno di qsti i sogg, uomini e donne, erano assegnati a caso a svolgere compiti di tipo differente per i quali ricevevano successivamente una retribuzione(sempre uguale). Dopo si chiedeva ai sogg di scegliere la persona della quale avrebbero voluto sapere la retribuzione. Le opzioni fra cui scegliere, 6 in tutto, erano le paghe medie nei 2 sessi e nei 2 compiti e le medie della paga dei 2 sessi nei due compiti. Il solo attributo davvero pertinente era il tipo di compito. La stragrande maggioranza sceglieva come termine di confronto la paga media del proprio sesso nel proprio compito. Ciò voleva dire che i sogg dell’esperimento mostravano di percepire il genere come variabile pertinente. 3.2: Con chi confrontarci? Qualsiasi inferenza sulle nostre capacità ha conseguenze per la nostra autostima, ci sentiamo meglio se abbiamo fatte bene qualcosa. Poiché è preferibile avere un’autostima elevata che non averne affatto, ciò potrebbe suggerire che siamo motivati ad evitare confronti con cloro che sono migliori di noi poiché l’esito di quei confronti è probabilmente spiacevole. Tuttavia nemmeno il confronto con coloro che occupano posizioni inferiori nel gruppo è privo di problemi. Se facciamo meglio in qualche compito ciò conferma la nostra superiorità, ma solo se possiamo assumere un impegno da parte loro pari al nostro. C’è sempre il rischio che l’esito di un confronto simile possa essere sfavorevole per noi, cosa che produce un’inferenza di inferiorità molto + evidente. In molte culture occidentali si attribuisce un valore alla prestazione migliore che spingerà gli individui a cercare di superare i risultati degli altri. Qsta spinta produce, secondo FESTINGER, 2 effetti: • Introduce una certa instabilità perché spinge i membri del gruppo a complottare tra di loro per la posizione; • Determina negli individui la tendenza a fare confronti con coloro che occupano posizioni + elevate. La conclusione è che gli individui avranno la tendenza a scegliere come termini di confronto individui appena un po’ migliori di loro. Ci sono occasioni in cui può essere ugualmente utile conoscere la gamma delle capacità del gruppo. Ciò venne dimostrato da WHEELER e colleghi: diedero a gruppi di studenti una falsa scala di personalità dicendo loro che misurava i tratti intellettuali. Ad ognuno venne riferito segretamente il proprio punteggio e venne detto che era il punteggio medio del gruppo. Alla metà dei sogg furono poi date info sui punteggi approssimativi dei giocatori migliori e peggiori nel gruppo. Di coloro che non conoscevano la gamma dei punteggi nel gruppo, il 70 per cento volle conoscere il punteggio del membro migliore. Inoltre, la seconda scelta di confronto in coloro che non conoscevano la gamma riguardava in modo prevalente l’individuo peggiore in classifica. Esistono quindi circostanze nelle quali gli individui preferiscono avere info su altri diversi. Ci sono anche circostanze in cui le persone preferiscono confrontarsi verso il basso. Una di queste si verifica nel momento in cui le persone si trovano in situazioni particolarmente negative. In qsti casi è di conforto sapere che ci sono persone che stanno anche peggio di noi. HAKMILLER fece un esperimento a riguardo: i sogg venivano sottoposti ad un finto test di personalità, poi venivano informati che il test misurava il tratto ostilità nei confronti delle figure genitoriali. Nella metà dei PAGE 43 BASS ha chiamato qsto stile “trasformazionale”, per distinguerlo dalla leadership “transazionale”, il cui leader è molto + reattivo e si limita ad intervenire nel momento in cui compare un problema. Qsta nuova prospettiva sulla leadership ha un aspetto debole rappresentato dalla indeterminatezza dei fattori retrostanti alla leadership carismatica. 4.3: L’interazione tra lo stile del leader e la situazione Con l’abbandono della visione personalistica della leadership, divenne dominante la teoria degli stili. Era come se per una leadership efficace bastasse una giusta combinazione fra orientamento al compito e orientamento alla relazione. FIEDLER fu uno dei primi a notare i limiti di qsta affermazione. Osservò che non esisteva una relazione diretta tra lo stile predominante del leader e l’efficienza del gruppo. Propose un modello interazionista della leadership nel quale l’efficienza era vista come dipendente dalla corrispondenza tra lo stile del leader e il tipo di situazione da lui affrontata (modello della contingenza). L’atteggiamento del leader necessario per l’efficienza della prestazione di gruppo dipende dalla misura in cui la situazione è favorevole o sfavorevole al leader. Fiedler sviluppa uno strumento di misurazione nel tentativo di quantificare la differenza fra lo stile diretto al compito e quello socioemozionale, chiamato “scala del collaboratore meno preferito (LPC)”. Si chiede agli aspiranti leader di pensare a tutti gli individui che hanno conosciuto e poi di descrivere la persona con la quale è stato + difficile lavorare. Ciò viene fatto valutando l’individuo sulla base di 18 scale bipolari. Si prevede che coloro che ottengono punteggi alti (LPC elevato, cioè coloro che valutano il loro collaboratore meno preferito in modo abbastanza favorevole) siano quelli che adotteranno abitualmente uno stile di leadership orientato verso la relazione e il rispetto dei sentimenti altrui, mentre coloro che ottengono punteggi bassi si suppone siano individui orientati verso il compito. Ci sono 2 aspetti importanti: • Egli ritiene che il punteggio LPC di un individuo rispecchi una caratteristica di personalità relativamente stabile che è coerente nelle varie situazioni e nel corso del tempo. • Egli non considera le categorie a basso ed elevato LPC come totalmente esclusive. Fiedler procede poi identificando 3 elementi che crede determinino la favorevolezza della situazione per il leader: •..1 relazioni leader-membri: è l’atmosfera del gruppo; •..2 struttura del compito: un gruppo che può contare su procedure chiare per il raggiungimento di uno scopo ben definito è + facile da dirigere di uno il cui lavoro è formulato meno bene e che ha numerosi risultati possibili. •..3 potere: il leader può aver raggiunto o può essere stato investito di un potere maggiore o minore. Se ognuna di qste 3 situazioni può essere definita bassa o alta, avremo 8 combinazioni o gradi possibili di favorevolezza. L’ipotesi di Fiedler è che i leader a basso LPC saranno + efficaci in situazioni che vanno verso l’uno o l’altro degli estremi di qsto continuum a 8 livelli, mentre i leader a LPC elevato saranno superiori nelle situazioni che cadono al centro. Quando la situazione è molto favorevole per i leader (compito semplice, sono benvoluti dal gruppo la loro autorità è indiscussa) non hanno bisogno di sprecare tempo preoccupandosi del morale dei membri del gruppo e hanno i mezzi e il potere per essere direttivi. Uno stile simile è richiesto all’estremo opposto: qui le cose sono sfavorevoli per il leader che hanno poco da perdere se si comportano in modo abbastanza autocratico. I tentativi di conquistare i favori del gruppo usando un approccio + prudente fallirebbero in ogni caso, risolvendosi in una perdita di tempo e di conseguenza in una ridotta efficienza. Ai livelli intermedi, il leader può essere in grado di migliorare le relazioni con i collaboratori a sufficienza per compensare un compito mal definito o una mancanza di autorità. Se si correla l’efficienza del gruppo con il punteggio LPC del leader, il segno e l’ampiezza della correlazione dovrebbero variare nelle 8 combinazioni di situazioni, ed essere chiaramente negativi verso ciascuno degli estremi ma positivi al centro. Malgrado i dati a favore,la teoria delle contingenza di Fiedler ha sollevato controversie importanti. Una questione centrale è la misura in cui lo stile di leadership dovrebbe essere considerato un “dato”, non influenzato dalle circostanze. Ci sono almeno 3 ragioni per dubitare del fatto che l’orientamento del leader sia immutabile: 1. l’affermazione si fonda su una concezione della personalità basata sui tratti che suggerisce che gli individui siano coerenti nel corso del tempo e da una situazione all’altra. Mischel ha mostrato che esiste pochissima coerenza temporale e tra situazioni diverse nel comportamento degli individui. 2. l’ipotesi che gli 8 diversi tipi di situazioni formino un continuum ordinato di favorevolezza, dove ogni ottante è ugualmente distante dal successivo. 3. l’idea che ogni leader o aspirante tale possa essere categorizzato in modo dicotomico secondo il suo punteggio LPC elevato o basso. La teoria di Fiedler non è l’unica a considerare gli aspetti contingenti della leadership, ma ci sono altri 2 modelli: A) Leadership situazionale o SLT di HERSEY e YETTON: afferma che i leader devono adattare il loro stile alla prontezza dei membri del gruppo ad affrontare il compito in gioco. La prontezza è concepita come combinazione della capacità, della disponibilità e della sicurezza dei membri nell’affrontare un dato compito. Si ritiene che tale prontezza sia minore dove i membri non dispongono delle abilità e della motivazione necessarie, e, forse per qsto motivo, hanno qualche dubbio sulla loro capacità di raggiungere un risultato. La teoria ipotizza che in una situazione del genere il PAGE 43 leader debba adottare un approccio orientato al compito. All’altro estremo, quando i membri sono competenti, motivati e sicuri, lo stile di leadership appropriato sarà meno orientato al compito. Però qsta ridotta attenzione al compito da parte del leader in condizioni di aumentata prontezza dei membri non deve necessariamente essere accompagnata da un’accresciuta attenzione agli aspetti socioemozionali. Qsta teoria assume che i leader debbano avere la capacità di adattare il loro comportamento alla mutevolezza dei contesti. La teoria di Fiedler invece, non riconosce altrettanta flessibilità ai leader, ma assume che il loro stile di leadership di base (misurato dal punteggio LPC) sia relativamente stabile. La SLT pone maggiore attenzione ai membri e alla relazione fra essi e il leader. Nella teoria di Fielder, invece, le relazioni fra il leader e il gruppo costituiscono solo un aspetto della situazione che può aiutare a identificare lo stile di leadership potenzialmente + efficace. B) modello della contingenza di VROOM e YETTON: qsta teoria si focalizza su un’unica attività del gruppo,la decisione e tenta di definire il processo al quale il leader dovrebbe richiamarsi idealmente in vari contesti di decisione. Essa tenta di definire il grado di consultazione e partecipazione di gruppo che il laeder dovrebbe incoraggiare per giungere alle decisioni + efficaci. Facciamo un esempio: supponiamo di essere il sindacalista di una grande azienda. Per alcuni anni siamo stati a capo di un comitato di addetti alle vendite provenienti da diversi settori organizzativi, godendo della loro stima e fiducia. Da qualche tempo abbiamo notato una caduta nel senso di appartenenza e partecipazione al sindacato, che ha conseguenze negative per il morale dei membri. Dobbiamo decidere come contrastare qsta tendenza, con una decisione resa ancor + urgente da un inasprimento con il management, da una compressione dei salari aziendali e da meno favorevoli condizioni di lavoro. Come dovremmo procedere, come leader, per prendere una decisione?? Qsti 2 autori identificano 5 possibili processi decisionali: • tentare di pervenire ad una decisione in completa autonomia senza consultare nessuno;(A1) • in modo + o – autocratico, ottenere qualche idea e informazione dai membri del comitato, ma continuare a decidere da sé;(A11) • procedere nel processo consultivo condividendo il problema con altri in colloqui diretti, ottenendone suggerimenti ma continuando a prendere la decisione finale da sé;(C1) • riconoscere l’utilità di una qualche discussione in gruppo del problema, ma evocare a sé l’ultima parola;(C11) • tentare, in uno spirito di autentica partecipazione di gruppo, di risolvere nel gruppo il problema nel suo complesso, nella speranza di pervenire ad una decisione collettiva consensuale.(G11) Nel modello della contingenza, la scelta del processo migliore dipende dalla natura del compito di decisione. Qsti autori ipotizzarono la presenza di 7 attributi, poi divenuti 12, che consenivano al leader di scegliere a quale fra i 5 processi ricorrere. Il primo e + importante attributo concerne l’importanza della qualità della decisione e vede una serie di domande alle quali dover rispondere. L’aspirante leader passa attraverso le domande fino a pervenire alla fne ad una indicazione circa il o i processi consigliati di decisione. Qsta indicazione è denominata “serie compatibile” di metodi che il leader può adottare. Le modalità di decisione che non vengono indicate ricadono fuori da qsta serie compatibile. Per valutare il modello si è di solito scelto di chiedere ai leader di identificare una serie di decisioni da prendere e di analizzarle attraverso il sistema dei 7 attributi cruciali che consentono di giungere all’indicazione di una serie compatibile di processi decisionali. Qsta indicazione viene poi confrontata con il processo realmente utilizzato cos’ da verificare se il leader ha aderito alle prescrizioni del modello o se ne è discostato(valutando se la decisione è ricaduta o meno nell’ambito della serie compatibile). Infine si cerca di ottenere una valutazione dell’efficacia decisionale da parte degli stessi leader e, se possibile, da parte di qualche fonte indipendente. Alcuni limiti al modello originale hanno spinto Vroom e Jago a proporne una revisione che incorpora un maggior numero di attributi di decisione (12) e alternative di risposta graduate invece che dicotomiche. La logica del nuovo modello è la stessa del vecchio: singole combinazioni di attributi decisionali consentono di indicare il livello o i livelli ottimali di partecipazione dei membri del gruppo alla decisione. 4.4: La leadership come processo Il leader viene considerato come agente di cambiamento nel gruppo, l’individuo che è in grado di modificare le norme prevalenti e quindi di influenzare gli altri + di quanto sia da loro influenzato. Ciò solleva un paradosso: come può un leader essere un membro fedele del gruppo, adeguandosi alle sue norme, e un deviante efficace e autorevole, nel convincere il gruppo ad adottare nuove norme? MEREI effettuò uno studio sperimentale in una scuola materna ungherese ed osservò il comportamento di alcuni gruppi di bambini quando un bimbo + grande era presentato al gruppo. Qsto bimbo era un sogg che aveva mostrato inizialmente comportam caratteristici di leadership: era un “iniziatore” anziché un “seguace” nel proprio gruppo di pari. Merei si aspettava che qsti nuovi arrivati avrebbero adottato una posizione dominante in qsti gruppi nuovi.L’aspetto + interessante era il modo in cui avrebbero raggiunto qsto ruolo di leadership. Dallo studio vide che i leader di successo adottavano un approccio + cauto, graduale. Qsti leader di successo avevano la tendenza a seguire i giochi e le tradizioni di gruppo esistenti, suggerendo solo variazioni secondarie. Solo sopo aver adottato per alcuni giorni qsto comportamento accomodante, iniziavano a suggerire attività completamente nuove o che si allontanavano radicalmente dalle vecchie abitudini. Nella teoria della leadership di HOLLANDER è fondamentale il passaggio da una conformità iniziale alle norme del gruppo, alla successiva introduzione di nuove idee. Egli suggerisce che ciò che i leader devono fare negli stati iniziali è PAGE 43 guadagnare credibilità di fronte al resto del gruppo. Qsta credibilità è ciò che fornisce loro la legittimità successiva per esercitare un’influenza su quegli stessi membri del gruppo e per deviare dalle norme esistenti. Hollander definisce qsto aspetto “credibilità idiosincratica” perché può essere impiegata dal leader in un comportamento nuovo o innovativo. > è la credibilità che il leader riesce ad ottenere, + numerosi saranno i comportamenti idiosincratici successivamente tollerati dal gruppo. Come può un leader ottenere un buon punteggio di credibilità nel gruppo? Un modo è quello di adeguarsi inizialmente alle norme del gruppo. HOLLANDER suggerisce che esistono altre 3 fonti di legittimazione per il leader: 1. essere eletti leader direttamente dal gruppo; 2. capacità di soddisfare gli obiettivi del gruppo; 3. identificazione del leader col gruppo. Egli indagò il ruolo del conformismo iniziale alle norme. Introdusse dei collaboratori sperimentali all’interno di alcuni gruppi di soluzione dei problemi in laboratorio. I gruppi dovevano risolvere una serie di problemi, nel corso dei quali un falso feed-back dello sperimentatore stabilì che il collaboratore suggeriva invariabilmente delle soluzioni corrette. L’ipotesi era che qsto feed-back avrebbe fornito al collaboratore una certa legittimità iniziale. Prima di ogni problema fu domandato al gruppo di discutere la procedura migliore per affrontare il compito. In qsta fase fu introdotta una variazione del comportamento del collaboratore. Di tanto in tanto qsti si sarebbe allontanato radicalmente dall’opinione consensuale del gruppo riguardo alle procedure + appropriate. A seconda della condizione sperimentale, qsto comportamento idiosincratico avveniva all’inizio della sequenza di problemi o + avanti. Come previsto, quando il comportam idiosincratico si presentava all’inizio della mini-storia del gruppo, si determinava una conformità molto inferiore nei confronti dei suggerimenti dei collaboratore rispetto a quando qsti stessi suggerimenti venivano avanzati in una fase + matura. Hollandere e Julian mostrarono che anche il metodo per mezzo del quale i leader raggiungono la loro posizione può essere importante. I leader eletti dal gruppo credevano di essere + competenti nel compito e godettero di un maggiore sostegno da parte del gruppo e in tal modo avevano una > credibilità. Un fenomeno opposto all’identificazione del leader con il gruppo è la percezione da parte di qst’ultimo del leader come rappresentante o membro prototipico. Secondo HOGG la prototipicità percepita del leader giocherà un ruolo importante nella sua accettazione da parte del resto del gruppo, in particolare in contesti intergruppi dove può essere importante distinguere il gruppo interno dai gruppi esterni. Qsto compito è facilitato dalla disponibilità di un leader che in qualche misura incarni gli attributi essenziali del gruppo interno, in particolare quando qste caratteristiche contrastano con quelle del gruppo esterno. Una fonte collegata di legittimazione alla quale il leader può attingere è costituita dal modo in cui qsti esercita la sua autorità nel gruppo. Secondo TYLER e LIND, i leader possono sforzarsi di acquisire per i membri del loro gruppo risultati positivi ed equi(richiamandosi a criteri di giustizia distributiva). Oppure possono sottolineare la correttezza delle procedure utilizzate per distribuire i “redditi”(richiamandosi a criteri procedurali di giustizia). Qsti autori hanno dimostrato l’importanza che il rispetto di entrambi i criteri ha per il leader che voglia guadagnarsi il favore del gruppo, ma anche la predominanza della correttezza in certe situazioni. In altri termini, i membri possono perdonare al leader di non aver dato loro qualcosa che si attendevano da tempo, purchè percepiscano che il leader abbia fatto ricorso ad una procedura imparziale. Gli effetti che qste percezioni di giustizia distributiva o procedurale esercitano, dipendono fortemente dal contesto nel quale hanno luogo. PLATOW creò una situazione sperimentale in cui i leader dovevano distribuire somme di denaro. Potevano farlo in modo equo o poco equo, in un contesto intergruppo o intragruppo. I leader equi ricevevano > approvazione dei leader poco equi . Però la differenza nell’approvazione ricevuta fra i leader equi e meno equi si riduceva quando la distribuzione del danaro avveniva in contesti intergruppi. In alcuni contesti, specie quelli che coinvolgevano un gruppo interno con il quale i sogg si identificavano, il leader che agiva in modo poco equo nei confronti del gruppo esterno veniva percepito in termini altrettanto + favorevoli del leader che agiva in modo equo. Hollander e altri autori considerano la leadership come un processo molto + dinamico, nel quale il potere che ha il leader di influenzare il gruppo cambia nel corso nel corso del tempo e dipende in modo critico dalle relazioni leader-membri e dal contesto intergruppi. RABBIE e BEKKERS fecero un esperimento sull’effetto che un mutamento nella posizione della leadership esercita sul successivo orientamento intergruppo dei membri. Modificarono la stabilità della posizione di un leader ed esaminarono gli effetti che qsto produceva sul suo comportamento con altri gruppi. Trovarono che i leader che erano abbastanza insicuri della loro posizione, che potevano essere deposti facilmente dal loro gruppo tendevano a scegliere una strategia di contrattazione competitiva in una simulazione sindacato-direzionale rispetto a leader con posizione nel gruppo + sicura. 5: Le reti di comunicazione BAVELAS suggerì che un modo utile per comprendere gli effetti di strutture di comunicazione differenti è quello di concepire i membri del gruppo come esseri in relazione tra di loro attraverso legami di comunicazione. Bavales mise in rilievo che il modo in cui quei legami sono ordinati dal punto di vista topologico è molto + importante che sapere quanto possano essere vicini in un’unità di distanza fisica i vari membri dell’organizzazione. Prendendo spunto dalla matematica topologica Bavelas ideò vari indici quantitativi per mezzo dei quali è possibile descrivere diversi tipi di reti. Uno dei + importanti è il concetto di distanza che è semplicemente il numero minimo di legami di comunicazione che un membro del gruppo deve attraversare per comunicare con un altro individuo. Una misura PAGE 43 decisiva era l’eventualità che sperimentassero o meno in seguito a casa una ricetta con uno di qsti ingredienti. 1/3 delle casalinghe che avevano preso parte alla discussione di gruppo si convinsero di cimentarsi, rispetto al 3 % di quelle che avevo invece ascoltato la lezione. Nei gruppi di discussione ogni sessione terminava con la decisione da parte del gruppo nell’insieme di provare le nuove ricette; nella lezione non c’era un obiettivo di gruppo così chiaramente definito. Entrambe qste cause di conformismo presuppongono che il gruppo eserciti una certa attrazione iniziale sui suoi membri. Gli altri individui nel gruppo e le loro opinioni sono considerati importanti da coloro che sono sottoposti all’influenza. Più sono importanti, cioè + il gruppo è coeso, maggiore è il conformismo che dovremmo aspettarci. DEUTSCH e GERARD suggeriscono un’altra spiegazione per il conformismo che contrasta con la funzione della realtà sociale proposta da Festinger. Gli individui possono essersi adeguati non perché si affidavano ai giudizi dei collaboratori per definire la realtà, ma per evitare la possibilità del ridicolo sociale, di essere considerati “l’estraneo”. Siamo attratti da coloro che hanno atteggiamenti simili ai nostri e respingiamo coloro che hanno atteggiamenti diversi. In qsto modo se non proviamo simpatia per chi è in disaccordo con noi possiamo prevedere che gli altri proveranno antipatia per noi se esprimiamo opinioni molto differenti dalle loro. Qsti due autori hanno chiamato qsta forma di conformismo “ influenza normativa” per distinguerla dall’”influenza informativa” di Festinger. TURNER assume che una caratteristica fondamentale dell’appartenenza ad un gruppo è il fatto che fornisce agli individui un’identità sociale, li aiuta a definire chi sono. Quando gli individui si identificano con un gruppo, categorizzano se stessi come membri di esso e di conseguenza associano mentalmente se stessi agli attributi e alle norme che percepiscono nell’essere parte di quel gruppo. Il cambiamento interno corrispondente è l’adattamento cognitivo di se stessi con le caratteristiche percepite del gruppo, ciò che Turner chiama “auto-stereotipo”. Turner identifica la chiave del conformismo nell’assegnazione a se stessi di caratteristiche e comportamenti dell’ingroup. Se ciò è corretto, gli individui dovrebbero essere molto + interessati a fonti di influenza che sembrano provenire dal loro ingroup piuttosto che da quelle di un outgroup. ABRAMS e colleghi hanno modificato il paradigma di Asch facendo in modo che i loro collaboratori fossero percepiti come studenti dello stesso corso di laurea o di un altro corso di laurea. Altra variabile era la modalità di espressione della risposta che poteva essere personale o pubblica. Complessivamente il conformismo alle risp dei collaboratori del ricercatore era maggiore nella condizione di ingroup (stesso corso), specie quando si chiedeva ai sogg di esprimere in gruppo il loro giudizio e quindi di essere + esposti alla valutazione di altri. Considerando il conformismo in una prospettiva evolutiva, COSTANZO e SHAW hanno reclutato bambini e giovani di età compresa fra i 7 e i 21 anni invitandoli a prendere parte ad un esperimento sul conformismo condotto secondo il paradigma di Asch, documentando un picco della tendenza a conformarsi nella prima adolescenza, fra gli 11 e i 13 anni. Uno degli ambiti nei quali l’universalità dell’influenza si palesa di + chiaramente è il genere. La segregazione sessuale, la preferenza per compagni di gioco del proprio sesso, compare abbastanza precocemente nell’infanzia, attorno ai 3 anni. MACCOBY e JACKLIN ritengono che qsta segregazione comportamentale in gruppi di pari età dello stesso sesso abbia importanza cruciale nello sviluppo dell’identità di genere, aiutando il bambino a capire chi è e come deve comportarsi nei confronti dei membri dell’altro sesso. L’infanzia e l’adolescenza sono periodi della vita nei quali ci misuriamo con tante situazioni sociali nuove che accrescono il bisogno di info. In qsti contesti potrebbe esservi una certa enfasi su compiti di gruppo e su attività che richiedono il raggiungimento di obiettivi comuni. Sul piano emotivo, il bisogno di affiliazione trova il suo culmine in qsti anni, accrescendo così ulteriormente le pressioni di influenza normativa. Poiché inoltre numerosi aspetti importanti dell’identità si sviluppano in qsto periodo, la probabilità che l’influenza referente accia sentire la sua voce è maggiore in quanto il bimbo cerca contemporaneamente di integrarsi con coloro che ritiene essere esempi e prototipi della categoria alla quale appartiene e di distanziarsi da coloro che non lo sono. 1.3: Diventare devianti Il conformismo non è sempre un fenomeno privato, individuale, spesso la maggioranza interviene direttamente per esercitare pressioni su coloro che manifestano opinioni devianti. FESTINGER affermò che i membri della maggioranza in un gruppo avrebbero rivolto la maggior parte dei loro scambi comunicativi ai membri del sottogruppo di minoranza nel tentativo di convincerli a cambiare posizione. Se qsti tentativi di influenza non avessero avuto successo, alla fine gli altri membri del gruppo avrebbero rifiutato i devianti. SCHACHTER mise alla prova qste ipotesi osservando dei gruppi di discussione formati da studenti che dovevano risolvere un certo problema di relazioni umane che riguardava un giovane delinquente e la sua famiglia. Introdusse nei gruppi 3 suoi collaboratori. Uno doveva assumere la posizione di deviante; l’altro doveva esserlo solo all’inizio ma poi avrebbe dovuto cambiare gradualmente la sua posizione allineandosi con il gruppo (fu chiamato slider); e il terzo doveva adeguarsi fin dall’inizio all’opinione prevalente del gruppo(fu chiamato mode). Si vide che la maggior parte dell’attenzione era rivolta al deviante. Nei primi 10 minuti di discussione ciascun membro del gruppo indirizzò almeno 1 comunicazione verso qsto collaboratore che salì ad oltre il doppio alla fine della sessione. Lo slider invece, che all’inizio ricevette quasi la stessa quantità di comunicazione, fu piano piano ignorato sopratt dopo aver cambiato idea. Il mode fu ignorato dall’inizio alla fine. Alla fine di ogni sessione fu domandato a tutti i sogg di classificare in ordine di rango i loro compagni di discussione a secondo della loro desiderabilità come membri del gruppo. Il deviante riceveva un punteggio + basso degli altri, come aveva previsto Festinger. In altri esperimenti di Schachter, si vide che in un piccolo ma non trascurabile numero di gruppi sperimentali fu un individuo di minoranza che riuscì a convincere quelli della maggioranza a cambiare idea, e non il contrario. 2: L’influenza della minoranza PAGE 43 MOSCOVICI iniziò chiedendosi come avviene il cambiamento nei sistemi sociali. Una risp è che i gruppi cambiano in risposta a circostanza esterne nuove: se la situazione affrontata da un gruppo presenta uno scopo nuovo da raggiungere o un nuovo compito da eseguire dovremmo aspettarci che il gruppo si adatti di conseguenza e ciò potrebbe dar luogo a cambiamenti all’interno del gruppo. Secondo MOSCOVICI, la capacità di guadagnare consenso da parte di punti di vista di devianti dipende molto dalla strategia adottata per promuoverli. Egli ipotizza l’importanza cruciale di continuare ad affermare la validità delle teorie proposte anche di fronte ad attacchi esterni violenti. L’influenza della minoranza è possibile perché nessun gruppo è perfettamente omogeneo e contiene sempre delle divisioni latenti. I devianti, se agiscono in maniera sufficientem coerente e convincente, rendono esplicite tali divisioni e consentono l’emergere di nuove norme, a partire dal conflitto risultante. Uno dei primi esperimenti fu condotto da Moscovici, Lage e Naffrechoux: ad un gruppo di sogg venne chiesto di fornire alcuni giudizi percettivi riguardanti il colore di alcune diapositive bluastre. Utilizzarono, rifacendosi ad Ash, una maggioranza di 4 sogg ingenui e una minoranza di 2 collaboratori che dovevano rispondere “verde”di fronte alle diapositive in un modo predeterminato. • In una condizione, i 2 collaboratori erano tra loro coerenti e rispondevano “verde” a d ogni prova. • In un’altra condizione i complici non erano coerenti e a volte dicevano “blu” come il resto dei sogg. La misura principale di influenza era la frequenza con cui anche i sogg veri rispondevano “verde” alle diapositive naturalmente blu. I risultati furono che circa 1/3 dei sogg della prima condizione fornirono almeno una risp “verde” e oltre l’8% delle loro risp complessive fu “verde”. Nell’altra condizione le risp “verde” furono in pratica zero. A seguito di qsto esperimento venne somministrato individualmente un test di discriminazione del colore. I risultati mostrarono che i sogg avevano una soglia di percezione del verde + bassa rispetto ai sogg di controllo: cioè era + probabile che vedessero le diapositive blu-verdi come “verdi”. Quindi l’influenza della minoranza è efficace solo nel modificare il comportamento manifesto degli individui, ma può avere anche delle conseguenze cognitive interiorizzate. Le minoranze sembrano esercitare i loro effetti + marcati indirettamente, vale a dire a distanza di tempo o su dimensioni dell’atteggiamento o del comportamento connesse a quelle espresse dalla fonte di influenza ma non necessariamente coincidenti con esse. Ciò potrebbe dipendere dal fatto che le minoranze fungono da catalizzatori di cambiamento provocando l’insorgenza di conflitto cognitivo nella maggioranza. E’ possibile che qsti conflitti non possano essere risolti immediatamente e direttamente. Oppure può accadere che la dissonanza cognitiva istigata dal dissenso richieda tempo per essere risolta. MOSCOVICI, PEREZ E MUGNY hanno presentato ai loro sogg argomenti a favore dell’aborto, facendo loro credere che fossero espressione di un punto di vista di volta in volta maggioritario o minoritario. I ricercatori procedettero a valutare gli atteggiamenti dei sogg subito dopo il test e a distanza di 3 settimane, sia sulla questione dell’aborto, sia sul tema della contraccezione. La maggioranza esercitava una certa influenza nella valutazione subito successiva al test su entrambe le tematiche, che però scemava a distanza di 3 sett. Il “messaggio minoritario”, pur avendo un’efficacia immediata assai scarsa, esercitava chiari effetti a distanza di tempo su entrambe le questioni. Cosa succede se il secondo tema è poco connesso su un piano psicologico alla questione focale oggetto del messaggio della minoranza?? ALVARO e CRANO ipotizzarono che le minoranze abbiano spesso la capacità di stimolare la riflessione sulle tematiche oggetto di discussione. Qsta attività cognitiva può portare allo sviluppo di argomentazioni contrarie al sms della minoranza che difficilmente hanno rilevanza rispetto a temi diversi e che pertanto sono “suscettibili” di cambiamento rispetto a qsti temi e non a quello focale (in poche parole le minoranze hanno influenza su questioni non strettamente connesse all’argomento principale). E’ davvero così. Basta trovare un tema debolmente collegato alla questione in gioco; concentrare i propri sforzi di propaganda su quel tema. Qsti sforzi incontreranno resistenze da parte della maggioranza, ma potranno trasformare la mentalità rispetto alla questione cruciale. Le minoranze non sono solo dei destinatari passivi di pressioni provenienti dal gruppo, ma possono essere egli agenti attivi, che talvolta funzionano da catalizzatori per il cambiamento, provocando un conflitto nelle cognizioni e nelle percezioni della maggioranza. Ciò ci spinge a considerare l’influenza sociale come un processo bidirezionale in cui gli individui devianti sono sia bersaglio, sia fonte di persuasione. Comunque bisogna ricordarsi che le capacità di successo delle minoranze sono comunque limitate. Ci sono almeno 2 ragioni per cui le minoranze falliscono: 1. L’intensità di investimento personale della maggioranza nel mantenimento delle proprie visuali. Su questioni di non grande interesse generale la maggioranza potrebbe fare concessioni alla minoranza senza problemi. Su questioni di + diretta rilevanza personale è ben diverso. 2. Il clima di opinione prevalente nel gruppo o nella cultura coinvolte, con lo spirito del tempo(Zeitgeist). Quando nella società nel suo complesso vi sono segnali di cambiamento, una minoranza che si faccia espressione di qsta visione contro una maggioranza locale che vi si oppone, può incontrare maggiore successo. 2.1: Categorizzazione sociale e influenza della minoranza I fautori di punti di vista minoritari in una società non sono solo persone che non concordano con noi, ma vengono allo stesso tempo frequentemente categorizzate come membri di un gruppo esterno. Una spiegazione plausibile è stata avanzata PAGE 43 dalla teoria dell’autocategorizzazione sociale, che ha ipotizzato che le persone gravitino intorno a coloro che fanno parte del proprio ingroup, e in particolare intorno ai membri tipici di quel gruppo, e si discostino da coloro che fanno parte dell’outgroup. Allo stesso modo dovremmo subire l’influenza di minoranze composte da persone che riteniamo appartenere alla nostra stessa categoria. DAVID e TURNER hanno sottoposto a verifica qsta ipotesi, confrontando come di consueto fonti di influenza maggioritarie e minoritarie rispetto alla variabile appartenenza al gruppo interno o esterno. I sogg ascoltavano una registrazione che veniva presentata come opera di un gruppo di pressione a favore (o contro) la conservazione delle foreste, a sua volta descritto come moderato (maggioritario) o estremista (minoritario). I ricercatori esplicitavano gli atteggiamenti dei sogg sulla tematiche della deforestazione, subito dopo l’ascolto del nastro e a distanza di 3 o 4 settimane. RISULTATI: solo i sms provenienti dall’ingroup sortivano l’effetto di modificare gli atteggiamenti dei sogg nella loro direzione. Tutti i sms provenienti dall’outogroup producevano un effetto contrario. La modalità di influenza determinata dai sms provenienti dall’ingroup è interessante: a beneficiare inizialmente è la maggioranza, mentre a distanza di alcune settimane i maggiori effetti riguardano i sogg bersaglio del sms minoritario. Un’altra ragione per cui le persone appartenenti a gruppi esterni possono esercitare un’influenza su di noi è la possibilità che essi siano temporaneamente ricategorizzati come membri dell’ingroup, almeno sulla questione oggetto di dibattito. VOLPATO e Co.hanno dimostrato qsto presentando ad un gruppo di studenti milanesi un sms che suggeriva alcune innovazioni rispetto all’esame di maturità. Ad 1/3 degli studenti venne detto che qsto sms minoritario proveniva da un comitato studentesco di Milano (ingroup);ad 1/3 fu fatto credere che proveniva da un comitato romano (outgroup);al resto (condizione di controllo) non venne dato alcun sms minoritario. Il subcampione che + risentiva dell’influenza era costituito dai sogg esposti al sms minoritario esterno. 3: Due processi di influenza o uno? MOSCOVICI crede che il conformismo delle maggioranze ottengono dai singoli membri è prima di tutto un conformismo pubblico dovuto a ragioni di dipendenza sociale o di informazione. Al contrario ritiene che le minoranze riescano a produrre prevalentemente dei cambiamenti privati di opinioni, dovuti ai conflitti e alla ristrutturazione cognitiva prodotta dalle loro idee devianti.(teoria della conversione). Un esempio pratico del fatto che l’influenza della minoranza riesce a produrre dei cambiamenti interni e forse pure inconsci, è stata fornita da una serie di esperimenti di Moscovici e Personnaz. Qsti esperimenti iniziavano con il compito del colore blu-verde. Il trucco fu di domandare ai soggetti, dopo ogni diapositiva, di riferire privatamente il colore dell’immagine postuma che avevano visto sullo schermo vuoto. Ciò che la maggior parte degli individui non sa è che il colore di una diapositiva postuma è sempre complementare al colore dello stimolo originario. Così per le diapositive blu l’immagine postuma dovrebbe essere giallo-arancione; per le diapositive verdi, rosso carminio. I sogg che avevano assistito alla prestazione del collaboratore che pensavano provenisse dalla maggioranza mostrarono uno spostamento scarso o nullo nella percezione cromatica della diapositiva postuma, ma quelli che credevano che il collaboratore fosse un individuo di minoranza riportarono dei colori dell’immagine postuma che erano collocati verso l’estremità rosso carminio sulla scala. I colori dell’immagine postuma erano diversi dai colori indicati dai collaboratori, il che impedisce di pensare che i sogg copiassero le loro risposte. Inoltre i sogg sembravano inconsapevoli del cambiamento che era avvenuto. Nonostante il fatto che le minoranze possano essere rifiutate e inizialmente screditate, esse sarebbero in ultima analisi + capaci di provocare un pensiero rispetto alle maggioranze. Secondo DE VRIES c’è una maggiore elaborazione di un tema quando qsto è sostenuto dalla maggioranza. MACKIE ha chiesto ai suoi sogg di ascoltare una registrazione di un dialogo fra 2 persone che sviluppavano in pari misura argomenti favorevoli e contrari ad una certa questione. Uno dei disputanti era presentato come portavoce di un punto di vista maggioritario;l’altro come fautore di un’opinione minoritaria. I risultati furono: le argomentazioni avanzate dalla supposta maggioranza inducevano in misura maggiore di quelle della controparte una modifica dell’atteggiamento dei sogg evidente sia subito dopo il test sia a distanza di tempo, tanto sulla questione focale come su quella collegata. Il punto di vista minoritario invece produceva una modifica + scarsa degli atteggiamenti. Inoltre,i riferimenti alle argomentazioni maggioritarie erano + frequenti e maggiori erano le prove di una loro elaborazione in senso favorevole rispetto a quanto si verificava per le argomentazioni avverse minoritarie. Quindi Per Mackie è la maggioranza e non la minoranza a stimolare una elaborazione + sistematica nelle menti dei destinatari dell’influenza. Le minoranza danno luogo probabilmente ad un’influenza che produce modalità diverse di pensiero, + creative, + divergenti. NEMETH dice che la prima reazione delle persone nell’udire che una maggioranza sta adottando un punto di vista diametralmente opposto al proprio è di provare una certa ansia. Qsta aumentata attivazione tenderebbe a focalizzare l’attenzione soggettiva sulla verità o falsità dell’opinione espressa dalla maggioranza, escludendo altre questioni potenzialmente rilevanti. Ne deriva una modalità convergente di pensiero. L’esposizione ad una opinione minoritaria è un’esperienza diversa. Il destinatario si trova in una posizione di tranquillità e di agio iniziale in quanto crede che la minoranza sbagli e possa essere ignorata senza difficoltà. Qsta condizione mentale di tranquillità consente una valutazione cognitiva a + ampio raggio delle tematiche in gioco, e può successivamente portare ad esprimere scelte + originali.Quindi minoranza=pensiero divergente. Uno dei primi esperimenti condotti da NEMETH e WACHTLER ha ripreso il paradigma di Ash. Gli stimoli erano costituiti da una serie di figure sovrapposte che generano uno sfondo complesso che occulta uno schema standard. Il compito per i sogg era di identificare fra 6 figure quella che coincideva con lo standard. I ricercatori avevano addestrato alcuni collaboratori a dare certi tipi di risp. RISULTATI: coloro che erano stati esposti all’influenza maggioritaria tendevano a riprodurre le risp dei collaboratori, corrette o meno che fossero(usuale effetto del conformismo).Quando però si esaminavano le risp insolite dei sogg, coloro che erano stati sottoposti alla condizione di PAGE 43 Ne deriva: Pg = 1- Qn * Pg dove Qn è la quantità di individui che non riescono a risolvere il problema. Qsta è la proporzione teorica dei gruppi che sono in grado di risolvere il problema e rappresenta la loro produttività potenziale in tale compito. STEINER afferma che la produttività effettiva di un gruppo di solito non riesce a raggiungere la sua produttività potenziale. Cià accade perché i gruppi raramente sono in grado di utilizzare completamente le risorse; si verificano spesso perdite dovute a processi interni al gruppo che impediscono di raggiungere la produttività massima: Produttività Max= Produttività Potenziale – perdite dovute a processi imperfetti. Alcuni processi imperfetti sono semplici da identificare: • Problemi di coordinamento: x es nel tiro della fune. • Dinamiche sociali tra i membri: influenza di processi di confronto sociale, imbarazzo, ecc. • Calo della motivazione: quando gli individui si trovano in un gruppo non si impegnano allo stesso modo di quando sono da soli. Attraverso vari studi è stato mostrato che la mancanza di impegno è semplicemente in funzione del fatto di credere di svolgere un compito assieme ad altri. Latanè e altri definirono qsta apparente diminuzione di impegno nei gruppi “inerzia sociale” o social loafing. KARAU e WILLIAMS hanno identificato una serie di condizioni nelle quali il social loafing scompare e alcune condizioni fanno pensare all’esistenza di un effetto addirittura opposto chiamato laboriosità sociale, social labouring, di aumentato impegno individuale in compiti di gruppo. I 2 fattori cruciali che promuovono il social labouring sono l’importanza del compito e la salienza del gruppo agli occhi dei suoi membri. Altre variabili che ridurrebbero l’inerzia sociale sono la possibilità per il gruppo di essere valutato e la cultura nella quale viene intrapreso lo studio. Qste caratterizzazioni suggeriscono che le perdite di processo nei gruppi non costituiscono un fenomeno inevitabile e che l’equazione di Steiner che lega la produttività reale e quella potenziale dovrebbe essere integrata dai guadagni di processo. 1.4: Due teste sono realmente meglio di una: i benefici del lavorare in gruppo Per STAINER i collaboratori costituiscono un impedimento a raggiungere il vero potenziale del gruppo. Per LATANE’ l’individuo è una specie di economizzatore di sforzo, intento a cavarsela con il minimo investimento compatibile con l’acquisizione di un livello sufficiente si prestazione di gruppo. La soluzione alla riduzione di produttività che si evidenzia nei gruppi risiede nell’aumento degli incentivi nei confronti dei contributi individuali e nella riduzione contemporanea dei costi necessari per farlo. Non avrebbe senso negare che le motivazioni e gli incentivi individuali giochino un ruolo nel determinare il comportamento dei singoli come membri del gruppo. Qste spiegazioni misconoscono la possibilità che la motivazione delle persone possa derivare da fonti sociali e che i gruppi siano in grado di pervenire a qualche forma di valore aggiunto combinando contributi individuali in schemi che non sono prevedibili. I motivi per cui si verifica un deficit di gruppo sono in sostanza 3: 1. Quando si hanno dei compiti banali da eseguire non c’è la necessità di integrare i vari contributi. Le cose sarebbero diverse se si utilizzassero compito + complessi e quindi + coinvolgenti, soprattutto se qsti compiti richiamano la necessità di un’integrazione dei contributi dei membri del gruppo. Le prove empiriche raccolte da numerose e diverse fonti confermano tutte l’esistenza di un simile effetto facilitante sulla prestazione di gruppo. SHAW e ASHTON trovarono delle prove riguardo a ciò che chiamarono assembly bonus effects (vantaggi del gruppo) usando un compito di soluzione di un cruciverba. Utilizzando cruciverba semplici qsti ricercatori non hanno osservato alcuna differenza tra le prestazioni osservate e quelle previste, ma con un cruciverba + difficile i gruppi furono migliori del previsto. I membri di un gruppo possono sentirsi incoraggiati a superare il proprio sforzo individuale se percepiscono che la prestazione delle persone che collaborano con loro ad un compito comune è meno brillante della loro. In tal caso possono sentire il bisogno di compensare l’insufficienza dei loro collaboratori. Perché qsta compensazione sociale avvenga è import che i membri del gruppo percepiscano che il compito è sufficientemente significativo. Ciò è stato dimostrato da WILLIAMS e KARAU ricorrendo ad un compito di brainstorming. A metà sogg dissero che sarebbero stati coinvolti in un importante compito cognitivo, all’altra metà invece, che sarebbero stati impegnati in un compito banale. Nella metà dei casi i sogg affrontarono il compito con un collaboratore che si professava molto abile o per niente abile, a seconda delle condizioni. Quindi una metà dei sogg eseguiva il compito in condizioni di azione congiunta; l’altra metà lavorava in gruppo, limitandosi a raccogliere idee. Nella condizione in cui il compito non era molto significativo, si verificava un effetto di social loafing, indipendentemente dall’abilità percepita dei sogg coinvolti. Quando il compito era reso importante l’impegno di coloro che erano stati messi in squadra con persone poco abili era sensibilmente maggiore nella condizione di compito collettivo rispetto a quella di mera azione congiunta. La compensazione era attuata dal membro +abile. E’ anche possibile che in alcuni tipi di compito, specie quelli che richiedono resistenza fisica, i membri del gruppo meno abili possano migliorare il loro contributo fino a raggiungere il livello del membro + abile, purchè tale livello non si discosti troppo dal loro. Qste diverse forme di compensazione sociale suggeriscono che se i compiti di apprendimento sono organizzati in attività cooperative in cui i diversi studenti sono reciprocamente interdipendenti per il raggiungimento di un obiettivo comune, allora la presenza di un mix di abilità nel gruppo potrebbe non avere effetti negativi sulla prestazione reale. 2. Quando c’è poca salienza del compito, ci creano dei gruppi artificiosi dove non si crea un’identità sociale. In gruppi artificiali, di solito, l’interazioni fra membri è scarsa o del tutto nulla e spesso manca un obiettivo esplicito di gruppo da raggiungere. L’assenza di tutti qsti fattori indica che la possibilità per i membri del gruppo di sviluppare una qualsiasi PAGE 43 identificazione con esso è minima. La teoria dell’identità sociale di TAJFEL assume che una componente importante della concezione che le persone hanno di sé, della propria identità e del proprio valore, derivi dalla loro appartenenza a gruppi. Il prestigio sociale di qsti gruppi, la qualità apparente della loro prestazione e il grado di favore con cui sono percepiti all’esterno si riflettono nelle valutazioni ei membri rivolte a se stessi. Quindi lavoreranno + duramente a favore del gruppo se, così facendo, potranno migliorarne la posizione rispetto ad altri gruppi. HARKINS e SZYMANSKI fecero a tale proposito un esperimento utilizzando il brainstorming. Hanno messo a confronto la prestazione di sogg che credevano che il loro contributo individuale sarebbe stato verificato e sogg che pensavano che la valutazione avrebbe interessato solo il contributo complessivo del gruppo. A metà sogg venne detto che avrebbero confrontato la loro prestazione con un termine di paragone costituito o dalla prestazione media di altre persone o dalla prestazione media di altri gruppi. Secondo la teoria di Tajfel, la presenza di un confronto intergruppi avrebbe dovuto accrescere il livello di identificazione con il compito del gruppo e avrebbe dovuto motivare i membri a lavorare di + per portarlo a termine. Infatti fu così, il risultato ottenuto da qsti sogg era il + alto di tutte le condizioni sperimentali. WORCHEL e colleghi fecero un asperimento: i sogg della ricerca lavoravano dapprima ad un compito individuale. Poi metà dei sogg veniva fatto lavorare al compito di gruppo in presenza di un altro gruppo che per ipotesi avrebbe rafforzato l’identificazione con il gruppo. L’altra metà lavorava in gruppo senza esser affiancata da altri. In una metà dei casi, la salienza dell’identità di gruppo veniva rafforzata dando un nome al gruppo e facendo in modo che tutti i membri indossassero un camice dello stesso colore;nell’altra metà i camici erano di colori differenti. RISULTATI: i sogg lavoravano in modo maggiore in presenza di un gruppo esterno e il loro impegno era massimo quando indossavano lo stesso camice e quando qsto era diverso da quello dei membri del gruppo esterno. Ciò dimostra l’esistenza di un social labouring in un compito di gruppo in cui non era possibile valutare il contributo individuale e in cui i membri del gruppo erano meno identificabili perché indossavano un camice dello stesso colore. 3. I dati derivano quasi tutti da culture occidentali, individualistiche e + indipendenti dal gruppo. I membri di culture individualistiche aspirano solitamente a conservare una certa indipendenza dal gruppo e sono inclini a perseguire obiettivi personali, spesso in competizione con altri. Le cultura orientali invece sono collettivistiche, i membri di qsti gruppi tendono a sviluppare un forte attaccamento ai diversi gruppi ai quali appartengono. Nella misura in cui l’obiettivo del gruppo è ben definito, esso tende ad essere interiorizzato e perseguito soprattutto nelle culture collettivistiche in cui i cali di prestazione costituiscono un evento eccezionale. 2: Processi decisionali di gruppo 2.1: Caratterizzare il processo di gruppo: la teoria degli schemi di decisione sociale Quando la produttività effettiva non riesce a raggiungere quella potenziale, si suppone la presenza di qualche fattore interferente. Possiamo solo azzardare un’ipotesi su quale possa essere qsto fattore e sul processo. Ciò accade perché l’osservazione diretta dei gruppi può esser difficile e spesso produce dati complessi difficili da interpretare. Un modo per evitare qsta difficoltà è stato proposto da DEVIS: il metodo è quello di condurre numerosi esperimenti sul pensiero in cui si immaginano tutti i modi diversi in cui i gruppi potrebbero lavorare ad un compito particolare. Qsti sono formulati come modelli di regole di decisione differenti. Poi si introducono in qsti modelli informazioni sulle abilità degli individui nel completare il compito o parte di esso. Qste info possono essere ipotetiche o basate su dati precedentemente raccolti. Poi si calcolano i risultati probabili dei diversi modelli. I risultati sono posti a confronti con i risultati effettivi. Si suppone che il modello di decisione utilizzato dal gruppo sia quello che meglio corrisponde al pattern di dati osservato. ESEMPIO: immaginiamo un gruppo di 3 individui che tenta di risolvere un problema con un’unica soluzione. Facciamo finta che si siamo 3 tipi di individui nella popolazione: • Y1: coloro che sono capaci di risolvere il problema; • Y2: gli individui che consono capaci di risolverlo ma se vedono la soluzione corretta sono in grado di riconoscerla; • Y3: le persone che né sono in grado di riconoscere la soluzione se la vedono, né sono in grado di trovarla. Le varie combinazioni sono in tutto 10. Pensiamo ora ai modi in cui il gruppo potrebbe giungere ad una decisione sulla soluzione del problema. Prendiamo 3 regole comuni che operano nei gruppi: • il trionfo della verità: prevarrà sempre una soluzione corretta dimostrabile; • la regola della maggioranza; • il verdetto unanime. Successivamente determiniamo se ciascuna delle dieci permutazioni dei membri del gruppo potrebbe o meno risolvere il problema in ciascuna delle 3 regole di decisione supposte sopra. Dopo dobbiamo fare qualche ipotesi sulla distribuzione dei nostri 3 tipi di individui nella popolazione e sulla probabile composizione dei nostri gruppi. A qsto punto è facile calcolare le probabilità teoriche previste di raggiungere una soluzione con ciascuna delle regole di decisione. (per il trionfo della verità, 5 tipi di composizione di gruppo su 10 risolvono il problema, quindi la probabilità di raggiungere la soluzione corretta è di 0.6. Per la regola della maggioranza 5 tipi di composizione trovano la soluzione, quindi la probabilità è 0.5. Per il verdetto unanime solo 3 tipi di gruppo raggiungono la soluzione quindi la probabilità sarà 0.3. LAUGHLIN parla di modello della prevalenza della verità convalidata da terzi, ovvero la risp giusta prevarrà in un gruppo solo se almeno 2 membri la difendono. Corrisponde al modello della regola maggioritaria. Un unico individuo che PAGE 43 suggerisce la risp esatta è meno efficace, lo si può aver quando gruppi molto piccoli devono occuparsi di compiti molto difficili. 2.2: Le decisioni degli individui e dei gruppi sono diverse? STONER nei suoi esperimenti usava come sogg degli studenti di economia. Domandò a ciascuno di loro di esprimere giudizi su alcuni ipotetici dilemmi sociali. Ciascuno di essi richiedeva 2 corsi d’azione, uno dei quali comportava un rischio + elevato ma aveva anche un risultato+ desiderabile. Ai sogg fu chiesto di valutare quale era il livello di rischio + bassi che erano disposti ad accettare consigliando ogni volta al sogg l’alternativa + rischiosa. I sogg venivano poi riuniti a caso in gruppi con il compito di raggiungere una decisione unanime su ciascuno dei dilemmi che avevano considerato individualmente. Stoner notò che le decisioni di gruppo erano + rischiose della media delle decisioni individuali precedenti alla discussione di gruppo. Qsti risultati furono replicati da altri autori i quali stabilirono che qsti spostamenti nell’opinione del gruppo venivano interiorizzati perché ricomparivano quando si domandava ai sogg di esprimere ancora una volta le loro opinioni individuali dopo la discussione di gruppo. Dopo molti altri esperimenti risultarono evidenti il ruolo di 3 fattori: 1. il cosiddetto spostamento verso il rischio dovrebbe essere definito polarizzazione: i gruppi sembrano spostarsi dal punto neutro della scala verso il polo che era preferito inizialmente dalla media delle scelte individuali. 2. l’ampiezza dello spostamento dovuto alla polarizzazione di gruppo era correlata con la posizione iniziale media degli individui nella scala. Più un gruppo è estremo all’inizio,+ estremo sembra diventare. 3. gli effetti della polarizzazione non sono limitati ai dilemmi di scelta ideati. Va aggiunto però che quasi tutti qsti studi vennero fatti in laboratorio, quindi le decisioni non avevano conseguenze reali. In quei pochi studi effettuati sui processi decisionali di gruppi reali, la polarizzazione non era sempre molto visibile. SEMIN e GLENDON hanno osservato che l’elemento che distingue la maggior parte dei corpi decisionali reali dai gruppi di laboratorio è che i primi sono molto + stabili, hanno una storia e un futuro. Ciò significa che è molto + probabile che i gruppi decisionali reali sviluppino una struttura interna, che adottino procedure convenzionali e stabiliscano delle norme sugli argomenti oggetto di decisione, tutti fattori che ostacolano la comparsa di una polarizzazione. Può accadere che la polarizzazione si presenti negli stadi iniziali della vita di un gruppo o quando esso affronta una situazione nuova o insolita. 2.3: Spiegazioni della polarizzazione di gruppo Come possiamo spiegare i fenomeni di polarizzazione??? Esistono 3 approcci principali a qsto problema: 1. Polarizzazione mediante confronto: secondo SANDERS e BARON,ogni argomento sul quale un gruppo deve raggiungere una decisione tende ad essere associato a numerosi valori sociali. Qsti valori daranno luogo ad una preferenza sociale iniziale per un risultato anziché per un altro. Prima della discussione di gruppo è probabile che ciascun individuo tenda a percepire se stesso come + vicino a qsto risultato socialmente desiderabile rispetto ai suoi pari. Avviata la discussione di gruppo, aumentando così la salienza dei valori sociali rilevanti, alcuni di qsti individui scoprono che la percezione iniziale era errata perché ci sono altri sogg che approvano posizioni ancora + vicine al polo socialmente valorizzato rispetto a loro. Il risultato di qsto confronto sociale è quello di determinare un ulteriore spostamento dei sogg in qsta direzione al fine di presentare se stessi sotto una luce + favorevole. Il risultato è che la decisione collettiva sarà leggermente + estrema della media delle posizioni individuali e rappresenterà + strettamente il punto di vista maggioritario nel gruppo. L’idea di fondo di qsta spiegazione dei confronti sociali è che gli individui siano a conoscenza delle posizioni assunte dagli altri membri del gruppo relativamente al valore sociale dominante in questione. Di conseguenza è possibile che non sia necessario discutere tali argomenti con gli altri membri per produrre polarizzazione, se le info per il confronto sociale possono essere fornite in qualche altro modo. 2. polarizzazione mediante persuasione: secondo questo approccio il fattore causale principale che è alla base della polarizzazione di gruppo è costituito dallo scambio di info e dalle discussioni che precedono la decisione collettiva. BURNSTEIN e VINOKUR partono dal presupposto che su ogni argomento soggetto a discussione nel gruppo è improbabile che si verifichi un equilibrio esattamente simile tra gli argomenti e le prove favorevoli o contrarie. Di solito ci sarà una prevalenza in una direzione e ciò dipenderà dai valori sociali dominanti. All’inizio ciascun individuo non avrà accesso a tutti qsti argomenti e non tutti gli individui nel gruppo saranno consapevoli degli stessi argomenti. Una volta avviata la discussione, tutte qste info diverse vengono portate alla luce; ciascun individuo prende conoscenza di una quantità maggiore di argomenti a sostegno del punto di vista dominante e, anche di 1 o 2 argomenti contrari aggiuntivi. I membri del gruppo si comportano allora come elaboratori di info razionali e rispondono agli argomenti aggiuntivi e alle prove in favore del punto di vista inizialmente preferito spostando ulteriormente la loro opinione in tale direzione. Se ciò che causa polarizzazione è il contenuto persuasivo degli argomenti anziché i confronti tra se stessi e gli altri, allora dovrebbe essere possibile produrre spostamenti di opinioni anche quando gli individui non sono in grado di inferire opinioni degli altri, purchè gli argomenti rilevanti che emergono siano sufficientemente persuasivi. Invece, anche se i sogg conoscono la posizione degli altri su un determinato argomento, a meno che non siano esposti ad argomenti sufficientemente vari e convincenti, non dovrebbero mostrare polarizzazione. PAGE 43 inibizioni perché sono ritenuti + deboli o meno capaci di reagire, ad esempio i membri di qualche gruppo di minoranza. Secondo un’analisi fatta da Dollard e colleghi, relativa alla crescita dell’antisemitismo in Germania, Hitler trovò un pubblico così ricettivo nei confronti delle sue idee razziste a causa del decennio precedente di frustrazioni causate dal crollo dell’economia tedesca degli anni 20. Altri tentativi compiuti per verificare la validità di qsta spiegazione del giudizio come ricerca di capro espiatorio hanno incontrato un successo solo parziale. I problemi legati alla teoria della frustrazione-aggressività sono diversi: • Uno dei problemi della spiegazione basata sullo spostamento è la difficoltà nel prevedere con qualche certezza quale bersaglio verrà scelto come capro espiatorio. MILLER suggerì che gli individui avrebbero scelto bersagli che non fossero né troppo simili né troppo diversi dalla fonte reale della frustrazione. • La frustrazione non è né necessaria né sufficiente per determinate l’aggressività. BARKOWITZ ripropone così una riformulazione della teoria. Il primo cambiamento importante da lui suggerito è stato quello di sottolineare l’importanza che hanno gli indizi relativi alla situazione nel liberare l’aggressività prodotta dalla frustrazione. Qsti indizi sono stimoli presenti nell’ambiente sociale che erano stati associati all’aggressività in passato. Il capro espiatorio che viene scelto + facilmente è un outgroup che i membri dell’ingroup avevano associato in precedenza al conflitto o all’antipatia. Barkowitz ampliò il significato di frustrazione fino ad includervi un elemento soggettivo o cognitivo: la frustrazione non è solo un determinato stato di deprivazione oggettiva, ma anche la presenza di fattori che ostacolano le aspettative degli individui, l’idea di essere deprivati. Alla fine la causa generale dell’aggressività non è di per sé la frustrazione, ma gli eventi contrari in generale. • C’è il problema di tradurre gli stati di frustrazione dei singoli individui in atti di aggressività collettivi. La teoria della frustrazione-aggressività implica che ogni volta si verifichi un’esplosione di pregiudizio o di scontento ciò che accade è che diverse centinaia di persone sperimentano allo stesso tempo il medesimo stato emotivo di rabbia e scelgono insieme gli stessi bersagli per scaricare tale rabbia. Il modellamento e la selettività dell’antagonismo intergruppi suggeriscono che oltre alla semplice rabbia degli individui coinvolti, devono essere implicati anche fattori come le norme sociali e gli scopi collettivi. • Raramente il conflitto tra gruppi è guidato da una qualsiasi strategia premeditata da parte dei membri coinvolti, è piuttosto una faccenda irrazionale. Osservazioni fatte da FOGELSON suggeriscono che i rivoltosi mantengono un certo grado di controllo cognitivo che è incompatibile con l’idea presente nella teoria della frustrazione-aggressività che tali eventi siano causati dall’esplosione di rabbia negli individui. • La teoria è incapace di spiegare o predire comportamenti positivi, come l’amicizia o la collaborazione, nelle relazioni intergruppi. 1.2: Deprivazione relativa e disagio sociale La deprivazione non è una condizione assoluta ma è sempre relativa a qualche norma che stabilisce ciò che viene ritenuto accettabile. Il punto fondamentale della teoria della deprivazione relativa è che gli individui diventano scontenti e ribelli quando percepiscono l’esistenza di una discrepanza tra lo standard di vita di cui godono e quello di cui credono di dover godere. Secondo GURR è proprio la deprivazione relativa a costituire la forza motrice della violenza collettiva. +il divario è ampio, maggiore è la probabilità di disagio. Altri studiosi hanno fatto notare che esiste un altro tipo di deprivazione che deriva dalla percezione da parte degli individui delle fortune del proprio gruppo. Uno di qsti è RUNCIMAN che suggerisce che nei movimenti collettivi il fattore + importante è la sensazione che l’ingroup sia deprivato in rapporto a qualche standard desiderato. Egli definisce qsto fenomeno come deprivazione fraternalistica per distinguerla dall’altra forma di deprivazione egoistica. Cosa dà origine alla deprivazione relativa?? A livello generale la deprivazione relativa è causata da uno scarto tra le aspettative e i risultati. Le aspettative sono coinvolte nel sostegno che i singoli individui danno al cambiamento sociale. Ma cosa determina le aspettative degli individui?? Un fattore possibile è l’esperienza passata. DAVIES dice che gli individui tendono a fare previsioni sulla base delle proprie esperienze recenti di benessere o di povertà e ad aspettarsi che il futuro sia simile. Egli propose l’ipotesi della curva J: è + probabile che le ribellioni avvengano non dopo un periodo di deprivazione prolungata, ma dopo un periodo in cui lo standard di vita generale è aumentato per vari anni e successivamente ha mostrato un declino improvviso. Qsto declino improvviso dopo un periodo di prosperità produce lo scarto tra gli standard di vita reali è quelli desiderati che determina la deprivazione relativa. La teoria di Davis ha ricevuto solo in parte conferma empirica. Se il confronto con il passato non sempre genera una frustrazione delle aspettative, il contatto con altri gruppi può costituire una fonte di deprivazione assai + potente. VANNEMAN e PETTIGREW presero in esame un campione di 1000 cittadini bianchi con diritto di voto e cercarono di capire in che misura essi sentivano di stare meglio o peggio, sul piano economico, rispetto ad altri bianchi simili a loro (deprivazione egoistica) e rispetto ai neri (deprivazione fraternalistica o collettiva). I sogg con maggiore pregiudizio erano i collettivamente deprivati o quelli egoisticamente e collettivamente deprivati. I sogg che sperimentavano solo deprivazione egoistica non esprimevano particolari pregiudizi, poiché il loro scontento riguardava la loro sorte personale e non si mescolava ad un’insoddisfazione di gruppo, non si traduceva neanche in un pregiudizio intergruppo. Se c’è un gruppo che ha tutto il diritto di sentirsi relativamente deprivato, qsto è quello delle donne. Nonostante l’avvenuta promulgazione di leggi sulla parità, le donne continuano a guadagnare meno degli uomini e ad esser concentrate nelle PAGE 43 professioni di minore prestigio. Qsta disparità persiste passando alla sfera domestica, nella quale le donne svolgono di solito la maggioranza delle incombenze domestiche anche quando lavorano come il partner. Anche se il livello generale di deprivazione relativa delle donne non è così alto, in quelle donne che sentono l’iniquità della loro posizione qsto sentimento tende a tradursi in un desiderio di modificare le cose. Alcuni autori in uno studio hanno riscontrato che il senso di deprivazione collettivo era alimentato, almeno in parte, dalla frustrazione personale delle donne per il fatto di non aver tratto grandi vantaggi dai programmi di azione positiva sul lavoro. Qsta duplice deprivazione, egoistica e collettiva, sembra costituire uno stimolo particolarmente potente a manifestazioni di protesta. Non possiamo decidere se è la deprivazione ad aver dato origine all’attività di protesta o se è invece la partecipazione casuale ad azioni collettive ad aver prodotto un cambiamento di atteggiamento. La prima ipotesi è stata dimostrata da uno studio in cui i ricercatori raccolsero il parere degli intervistati circa la propria situazione di lavoro un mese prima di somministrare un questionario comportamentale che andava ad indagare il loro coinvolgimento nelle attività di sviluppo di carriera e di protesta collettiva. Mentre i sentimenti di scontento personale erano associati ad un maggior numero di tentativi di cambiare lavoro e di ottenere ulteriori qualifiche e formazione, ma non erano associati alla partecipazione a forme di azione collettiva, i sentimenti di scontento collettivo erano fortemente correlati alla partecipazione a programmi di azione positiva a sciopero e solo poco associati alla partecipazione a programmi di sviluppo. Tutti qsti studi hanno individuato una correlazione fra deprivazione relativa e scontento sociale. La teoria della deprivazione relativa consente di capire meglio quando e dove lo scontento sociale può sorgere. Dopo la sua formulazione essa ha ricevuto alcune specifiche: • La deprivazione relativa necessita di una forte identificazione con il gruppo; • L’importanza della consapevolezza di poter determinare un cambiamento: per quanta rabbia possano provare, se i membri di un gruppo svantaggiato non vedono alcun mezzo per raddrizzare le cose, difficilmente saranno disposti a fare molto per migliorarle. • La natura dell’ingiustizia percepita soggiace al senso di deprivazione relativa: Il senso di deprivazione relativa si ingenera dalla percezione di una discrepanza fra i risultati ottenuti e quelli attesi. Esso nasce dalla percezione di un’ingiustizia nella distribuzione dei beni materiali. Secondo TYLER e SMITH qsta ingiustizia distributiva talvolta ha minor rilevanza rispetto alla percezione di un’ingiustizia procedurale, ovvero dell’idea che i metodi utilizzati per distribuire i beni materiali siano iniqui. • I confronti sociali costituiscono una fonte importante di deprivazione relativa perché rappresentano spesso un modo con cui le persone valutano la loro posizione di gruppo e il loro sviluppo nella società. Ma l’effetto di qsti confronti, sentimenti di deprivazione o di gratificazione, dipende interamente dal gruppo con il quale si sceglie di confrontarsi. I primi teorici della deprivazione relativa hanno suggerito che le persone tendano a confrontarsi con persone simili a loro. Secondo MAJOR qsta tendenza spiega in parte il “paradosso della lavoratrice soddisfatta”: la ragione per cui le donne sembrano indifferenti di fronte a madornali disuguaglianze retributive è che tendono a confrontarsi con altre donne anziché con uomini. 2: Comportamento intergruppi e interessi di gruppo 2.1: Scopi conflittuali e competizione intergruppi: SHERIF con la sua teoria afferma che gli attegg e il comportamento intergruppi degli individui tenderanno a riflettere gli interessi oggettivi del proprio gruppo nel confronto con gli altri gruppi. Dove qsti interessi sono in conflitto, allora è + probabile che la causa sostenuta dal loro gruppo sia incoraggiata da un orientamento competitivo nei confronti del gruppo rivale, che spesso viene esteso fino ad includere atteggiamenti preconcetti e persino un comportamento apertamente ostile. Viceversa, dove gli interessi dei gruppi coincidono, allora è + funzionale per i membri del gruppo adottare un atteggiamento cooperativo e amichevole nei confronti dell’outgroup. Sherif e i suoi collaboratori fecero 3 esperimenti noti come gli studi del “campo estivo”. Il disegno sperimentale complessivo comprendeva 3 fasi: la formazione del gruppo, il conflitto intergruppi e la riduzione del conflitto. Fecero in modo che gli esperimenti fossero condotti nel contesto di un campo estivo per ragazzi, con la diff che tutti gli adulti presenti nel campo estivo erano ricercatori addestrati che osservavano attentamente ciò che accadeva. I ragazzi erano stati selezionati prima di essere invitati al campo,erano tutti bianchi, di classe media e intorno ai 12 anni di età. Nessuno si conosceva prima di allora. Qsto campione assicurava che qualsiasi comportamento osservato in seguito non fosse attribuibile ad una storia precedente di deprivazione sociale o alle relazioni preesistenti tra ragazzi. Prima fase: formazione del gruppo: • Nei primi 2 esperimenti si fece in modo che la maggior parte dei migliori amici di ciascun ragazzo fosse nell’outgroup. • Nel terzo esperimento i ragazzi non si incontrarono mai prima della formazione dei gruppi e all’inizio erano accampati ad una certa distanza l’uno dall’altro, inconsapevoli della presenza di un altro gruppo. Nei primi 2 esperimenti gli osservatori registrarono alcuni casi di confronti tra i gruppi e il vantaggio era attribuito al proprio gruppo. PAGE 43 Nel terzo studio, dopo aver informato il gruppo della presenza dell’altro gruppo, diversi ragazzi suggerirono spontaneamente di sfidare l’altro gruppo in qualche gara sportiva. Tutto ciò avvenne prima della seconda fase. Seconda fase: conflitto intergruppi: Gli sperimentatori annunciarono ai ragazzi che avrebbero avuto luogo delle competizioni tra i gruppi. Il vincitore avrebbe ricevuto una coppa e a ciascun membro del gruppo vincitore sarebbe stato dato un coltellino nuovo. I perdenti non avrebbero ricevuto niente. In qsto modo fu introdotto un conflitto oggettivo di interessi tra i gruppi. Si era passati dall’indipendenza reciproca all’interdipendenza negativa: cioè che un gruppo guadagnava e l’altro perdeva. Con l’introduzione di qsta fase di conflitto il comportamento dei ragazzi cambiò vistosamente. A qsto punto i gruppi vennero trasformati in fazioni ostili che non perdevano mai l’opportunità di deridere e a volte aggredire fisicamente l’outgroup. In una serie di esperimenti Sherif e Co. Documentarono la presenza di un favoritismo sistematico e uniforme per l’ingroup nel giudizi, negli attegg e nelle preferenze sociometriche espresse. In una gara di lancio di fagioli venne sparso un gran numero di fagioli sull’erba. Ogni membro della squadra aveva un tot di tempo per raccogliere + fagioli possibili. Quelli raccolti da ogni sogg venivano poi fatti vedere su uno schermo per mezzo di un proiettore. In verità lo sperimentatore faceva in modo di proiettare sempre il solito numero di fagioli. Nonostante qsto stimolo costante i giudizi dei ragazzi mostravano un bias notevole e coerente in favore del proprio gruppo. Il gruppo vincente mostra un bias persino superiore a quello del gruppo perdente. I cambiamenti ebbero luogo anche all’interno dei gruppi. Qsti diventarono + coesi e talvolta la struttura della leadership si modificava quando un ragazzo + aggressivo assumeva la direzione. Il comportamento di qsti bimbi comuni ben adattati dimostrò di variare sistematicamente a seconda della natura della relazione intergruppi. Inoltre i membri del gruppo vincente sembrarono in realtà + inclini a screditare l’outgroup di coloro che erano realmente frustrati per non aver ricevuto i premi. 2.2: Scopi sovraordinati e cooperazione intergruppi Come si possono produrre la cooperazione e l’amicizia tra i gruppi? E’ necessario un modo per sostituire la relazione conflittuale tra i gruppi contendenti con una in cui siano positivamente interdipendenti, e in cui ciascuno ha bisogno dell’altro per il raggiungimento di qualche obiettivo desiderato. SHERIF, dopo aver prodotto la feroce competizione tra ragazzi, cercò di ridurre il conflitto introducendo una serie di scopi sovraordinati per i gruppi, cioè scopi che entrambi i gruppi desiderassero ma che non fossero raggiungibili con gli sforzi di un solo gruppo(Terza fase: riduzione del conflitto). Dopo numerose situazioni di qsto tipo si osservò un notevole cambiamento: i ragazzi divennero meno aggressivi verso i membri dell’altro gruppo e mostrarono un evidente diminuzione della quantità di favoritismo per l’ingroup. Un limite importante della strategia degli scopi sovraordinati è l’esito degli sforzi congiunti. WORCHEL, ANDREOLI e FOLGER idearono un esperimento in cui misero du gruppi a lavorare insieme su due compiti che riuscivano o fallivano. La sessione di lavoro era preceduta da un periodo di interazione in qui i gruppi sperimentavano in varia misura situazioni di competizione o cooperazione, oppure lavoravano indipendentemente ad altri 2 compiti. Gli autori suggerirono che qsta storia precedente di relazioni intergruppi potrebbe avere un’influenza sulla relazione successiva dei gruppi nei confronti del fallimento nel compito cooperativo successivo. Coloro che cooperavano mostrarono gli attegg + favorevoli nei confronti dell’outgroup, i gruppi competitivi quelli meno favorevoli, mentre i gruppi indipendenti erano in posizione intermedia. Dopo la seconda fase gli atteggiamenti nei confronti dell’ingroup si modificarono appena. A prescindere dal fatto che avessero fallito o fossero riusciti a svolgere il compito, coloro che in precedenza avevano cooperato o lavorato indipendentemente divennero tutti + amici di quelli di quell’altro gruppo. L’eccezione si presentò in quei gruppi che avevano precedentemente sperimentato la competizione reciproca. Se la cooperazione nella fase2 era riuscita allora, come gli altri gruppi, anche loro erano predisposti + favorevolmente nei confronti dell’outgroup. Ma coloro che fallirono nei compiti cooperativi mostrarono un netto declino nei loro punteggi di attrazione per l’outgroup. Altri studi suggeriscono che i gruppi che hanno un interesse comune ad unirsi o anche soloa lavorare insieme farebbero bene a pensare a come far sì che ciascun gruppo conservi parte ella sua identità nell’attività congiunta. 2.3: La teoria realistica del conflitto di gruppo: una valutazione Il punto di forza della teoria realistica del conflitto consiste nella capacità di spiegare i flussi e riflussi del pregiudizio nel tempo e in contesti sociali diversi. Essa mostra infatti come qst andamento possa essere attribuito al mutare delle relazioni economiche e politiche fra i gruppi coinvolti. Nondimeno essa presenta anche un certo numero di difficoltà empiriche e teoriche che dimostrano che essa non può da sola spiegare completamente ogni aspetto delle relazioni fra i gruppi. Ci sono 3 problemi: 1. Mentre è chiaro che la competizione fra gruppi porta + della cooperazione allo sviluppo di atteggiamenti negativi e pregiudiziali, è anche vero che qsti ultimi non scompaiono affatto nel secondo tipo di situazione. PAGE 43 OAKES e TURNER hanno dimostrato ke la propensione ad applicare un certo insieme di categorie può variare in funzione delle richieste immediate del compito. Qsti autori dimostrarono che se si danno ai sogg determinate istruzioni si possono cancellare le proprietà distintive associate agli stimoli”unici”, quali esse siano. Metà dei sogg venivano avvertiti che avrebbero dovuto successivam descrivere una persona;alla restante metà venne chiesto di concentrarsi sul gruppo nel suo insieme. L’ipotesi era che in qust’ultima condizione i sogg avrebbero utilizzato con maggiore probabilità la categoria di genere non tanto nei casi unici, quanto nei gruppi equilibrati,composti cioè da 3 uomini e 3 donne. E così avvenne. 1.2: La categorizzazione sociale nei bimbi Ci sono prove che i bimbi siano sensibili alle principali divisioni sociali vigenti nel loro mondo e che la loro consapevolezza delle diverse categorie e l’uso che ne fanno risentano del particolare contesto in cui si trovano e non siano invece espressione di una propensione rigida a classificare la realtà in modo schematico. HOROWITZ presentava ai bimbi americano di razza bianca alcune serie composte da 5immagini. 3 erano accomunate da 2 aspetti, le altre due differivano in un aspetto. I bimbi dovevano trovare l’elemento incongruo. Combinando diversamente le variabili appartenenza etnica, genere, età e status socioeconomico, l’autore riuscì a scoprire quale fosse la categoria + saliente per i bimbi.In primo piano c’era l’appartenenza etnica, seguita dal genere e da ultimo dallo status socioeconomico. Ci sono prove del fatto che già a pochi mesi i bimbi sono in grado di operare distinzioni categoriali. A partire da 6 mesi il bimbo riesce a discriminare i fonemi, i colori e l forme. FAGAN e SINGER hanno utilizzato il paradigma detto della “abitazione” con bimbi di 5/6mesi. Veniva presentato ripetutamente uno stimolo al sogg in modo che vi si abitui. Poi gli si presenta contemporaneamente il medesimo stimolo e un secondo stimoli di prova e si misurano i tempi di fissazione dello sguardo su ciascuno di essi. Se lo stimolo di prova richiama + a lungo l’attenzione l’ipotesi è che qsto accade perché il bimbo vi scorge qualche elemento di novità o di differenza e pertanto compie una discriminazione. 1.3: Alcune conseguenze della categorizzazione sociale I ricercatori si sono chiesti se la semplice categorizzazione di un individuo come membro di un gruppo basti da sola a far scattare una discriminazione intergruppi. La mera appartenenza ad un gruppo e la discriminazione intergruppi RABBIE e HOROWITZ videro che quando i bimbi di età scolare venivano suddivisi in 2 gruppi arbitrari, i biases in favore dell’ingroup che emergevano nei loro punteggi intergruppi erano limitati. Quando tale divisione era accompagnata da una certa interdipendenza del destino, quei biases diventavano + evidenti. TAJFEL e colleghi dimostrarono che la sola categorizzazione era sufficiente per suscitare un favoritismo intergruppi. Inoltre qsto favoritismo assumeva la forma di una discriminazione comportamentale distinta. Il solo fatto di essere assegnati ad un gruppo sembra avere prevedibili sul comportamento intergruppi. Qsto tipo di paradigma, chiamato “ del gruppo minimo”,ha suscitato alcune controversie: 1. L’eventualità che i partecipanti a qsti esperimenti stessero veramente mostrando un favoritismo nei confronti dell’ingroup o esibissero un comportamento di “equità”. Anche se i sogg mostrano una propensione a parificare i risultati dell’ingroup e dell’outgroup, è tuttavia vero che sono quasi sempre + equi nei confronti dei membri dell’ingroup rispetto a quelli dell’outgroup. 2. Se la comparsa della discriminazione intergruppi nella situazione del gruppo minimo possa essere spiegata come un effetto di motivazioni e di interessi soggettivi. Secondo Rabbie, Schott e Visser anche se si può escludere un’influenza diretta degli interessi personali, non si può negare che i partecipanti possano continuare a credere che i membri di ciascun gruppo tenderanno a favorirsi fra loro. Potrebbe entrare in gioco la percezione di una certa interdipendenza che a sua volta potrebbe spingere le persone a riconoscere i benefici massimi possibili ai membri del proprio gruppo e così facendo, a riceverne in cambio. Per verificare qsta ipotesi gli autori hanno proposto due variazioni della situazione standard del gruppo minimo. Nella prima hanno detto ai partecipanti che avrebbero ricevuto solo ciò che altri membri del gruppo avrebbero dato loro. Nella seconda che avrebbero ricevuto solo ciò che i membri dell’altro gruppo avrebbero dato loro. Videro che coloro che si trovavano a dipendere unicamente dal proprio gruppo esprimevano un atteggiamento ancora + favorevole verso l’ingroup, mentre coloro che si trovavano a dipendere dal gruppo esterno esprimevano un attegg meno favorevole nei confronti del proprio gruppo se non addirittura un orientamento a favore dell’outgroup. Qste ricerche dimostrano che le persone rispondono a considerazioni che hanno a che vedere con i loro personali interessi quando le si rende esplicite. Ci sono dati secondo cui anche quando gli interessi economici dei partecipanti alle situazioni di gruppo minimo vengono pienamente soddisfatti continua ad essere presente qualche forma di discriminazione intergruppi. Pertanto anche se la percezione della presenza di una certa interdipendenza e reciprocità può giocare un ruolo nel guidare un comportamento dei membri di un gruppo in certe circostanze, essa non consente di spiegare da sola i fenomeni di discriminazione intergruppi che si presentano nelle situazioni di gruppo minimo. Omogeneità percepita nel gruppo PAGE 43 L’ingroup e l’outgroup sono percepiti di rado come omogenei allo stesso grado. Si ritiene che le persone tendano a percepire i membri di un gruppo esterno come + simili fra loro dei membri del proprio gruppo, come se pensassero “loro sono tutti uguali mentre noi siamo tutti diversi”. Come spiegare qsto effetto di percezione di omogeneità nell’outgroup? Una prima ipotesi, detta di “familiarità” è che esso scaturisca dalla diversa quantità di info di cui l’osservatore dispone rispetto ai membri del proprio e di altri gruppi. Di solito conosciamo meglio gli individui del nostro gruppo, interagiamo spesso con loro, quindi siamo + consapevoli delle differenze che li separano. I membri del gruppo esterno, essendo meno conosciuti tendono ad essere percepiti in modo + globale e indifferenziato. Qsto modello sottolinea l’importanza della diversa familiarità che l’osservatore ha con i membri del proprio gruppo. Un secondo modello sostiene che non conta tanto l’informazione su una serie di esemplari specifici, ma la natura complessiva della categoria. L’osservatore non ha in testa un elenco di persone specifiche del proprio o di altri gruppi a lui note, ma concetti + astratti delle categorie nel loro insieme, modellati sul membro prototipico di ciascuna di esse + qualche stima della variabilità rispetto a qsta persona tipica. La ragione che spinge a considerare l’ingroup + variabile dell’outgroup sta nel fatto che il concetto di qsta categoria è insieme +importante, + concreta, + provvisoria SIMON e BROWN hanno dimostrato che l’effetto di omogeneità dell’outgroup non costituisce affatto la regola nella percezione intergruppi. Un fattore che contribuisce a determinare se sarà l’ingroup o l’outgroup a essere percepito + omogeneo è la dimensione relativa dei gruppi interessati. Presumendo che qualora l’ingroup sia minoritario potrebbe sentirsi minacciato nella sua identità dal + ampio gruppo di maggioranza, ritenevano che una minaccia del genere potesse condurre a un + forte bisogno di proteggere l’identità dell’ingroup percependolo come + omogeneo. In una situazione sperimentale di gruppo minimo gli autori hanno variato la dimensione dell’ingroup e dell’outgroup e hanno riscontrato che coloro che si trovavano in un gruppo + piccolo mostravano di percepire un’omogeneità nell’ingroup mentre coloro che si trovavano nei gruppi non minoritari mostravano l’usuale effetto di attribuire omogeneità all’outgroup. E’ stato visto da altri esperimenti che i sogg appartenenti ai gruppi minoritari si identificavano con maggior forza con il loro ingroup. Risultati supplementari dimostrano che l’identità di gruppo è + importante per i membri delle minoranze che per quelli delle maggioranze. TURNER suggerisce che l’identificazione con un gruppo comporta 2 processi simultanei: • L’adattamento di sé alle caratteristiche chiave o cruciali del membro prototipo dell’ingroup; • L’accrescimento massimo possibile della distanza fra qst’ultimo e il prototipo dell’outgroup. Sembra giusto ipotizzare che un fattore rilevante che contribuisce ad asimmetrie nella percezione di omogeneità di gruppo è costituito da processi che scaturiscono dalle identità dei sogg in quanto membri di certi gruppi e non di altri. 2: Gli stereotipi come quadri mentali Il pensiero categoriale offusca la percezione delle diff tra i membri di uno stesso gruppo. Ciò accade quando nel processo di applicazione di uno stereotipo. Quando percepiamo qualcuno in modo stereotipo gli attribuiamo certe caratt che riteniamo condivise da tutti o quasi i membri del suo gruppo. Gli stereotipi sono le inferenze che traiamo, le immagini che ci balzano alla mente quando evochiamo una certa particolare categoria. Essi sono i contenuti dei quadri categoriali ai quali riconduciamo le persone nel tentativo di dare un senso ad una particolare situazione sociale. Il termine stereotipo è stato introdotto da LIPPIMAN, egli descriveva gli stereotipi come gli stampi cognitivi che riproducono le immagini mentali delle perosne o detto in altri modi, i quadri che abbiamo in testa. Secondo BROWN ci sono 3 caratt importanti degli stereotipi dal punto di vista delle relazioni intergruppi: • Le credenze legittimate; • Le aspettative; • Le profezie che si autoavverano Qste caratteristiche derivano dalle reali relazioni intergruppi nelle quali si manifestano e allo stesso tempo ne favoriscono il mantenimento. 2.1: Gli stereotipi come credenze legittimanti Gli stereotipi sono rappresentazioni mentali che contribuiscono a dare ordine e senso al mondo che percepiamo. I membri di una società o di un gruppo sociale al suo interno tendono a condividere abbastanza consensualmente gli stereotipi di gruppo + significativi. Numerosi stereotipi nazionali ed etnici sembrano godere del consenso di ampie maggioranze, anche quando esistono norme sociali che ne impediscono la pubblica espressione. Qsti risultati sono importanti perché suggeriscono che le funzioni psicologiche assolte dagli stereotipi implicano anche l’intervento di alcuni fattori sociali. Se le cose non stessero così, ciascuno di noi svilupperebbe una costellazione unica di stereotipi derivandola dalle proprie esperienze personali con i gruppi esterni interessati. Gli stereotipi si modificano rapidamente al modificarsi delle relazioni intergruppi. PAGE 43 I modelli comportamentali culturalmente distintivi di un gruppo o la situazione socioeconomica particolare nella quale esso si trova possono costituire la base su cui si innestano le percezioni stereotipe. Alcuni autori hanno dimostrato che gli stereotipi di genere delle donne come persone gentili, calde e comprensive potrebbero derivare soprattutto dal fatto che tendono ad assolvere i ruoli tradizionali di cura ei figli e della casa. Qste caratt femminili stereotipe scomparivano se la donna rappresentata veniva descritta anche come una lavoratrice. 2.2: Gli stereotipi come aspettative Gli stereotipi possono non solo riflettere la realtà sociale, ma anche distorcerla portando tendenzialmente al perpetuarsi delle relazioni di status esistenti fra i gruppi. Perché qsto accada, occorre ipotizzare che gli stereotipi influenzino le valutazioni dei singoli attori. Spesso gli stereotipi agiscono influenzando le aspettative dell’osservatore a proposito del gruppo (o di un membro) in questione. Es/ Esiste uno stereotipi diffuso secondo cui gli uomini sono + alti delle donne. Qsta aspettativa potrebbe portare a compiere errori di stima. NELSON, BEIERNAT e MANIS hanno scoperto che le stime dell’altezza di donne e di uomini rappresentati in fotografia erano sensibilmente influenzate dalla variabile sesso, anche quando nelle foto stimolo non erano evidenziabili differenze fra i sessi. Ovviamente nella vita reale l’appartenenza di un individuo ad una categoria non costituisce la sola informazione disponibile per effettuare una valutazione. DARLEY e GROSS hanno scoperto che gli stereotipi di classe sociale potrebbero influire sulle valutazioni ella prestazione scolastica. I sogg assistevano alla proiezione di un video che rappresentava una ragazza. A seconda elle condizioni essa veniva descritta come proveniente da un ambiente operaio deprivato o da un ambiente + privilegiato ella classe media. Ciò era stato ideato per creare aspettative negative e positive sulla sua prestazione accademica in considerazione del rapporto che c’è fra classe sociale e risultati scolastici. L’impatto di qste aspettative stereotipe veniva valutato in 2 condizioni differenti: nella prima non venivano date altre info; nella secondai sogg assistevano alla proiezione di un altro video in cui la ragazza svolgeva delle prove senza però che emergesse un quadro coerente e chiaro delle sue abilità. In tutti e due i casi veniva chiesto ai sogg di ipotizzare la prestazione futura probabile della ragazza in diversi settori di studio. Poiché nella seconda condizione i sogg disponevano di alcune info ulteriori e potenzialmente individuanti, potevamo attenderci di riscontrare per essi un minore impatto dello stereotipo della classe sociale. Invece si verificò il contrario. Le persone non usano gli stereotipi in modo indiscriminato e senza riflettere, ma se ne avvalgono come di ipotesi di lavoro che cercano successivamente di confermare o smentire attraverso ulteriori info. Senza qste info aggiuntive esitiamo ad applicarli con eccessiva rigidità. Di solito vi è un orientamento a favore di info che confermano le aspettative e una tendenza marcata a sottostimare le info non confermative. Gli stereotipi non influenzano solo le nostre attese future ma anche la nostra memoria del passato. Lo hanno dimostrato Hamilton e Rose in una ricerca che presentava ad un gruppo di sogg una serie di diapositive che descrivevano alcuni gruppi professionali attraverso alcuni tratti associati. Nelle diapositive ogni tratto compariva in associazione ad ogni occupazione esattamente lo stesso numero di volte. Però quando si domandava ai sogg di ricordare ciò che avevano visto, essi tendevano a ricordare erroneamente soprattutto le associazioni + stereotipate e molto meno gli abbinamenti meno stereotipati. Altri esperimenti hanno dimostrato che spesso anche le aspettative che abbiamo nei confronti dei diversi gruppi sono cariche di valori: in genere all’ingroup sono associati soprattutto tratti positivi e poche caratteristiche negative, mentre nel caso dell’outgroup è vero l’opposto, anche se l’associazione dei tratti può essere + debole. Qsti pregiudizi stereotipati possono agire in modo automatico. 2.3: Gli stereotipi come profezie che si autoavverano Lo stereotipo non è un processo unidirezionale: coloro che ne sono fatti oggetto sono pronti a reagire al trattamento ricevuto e così facendo possono rinforzare proprio lo stereotipo cha ha provocato in prima battuta la loro reazione. In altri termini gli stereotipi possono finire per diventare profezie che si autoconfermano. WORD, ZANNA e COOPER fecero uno studio in cui un gruppo di sogg di razza bianca doveva rappresentare la posizione di un selezionatore. Gli intervistati erano metà neri e metà bianchi, ma in entrambi i casi erano collaboratori del ricercatore, che li aveva istruiti a reagire secondo una modalità standard. Gli intervistatori agivano in modo diverso con gli intervistati neri e con quelli bianchi, ad esempio sedendo ad una maggiore distanza e reclinati indietro sulla sedia. Anche i colloqui erano + brevi e il linguaggio + inceppato. In un secondo esperimento gli autori hanno rovesciato i ruoli: gli intervistatori erano collaboratori di razza bianca addestrati ad agire in 2 modi: o sedendo + vicini all’intervistato, compiendo pochi errori linguistici e facendo durare + a lungo il colloquio oppure facendo l’opposto. Qsta volta era la condotta degli intervistati ad essere valutata. Il loro comportamento sembrava corrispondere a quello degli intervistatori: quando l’intervistatore sedeva + vicino e parlava in modo + fluente, gli intervistati rispondevano sulla stessa linea in modo diverso da quanto accadeva nell’altra condizione sperimentale. Il presunto istigatore della profezia autoavverantesi è sempre la persona che manifesta lo stereotipo. Si pensa cioè che essa provochi con qualche sua azione il comportamento confermativo della persona-bersaglio. Peraltro emergono prove del fatto che la consapevolezza nella persona-bersaglio della diffusione di uno stereotipo relativo al gruppo al quale appartiene possa contribuire a fare in modo che essa si comporti coerentemente allo stereotipo, contribuendo all’avverarsi della profezia che la riguarda. PAGE 43 prestigioso. E’ stato visto che i bimbi neri negli Stati Uniti mostravano un’identificazione e una preferenza per il gruppo bianco dominante. La tendenza dei bimbi a sganciarsi da gruppi socialmente svantaggiati segue una curva particolare nel passaggio dai 3 ai 9 anni. Non sempre i membri dei gruppi subordinati sono disposti o capaci di rifiutare la loro identità. Se i confini fra le categorie sono fissi e invalicabili la possibilità di abbandonare il gruppo subordinato non esiste. ELLEMERS e co. hanno dimostrato che il semplice fatto di sapere che il passaggio da un gruppo a un altro è possibile ha l’effetto di ridurre il livello di identificazione con il proprio gruppo nei membri di un gruppo subordinato. Ma anche dove l’uscita dal gruppo è possibile, se l’identificazione con l’ingroup o l’attaccamento ad esso sono sufficientemente forti, non è detto che essa si verifichi anche quando sarebbe opportuna. Dove l’uscita dal gruppo e il passaggio ad un altro sono difficili o impossibili per ragioni pratiche o psicologiche, Tajfel e Turner suggeriscono che possono essere ricercate numerose altre vie: • Una è quella di limitarsi a effettuare confronti con altri gruppi di status simile o subordinato in modo tale che il risultato di questi confronti sia allora + favorevole per l’ingroup. • Un’altra strategia di adattamento consiste nell’accantonare le dimensioni di confronto rispetto alle quali è ritenuto inferiore e nell’individuare nuove dimensioni, o nel ridare valore a dimensioni conosciute, in modo da acquisire prestigio. I dati di ricerca confermano l’esistenza di qste strategie creative di ricerca di modalità alternative di confronto intergruppi da parte dei gruppi di minor prestigio. Ma perché i membri del gruppo non mettono in discussione la superiorità del gruppo dominante? Un orientamento intergruppi di qsto tipo costituirebbe la reazione + ovvia se valgono le premesse della teoria dell’identità sociale secondo le quali le persone tendono a ricercare un’identità positiva e ad evitarne una negativa. Talvolta i gruppi subordinati optano per qsta strategia. Perché qsto accada occorre che i membri dei gruppi di minor prestigio riescano ad immaginare alternative allo stato di cose nel quale si trovano. Fino a che non riescono a percepire che il vecchio ordine non è né giusto né inevitabile, difficilmente si impegneranno in un confronto psicologicamente rischioso con il gruppo superiore. Ma quali sono le circostanze che possono incoraggiare lo sviluppo di simili alternative cognitive? I 3 fattori ritenuti + potenti sono: • la presenza di confini relativamente valicabili fra i gruppi; • la presenza di differenze di status relativamente instabili; • la percezione dell’illegittimità di qste differenze e dell’arbitrarietà e iniquità dei principi su cui esse si reggono. L’importanza di qste 3 variabili è stata dimostrata da un esperimento di ELLEMERS, WILKE e VAN KNIPPENBERG . I sogg, dopo essere stati divisi in 2 gruppi e aver preso parte ad un test di problem solving organizzativo, i sogg venivano spinti a credere che ad un altro gruppo fosse stato assegnato il ruolo manageriale superiore e all’altro gruppo il ruolo di minor prestigio di forza lavoro. Alcuni sapevano che l’assegnazione era avvenuta correttamente sulla base della prestazione al test e credevano anche che i loro compagni di gruppo accettassero qsta scelta ritenendola ragionevole. Altri sapevano che l’assegnazione era stata fatta sulla base del numero di risp date al test e non in base alla loro correttezza e credevano anche che i loro compagni di gruppo pensassero che la scelta non era stata corretta. Così i ricercatori avevano determinato 2 forme di relazione di status fra i gruppi: una legittima e una illegittima. • Nella metà dei casi i sogg venivano a sapere che la posizione di status dei gruppi avrebbe potuto cambiare nel corso dell’esperimento (condizione di instabilità), • nella restante metà dei casi invece che non avrebbe potuto farlo (condizione di stabilità). • Alcuni venivano a sapere che se avessero avuto una prestazione eccezionale avrebbero potuto passare al gruppo dirigente (condizione di valicabilità dei confini) • mentre altri venivano a sapere che la composizione del gruppo non si sarebbe in alcun modo modificata (condizione di invalicabilità). Coloro che erano stati posti nella condizione di assegnazione illegittima erano+ arrabbiati. Coloro che si erano ritrovati nella condizione di assegnazione legittima erano i +motivati a trovare criteri di valutazione dei gruppi alternativi a quelli applicati. Nei sogg posti nella condizione di invalicabilità dei confini, il livello di identificazione con il gruppo era maggiore. Nei sogg posti illegittimamente nei gruppi di minor prestigio il livello di identificazione era addirittura superiore rispetto agli altri . L’identificazione era massima per coloro che erano posti in condizione illegittima, invalicabile e instabile . L’identificazione era minima per coloro che erano posti in una condizione legittima, impermeabile e stabile.Di fronte alla prospettiva, minacciosa per l’identità, di essere stati assegnati in modo apparentemente corretto ad un gruppo subordinato con scarse possibilità di modificare la propria condizione, i membri del gruppo che percepivano la possibilità di lasciarlo per passare ad un altro gruppo erano psicologicamente propensi a farlo. All’estremo opposto, dove l’ingiustizia dell’assegnazione ad una condizione inferiore era evidente, dove vi è una reale possibilità di rovesciare in un prossimo futuro la posizione dei gruppi ma nessuna possibilità di uscire dal gruppo anche volendolo fare, il bisogno di identità delle persone trova una risp migliore dell’identificazione con il proprio gruppo e nel ridimensionamento del ruolo dell’outgroup. Gli effetti intergruppi compaiono con forza nel gruppo superiore come in quello inferiore a dimostrazione del fatto che le relazioni di status destabilizzanti e delegittimanti rappresentano una minaccia all’identità del gruppo di status + elevato che reagisce con rinnovati sforzi per difendere la propria superiorità ritenuta fragile. 1.4: Natura e conseguenze dell’identificazione sociale: alcune questioni ulteriori PAGE 43 La teoria dell’identità sociale ha ispirato ricerche che sollevano ulteriori problemi, in particolare 3 questioni: 1. Rapporto tra autostima e discriminazione intergruppi: la teoria ipotizza la presenza di un nesso causale fra discriminazione intergruppi e autostima. Qsto legame può assumere due forme:è possibile che la discriminazione muova dal bisogno di accrescere l’autostima, ma è anche possibile che un livello predente di scarsa stima di sé produca forme di discriminazione intergruppi dirette a farla crescere a livelli “normali”. La prima ipotesi sembra aver ricevuto maggior conferma della seconda:in situazioni di gruppo minimo, i sogg che compiono discriminazioni dimostrano livelli di autostima superiori. Le ricerche dirette ad indagare la direzione causale opposta hanno perlopiù prodotto risultati meno favorevoli: sono i gruppi con + alto status sociale e quindi con presumibile maggiore autostima, a esprimere in genere un orientamento a favore dell’ingroup + spiccato. Qsto quadro confuso può essere attribuito alla sovrabbondanza di strumenti utilizzati per misurare l’autostima in qste ricerche e le misure di stima di sé e dell’orientamento pregiudizialmente favorevole all’ingroup potrebbero risentire dell’influsso di fattori di desiderabilità sociale. E’ probabile che anche limiti del contesto possano far scomparire qualunque correlazione reale fra stima di sé e favoritismo verso l’ingroup. Una ragione fondamentale dell’assenza di una relazione costante fra autostima e orientamento a favore del proprio gruppo potrebbe essere che quando le persone si identificano con un certo gruppo, entrano in gioco altre motivazioni aldilà della ricerca di una valutazione positiva di sé. 2. identificazione con il gruppo e bias: se le valutazioni e le decisioni intergruppi orientate a favore dell’ingroup sono motivate da preoccupazioni relative all’identità sociale, ci si dovrà allora presumibilmente attendere di trovare una correlazione positiva fra l’intensità dell’identificazione con il gruppo e i livello di bias a suo favore. La correlazione fra qste due variabili si è però dimostrata piuttosto instabile. Come spiegare qsta variabilità? Ci sono 2 ipotesi: • rimanda alle modalità solitamente utilizzate per misurare l’identificazione con il gruppo: la definizione di identità sociale formulata da Tajfel sottolinea 3 componenti: • l’aspetto cognitivo: la consapevolezza dell’appartenenza ad un gruppo o autocategorizzazione; • l’aspetto valutativo: la considerazione + o – positiva che l’individuo ha del gruppo; • l’aspetto emozionale: i sentimenti di attaccamento al gruppo. Le misure dell’identificazione con il gruppo combinano almeno 2 di qste componenti distint in un singolo punteggio che misura l’intensità complessiva dell’identificazione. Secondo alcuni autori qsta combinazione potrebbe costituire un errore in quanto i 3 aspetti dell’identità potrebbero funzionare in modo relativamente indipendente l’uno dall’altro. • i processi psicologici ipotizzati dalla teoria dell’identità sociale potrebbero non essere sempre presenti in ogni gruppo: una spiegazione alternativa dell’inconsistenza della relazione fra identificazione e bias è che il legame ipotizzato fra mantenimento dell’identità e confronto intergruppi non valga necessariamente per tutti i contesti di gruppo e che non si applichi con altrettanta forza a tutti i membri del gruppo. La ns ipotesi è che ci si debba attendere la presenza di un forte legame fra identificazione e pregiudizio soltanto nei gruppi che possono essere contemporaneamente caratterizzati come collettivisti e relazionali, nei gruppi cioè in cui vi è un certo interesse per la posizione o per la prestazione del proprio gruppo rispetto ad altri. Nei gruppi orientati in senso + individualistico e che operano in contesti che favoriscono un metodo di valutazione non sociale, ad es/ il confronto con qualche standard astratto o con il livello raggiunto dal gruppo in passato, la correlazione fra identificazione e bias tende ad essere + debole, se pure è presente. La ns ipotesi è che in qsti gruppi l’identità trovi sostegno in strumenti diversi dai confronti intergruppi. In 3 ricerche abbiamo trovato forti elementi a favore della ns ipotesi. 3. riconoscere la diversità dei gruppi: i gruppi si equivalgono tutti fra loro, in senso psicologico, nel modo in cui costituiscono una fonte di identità sociale per i loro membri o è piuttosto vero il contrario? La teoria dell’identità sociale non pone differenza fra qsti diversi tipi di gruppo. Invece è possibile localizzare singoli gruppi che differiscano marcatamente fra loro nei livelli di collettivismo. DEAUX e co chiesero ai loro soggetti di dividere un’ampia gamma di categorie sociali fra loro diverse in alcuni raggruppamenti sulla base della somiglianza percepita. Le categorie erano svariate. Le stesse categorie erano valutate da un secondo gruppo di giudici che aveva il compito di stabilire in che misura esse potevano venire descritte con alcune caratteristiche sociali e psicologiche. Scoprirono che la variopinta gamma di categorie poteva essere ricondotta a 5 tipi fondamentali di gruppo: relazioni, occupazioni, organizzazioni politiche, gruppi stigmatizzati e gruppi etnico-religiosi. Qsti tipi di gruppo erano percepiti in modo diverso dal secondo team di giudici. Le persone si identificano con i loro gruppi per un’ampia gamma di ragioni e pertanto mantengono qsta identità non solo effettuando confronti intergruppi favorevoli all’ingroup. 2: Identità sociale e armonia intergruppi 2.1: La riduzione del pregiudizio attraverso il contatto intergruppi ALLPORT nel libro “la natura del pregiudizio” presentò un’analisi innovativa delle origini del pregiudizio intergruppi e una serie di raccomandazioni politiche per eliminarlo che divennero note come l’ipotesi del contatto . L’idea di fondo è che PAGE 43 il modo migliore per ridurre le tensioni e le ostilità che possono verificarsi tra i vari gruppi è quello di portare a contatto i loro membri. Secondo Allport non era sufficiente che i gruppi si limitassero a vedersi un po’ di +. Fornì una lista di condizioni da soddisfare prima che il contatto possa ottenere l’effetto desiderato. Le + importanti sono: • Il contatto tra i gruppo deve essere prolungato e richiedere attività congiunte anziché essere casuale e privo di uno scopo effettivo. • Deve esistere un sistema che fornisca un sostegno alla nuova politica di integrazione dal punto di vista ufficiale e istituzionali. • Il contatto deve coinvolgere idealmente individui di status simile. Il ruolo del contatto intergruppi dissipa l’ignoranza circa l’outgroup. STEPHAN e STEPHAN sostengono che l’ignoranza è un elemento importante nel pregiudizio e che i programmi ideati per migliorare le relazioni intergruppi dovrebbero proporsi come scopo principale quello di fornire info sull’outgroup in grado di sottolineare la somiglianza tra l’ingroup e l’outgroup. Il fondamento logico sottostante a qsta affermazione è la convinzione che scoprire una somiglianza tra i gruppi condurrà all’attrazione tra i rispettivi membri. Tuttavia esistono ragioni per dubitar che tale relazione sia centrale per la riuscita delle politiche del contatto. E’ sicuramente fuorviante insegnare agli individui che gli altri sono simili sotto tutti gli aspetti e ignorare le differenze evidenti. Qsto creerà solo maggiori difficoltà quando qste differenze diventeranno manifeste. Inoltre una della conseguenze che si presume siano prodotte dal contatto, cioè la scoperta di somiglianze tra i gruppi, talvolta è piuttosto improbabile che accada. Qsto perché in realtà può risultare spesso che i gruppi che ci interessano abbiano valori e atteggiamenti piuttosto diversi. In casi come qsti è probabile che il contatto metta in evidenza qste differenze e di qui il risultato dovrebbe essere una diminuzione della simpatia intergruppi anziché un aumento. 2.2: Appartenenze intersecate di gruppo Quando alcuni gruppi entrano in contatto tra loro tende a verificarsi un fatto: i gruppi preesistenti tendono ad esser sopraffatti da altre dimensioni di categorizzazione. Due persone che appartengono a gruppi diversi sotto un certo profilo (es/un bianco e un nero), possono appartenere ad uno stesso gruppo, sotto un altro profilo(es/tutte e due sono donne). Secondo DOISE, in casi come qsti, in cui due categorie si intersecano, ogni discriminazione rispetto alle categorie originarie si ridurrà per effetto del simultaneo operare di effetti intra e intercategoriali in entrambe le dimensioni. Se l’intersezione fra le due categorie si traduce in una duplice identità di gruppo in opposizione ad una duplice identità dell’outgroup, ciò che ne consegue è un aumento e non certo una riduzione della differenziazione. Qsti dati suggeriscono che se riusciamo a organizzare situazioni sociali tali per cui ameno due dimensioni categoriali si intersecano fra loro, la probabilità teorica che persistano forme di giudizio intergruppi lungo tutte le dimensioni dovrebbe ridursi. Purtroppo nella realtà esterna al laboratorio, la sovrapposizione fra categorie tende a produrre effetti + complessi. 2.3: Modificare la salienza delle identità di gruppo La ricerca e l’applicazione dell’ipotesi del contatto si è da sempre scontrata con il problema della generalizzabilità. Studi hanno riferito che non era tanto difficile modificare gli attegg delle persone verso i singoli membri di un particolare outgroup che esse avevano potuto realmente incontrare. L’impresa + ardua era di modificare i loro atteggiamenti e i loro stereotipi nei confronti dell’outgroup nel suo insieme. Negli ultimi 20 anni l’ipotesi del contatto ha avuto 3 nuovi sviluppi; ciascuno dei 3 approcci trae origine dalla teoria dell’identità sociale. Tutte e 3 le prospettive riconoscono che le appartenenze di gruppo vengono incorporate nei concetti di sé e che le identificazioni sociali hanno importanti conseguenze sul piano della condotta. Inoltre propongono che per ottimizzare gli effetti del contatto e per promuovere la generalizzazione bisogna cercare di modificare la salienza delle identità di gruppo preesistenti. 1. MILLER e BREWER: durante il contatto i confini fra i gruppi dovrebbero essere resi meno rigidi e in ultima analisi del tutto dissolti. Così facendo la situazione si decategorizzerebbe e tutte le interazioni avrebbero luogo su un piano interpersonale. I sogg sarebbero + disposti a prestare attenzione a info su ciascun individuo e presterebbero un’attenzione corrispondentemente minore all’informazione fondata sul gruppo , ovvero quella stereotipata. L’ipotesi è che un contatto interpersonale ripetuto di qsto genere si traduca nell’abbandono degli stereotipi negativi preesistenti dell’outgroup. WRIGHT e colleghi hanno sostenuto l’opportunità di cercare di provvedere in alternativa ai membri dell’ingroup modelli di ruolo pubblicamente visibili che avessero una relazione stretta con un membro dell’ougroup. Si ritiene che il fatto di sapere che alcuni membri del proprio gruppo possono essere amici di un membro dell’outgroup possa offrire nuove importanti info sulla natura della relazione intergruppi e possa pertanto stimolare lo sviluppo di un clima normativo + tollerante, specialmente se i modelli di ruolo proposti sono percepiti come sufficientemente coerenti con i gruppi che rappresentano. Hanno chiamato qsto processo “effetto allargato del contatto”:coloro che sono venuti a conoscenza di relazioni amicali fra membri dell’ingroup o dell’outgroup o che hanno potuto riscontrarle di persona tendono a mostrare livelli + ridotti di pregiudizio e di orientamento a favore dell’ingroup. 2. GAERTNER e colleghi: la loro ipotesi è che può essere + utile ridisegnare a livello cognitivo o fisico i confini che separano le categoria e quindi non di eliminarle.Ciò ha lo scopo di unire l’ingroup e l’outgroup preesistenti in una nuova categoria di ordine superiore in modo tale che i membri dell’outgroup possano esser percepiti come compagni dell’ingroup. Gaertner spera di rafforzare il problema di una identità comune di ingroup in modo da ridurre la preesistente differenziazione intergruppi. Si parla cosi di un processo di ricategorizzazione. PAGE 43
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