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Riassunto L' essere e l'io. Fenomenologia, esistenzialismo e neuroscienze sociali, Sintesi del corso di Sociologia Della Conoscenza

riassunto L' essere e l'io. Fenomenologia, esistenzialismo e neuroscienze sociali ci sono molte digressioni frutto delle spiegazioni del docente in aula.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 21/11/2023

angelica-ciotola
angelica-ciotola 🇮🇹

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Scarica Riassunto L' essere e l'io. Fenomenologia, esistenzialismo e neuroscienze sociali e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia Della Conoscenza solo su Docsity! L’ESSERE E L’IO. INTRODUZIONE. Il testo parte dall’osservazione che l’essere umano è un organismo che esiste, ciò vuol dire che, diversamente dagli altri organismi, non mira solo a sopravvivere e riprodursi, bensì ESISTE. Per questo, il titolo del volume richiama a due capisaldi del pensiero esistenzialista: “Essere e Tempo” di Heidegger e “L’essere e il Nulla” di Sartre. Infatti, con la citazione di SARTRE “l’esistenza precede l’essenza” il filosofo cerca di sbarazzarsi di ogni derivazione essenzialista; per quanto concerne Heidegger, invece, egli ha mostrato come l’uomo sia l’unico essere vivente per il quale l’esistere ha un SENSO, uno stato dell’essere possibile grazie solo ad un AUTOCOSCIENZA, la quale è sempre diretta verso una situazione, per questo l’uomo è un ESSERE-NEL-MONDO; L’esistenza umana è sospesa tra un possibilità progettale e una situazione contingente. All’interno delle scienze sociali, la grande influenza di autori come MEAD, darà la possibilità all’autore del libro, di integrare una prospettiva INTERAZIONISTA-MEDIANA con una di derivazione ESISTENZIALISTA-SARTRIANA. Il paradigma teorico che più si addice, quindi, all’analisi dell’esistenza umana è quello di tipo neuro cognitivista che sta, seppure lentamente, soppiantando quello socio- strutturalista. La sociologia e la questione dell’identità. Sociologicamente condurre uno studio sull’identità significa analizzare le RELAZIONI che gli individui intrattengono con gli altri componenti della società a cui appartengono, Di fatto, il problema che ogni società deve affrontare quando ci si trova davanti a un nuovo componente è quello della sua identificazione che consiste, di un’identità secondo i criteri tradizionalmente stabiliti: si costituisce così l’identità oggettiva che permette al soggetto di essere identificato da tutti gli altri individui. Ciononostante, il processo identitario non si risolte solo in termini oggettivi, esiste, infatti, anche un ’identità soggettiva che si forma a partire dalla socializzazione. L’identità soggettiva e quella oggettiva non sono mai completamente congruenti: sociologicamente l’identità va considerata come un processo dialettico tra un’identificazione oggettiva e una percezione soggettiva caratterizzata da una naturale sociale. PRIMA PARTE: IL SÉ FENOMENOLOGICO E LA SOCIOLOGIA DELL’ESISTENZA. CAPITOLO 1. L’IMMAGINE DELL’UOMO. Dalla metà degli anni 80 del ‘900, si sono trasformate le categorie culturali occidentali con cui era stata elaborata l’immagine dell’uomo. Infatti, possiamo schematizzare SEI IMMAGINI-TIPO che si sono affermate nel corso della storia. 1-UOMO ARISTOTELICO. La prima tipologia antropologica ereditata dall’antichità greca è quella dell’UOMO ARISTOTELICO, in questa prospettiva l’uomo è considerato un’animale razionale per questo si differenzia dagli altri esseri viventi. Secondo il modello aristotelico, la natura dei corpi si realizza quando questi ultimi sono animati e ciò che rende animato il corpo è L’ANIMA, la quale è incarnata diversamente da Platone. Successivamente, la figura di S. AGOSTINO porrà uno dei prerequisiti per la nascita del corpo moderno (come vedremo con Cartesio); infatti egli cerca di mettere insieme l’immagine del corpo platonica con quella cristiana, bisogna indagare dentro di sé quello che Dio ci ha fornito, e questo è possibile attraverso un grande lavoro di autoanalisi. In questa concezione l’anima è attaccata al corpo ma la si può indagare e con le buone azioni si possono purificare i peccati della carne. S’Agostino, dunque, ha inventato filosoficamente L’INTERIORITA’. 2-UOMO CARTESIANO. Dunque, la via tracciata da Platone, basata sulla divisione dualistica (che influenzerà a suo modo la religione), accentuerà il dualismo anima-corpo, preparando il terreno al pensiero medioevale e successivamente a Cartesio. La figura di CARTESIO va collocata nel 17 secolo, in un’epoca in cui una nuova cosmologia postulava che la meccanica dell’universo funzionasse da sola, e che il filosofo si poteva porre come pensatore fuori-dal-mondo. Si sviluppa dunque l’immagine di un uomo che governa e domina l’ambiente naturale, indipendente da qualsiasi divinità. CARTESIO fonda la percezione moderna del corpo, inteso come oggetto autonomo non sottoposto a leggi divine, il quale ha la parte spirituale (res cogitans) e la parte corporea (res extensa). Quest’idea prevale ancora oggi nelle neuroscienze, nella misura in cui secondo il modello cartesiano si teorizza la possibilità che lo spirito agisce sul corpo attraverso qualcosa di materiale (es. ancora oggi quando parliamo tendiamo ad astrarre qualcosa dal nostro corpo, quando diciamo “la nostra volontà, le nostre scelte”). Prima di Cartesio (1500 circa), bisogna ricordare un filosofo la cui importanza è sottovalutata, ovvero MONTAIGNE, il quale afferma che, quando analizza sé stesso, trova il CORPO, e L’IMMAGINAZIONE, ovvero una facoltà che può modellare quello che diventeremo, per questo introduce il tema dell’AUTOPROGETTAZIONE (la realtà viene concepita come il frutto dell’immaginazione, questa infatti è la base della scienza moderna). Pian piano, dunque, emerge la rappresentazione di un CORPO che risponde a quella di CARTESIO, ovvero quella di corpo sezionato. Pensiamo al matematico KEPLERO, il quale ebbe l’intuizione di capire che l’occhio umano è una specie di lente, uno strumento per vedere che produce immagini; quindi, ciò vuol dire che quello che noi vediamo E’ L’IMMAGINE CHE IL NOSTRO CERVELLO DIPINGE, UNA PICTURA. Keplero, quindi, separa l’occhio come meccanismo dalla persona che vede. Qua nasce L’INDIVIDUO, colui che osserva sé stesso mentre agisce e lo fa attraverso il corpo. 3-UOMO STRUTTURALE. Tra il 700 e l’800, lo statuto dell’uomo cambia in modo significativo, egli cessa di essere considerato il sovrano del sapere, diversamente dall’UOMO CARTESIANO, non è più un soggetto esterno alla natura ma diventa egli stesso un oggetto tra gli altri, passibile di essere conosciuto scientificamente. E ‘un uomo assoggettato all’ambiente sociale, sempre più determinato dalla famiglia, dalla classe sociale e dall’educazione. A partire dal ‘900, infatti, si svilupperanno tutte quelle scienze accomunate da un medesimo “paradigma scientifico”, che si basa sul concetto di STRUTTURA. Ciò significa che gli oggetti e gli individui possono essere considerati SOLO in base alle differenze e alle relazioni legate tra loro. Si cominciano a studiare le STRUTTURE (nelle regole di parentela, nei rapporti sociali, nell’inconscio). I tratti fondamentali di questo modello STRUTTURALE li possiamo riscontare in alcuni autori come MARX, FREUD, DURKHEIM. Per quanto riguarda MARX, egli riporta l’idea di “organismo”, la cui coscienza è spinta da quella collettiva, FREUD, invece, suggerisce la possibilità di considerare che le motivazioni dell’agire non possono essere ascrivibili alla sola coscienza razionale, per questo apre la porta anche ad approcci non scientifici, ovvero la PSICOANALISI. 4-UOMO COMMUNICANS. A partire dal secondo dopoguerra, lo sviluppo delle nuove tecnologie della comunicazione, portano studiosi come McLuhan a riflettere su quanto i MEDIA influenzano il nostro corpo e i sensi (rendendo l’uomo communicans per certi versi un precursore dell’uomo neuronale). Secondo il filosofo Philippe Breton, l’uomo è un essere comunicante, in parte strutturato da una pulsione portato ad esteriorizzarsi. Dunque, il ricorso alla NECESSITA’ di comunicare si lega a specifiche circostanze storiche (le atrocità delle due guerre mondiali erano state fatte all’oscuro), per questo nasce il mito della TRASPARENZA COMUNIATIVA, reso possibile grazie all’utilizzo della cibernetica, per cui nella società “tutto è comunicazione”. In questo senso, l’uomo assume l’immagine di un UOMO CIPOLLA, insieme di esteriorità sovrapposte senza nucleo nostro agire: il cosidetto HOMUNCULUS. Questo è dovuto alla diffusione dell’idea cartesiana della “ghiandola pineale”, che però, secondo Antonio Damasio, celebre scienziato, essa semplicemente NON esiste; a tal proposito, sarebbe più opportuno riconoscere che l’essere umano ha bisogno di credere dell’esistenza di un’anima affinché possa attribuire senso e significato alla propria esistenza. L’unico senso in cui, secondo la tesi riportata nel testo, secondo cui si può parlare di “anima” è la seguente: gli animali sono fatti di sola carne e quindi non hanno un CORPO, gli esseri umani invece sono gli unici che possono trasformare la loro carne in corpo grazie ad uno strumento essenziale, cioè il LINGUAGGIO, il quale denomina, definisce, porta ordine nel cosmo; ciò significa che l’uomo nomizza la propria esperienza nel regno dell’indifferenziato. Grazie ai nomi, dunque, i corpi possono assumere un’identità stabile con cui entrare in relazione con altri corpi. Secondo il primatologo Franz De Waal, infatti, gli esseri umani, grazie al linguaggio, sono diventati i più empatici tra tutti gli esseri viventi; questo accade perché l’essere umano nasce con un cervello programmato per l’interazione sociale, tende a formare gruppi, famiglie..a partire da una rete neuronale di base con cui nasciamo, se ne forma un’altra che si struttura in modo diverso a seconda della società in cui viviamo. All’interno della ricerca NEUROSCIENTIFICA, infatti, si riconosce sempre più che il CORPO è situato in un ambiente particolare che lo influenza e da cui è influenzato, ragion per cui L’IDENTITA’ sarebbe determinata dal CERVELLO che è un tutt’uno con il corpo (diversamente dal modello cartesiano). Uno dei concetti su cui i neuroscienziati insistono maggiormente- a partire dal premio nobel Edelman- è quello di “cervello esteso”. Secondo questa concezione il cervello non va inteso solo come il suo corrispettivo materiale ma, soprattutto, come un insieme di segnali interscambiati tra il cervello e il resto del corpo. L’idea su cui Edelman insiste è che la triade cervello-corpo-ambiente sociale è da considerarsi come inscindibile, in quanto, il corpo- sede fisica del cervello- è situato in un ambiente che influenza e da cui è influenzato. INFATTI, il punto di partenza della SOCIOLOGIA FENOMENOLOGICA, è che innanzitutto l’organismo umano non è separato dal sensiente, i meccanismi della coscienza passano sempre per un’elaborazione di tipo organico, inoltre, “non esiste alcun elemento della realtà- materiale o immateriale- che possa diventare oggetto di studio estraendolo dal processo dialettico in cui è costitutivamente implicato” (metodologicamente questo è il concetto di riduzione eidetica). La fenomenologia, quindi, rifiuta ogni riferimento alle categorie dualistiche anima e corpo perché- riprendendo Husserl- “Io non sono il mio corpo. Io sono io solo a partire dal mio corpo che interagisce con altri corpi nell’ambiente”. Secondo l’approccio fenomenologico, il corpo deve essere considerato come un FENOMENO, studiando la RELAZIONE, IL PROCESSO, riconoscendo che non c’è un essere umano che percepisce il corpo indipendente dall’esperienza del corpo. Husserl, infatti, diceva “è il mio corpo che tocca sé stesso”, e distingueva tra due termini: KORPER (corpo in quanto oggetto) nelle sue manifestazioni oggettive, es. febbre, e LEIB (aspetto psicologico), inteso come corpo che sento di avere. Noi non “siamo il nostro corpo” in maniera esclusiva, siamo anche il corpo che avvertiamo come nostro: ciò che permette di identificare il corpo come nostro è la coscienza intenzionale che è sempre orientata verso qualche processo. Riassumendo quindi: la fenomenologia è un approccio caratterizzato dalla condivisione di principi basilari su cui si fondano le STRTTURE COSTANTI DELLA PERCEZIONE UMANA. 1)INTENZIONALITA’ DELLA COSCIENZA: non si percepisce la coscienza in quanto tale ma in relazione a qualcosa; quindi, la coscienza è qualcosa che accade, non sta da “qualche parte”; 2)CARATTERE GESTALTICO DELLA PERCEZIONE: la realtà per eccellenza è la realtà della vita quotidiana e i suoi fenomeni sono disposti secondo una forma (GESTALT), ovvero schemi o modelli che sembrano indipendenti alla mia percezione e si impongono a essa. La realtà della vita quotidiana appare già oggettiva in strutture formali, cioè, costituita da un ordine di oggetti che precede la nostra percezione di essi. Secondo Ortega y Gasset la gestalt può essere considerata una particolare realtà, una “cosa di secondo grado” che emerge aggiungendo ai singoli elementi qualcos’altro. 3)INCOMPLETEZZA PROSPETTICA DELLA PERCEZIONE: ciò vuol dire che per es. per poter avere la coscienza di un corpo, ho bisogno di un concetto che dispongo grazie alle proprietà gestaltiche della percezione, che fanno sì che noi possiamo vedere delle forme, laddove esistono solo delle piccole tracce. Data l’incompletezza della percezione del ‘900 autori come Nietzsche teorizzava il prospettivismo con il quale sollecitava ad utilizzare la diversità dei punti di vista; Ortega y Gasset invece insisteva sulla grande utilità dell’arte e della letteratura per la ricerca sociologica e comunicativa. 4) CARATTERE FENOMENICO E TEMPORALE DELLA PERCEZIONE: nella fenomenologia quest’aspetto è stato spiegato nel migliore dei modi da Bergson, il quale distingue il TEMPO COME MISURAZIONE OGGETTIVA (orologio, calendario) e TEMPO COME PERCEZIONE SOGGETTIVA, il quale non ha nulla di misurabile dato che, quando l’individuo è immerso in questo flusso vive un eterno presente; INVECE, il processo di misurazione presuppone che il soggetto si ferma e riflette sulla temporalità. Un altro studioso importante che si è occupato della fenomenologia della percezione, Ponty, considera il corpo sempre in RELAZIONE, affermando che quest’ultimo si basa su un’ambiguità costitutiva: da un lato il corpo rappresenta qualcosa di molto familiare, dall’altro c’è un’estraneità nel senso che non possiamo percepire il corpo come oggetto. In questo senso il corpo è un MEDIATORE, è L’ETERNO INOSSERVATO, l’esperienza che facciamo del mondo ci fa osservare il nostro corpo a meno che si presenta qualche disfunzione. (Nel 17990 gli scienziati Friederick Crick e Cristofa Kafock formularono- al fine di studiare empiricamente la coscienza- quella che è divenuta nota come “L’ipotesi sorprendente”. Nonostante la grande efficacia espositivo dei due scienziati, il tentativo di identificare il cervello materiale- quindi estrapolato da ogni tipo di processo dialettico- come sede dell’“essenza dell’io” significa ritornare ad una posizione teorica essenzialista e riduzionista ritornando a quella operazione filosofia di ricerca dell’homunculus che abbiamo già dimostrato essere fallace. Per questo sarebbe opportuno ricordare che LA RICERCA SULL’IO NON HA SENSO, DATO CHE NON ESISTE ALCUN IO MA SOLO UNA PERSONA CHE INTERAGISCE CON ALTRE PERSONE. CAPITOLO 3. NARRARSI. Da un punto di vista sociologico, chiedersi che cos’è l’identità è un problema risolto, infatti essa può essere definita come la conseguenza di una relazione dialettica tra un’identificazione oggettiva (ciò che la società si attende che uno sia) e una percezione soggettiva (ciò che il soggetto ritiene di essere). Tuttavia, sul discorso sull’identità la “soluzione sociologica” non è sufficiente, infatti a partire dal 2 dopoguerra si è sviluppata un’insoddisfazione rispetto alle questioni relative alla particolarità della condizione umana, che riguardano l’eterno fantasma delle scienze umane: la consapevolezza della propria finitudine. La filosofia esistenzialista, per es. sostiene che la conoscenza dell’uomo non si può comprendere facendo riferimento solo a metodi scientifici. Uno dei maggiori esponenti dell’esistenzialismo, Sartre, le cui concezioni teoriche sono in parte legate alla SOCIOLOGIA FENOMENOLOGICA per l’accento posto sul legame tra LA COSCIENZA INTENZIONALE E L’AMBIENTE, suddivide il mondo in due province: il mondo dell’in-sé (il mondo, le cose, il nulla) e il mondo del per-sé (l’autocoscienza, l’essere presenti a sé stessi). Secondo SARTRE, l’esistenza umana si caratterizza dalla perenne volontà di fuga dal per-sé. L’uomo è, quindi, in un perenne stato di infelicità e da qui scaturisce ciò che Sartre definisce MALAFEDE (traduzione fenomenologica del concetto: avere comportanti sociali eccessivamente legati all’elemento istituzionale da ritenere di non poter agire diversamente), ovvero un atteggiamento che porta l’uomo ad essere “inghiotto dalla situazione” arrivando a credere in valori oggettivi indipendenti dalla volontà umana. La vera libertà umana, dovrebbe basarsi su un’apertura radicale, covando la possibilità di diventare altro da sé, senza fare riferimento a valori universali e trascendenti. Dunque, ritornando alla questione dell’identità, da un punto di vista sociologico, possiamo affermare che essa è resa possibile grazie ad una CORROBORAZIONE INTERSOGETTIVA, in cui corpo e cervello situati in un ambiente, contribuiscono a creare e mantenere in vita l’identità. Lo studioso francese Louis Rougier ha rilevato come nella grammatica greca gli aggettivi “bello” e “giusto” possedessero- talvolta- una loro autonomia ontologica. Essi avevano, di fatto, subito un processo di “sostantivizzazione” lo stesso che, come rileva Rougier, è toccato al verbo Essere divenuto la base della più grande “ILLUSIONE ONTOLOGICA” occidentale. Il linguista Andrea Moro ha sottolineato come il verbo essere abbia finito per coincidere con l’espressione dell’identità. E’, quindi, opportuno sottolineare che il Sè a cui la sociologia dell’identità si rivolge non è una sostanza ma uno stato dell’essere e che la capacità di riferirsi al Sé in maniera riflessiva (tramite il pronome personale Io, ad esempio) non è altro che la dimostrazione del fatto che nessuna esperienza umana è separabile dell’esistenza del linguaggio. L’essere umano non è l’unico a possedere uno strumento linguistico per comunicare ma- come rileva Elias- è l’unico ad utilizzarlo riflessivamente. A questo proposito, possiamo ricordare anche il concetto di “FINZIONE GRAMMATICALE” di Hume, secondo il quale l’io non sarebbe altro che un’entità linguistica fittizia che si produce tramite un’astrazione. Infatti, il filosofo Metzinger, esponente del NEUROSCETTICISMO FENOMENOLOGICO, afferma che il Sé in quanto totale non esiste, piuttosto esistono organismi che possiedono MODELLI DI SE’, stati complessi del cervello. Tuttavia, per quanto sia possibile fare affidamento su di un cervello funzionante per conseguire la nostra identità, fin dal principio siamo comunque espressioni della cultura che ci nutre, e la cultura è piena di narrazioni su ciò che il Sé è o potrebbe essere. Infatti, il bisogno di NARRARSI risponde al bisogno antropologico di equilibrio, per evitare uno smarrimento esistenziale nel caos dell’esistenza. Per questa ragione, sarebbe opportuno rifarci a quello che viene chiamato PARADIGMA NARRATIVO, le cui radici vanno ricercate a quel tipo di pensiero che William James definiva come “narrativo” e contrapposto al pensiero “argomentativo”. Prendendo spunto da quest’idea, BRUNER ha proposto una delle tesi più significative nella storia degli studi sull’identità; infatti per l’autore ci sono due tipi di pensiero cognitivo: 1)PARADIGMATICO O LOGICO-SCIENTIFICO, mira a stabilire meccanismi di causa-effetto ed è alla ricerca di verità stabili; 2)PENSIERO NARRATIVO, non si focalizza sul mondo come oggetto da indagare ma guarda il mondo come potrebbe accadere in determinate circostanze, è presente un modo creativo di pensare che produce buoni racconti NON necessariamente veri. Pensiamo ai prodotti dell’arte (romanzieri, poeti) le cui STORIE si focalizzano sullo specifico umano, e pertanto possono introdurci nella conoscenza dell’identità umana perché hanno il carattere della VEROSOMIGLIANZA. A questo punto possiamo ricordare la proposta avanzata da Snow, secondo il quale la conoscenza umana è divisa tra la conoscenza scientifica e quella umanistica; nella comunità scientifica, spesso, si pensa che l’analisi della realtà possa procedere solo secondo il modello scientifico, e invece, SNOW PROPONE un dialogo tra queste due culture, che non provi a dividere la conoscenza. Dunque, tutte pensare il cervello come in grado di assorbire passivamente i dati del suo ambiente. A tal proposito il relativismo culturale propone una teoria- detta del “riciclaggio neuronale” secondo cui il cervello si adatterebbe all’ambiente non assorbendo ciecamente ciò che gli si presenta ma riconvertendo le predisposizioni celebrali già presenti. Il nostro cervello non è, quindi, una tabula rasa ma un organo fortemente strutturato a cui ogni organizzazione culturale appare inestricabilmente legata. La tematica del rapporto tra geni e cultura nel processo di formazione dell’essere umano affascina da decenni l’antropologia. WILSON, fondatore della SOCIOBIOLOGIA, ha proposto il concetto di EUSOCIALITA’ umana, cioè l’idea che nell’individuo convivono l’istinto egoistico di riproduzione individuale e l’istinto altruistico di solidarietà verso il gruppo. Nelle scienze sociali, questo tema p stato brillantemente affrontato da BERGER, infatti secondo l’autore l’uomo si ESTERIOZZA nell’ambiente circostante le cui radici vanno ricercate nella sua carente costituzione biologica. L’uomo, diversamente dall’animale, è privo di un “mondo fatto per se” e quindi deve costruirselo, e lo fa attraverso la CULTURA, il cui scopo è quello di fornire alla vita umana quelle solide strutture che biologicamente le mancano. Questa tesi è stata avanzata anche da GHELEN, secondo il quale l’essere umano è un “essere manchevole”, privato di una condotta sicura a causa delle sue carenze istintuali, e per questo necessita di essere definito grazie a modelli di condotta dai quali poter derivare un orientamento sicuro. Questo induce l’uomo a costruire lo specifico ambito della sua vita e lo fa attraverso L’AZIONE, accompagnata anche dalla categoria dell’ESONERO, ossia le possibilità molteplici di padroneggiare l’esistenza da parte dell’essere umano. Altra tesi che possiamo ricordare è quella di BOLK, il quale sottolinea un GENERALE RITARDO SVILUPPO DELL’ESSERE UMANO, dovuta ad una lentezza nello sviluppo motore e nella crescita dell’uomo, molto diversa rispetto agli animali. Non esiste infatti, un mammifero con una crescita così lenta come quella dell’uomo, che resta per così lungo tempo dipendente dai suoi genitori. Riprendendo una teoria di POPPER, è possibile affermare che l’evoluzione culturale dell’uomo si caratterizza per lo sviluppo di nuovi organi al di fuori del corpo: esosomaticamente o extrapersonalmente. L’uomo cioè, invece di sviluppare migliori occhi o migliori orecchie, produce occhiali, microscopi ecc..sviluppa cioè le protesi tecnologiche (ma produce soprattutto il linguaggio che gli consente di dare ordine all’esperienza). Tra le protesi descritte da Popper ce ne sono alcune che non sono propriamente tecnologiche ma di carattere socio-istituzionale: una delle istituzioni sociologicamente più utili a livello analitico è l’istituzione della paternità che è, quasi sicuramente, una delle condizioni fondamentali per la costruzione delle prime forme di organizzazione sociale. La profonda separazione dei compiti tra i sessi genere una pre-società regolamentata: il ruolo dei maschi- divenuti trasportatori di cibo- era funzionale alla sopravvivenza genetica; le femmine, invece, erano maggiormente legate ai figli curandosi della loro alimentazione. Questo fa si che i MASCHI, attraverso forme di caccia sempre più complesse, sviluppino la capacità di ritornare al punto di partenza, cioè il ritorno a casa. Questi esseri nomadi, infatti, dovevano inventare l’appartenenza a un luogo, probabilmente il ritorno in famiglia, la nostalgia, nascono a partire da queste basi. Sentire l’assenza, infatti, è forse la dimensione più caratterizzante della vita di ogni essere umano, quest’ultima parte del volume si sposta quindi dall’organismo all’essere umano, il cui atteggiamento principale è la Cura del suo Essere. SECONDA PARTE. IL SISTEMA MIMETICO. CAPITOLO 5. PER UNA SOCIOLOGIA DELL’ASSURDO. Nella seconda parte del lavoro, Pecchinenda propone l’analisi del “sentimento dell’Assurdo” definito come “l’emergere di un’incrinatura di quel dispositivo culturale che ci tiene costruito intorno”, in sostanza l’Assurdo ci fa ricordare di esseri mortali. Camus, uno dei primi esistenzialisti ad occuparsi, in maniera puntuale, dell’Assurdo propone una vera e propria trilogia di opere sul tema composta da un romanzo (Lo straniero), un saggio (Il mito di Sisifo), e testo teatrale (Caligola). Pecchinenda, prima di irretirsi nell’analisi vera e propria sottolinea come- dal suo punto di vista la sociologia possa contribuire all’analisi del sentimento dell’Assurdo solo se si intende utilizzarla per mettere in relazione l’emergere di tale sentimento con altri molteplici processi culturali di diversa natura. A tal fine egli riprende un concetto, quello di SISTEMA MIMETICO: esso è definito come quel dispositivo culturale prodotto allo scopo di farci dubitare di essere mortali. Il termine “mimetico” è qui da intendersi sia come “riproduzione” che come “funzione” ed è utilizzato a scopi prevalentemente didattici. Il Sistema Mimetico- che ha assunto diverse forme nel corso della storia dell’uomo- è da intendersi anche come una matrice, un serbatoio di senso e di significato che ha il compito fondamentale di creare una barriera contro la morte. Il concetto di SISTEMA MIMETICO in parte è tratto da ORTEGA Y GASSET; infatti, egli fa una distinzione tra una produzione di conoscenza fatta di PENSIERI e CREDENZE: le credenze sono la base necessaria per pensare, cioè le idee devono essere sostenute dalle credenze, “le credenze sono pensieri che non si pensano”, aspettative che noi diamo per scontato (es. io ho l’idea di andare a casa ma non posso avere quest’idea se non ho la credenza sottesa che per fare questo devo fare un certo tipo di tragitto ecc). La proposta teorica di Pecchinenda è, quindi, da indagare all’interno di una sociologia della cultura dell’immortalità che si riferisca all’indagine sulla consapevolezza della mortalità umana nelle istituzioni, nei rituali e nelle credenze umane.. Pecchinenda prosegue, quindi, il suo ragionamento affermando che per mantenere la morte ai confini della vita sociale è possibile adottare due strategie: ➔ Strategia di difesa in questo caso, il procedimento prevede di collocare la morte ai margini della società evitando di parlarne; ➔ Strategia di attacco: quando si rende necessaria questa strategia, la pratica più diffusa consiste nel negare la morte proponendo una mitologia dell’immortalità. Sinteticamente è, quindi, possibile affermare che tutte le società attivano- per stabilizzare l’ordine sociale- degli strumenti di “autoinganno”, delle illusioni collettive che servono agli uomini per affermarsi in quanto specie. Ogni società umana è formata su una cultura che legittima la necessità umana di immortalità e tale immortalità può essere di tipo magico-religioso o di tipo razional- scientifico. Nel caso di una immortalità basata su una legittimazione di tipo magico-religioso viene riconosciuto che l’uomo è per sua natura immortale e si lega ad una dottrina di tipo trascendente/sacro. In questo caso si parla, quindi, di immortalità assegnata. Quando la legittimazione si basa, invece, su una matrice razional-scientifica si postula la possibilità di posticipare l’esperienza della morte fino ad un tempo praticamente indeterminato: si tratta di una indefinita estensione temporale legata all’idea di progresso che conduce ad un’immortalità acquisita. A questo punto del discorso Pecchinenda- riprendendo Cavicchia Scalamonti- afferma che lo strumento più efficace che l’uomo moderno ha messo appunto per disfarsi della morte è la ROUTINE. Quando i comportamenti routinizzati si sgretolano compare l’Assurdo: è ancora più evidente come non si tratta di una teoria, ma di un sentimento. Esempi di SISTEMI MIMETICI: Platone vs Aristotele. Uno dei primi sistemi mimetici creato in Occidente lo possiamo riscontrare nella metafora della CAVERNA di Platone; il filosofo svaluta la dottrina delle idee, le forme di conoscenza prodotte prodotte dagli esseri umani perché allontanano dalla verità, piuttosto la VERA conoscenza è quella dei filosofi. A ben vedere, anche se apparentemente la visione della contemporaneità tende a svalutare Platone, le convinzioni platoniche non vengono rigettate ma riassorbite: il mondo della scienza, scritto in caratteri matematici, sarà considerato come del tutto indipendente e diverso dal mondo delle sensazioni. Si scorge dietro questa affermazione la convinzione, pienamente platonica, per cui il mondo che percepiamo con i nostri sensi, non sarebbe il mondo reale. Dunque, all’interno del quadro La scuola di Atene di Raffaello, il pittore mostra Aristotele e Platone, due modelli dell’umanità, pensatori di due concezioni non completamente alternative: infatti, Aristotele, rispetto all’idea platonica, rivaluta l’azione umana empirica, la “teknè”, le azioni umane anche se sono IMITAZIONI ci avvicinano alla realtà (per Platone invece la realtà sono le IDEE). A tal proposito, secondo un’attenta analisi di BORGES, egli afferma che gli uomini nascono o ARISTOTELICI (empiristi) o PLATONICI (idealisti). La svolta Rinascimentale. Si rende necessario confrontare la caverna di Platone con altre “caverne” che hanno simbolicamente rappresentato la trasformazione della costruzione della conoscenza nella storia occidentale. A partire dal Rinascimento, infatti, nel mondo occidentale si sono affermati diversi sistemi mimetici. La cultura occidentale moderna deve le sue principali caratteristiche all’Umanesimo i cui fondatori sosterranno la tesi per cui l’umanità può diventare onnipotente, può “creare sé stessa” (Homo faber fortunae suae). Il primo prototipo di individuo è il “Gentiluomo “che Carroll definisce come “l’individuo creatore in cammino”. L’etica di questo modello antropologico si fonda sul “principio dell’onore”, un principio valoriale che “deve reggersi da solo” ovvero, che non ha alcun tipo di referente trascendentale. La centralità attribuita all’onore è evidente nel “Giulio Cesare” di Shakespeare dove BRUTO rappresenta la personificazione dell’eroe umanista (Bruto uccide il padre Cesare con una congiura perché temeva che Cesare potesse instaurare una monarchia; la vicenda si conclude con il suicidio di Bruto, il quale sceglie di sacrificare la propria vita pur di non morire in battaglia, così Cesare viene vendicato). Bruto rappresenta quindi l’individuo-creatore, colui il quale può infrangere la legge morale, è lui a dettare i valori del comportamento umano. Tre esempi della tendenza umanistica: Velázquez, Shakespeare e Cervantes. In Las Meninas, una delle principali opere del pittore spagnolo Diego Velasquez (1656) si assiste al primo utilizzo della tecnica del “quadro nel quadro”: Velasquez rappresenta anche sé stesso. Infrangendo- per la prima volta nella storia della cultura occidentale- l’autorità del Re (tramite la porta aperta sullo sfondo che spezza l’ampia stanza e i suoi tetri spazi, e rompe simbolicamente il circolo dell’autorità legale) assume un atteggiamento di sfida: la stessa presenza di un suo autoritratto all’interno della tela è evidentemente una frattura della gerarchia. Si tratta della prima rappresentazione nella cultura occidentale dell’artista come uomo eccezionale. Inoltre, il pittore mettendo il re e la regina nella stessa posizione dello spettatore indica che sia che i sovrani che chi guarda il quadro hanno lo stesso status. Dal “quadro nel quadro” di Velasquez, al “teatro nel teatro” di Shakespeare: L’Amleto di Shakespeare rappresenta, infatti, il primo esperimento di “metateatro” ovvero la messa in scena di una messa in scena, che permette di scoprire la realtà -e la verità- attraverso la finzione (ad Amleto viene in sogno il fantasma del padre il quale gli chiede di essere vendicato perché è stato ucciso dallo zio, Amleto inizialmente non gli crede e organizza una rappresentazione teatrale che simula l’uccisione del padre, così capisce che davvero è lo zio l’assassino). Amleto, dunque, mettendo in dubbio il fantasma del padre (influenza di Cartesio), non agendo subito, rappresenta l’eroe dell’umanesimo in quanto è il primo ad essere libero di “NON fare quello che quotidiana è anch’essa una fiction”. Questo è strettamente legato alla capacità umana di produrre futuri; nelle nostre grammatiche, quindi, i congiuntivi, i condizionali, le proposizioni ipotetiche, rendono possibile un’opposizione alla realtà, se le storie non venissero raccontate o i libri non venissero scritti, l’uomo vivrebbe come gli animali, senza passato né futuro, confinato in un presente cieco. La LETTERATURA spesso è stata capace di comprendere meccanismi emotivi connessi al comportamento umano ancor prima che tali spiegazioni venissero riconosciute dalla ricerca scientifica. A tal proposito, il romanziere LODGE ha presentato illuminanti considerazioni sul rapporto tra LETTERATURA E COSCIENZA, a partire dal ruolo storico assunto dalla forma del ROMANZO; infatti, dato che con il romanzo probabilmente l’uomo è riuscito a descrivere meglio l’esperienza soggettiva dell’individuo, ciò descrivere bene il significato di QUALIA, un termine che negli studi sulla coscienza indica la natura specifica della nostra esperienza soggettiva del mondo. Il neuroscienziato Damasio, d’altro cunto, evidenzia come il “raccontare delle storie” sia un’ossessione del cervello. DI fatto, la coscienza umana è auto conoscenza: non solo gli individui hanno delle esperienze, essi sono consci di viverle. Nella storia della nostra cultura occidentale, come ricorda Watt, si sono diffusi modelli narrativi alternativi a quelli di carattere mitologico- religioso, con la diffusione del ROMANZO; il metodo narrativo mediante il quale il romanzo esprime l’atteggiamento verso la vita può essere definito REALISMO FORMALE, inteso come il perseguimento della verità in relazione all’esperienza individuale. Per provare ad analizzare la categoria del “realismo” - inteso come modalità del fare artistico e poetico- Pecchinenda si rifà al concetto di mìmesis, intesa nell’accezione che gli conferisce Benjamin quando la definisce come “facoltà mimetica”. Le prime forme di mimesi sono state quelle legate alle azioni rituali, poi con la secolarizzazione la mìmesis è divenuta una forma laica immanente che produce piacere e conoscenza. Infatti, se da un lato in passato Platone denunciava i poeti (perché non trasmettevano un sapere vero) Aristotele, invece, affermava che il poeta poteva avvicinarsi alla verità attraverso la verosomiglianza. Secondo Auerbach, il movimento della creazione letteraria può essere visto come una lenta acquisizione della capacità di osservare la vita degli uomini sempre più da vicino e sempre più nei dettagli. CAPITOLO 7. SISTEMICI MIMETICI E TRAME LETTERARIE. Il sociologo COSER invita i suoi colleghi ad utilizzare l’abilità dei grandi scrittori di saper identificare e articolare le grandi questione sociali ed esistenziale per indagare i processi sociali. Gli artisti, infatti, finiscono per attribuire un senso e un significato alla vita di coloro che fruiranno delle loro opere. Una lettura originale è stata di recente proposta da PAVEL, egli individua un MODELLO IDEALIZZANTE in ogni epoca dato che la società tende a idealizzare un modello di essere umano, questo perché ogni epoca possiederebbe una sorta di immaginazione antropologica dominante. Infatti, PAVEL ha analizzato come sono cambiate le trame letterarie nelle diverse epoche storiche, le quali rispecchiano il tipo di uomo e di organizzazione sociale di riferimento (per es. il modello di riferimento dell’epoca greco-romana è L’EROE). Il metodo narrativo di questo genere di letterature contiene un FINE e delle COSTANTI che diventeranno universali. Il FINE è quello di spiegare e giustificare l’ordine del cosmo fornendo una cosmografia (il mondo così come si presenta nella sua struttura) a cui segue anche una cosmogonia, cioè la narrazione dell’apparire delle cose, che detiene in sé spesso elementi di carattere normativo, così sappiamo il perché dobbiamo seguire determinati modelli di condotta. (per Pavel il romanzo è il primo genere, che concependo una cesura tra il protagonista e il suo ambiente, ad interrogarsi sulla genesi dell’individuo trascendendo la molteplicità delle comunità umane). Uomo aristotelico e la trascendenza della norma. La nascita del romanzo sarà dunque possibile esclusivamente in un mondo che ha scoperto la propria unicità (individualizzazione): il modello antropologico che per primo incarna il tentativo di far accettare alla comunità umana l’esteriorità dell’individuo è quello dell’eremita. L’ asceta- che lascia la società dei suoi simili rinunciando ai vincoli imposti dalla comunità- è il primo ad accedere allo status di individuo fuori-dal-mondo, egli trae la sua autonomia direttamente da Dio accettando una norma infinitamente più alta di quella che governa il mondo. La tipologia antropologica corrispondente è L’UOMO ARISTOTELICO, inteso come essere razionale, parte integrante della natura ma si differenzia da tutti gli altri esseri per la sua ESSENZA razionale. Uomo cartesiano e l’interiorizzazione della norma. Il romanzo subì un’ulteriore rielaborazione alle soglie della modernità occidentale. I suoi temi portanti divennero il dualismo, il contratto sociale e la bella anima innamorata. Il romanzo del 1700 ha come protagonista una visione antropologica orientata verso la vita interiore e- allo stesso tempo- verso la ricchezza materiale: interessandosi simultaneamente alla perfezione soggettiva e all’oggettività del mondo, il romanzo dell’età moderna tentò di rappresentare l’isolamento dell’ individuo esemplare, spostando l’interesse verso l’indipendenza e l’autonomia dell’essere umano da qualsivoglia fattore divino (nell’epoca pre- moderna invece, le norme erano poste all’esterno del dominio umano). Uomo strutturale e naturalizzazione dell’ideale. Il romanzo ha raggiunto il massimo sviluppo nel periodo in cui la riflessione sull’uomo tentava di integrarlo nella società e nella natura. I temi portanti del romanzo diverranno, quindi, il radicamento (uomo è sottoposto alla legge dell’ambiente in cui è nato), la comunità e l’amore impossibile. Sarà a partire da quest’epoca che si imporrà-parallelamente all’enorme sviluppo delle scienze umane e sociali- la cui sfida fondamentale sarà quella di riuscire a rendere l’uomo un oggetto legittimo della conoscenza scientifica. L’immagine antropologica che si affermerà è quello dell’uomo strutturale che non possiede alcuna essenza, non è in grado di determinare autonomamente i propri pensieri e la propria volontà. Il distacco: agli albori dell’uomo neuronale. Il romanzo, ormai lanciato nell’avventura modernista, inizia a riflettere sempre di più sul radicamento dell’uomo nella comunità, i temi emergenti sono: l’abolizione dei legami, la comunità problematica e l’apoteosi del Narciso. A questo punto l’uomo “gettato” nel mondo non si appoggia né alla trascendenza, né ad una forza storica o biologica. Questo genera 3 svolte: 1) la svolta interiore -alcuni artisti credono che la realtà si trovi dentro l’individuo, per questo analizzano l’interiorità, i comportamenti si raccontano in termini di un riflesso della condizione interiore; 2) la svolta saggistica- i romanzi si popolano di idee, le trame cominciano ad appoggiarsi su superfici concettuali per trovare un senso e rendersi interessanti; 3) lo straniamento-rispetto al senso comune e alle abitudini di senso comune del lettore. Questi temi, dunque, rappresentano la SVOLTA ESISTENZIALISTA dei romanzi del ‘900. Tra l’800 e il ’900, infatti, si afferma un nuovo modo di pensare l’uomo, dato che dopo la Fede, anche la Ragione avrebbe cessato di poter essere considerata punto di riferimento di ogni Sistema Mimetico. Il sociologo Scalamonti, nota che nel dopoguerra comincia a diffondersi un sentimento tragico della vita, rintracciabile più precisamente nel sentimento dell’ASSURDO dovuto alla consapevolezza della morte. L’uomo, in tal senso, scopre la mancanza di un senso da attribuire alla morte e alla propria esistenza, per questo è BRACCATO, ovvero è un individuo solitario, vive e muore ignorato, e il mondo non ammira le sue inutili avventure. Dunque, ricordiamo l’Occidente in questo periodo era stato investito da trasformazioni tecnologiche, nascita della psicoanalisi ecc, tutto ciò ha indubbiamente avuto delle ripercussioni sul mondo delle idee. Successivamente, nel susseguirsi del XX secolo, si vede il deteriorarsi dell’identità intesa come un tuto unitario e coerente, a favore di un’immagine del Sé frammentato, diviso. I riferimenti principali nell’ambito della letteratura non possono che essere Kafka e Pirandello: più in generale, la letteratura di quest’epoca tende a rifiutare quel concetto di “personalità” che era stato collocato nella cultura umanistica, per sostituirla con un’idea meno stabile e unitaria. La Personalità diviene così uno strumento discutibile e pericoloso, da associare alla convenzionalità, alla menzogna e all’ipocrisia. La crisi di riferimenti certi come quelli di personalità, volontà, ragione e onore accompagnati dalla progressiva scomparsa di un universo sacro di riferimento, sembrerebbe aver suscitato una crisi dei fondamenti dell’immagine dell’uomo moderno di derivazione umanistica. Sia l’Uomo e la Storia perdevano ogni senso, tutti i possibili significati elaborati dalla tradizione Occidentale, almeno a partire dall’affermarsi dell’Umanesimo venivano messi in discussione: si afferma la sensibilità dell’Assurdo e il fatalismo (Filosofia per cui il mondo è governato da una necessità estranea alla volontà e all'impegno dell'uomo, per cui questi si rassegna passivamente all’accadere degli eventi) inizia a farsi strada. CAPITOLO 8. UN ASSURDO SISTEMA MIMETICO. Quando affrontiamo il discorso sulla COSCIENZA, possiamo individuare 2 prospettive: “problema facile” e “problema difficile”. 1) La prima si basa sul fatto che la coscienza può essere studiata scientificamente, cioè, è possibile rilevare empiricamente uno stato di coscienza oggettivo (es. un’emozione); la seconda 2) invece, mette in evidenza il fatto che attraverso i metodi scientifici non è possibile rilevare l’esperienza soggettiva; pertanto, per intuire lo stato emozionato di una persona bisogna fare ricorso a metodi extrascientifici (es. sinfonia di Beethoven di Kandel). Dal punto di vista sociologico, gli esempi della letteratura rappresentano l’unica strada di accesso alla coscienza, cioè, possiamo accedere all’esperienze di sé attraverso modelli narrativi. KAFKA. Tra i diversi autori che hanno provato a rinnovare in maniera originale il Sistema Mimetico voi è certamente Kafka, Pecchinenda suggerisce di soffermarsi su uno dei suoi lavori meno noti: La tana, è una descrizione della nostra esistenza, degli sforzi che ognuno di noi compie per costruire un mondo razionale e ordinato: di fatto, questi sforzi finiscono inesorabilmente per costringerci in una gabbia. Altro testo preso in considerazione è La Metamorfosi, (narra la trasformazione di un corpo umano in quella di uno scarafaggio), all’interno del quale Kafka dimostra che il mondo il mondo è assurdo mu non esiste alcuna alternativa se non quella di scoprire la nostra stessa insufficienza, di trovare i nostri mostri. In questo testo, inoltre, si vede l’organismo contrapposto tra la volontà ancora suggerita dal corpo umano e le nuove necessità biologiche dello scarafaggio, per cui c’è una dialettica CORPO-MENTE significativa, in quanto da un alto c’è “l’uomo che comanda”, e dall’altro ci sono i “desideri” dell’animale che sono del tutto diversi da quelli dell’uomo. Dunque, l’insegnamento che possiamo trarre dai romanzi di Kafka è quello di capire che solo entrando nell’abisso possiamo scoprire l’estraneità e nuove forme di prossimità, accettando l’Assurdo della desiderio di reagire alla disperazione e alla morte. Ecco la morale collettiva, attraverso la solidarietà e la speranza, che non ha alcun significato trascendente, bensì è il frutto di una morale condivisa. In tal modo, però, l’uomo sembra prendere sempre più coscienza del fatto che ogni vittoria, finirà sempre per essere provvisoria, questo infatti è il senso della “morale della comprensione” (opera scritta nel 1947, c’era la paura di una nuova guerra). Finiamo l’analisi di Camus con un’altra opera importante, Il malinteso (un uomo che vive oltreoceano da molti anni torna a casa e trova sua sorella e sua madre, vedova, che si guadagnano da vivere affittando camere a degli uomini che poi uccidono. Né la sorella né la madre lo riconoscono, così egli affitta una camera da loro senza rivelare la propria identità). In questo testo l’autore mette in evidenza -attraverso un filo conduttore Pirandelliano- la concezione sottesa al significato di “malinteso”: l’idea che tutto è accaduto per non aver saputo gestire bene i meccanismi della finzione, del gioco. Questo dimostra che il malinteso è sempre in agguato quando il referente della parola non è lo stesso per tutti. HOPPER. Tra i tanti esempi della diffusione del “personaggio braccato” al di fuori dell’ambito culturale direttamente influenzato dall’opera di Camus è quello dell’artista-pittore Hopper. Egli ripropone nei stoi quadri il tema della solitudine nella società moderna, cerca di dargli una forma visiva riproducendo la freddezza e il vuoto della vita newyorkese. Tra i più celeri lavori ritroviamo “Conference at night” in cui vengono rappresentati tre personaggi che sembrano intenti a discutere tra loro. L’artista non ci fornisce alcuna indicazione sulla situazione che conduce i tre enigmatici personaggi ad incontrarsi: si tratta, quindi, di un universo in cui possiamo rilevare che non accade nulla! In Hopper- come in Camus- ci ritroviamo ad avere a che fare con dei personaggi accomunati dalla partecipazione estraniata all’universo disumanizzato della burocrazia. Ciò che Pecchinenda ritiene, però, essere l’elemento unificante tra le opere di Hopper e quelle di Camus è il fatto che la confusione spaziale si accompagna anche u quella temporale: tutto ciò- questa totale mancanza di riferimenti certi- evidenzia la sensazione di vuoto emozionale di due universi sociologici ed estetici completamente diversi. ESSERE NELLE STORIE. Ciò che unisce i diversi temi affrontati all’interno de “L’ Essere e l’Io” è il legame che questi intrattengono con il concetto di “narrazione” proposto dal filosofo Schapp secondo cui la totalità dei processi conoscitivi si fonda sulle storie. La percezione della realtà vissuta dal soggetto è determinata dal suo essere irretito-in-storie. Il significato delle cose che popolano il mondo, quindi, NON è mai indipendente dal contesto di senso rappresentato dalle narrazioni in cui sono inserite (per es. un libro è legato al nodo della sua storia, è legato a chi l’ha scritto, alla tipografia che l’ha prodotto, alla carta dell’albero usata ecc). Il nostro rapporto col mondo è un rapporto con le storie, perfino un semplice oggetto come una sedia, attraverso il meccanismo di riduzione fenomenologica (epochè), mostra il suo significato al di là della funzione specifica. Questo vuol dire che la sedia “sta per qualcosa”, un qualcosa che non sta per la funzione ma per la sua storia, cioè gli oggetti esistono perché qualcuno li ha resi tali. Le persone, al contempo, non stanno nel vuoto ma si trovano in NODI DI STORIE, e ogni nodo è compreso solo se noi lo leggiamo in termini di TRAME. Schapp, legittima dunque, l’approccio della sociologia della conoscenza, perché riconosce che dove c’è una storia c’è un essere umano che gli dà senso e significato. E’ sulla base di questi presupposti teorici di fondo che Pecchinenda utilizza il sistema mimetico inteso come strumento operativo che, nella vita quotidiana, fa da sfondo all’agire degli individui appartenenti ad una certa società. I SISTEMI MIMETICI, come abbiamo visto, servono a rispondere alle richieste di senso e di significato che attanagliano gli individui, fornendo dei modelli di condotta. In altri termini, quando noi interagiamo con un nostro amico, in lui vediamo sia il “modello amicizia”, elaborato nell’ambito del sistema mimetico al quale apparteniamo, sia il suo essere “irretito” in una rete di storie. Le storie, infatti, probabilmente rappresentano l’unica vera “essenza” di cui sono fatti gli uomini.
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