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Il diritto del lavoro in Italia: evoluzione storica e distinzione tra lavoro autonomo e dipendente, Sbobinature di Diritto del Lavoro

L'evoluzione storica del diritto del lavoro in Italia, partendo dalla prima legislazione sociale a seguito della rivoluzione industriale fino ai giorni nostri. Vengono inoltre presentate le distinzioni tra lavoro autonomo e dipendente, e tra diritto sindacale e diritto del lavoro.

Tipologia: Sbobinature

2022/2023

In vendita dal 24/11/2023

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Scarica Il diritto del lavoro in Italia: evoluzione storica e distinzione tra lavoro autonomo e dipendente e più Sbobinature in PDF di Diritto del Lavoro solo su Docsity! Introduzione La costituzione si apre con l'articolo 1 che sottolinea che la repubblica italiana si basa sul lavoro. La distinzione tra lavoro autonomo e dipendente viene fatta al Codice Civile: Fondamenti: ● Art 2094 CC = il lavoro subordinato è l'attività lavorativa prestata mediante retribuzione alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore ● Art 2222 CC = il lavoro autonomo è qualunque opera o servizio compiuto verso il corrispettivo, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente (Contratto d'opera) Il diritto sindacale e il diritto del lavoro sono differenti tra loro. Il diritto del lavoro è anomico, si è sviluppato nell'assenza di leggi, articolo 39 legge inattuata. Il diritto sindacale si è sviluppato tramite la giurisprudenza e la contrattazione collettiva, strumento che va a disciplinare il rapporto per una determinata categoria produttiva Il diritto del lavoro è una disciplina giovane, tra inizio 800 e 900, la nascita è segnata dalla rivoluzione industriale e dunque tutelarsi da infortuni e malattie i lavoratori. L'evoluzione storica può essere suddivisa in 4 fasi: - dalla prima legislazione sociale a seguito della rivoluzione industriale, con le prime leggi che intervengono per rispondere alle domande di sicurezza e che vanno fino al periodo corporativo - La seconda si apre dalla costituzione fini allo statuto dei lavoratori del 1970 - La terza che riguarda gli ultimi decenni del 900, periodo caratterizzato da crisi economiche - Ultima fase è quella che va fino ai giorni nostri 1. Dalla prima legislazione al periodo corporativo Il nesso con la rivoluzione industriale è molto stretto, inizialmente erano caratterizzati dalle ideologie liberale, secondo cui il rapporto doveva essere individuato con contratti individuali, partendo dal presupposto che lavoratore e datore potessero regolarsi da soli tramite le proprie regole, In questo periodo era anche previsto un divieto di forme di coalizione collettiva, vietate le forme di unione e coalizione, vietato lo sciopero. Il modello di questa regolamentazione può essere rintracciato nella legge francese del 1791, "Louis Le Chapelier”, previsto il delitto di coalizione, sono gli stessi rivoluzionari ad abolire questi diritti per paura che il sindacato prendesse un ruolo superiore a quello che la borghesia aveva appena acquisito tramite la rivoluzione. Modello seguito nei vari paesi in Italia codice penale albertino e sardo 1839, prevedeva come reato ogni forma di coalizione e lotta, nonostante ciò comincia a porsi la questione sociale, la necessità di legislazione sociale che va a rispondere alla situazione sociale che si andava a creare. La stagione della repressione penale viene conclusa con l’emanazione del codice penale zanardelli (1889), viene eliminato il reato di coalizione mantenendo punibili le forme violente; apre una fase di tolleranza, viene riconosciuta l'immunità penale nei confronti delle forme di coalizione e lotta sindacale, in particolare lo sciopero, non era più reato ma nemmeno un diritto, era una libertà, costituivano ,però, un inadempimento del contratto, non davano conseguenze sul piano penale ma civile, ad esempio il licenziamento. Iniziano a nascere le prime associazioni di mutuo soccorso, create spontaneamente dai lavoratori per sopperire alle carenze dello stato sociale di quel periodo (il lavoratore infortunato perdeva il proprio guadagno ritrovandosi in uno stato di indigenza) versano una somma di denaro accantonata per aiutare i lavoratori della propria società che incorrono in situazioni di bisogno. Tra 1860 e 1880 vi è l’era d’oro delle associazioni, la prima di queste nasce a Pinerolo. Nei primi 900 nascono le federazione di mestiere la prima è la confederazione internazionale del lavoro, antenata dell’attuale CGIL, nasce nel 1906 e firma il primo contratto collettivo di carattere aziendale che sfocerà poi nella Fiat, nascono così le commissioni interne al luogo di lavoro. Tra fine 800 e inizio 900 vengono emanate le prime leggi sociali, in Inghilterra erano già presenti dal 1833 con il factory act, in italia per limitare il lavoro dei minori si introduce una legge nel 1886. Nel 1888 prima legge in materia di previdenza sociale. I primi interventi si focalizzano sull’orario di lavoro, perché veniva evidenziato che un maggiore numero di ore lavorative portava a più infortuni sul lavoro. Questa prima fase viene battezzata come crocerossina, perché riguardavano donne e minori, era basata sulla salute però principalmente voleva tenere buone le forze lavorative. Vengono poi varate delle leggi di carattere settoriale per i settori più rischiosi come quelli nelle miniere, soltanto dopo vengono varate delle leggi per i lavoratori a prescindere dall’età e dalla tipologia di attività svolta. Nel frattempo viene emanato un codice civile del 1875, ispirato al codice napoleone, ignora totalmente il contratto di lavoro, ricondotto nel contratto di locazione, cose o opere. Una parte si obbliga a fare per un altra una cosa mediante la pattuita mercede. Tempo determinato = il contratto di locazione è di per sé un contratto a scadenza; in più in questo periodo è previsto un divieto di rapporti a tempo indeterminato per evitare di ricadere in un sistema para-feudale Di contratto di lavoro si inizia a parlare nel 900, con un trattato di 1901, Ludovico Barassi → “Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano” → per la prima volta si parla di contratto di lavoro in Italia: distacco graduale del diritto del lavoro dal diritto privato, padre del diritto di lavoro, un giurista che si è dedicato a un'opera ricostitutiva nel sistema italiano guardando anche a distinguere il lavoro subordinato da quello autonomo. Questa autonomia graduale del diritto del lavoro aumenta anche grazie alla concezione di lavoro come un rapporto esclusivamente di mercato, si comincia a valorizzare ciò che lega la postazione di lavoro e la persona che lavora, uno scambio che coinvolge lo stesso essere del lavoratore, un’idea che si sviluppa a livello internazionale, infatti nel 1919 nasce l’organizzazione internazionale del lavoro (OIL) al termine della Guerra mondiale, i principi fondativi vengono rivisti con la dichiarazione di Philadelphia nel 44 dopo la seconda guerra mondiale, tra questi si specifica che il lavoro non è una merce , non si può equiparare alle altre merci scambiate al fronte di un corrispettivo in denaro, ma presuppone una serie di tutele per la persona (diritti). L’importanza dell’OIL è diminuita negli anni recenti, soprattutto a causa del ruolo crescente del Diritto dell’Unione Europea, il quale prevede un livello di tutela dei lavoratori più elevato. Periodo corporativo Questa evoluzione viene interrotta dal periodo corporativo, nasce con Mussolini, in particolare con la marcia su Roma del 1922 con la quale Mussolini ha convinto il re di passargli il potere con un passaggio parlamentare ancora formalmente corretto. La svolta dopo il delitto Matteotti 1924. Tra 1925 e 26 furono approvate le leggi fascistissime, passaggio ad uno stato autoritario e corporativo, repressione penale con escamotage, 1925 patto Palazzo Vidoni firmato tra colf industria e confederazione delle corporazioni fascista, si riconoscono in via esclusiva tra di loro, seguito dalla Legge 3 aprile che segna il passaggio allo stato autoritario. Ma l'Italia da poco faceva parte dell’OIL, uno dei principi fondamentali era la rappresentanza dei lavoratori, dunque Mussolini non poteva permettersi un’improvvisa eliminazione dei sindacati, ma usa il sindacato fascista come escamotage. Contratto collettivo con efficacia erga omnes, si applicava a tutti i lavoratori e datori a prescindere dall'iscrizione. Gli altri sindacati non possono più stipulare contratti liberi e lo sciopero torna ad essere un reato. Al sindacato fascista e alla colf industria viene riconosciuta una personalità giuridica, quasi come un organo dello stato, ed è conferita la rappresentanza vincolo di validità della legge secondo la Corte Costituzionale). In questo periodo si sviluppa la contrattazione collettiva di vertice (non aziendale). Negli anni '60 vengono emanati degli interventi normativi che tutelano il lavoratore, come: -la Legge n. 604 del 15 luglio 1966: (fino ad allora non c'erano stati limiti per i datori di lavoro per licenziare): si introducono i primi limiti in materia di licenziamento: con questa legge viene introdotto l'obbligo di giustificazione del licenziamento, pena il sanzionamento economico oppure la riassunzione del lavoratore; -La Legge 230 del 1962 sul lavoro a tempo determinato(a termine): limita questo tipo di contratti, per favorire i contratti a tempo indeterminato; -la Legge n. 300 del 20 maggio 1970, con cui viene approvato lo Statuto dei lavoratori dopo il decennio del boom economico: nato da una situazione di conflittualità sindacale molto aspra; riconosce dei diritti più forti. Riconosce il sistema sindacale “di fatto”. E’ rappresentato da un intreccio tra: disciplina del rapporto di lavoro e promozione dell'azione sindacale. Prevede delle regole di legge che consente la formazione di associazioni sindacali sul luogo di lavoro (le RSA). Riconosce alcuni diritti fondamentali esercitabili sul luogo di lavoro(diritto di assemblea, di referendum); Questo intreccio tra i due punti di cui sopra, si riconduce all'art. 18 dello Statuto dei lavoratori che prevede una tutela forte in caso di licenziamento illegittimo: il lavoratore ha diritto ad essere reintegrato nel posto di lavoro (tutela reale) con un grosso risarcimento economico. (non più alla riassunzione come nel 1966; ma alla reintegrazione, quindi il lavoro riprende come se non si fosse mai stato un licenziamento/interruzione, c’è una continuità, il rapporto riprende come se non fosse mai stato interrotto) è quindi una tutela REALE, perché riconsegna il bene che è venuto meno (il lavoro). Prevedendo una tutela molto forte, rende più facilmente esercitabili i diritti individuali rappresentati nello Statuto: non sono più possibili i risarcimenti arbitrari e illegittimi. Ciò rafforza la propensione dei lavoratori ad esercitare i diritti sindacali. Bilancia quindi il rapporto tra datore e lavoratore, inizialmente squilibrato. Alcuni però hanno criticato questo articolo 18, dicendo che esso avrebbe “intimorito” i datori ad assumere a tempo indeterminato per paura delle sanzioni. L'art. 18 verrà smantellato dal governo Renzi (contratto di lavoro a tempo indeterminato tutele crescenti, Jobs Act, con una tutela molto più debole in caso di licenziamento illegittimo). Nel 1972 viene firmato un patto federativo di unità d’azione tra CGIL, CISL e UIL per riunirsi e costituire un unico sindacato e procedere nella medesima direzione: questo patto però non funzionerà, ma riusciranno a stipulare dei contratti collettivi. Alcuni diritti sono riconosciuti solamente ai sindacati maggiormente rappresentativi: concetto di rappresentatività (prima CGIL, CISL e UIL). Legge 533 del 1973: riforma del processo di lavoro, per renderlo più snello e veloce, con l'obiettivo di ottenere per i lavoratori una tutela celere nelle aule giudiziarie. 3. Ultimi decenni del 900 Nel 1977, dopo il periodo di boom economico, c'è lo shock petrolifero → forte crisi economica, che portò all inflazione e disoccupazione → le retribuzioni perdono valore → il valore del denaro diminuisce. In Francia c'era la scala mobile dei salari (dal 1952) che era un adeguamento automatico delle retribuzioni al fine di rendere stabile il valore dei salari in condizioni di instabilità monetaria. In Italia le parti sociali riusciranno a far evolvere il diritto per rispondere ai bisogni e alla crisi: dal 1975 introducono nei contratti collettivi la SCALA MOBILE, qui chiamata indennità di contingenza: viene costituito un paniere di beni di largo consumo di cui veniva monitorato il costo; una commissione, ogni 3 mesi, doveva verificarne le variazioni del costo, innalzando o abbassando conseguentemente le retribuzioni in base all'indice dei prezzi al consumo (inserito direttamente nelle buste paga). Inizialmente, il sistema della scala mobile era presente solo nel settore bancario, poi nel 1977 verrà esteso a tutti i settori; verrà poi abolito nel 1992; l'indice rimane lo stesso da quel momento. All'inizio degli anni '80 inizia a cambiare il rapporto tra lavoratori e datori di lavoro: si verifica la marcia dei 40mila nel 1980 a Torino: la FIAT mette in cassa d'integrazione 24mila dipendenti e ne annuncia il licenziamento di circa 15mila: i sindacati proclamano uno sciopero immediato, che andò avanti per 35 giorni (si verifica il picchettaggio sindacale, ovvero si impedisce ai dipendenti che non volevano scioperare di entrare in fabbrica): a quel punto, gli impiegati, i quadri e i dirigenti si riuniscono e scendono in strada spontaneamente sfilando per le vie di Torino come protesta verso i lavoratori stessi → la protesta si conclude, ma con meno licenziamenti del previsto → questa marcia stabilì che i rapporti di forza stavano cambiando a favore dei datori di lavoro. Inizia anche l'epoca della concertazione, che prevede la stipula di accordi triangolari tra le organizzazioni sindacali, le organizzazioni dei datori di lavoro e il governo (partecipe!). La concertazione comporta quindi una consultazione tra governo e le altre parti sociali, e all’esito di questa consultazione viene stipulato un protocollo i cui punti dovranno essere oggetto di legge. Negli anni 80 vengono in tal senso stipulati degli accordi interconfederali (come protocollo Spatolino e Scotti, ecc.) su questioni relative al lavoro si protrarrà per tutti gli anni '90. Le parti sociali verranno convocate dal governo per l'emanazione delle leggi legate al lavoro. Negli anni '90 vengono introdotte dosi di flessibilità nel mercato del lavoro a causa della crisi economica e della crescente disoccupazione: si richiede in tal senso maggiore flessibilità nell'utilizzo della forza lavoro: nascono le prime forme di LAVORO ATIPICO (es. contratti a tempo parziale, di formazione lavoro, a tempo determinato, ecc.). inizia quindi una “deregolamentazione” dei rapporti di lavoro, ma controllata dai sindacati. Inizia a cambiare il rapporto tra le fonti (negli anni'80) → il contratto aziendale può modificare il contratto collettivo nazionale (prima non poteva). Inizia anche il procedimento per la privatizzazione del pubblico impiego (prima esso ricade nel diritto amministrativo, non c'era un contratto di lavoro ma un atto di nomina, non c'era la contrattazione collettiva): con la Legge 93 del 1983 i contratti di lavoro vengono firmati anche in ambito di impiego pubblico, ma dovranno essere recepiti in decreti del Presidente della Repubblica. Negli anni '90, periodo di forte rigore economico, l'Italia affronta l'UE e l'UEM → un deficit molto alto mette a rischio la posizione dell'Italia nell'UEM → il legislatore abolisce la scala mobile → vengono convocate le parti sociali e verrà stipulato un accordo, l'accordo del 23 luglio 1993 (assicurato da sindacati, governo organizzazioni dei datori di lavoro), ovvero la CARTA COSTITUZIONALE DEL DIRITTO SINDACALE: le parti sociali stipulano questo protocollo col governo, con regole di natura pattizia, con cui le parti si autodisciplina (politica inflazionistica, ecc.). Ci sarà la prima legge sullo sciopero in materia di servizi pubblici ed essenziali. Il diritto del lavoro si inizierà ad occupare sia di ciò che segue l'instaurazione del rapporto, sia ciò che lo precede. Nel 1997 viene introdotto il pacchetto Treu (legge 196) che prevede una serie di riforme che ammorbidisce le regole in materia di lavori atipici, introduce il lavoro interinale (il lavoratore viene assunto da un’agenzia che poi lo “invia” a svolgere la prestazione presso un’altra azienda: rapporto triangolare), ammorbidimento sulle tipologie di lavoro e sugli orari di lavoro. Legge sui licenziamenti collettivi; Nel 1992 viene realizzata la PRIMA privatizzazione del pubblico impiego: il governo delega al Parlamento di emanare un decreto legislativo, con cui le regole del diritto del lavoro subordinato nel settore privato vengono anche al settore pubblico. Quindi i dipendenti pubblici firmano un contratto. Nel 1997 LA SECONDA privatizzazione del pubblico impiego segue questa linea. Nel 2001 viene emanato il testo unico del pubblico impiego (decreto legislativo 165 del 2001): contiene le norme generali sull’ordinamento nel pubblico impiego; ma non vengono eliminate tutte le differenze. C'è stata poi una riforma previdenziale: la pensione veniva calcolata in base alle ultime retribuzioni (ultimi 10 anni), quindi con un sistema retributivo: pensione alta e stile di vita inalterato; si passa quindi ad un sistema contributivo: la pensione è calcolata sulla base dei contributi versati, non sulla retribuzione. Viene anche inserita una nuova forma di gestione previdenziale, una nuova “cassa” per i lavoratori parasubordinati (ovvero quei lavoratori autonomi che presentano caratteristiche del lavoro subordinato). Gli anni '90 si chiudono in maniera tragica: vengono uccisi dalle Brigate Rosse due lavoratori dei ministeri del lavoro, Biagi e D’Antona, coloro che avevano appunto cercato di riformare il mercato del lavoro. 4. IL NUOVO SECOLO: IL DIRITTO DEL LAVORO "DELL'ALTERNANZA" Sul fronte del diritto del lavoro Il nuovo secolo viene battezzato così perché ha visto alternati diversi governi (centrodestra e centro-sinistra), e ognuno di essi ha cambiato il diritto del lavoro e nuove esigenze e trasformazioni sulle nuove modalità lavorative Il mercato del lavoro è diverso, si punta a una maggiore individualizzazione, maggiore rilievo delle scelte del datore di lavoro, con problematiche dovute al fatto che il lavoratore è la parte più debole del contratto. Cresce la precarietà lavorativa anche per modalità atipiche di lavoro e i sindacati abbandonano i meccanismi della concertazione, incremento delle diseguaglianze della categorie lavorative→ crescente povertà e disoccupazione. Il nuovo secolo si apre con una riforma della costituzione che riguarda anche il diritto del lavoro, riforma 2001 sul rapporto tra fonti statali e regionali. ➢ All'inizio del 2000 c'è un governo di Amato, centrosinistra →legge sul lavoro part time (prima dopo quella del 1984) → tipologia contrattuale atipica, ma offre delle opportunità: ma utilizzato dalle donne lavoratrici per integrare vita privata e carriera; può diventare una gabbia per donne che vogliono lavorare full-time e per uomini che non trovano altro impiego e sono costretti a lavorare parzialmente. Apertura sull’utilizzo del part-time ma si cerca di garantire effettivamente una conoscibilità dell’orario di lavoro delle dipendenti, cioè sapere quando effettivamente si doveva lavorare. Un modello ispirato ancora la vecchio modello, delega ai contratti collettivi la gestione più flessibile dei contratti di lavoro. ➢ Il secondo governo Berlusconi (centro destra) fa una profonda riforma del lavoro, teorizzata nel libro bianco sul mercato del lavoro dove illustrate le linee guida che userà questo governo per la profonda riforma effettuata → viene abbandonata la concertazione a favore del dialogo sociale (il governo convoca le parti sociali, ma le decisioni sono autonome del governo, non accetta più alcun veto sindacale) → cambio tra potere politico e organizzazioni sindacali che è un primo passo anche tra il rapporto delle fonti del diritto: si prefigura un cambiamento del rapporto fra le fonti e quindi delle fonti e del contratto collettivo. → C'è una spinta verso il decentramento normativo e la crescente normalizzazione delle fonti decentrate. → Il libro bianco esclude drasticamente qualunque possibilità di intervento normativo sulla legge di rappresentanza sindacale, esclude la volontà di dare attuazione all’articolo 39 della costituzione. → Si faceva riferimento ad un incremento delle tipologie contrattuali per cercare di incrementare il tasso di occupazione del paese, si pensava fosse collegato all’eccessiva rigidità 4. tipologie contrattuali: riordino delle tipologie contrattuali (D. lgs 81 del 2015) si decide di eliminare tutte le tipologie contrattuali e scriverle → tendenza alla liberalizzazione → le mansioni lavorative possono essere ridotte in presenza di determinate condizioni Prima era vietato il demansionamento, mentre dopo il datore può scegliere come organizzare l’attività (oggi il testo unico dei contratti tipici è il decreto 81); 5. ammortizzatori; 6. attività ispettive: riforma delle ispezioni sul posto di lavoro, controllo con impianti audio-uditivi, alleggerimenti degli oneri sui datori di lavoro 7. servizi per il lavoro e politiche attive: riguarda l'incontro fra domanda e offerta del lavoro → Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL), il cui obiettivo è coordinare meglio l'incontro tra domanda e offerta di lavoro → strumenti di controllo dei lavoratori → legge su l'effettiva volontarietà delle dimissioni; 8. rapporti di lavoro e pari opportunità, legge 81 del 2007 cerca di avvicinare i diritti dei lavoratori subordinati anche a quelli autonomi. →riconosciute alcune forme di tutela di carattere economico e genitorialità per i lavoratori autonomi →introduzione del lavoro agile per i lavoratori subordinati, forma di lavoro da remoto nel 2017, consente di scegliere dove e quando lavorare. Obiettivo perseguito tramite la flessibilità in entrata, in uscita e organizzativa. Cerca di incrementare l'occupazione pur stabilendo come forma comune il contratto a tempo indeterminato. Grandi incentivi economici che sgravano le aziende di numerosi costi. Contraddizione perché si apre facendo riferimento al lavoro a tempo indeterminato come forma comune di lavoro, dall’altro agevolazione per assumere tramite contratti atipici. Il legislatore abbatte le tutele per tutti, per rendere più gestibile il lavoro. Le assunzioni a tempo indeterminato sono aumentate inizialmente, a causa di incentivi economici, ma poi sono ritornate a diminuire. ➢ Il governo Conte 1 approva il decreto dignità con il quale torna ad occuparsi del lavoro a tempo determinato e cerca di ridurre la flessibilità introdotta dal governo Renzi, e quindi il contratto torna ad essere sotto una regolazione simile alla riforma Fornero, quindi il contratto può essere a causale. Il decreto dignità interviene anche sui licenziamenti, innalzando l’ammontare del risarcimento ma ancora non viene toccata la struttura dei contratti a tutele crescenti, viene poi modificata dalla Corte costituzionale, non dal governo. Intervien in materia di lavoro acessorio, modalità utilizzata per prestazioni che non devono avere caratteri duraturi nei tempi in cui il lavoratore viene pagato con un voucher che va a riscattare il valore economico, si cerca di regolarizzare anche queste forme di lavoro non continuative ( per non ricadere nel nero). Interviene anche sulle pensioni →quota 100, ossia una quota combinata dalla somma dell’anzianità e contributi versati, viene introdotto il reddito di cittadinanza come strumento di lotta contro la povertà ma mira anche al reinserimento lavorativo. ➢ Governo Conte 1, cade e viene riformato un altro governo presieduto da Conte ma affiancato dai 5 stelle e dal partito giallo-rosso, non ha modo di intervenire sul diritto del lavoro perché viene investito dalla pandemia, dunque principale occupazione è questa, vengono emanati provvedimenti temporanei sul diritto del lavoro. Il DPCM deroga molti aspetti del diritto del lavoro, ad esempio si interviene sul contratto a termine per cercare di proteggere i lavoratori ed evitare che il contratto scada e non venga prorogato a causa della pandemia. Misura eccezionale sul blocco dei licenziamenti, che venne utilizzato anche nel secondo dopoguerra, ciò evidenzia la precarietà e la crisi di entrambe le situazioni, e dunque si è cercato di non riversare questa situazione sulle spalle dei lavoratori. Si è dovuti uscire gradualmente da questo blocco agganciando questa disciplina a quella degli ammortizzatori sociali, è stata prevista una cassa integrazione che prevede il codice covid 19 che ha garantito alle aziende di sopravvivere. Il legislatore è intervenuto sulla salute e sulla sicurezza del lavoro, vi è stata una maggiore collaborazione con i sindacati perché si è cercato di stilare dei protocolli che vanno a regolamentare discipline delle aziende sulla tutela salute. Sono nate altre leggi sul lavoro agile, in deroga alla legge del 2017 per semplificare il lavoro, siccome in breve termine tutte le aziende si sono trovate a utilizzarlo. Si è intervenuti sul tema della conciliazione, tema delicato per via delle scuole chiuse, e dunque dei lavoratori genitori. Sono stati utilizzati bonus per pagamento babysitter per alleggerire i lavoratori e consentire loro un clima migliore per svolgere l’attività lavorativa. ➢ Anche il governo Draghi è stato influenzato dalla pandemia, seguito al crollo del governo Conte, come governo tecnico. Approva una serie di testi normativi, gestione dei fondi proveniente dall’UE in particolare quelli della next generation che impegna i paesi ad emanare piani per la ripartenza a seguito della pandemia, tutti gli stati approvano il proprio PNR (Piano Nazionale della Ripresa). Il governo Draghi approva il decreto sostegni Bis, serie di misure per la ripartenza nel quale comprende anche la disciplina del contratto determinato. ➢ Arriviamo ai giorni di oggi, governo Meloni che approva il decreto lavoro, elimina il reddito alla cittadinanza e introduce un nuovo aiuto ma con requisiti più stringenti. Opera una riforma del lavoro a tempo determinato, andando ad agevolare i contratti di somministrazione e sui contratti occasionali. (Nuova spinta sulle categorie in entrata) Conversione della quota 100 in quota 103 modificando i requisiti per la pensione. Tutti i governi si sono occupati del diritto del lavoro, quindi la materia evolve pari passo con la situazione politica economica del nostro paese. Sul fronte del diritto sindacale Anni ‘90 caratterizzati dalla firma di accordi interconfederali. L’apice di questo sistema è arrivato alla firma del protocollo Ciampi-Giugni (93), protocollo ha quindi valenza di statuto, avrebbe però avuto bisogno del sostegno di una legge, ci si aspettava che il legislatore sostenesse il protocollo con una legge di attuazione dell’articolo 39, cosa che di fatto non ha fatto. Si è iniziato a discutere della revisione del protocollo e si è arrivati alla firma di un nuovo accordo quadro nel gennaio 2009, segna una frattura tra le organizzazioni sindacali, perché non viene firmato dalla CGIL, che rappresenta il sindacato più rappresentativo. Lo fa per varie ragioni perché rappresenta un cambiamento un cambiamento del contratto collettivo nazionale, mentre questo accordo offre un’apertura verso i contratti collettivi territoriali. Ha aperto problemi enormi, spaccatura fronte sindacale sia a livello nazionale che territoriale. La FIAT così è riuscita a modificare il diritto sindacale, perché i protocolli creati all’interno della FIAT sono andati a modificare i protocolli a livello nazionale. Dal 2009 al 2011 sono stati messi in dubbio i principi essenziali del diritto sindacale, l’equilibrio viene ritrovato nel 2011 quando viene firmato un nuovo accordo internazionale tra i sindacati, non si poteva sopravvivere a lungo seguendo regole diverse. Il punto di convergenza viene messo in dubbio dall’articolo 8 del decreto legge 138 del 2011. 5. Struttura delle fonti Inizialmente il rapporto di lavoro era soltanto riguardato dal contratto individuale per una logica liberale, per cui lavoratore e datore di lavoro sono due soggetti entrambi liberi di stipulare, ma ben presto si è visto che c’è uno squilibrio e quindi è necessario rivede le norme a tutela del lavoratore che veniva visto come soggetto particolarmente debole, quindi cominciano a prendere piede i decreti legislativi e gli accordi collettivi, che vengono considerate delle fonti eteronome, esterne al rapporto di lavoro ma vanno a limitare il potere del datore, regolamentari di un rapporto che nasce come squilibrato. L’elenco delle fonti del diritto possiamo trovarle nell’articolo 1 delle preleggi, secondo il quale sono fonti del diritto le leggi, i regolamenti, le norme corporative e gli usi. Superato ormai il sistema delle norme corporative. Nel frattempo si sono sviluppate le fonti internazionali e dell’UE e costituisce una gerarchia 1. Fonti internazionale 2. Fonti UE 3. Ordinamento nazionale • Costituzione • Legge ordinaria: codice civile e leggi nazionali e regionali 4. Fonti «materiali» non fanno parte della giurisdizione ma sono necessarie per il funzionamento del sistema: • Il contratto collettivo: gli accordi interconfederali, il contratto nazionale, territoriale, aziendale • Il contratto individuale Non sono «fonti» in senso tecnico ma aiutano l’interprete: • norme amministrative (es. circolari ministeriali); • giurisprudenza; • usi FONTI INTERNAZIONALI Riconosciute all’interno del nostro ordinamento mediante articolo 177 della Cost. che dice la potestà legislativa esercitata dallo stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione nonché di vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e da vincoli internazionali. Quali sono le fonti internazionali per le quali discendono dei vincoli per il legislatore? - OIL, istituita nel 1919 con atto rivisto nel 1944, oggi è un’agenzia specializzata dell’ONU, mantenendo però la sua autonomia, innanzitutto si è occupata delle tutele minime su ogni posto di lavoro. La relazione degll’OIL si sviluppa nella convezione Philadelphia del 44 all’interno della quale si specificano i principi fondamentali, tra cui “il lavoro non è una merce”. La sua attività si sviluppa tramite convenzioni e richiede un numero minimo di ratifiche dagli stati per essere vincolanti. Ultimamente perdita centralità del ruolo Oil per mancanza di ratifiche da grandi potenze mondiali come Russia e Cina - Consiglio d'Europa che ha lo scopo di promuovere diritti, la sua è la carta fondamentale dei diritti dell’uomo all’interno della quale ci sono una serie di norme che ci interessano, in particolare l’art 11 che specifica la libertà di associazione, e la libertà di associazione in sindacati. Il rispetto di essa è garantito dalla corte dei diritti dell’uomo. Atto fondamentale è la carta sociale europea, adottata a Torino nel 1961 poi rivista nel 96. Prevede vari diritti, come lavoro, occupazione, congedi parentali, non discriminazione diritti di lavoratori migranti e disabili. funzionando. Oggi viene individuato il livello di regolamentazione più adeguato ad intervenire su determinate materie, si è verificato un capovolgimento dell'articolo 117, perché prima del 2001 il 117 elencava le materie per ogni competenza delle Regioni e tutto ciò che non era espressamente menzionato era di competenza dello Stato (maggiore competenza dello Stato) Oggi invece c'è un elenco delle materie in cui è competente lo Stato, un elenco di materie in cui c'è la potestà concorrente tra Stato, le Regioni e, nei casi non espressamente menzionati, c'è competenza regionale (ampliato il ruolo della competenza regionale). La norma inizialmente ha dato qualche problema interpretativo perché nell'ambito delle materie di competenza concorrente troviamo la tutela e la sicurezza del lavoro. Cosa significa competenza concorrente? Significa che lo Stato ha detto delle linee guida, ma poi spetta alle Regioni intervenire con la regolamentazione di dettaglio. Quindi se tutto il diritto del lavoro rientrasse nell'ambito della potestà concorrente, in realtà sarebbero poi le Regioni a dover intervenire per regolamentare la materia, rispettando però i principi dettati dalle linee guida dello Stato. C'è questo riferimento alla tutela alla sicurezza del lavoro, che poteva essere interpretato in due modi, cioè poteva essere considerato un'espressione che fa riferimento al diritto del lavoro, tutela e sicurezza del lavoro, oppure poteva essere interpretato come una parte di tutto, cioè soltanto quelle norme che riguardano specificamente la materia della sicurezza sul lavoro. L'orientamento prevalente ben presto ha preso piede è stato quello dell'interpretazione restrittiva →su questo è interventa, infatti, la Corte Costituzionale, ha affermato che non è vero che la disciplina intersoggettiva di qualsiasi rapporto di lavoro rientra nella tutela e sicurezza del lavoro, ma nella materia ordinamento civile di competenza esclusiva dello Stato. Quindi la Corte Costituzionale ha precisato che la voce tutela e sicurezza del lavoro è una parte della tutela del diritto del lavoro che riguarda appunto gli aspetti legati alla sicurezza. Ma tutto il diritto al lavoro rientra nell'ordinamento civile sul quale è competente esclusivamente lo Stato. Se fosse prevalsa un'interpretazione opposta, questo avrebbe determinato lo spacchettamento del diritto del lavoro, una sua diversificazione da regione a regione, andando a compromettere il carattere di unitarietà del diritto al lavoro che caratterizzano anche i Paesi federalisti di più lunga tradizione. E poi il rientro della competenza regionale, anche i temi più strettamente legati alla formazione del lavoro, ad esempio, che la disciplina del contratto di apprendistato risente fortemente poi anche della legislazione regionale, che è competente su un tema legato alla formazione. Da segnalare che nel 2015 sia stata una proposta di riforma costituzionale realizzata dal governo Renzi, potremmo dire che era uno dei due cavalli di battaglia del Jobs Act e la riforma costituzionale che avrebbe potuto determinare un nuovo aggiornamento delle competenze e un nuovo ritorno nelle mani del legislatore nazionale di molte delle materie. Questa proposta, che è già stata trovata in Parlamento, è sottoposta al voto del referendum ma è stata bocciata ➔ Ruolo del contratto collettivo Tutti i contratti collettivi li potete trovare sulla banca dati del Cnel, che da qualche anno fa un'opera di raccolta degli accordi collettivi divisi per categorie e quindi è diventato un po più facile consultarli. Per poter parlare del contratto collettivo attualmente utilizzato dobbiamo fare una foto con il contratto collettivo corporativo. Allora, nell'epoca corporativa, il contratto collettivo era una fonte del diritto a tutti gli effetti, le preleggi prevedono al terzo gradino delle fonti proprio le norme corporative e sono fonti del diritto in senso proprio subordinato soltanto alla legge e ai regolamenti. E nelle note cooperative rientrano i contratti collettivi corporativi, ma anche le sentenze della magistratura del lavoro. Il contratto collettivo corporativo aveva un'efficacia generalizzata, cioè si applicava a tutti i lavoratori e tutti i datori di lavoro. Per via della legge 563 del 1926 di cui ci abbiamo parlato, preceduta dal Patto di Palazzo Vidoni. Questa legge 563 del 1926 dice che ha ingabbiato l'ordinamento sindacale perché ha mantenuto formalmente la libertà sindacale, ma ha riconosciuto espressamente soltanto la Confindustria e la Confederazione delle corporazioni fasciste. Il sindacato fascista si sono riconosciuti reciprocamente e unilateralmente. Questo, di fatto, ha determinato una sostanziale soppressione della libertà sindacale, che non è stata abolita formalmente, ma nei fatti. Perché? Perché soltanto il sindacato fascista era abilitato a stipulare contratti collettivi dotati di efficacia erga omnes. Il decreto fascista era quindi dotato di un potere di rappresentanza istituzionale nei confronti di tutti i lavoratori e quindi poteva stipulare contratti collettivi validi, efficaci per tutti i lavoratori. Nell'epoca corporativa i lavoratori della categoria, erano divisi a seconda dell'attività lavorativa che veniva svolta nelle attività economico professionale. L'Associazione sindacale aveva una personalità giuridica di diritto pubblico, visto che il sindacato, di fatto organi dello Stato e i sindacati, erano assoggettati ad uno stretto controllo da parte del Ministro delle Corporazioni con un forte e penetrante controllo da parte del potere politico. L'Associazione sindacale aveva la rappresentanza legale per tutta la categoria, quindi per legge quella in questo caso rappresentava tutta la categoria. Non c'era possibilità di discostarsi, era tutto predeterminato dalla legge. La disciplina dei contratti collettivi corporativi era dettata dalla legge del codice civile →libro 5.º dedicato alle ordinanze corporative e gli accordi economici collettivi, tutti considerati abrogati, tranne il 2077. Cosa prevedevano? -2069 stabiliva che il contratto collettivo era obbligatorio per tutti gli imprenditori prestatori di lavoro rappresentati dalle associazioni stipulati, cioè prevedeva l'efficacia erga omnes -2070 prevedeva anche l'appartenenza alla categoria professionale ai fini dell'applicazione del contratto collettivo si determina secondo l'attività effettivamente esercitata dall'imprenditore. Cioè, per capire quale contratto collettivo praticare bisogna verificare qual è la categoria produttiva nella quale svolge attività il lavoratore, sulla base dell'attività svolta dall'imprenditore, si individua la categoria produttiva dopo il contratto collettivo nazionale. Oggi non è più così. Oggi i venditori hanno una libertà di scegliere il collettivo da applicare -2074 stabiliva che il contratto collettivo, anche quando è stato denunciato, continua a produrre effetti dopo la scadenza, fino a che è intervenuto un nuovo regolamento collettivo. Questa norma prevedeva la caratteristica della retroattività del contratto collettivo se il contratto collettivo scaduto continuava a produrre effetti fintanto che non fosse sopraggiunto un nuovo contratto collettivo per quella categoria. Anche questa è una caratteristica che i nostri contratti non hanno più deve essere espressamente indicato nel contratto collettivo. -2077, che è l'unica norma che invece è ancora in vigore. I contratti individuali di lavoro per gli appartenenti alla categoria alle quali si riferisce il contratto collettivo devono uniformarsi alle disposizioni di questo. Cioè i contratti individuali devono prevedere un contenuto compatibile con il contratto collettivo. Le clausole difformi dei contratti individuali preesistenti successive contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli al prestatore di lavoro. Detto in parole più povere, il contratto individuale deve uniformarsi al contratto collettivo, a meno che non preveda delle condizioni più favorevoli per il lavoratore. Quindi, all'interno del contratto individuale le parti sono libere di acquisire le condizioni migliorative per il lavoratore, ma mai peggiorative. Dunque, nell'epoca corporativa il contratto collettivo era inderogabile, era vincolante per i rapporti individuali, ma era derogabile in melius. Come abbiamo già visto, l'ordinamento corporativo è stato soppresso dal decreto luogotenenziale 369 del 44, il cui articolo 43 ha però mantenuto in vigore per circa un decennio i contratti collettivi corporativi. Il passaggio ai nuovi contratti collettivi si è avuto dopo la legge Vigorelli. Perché è evidente che non ce n'è bisogno, perché applica un diritto speciale relativo al diritto relativo ai contratti collettivi, ma applica il diritto comune dei contratti, cioè il diritto privato, perché le norme corporative del codice civile riguardanti il contratto collettivo corporativo sono state ritenute non più compatibili con la nostra Costituzione e dunque non più applicabili. Non abbiamo potuto applicare contratti collettivi previsti dall'articolo 39, si è sviluppato in maniera spontanea un modello differente che però non è regolato dalle leggi. Questo modello è quello del contratto collettivo di diritto comune. Ovviamente abbiamo bisogno di qualche parametro legislativo per capire come interpretare il contratto collettivo. In questi parametri andiamo a trovare nelle norme che regolamentano i contratti in generale, anche se non sono specificamente pensate per i contratti collettivi. La mancata attuazione dell'articolo 39 ha fatto sì che il contratto collettivo abbia cominciato ad imporsi come fonte extra ordinem, cioè come fonte non prevista dal nostro ordinamento. Non è previsto espressamente dal nostro ordinamento come tale, ma è la fonte principale che regge l'ordinamento sindacale. Questo significa che il contratto collettivo di diritto comune oggi non è fonte del diritto come lo era il contratto collettivo corporativo. Oggi, invece, non è del tutto corretto parlare del contratto collettivo come una fonte del diritto, perché non è riconosciuta dal nostro ordinamento formalmente, ma è una fonte materiale per le regole del rapporto di lavoro, perché si è appunto acquisite la consapevolezza che non si può avere conoscenza vera delle regole da applicare in un rapporto di lavoro se non si conosce quanto previsto dal contratto collettivo. Svolge una funzione molto importante per la legge, perché questi due ordinamenti si parlano, in realtà hanno assunto un ruolo di stimolo, molto spesso è una legge perché in alcune categorie produttive si sono sperimentate dei trattamenti più favorevoli al lavoratore e condizioni migliorative che poi la legge ha generalizzato. Altre volte, invece, il contratto collettivo ha svolto una funzione di sostegno della legge e viceversa. La legge ha anche sostenuto la prestazione collettiva, delegando i compiti alle parti sociali, quindi lasciando che fossero le parti sociali a intervenire su determinate materie. C'è però una profonda differenza fra il modello corporativo e il modello attuale. Intanto perché il sindacato oggi non ha più la rappresentanza legale dei lavoratori appartenenti ad una determinata categoria, ma si basa su una rappresentanza volontaria. Il lavoratore si iscrive al sindacato e, nello iscriversi al sindacato, autorizza il sindacato a rappresentarlo. Gli dà un mandato di rappresentanza. Quindi sindacato formalmente rappresenta i lavoratori iscritti al sindacato. Questo fa sì che il sindacato non sia non riconosciuta a causa della mancata attuazione dell'articolo 39, appunto che abbia una rappresentanza volontaria e che sia in grado di stipulare contratti collettivi dotati di efficacia soltanto inter partes. Quindi una efficacia soggettiva molto diversa rispetto a quella del contratto collettivo corporativo. Che ruolo ha però il contratto collettivo di diritto comune nell'ambito della gerarchia delle fonti? Sia nel rapporto fra legge e contrattazione collettiva che nel rapporto tra legge e contratto individuale, che nel rapporto tra contrattazione collettiva e contratto individuale, vige il principio del favor, il favor lavoratori o favor prestatoris, cioè se la fonte di livello più basso è più favorevole nei confronti del lavoratore, questo prevale quindi da fonti di livello più basso Vige un generale divieto di deroga in peius da parte del livello più basso secondo il contratto collettivo, tendenzialmente non può derogare senza una legge, tendenzialmente perché questa è una regola che era abbastanza consolidata in passato, ma che nel corso del tempo ha subito varie deroghe sempre più significative. Oggi, quindi, non possiamo più generalizzare in questi termini così netti perché, come già anticipato, c'è una norma che addirittura consente alla contrattazione aziendale quella di livello più basso in assoluto, di derogare in peius alla legge. La regola generale è quella che è rimasta in vigore per molto tempo era l'inderogabilità in peius e la derogabilità. Il principio del favor continua ad esistere. Ma si sono aperte numerose brecce sul fronte della derogabilità in peius. ➔ Partiamo dal rapporto fra legge e contrattazione collettiva. Abbiamo detto che non è una fonte del diritto in senso proprio, in senso formale, ma comunque molto spesso la legge l'ha utilizzata a questo scopo. La legge ha utilizzato molto spesso gli accordi collettivi come se fossero una fonte del diritto. Il modello tradizionale, come vi dicevo, è quello in cui la legge è derogabile dall'autonomia privata, quindi dalla contrattazione soltanto in meglio. In questo modello tradizionale, di cui possiamo trovare una serie di esempi: ● un primo esempio lo possiamo trovare in una legge piuttosto differente articolo 17 del regio decreto legge 1825 del 1926. Questa legge l'abbiamo già trovata nella vecchia è anche il livello di contrattazione più debole perché a livello aziendale i sindacalisti che firmano il contratto altro non sono che i lavoratori che ricoprono anche il ruolo di rappresentanti sindacali. Si fa quindi sempre più pressante la richiesta di aprire al ruolo della contrattazione di secondo livello aziendale, consentendo alla contrattazione aziendale di dialogare anche in senso più sfavorevole al contratto nazionale e, perché no, anche la legge. Quindi c'è un grosso dibattito sul ruolo del consenso aziendale, nel 2009 viene firmato un contratto, un accordo interconfederale separato, privo della firma della CGIL. Al punto che si era ben presto sentito la necessità di arrivare ad un nuovo accordo unitario che poi è stato firmato effettivamente nel 2011 a seguito del Testo unico sulla rappresentanza nel 2014. Questi due accordi ribadiscono il ruolo del contratto collettivo nazionale, come il contratto collettivo, carattere fondamentale al vertice della gerarchia, e precisando però che il contratto decentrato può derogare al contratto nazionale in presenza di alcune condizioni. Quindi veniva ammessa la possibilità per il contratto decentrato di andare a derogare in peius al contratto nazionale. E questa era un'apertura, però ancora circoscritta, perché era necessario che il contratto collettivo nazionale contenesse un rinvio al contratto di secondo livello → quindi all'interno della contrattazione collettiva abbiamo tre livelli: interconfederale, nazionale e il contratto aziendale. Generalmente il contratto aziendale dovrebbe uniformarsi ai contenuti del contratto nazionale, ma avviene a partire dal 2011 in avanti viene consentita la possibilità per il contratto aziendale di derogare in nazionale su delle materie specifiche espressamente previste dal contratto nazionale. Si aggiunge un'intesa fra le organizzazioni sindacali. Senonché, proprio nell'estate del 2011, quando i sindacati avevano appena raggiunto una nuova unitarietà, viene firmato dal legislatore un intervento normativo molto contestato ancora oggi, vale a dire questo articolo 8 del decreto legge 138 del 2011, va ad ammettere la possibilità per i contratti decentrati di quello aziendale o quello territoriale di derogare in peius al contratto nazionale, ma addirittura anche alla legge. La legge, quindi, va a compromettere il carattere dell'inderogabilità della legge. Ci sono una serie di limitazioni: viene stabilito che non si può derogare in peius se questa deroga determina una violazione delle norme costituzionali internazionali o nell'Unione Europea. Al tempo stesso, cioè un elenco di materie sui quali possono intervenire, riguarda gran parte del diritto del lavoro, riguarda gli impianti audiovisivi, le mansioni, i contratti a termine, la disciplina dell'orario di lavoro, le modalità di assunzione e la disciplina del rapporto di lavoro, il recesso, quindi i licenziamenti. Quindi, consente su gran parte del diritto del lavoro la possibilità di contatti sindacali di discostarsi da quanto previsto dalla legge e derogare in peius a questi contenuti. È stata una norma davvero molto contestata perché rischia di compromettere il lavoro se a livello aziendale ogni azienda può pattuire un contratto e derogare alla legge. Viene meno proprio l'utilità di avere una legislazione nazionale che regolamenti il diritto del lavoro in maniera uguale per tutti. Su questa pronuncia sono intervenuti in varie occasioni sentenze, ma non ha mai bocciato. Quindi i sindacati si sono impegnati a non stipulare accordi derogatoria a norma dell'articolo otto. Diciamo che generalmente, quindi, gli accordi individuali peggiorativi sono vietati, così anche nulli dall'articolo 2113. A meno che una legge consente la stipulazione di accordi individuali, assistendo però il lavoratore da una figura in grado di garantire la conoscenza delle norme di diritto del lavoro stesso, in grado di essere davvero super partes, il lavoratore sia suscettibile di eventuali pressioni da parte del personale di lavoro. Dove possiamo trovare una norma che ci dica che può portare soltanto delle modifiche migliorative al contratto collettivo e non può invece derogare peius? 2077 CC, una norma che si occupava del contratto collettivo corporativo, non del contratto collettivo di diritto, allora la dottrina ha formulato una serie di interpretazioni. - dismissione dei poteri individuali, secondo cui il lavoratore, nel momento in cui aderisce ad un sindacato, si iscrive al sindacato, dismette quindi rinuncia ai propri atti, rinuncia a al potere di contrattazione individuale e risulta subordinato contratto collettivo del lavoratore. Ha rinunciato a pattuire qualcosa di diverso rispetto a quanto previsto dal contratto collettivo. - subordinazione dei poteri del sindacato, per cui, il sindacato si trova in una posizione sovraordinata rispetto al lavoratore. E quindi il contratto individuale a sua volta si trova in una posizione subalterna rispetto al contratto collettivo nazionale. Queste sono due teorie dottrinali che però non hanno un fondamento giuridico vero e proprio, ma comunque che sono state accolte dalla Corte Costituzionale nell'81. Serviva però una norma giuridica che potesse dare fondamento dell'inderogabilità in peius del contratto collettivo da parte del contratto individuale. E questa norma, appunto a 2077, che però è inserita in quel campo secondo nel libro 5º del Codice civile che è dedicato al contratto collettivo corporativo. Quindi a lungo tempo si è dubitato della possibilità di applicare questa norma perché tutte le norme di quel tanto che ho visto non sono considerate più compatibili con la nostra Costituzione, quindi con contratto collettivo di diritto comune C'è una peculiarità perché nel periodo corporativo, quando si faceva riferimento alle clausole più favorevoli contenute nel contratto individuale, si faceva riferimento soltanto alle clausole che venivano stipulate nel contratto individuale per premiare delle speciali attitudini del lavoratore, cioè per premiare una capacità particolare del lavoratore. Però talvolta oggi abbiamo delle condizioni più favorevoli che non sono strettamente legate alle capacità del lavoratore, e la giurisprudenza ha elaborato il concetto di arrivare a conclusione che possiamo applicare il 2077 anche se c'è stato un processo di decorporeizzazione nel tempo. Si è sganciato dal contratto collettivo corporativo, ma dobbiamo ritenere che quando facciamo riferimento alle clausole più più favorevoli, in esse ricadono tutte le clausole più favorevoli contenute nel contratto individuale. Quindi è stata riconosciuta la piena autonomia delle parti individuali delle condizioni più convenienti per il lavoratore. Questo processo è partito già negli anni 50 del secolo scorso, hanno cominciato a separare l'inderogabilità del contratto collettivo dal carattere pubblicistico del contratto collettivo che aveva la tipica del contratto collettivo corporativo. Questo perché si ritenuto che era gradualmente divenuta una norma giurisprudenziale di diritto Nel 73 questa norma è stata modificata andando ad aggiungere il riferimento usato, cioè prima si parlava dell'invarianza delle posizioni dei lavoratori sui diritti derivanti da noti programmi di legge, in antitesi alle norme generali di legge e dai contratti collettivi. E qui si è chiarito una volta per tutte che il contratto individuale non può derogare in peius, non solo alla legge, ma anche ai contratti collettivi. Quindi, modificato si è avuta conferma della applicabilità della tipologia 2077 del codice civile e il fatto che anche nell'attuale sistema normativo totale riguarda soltanto il titolare contratto collettivo non può funzionare. Il primo comma ci dice che le transazioni che hanno per oggetto i diritti del prestatore di lavoro derivante da istituzioni invece, ed accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'articolo 409 non sono valide. Quindi non è valida un accordo individuale che acquista qualcosa di peggiorativo rispetto a previsto. C'è un riferimento ad una norma, c'è scritto l'articolo 409 del Codice di procedura civile in cui i rapporti, stabilisce a quali rapporti di lavoro si applica il processo e contempla non soltanto i rapporti di lavoro subordinato, ma anche i rapporti di lavoro parasubordinato. Nei commi 2, 3, 4 del 2113, il legislatore ha trovato un compromesso, L'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima. Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a rendere nota la volontà. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412 ter e 412 quater del codice di procedura civile. Se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima, cioè in seguito a un termine di decadenza breve entro cui il lavoratore abbia firmato, magari sotto pressione di minacce da parte di un accordo individuale migliorativo, potranno impugnati, cioè se il datore di lavoro minaccia in maniera diretta o in pressione psicologica il lavoratore e lo induce a firmare un accordo individuale questo può essere eliminato, ma entro il termine di decadenza breve di soli sei mesi. Questi sei mesi decorrenti dalla data di cessazione del rapporto di lavoro oppure dalla rinuncia o della transazione stessa. Questo tipo di provvedimenti non sono direttamente nulli ma sono annullabili lo si deduce dal comma 2 che stabilisce il termine di decadenza. Una volta stabilita la decadenza, Il lavoratore potrà agire in giudizio entro l'ordinanza e in posizione orizzontale, si potrà davvero aprire il giudizio facendo valere i tempi di sei mesi. Questa norma dell'articolo 2113 era stata pensata per compensare lo squilibrio contrattuale esistente tra lavoratore e datore di lavoro Ultimo comma questa norma, pur stabilendo che le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli... gli accordi in deroga firmati in sede di conciliazione davanti al giudice oppure in sede di certificazione del contratto o comunque alla presenza di un soggetto terzo che può essere rappresentanti sindacali, consulenti del lavoro, un avvocato, non soggiacciono all'articolo 2113, questo soggetto ha proposto di illustrare al lavoratore quali sono le norme di legge per azione collettiva che regolano. Fonti non tecniche Sorreggono la legge, abbiamo delle fonti di natura amministrativa, dettate dai ministeri, circolari dell'Inps esplicative dopo che è intervenuta una legge, orientano l'applicazione delle disposizioni, soprattutto orientano funzionari pubblici ma non sono strettamente vincolati i giudici, ma vincolano gli ispettori del lavoro. I discorsi simili per gli interpelli, sono una possibilità dal 2004, domande di interesse generale al Ministero del Lavoro che fornisce una risposta generale, è l'interpretazione della volontà del legislatore. Le sentenze della giurisprudenza, ma la Cassazione indubbiamente orienta l'interprete. Usi negoziali o contrattuali di un'azienda che possono di nuovo orientare l’interpretazione di una norma 6. Ruolo del sindacato nell’azienda. Struttura del sindacato nei vari livelli dell’Italia: In italia lo sviluppo è stato tardivo per il nesso con lo sviluppo dell’’industrializzazione lento. Esistono due modelli di sindacalismo: -Industria: l’attività viene svolta per tutelare i lavoratori indipendentemente dalla loro settorialità. -mestiere: tutela una categoria professionale di lavoratori. Il modello più diffuso è il primo, il secondo è diffuso in gran bretagna. Abbiamo dei sindacati che si occupano soprattutto di qualifiche private, solo di quadri e dirigenti come CIDA, confederati quadri. Il sindacato nel nostro paese ha struttura verticale e orizzontale: nell’ambito orizzontale ci sono categorie produttive differenti ma che si trovano in stesso ambito geografico, si articola su livello territoriale e su livello provinciale, assumono nomi differenti in base ai sindacati (es. CGIL a livello locale è la Camera del lavoro, per la CISL è l’unione provinciale, UIL camera sindacale). Nella struttura regionale confluiscono le varie strutture provinciali. Poi c’è ancora È nullo qualsiasi patto od atto diretto a: a) subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte; b) licenziare un lavoratore, discriminato nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero. Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età, di nazionalità o basata sull'orientamento sessuale o sulle convinzioni personali. La lettera A ha sottolineato che può essere inteso in senso positivo e negativo. In più c’è un’accezione individuale e collettiva: l’accezione individuale fa capo al singolo di aderire ad un’associazione o non aderire; collettiva ci differenzia dall’epoca corporativa, la categoria di appartenenza veniva predeterminata per legge in base alla categoria a cui apparteneva. Oggi si ritiene che art 39 libertà del sindacato di scegliere gruppo professionale di lavoratori di cui farsi voce. Concezione volontaristica che si contrappone a quella ontologica dell’epoca corporativa. La libertà sindacale è molto ampia, ma ciò non significa che abbia dei limiti, di natura soggettiva, libertà sindacale solo per i lavoratori? O anche i datori? Interpretazioni differenti: la prima riteneva che riguardasse solo i lavoratori per via della differenza storica delle associazioni datoriali. In realtà la libertà sindacale riguarda tutti, l’art 39 non differenzia. Non esiste però un diritto di serrata dei datori del lavoro. Anche Art 28 carta ue riconosce uguali diritti di negoziazione collettiva ai lavoratori e ai datori di lavoro Altro quesito: solo subordinati o anche autonomi? Inizialmente era rivolta solo ai lavoratori subordinati ma in seguito ha iniziato ad estendersi anche ai lavoratori autonomi che hanno caratteristiche simili a quelli subordinati. Pubblici dipendenti? Non ci sono dubbi che sia estesa anche ai dipendenti pubblici dopo processo di privatizzazione. Ci sono però delle categorie in cui i diritti non vengono riconosciuti pienamente e sono forze di polizia e militari di carriera per via legge di 1978, in ragione della loro carriera, commissione forte tra commissione dello stato e il loro ruolo. Con legge 81 smilitarizzazione della polizia, riconosciuta libertà sindacale separata per evitare possibili condizionamenti, resta vietato il diritto di sciopero. Processo analogo per i militari, nel 2018 corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale una norma del codice militare riguardante articolo 1475. Approvata legge 2022 che va a definire il diritto sindacale riferito alle forze armate. Come devono essere qualificati i sindacati? Art 39: Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sancisca un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce Questa seconda parte dell’articolo non è mai stata attuata dal legislatore, i sindacati non possono iscriversi e dunque non acquisiscono identità giuridica e sono associazioni non riconosciute. → articoli 36-37-38 CC I contributi degli associati e i beni acquistati con questi contributi costituiscono il fondo comune dell'associazione. Finché questa dura, i singoli associati non possono chiedere la divisione del fondo comune, né pretendere la quota in caso di recesso Le associazioni non riconosciute non hanno una situazione patrimoniale perfetta, può essere intaccato il singolo; non interviene sull’associazione in sé. Se ne parla anche dall’articolo 14 - 35: obbligo di far parte per un determinato tempo, possibilità di escludere associato per gravi motivi mediante delibera. La mancata regolamentazione dei sindacati fa sì che non possano firmare contratti erga omnes ma solo inter partes. Attività sindacale in azienda Lo statuto dei lavoratori, titolo secondo dedicato alla libertà considerato come proiezione, ribadisce ma la specifica al tempo stesso, in particolare al comma secondo il quale il diritto di costituire attività sindacali, articolo 14 chiarisce significato e lo specifica meglio nei dettagli. Titolo terzo dedicato all’attività promozionale di sostegno riconoscimento di diritti, prerogative, poteri che possono essere esercitate nei luoghi di lavoro. Si basa anche sull’esperienza statunitense degli anni 30, era previsto un obbligo del datore di trattare con sindacati, in italia non c’è l’obbligo di firmare con i sindacati, ma ci sono regole che promuovono attività sindacale, di riconoscere diritti, ma viene effettuata una selezione dei sindacati considerati più meritevoli, questo perché i sindacati vanno anche a gravare economicamente sui imprenditori. Anche nei luoghi di lavoro c’è la libertà sindacale, libertà di istituire organismi all'interno dell’azienda; esistono due modelli - canale doppio, ci sono due forme di rappresentanza una per i lavoratori di quell’azienda (funzione di conciliazione controversie e informazione), l'altra è emanazione del sindacato esterno (funzione di firma del contratto aziendale). - canale singolo, in azienda c’è una sola rappresentanza che ricopre entrambe le funzioni. In italia la forma preponderante è stato il canale singolo. Si sono succedute varie forme di rappresentanza all’interno dei luoghi di lavoro. La prima forma è stata la commissione interna, diritto di eleggere una commissione interna a cui veniva demandato compito di risolvere conflitti di qualunque natura. In vigore fino al 2 ottobre del 1925, data del Palazzo Vidoni, precede la legge che va a ingabbiare il sistema sindacale. Vengono ricostituite alla fine della guerra del 43 durante il governo Badoglio, firmato nuovo patto Buozzi-Mazzini fra confederazione degli industriali che va a ricreare le commissioni interne nelle aziende, all’elezione possono partecipare tutti i lavoratori non solo quelli iscritti al sindacato, struttura organizzativa. Organo elettivo in camera per due anni, efficacia propositiva, conciliativa e consultiva, non aveva ruolo nella firma di contratto collettivo. Le commissioni interne avevano un legame col sindacato, ma senza un legame stretto, rappresentavano gli interessi dei lavoratori, non il sindacato. Fino agli anni 60 sovrapposizione, due forme di rappresentanza possibile, le commissioni interne si accavallano con le sezioni sindacali aziendali, quindi cessano di esistere per conflittualità troppo aspre. Nascono le SAS per iniziativa CISL adottata poi da tutte, anche loro non avevano potere di contrattazione collettiva, unico periodo in cui ha il canale doppio, fallisce e nei primi anni 70 si diffondono i delegati, di linea, reparto, gruppo omogeneo, consigli unitari dei delegati. Si rafforzano nel 72 anche in carattere non industriale, vengono poi formalizzati con un patto interconfederale patto federativo di unità d’azione del 72 che puntano a unire i sindacati e veniva prevista i consigli di fabbrica, perché i sindacati rinunciano alla loro identità singola e i consigli avrebbero rappresentato tutti i sindacati. →Assenza di regole precise e regole per l’elezione, i consigli di fabbrica subirono una sovrapposizione con RSA istituite per legge art 19 SDL e va a prevedere quali sindacati possono costituire RSA, norma scritta in termini ampi per cui nel periodo di sovrapposizione i consigli di fabbrica hanno beneficiato dei diritti anche per le RSU. RSA a sua volta si intreccia con RSU, non hanno fonti legislative ma introdotte con accordo tra sindacati Ciampi-Giugni, per cercare di risolvere problemi emerse nelle applicazioni delle RSA. Come può la rappresentanza di un accordo sostituirsi a quella prevista dalla legge? L’articolo 19 essendo scritto in termini così ampi ha permesso un'applicazione ampia. Oggi che forma di rappresentanza sindacale abbiamo in azienda? A seconda di ciò che scelgono i sindacati o RSA o RSU, con la differenza che se si sceglie il modello RSA si avrà una rappresentanza per ogni sindacato scelto dai lavoratori; mentre per le RSU c’è solo una RSU all'interno della quale siedono i rappresentanti dei sindacati, come i consigli di fabbrica Il modello su cui si cerca di convergere di più sono le RSU. RSA Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell'ambito: a) [delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale;] b) delle associazioni sindacali, che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell'unità produttiva. Nell'ambito di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire organi di coordinamento. L’articolo 19 non trova applicazione in tutte le aziende, le RSA solo nelle aziende di grandi dimensioni, per non appesantire i piccoli e medi imprenditori che possono avere costi maggiori, unità produttive con più di 15 dipendenti. L’articolo 19 non hanno un’applicazione generalizzata. Nella versione originaria stabiliva che sono titolari dei diritti riconosciuti dal titolo terzo le rappresentanze sindacali aziendali costituite a iniziative dei lavoratori nell’ambito di confederazione su piano nazionali, o in ambito di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva. (titolo terzo spetta alle RSA che devono essere costituite su iniziativa di lavoratori ma in ambiti di associazione sindacale, con due criteri: confederazione maggiormente rappresentative su ambito nazionale; associazioni che non siano confederazioni ma si basino su contratti collettivi) RSA non è organo del sindacato ma è una struttura dotata di una propria soggettività giuridica autonoma (aderisce dunque al canale unico→ sia istanze lavoratore che istanze di sindacati). Ci possono essere più collegamenti (a) riferimento implicito CGIL, CISL, UIL criterio della rappresentatività storica o presunta, criterio implicito non viene esplicitato i seguenti sindacati. Secondo criterio (b) associazioni che sono in grado di firmare un contratto collettivo, se riesce a partecipare significa che è rappresentativo → criterio della rappresentatività effettiva. Il Contratto collettivo deve essere nazionale o provinciale, non basta il livello aziendale, più forti sono le pressioni del datore di lavoro. Obiettivo di promuovere interlocutori stabili, evitare iniziative poste in essere da lavoratori senza un'organizzazione sindacale alle spalle col solo obiettivo di godere di diritti sindacali. rappresentanza effettiva e dunque un meccanismo elettorale. Si arriva al protocollo ciampi-giugni completato dalla Carta Costituzionale delle relazioni industriali. Si passa a un sistema di rappresentanza unitario dei sindacati in azienda, prevede una rappresentanza elettiva:2⁄3 dei componenti eletti (da lavoratori iscritti o meno) a suffragio elettorale delle unità produttive con +15 dipendenti fra i componenti di liste. Il restante 1/3 è eletto dalle associazioni firmatarie nell’unità produttiva. → Meccanismo riserva del terzo per far fronte ad eventuali insuccessi elettorali. Andava ad alterare il criterio democratico dell’elezione delle RSU. Modificata dal protocollo del 31 maggio del 2013 a cui ha dato attuazione il testo unico sulla rappresentanza del 2014. Viene mantenuto il ciclo unico, rappresenta sia i lavoratori che il sindacato esterno, e il legame con sindacato esterno viene garantito tramite meccanismo delle liste elettorali. Chi le presenta? → Le associazioni sindacali firmatarie del testo unico. Ci sono anche altri criteri: le liste possono essere presentate anche da associazioni sindacali che abbiano firmato un contratto collettivo nazionale applicato nell’unità produttiva. Terzo criterio fa riferimento alle associazioni sindacali che abbiano proprio atto costitutivo purché rispettino due requisiti: accettare espressamente i contenuti dell'accordo interconfederale del 2011, del protocollo del 2013 e del testo unico del 2014, in più raccogliere le firme del più dei 60% dei lavoratori. Ci sono quindi tre criteri alternativi rispetto ai sindacati che possono partecipare alla composizione delle RSU: -protocollo del 2013 basta aver firmato l’accordo, molto debole come criterio -testo unico del 2014 è più analitico, e vuole sindacati che abbiano firmato il protocollo stesso o che hanno firmato il contratto collettivo nazionale -impegno ad accettare le regole del gioco sindacale e devono avere un minimo di rappresentatività e quindi avere le firme almeno del 5% dei dipendenti nelle fabbriche con più di 60, il 3 % nelle fabbriche con meno. Oggi le RSU sono totalmente elettive, non c’è più il meccanismo del terzo e il numero dei seggi viene attribuito proporzionalmente ai voti. Rimane in carica per 3 anni ed è un canale unico di rappresentanza, in più ha una competenza contrattuale (contratti collettivi aziendali). Nel 1993 le RSU avevano una rappresentanza contrattuale condizionata → dovevano essere appoggiate dal sindacato esterno, competenza contrattuale congiunta. → obiettivo era quello di rendere RSU lo strumento di controllo di conformità tra contratto esterno e contratto aziendale. Modificato nel 2011 dall’accordo interconfederale che va a stabilire che i contratti collettivi aziendali hanno efficacia per tutto personale se vengono approvati dalla maggioranza dei componenti delle RSU eletti secondo giusto procedimento > attribuita una competenza esclusiva delle RSU con condizioni. Le modalità di elezione sono state aggiornate, in alcuni casi modalità telematica. In carica per 3 anni, disciplina più specifica, anche il numero componenti viene specificato, proporzione al numero dei dipendenti dell’azienda (RSA numero libero). Questo numero poi aumenta laddove l'azienda sia di dimensioni più elevate e vengono previsti degli scaglioni superati i quali aumenta il numero. Tra l'altro però questo scaglione non è stato evitato dalle parti sociali, ma è stato preso a prestito in modello previsto dallo statuto dei lavoratori per quanto riguarda il riconoscimento dei diritti e dei permessi sindacali. RSA è un canale unico di rappresentanza proprio perché è in grado di rappresentare sia i lavoratori di quell'azienda sia il sindacato esterno, in virtù del fatto che la costituzione della RSA è divisa e costruita sulla rappresentanza e soltanto i sindacati che ricoprono determinate caratteristiche possono presentare le proprie liste. E' un organismo rappresentativo della generalità dei lavoratori, rappresenta tutti i lavoratori, sia quelli iscritti che quelli non iscritti al sindacato. Anche i lavoratori non iscritti a nessun sindacato potenzialmente possono candidarsi alle elezioni, quindi non è necessario essere iscritti ad un sindacato per partecipare alle elezioni. Il contratto aziendale si applica a tutti i lavoratori se viene firmato dalla maggioranza dei componenti della RSU, perché come abbiamo visto la RSU è una rappresentanza sindacale unitaria per tutti i sindacati, quindi al suo interno siedono rappresentanti dei vari sindacati. Se vengono rispettate queste regole, il contratto aziendale si applicherà a tutti i lavoratori dell'azienda, senza la possibilità per i lavoratori aderenti ai sindacati non firmatari di sottrarsi all'applicazione di quel contratto, perché vale la regola della maggioranza. E poi è stata introdotta una clausola importante, vale a dire la clausola di salvaguardia. Questo significa che i sindacati che costituiscono delle RSU rinunciano a costituire RSA. Detto meglio, i sindacati che hanno aderito all'accordo del 2013 e al testo unico del 2014 rinunciano formalmente ed espressamente a costituire RSA, e questo segna proprio una svolta nel meccanismo, c'è una chiara preferenza da parte delle parti sociali per il meccanismo delle RSU rispetto a quello della RSA. Perché? Perché il meccanismo della RSA, ha dato luogo a grossi problemi sia negli anni più risalenti, sia negli anni più recenti, tutta la vicenda Fiat ha dato luogo grossi problemi perché l'articolo 19, così come scritto, si è prestato ad essere utilizzato come strumento per escludere determinati sindacati dalla possibilità di costituire RSA. Quindi tutte le organizzazioni di categoria si impegnano a non costituire RSA in cui già siano state e vengano costituite RSU, il che significa che non si può tornare indietro. Ad ogni modo oggi le RSA esistono ancora. In alcune aziende c'è proprio una coesistenza fra RSU e RSA, quindi rimangono una serie di problemi aperti. Intanto perché ci sono alcune categorie professionali che prevedono nel loro contratto collettivo il riferimento al meccanismo della RSA, ad esempio il contratto del credito fa ancora riferimento alla costituzione di RSA piuttosto che di RSU. In secondo luogo le organizzazioni sindacali che non hanno partecipato alla costituzione di RSU in azienda possono formare delle proprie autonome RSA, quindi ci può essere l'ipotesi in cui in un'azienda venga costituita un RSU da parte dei sindacati che hanno aderito al testo unico del 2014 o anche le altre categorie; ma può esserci una RSA costituita da quei sindacati che non hanno aderito al testo unico di 2014, non vogliono aderire al meccanismo della RSU ma sono rispettose dei requisiti previsti nell'articolo 19 e quindi possono comunque costituire una RSA, Dobbiamo però tenere conto che il testo unico del 2014, detta dei criteri per la misurazione della rappresentatività dei sindacati, quindi detta dei criteri per quantificare il peso dei sindacati e questi criteri risultati elettorali ottenuti dai sindacati alle votazioni per la RSU, quindi i risultati ottenuti nelle votazioni per la Costituzione dell'RSU non vengono utilizzati soltanto per formare RSU, ma vengono anche utilizzati per misurare il peso del singolo sindacato. E quindi la coesistenza fra questi due modelli, fra il modello dell'RSA e il modello dell'RSU, determina qualche problema a livello di sistema, perché in quelle aziende in cui ancora troviamo RSA ci troviamo privi del meccanismo necessario per misurare la rappresentatività. C'è un altro problema aperto inoltre, il problema che si verifica nel caso in cui un datore di lavoro non applichi nessun contratto collettivo. Abbiamo visto che nel nostro paese i contratti collettivi hanno efficacia inter partes, quindi se il datore di lavoro non aderisce ad un'organizzazione datoriale non è obbligato ad applicare un contratto collettivo. Ed è quello che è accaduto ad esempio proprio nella FIAT, Abbiamo visto però che per costituire RSA oggi il vincolo è quello della partecipazione alle trattative per la firma di un contratto collettivo applicato nell'unità produttiva, quindi se il datore di lavoro non applica contratto collettivo potrebbe non esserci nessuna RSU ma anche nessuna RSA, quindi il rischio è che in alcune aziende effettivamente non ci siano forme di rappresentanza Le RSU convivono con le RSA, cosa significa questo? Significa che le RSU beneficiano delle prerogative previste per le RSA. → L'articolo 19 è una norma scritta in termini così ampi da prestarsi ad essere applicata sia alla RSU oggi sia ai consigli di fabbrica negli anni 70 e che significa che l'RSU, benché sia un meccanismo di rappresentanza diversa, anche più evoluta rispetto quello della RSU, subentrano nei diritti e nelle prerogative previste per le RSA. Lo statuto dei lavoratori nel suo terzo titolo contiene l'articolo 19 e poi subito dopo, l'articolo 20 in poi contiene un lungo elenco di diritti sindacali che vengono riconosciuti alla RSA. Rappresentanza e sicurezza Nel nostro ordinamento abbiamo un rappresentante per la sicurezza che ha l'obiettivo di andare a garantire la sicurezza dei lavoratori sia nel settore privato che nel settore pubblico. È stato istituito sia nel settore privato che nel settore pubblico negli anni 90 con il decreto legislativo 626 del 1994 che è un testo normativo volto a tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. L'obiettivo era quello di promuovere la partecipazione anche dei lavoratori e dei loro rappresentanti al fine di garantire la sicurezza dei lavoratori Oggi il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza trova disciplina nel testo unico 81 del 2008 che è appunto la norma che oggi regolamenta il tema della salute e della sicurezza, un testo unico perché della materia andando a cercare di ridisciplinare di nuovo tutte le norme in materia di salute e sicurezza per cercare di ridurre l'elevato numero di infortuni sui luoghi di lavoro. Questo rappresentante viene eletto oppure disegnato nelle unità produttive con 15 dipendenti, sopra i 15 dipendenti cosa capita? Che il rappresentante viene eletto o designato nell'ambito delle RSA oppure nell'ambito delle RSU. Nelle unità lavoratori per la sicurezza esiste comunque, ma non essendoci RSA o RSU viene eletto direttamente dai lavoratori Quindi è il soggetto che viene scelto dai lavoratori affinché il datore di lavoro rispetti tutte le norme materie di salute e di sicurezza, quindi ha una funzione di controllo, ma anche una funzione di stimolo del datore di lavoro, per accertarsi che il datore di lavoro rispetti le norme materie di salute e di sicurezza e anzi elevi sempre l'apparato normativo. Vedremo che le norme sulle materie di salute e sicurezza sono volte a far sì che il datore di lavoro adegui costantemente lo standard di protezione a seconda delle nuove conoscenze tecnologiche. Quindi il datore di lavoro deve garantire, si dice, il miglior livello di sicurezza alla luce dello sviluppo tecnologico, quindi alla massima sicurezza tecnologicamente fattibile. Hanno la possibilità di partecipare al sistema di valutazione dei rischi, il datore di lavoro deve periodicamente stilare un documento di valutazione dei rischi, quindi prevedere quali possono essere i rischi nella propria azienda e prevedere meccanismi per contrastare questi rischi. All'esito di questa valutazione deve essere redatto un documento, appunto il documento di valutazione dei rischi. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza partecipa attivamente alla redazione di questo documento di valutazione dei rischi, andando quindi a concretizzare il modello partecipativo. Il rappresentante poi ha una serie di diritti, di compiti: - ha un diritto di informazione, quindi deve essere informato su ciò che accade in azienda, - ha un diritto ad una formazione specifica proprio volta ad avere delle competenze adeguate - ha un diritto di partecipazione a questo genere di attività - ha un diritto di svolgere attività di controllo sull'operato del datore di lavoro. Il tema della salute e della sicurezza era già regolamentato dallo Statuto dei Lavoratori, quindi già nel 1970 il legislatore si era occupato di questo tema, d'altra parte lo stesso codice civile aveva già fatto un onere di garantire la salute e la sicurezza dei dipendenti, in particolare il codice civile con l'articolo 2087 impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure idonee alla protezione della persona e del lavoratore in virtù della particolarità del lavoro, dell'esperienza e della tecnica. Quindi l'obiettivo è quello di garantire la tutela della sicurezza dei lavoratori mediante la predisposizione di tutti quegli strumenti necessari per prevenire i rischi. A L'articolo 19, e l'articolo 22 prevedono invece delle tutele per i dirigenti sindacali e poi c'è una norma, l'articolo 26, che riconosce l'attività di proselitismo di boicottaggio, quindi un'attività di promozione dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro. Questi diritti appunto spettano tutti alla RSA o alle RSU che siano subentrate. Duplice selezione, cioè la selezione di organizzazioni sindacali che siano meritevoli di tali diritti, quindi questi diritti spettano soltanto a quelle organizzazioni che vengono considerate sufficientemente rappresentative di quindici dipendenti è quella riguardante il riconoscimento del diritto ad avere dei locali per lo svolgimento di attività sindacale. Art. 27 Il diritto ad ottenere dei locali per lo svolgimento di attività sindacale è regolamentato nell'articolo 27, nelle unità produttive con almeno 200 dipendenti, il datore di lavoro deve mettere permanentemente a disposizione dell'RSA, un locale per l'esercizio delle loro funzioni, che deve trovarsi all'interno dell'azienda o comunque nelle sue immediate vicinanze, è un locale comune. Nelle unità produttive più piccole, quindi sotto la soglia dei 200, il locale deve essere messo a disposizione a fronte che può essere normalmente utilizzato per altri scopi, ma che a fronte di una richiesta dei sindacati necessaria per lo svolgimento di riunioni, in quel punto il datore di lavoro è tenuto a liberare il locale e adibirlo al svolgimento di attività sindacale. Quindi questa è l'unica norma che ha un campo di applicazione un po' diverso, che si applica anche al di fuori all'articolo 35 dello statuto che potremmo vedere, quindi anche al di sotto dei 15 dipendenti di unità produttiva. Questo diritto spetta alla RSA congiuntamente, quindi a tutte le varie RSA, senza distinguere le organizzazioni sindacali, ed è un diritto funzionale al volgimento degli altri diritti. Art. 20 Consente quindi ai lavoratori di partecipare all'elaborazione delle politiche organizzazioni sindacali. I titolari del diritto di assemblea sono i lavoratori, è aperta quindi a tutti i lavoratori, sia quelli iscritti che quelli non iscritti al sindacato, è aperta a tutti i lavoratori dell'unità produttiva e il diritto di partecipare all'assemblea è proprio diretta esplicazione dei principi di libertà sindacale riconosciuti dall’art 39 primo comma, ma per poter esercitare questo diritto è necessaria una proclamazione da parte dell'RSA, serve un atto che proclami C'è da dire che i lavoratori possono comunque riunirsi liberamente anche senza questo atto della RSA o della RSU Che differenza c'è però tra un'assemblea spontanea, ex articolo 14, e un'assemblea invece indetta dall'RSA o dall'RSU? C'è una differenza significativa in termini di diritti per i lavoratori, perché queste assemblee consentono la partecipazione retribuita da parte dei lavoratori, quindi i lavoratori possono partecipare all'assemblea durante l'orario di lavoro senza perdere il diritto alla retribuzione Ci si è interrogati se questa convocazione debba essere effettuata congiuntamente da tutte le RSA o anche distintamente, cioè basta un singolo sindacato per richiedere il diritto di assemblea o tutti i sindacati devono essere d'accordo? La risposta che è stata data è che l'Assemblea può essere convocata per l'RSA congiuntamente o disgiuntamente, quindi o tutte le RSA si mettono d'accordo oppure anche un singolo sindacato può chiedere di usufruire delle ore di Assemblea. Per quanto riguarda la convocazione dell'Opera della RSU c'è stato un po' di andamento altalenante da parte della giurisprudenza, perché questo è un aspetto che non veniva chiarito dalla norma. La giurisprudenza ha prima abbracciato la teoria secondo cui gli RSU, essendo un organismo unitario, devono convocare l'Assemblea in maniera unitaria. Ci sono però poi stati degli orientamenti diversi che appunto riconoscevano il diritto anche a ciascun componente della RSU di indire l'Assemblea e quest'ultimo orientamento è poi stato accolto dalle sezioni unite della Cassazione del 2017 che hanno quindi ammesso la possibilità non solo per le RSA disgiunte ma anche per ciascun componente della RSU di richiedere l'esercizio dell'Assemblea. Il diritto di Assemblea può essere esercitato durante l'orario di lavoro e in maniera retribuita. Ovviamente però ci sono dei limiti. Viene infatti stabilito un tetto massimo di ore sforate queste 10 ore annue, l'assemblea è pur sempre legittima, ma queste ore non vengono più retribuite ai lavoratori. Anche qui però ci sono stati vari dubbi interpretativi, perché l'articolo 20 si limita a stabilire questa soglia delle 10 ore, ma non ci dice che queste 10 ore devono come devono essere contate, perché il lavoratore potrebbe decidere di partecipare a un'assemblea, ma non a quella successiva. Al tempo senso ci si è chiesti se, visto che l'assemblea può essere indetta e proclamata da ciascun RSA e da ciascun componente della RSU, se occorre tenere conto delle proclamazioni effettuate dai vari sindacati, quindi queste 10 ore sono 10 ore per ciascun sindacato? E questo problema ha dato maggiore filo da torcere. Alla fine si è arrivati alla conclusione che il concorso deve essere fatto con riferimento alla collettività a cui il diritto si riferisce e quindi all'insieme dei lavoratori, tutti insieme. La Cassazione nel 2009 ha stabilito che il monte ore di 10 ore annue viene consumato dalla mera possibilità di partecipare all'Assemblea, quindi a prescindere dal fatto che il lavoratore partecipi o non partecipi quelle ore vengono scalate. In più queste 10 ore sono il totale per il diritto in quanto tale, questo ovviamente è un compromesso per evitare che il datore di lavoro debba sopportare un numero elevato Ovviamente questo compromesso ha un altro lato della medaglia perché il rischio è quello che i sindacati compiano fra di loro una corsa alla programmazione dell'assemblea Nei servizi pubblici essenziali la partecipazione di uno sciopero o la partecipazione di un Assembla viene trattata nello stesso maniera perché deve essere comunque garantito un livello minimo della prestazione Anche i lavoratori in sciopero possono partecipare all'assemblea, anche i lavoratori sospesi dal lavoro perché collocati in cassa integrazione possono partecipare all'assemblea. Non può invece assolutamente partecipare il datore di lavoro. L'assemblea è rivolta esclusivamente ai lavoratori, proprio perché ci deve essere una libertà da parte dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali di parlare liberamente, senza timore di essere ascoltati dal datore di lavoro. Più discussa invece è la posizione del dirigente dell'azienda, perché il dirigente è pur sempre un lavoratore subordinato, ma molto spesso ricopre il ruolo di alter ego del datore di lavoro, si esclude la possibilità di partecipazione per quei dirigenti che davvero svolgono la funzione di alta regola del datore di lavoro Mentre possono partecipare all'assemblea gli agenti sindacali esterni, quindi i rappresentanti del sindacato esterno hanno diritto di partecipare all'assemblea anche se non lavorano in quell'azienda. L'articolo 20 poi ci dice qualcos'altro, cioè ci dice qual è l'oggetto dell'assemblea. L'assemblea deve avere un oggetto riguardante materie di interesse sindacale o del lavoro. È un oggetto davvero molto ampio che va a contemplare ogni argomento che i sindacati ritengono di proprio interesse. Presuppone quindi che ci debba essere una ragionevole connessione di interessi fra l'Assemblea e i diritti dei lavoratori. Ma come si fa a decidere se è una materia di interesse sindacale o del lavoro? Di fatto è il sindacato che decide, cioè se il sindacato ritiene che quella materia sia rilevante considerare quella materia di interesse sindacale. L'RSA deve comunicare ovviamente la volontà di indire un'assemblea al datore di lavoro. Il datore di lavoro non può rifiutare l'assemblea se la materia rientra appunto a quelli considerati di interesse sindacale o del lavoro. Non è richiesto un preavviso minimo, anche se a volte alcuni contratti collettivi lo prevedono come disposizione aggiuntiva. Alcune disposizioni aggiuntive con riguardo ai diritti di assemblea possono essere previste dai contratti collettivi e in particolare talvolta i contatti collettivi prevedono la cosiddetta comandata, cioè un numero minimo di lavoratori che devono rimanere in servizio durante l'assemblea per consentire il regolare svolgimento dell'attività lavorativa in quegli ambiti in cui una sospensione totale dell'attività lavorativa possa produrre dei danni o dei rischi per la sicurezza dei lavoratori o dei danni irreparabili ai macchinari. Il diritto di assemblea è una norma che è stata riconosciuta nel 1970 ma che è saputa adeguarsi alle nuove modalità di lavoro, allo sviluppo delle nuove tecnologie e in particolare a partire dall'emergenza sanitaria in avanti hanno cominciato ad essere indette dell'assemblea anche online. Questa è una possibilità che è cominciata ad essere utilizzata ovviamente durante il lockdown in cui i lavoratori lavoravano tutti da remoto, ma che poi è stata estesa e sviluppata da alcuni accordi sindacali anche successivamente. Come si fa a qualificare le materie come di interesse sindacale del lavoro? Anche su questo è intervenuta la Cassazione nel 1994, andando a precisare che la qualificazione del materiale da affiggere, come inerente appunto materie di interesse sindacale del lavoro, deriva esclusivamente dalla scelta compiuta dall'organizzazione sindacale. Posto che qualunque argomento può essere considerato di interesse sindacale se il sindacato lo assume come tale, quindi è una scelta discrezionale del sindacato. Questo significa che il datore di lavoro non può decidere che un determinato volantino riguarda materie che non sono di interesse sindacale e quindi non può andare a impedire queste affissioni oppure a mantenerle, andare a strappare dei volantini affissi nella bacheca sindacale. a meno che il contenuto di questi documenti sia percepito come di carattere diffamatorio. Va precisato che questa questione del diritto di affissione si intreccia con il diritto di critica da parte dei lavoratori. I lavoratori hanno il diritto di criticare il proprietario di lavoro, ma questo diritto incontra i limiti della continenza formale e sostanziale Da segnalare che anche questo diritto si sta evolvendo, parliamo, l'articolo 25 parla di una bacheca, ovviamente negli anni 70 si intendeva come luogo fisico, una bacchetta per la fissione del materiale. Oggi si va sempre più verso dei canali informatici di comunicazione sindacale, l'obiettivo è quello di adeguare l'articolo 25 alla diffusione delle nuove tecnologie e quindi se discusso riguardo la possibilità per i datori di lavoro di mettere, o meglio la possibilità per le organizzazioni sindacali di richiedere al datore di lavoro la messa a disposizione piattaforme digitali con cui poter esercitare questo diritto di affissione previsto nell'articolo 25 e per ora la giurisprudenza si è espressa in senso favorevole, in particolar modo ci sono una serie di sentenze molto recenti, una del 2022 e l'altra del 2023 che riconoscono il diritto dei lavoratori di esercitare diritto previsto dall'articolo 25 anche mediante la posta elettronica aziendale laddove il datore di lavoro non abbia predisposto una piattaforma di diverso tipo per poter esercitare un diritto di informazione telematico. Le c.d. guarentigie per dirigenti sindacali Il Titolo III infatti non regola soltanto i poteri propri della RSA o della RSU, ma anche i propri diritti di quei lavoratori che ricoprono il ruolo di rappresentante sindacale, che sono dei diritti strumentari per lo svolgimento dell'attività sindacale. Cosa si intende per dirigente sindacale? Queste norme fanno riferimento ai dirigenti dell'RSA. Perché le RSA, come vi dicevo prima, non hanno un numero definito di componenti. La legge non stabilisce il numero di questi componenti che potrebbe quindi anche essere piuttosto elevato. Se però l'RSA fosse composta da molti lavoratori e a tutti questi lavoratori dovessero essere riconosciuti i diritti di cui ora parleremo, questo determinerebbe di grossi problemi per il datore di lavoro perché determinerebbe una moltiplicazione dei diritti, influenzando quindi negativamente i costi che devono essere supportati dall'azienda e andando anche a compromettere l'organizzazione dell'attività lavorativa. Allora il legislatore nel 1970 ha inteso limitare il riconoscimento di questi diritti soltanto a quei lavoratori che ricoprono il ruolo di dirigente dell'RSA. Quindi lo Statuto non va a limitare il numero dei membri della RSA, ma limita semmai il numero di quei lavoratori che fanno parte della RSA e che possono beneficiare dei diritti previsti dallo Statuto. rispetto a ciascun RSA andare a individuare i propri dirigenti, quindi l'RSA può anche essere composta da molti lavoratori, dopodiché l'RSA dovrà scegliere quali sono i dirigenti sindacali che possono beneficiare di questi diritti. La situazione è un po' diversa per la RSU, perché siccome la RSU ha un numero di componenti fino a 200 dipendenti e poi a progredire sulla base di vari scaglioni, nei confronti delle RSU questi diritti spettano nei riguardi di tutti i membri della RSU, quindi non c'è una selezione, proprio perché la RSU è già circoscritta di sua natura. L'accordo del dicembre del 1993 era stabilito espressamente che I componenti della RSU subentrano i diritti riconosciuti per i dirigenti della RSA, quindi non c'è più questa necessità di selezionare i beneficiari. I diritti sono riconosciuti ai dirigenti della RSA o ai membri dell'RSU, intanto il diritto dei beneficiari non è permesso. Art 23 Permessi che possono essere retribuiti oppure non retribuiti. Permessi retribuiti sono previsti dall'articolo 23 dello Statuto per cui si può assentare l'attività lavorativa pur mantenendo il diritto alla retribuzione per percepimento del mandato di carattere sindacale. Il lavoratore deve dare a comunicazione al datore di lavoro, in preavviso di almeno 24h, dell'intenzione di esercitare questo diritto al permesso di diritto, deve dare comunicazione tramite RSA, non è necessario specificare le ragioni per le quali si intende per istruzioni del permesso? Ovviamente però il permesso deve essere utilizzato per finalità di caratteristiche meccaniche, non può essere utilizzato per finalità di tipo personale. Se il datore di lavoro scoprisse, esposto, che il permesso è stato utilizzato per finalità di tipo personale, potrà aprire un procedimento disciplinare per assenza ingiustificata del lavoratore. Art 22 Sono poi previste delle norme poste a protezione dei lavoratori che ricoprono il ruolo di rappresentanti sindacali, questo per l'obbligazione che un lavoratore che ricopre il ruolo di rappresentante sindacale si espone al rischio di atti ridosso da parte del datore di lavoro e quindi si è ritenuto doveroso prevedere protezione per evitare che il datore di lavoro possa assumere degli atti in sé legittimi perché vadano a impedire a quel lavoratore di svolgere le sue attività. In particolar modo è prevista una tutela rafforzata contro il licenziamento e una tutela rafforzata contro il trasferimento. Tutela rafforzata contro il trasferimento è prevista dall'articolo 22 dello Statuto dei Lavoratori. È uno di quegli istituti che riguardano lo svolgimento del rapporto di lavoro e si intende per il trasferimento da un'unità produttiva ad un'altra, quindi non basta il semplice cambio di ufficio per poter parlare di trasferimento, ma l'unità produttiva, lo vedremo fra poco, è un organismo che deve essere dotato di una propria autonomia. La legge prevede una serie di condizioni affinché il trasferimento di un lavoratore sia lecito, ma sono previste appunto dallo Statuto dei Lavoratori delle condizioni aggiuntive per legittimare il trasferimento di un lavoratore che ricopra anche il ruolo di rappresentante sindacale, in particolar modo è richiesto il nulla osta da parte del sindacato. Il nulla osta deve essere reso quindi dal sindacato in maniera discrezionale e insindacabile. Quindi è una scelta esclusivamente del sindacato. Il datore di lavoro se intende trasferire da un'unità produttiva ad un'altra un lavoratore che ricopre i ruoli del rappresentante sindacale dovrà rivolgersi al sindacato e chiedere l'autorizzazione a trasferire quel lavoratore Art 18 Regolamenta l'apparato sanzionatorio a fronte di un licenziamento illegittimo, gli ultimi commi di questa norma riguardano le conseguenze sul piano sanzionatorio dell'avvenuto licenziamento di un lavoratore che ricopre anche il ruolo di rappresentante sindacale. E' appunto una speciale tutela processuale perché viene stabilito che a fronte del licenziamento del lavoratore che sia membro della RSA o della RSU si può avviare un procedimento con un'istanza congiunta del lavoratore e del sindacato di cui fa parte. Si apre un procedimento più snello rispetto a quello del lavoro in cui il giudice decide con un'ordinanza dopo aver ottenuto delle informazioni sommarie, quindi il giudice decide, a prima vista valuta se quel licenziamento deve essere considerato legittimo o meno. Se il giudice, a prima vista, quindi ottenuta e sommata informazione, non ancora delle vere e proprie prove, recluta quel licenziamento illegittimo, procederà con un'ordinanza, quindi con un provvedimento che non è definitivo, non è una sentenza, e andrà a ordinare la reintegrazione del lavoratore. Il lavoratore deve essere reinserito nel luogo di lavoro come se non fosse mai stato licenziato. In più è prevista anche una sanzione economica che deve essere pagata dal datore di lavoro all'Inps per ogni giorno di ritardo nel caso in cui il datore di lavoro ritaglia il ottemperare all'ordine del giudice. Art 28 In realtà questa procedura gettata dall'articolo 18 nei suoi ultimi commi ha avuto poca applicazione, per lo più In caso di questo genere si è preferito utilizzare lo strumento dettato dall'articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori che è appunto la norma che punisce la condotta antisindacale e che vedremo prevede anche quella una procedura di carattere processuale snella ma particolarmente efficiente, quindi a fronte di due strumenti processuali tendenzialmente si è sempre optato per lo strumento processuale dettato dall'articolo 28 che si è visto funzionare particolarmente bene, quindi gli organismi sindacali l'hanno molto utilizzato nel corso dei giorni. Art 30 e 31 Ci sono poi ancora altri diritti riconosciuti dagli articoli 30 e 31 dello Statuto dei lavoratori, in particolare l'articolo 30 riconosce dei diritti per i componenti degli organi direttivi nazionali e provinciali del sindacato, in particolare prevede dei permessi retribuiti per la partecipazione alla riunione di questi organi, e l'articolo 31 poi riconosce il diritto di un'aspettativa non retribuita per tutto il mandato, quindi eventualmente un lavoratore che ricopre un ruolo di allievo all'interno del sindacato può anche optare per beneficiare di questa aspettativa che però non è retribuita. Art 26 Riconosce il diritto allo svolgimento di attività di proselitismo e boicottaggio. Questa norma è inserita nel titolo III, al pari di tutte le altre, però I suoi destinatari non sono la RSA o la RSU, come gli altri diritti, ma direttamente i singoli lavoratori. Attività di proselitismo significa che possono promuovere l'attività del sindacato, farsi portavoce dell'attività del sindacato nei luoghi di lavoro e quindi incentivare gli altri lavoratori ad aderire al sindacato, quindi cercare nuove eletti con diritto di raccogliere somme di denaro a favore dell'attività del sindacato. Quindi deve essere un pezzo dell'azienda, una componente dell'azienda che sia però capace di realizzare una parte del prodotto finale e dotata proprio di una propria autonomia anche di carattere amministrativo. Il fatto che lo Statuto dei lavoratori riconosca tutti i diritti di cui ci siamo occupati fino adesso soltanto con riguardo alle unità produttive con più di 15 dipendenti ha sollevato anche in questo caso qualche dubbio di legittimità costituzionale, cioè ci si è chiesto se sia lecito per il legislatore di collettare soltanto quelle aziende di certe dimensioni e a questi dubbi ha risposto la Corte Costituzionale con una sentenza del 1975 con un arco dell'86 in cui è stato chiesto che la scelta del legislatore di limitare il campo di applicazione di questi diritti è ragionevole e quindi non è censurabile alla luce del principio di uguaglianza, perché abbiamo visto che il principio di uguaglianza impone di trattare in maniera uguale situazioni uguali e in maniera diversa situazioni differenti, quindi è ragionevole questa disparità di trattamento fra unità produttive con meno, con più di 15 unità produttive indipendenti perché la situazione di queste due aziende è fra loro differenti. In più, la Corte Costituzionale ha precisato che l'interesse collettivo, che è posto alla base dei diritti riconosciuti dallo Statuto dei Lavoratori, può essere realizzato soltanto se l'unità produttiva ha una consistenza minima, cioè se ha un numero minimo di lavoratori, perché in unità produttive di piccolissime dimensioni non sarebbe neppure possibile distinguere i lavoratori che sono rappresentanti e i lavoratori che vengono rappresentati, cioè al di sotto delle 15 unità di fatto ci sarebbe una commissione fra chi viene rappresentato e chi è rappresentante. Perché l'interesse collettivo non deve essere semplicemente la somma degli interessi individuali dei lavoratori, ma deve appunto essere l'interesse della collettività. Oltre a questi diritti di cui si occupa espressamente lo Statuto dei Lavoratori, ci sono poi anche altri diritti, non menzionati espressamente nello statuto, ma che vengono tutelati da delle leggi successive, in particolare diritti di informazione per i rappresentanti sindacali che devono essere messi a parte di alcune scelte decisionali prese dal datore di lavoro, scelte ad esempio che riguardano la situazione dell'azienda, come la volontà di procedere all'intero trasferimento dell'azienda, o la chiusura dello stabilimento. In questi casi il datore di lavoro è tenuto ad informare i rappresentanti sindacali, questo in particolare alla luce proprio anche di direttiva 2002 numero 14 e un'altra direttiva del 2007 che hanno riconosciuto per i rappresentanti sindacali il diritto ad essere informati e consultati a fronte di alcuni quindi ad esempio a fronte della volontà dell'azienda di beneficiare della cassa integrazione, o della volontà dell'azienda di procedere ad un trasferimento della proprietà, trasferimento d'azienda o anche soltanto di un ramo d'azienda, oppure della volontà dell'azienda di procedere a dei licenziamenti collettivi. Tutti questi poteri sono stati procedimentalizzati nel corso del tempo e quindi sono previsti dei vincoli che il datore di lavoro deve rispettare proprio in termini di informazione e consultazione delle parti sociali. Per tornare ancora sul campo di applicazione di questo titolo terzo bisogna sottolineare che questo riferimento alle 15 unità di personale intanto è stato corretto sulla base di un correttivo territoriale perché l'obiettivo è quello di evitare che il datore di lavoro cerchi di aggirare i vincoli posti dallo statuto dei lavoratori prevedendo degli spostamenti dei lavoratori in tante piccole unità produttive con meno di 15 lavoratori. Per questa ragione questi 15 dipendenti possono essere contati o nella singola unità produttiva oppure anche a livello di comune. Quindi se l'azienda ha più di 15 dipendenti all'interno dello stesso comune anche se spezzettati in più unità produttive, comunque sarà tenuta a riconoscere i diritti sindacali previsti dal titolo III. Da segnalare che questa soglia dei 15 dipendenti è la stessa soglia che ritroveremo nell'articolo 18 per quanto riguarda le sanzioni in caso di licenziamento illegittimo. Il legislatore quindi aveva previsto la medesima soglia al di sopra della quale scartarono non soltanto i diritti sindacali, ma anche una protezione rafforzata quanto i licenziamenti legittimi. Ovviamente era un design unitario da parte del legislatore del 1970, il cui obiettivo era quello di evitare possibili ritorsioni da parte del datore di lavoro e quindi proteggere in maniera più efficace i lavoratori delle unità produttive, in modo tale da incentivare questi lavoratori all'esercizio dei diritti sindacali. Questa coincidenza è gradualmente venuta a meno, da un lato perché nel 1990 c'è stata una modifica dell'articolo 18 che ne è andato a estendere il suo campo di applicazione, in particolare vedremo che le tutele in caso di licenziamento illegittimo previste dall'articolo 18 si applicano ad esempio sempre in caso di licenziamenti discriminatori, a prescindere dalle dimensioni dell'azienda. Quindi le dimensioni hanno rilievo per quanto riguarda le altre forme di licenziamento, ma non per quanto riguarda i licenziamenti discriminatori, che in questo caso si applicano a tutti. Ma soprattutto il compromesso è venuto un po' meno. Negli ultimi anni, dopo la riforma Fornero e poi dopo Jobs Act, quando quindi è stata rimaneggiata proprio la disciplina dei licenziamenti, andando a modificare quella norma, quindi è venuta meno quella identità fra l'articolo 35 che prevede il cambio all'applicazione per il riconoscimento dei diritti sindacali e l'articolo 18 che oggi garantisce delle tutele meno forti rispetto al passato e soprattutto è destinato ad essere superato dal jobs act. Condotta antisindacale La norma di riferimento è l'articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori, una norma importante che va conosciuta perché va a definire uno strumento di caratteristica processuale rapido ed efficiente. In particolare le peculiarità riguardano le regole processuali differenti, il fatto che il diritto di azione in giudizio viene riconosciuto da un soggetto collettivo e non da un soggetto individuale, e poi prevede uno strumento sanzionatorio peculiare. L'articolo 28 stabilisce che qualora, il datore di lavoro, ponga in essere dei comportamenti diretti ad impedire o a limitare l'esercizio della libertà e dell'attività sindacale, nonché del diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali dell'Associazione Sindacale Nazionale che vi abbiano interesse, il pretore del luogo del comportamento denunciato, nei due giorni successivi, convocati alle parti e assunti sommari informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di cui il Comma, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti. Poi la norma prosegue stabilendo che l'efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il pretore in funzione di giudice del lavoro definisce il giudizio instaurato a norma del comma successivo e va a prevedere una possibilità di impugnazione dell'ordinanza del giudice. Qual è la peculiarità? Intanto il soggetto attivo, è il datore di lavoro che può mettere in atto la condotta antisindacale. Ma la norma non lo dice espressamente, ma questo è il risultato dell'interpretazione giurisprudenziale, possono essere i membri della gerarchia industriale, possono essere da un dirigente, e quindi il datore di lavoro risponde anche dei comportamenti dei suoi sottoposti, di coloro che comunque svolgono delle funzioni demandate dal datore di lavoro. Cosa vuol dire antisindacale? La norma ci dice che si tratta di comportamenti che devono essere diretti ad impedire o a limitare l'esercizio della libertà di attività sindacale nonché del diritto di sciopero. Questa definizione è una definizione che non è analitica, ma è una definizione teologica perché va a riguardare, a individuare il fine perseguito, cioè che è diretto a limitare o ad impedire l'esercizio della libertà, dell'attività sindacale o del diritto di sciopero. Inizialmente, nei primi anni dopo l'emanazione delle strutture lavorative, si riteneva che questi beni protetti dovessero essere interpretati in maniera restrittiva quindi attenendosi molto alla lettera della norma. Poi è perversa invece un'interpretazione estensiva e quindi si possono considerare come condotti antisindacali anche i comportamenti del datore di lavoro che vadano a leggere nei diritti sindacali non espressamente riconosciuti dallo statuto ma riconosciuti da altre leggi oppure dalla contrattazione collettiva. Come si deve concretizzare questa violazione? Questa violazione può essere posta in essere da dei comportamenti, che devono essere diretti a, quindi finalizzati a, ci deve essere proprio un fine, e questi comportamenti possono essere dei comportamenti materiali o anche dei comportamenti giuridici e possono essere sia attivi che omissivi. Quindi anche il non far qualcosa che il datore di lavoro dovrebbe fare può costituire una condotta antisindacale nella misura in cui quella omissione va a determinare una lesione di un diritto sindacale. Costituisce condotta antisindacale anche l'eventuale lesione di diritti garantiti dalla contrattazione collettiva. Torniamo ancora un attimo sul diretto a questa locuzione, che è stato oggetto di interpretazioni da parte della giurisprudenza e in particolar modo la Cassazione con le sezioni unite del 1997 ha precisato che questo “diretto a” deve essere interpretato come un carattere obiettivo cioè occorre verificare che quel comportamento sia oggettivamente idoneo a determinare una lesione del diritto sindacale. Può anche essere soltanto potenziale, non è necessario che davvero quel comportamento abbia determinato una violazione dei diritti sindacali, ma che potenzialmente lo faccia. La condotta antisindacale ha avuto un utilizzo crescente nel corso degli anni, sia nel settore privato che nel settore pubblico. La casistica di ricorso ex articolo 28, quindi seguendo la procedura prevista da questa norma, è davvero molto ampia. Soprattutto si è utilizzato molto questo strumento per impugnare contratti collettivi separati, quindi firmati soltanto da alcuni sindacati e che però si pretendeva di voler applicare a tutti i lavoratori e in particolar modo è stato utilizzato molto nella vicenda Fiat, tutti i ricorsi che sono partiti in vari tribunali d'Italia contro gli accordi separati di Pomigliano, di Mirafiori e di Bertone sono stati convertiti ex articolo 28. Ci sono poi alcune tipizzazioni legali di questa procedura, cioè procedure molto simili a quella prevista ex articolo 28 ma dettagliate con riguardo a specifiche violazioni, ad esempio c'è una procedura prevista per la violazione di clausole obbligatorie contenute nei contratti collettivi o ancora una procedura prevista per la violazione di obblighi previsti dalla legge in materia di trasferimento d'azienda, quindi sono delle tipizzazioni legali di una condotta antisindacale. Quindi il soggetto che pone in essere la condotta antisindacale è il datore di lavoro oppure un suo subordinato, un dirigente generalmente, mentre il soggetto che è autorizzato a presentare ricorso, viene individuato negli organismi locali dell'associazione e sindacali nazionali che vi abbiano interesse e questo è un elemento di grande peculiarità perché va a riconoscere il diritto di agire in giudizio non ad un singolo ma ad un soggetto collettivo, va proprio a segnare un svolto, un punto di rottura rispetto all'esperienza giuridica precedente, perché fino da allora, fino al 1970, la giurisprudenza aveva sempre negato la possibilità per il sindacato di agire in giudizio per tutelare degli interessi collettivi, quindi non era mai stato riconosciuto questo diritto da tutelare degli interessi collettivi. D'altra parte la dimensione collettiva è proprio quella tipica del conflitto sociale e del conflitto industriale ed è giusto quindi riconoscere al sindacato che è portatore di un interesse collettivo la possibilità di tutelare questo interesse collettivo in giudizio. Anche qui però viene effettuata una selezione, cioè i legittimati ad agire non sono i sindacati in genere. L'articolo 28 effettua una selezione dei sindacati che possono essere considerati legittimati ad agire in giudizio, anche se è una selezione meno rigida, perché si parla di organismi locali, di associazioni sindacali nazionali che gli abbiano interesse. Anche questa selezione, il fatto che anche con riguardo all'articolo 28 ci sia una selezione sindacati legittimati, ha dato luogo a problemi di costituzionalità. L'abbiamo già visto in varie occasioni, ogni volta che il legislatore prevede una selezione è stata sollevata una questione di costituzionalità, che la Corte Costituzionale ha sempre respinto, giudice, si applicherà l'articolo 650 del codice penale che è rubricato in osservanza di ordini legalmente dati dall'autorità, 350 del codice penale e che prevede l'arresto fino a tre mesi oppure un'ammenda e la pubblicazione della sentenza. Quindi questo ordine di cessare il comportamento e rimuovere gli effetti non sarebbe suscettibile di esecuzione forzata. Sarebbe una sanzione un po' aleatoria se non ci fosse un modo per costringere il datore di lavoro, ma c'è appunto l'articolo 650, l'inosservanza di ordini legalmente dati dall'autorità e questo è un ordine dato dal giudice, quindi sicuramente un ordine dettato dall'autorità. Ovviamente il datore di lavoro soccombente, o comunque la parte soccombente anche nel sindacato, nel caso in cui il giudice non abbia riconosciuto sussistente la condotta antisindacale, la parte soccombente può presentare opposizione. Se la parte soccombente presenta opposizione, si apre la seconda fase di giudizio. 2. Ma fate attenzione perché non siamo in un secondo grado di giudizio, siamo pur sempre nel primo grado, sempre davanti al tribunale. È semplicemente una nuova fase del primo grado di giudizio davanti allo stesso tribunale. A questo punto si apre la fase a cognizione piena, dunque vengono rispettate le ordinarie regole processuali. A questo punto il giudice deve raccogliere effettivamente anche le prove, non soltanto più gli indizi. E alla fine della fase cognizione piena il giudice decide con sentenza, chiudendo quindi il procedimento. La condanna sarà sempre la medesima, quindi se considera effettivamente fondata la condotta antisindacale, condannerà ai datori di lavoro la cessazione del comportamento e la rimozione degli effetti. E di nuovo, in caso di inottemperanza, scatta il 650 del codice penale. Ovviamente la parte soccorrente può sempre presentare appello e a questo punto seguirà poi le regole ordinarie del processo e quindi si aprirà poi una nuova fase davanti alla Corte d'Appello. L'opposizione, si può richiedere entro 15 giorni 7. Rappresentanza e rappresentatività sindacale Sono due concetti differenti che il concetto di rappresentatività nasce come conseguenza della mancata correzione dell'articolo 39. L'articolo 39 negli ultimi suoi comma secondo, terzo e quarto, prevedeva che il sindacato, in caso di iscrizione nei registri, avrebbe ottenuto la personalità giuridica di diritto privato. Abbiamo visto che, non essendoci questi registi, il sindacato non si può iscrivere e dunque è un'associazione non riconosciuta. Il rapporto che lega il sindacato ai lavoratori iscritti si è quindi basato sul concetto di rappresentanza, la rappresentanza volontaria. La rappresentanza è un istituto civilistico previsto dal codice civile all'articolo 1387 ed è il potere che viene conferito dalla legge oppure in questo caso dall'interessato di agire in conto e nomi di altri. Generalmente quindi il soggetto rappresentato che dà al rappresentante il potere di agire in nome e in conto proprio. E dunque i lavoratori nel momento in cui si iscrivono ad un'associazione sindacale conferiscono all'associazione sindacale la rappresentanza e quindi il potere di stipulare dei contratti collettivi in nome e per conto dei lavoratori iscritti al sindacato con efficacia nei confronti degli iscritti al sindacato. Quindi il sindacato rappresenta i lavoratori iscritti, i lavoratori nel momento in cui si iscrivono al sindacato conferiscono un mandato di rappresentanza al sindacato stesso e quindi quando il sindacato si siede al tavolo contrattuale e firma il contratto collettivo lo fa in nome e per conto dei lavoratori iscritti sui quali ricaricano le conseguenze di quel contratto collettivo. Quindi è un meccanismo giuridico in cui la volontà viene espressa e viene formata da un soggetto diverso rispetto a quello a cui sono imputabili gli effetti giuridici di quell'atto stesso Questo atto volontario, per quanto ci riguarda, nell'ambito dei diritti sindacali viene proprio individuato nel momento in cui il lavoratore si iscrive al sindacato, quindi l'atto di adesione al sindacato viene considerato come costitutivo del potere dell'organizzazione sindacale di rappresentare quel lavoratore. Quindi a seguito della mancata attuazione dell'articolo 39 ci si era chiesti quale fosse il fondamento del potere di rappresentanza tipico dei sindacati e la dottrina più risalente aveva proprio ravvisato questo il fondamento di questo potere negoziale nel mandato con rappresentanza sindacale. Ma abbiamo già anticipato che il sindacato di fatto persegue una finalità ulteriore perché l'obiettivo del sindacato è quello di rappresentare non soltanto i lavoratori iscritti ma anche i lavoratori non iscritti. A partire dagli anni 60 quindi hanno cominciato a prendere piede delle giurie che hanno individuato il fondamento del potere di negoziazione non più nel mandato con la rappresentanza, quindi non più nella rappresentanza volontaria. A partire dagli anni 60 si è cominciato a considerare come proprio del sindacato questo potere negoziale non fondato sul mandato conferito da parte dei singoli. Quindi come se il sindacato, in quanto sindacato, godesse di questo potere di rappresentanza. E pian piano la rappresentanza ha cominciato ad essere considerata non più come una rappresentanza strettamente associativa e quindi basata sull'iscrizione del sindacato. le iscrizioni dei lavoratori al sindacato, ma sempre più come una rappresentanza generale estesa alla totalità dei lavoratori. Infatti in questi anni che prendono piede abbiamo visto le prime forme di rappresentanza sindacale basate sulla forma organizzativa, non associativa, quindi aperte anche ai non iscritti al sindacato. Bisogna però trovare una norma, un fondamento giuridico che sia in grado di legittimare questa presa. E proprio per questa ragione, a partire dagli anni 70, si comincia a diffondere il concetto di rappresentatività sindacale, che gradualmente va a sostituire quello di rappresentanza però una differenza profonda fra questi due termini, perché la rappresentanza è un istituto giuridico, è un concetto giuridico, cioè una norma del codice civile che si occupa del mandato con la rappresentanza; viceversa la rappresentatività è un concetto di origine sociologica un concetto sociologico che va a definire l'attitudine di un soggetto a svolgere in maniera efficiente l'attività di autotutela collettiva Dunque, viene considerata come rappresentatività la capacità astratta di dare espressione all'esigenza degli altri, anche in assenza di una delega e quindi in assenza di un'espressa manifestazione di volontà da parte dei soggetti rappresentati. E quindi la rappresentatività viene considerata come un criterio di selezione dei sindacati, Quindi da rappresentatività possiamo dire che è la capacità del sindacato di esprimere adeguatamente l'interesse di un gruppo collettivo, in modo tale da individuare una linea d'azione. C'è poi una differenza tra rappresentanza e rappresentatività, perché nell'ambito della rappresentanza il rappresentante, in senso civilistico, agisce in nome e per conto degli interessi del soggetto rappresentato, mentre secondo il meccanismo della rappresentatività il sindacato agisce in nome proprio tutelando un interesse di carattere collettivo, però agisce in nome proprio Si comincia a considerare il sindacato come un soggetto in grado di rappresentare tutti i lavoratori, non soltanto i lavoratori iscritti. Quindi si va oltre i vincoli strettamente giuridici che discenderebbero dal mandato con rappresentanza, ma si prende consapevolezza del fatto che l'obiettivo del sindacato è quello di tutelare gli interessi della collettività dei lavoratori. Questa selezione viene effettuata sulla base di un discrimine che non è quantitativo, cioè non si va a non misurare il numero di iscritti dei lavoratori ai vari sindacati, ma è un discrimine di carattere qualitativo appunto, un sindacato che si presuppone sia in grado meglio di altri di sparsi il portatore degli interessi collettivi. Ma in realtà i primi riferimenti alla rappresentatività li troviamo già negli anni 50, quando si dovevano selezionare i sindacati legittimati a partecipare all'OIL, all'Organizzazione Internazionale del Lavoro. E proprio in questo testo di legge per la prima volta si fa riferimento al concetto di rappresentatività. Ma è soprattutto con lo Statuto dei Lavoratori che cresce il ricorso a questo concetto, quando la rappresentatività diventa la chiave d'accesso a numerosi diritti. L'obiettivo del legislatore è quello di dare equilibrio al sistema, di governare questi movimenti contestativi e farli quindi governare da dei soggetti che siano in grado anche di contenere gli accessi e dare al conflitto sociale Questo potere, questo concetto di rappresentatività viene poi utilizzato anche in varie altre leggi. Ad esempio, i sindacati rappresentativi devono disegnare dei rappresentanti in sede nell'ambito del CNEL, cioè del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, che è previsto direttamente dall'articolo 99 della Costituzione. Viene poi utilizzato molto spesso in maniera sempre più crescente dalla legislazione sul mercato del lavoro. Quindi tutte le leggi che riguardano il rapporto di lavoro che vengono approvate dagli anni 70 in avanti fanno riferimento al concetto di rappresentatività. Ad esempio una legge del 75 sulla cassa integrazione è una delle prime che fa proprio riferimento ai sindacati maggiormente rappresentativi. Ma questo Statuto non ci dice chi sono i sindacati rappresentativi perché non ce n'era bisogno. Nel 1970 non c'era dubbio su chi potesse essere davvero rappresentativo ma quando abbiamo studiato la vicenda dell'articolo 19 già abbiamo visto che questi problemi cominciano a comparire subito dopo. Con l'affioramento però del tasso di sindacalizzazione, quindi del numero di lavoratori iscritti ai sindacati, e al tempo stesso con la nascita di nuove sigle sindacali, che la situazione comincia a cambiare e questo riferimento alla rappresentatività diventa sempre più impalpabile, di difficile misurazione, perché non è più detto, non è più così scontato che i sindacati che sono sempre stati più rappresentativi continuino ad esserlo, soprattutto in certi settori, in certi settori che magari sono nuovi. dove magari hanno cominciato a prendere piede altri sindacati, che prima erano meno conosciuti, ma che adesso possono dirsi di avere un elevato numero di iscritti, quindi essere rappresentativi. La giurisprudenza ha scovato una legge, una legge che per ora è stata emanata per uno scopo totalmente differente. Vuole dire la legge 902 del 1977, nel 1977 c'era ancora accantonato il denaro e il patrimonio delle organizzazioni sindacali fasciste. Le organizzazioni sindacali fasciste ovviamente erano sciolte da molto tempo, ovviamente come tutte le associazioni e anche quelle organizzazioni avevano accumulato un patrimonio. Questo patrimonio era rimasto lì bloccato da quando le organizzazioni sindacali fasciste erano state sciolte e non si era ancora deciso che cosa farne. Nel 1977 viene approvata questa legge sulla devoluzione del patrimonio delle disciolte organizzazioni sindacali fasciste con l'obiettivo di spalmare questo patrimonio che si era accumulato fra le organizzazioni sindacali che erano in quel momento esistenti. Ovviamente si dovevano inventare dei criteri per stabilire quanto secondo due criteri. Il 93% di quel patrimonio veniva dato alle associazioni sindacali che venivano individuate con quella legge in una tabella, quindi allegata a quella legge del 1977 c'era una tabella nell'abito della quale veniva elencato un numero di sindacati fra i quali in particolari ovviamente c'erano CGIL, CISL, UIL, CISNAL, CIDA, il sindacato per i dirigenti. C'era quindi un elenco di organizzazioni sindacali che venivano consigliate come maggiormente rappresentative. Gli restanti 7% andavano invece alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, cioè quelle, ci diceva la norma, che avevano una consistenza numerica rilevante e diffusa su tutto il territorio nazionale e che effettuano attività di contrattazione collettiva. Quindi questa legge era stata pensata con un obiettivo specifico, quello di dividere questo patrimonio economico poi viene ripescata dalla giurisprudenza per cercare di capire che cosa sono le associazioni sindacali e rappresentative e la giurisprudenza stabilisce che i sindacati che sono espressamente nominati nella tabella legata a questa legge dovevano considerarsi sindacati, ma soltanto sindacati che hanno una rappresentatività minima. Questa rappresentatività minima è stata individuata nel 5% di rappresentatività. Cosa si intende però per 5% di rappresentatività? Come la misuriamo? Vengono forniti dei parametri. 5% di rappresentatività come media tra il dato associativo e il dato elettorale. Il dato associativo fa riferimento al numero di iscritti a ciascuna associazione. Il dato elettorale, invece, fa riferimento ai risultati ottenuti alle elezioni per le rappresentanze unitarie del personale del gruppo. Quindi, per andare a vedere quali sono i sindacati che possono sedersi al tavolo delle trattative, occorre verificare che quei sindacati abbiano una rappresentatività di almeno il 5% dei lavoratori, inteso appunto come media fra il dato associativo, quindi il numero degli iscritti al sindacato, e il dato elettorale. Questa soglia viene verificata dall'ARAN, che è l'associazione per la rappresentanza negoziale, che rappresenta il datore di lavoro pubblico, l'abbiamo già nominato una volta, ci ritorneremo poi ancora. Come si verifica questo dato associativo? Vi dicevo il dato associativo fa riferimento all'iscrizione ad un sindacato. Si è individuato un meccanismo e cioè fa riferimento alla procedura per la trattenuta di una parte del salario e la sua rivoluzione come contributo sindacale e sindacato. Abbiamo parlato di contributi sindacali abbiamo visto che quella parte dell'articolo 26 dello Statuto dei Lavoratori è stato abrogato, quella parte che prevede la possibilità per un lavoratore di delegare il datore di lavoro ad effettuare una trattenuta sul proprio salario e poi versare quella parte di salario al sindacato come quota associativa. Questo meccanismo non è più previsto dalla legge ma abbiamo anche visto che è previsto di fatto dei contatti collettivi e quindi nonostante l'eliminazione della base legale è un meccanismo che continua a essere utilizzato. Quindi per verificare quali sono i numeri reali di lavoratori iscritti ad un sindacato si fa riferimento proprio alla percentuale delle deleghe per il versamento dei contributi. Ovviamente soltanto i lavoratori iscritti versano questi contributi al sindacato. Quindi se noi andiamo a vedere quanti lavoratori versano i contributi a ciascun sindacato, otterremo il dato associativo, quindi il numero di iscrizioni. Si prende questo dato e si fa la media con il dato elettorale, appunto, con la percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni per le rappresentanze unitarie del personale. Mettendo insieme questi due voti si ottiene la rappresentatività del sindacato. Per arrivare a firmare quel contratto collettivo, quindi affinché quel contratto collettivo sia valido ed efficace, è necessario che il contratto collettivo venga firmato da sindacati che tutti insieme siano in grado di rappresentare il 51% dei lavoratori di nuovo come medio tra dato associativo e dato elettorale. Per evitare quindi che vengano firmati dei contratti collettivi da associazioni scarsamente rappresentative. La scelta di fare la media tra il dato associativo e il dato elettorale persegue l'obiettivo di tutelare sia i lavoratori iscritti al sindacato, quindi quelli associati, sia i non ma che comunque hanno votato per lui alle elezioni per la rappresentanza unitaria e personale. Nel settore privato invece il legislatore ha continuato a tacere e questa assenza di una regolamentazione eteronoma, rappresentanti sindacali, si è procrastinata per lungo tempo, ma per quale ragione? Perché nel settore privato non si sentiva la necessità di questa legge, fintanto che le tre grandi confederazioni firmavano i contatti collettivi in maniera unitaria L'esigenza però ha cominciato a opporsi quando questa unità d'azione sindacale è venuta meno. Le parti sociali quindi hanno cominciato a percepire la necessità di definire delle regole più precise per misurare la rappresentatività, delle regole che fossero in grado di quantificare in termini della rappresentatività, visto che né la maggiore rappresentatività, né la maggiore rappresentatività comparata erano state in grado di sciogliere tutti i dubbi e problemi che si erano posti in essere molto concretamente. Dunque, le parti sociali fanno uno sforzo per ritrovare l'unitarietà sindacale. Viene firmato l'accordo interconfederale del 28 giugno del 2011, che è finalmente un accordo unitario, voluto proprio a superare la precedente situazione di divisione che si era creata nel 2009. Questo accordo viene poi seguito nel 2013 da un altro protocollo del 31 maggio, anche questo unitario. In materia di rappresentanza e rappresentatività questo accordo viene ulteriormente perfezionato e concretizzato nei contenuti con il testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014. L'obiettivo è quello di dettare dei criteri per misurare la rappresentatività sindacale, lo dice il termine stesso, il testo unico sulla rappresentanza sindacale. Il problema è che dobbiamo sempre tenere conto che si tratta di regole importantissime ma che vengono dettate con un protocollo. Non sono delle regole dettate dal legislatore. Le parti sociali cosa fanno? traggono ispirazione dal modello del settore pubblico che si è visto essere un modello funzionante e prendono quelle regole, le modificano un po' e le adattano alla situazione del settore privato Sono delle regole di natura convenzionale che quindi sono valide e efficaci finché tutte le parti firmatari le si impegnino a rispettarle. Viene stabilito che, come nel settore pubblico, per sedere al tavolo contrattuale anche nel settore privato serva ora una rappresentatività minima pari al 5% dei lavoratori di quella categoria. E' una regola di accreditamento reciproco, una regola convenzionale, perché le parti, o meglio la confindustria, quindi la parte datoriale, si impegna a non trattare con quelle associazioni sindacali che non raggiungono una rappresentatività minima pari al 5% dei lavoratori. Questo 5% si ottiene anche qui facendo la media tra il dato associativo e il dato elettorale. Il dato associativo di nuovo fa riferimento alle deleghe firmate per la trattenuta salariale dei contributi avversari al sindacato, mentre il dato elettorale fa riferimento alle elezioni delle RSU. Vedete che le RSU assumono un ruolo fondamentale nell'ambito del testo unico sulla rappresentanza, ma ieri vi ho detto che resta aperto un problema, che non in tutte le unità produttive ci sono le RSU. Il che significa che il sistema contrattuale che viene delineato dal testo unico è comunque un sistema aperto anche a quei sindacati che non abbiano firmato il testo unico sulla rappresentatività, ma che siano comunque considerati rappresentativi. Abbiamo già visto il proposito della RSU. La RSU possono essere considerate anche delle associazioni sindacali che non hanno firmato il testo unico. La condensazione tra il dato associativo e il dato elettorale, prima battuta, era stata affidata al CNEL. Ora la misurazione di questo dato associativo e del dato elettorale della loro condensazione viene affidata all'Inps, con il supporto dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro. Anche qui riportato lo stesso strumento utilizzato nel settore pubblico e quindi con il contratto collettivo viene considerato valido ed efficace soltanto se viene firmato dai sindacati che abbiano una rappresentatività complessiva pari al 50% più uno dei lavoratori. In questo caso la soglia è diversa rispetto a quella utilizzata nel settore pubblico. Nel settore pubblico la soglia era del 51% di rappresentatività. Nel settore privato si sceglie invece la rappresentatività del 50% più uno dei lavoratori, quindi un livello differente. L'obiettivo è quello di contrastare il fenomeno dei contratti separati, quindi indurre i sindacati a firmare in maniera molto più unitaria i contratti collettivi stessi. Questo procedimento verso la misurazione della rappresentatività sicuramente è un grandissimo passo in avanti, perché porta un certo ordine, porta delle regole chiare, condivise, anche se con il limite del fatto che si tratta di regole di natura convenzionale. È però un procedimento che non si è concluso ancora. Ci sono state delle tappe ulteriori, in particolare va segnalato il patto per la fabbrica che è un altro accordo interconfederale firmato il 9 marzo del 2018 con il quale tutta questa procedura viene portata ulteriormente avanti e in particolare viene esteso l'obbligo di misurare la rappresentatività anche alle organizzazioni datoriali. A partire dal patto per la fabbrica del 2018, anche le organizzazioni datoriali, prima battuta confindustria, accettano la misurazione della propria rappresentatività e quindi accettano che anche sul fronte datoriale venga effettivamente quantificata la rappresentatività del sindacato. Quindi è sicuramente un passo in avanti ulteriore, anche se dobbiamo avere consapevolezza che questo percorso per la misurazione e per la certificazione della rappresentatività non è ancora concluso. Tipologie di contratti collettivi Le origini del contratto collettivo vanno individuate in quello che veniva chiamato il concordato di tariffa. Era un accordo firmato a livello aziendale e l'obiettivo era quello di regolamentare, di individuare la retribuzione concordato di tariffa, la tariffa della retribuzione. Ma nel corso del tempo si è verificata una profonda evoluzione del sistema contrattuale che si è articolato anche su più livelli quindi i contratti collettivi sono andati verso una progressiva espansione dei contenuti ma anche delle loro funzioni e si sono moltiplicati i livelli di contratto collettivo ed è penetrato anche nel settore pubblico a seguito della privatizzazione del pubblico impiego. Dunque il contratto collettivo può essere considerato proprio come il protagonista del sistema di relazioni industriali, viene firmato da dei soggetti collettivi con l'obiettivo di regolamentare in maniera uniforme le condizioni di lavoro per tutti i lavoratori di una determinata categoria, con l'obiettivo quindi di andare a integrare i contratti individuali. I contratti individuali devono poi essere rispettosi delle condizioni previste nel contratto collettivo. Nel nostro sistema abbiamo conosciuto diversi modelli di contratto collettivo. 1. Il primo modello è stato quello del contratto collettivo di carattere corporativo. È stato efficacemente detto che il contratto collettivo ha una natura ibrida, perché è uno strumento che è dotato del corpo del contratto, ma avente l'anima della legge. Queste sono espressioni di Carnelutti che ha avuto molto successo. Il corpo del contratto è l'anima della legge, cioè se voi prendete un contratto collettivo, lo sfogliate, vedrete che è strutturato come un contratto, quindi sono previste delle clausole contrattuali. È firmato da delle parti sociali, quindi troverete al termine le firme di tutte le parti sociali che lo hanno sottoscritto, ma la sua anima è quella della legge, perché punta a regolamentare in maniera uniforme le condizioni di lavoro, è una fonte eteronoma come la legge, cioè al pari della legge. L'obiettivo del contatto collettivo è quello di essere applicato a tutti, anche se nel nostro ordinamento già sappiamo che il contratto collettivo non può essere applicato a tutti. Nell'epoca corporativa il contratto collettivo era una fonte del diritto in senso proprio perché viene collocata al terzo posto della gerarchia, direttamente dalle preleggi, si menzionano le fonti di carattere corporativo compresi quindi i contratti collettivi, avevano un'efficacia generale, quindi avevano un'efficacia erga omnes, il contratto collettivo si applica a tutti i lavoratori, a tutti i datori di lavoro, a prescindere dalla loro affiliazione sindacale. scadenza, fintanto che non fosse stato sostituito da un nuovo contratto collettivo valido per gli appartenenti della categoria, quindi i contratti collettivi recepiti in dei casi legislativi in modello della legge Vigorelli erano ultrattivi come quelli dell'epoca corporativa, quindi continuavano a produrre la loro efficacia anche dopo la scadenza. Trascorso quest'anno il problema dell'articolo 39 continuava a essere lì e quindi c'era poi il problema di come fare a sostituire a loro volta i contratti collettivi recepiti in decreti ad opera della legge Vigorelli. E siccome il meccanismo della legge Vigorelli aveva funzionato così bene, il legislatore pensa bene di riproporre e quindi viene emanata una nuova legge la legge 1027 del 1960 con cui si prorogava di 10 mesi il termine per recepire contratti collettivi in decreti legislativi, ma a questo punto questa seconda legge viene cassata dalla Corte Costituzionale. La Corte Costituzionale dichiara questo tentativo di proroga incostituzionale. Perché la legge Vigorelli aveva una cura eccezionale e transitoria, mentre anche una sola proroga di quel meccanismo tramutava l'eccezionalità e la transitorietà in un qualcosa di definitivo, che perde quel carattere di transitorietà. Quindi la Corte Costituzionale interviene, blocca il tentativo di proroga e si arriva a quel punto, ad una nuova situazione in cui abbiamo i contratti collettivi recepiti in decreti legislativi ma non possiamo più firmare altri contratti collettivi dotati di efficacia erga omnes. Anche qui ovviamente si risolve mediante una sorta di escamotage, perché i nuovi contratti di diritto comune che erano dotati di efficacia inter partes si riteneva che potessero essere applicati se contenevano delle condizioni di miglior favore rispetto ai contratti collettivi previsti nella legge Vigorelli. La legge Vigorelli, vi dicevo, recepisce i contratti collettivi, stabilisce che quei contratti continuino a produrre i loro effetti fin oltre la loro scadenza, ma precisa anche salve le condizioni di miglior favore, quindi si interpreta questa parte della legge Vigorelli e si stabilisce che i nuovi contratti collettivi più favorevoli ai lavoratori potranno andare a sostituire i contratti collettivi recepiti in decreti legislativi e questo segna la transizione verso il sistema di diritto comune che è quello che conosciamo oggi. Con la peculiarità però che i contratti collettivi di diritto comune hanno un'efficacia soltanto inter partes. Ovviamente bisognava capire che cosa si intende per contratti collettivi di miglior favore i contratti conservano pieno e efficace anche dopo la scadenza o rinnovo dell'accordo o contratto collettivo cui il governo sia uniformato, sino a quando non intervengono successive modifiche di legge o di accordi e contratti collettivi aventi efficacia verso tutti gli appartenenti alla categoria. Le norme di cui l'articolo 1 della presente legge saranno emanate con decreto legislativo sul proposto del ministro per lavoro della Previdenza Sociale entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge o nel minor termine in caso di entrata in vigore della legge applicativa dell'articolo 39 della Costituzione, quindi la legge era destinata ad avere una durata di un anno a meno che l'articolo 39 fosse stato attuato prima, a quel punto la legge Vigorelli avrebbe cessato di esistere, ma ovviamente era un'utopia che poi non si è mai realizzata. La sostituzione con nuovi contratti collettivi di diritto comune avviene sulla base della derogabilità in melius, quindi della previsione di clausole più favorevoli per i lavoratori. Su questo si è aperta una discussione perché bisognava capire se il confronto andasse fatto sulla base delle singole clausole e quindi si dovessero applicare le clausole di un contratto piuttosto che di un altro andando a valutare clausola per clausola qual è quella più favorevole e questo è ciò che prevedeva il criterio del cumulo o se invece il confronto andasse fatto nei contratti collettivi, nel loro insieme: questa era l'interpretazione che prevalsa, quella del criterio del conglobamento, cioè per capire quale contratto collettivo è più favorevole bisogna confrontare i due contratti nel loro insieme 2. Si apre quindi l'era del contratto collettivo di diritto comune. Vi ricordate come mai si chiama contratto collettivo di diritto comune? Prevede l'applicazione delle norme del codice civile dedicate ai contratti collettivi, ma si riferisce, o meglio, vengono utilizzate le norme del codice civile rivolte alla generalità dei contratti, quindi si applica il diritto comune dei contratti, cioè il diritto privato, che significa che questo contratto collettivo ovviamente non è fonte del diritto in senso proprio, abbiamo detto che è una fonte materiale del diritto perché per risolvere una controversia nell'ambito del rapporto lavoro non si può prescindere dalla conoscenza e dal contatto collettivo, anche se formalmente non è una fonte di diritto come lo era in epoca corporativa, perché non è equiparabile alla legge, non è dotato di un'efficacia generalizzata, la sua efficacia soggettiva e quindi inter partes. Il contratto collettivo di diritto comune si fonda su un concetto di rappresentanza dettato dall'articolo 1322, si è utilizzato appunto il concetto giuridico del mandato con rappresentanza, secondo cui i lavoratori e i datori di lavoro nel momento in cui si iscrivono all'associazione conferiscono proprio mandato in modo tale che il sindacato possa stipulare l'accordo collettivo, producendo poi degli effetti sui singoli Quindi in assenza di una legge di attuazione si è fatto ricorso allo strumento del mandato con rappresentanza. Però abbiamo anche visto la settimana scorsa che questo criterio della rappresentanza crea qualche problema perché i sindacati di fatto quando stipulano un accordo pensano alla generalità dei lavoratori e non soltanto ai loro iscritti. Come fare quindi ad estendere l'efficacia soggettiva del contratto collettivo di diritto comune anche ai lavoratori e datori di lavoro che non sono iscritti alle associazioni firmatarie? Diciamo che la giurisprudenza fin da subito si è attivata per cercare di individuare delle soluzioni a questo problema. Nei primi anni, dopo l'emanazione della Costituzione, la prima giurisprudenza di merito insisteva proprio sulla necessità di iscrizione da parte sia del lavoratore che del datore di lavoro per poter applicare il contratto collettivo. Quindi la primissima giurisprudenza era stata molto fedele al criterio della rappresentanza e quindi procedeva a riconoscere un'efficacia soggettiva inter partes dei contratti collettivi. Molto presto ci si è resi conto che una interpretazione così rigida finirà per causare significativi problemi. Tecniche interpretative per estendere l’efficacia soggettiva del contratto collettivo di diritto comune Quindi la giurisprudenza ha cercato di elaborare delle soluzioni di carattere interpretativo con cui cercare di risolvere questi problemi, quindi estendere l'efficacia soggettiva dei contratti collettivi di diritto comune. Badate bene però che i criteri di cui adesso parleremo sono tutti criteri che possono essere utilizzati per risolvere la singola controversia, quindi sono dei criteri che vengono utilizzati ex post quando una controversia è sorta, quindi quando ci si trova ormai davanti al giudice. Dopodiché, a fronte di controversie, i giudici si sono dimostrati disponibili a cercare di allargare un po' le maglie di questa efficacia soggettiva, attraverso i criteri interpretativi, non alla fronte di legge, in secondo luogo dei criteri che lasciano aperti qualche problema. - Primo criterio. Allora, innanzitutto bisogna distinguere due situazioni molto diverse, perché se il datore di lavoro che non è aderito all'associazione firmataria si libera automaticamente dall'applicazione del contratto collettivo nei confronti dei lavoratori, a prescindere dal fatto che il lavoratore si riscrivi o meno. Facciamo l'esempio che abbiamo visto un po' di tempo fa, la FIAT. Quando la FIAT è uscita dal confindustria non era più iscritta all'associazione e dunque si è liberato dall'obbligo di applicare il contratto collettivo nei confronti di tutti i lavoratori, anche di quelli che sono state sindacate. Quindi diventa, come dire, inutile l'iscrizione al sindacato da parte dei lavoratori, perché comunque il datore può scegliere di non applicare il contratto collettivo. La situazione in opposta è invece diversa, perché se è il lavoratore che non è iscritto al sindacato, ma il datore lo è, il datore di lavoro è tenuto al contratto collettivo. Il problema sembra essere da vedere a chi lo deve applicare. Partiamo quindi dalla situazione quella più complicata, cioè la situazione in cui è il datore di lavoro che non è iscritto a nessuna delle associazioni firmatarie del contratto collettivo. Allora, la giurisprudenza ha ritenuto che si possa applicare comunque il contratto collettivo, anche se il datore di lavoro non è iscritto in un'associazione datoriale, nel caso in cui nel contratto individuale di lavoro venga effettuato un rinvio esplicito al contratto collettivo. Cioè nel momento dell'assunzione viene firmato un contratto individuale, nel contratto individuale si dice espressamente che si applicherà il contratto collettivo da dettagli. In questo caso, nonostante il fatto che il datore di lavoro non sia formalmente tenuto ad applicare il contratto collettivo, il contratto collettivo si applicherà ugualmente perché il contenuto del contratto individuale viene determinato per relationem. È importante notare che in questo caso, quindi qualora ci sia un invio esplicito al contratto collettivo, Il datore di lavoro non potrà poi autonomamente liberarsi dall'obbligo di applicare il contratto collettivo, perché l'obbligo a quel punto risiede nel contratto individuale, che è firmato da entrambe le parti. Quindi per modificare questa condizione è necessario un consenso del lavoratore. Questo esplicito rinvio oltretutto è un rinvio, si dice, dinamico, perché viene fatto un rinvio non soltanto al contratto collettivo in vigore nel momento della firma del contratto individuale ma anche a tutti i rinnovi periodici di quell'accordo quindi il contratto individuale, diciamo che la sorte del contratto individuale seguirà quella del contratto collettivo in tutti i suoi periodici rinnovi. → C'è poi un'altra ipotesi del rinvio implicito. Nel rinvio implicito il datore di lavoro applica spontaneamente nel contratto individuale l'intero collettivo o una parte significativa di esso. In questo caso, se il contratto individuale ripete, anche senza menzionare espressamente, i contenuti di un contratto collettivo, si ritiene che il datore di lavoro abbia voluto applicare il contratto collettivo stesso. Si parla quindi di un rinvio implicito. Questa recezione implicita avviene però soltanto se il numero e la consistenza delle clausole è tale da far presumere che il datore di lavoro abbia voluto recepire interamente quel noto collettivo. Quindi si deve trattare di un numero di clausole particolarmente rilevanti e dal contenuto rilevante. In questo caso, però, il rinvio non è dinamico, ma è statico, perché si ritiene che la recezione abbia ad oggetto soltanto uno specifico contratto e non altri contratti successivi che il datore di lavoro può liberamente dichiarare di non voler applicare. Quindi, in qualunque momento, il ai fini della retribuzione sufficiente. Parametro di riferimento non vincolante ai fini della determinazione della retribuzione sufficiente. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto è sufficiente e vi avevo detto all'inizio, quando abbiamo parlato delle norme costituzionali, che l'articolo 36 è una norma immediatamente percettiva, cioè che può essere invocata in giudizio direttamente dal lavoratore. Quindi che cosa accade se il lavoratore ottiene una retribuzione ritenuta da lui troppo bassa e nei suoi confronti non si applica il contratto collettivo, quindi prendiamo l'ipotesi di un datore di lavoro che non applica il contratto collettivo. Il contratto individuale prevede una retribuzione che però viene considerata troppo bassa dal lavoratore, il lavoratore può rivolgersi al giudice e chiedere di richiarare valida quella clausola retributiva prevista dal suo contatto individuale perché non coerente con l'articolo 36 della Costituzione. Accade che il giudice applica l'articolo 2099 del codice civile. Stabilisce che in mancanza di norme corporative, oppure di un accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice. Come farà il giudice? Farà riferimento ai contratti collettivi. Quindi questa interpretazione incentiva i datori di lavoro ad applicare il contratto collettivo. La retribuzione minima: apriamo una parentesi Sul salario minimo si sta giocando una partita significativa, si sta discutendo molto di questo tema. Senonché il 2 di ottobre del 2023 la Corte di Cassazione ha pronunciato due sentenze, la 27.712 e la 27.000 Tra l'altro da notare che una di queste due vicende nasce a Torino. I lavoratori full time di un supermercato che avevano come retribuzione mensile circa 980 euro, nonostante fosse un lavoratore full time, una retribuzione molto bassa, chiedono di dichiarare in vario questa riproduzione e chiedono al giudice di sostituire la retribuzione. La Corte di Cassazione in passato aveva appunto spesso ritenuto che la giusta riproduzione dovesse essere individuata nei minimi tabellari previsti dai contratti collettivi. In particolar modo bisognerà andare a vedere qual'è la soglia di povertà individuata dall'Istat e quindi verificare che l'attribuzione prevista sia tale da collocarsi al di sopra della soglia di povertà. Bisognerà andare a vedere qual è il salario medio applicato in una determinata zona per una determinata categoria produttiva, quindi bisognerà fare delle indagini per capire qual è mediamente la risoluzione che viene concretamente applicata per quel tipo di lavoro in una determinata zona, come si fa? I datori di lavoro tutti i mesi devono effettuare delle comunicazioni all'Inps, sono le comunicazioni del flusso Uniemens, che sono delle comunicazioni fatte attraverso dei moduli telematici dai datori di lavoro all'Inps ogni mese, in cui si comunica quanti lavoratori si hanno, che tipi di contratti, qual è la retribuzione pagata, questo al fine del calcolo dei contributi. La Cassazione ci dice che dobbiamo tener conto di queste serie di parametri e anche del luogo geografico in cui si colloca il lavoratore Nel frattempo cosa è successo? Nel frattempo è stata emanata una direttiva europea, la direttiva 2022 numero 2041, stabilisce che se i contratti collettivi hanno un tasso di copertura molto elevato, superiore all'80%, non è necessario emanare una legge sul salario minimo legale, perché può bastare che siano i contratti collettivi a prevedere il salario minimo. Se il contratto collettivo si applica alla quasi totalità dei lavoratori non è necessaria una legge perché sarà il contratto collettivo ad avere il compito di stabilire il salario minimo. Diversamente nei paesi in cui i contratti collettivi hanno un basso tasso di applicazione è necessario emanare una legge. Il nostro paese si trova un po' in pericolo perché abbiamo contatti collettivi con efficacia inter-partners quindi di fatto, formalmente non si applicano tutti, ma grazie ai criteri interpretativi che abbiamo visto I contratti collettivi hanno un tasso di applicazione abbastanza elevato Quest'estate tutti i partiti di opposizione hanno preso l'iniziativa e hanno presentato un disegno di legge sul salario minimo legale, che da un punto di vista simbolico una sfida molto forte per il Governo perché le opposizioni sono riuscite a mettersi d'accordo nonostante tutte le divergenze che hanno perché ritengono che questo sia un tema fondamentale proprio per garantire l'uscita dalla povertà. Il Governo è stato quindi preso un po' in contropiede perché è un tema che il Governo non vorrebbe affrontare ma certo trovarsi di fronte a un disegno di legge presentato da tutte le opposizioni unitarie l'ha messo non poco in difficoltà e quindi cosa ha fatto il Governo Meloni? Ha preso tempo e ha ritenuto che fosse necessario acquisire prima il parere del CNEL, La risposta del CNEL è arrivata il 12 di ottobre, ritenendo che non sia necessario emanare una legge su questo tema, è ritenuto che l'Italia non debba far nulla per porsi in linea con la direttiva, questo perché secondo la contrattazione collettiva offre una copertura molto ampia nel nostro paese, che oscillerebbe fra il 90% e addirittura il 100% dei lavoratori dipendenti, poi è andato ad analizzare le retribuzioni, appunto sulla base delle denunce mensili che i datori di lavoro devono fare all'Inps, quelle che vi dicevo prima, i flussi Uniemens, secondo le quali risulterebbe che il trattamento retributivo previsto dai contratti collettivi firmati da sindacati davvero rappresentativi sono dei trattamenti retributivi adeguati, non si porrebbe alcun problema. C'è poi il problema dei contratti collettivi pirata, di cui già abbiamo parlato, cioè di quei contratti collettivi firmati da associazioni sindacali scarsamente rappresentative e che molto spesso prevengono delle retribuzioni più basse rispetto ai contratti collettivi firmati dai sindacati maggiormente rappresentativi. In Italia vengono firmati circa 900 contratti collettivi nazionali di lavoro, un numero enorme, veramente enorme rispetto alle categorie produttive che significa che in ogni categoria c'è più di un contratto collettivo. Secondo il CNEL di questi 900 soltanto 353 sarebbero pirati. In più ne ha anche detto che un altro grosso problema riguarda il fatto che i contratti collettivi scadono e non vengono rinnovati nei tempi, quindi questo significa che i lavoratori perdono la retribuzione, perché le retribuzioni non vengono adeguate alle frequenze in cui dovrebbero all'inflazione, alla crescita del costo della vita, soprattutto in un momento storico come questo in cui l'inflazione galoppa, tutti i prezzi aumentano, ma le soluzioni sono molto più lenti a recuperare il costo e il valore dell'inflazione, proprio perché i contratti collettivi scadono e non vengono quasi mai rinnovati entro i termini. Ma anche questo problema è stato sminuito, secondo il quale i contratti collettivi italiani, anche quando sono scaduti, e circa il 54% dei contatti collettivi è scaduto, anche quando sono scaduti assicurano comunque un salario adeguato perché continuano ad applicarsi le clausole. L’efficacia soggettiva del c.coll nel settore pubblico Nel pubblico impiego questi problemi che abbiamo visto essere piuttosto rilevanti nel settore privato, non si popolano invece per i dipendenti pubblici Ciò per varie ragioni, la principale è che nel settore pubblico c'è un rappresentante legale del datore di lavoro, cioè un organismo di rappresentanza necessaria, cioè i contratti collettivi del pubblico impiego sul fronte del datore di lavoro vengono sempre firmati dall'Aran, l'associazione per la rappresentanza negoziale, che rappresenta tutti i datori di lavoro pubblici, quindi nel pubblico impiego non può esistere l'ipotesi del datore di lavoro non iscritto all'associazione datoriale, cioè l'organismo pubblico che rappresenta il datore di lavoro lo rappresenta per legge, non può esistere il soggetto datoriale che non viene rappresentato dal soggetto collettivo che ha firmato il contratto collettivo. Questo risolve alla radice i problemi perché come abbiamo visto nel settore privato i problemi più grossi si pongono proprio quando il datore di lavoro che non è rappresentato dall'associazione firmataria. In più abbiamo due norme contenute nel testo unico sul pubblico impiego è il decreto legislativo 175 del 2001, ci sono due norme che ci interessano, l'articolo 45 e l'articolo 40, l'articolo 45,2 stabilisce che le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi. Quindi questo significa che nel settore pubblico c'è un obbligo di rispettare le condizioni minime previste dai contratti collettivi. Questo viene ribadito poi nell'articolo 40,4. Le pubbliche amministrazioni adempiono gli obblighi assunti con i contratti collettivi nazionali o integrativi dalla data della sottoscrizione definitiva e ne assicurano l'osservazione delle forme previste nei rispettivi ordinamenti. Per tornare al settore privato Oltre agli strumenti interpretativi elaborati dalla giurisprudenza, nel corso degli anni sono stati anche introdotti degli incentivi di carattere legislativo ad applicare il contratto collettivo. Quindi sono stati previsti degli strumenti, degli incentivi proprio, con cui il datore di lavoro è spronato ad applicare il contratto collettivo Il prototipo normativo di questi strumenti legislativi può essere individuato nell'articolo 36 dello Statuto dei Lavoratori. Stabilisce che nei provvedimenti di concessione di benefici accordati ai sensi delle vigenti leggi dello Stato, a favore di imprenditori che esercitano professionalmente un'attività economica organizzata dei capitolati di appalto, attivamente l'esecuzione di opere pubbliche, deve essere inserita la clausola esplicita determinante l'obbligo per il beneficiario appaltatore di applicare o di far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria della zona. Tradotto, per poter beneficiare di incentivi economici che sono previsti dalla legge è necessario che il datore di lavoro applichi il contratto collettivo. Questa norma si riferiva appunto all'attività economica organizzata nei capitolati di appalto. E quindi la violazione dell'obbligo di rispettare e di applicare il contratto collettivo determina la revoca del beneficio. In più alcuni tribunali hanno aggiunto però che sì, ai lavoratori FIOM occorre applicare il contratto dei metalmeccanici del 2008, ma occorreva riconoscergli anche i nuovi minimi tabellari previsti dal contratto del 2009, più vantaggiosi. Perché? Perché se si fosse applicata una retribuzione diversa ai lavoratori a secondo che fossero iscritti alla FIOM o agli altri sindacati firmatari, questo si sarebbe tradotto in una discriminazione basata sulla filiazione sindacale. In più si sarebbe violato l'articolo 16 dello Statuto dei Lavoratori che prevede il divieto di trattamenti economici discriminatori, una retribuzione diversa sulla base dell'affiliazione sindacale doveva essere considerata appunto come un trattamento economico discriminatorio. Fortunatamente poi l'unità del fronte sindacale è stata ricomposta anche nel settore degli meccanici. Nel 2016 è stato firmato nuovamente un contratto collettivo unitario che è stato votato con grande apprezzamento da tutti perché ovviamente la firma di un contratto unitario risale alle radici tutto questo genere di problemi che poi vanno ad ingolfare le aule giudiziarie così come nel 2021 si può arrivare a un nuovo rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Contratto collettivo di diritto comune che, come vi dicevo, non vede l'applicazione delle norme del codice civile dedicato ai contratti collettivi corporativi, salvo alcune eccezioni. In particolare l'articolo 2070 del Codice Civile, abbiamo visto prima, che prevedeva l'applicazione del contratto collettivo seconda della categoria, prevedeva quindi un vincolo molto rigido, seconda dell'attività economica svolta dal datore di lavoro si applicava un determinato contratto collettivo. E quindi se l'imprenditore esercita attività economiche differenti di vario genere, avrebbe anche dovuto applicare vari contratti collettivi a seconda dell'attività economica effettuata. Questa norma non è più in vigore, è considerata non compatibile con i principi di libertà sindacale previsto dall'articolo 39, ma ha un residuo ambito di operatività che va sottolineato perché oggi viene ancora utilizzato quando occorre comprendere qual è il contratto collettivo da applicare nel caso in cui non ci sia una perfetta corrispondenza tra la categoria dell'imprenditore e l'attività economica concretamente esercitata. Quindi è utilizzata nel caso in cui il contatto individuale contenga un rinvio esplicito al contratto collettivo ma questo rinvio esplicito sia un po' nebuloso, non chiarisca esattamente qual è il contratto collettivo da applicare. Oggi vige quindi il principio della autodefinizione della categoria e il datore di lavoro che definisce la categoria nell'ambito nel quale svolge le sue attività lavorative e quindi sceglie quale contratto collettivo applicare. Un'altra norma che non si applica più è l'articolo 2072 del codice civile che prevede dei vincoli di forma del contratto collettivo. In epoca corporativa il contratto collettivo doveva essere depositato e poi pubblicato. Oggi questa norma è ritenuta inapplicabile. Si applica viceversa l'articolo 1350 del codice civile che prevede la libertà di forma dei contratti, generalmente riferendo solamente ai contratti collettivi di diritto privato, ma si ritiene che questa norma possa riguardare anche i contratti collettivi, quindi non ci sono particolari vincoli di forma per i contratti collettivi. Un problema particolare riguarda poi le modalità con le quali occorre interpretare il contratto collettivo. Anche su questo si applica una norma dettata per i contratti in genere, l'articolo 1362, che serve, ai criteri di interpretazione dei contratti di diritto privato. Come si fa ad interpretare i contratti collettivi? Bisogna ricostruire la comune volontà delle parti, ci dice il codice civile, privilegiando il senso letterale delle parole, e tenendo anche conto del comportamento delle parti. Questa norma però è stata scritta pensando a dei contratti individuali firmati da due singoli, quindi ha un senso fare riferimento al comportamento delle parti quando si deve interpretare un contratto individuale. Non ha tanto senso invece facendo riferimento a un contratto collettivo perché il contratto collettivo si applica su soggetti diversi rispetto a quelli che lo hanno firmato. E quindi si ritiene che debbano darsi prevalenze i criteri oggettivi di interpretazione dettati dagli articoli successivi, 1363, secondo cui le clausole si interpretano le une per mezzo delle altre attribuendo ciascuna il senso che risulta dal complesso dell'altro. Articolo 1369, le espressioni che possono avere più sensi devono essere nel dubbio intese nel senso più conveniente la natura e l'oggetto del contratto e in più la Cassazione su questo aspetto è intervenuta precisando che le norme del contratto collettivo devono sempre essere lette in coerenza con gli istituti legali su cui vanno ad incidere, quindi in presenza di più significati occorre premiare il significato compatibile con il testo della legge. Su questo aspetto c'è stata poi un'innovazione nel 2006 perché fino al 2006 Il ricorso per Cassazione poteva essere effettuato per varie ragioni, fra cui la violazione, e falsa applicazione dei nomi di legge. Il ricorso per Cassazione è un ricorso di legittimità, cioè quando si arriva in Cassazione si impugna una pronuncia di secondo grado, ritenendo che quella pronuncia abbia male applicato la legge. Fino al 2006 il ricorso per Cassazione riguardava l'erronea o falsa applicazione della legge, cioè la situazione in cui la Corte d'Appello ha interpretato male la legge, quindi non l'ha applicata correttamente. Nel 2006 è stata cambiata questa norma del codice di procedura penale ed è stata aperta la possibilità di fare ricorso in Cassazione anche per violazione o falsa applicazione di norme di legge o di contratto collettivo. E' stata una svolta questa molto rilevante perché è andata intanto a far crescere il rilievo del ruolo della Cassazione. Cassazione che ha un ruolo nomofilattico, cioè di interpretazione del diritto. Interpretazione non solo delle norme di legge, ma anche delle norme del contratto collettivo. Che cosa vuol dire questo? Che benché il contratto collettivo non sia una fonte del diritto in senso proprio, di fatto è stato equiparato sempre di più alla legge, perché è stato accostato alla legge da questa norma processuale, quindi si può ricorrere in cassazione ritenendo che il giudice abbia mal interpretato una norma di legge. C'è però una differenza rispetto alla legge, questa equiparazione delle norme di legge e delle norme di contatto collettivo incontra però un limite, perché le norme di legge vengono date per conosciute dal giudice. Sulla base del principio latino iura novit curia cioè i giudici devono conoscere la legge le norme del contratto collettivo invece non sono conoscibili abbiamo detto prima che abbiamo circa 900 contratti collettivi nel nostro paese quindi quando un avvocato fa ricorso per cassazione ritenendo che sia stata male applicata la legge non dovrà allegare la legge perché si presuppone che i giudici di cassazione conoscano le leggi, ma se invece impugna una sentenza di secondo grado per erronea applicazione delle clausole del contratto collettivo dovrà sempre legare il contratto collettivo nella sua interezza perché non si può presupporre che i giudici di Cassazione conoscono tutti i contratti collettivi, non basta legare la norma violata ma occorre legare l'intero contratto collettivo perché è necessario consentire al giudice di interpretare le clausole le une per mezzo delle altre perché a volte per comprendere il significato di una norma è necessario andare a leggere anche altre disposizioni. Comunque questa modifica di carattere processuale del 2009 ha avuto un rilievo significativo perché sicuramente ha facilitato il ricorso per Cassazione, ha consentito la possibilità per la Cassazione di fornire delle interpretazioni anche sulle norme di contatto collettivo, mentre prima poteva interpretare soltanto le norme di legge e appunto dal punto di vista simbolico ha innalzato il ruolo del contatto collettivo avvicinandosi moltissimo al ruolo della legge, nonostante tutti i limiti che incontrano oggi i contratti collettivi di diritto comune nel nostro paese. È fondamentale sottolineare che i contratti prevedono in genere, al loro interno, una clausola di proroga o di rinnovo tacito di anno in anno, in modo tale da evitare che ci siano dei vuoti normativi fra il contratto scaduto e il suo rinnovo, perché come già vi anticipavo i tempi per i rinnovi sono generalmente piuttosto lunghi. Questo effetto di proroga o di rinnovo tacito si può evitare mediante la disdetta data da almeno una delle parti, quindi l'obiettivo della disdetta non è quello di far cessare anticipatamente gli effetti del contratto, così come si era un po' preteso di fare nella vicenda Fiat quando Fim e Uim avevano disdetto il contratto del 2008 insieme alla Federale Meccanica. L'obiettivo della disdetta è solo quello di impedire che il contratto scaduto continui a produrre effetti dopo la sua scadenza formale. La clausola di ultrattività può essere prevista dai contratti collettivi, ma non è più una caratteristica di legge. I nostri contratti collettivi, a differenza di quelli corporativi, non sono ultrattivi a meno che le parti intervengano introducendo la clausola di ultrattività direttamente nel contratto nel momento della firma di questo. Il contratto collettivo ha una struttura abbastanza complessa; in genere possiamo distinguere al suo interno una parte obbligatoria e da una parte normativa. La parte normativa è quella che contiene la regolamentazione del rapporto di lavoro. Troveremo ad esempio nella parte normativa le clausole che regolamentano l'orario di lavoro, che disciplinano l'utilizzo di varie tipologie contrattuali, quindi che stabiliscono quando si possano termine, quando si possano part-time, che regolamentano gli obblighi del datore e del lavoratore, i suoi diritti, sono quindi quelle parti di cui sono destinatari il datore di lavoro e il lavoratore, quindi la parte normativa si applica direttamente al lavoratore e al datore di lavoro, che sono i destinatari di queste clausole, e la parte normativa punta a regolare in maniera uniforme il rapporto di lavoro. Quindi l'obiettivo è quello di dettare delle regole uguali da applicare a tutti i lavoratori. All'interno della parte normativa troviamo anche le clausole retributive, quindi quelle che stabiliscono i minimi tabellari. La parte obbligatoria invece è quella che va a instaurare degli obblighi non fra lavoratore ed datore di lavoro, ma fra le organizzazioni firmatarie, quindi stabilisce dei vincoli fra le organizzazioni che hanno firmato il contratto collettivo, andando quindi a regolare i rapporti fra le organizzazioni firmatarie. Questa parte inizialmente era piuttosto limitata nei contratti collettivi, ma nel corso del tempo ha visto crescere il suo rilievo e quindi oggi è decisamente più ricca rispetto al passato. Queste due parti, la parte normativa e la parte obbligatoria, non sono divise in maniera netta nel contratto collettivo, non necessariamente. Può anche esserci una certa complementarietà tra raffreddamento, la cui finalità è quella di garantire il rispetto degli impegni assunti dai medesimi. Viene però precisato che queste clausole hanno effetto vincolante, oltre che per il datore di lavoro, nonché per le associazioni sindacali che sia un'espressione delle confederazioni sindacali firmatarie del presente accordo, o per le organizzazioni che adesso aprono formalmente il diritto, ma non per i singoli lavoratori, quindi viene messo nero su bianco che l'efficacia vincolante delle clausole di tregua, che possiamo chiamare anche come clausole di esigibilità o clausole di raffreddamento del conflitto, sono finalizzate a prevedere un obbligo che ricarica l'organizzazione firmatale e la cui violazione produce degli effetti negativi per le organizzazioni sindacali, ma non per i singoli lavoratori. Stessa cosa per i contratti aziendali. Sul testo unico stabilisce che vengano prese varie inserite delle clausole di tregua sindacale, prevedendo delle relative sanzioni in caso di inottemperanza, ma precisando che queste sanzioni vanno ad essere irrigate nei confronti delle organizzazioni sindacali, non nei confronti dei lavoratori. Fino ad allora era la dottrina, era la giurisprudenza che aveva sempre il seguito che le clausole di tregua avessero un efficace vincolante nei confronti delle sue organizzazioni, perché si riteneva appunto che facesse parte della parte obbligatoria del contratto collettivo. Alla luce dell'esperienza della FIAT, le parti sociali hanno scelto opportunamente di regolamentare la questione mediante appunto una clausola e si ritiene il testone sulla rappresentanza. 8. L’evoluzione del sistema contrattuale Nell'immediato dopoguerra il sistema di contrattazione collettiva era un sistema fortemente centralizzato, quasi tutte le potestà venivano attribuite all'accordo interconfederale, era l'accordo interconfederale che ad esempio regolamentava la retribuzione dei lavoratori, che prevede delle regole in materia di licenziamenti individuali e di licenziamenti collettivi, quindi l'accordo interconfederale interviene proprio su questioni riguardanti il rapporto di lavoro. Nel 1954 comincia a cambiare qualcosa perché viene firmato l'accordo interconfederale sul conglobamento degli elementi retributivi. Con questo accordo si riconosce alle federazioni di categoria il potere di negoziare autonomamente i livelli retributivi e questo determina un'accelerata della dinamica salariale quantomeno per le categorie più forti e determina anche un incremento del ruolo della contrattazione nazionale di categoria perché è quella nazionale di categoria che comincia ad occuparsi appunto della retribuzione. Il contratto aziendale invece in questa fase ancora non è formalmente riconosciuto, quindi il contratto collettivo nazionale di categoria CCNL costituisce di fatto il perno, l'asse portante del sistema, perché la disciplina del rapporto di lavoro comincia ad essere regolamentata non più nell'accordo interconfederale ma nel contratto nazionale di categoria. Negli anni 60 è necessario procedere al rinnovo di contratti collettivi nazionali per alcune importanti categorie, questo dal luogo di alcuni momenti di lotta sindacale. Soprattutto la lotta sindacale si sviluppa nel settore ancora una volta metalmeccanico, proprio nel biennio 62-63 quando è necessario rinnovare il contatto dei metallo-meccanici. In questa categoria si verifica un passaggio alla contrattazione articolata, cioè la contrattazione che si sviluppa su più livelli di contrattazione. Quindi comincia a svilupparsi anche la contrattazione aziendale, appunto si parla di contrattazione articolata quando abbiamo un contratto collettivo nazionale, un contratto collettivo aziendale oppure territoriale, quindi due livelli di contrattazioni differenti. Questo passaggio, la contrattazione articolata, è piuttosto lento nelle altre categorie, non è così agevole come è stato nel settore dei metalmeccanici. In ogni caso bisogna sottolineare che all'epoca la contrattazione decentrata era ancora nelle mani dei sindacati a livelli provinciali, perché se vi ricordate abbiamo visto che non c'erano ancora degli organismi abilitati a firmare i contratti collettivi a livello aziendale. Quindi all'epoca i contratti decentrati che dovevano essere territoriali o aziendali venivano ancora firmati dai sindacati a livello provinciale. In questa fase, dal contratto collettivo aziendale era riservata la competenza a trattare materie specifiche che venivano individuate dal contratto nazionale, quindi era il contratto nazionale che diceva su quali materie poteva poi intervenire la contrattazione decentrata, che veniva anche chiamata come contrattazione integrativa perché va a integrare il contenuto del contratto nazionale. Il contratto nazionale stabiliva che certi aspetti delle materie, dei determinati materiali devono essere regolamentati da un contratto integrativo, potrebbe essere aziendale o territoriale. Teniamo conto che all'epoca i contratti decentrati prevedono delle deroghe in melius più favorevoli per i lavoratori, proprio perché magari le aziende erano particolarmente floride, siamo proprio nel periodo del boom economico. In alcuni settori questa articolazione sul livello decentrato si è sviluppata soprattutto a livello territoriale, come nel settore del commercio, mentre in altri settori il livello decentrato si svolgeva per lo più a livello aziendale. In ogni caso, in questo periodo, il decentramento contrattuale, quindi l'impulso a affidare determinate materie ai contratti di livello più vicino ai lavoratori, questo decentramento è ancora molto circoscritto, appunto soltanto poche materie che vengono individuate dal contratto nazionale e quindi anche molto controllato. Nei contratti nazionali ci sono delle clausole di rinvio, che rimandano quindi ai contratti aziendali, ma secondo uno schema ancora molto gerarchico e quindi molto rigido del contratto nazionale, che può rinviare la regolamentazione di alcuni istituti a contratti più decentrati, in modo tale che alcuni istituti vengano regolamentati in maniera più vicina alle esigenze della singola impresa e dei singoli lavoratori. Quindi l'obiettivo è quello di individualizzare le condizioni di lavoro specificate in maniera più dettagliata però in genere appunto in maniera più favorevole per i lavoratori. La situazione comincia lievemente a cambiare negli anni 70 che, se ben vi ricordate, sono anni invece di crisi economica. Proprio in questi anni si verifica di fatto una nuova centralizzazione dei poteri quindi cresce nuovamente il rilievo del contratto nazionale di categoria Anche perché nei contratti aziendali per la prima volta cominciano ad essere introdotte delle deroghe peggiorative, sempre su specifiche materie laddove ci sia un'espressa autorizzazione del contratto nazionale. Però per la prima volta, nel momento in cui il contratto aziendale o territoriale comincia a prevedere delle deroghe in peius, si pone il problema del rapporto fra le fonti. Ovviamente finché il contratto aziendale prevedeva delle condizioni più vantaggiose per i lavoratori, non c'era un'esigenza dei lavoratori di sottrarsi all'applicazione del contatto aziendale, perché era più favorevole. Ma nel momento in cui il contatto aziendale comincia a prevedere delle deroghe in peius, ci si comincia a porre problemi tra l’applicazione del rapporto fra contratto nazionale e contatto aziendale, perché comincia a esserci un qualche interesse da parte dei lavoratori a non vedersi applicato un contratto che prevede delle deroghe peggiorative. Però comunque in questo momento siamo ancora in un sistema molto gerarchico, in cui al vertice del sistema c'è sicuramente il contratto nazionale. Proprio perché comincia a porsi il problema del sistema di contrattazione, quindi di come si deve legare, il protocollo Campi-Giugni del 1993 interviene su questo aspetto andando a prevedere delle regole per la prima volta sul sistema e sulla struttura contrattuale, vi ricordate l'accordo del 93 ha questa importanza storica proprio perché per la prima volta dato il prolungato silenzio del legislatore le parti sociali decidono di dettare delle regole autonomamente e decidono proprio di fra le altre cose, abbiamo visto l'accordo del 93 istituisce la RSU, ma fra le altre cose decidono proprio di dare una struttura al sistema di contrattazione collettiva e quindi chiarire il rapporto fra i diversi livelli di contrattazione, che invece fino a quel momento non era stato definito, ma proprio perché per un bel periodo non ce n'era stata la necessità di definire questo rapporto perché tendenzialmente i contratti integrativi erano più favorevoli quindi non c'era questa esigenza. Questo protocollo del 1993 stabilisce che il sistema di contrattazione collettiva si basa su due livelli. Primo, troviamo il contratto nazionale di categoria e poi troviamo appunto il contatto aziendale o il contatto territoriale, quindi viene chiarito che il sistema è su due livelli, il contatto aziendale e il contatto territoriale sono fra loro alternativi, non sono dei livelli aggiuntivi, o si applica il contratto aziendale o si applica quello territoriale, questo dipende molto secondo delle categorie Quindi dipende proprio da come strutturato il settore unico. ll protocollo del 93 stabilisce anche la durata dei contratti collettivi. Fino ad allora non era stata definita in maniera chiara. E si stabilisce che il contratto nazionale di categoria aveva una durata quadriennale per la parte normativa e biennale per la parte salariale. Perché secondo voi questa differenziazione di durata? Nel 92 era stata abolita la scala mobile, meccanismo automatico con il quale le retribuzioni recuperavano progressivamente e periodicamente l'incremento del costo della vita, l'incremento dell'inflazione. Il che significa che viene affidata all'organizzazione sindacale da recuperare il costo di inflazione, appunto una durata più breve per far sì che il costo di inflazione venga recuperato. Il contratto nazionale e il contratto aziendale avevano delle competenze diverse, non sovrapponibili In particolare, per quanto riguarda gli aspetti economici, il contratto nazionale andava a definire la dinamica degli effetti economici del contratto, tenendo appunto conto dei tassi di inflazione programmata. Si andava a verificare qual era il tasso di inflazione previsto e si doveva stabilire una risoluzione che tenesse conto del tasso di inflazione programmata, in modo tale da tutelare il potere di acquisto. secondo livello possano agevolare la produttività e quindi anche la crescita delle retribuzioni. Come fare per incentivare i contratti di secondo livello? Si stabilisce che la contrattazione di secondo livello va esercitata nelle materie delegate dal contratto nazionale. Queste materie non sono più circoscritte al solo settore retributivo, come nel protocollo del 1993, ma possono riguardare vari istituti. Ma soprattutto la parte più controversa di questo accordo era la possibilità di introdurre delle clausole di uscita, cioè la possibilità per il contratto decentrato di derogare in peius al contratto nazionale. Viene quindi stabilito che nel contratto nazionale possono essere introdotte delle clausole di uscita con cui si autorizza il contratto di secondo livello a discostarsi del contratto nazionale e derogare in Peius. E questo è l'aspetto centrale ed è la ragione per la quale si è poi messa in moto tutta la vicenda FIAT. Nel settore metallo-meccanico c'era un contratto del 2008 unitario. Nel frattempo viene firmato questo Accordo Quadro del 2009 che consente ai contratti nazionali di introdurre delle clausole di uscita con cui autorizzare la contrattazione aziendale a derogare in peius. Ed è ciò proprio che si intende fare nel settore metalmeccanico Sotto la pressione della FIAT Federmeccanica chiede a firma Eurim di procedere alla firma di un contratto collettivo, il contratto collettivo dei metalmeccanici del 2009, successivo quindi a questo protocollo, nel quale vengono appunto introdotte delle clausole di uscita, con le quali autorizzare i contatti aziendali a derogare in peius, e infatti poi seguono i contatti aziendali, quelli di Pomigliano, Mirafiori e Del Pertone. Nel sistema del contratto del 93, tutto questo non sarebbe potuto accadere perché i contatti aziendali non avrebbero potuto trovare dentro le deroghe in peius così significative. Quindi l'obiettivo era stato quindi firmiamo un nuovo accordo quadro che consente alla contrattazione nazionale l'introduzione delle clausole di uscita. Il passaggio successivo è stata una riscrittura del contratto dei metalmeccanici, introducendo queste clausole di uscita e non curandosi del fatto che esisteva già un contratto di metalmeccanici pienamente in vigore, diciamo che si sarebbe dovuto aspettare la naturale esperienza di quel contratto per azionare questa modifica. Invece le parti avevano voluto accelerare i tempi, approfittare della possibilità ora consentita nell'accordo quadro e quindi autorizzare la firma di contratti aziendali derogatori. Questo protocollo introduce altre novità, in particolare cambia la durata del contratto collettivo che non è più quadriennale per la parte normativa e biennale per la parte economica, ma è triennale nel suo complesso. E questo che conseguenze comporta? Su piano retributivo ovviamente delle conseguenze negative perché non bisogna più aspettare solo due anni per vedere aggiornate le risoluzioni, ma adesso bisogna aspettare tre anni prima che si intavolare una trattativa con cui recuperare il costo dell'inflazione, quindi tempi più lunghi per l'aggiornamento delle risoluzioni, quindi di fatto un danno economico per i lavoratori perché l'inflazione continua a correre, ma occorre aspettare tre anni affinché quel costo dell'inflazione venga recuperato In più, altro passaggio negativo per i lavoratori è il cambiamento del tasso utilizzato per calcolare appunto il valore dell'inflazione, quindi l'incremento della riproduzione Fino ad allora si faceva ricorso al tasso di inflazione programmata. L'accordo del 2009 invece introduce un nuovo tasso che si chiama Indice Previsionale sulla base dei prezzi al consumo armonizzati in ambito europeo, in sintesi l'indice IPCA. Cosa cambia nella sostanza? Cambia che i tassi, secondo questo indice, vengono fissati a ribasso e soprattutto sono depurati dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici. Cosa vuol dire? Che non si tiene conto dell'incremento del costo dei beni energetici, fra i quali troviamo ovviamente il valore del petrolio, della benzina e del gasolio. Ma l'incremento del valore del prezzo al consumo di questi beni energetici incide in realtà in maniera molto significativa sulle tasche delle persone e dei lavoratori. Il risultato è di fatto che si fa riferimento ad un tasso più basso che non consente più un recupero totale del valore dell'inflazione. Quindi il valore nominale della retribuzione di fatto viene sempre più scalfito, soprattutto in periodi come quello attuale in cui il costo dell'inflazione è davvero molto galoppante, quindi tempi più lunghi per recuperare i valori dell'inflazione e cambiamento dell'indice che viene preso a riferimento per calcolare l'incremento delle risoluzioni. Quindi penso che ora avrete capito meglio quali sono le ragioni per le quali la CGIL si è rifiutata di firmare questo accordo, proprio perché gli aspetti negativi per i singoli lavoratori erano davvero molto significativi. All’accordo interconfederale del 2011 e al successivo TU sulla rappresentanza del 2014 In particolare l'accordo del 2011 segna una svolta rispetto al protocollo che va a ripetere anche il ruolo centrale del contratto nazionale, che era stato messo in dubbio dall'accordo del 2009. Nel 2009 appunto c'è stato un forte impedimento di spingere fortemente verso il decentramento contrattuale. Nel 2011 invece viene riscritto nero su bianco che è il contratto collettivo nazionale di categoria ha la funzione di garantire la certezza di trattamenti economici normativi comuni per tutti i lavoratori del settore comunque impiegati nel territorio nazionale, quindi è lo strumento che deve essere utilizzato per garantire dei trattamenti comuni delle condizioni di lavoro. Viene inoltre precisato che la contrattazione aziendale si esercita per le materie che vengono delegate espressamente dalla connotazione nazionale. Quindi viene lasciata una porta aperta alle modifiche da parte del contatto aziendale, anche la possibilità di introdurre delle modifiche in peius, ma questa modifica in peius deve essere fortemente coordinata con il contratto nazionale, quindi ci deve essere un’espressione del contratto nazionale, soprattutto viene precisato che il contratto nazionale è il fermo del sistema, viene quindi ribadito che il contatto nazionale è gerarchicamente sovraordinato al contatto aziendale o territoriale. Il problema è che questo equilibrio che faticosamente era stato raggiunto dalle parti sociali è rischiato di essere totalmente compromesso dal legislatore. Qui siamo il 28 giugno del 2011. Il legislatore porta all’emanazione di quel decreto legge 138 del 2011, ultimo atto del governo Berlusconi prima di dimettersi, nel tentativo di risollevare le sorti economiche del nostro Paese. L'Italia era in una situazione di gravissima crisi nel 2011. Dall'Unione Europea arrivavano delle missive un po minacciosa, in cui ci invitavano a cercare di ripianare i conti pubblici del nostro Paese, quindi viene approvato questo decreto che fa una riforma del sistema finanziario, all'interno del quale viene inserito questo articolo 8, che va a incentivare fortemente la contrattazione di secondo livello, una contrattazione decentrata. Quale può essere l'unico netto con le questioni finanziarie? Coloro che sostenevano la necessità di incrementare al ruolo una contrattazione decentrata, ritenevano che questo potesse essere uno strumento per incrementare la produttività delle imprese e ovviamente avrebbe influenzato la situazione economica del nostro Paese, rendendola di nuovo un pochino più florida. Il rischio in realtà è quello di determinare una spaccatura dell'inderogabilità del diritto del lavoro, in modo tale che ogni impresa possa un po' impiegarsi il diritto del lavoro che più è gradito. Un intervento legislativo molto discusso: l’art. 8, d.l. 138/2011 conv. in l. 148/2011 Questo articolo 8 è una norma che è stata e continua ad essere oggetto di moltissime critiche, nonostante siano passati ormai vari anni. Che cosa stabilisce? I contratti collettivi di lavoro, sottoscritti a livello aziendale o territoriale, da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali o per altri d'azienda, nel senso della normativa di legge e degli accordi territoriali di legge, l'accordo interconfederale 28 giugno 2011, possono realizzare delle specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate da maggior occupazione alla qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, all'immersione del lavoro al salario, alla gestione delle attività aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'invio di nuove attività. Quindi questo programma per il momento ci dice che possono essere sottoscritti degli accordi aziendali o territoriali, devono perseguire determinate finalità, quelle qui elencate. E questi accordi hanno un nome nuovo che viene inventato dal legislatore del 2011. il che significa che non stiamo parlando dei soliti contratti aziendali o territoriali, stiamo parlando di una specie particolare. Contratti di prossimità, che vengono introdotti con questa norma. Sono stili di contatti aziendali e territoriali ma un po' particolari. Comma 2. Le specifiche intese di 2 e comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti all'organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento: - A) gli impianti audiovisivi e l'introduzione di nuove tecnologie. Questo ha a che fare con la possibilità di controllare l'attività dei lavoratori. - B) le mansioni del lavoratore, la classificazione, l'inquadramento del personale. - C) contratti a termine, contratti a orario ridotto, modulato, estensibile, regime di solidarietà degli appigli e casi di ricorso alla somministrazione di lavoro. - D) disciplina dell'orario di lavoro e modalità di assunzione e discipline del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto, le partite IVA, le trasformazioni e le conversioni dei contratti di lavoro, le conseguenze dell'accesso del rapporto di lavoro, fatta eccezione per solo il licenziamento discriminatorio, i comitati dei matrimoni, il licenziamento della lavoratrice, all'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione del lavoro, nonché fino ad un anno di età di bambino, il licenziamento a caso di una domanda dell'assoluzione del congedo parentale o per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore del licenziamento in caso di elusione o affinamento Si è parlato di una bomba orologeria, cioè dell'introduzione di una possibilità per le parti sociali di arrivare a delle intese in qualunque momento che vanno a disattivare le norme o del contatto nazionale o addirittura le norme di legge, andando quindi a rendere inutile la previsione di una norma di legge in un determinato ambito. Come hanno reagito le parti sociali? Le parti sociali hanno aggiunto una postilla nell'accordo del 2011, precisando che si impegnano a non applicare l'articolo 8. Questa norma di fatto va a compromettere il principio dell'inderogabilità che è il principio sulla base della quale si cerca di tutelare gli interessi collettivi. La norma di legge nel prevedere delle regole che devono essere rispettate uniformemente individua degli interessi collettivi meritevoli di tutela e se ne fa portatore Ma consentendo la derogabilità da parte di un contratto decentrato si compromette questa tutela degli interessi collettivi e soprattutto si fa sì che gli interessi individuali di una parte, che gli interessi dell'impresa, possa essere più importante della tutela degli interessi della collettività salvaguardato dalla legge. Quindi questa norma ha sicuramente segnato un salto di qualità nella spinta verso il decentramento. L'accordo del 2009 già aveva fortemente spinto verso il decentramento contrattuale, ma questa norma è molto più pericolosa, rispetto all'accordo del 2009, proprio perché consente in qualunque momento, in qualunque azienda, di firmare accordi decentrati peggiorativi. Fin da subito sono stati sollevati dei dubbi di legittimità costituzionale, la corte è intervenuto, ma su temi molto specifici per cui al momento non è ancora riuscita, per così dire, a pronunciare l'incostituzionalità di questa norma, ma ne ha fornito un'interpretazione. Ad ogni modo, c'è da sottolineare che nel 2011 ad oggi si sono alternati molti governi di colore politico molto diverso fra di loro nonostante le forti critiche che ha ricevuto questa norma non è mai stata abrogata quindi non possiamo neanche dare tutta la colpa al governo che l’ha emanata Che cosa è successo sul piano pratico? L'articolo 8 di fatto è una sorta di tabù, che si fa ma non si dice. Quindi in alcune aziende, nonostante l'aggiunta delle parti sociali all'accordo del 28 giugno 2011, effettivamente sono stati siglati accordi dialogatori in peius. Cosa vuol dire si fa ma non si dice? Che hanno cominciato a stipulare dei contratti di prossimità senza dire che erano dei contatti di prossimità, cioè dei contatti aziendali in cui sono state introdotte delle deroghe ma senza scrivere sopra questo l'accordo a norma dell'articolo 8 del decreto legge 138 del 2011, hanno semplicemente agito con un accordo peggiorativo perché per non rendere tanto evidente il fatto che si trattava di un'intesa di prossimità, proprio perché c'era un impegno delle parti sociali a non applicare questa norma, però come vi dicevano alcune aziende noi alcuni sindacati di fatto hanno ceduto a queste pressioni. Mentre sul sito del CNEL c'è una banca dati dei contatti politici nazionali di lavoro da alcuni anni, i contatti aziendali non sono raccolti in una banca dati Ad ogni modo, alcune limitazioni sono poi state introdotte successivamente, in particolare nel luglio del 2020 è stata firmata una circolare dall'ispettorato nazionale del lavoro, ha stabilito che al fine della validità questi contatti di prossimità devono essere depositati telematicamente Diversamente non si potranno beneficiare dei benefici economici previsti dal contratto stesso quindi è stabilito che i contatti in prossimità devono essere depositati telematicamente, subordinando questa condizione la possibilità di beneficiare delle condizioni favorevoli dal punto di vista economico. Di fatto questa circolare ha avuto uno scarsissimo seguito. Perché? Perché in caso di mancato deposito, del contatto di prossimità, l'azienda perde i benefici economici, ma non i benefici normativi. Normalmente queste intese vengono siglate proprio per prevedere dei benefici normativi, cioè la la mancata applicazione di una legge si traduce in una facilitazione per l'azienda. Questo beneficio non è economico, ma è un beneficio normativo, cioè un'agevolazione, una flessibilizzazione nella gestione dei rapporti di lavoro. Ci ha pensato poi la giurisprudenza a cercare di limitare questi accordi, sono varie pronunce, i tribunali in anni recenti, in particolare queste pronunce hanno puntualizzato meglio, una serie di condizioni che devono essere rispettate affinché si possa parlare d'avere un contratto di prossimità andando a valorizzare proprio la lettera dell'articolo 8, quindi procedendo ad una interpretazione molto rigorosa dell'articolo 8. In particolar modo perché questi accordi di prossimità siano validi, occorre che il giudice accerti che le organizzazioni stipulanti siano davvero comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, quindi procedendo ad una verifica della maggiore rappresentatività Nel contratto, in secondo luogo deve essere esplicitato che si tratta di un accordo di possibilità a norma dell'articolo 8, quindi non va bene fare come si è fatto nei primi anni, cioè procedere alla contrattazione di possibilità senza dirlo. Questo perché deve essere possibile per il giudice verificare, da un punto di vista formale, che il contratto in questione corrisponda alle indicazioni fornite dall'articolo 8. L’interpretazione elaborata dalla Corte Costituzionale Ma come vi dicevo, su questa norma è già intervenuta un paio di volte la Corte Costituzionale. La prima volta era intervenuta nel 2012 con la sentenza 221. In questo caso però l'articolo 8 era stato impugnato dalla regione Toscana che aveva lamentato di fatto la violazione della potestà regionale. ll fatto che l'articolo 8 consenta di derogare su varie materie oggetto del diritto del lavoro, potrebbe aprire anche una violazione della potenza regionale, perché potrebbero essere derogate anche delle leggi regionali. La consulta però aveva dichiarato infondata questa questione, perché aveva precisato che l'elenco di materie confermato nell'articolo 8 è un elenco di materie tassativo e quindi queste specifiche intese sono destinate ad operare soltanto nell'ambito delle materie oggetto di una competenza esclusiva dello Stato. Più interessante invece la sentenza più recente, 52 del 23. In caso la questione di costituzionalità è stata sollevata dalla Corte d'Appello di Napoli nel febbraio del 2022. La vicenda che era esaminata dalla Corte d'Appello di Napoli riguardava un gruppo di lavoratori che chiedevano l'applicazione e il riconoscimento di una serie di differenze retributive cioè ritenevano che il datore di lavoro non avesse pagato loro tutto ciò che gli aspettava. Ma il datore di lavoro contestava questa loro ricostruzione perché c'era appunto un contatto di prossimità sindacato maggiormente rappresentativo e che le eroga impegni al contratto collettivo nazionale di categoria. E quindi si poneva in dubbio su quale accordo dovesse essere rispettato. Corte d'appello di Napoli dubita della legittimità costituzionale di questa norma, solleva varie questioni in relazione agli articoli 2 della Costituzione, l'articolo 39, commi 1 e 4. A questo punto la Corte Costituzionale fa una cosa particolare, cioè ci chiarifica qual è la distinzione tra un contratto aziendale e un contratto aziendale ma di prossimità. Ci dice attenzione perché il contratto di prossimità non è come in qualunque contatto di secondo livello. Non è un contatto aziendale o territoriale qualunque, ma è uno specifico accordo aziendale o territoriale. E perché si possa parlare di un contatto di prossimità non basta che le parti lo qualifichino come tale, quindi non basta scriverci sopra contatto di prossimità a norma dell'articolo 8. Quello è necessario, ce l'ha detto la giurisprudenza, ma non basta. ll contratto per essere qualificato come di prossimità deve avere una serie di caratteristiche. Sono quelle previste dall'articolo 8, ma che l'accordo costituzionale più valorizza molto. E ci dice che se quelle caratteristiche che adesso andiamo a vedere non sono presenti, davanti abbiamo non un contratto di prossimità, ma un contratto aziendale qualunque Ci sono delle differenze più forti fra un contratto aziendale qualunque e un contratto di prossimità, perché il contratto aziendale ordinario, ci dice il rapporto costituzionale testualmente, è dotato di un'efficacia solo tendenzialmente estesa a tutti i lavoratori in azienda. Il contatto aziendale tendenzialmente si applica a tutti i lavoratori perché prevede delle discipline degli istituti che all'interno della singola azienda devono essere regolamentati in maniera unitaria. Non è pensabile che un datore di lavoro applichi delle regole diverse su certi lavoratori rispetto ad altri. Quindi tendenzialmente un contatto aziendale ha un'applicazione unitaria, ma appunto soltanto tendenzialmente, perché è sempre aperta la possibilità per il sottrarre l'applicazione di quel contrario facendo valere l'espresso di senso e ciò che abbiamo già visto ad esempio della Fiat. Viceversa un contratto di prossimità ha applicazione generalizzata, perché lo dice la norma stessa, vi ricordate che abbiamo messo prima? Ha efficacia generale perché si ha però fatto dall'analisi di un criterio maggioritario e questa è una differenza molto significativa perché i dissenzienti non possono sottrarsi dall'applicazione del contratto di prossimità. La Corte Costituzionale quindi sottolinea che la contrattazione di prossimità è eccezionale rispetto alla contrattazione decentrata ordinaria, è una specie particolare ed eccezionale. Quindi il giudice che è chiamato a valutare un accordo deve prima di tutto verificare che quell'accordo lì sia davvero di prossimità e non basta che ci sia scritto sopra accordo di prossimità, ma devono essere rispettate una serie di condizioni, anzitutto l'accordo di prossimità deve essere sottoscritto da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale o dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda. Quindi c'è una definizione legale di soggetto legittimato a sottoscrivere gli accordi sindacali e questa definizione va molto valorizzata, andando a verificare che davvero i sindacati firmatari siano comparativamente più rappresentativi. In secondo luogo ci dice che deve essere rispettato il criterio maggioritario, criterio maggioritario che non viene chiarito dalla legge stessa, ma la Corte Costituzionale ci dice che ci deve essere uno strumento per verificare davvero la maggioranza e questo strumento può essere il referendum, quindi bisogna fare ricorso al referendum per verificare che davvero quell'accordo abbia la base della maggioranza. In terzo luogo, l'accordo sottolinea che l'accordo di prossimità è davvero di prossimità soltanto se persegue una delle finalità tassativamente indicate nel tra di loro, arrivare davanti all'associazione territoriale già con una piattaforma condivisa tra le organizzazioni sindacali. Questa piattaforma è considerata condivisa laddove abbia l'avallo dei sindacati in grado di rappresentare il 50% più uno dei lavoratori e quindi viene applicata la regola della maggioranza fin dall'inizio della trattativa, non soltanto per la conclusione dell'accordo ma anche per predisporre la piattaforma. L'obiettivo è proprio quello di evitare gli accordi separati che in passato hanno causato problemi. Il contratto nazionale, inoltre, è valido se è poi firmato dall'associazione sindacale in grado di rappresentare il 50% più uno dei lavoratori. E' a condizione che, sottoposto al referendum, ottenga il consenso della maggioranza dei lavoratori. ll risultato è che se l'accordo è firmato dai sindacati che rappresentano il 50% più uno dei lavoratori e è sottoposto al referendum è approvato dalla maggioranza dei lavoratori, questo accordo sarà valido anche nei confronti dei dissenzienti e vincola anche i sindacati che non lo abbiano sottoscritto, che sono quindi tenuti ad astenersi da ogni azione di contrasto. È un dominio della maggioranza, potremmo dire no? Ma un dominio della maggioranza adeguatamente regolato. L'obiettivo è proprio quello di evitare dell'iniziativa di singoli sindacati che possano tradursi in accordi separati. Serve la maggioranza dei sindacati e anche la maggioranza dei lavoratori. Non siamo di fronte ad un accordo con l'efficacia di erga omnes però, possiamo comunque dire che i contratti collettivi nazionali che siano stati rispettati e che siano stati firmati alla luce di queste condizioni sono vincolanti nei confronti di tutti i sindacati che hanno partecipato alla trattativa, anche se poi non lo hanno firmato. L'estensione invece a quei sindacati che non hanno neppure partecipato alla trattativa non può essere prevista con l'accordo, ma può essere prevista soltanto per la legge. La normativa consente di rendere valido ed efficace il contratto collettivo nazionale firmato e approvato dalla maggioranza dei sindacati e della maggioranza dei lavoratori, lo rende esigibile ed efficace nei confronti di tutti i sindacati che abbiano partecipato alla trattativa, anche se dissenzienti. Quindi testo unico, introduce delle regole per riconoscere efficacia generalizzata, ai contratti collettivi, appunto, basate sulla maggioranza dei sindacati e la maggioranza dei lavoratori. Una regolamentazione simile, è stata poi prevista anche per la contrattazione collettiva aziendale, andando a distinguere due ipotesi, cioè l'ipotesi in cui il contatto aziendale è firmato dalla RSU, dall'ipotesi in cui invece in azienda ci sono ancora le RSA e quindi se l'azienda ha firmato il contatto ll percorso verso la definizione di regole condivise, quindi per la realizzazione di un sistema di contrattazione collettiva ordinato, sicuramente ha subito un'accelerata nel 2014 ma non si è concluso nel 2014. Alcuni aspetti di questo testo unico non sono ancora ben definiti, non sono quindi neanche ancora concretamente applicati tutti gli aspetti di questo testo unico. Sicuramente ci sono stati dei passi avanti successivi, negli anni dopo. In particolare nel 2016 è stato firmato un documento unitario, il 18 gennaio del 2016, che si intitola Un moderno sistema di relazioni industriali, con cui si è cercato proprio di accelerare questo progetto di riforma delle relazioni collettive. Patto per la fabbrica, 9 marzo 2018 Ma soprattutto, il 9 marzo del 2018 è stato firmato il patto per la fabbrica, un altro accordo interconfederale, previsto l'introduzione di nuovi elementi aggiuntivi e in primo globo questo patto per la fabbrica ha introdotto la misurazione della rappresentatività non solo per le organizzazioni sindacali ma anche per le organizzazioni datoriali. L'accordo 2014 si rivolgeva soltanto ai sindacali 50% più 1 riguardavano soltanto i sindacati. ll fatto per la fabbrica invece prevede che anche la rappresentatività delle organizzazioni datoriali debba essere oggetto di verifica, proprio per evitare il rischio di accordi pirata. Gli accordi pirata vengono firmati da associazioni scarsamente rappresentative su entrambi i lati. Quindi conoscere l'effettivo livello di rappresentanza di entrambe le parti stipulanti di un contratto collettivo è un elemento effettivamente indispensabile per consentire un sistema regolare che non sia caratterizzato da una proliferazione eccessiva dei contratti collettivi. Un secondo elemento introdotto dal patto per la fabbrica ha riguardato le voci retributive, perché è stato precisato ancora una volta che il sistema di contrattazione collettiva si svolge su due livelli, contatto nazionale, contatto aziendale o territoriale, quindi viene ribadito per l'ennesima volta che i livelli sono due. Ma viene anche precisato che il trattamento economico è composto da due voci diverse, il primo è il trattamento economico minimo, che viene ribattezzato con l'acronimo TEM, che rappresenta i minimi tabellari e che varia a seconda dell'indice Inca. Da notare che tutta la parte economica era stata prevista dall'accordo del 2009, quindi l'abbaglio del tasso di inflazione programmata a vantaggio dell'indice Inca, il nuovo meccanismo di recupero del costo di un'inflazione è rimasto, quanto previsto, da un accordo separato, meno vantaggioso. Così come il testo unico del 2014 non è intervenuto sulla durata del contratto collettivo, che resta triennale per tutto il contratto. Ora viene precisato che c'è il trattamento economico minimo,cioè i minimi tabellari che vengono regolati sulla base dell'Indice Inca e poi c'è il trattamento economico complessivo che va a comprendere tutte le componenti salariali oltre al minimo, il TEC va a comprendere tutte quelle componenti ulteriori che si aggiungono al minimo tabellare, sui quali la voce in capitolo proprio la contrattazione aziendale, perché è la contrattazione aziendale che va a individuare queste componenti aggiuntive. La risoluzione è composta da molteplici voci, quindi il minimo tabellare è soltanto la base, il minimo a punti sotto il quale non si può andare. L’archivio Cnel dei CCNL La misurazione della rappresentatività è stata realizzata mediante un accordo stipulato con il CNEL. Inizialmente, infatti, la misurazione della rappresentatività dei sindacati era affidata a CNEL, che aveva il compito di andare a verificare quanti deroghe per il pagamento dei contributi sindacali non state versate nei vari sindacati e ponderare questo con i risultati elettorali. Oggi è l'Inps che ha il compito di verificare quali siano i sindacati rappresentativi e verificare se si raggiungono queste soglie di rappresentatività fissate dal testo unico sulla rappresentanza Sono poi state introdotte altre novità per cercare di contrastare i fenomeni della contrattazione separata e della contrattazione collettiva pirata. In particolar modo è stato istituito un archivio nazionale dei contratti collettivi nazionali di lavoro, presso il CNEL c'è proprio un archivio dei contratti collettivi nazionali, che oggi è ovviamente consultabile digitalmente. Questo archivio è stato istituito nell'86 ma soltanto recentemente ha cominciato a funzionare molto bene, soprattutto sotto la presidenza del professor Treu che ha investito molto proprio sulla realizzazione di un archivio digitale dei contratti collettivi nazionali facilmente consultabile. Una novità importante è stata introdotta però nel 2020 con la legge 120 di 2020 in cui l'articolo 16 quater ha introdotto il codice alfanumerico univoco per indicare i contratti collettivi, per rendere inequivocabilmente chiaro qual è il contratto collettivo che si intende applicare. L'obiettivo è proprio quello di risolvere alla radice il problema della confusione causata da questa moltitudine di contratti collettivi. In che modo? Come vi dicevo, ogni mese i datori di lavoro devono effettuare delle comunicazioni all'INPS le dichiarazioni e le denunce retributive e al Ministero del Lavoro, quindi sono i flussi uniemens, delle comunicazioni digitali che gli attori di lavoro devono rispettare all’INPS e al Ministero per comunicare con quanti lavoriamo e con quali tipologie contrattuali qual è la risoluzione e quali sono i contributi di avversaria. Ovviamente queste comunicazioni non hanno soltanto una finalità statistica, hanno proprio la finalità anche di consentire di calcolare i contributi da opporre ai singoli lavoratori che variano sulla base della retribuzione. Nell'effettuare queste comunicazioni il datore di lavoro deve inserire il codice alfanumerico del contatto collettivo che intende applicare. L'obiettivo è quello di rendere conoscibile a livello nazionale quali sono i contatti collettivi più applicati. Questo consente di distinguere più facilmente tra contratti collettivi firmati da sindacati rappresentativi e contratti collettivi invece pirata, firmati da soggetti scarsamente rappresentativi. E consente di individuare anche più facilmente i datori di lavoro che applicano contratti collettivi pirata Efficacia nel tempo del contratto collettivo nazionale Vediamo ancora l'efficacia nel tempo del contratto collettivo nazionale di lavoro, quindi che cosa accade quando il contratto collettivo scade. Nel nostro Paese vale il principio della non perpetuità dei vincoli obbligatori, quindi vincoli contrattuali, non possono essere perpetrati, devono avere sempre una scadenza, contratti collettivi stabilita adesso dagli accordi interconfederali attualmente di tre anni. Questi accordi molto spesso contengono delle clausole di rinnovo tacito alla scadenza che può essere impedito mediante la disdetta data da una delle parti. La disdetta quindi non serve per anticipare la scadenza naturale del contratto, ma soltanto per impedire che il contratto scaduto continua a produrre i suoi effetti. Fra il contatto nazionale e l'altro, quindi fra il contratto scaduto e il suo rinnovo, potrebbe esserci un periodo di vuoto normativo. Questo periodo di vuoto normativo non c'è se viene introdotta la clausola di ultrattività, fa sì che il contratto è scaduto, continui ad essere applicato fintanto che non viene rinnovato e quindi non è in pericolo il suo rinnovo. Questa causa di ultrattività, non è più prevista per legge ma può essere introdotta in contratti collettivi molto spesso in effetti è prevista proprio per evitare il vuoto normativo. Il problema è che in passato esistevano delle norme introdotte nell'accordo interconfederale del 1993 che incentivano le parti sociali a rinnovare i contratti in termini rapidi per evitare dei rinnovi molto lenti, a distanza di molto tempo dalla scadenza. In particolar modo il protocollo del 1993 prevedeva una procedura molto rigida da rispettare e stabiliva che le trattative per il rinnovo del più bassa, nei confronti dei nuovi assunti, perché non è più vincolato dal contratto collettivo, che in quel momento è scaduto e conseguentemente potrebbe anche essere pattuita una nuova retribuzione nei confronti dei lavoratori già regolarmente assunti. La Cassazione ha anche precisato che un nuovo contratto collettivo può prevedere una retribuzione peggiorativa rispetto al contratto collettivo precedente. Non è vietato. Generalmente i contratti collettivi prevedono delle retribuzioni più elevate a mano a mano che si rinnovano perché vanno a recuperare il costo dell'inflazione. Però può anche accadere che il contratto collettivo rinnovato preveda una retribuzione più bassa e questo viene consigliato legittimo dalla Cassazione, purché la nuova risoluzione sia sempre coerente con l'articolo 36 della Costituzione, quindi col principio di proporzionalità e sufficienza della risoluzione stessa. Questo però non è un orientamento unico. Su questo aspetto la giurisprudenza ha seguito orientamenti differenti, quindi ci sono anche delle sentenze minoritarie che stabiliscono invece una cosa del tutto opposta, cioè che nel momento in cui scade il contratto, non scadono invece le clausole retributive, perché la retribuzione è appunto una valenza costituzionale. Questo orientamento minoritario è stato però rigettato dalle sezioni unite della Cassazione, che sono intervenute su questo aspetto nel 2005. In particolare la Cassazione con le sue sezioni unite ha precisato che i contratti di diritto comune non sono di per sé ultrattivi e dunque neanche la clausola retributiva può essere considerata retroattiva a meno che non sia espressa previsione di assenso nel contratto stesso. Dunque le sezioni unite hanno confermato l'interpretazione maggioritaria, quella secondo cui in serie di rinnovo si può abbassare la retribuzione tra l'altro un nuovo rinnovo contrattuale può prevedere una riduzione più bassa. Proprio a proposito del rinnovo del contratto collettivo e della previsione di nuove clausole retributive si è poi discusso con riguardo ad una questione particolare, cioè con riguardo ai trattamenti più favorevoli. Il contratto individuale non può derogare in peius, al contratto collettivo, a norma dell'articolo 2077 del codice civile, ma può sempre prevedere delle deroghe in meius e può in particolare prevedere dei trattamenti retributivi più favorevoli. Nel contratto individuale si può fare riferimento alla contrattazione collettiva per stabilire qual è il minimo tabellare e poi però possono essere previste delle retribuzioni più elevate nei confronti di questo collaboratore. Che cosa accade però quando il contratto collettivo scaduto viene sostituito da un nuovo contratto collettivo. Facciamo l'esempio più classico, un nuovo contratto collettivo che prevede una retribuzione più elevata, questo è quello che normalmente avviene proprio perché si va a recuperare il costo dell'inflazione. Ci si è chiesti, questa retribuzione più elevata che è prevista dal contratto collettivo più recente va ad assorbire i trattamenti più favorevoli previsti nei confronti di un singolo lavoratore? Cerco di esemplificare. Contratto collettivo scaduto prevedeva una retribuzione di 10. Contratto collettivo rinnovato prevede una retribuzione di 11. Il lavoratore, quel singolo lavoratore già guadagnava 11 perché prevedeva nel suo contatto individuale era prevista una retribuzione minima prevista dal contratto di 10, ma poi era previsto un 1 in più come trattamento di miglior favore nei confronti del lavoratore. A seguito dell'applicazione del nuovo contratto collettivo più favorevole che già prevede una retribuzione più favorevole di 11, quel lavoratore specifico continuerà a guadagnare 11 o guadagnerà 11 più 1 e quindi si porterà dietro quel trattamento più favorevole che gli era stato riconosciuto probabilmente in fase di istruzione, in un momento particolare del rapporto di lavoro. Anche su questo ci sono ovviamente due distinzioni da sottolineare. Stiamo parlando in questo caso dei super minimi sono quelle condizioni di lavoro più favorevoli nei confronti del singolo lavoratore. E la domanda è, i superminimi vengono riassorbiti a seguito della stipulazione del nuovo contratto collettivo o continuano ad esistere? Bisogna appunto distinguere a seconda della tipologia dei superminimi per capire se vengono riassorbiti o meno. I superminimi possono infatti essere generali, oppure di merito. I superminimi generali sono quei trattamenti di miglior favore che vengono riconosciuti ai lavoratori di una certa azienda ma non in ragione di uno specifico merito di quel lavoratore. Quindi i superminimi generali sono riconosciuti ai lavoratori degli incentivi tendenzialmente, ma non sono collegati ad una qualità del lavoratore. Magari un'azienda che è particolarmente florida in quel periodo riconosce un superminimo tutti i suoi dipendenti, appunto come premio per la produttività o come incentivo a continuare a lavorare bene per mantenere in alto levate la produttività. I super minimi di merito sono conosciuti anche come super minimi intuitu personae, in latino, e sono collegati invece ad una qualità del lavoratore. Questi superminimi sono riconosciuti ad un lavoratore in ragione di un suo particolare merito, cioè perché quel lavoratore sa particolarmente bene una determinata attività e allora gli riconosco una riproduzione più elevata rispetto a quella che gli spetterebbe. Dunque, a fronte del rinnovo del contratto collettivo che prevede una riproduzione più elevata rispetto a quella precedente, c'è una presunzione generale di assorbibilità dei superminimi generici, cioè quelli che sono stati versati non in relazione ad una qualità della persona vengono riassorbiti, quindi nell'esempio di cui prima il lavoratore continua a guadagnare 11, non beneficia pienamente o ne beneficia in parte, dipende se il nuovo contratto collettivo prevede un incremento che va al di sopra del superminimo o se invece è un incremento identico con il superminimo. Con riguardo invece ai superminimi di merito, quindi quelli collegati alle qualità della persona, si ritiene che questi non vengano assorbiti e quindi nell'esempio di cui prima il lavoratore, che prima percepiva 11, percepirà 12 perché andrà a percepire un incremento retributivo previsto dal contratto collettivo, ma si porterà dietro anche la maggiore retribuzione che era stata partita a livello individuale con il suo datore di lavoro. 9. Rapporto tra il contratto aziendale e il contratto nazionale di lavoro È diventata molto più complicata negli anni proprio perché si sono stratificate regole fra loro anche a volte contraddittorie, quindi cerchiamo di mettere un po' di ordine su questa materia. Il contratto aziendale viene spesso chiamato anche accordo perché molto spesso i contenuti del contratto aziendale sono più limitati rispetto a quelli del contratto nazionale. Generalmente l'accordo aziendale si limita a regolamentare alcuni siti specifici che possono essere ad esempio ricorso ad orari flessibili, la previsione di retribuzioni incentivanti, la previsione di lavoro straordinario e della ridistribuzione del lavoro straordinario, oppure possono intervenire su specifiche situazioni in cui si trovi l'azienda, come situazioni di crisi. Quindi, mentre il contratto nazionale si occupa di regolamentare l'intero rapporto di lavoro, regolamentando tutte le fasi del rapporto di lavoro, dall'accesso al rapporto di lavoro fino alla risoluzione del contratto, l'accordo aziendale generalmente ha un oggetto più limitato, andando a occuparsi di alcuni istituti, ma non necessariamente di tutti. Ha una nascita più tardiva rispetto al contratto nazionale, perché si comincia a sviluppare negli anni 60, inizialmente nel settore dei metalmeccanici, ma poi più a più viene a essere utilizzato anche in altri settori, passando alla cosiddetta contrattazione articolata, perché è proprio questo gruppo, una contrattazione su più livelli contrattuali. Nel 68 la Cassazione riconosce il contatto aziendale come un atto generale di autonomia negoziale, cioè la Cassazione riconosce che il contatto aziendale non è la somma di tanti contratti individuali, ma è pur sempre un accordo che si occupa di tutelare degli interessi collettivi. Quindi questo è molto simile al contratto collettivo nazionale, perché l'obiettivo è quello di tutelare degli interessi collettivi. Come abbiamo già visto, inizialmente il contratto aziendale derogava il meius al contratto nazionale che veniva spesso utilizzato nei primi anni 60 in poi per prevedere delle condizioni di miglior favore per il lavoratore e quindi di fatto per alcuni decenni non si è posto il problema della sua efficacia soggettiva, perché i lavoratori non avevano interesse a sottrarsi dall'applicazione del contratto collettivo aziendale, perché appunto prevedeva le condizioni più favorevoli, quindi non si discuteva della sua efficacia soggettiva. La situazione però ha cominciato a cambiare quando, a partire dagli anni 70-80, i contatti aziendali hanno talvolta cominciato a prevedere delle condizioni peggiorative. A questo punto i lavoratori hanno cominciato ad avere l'esigenza di sottrarsi alla sua applicazione e quindi il problema dell'efficacia soggettiva anche del contatto aziendale, oltre che del contatto nazionale, è divenuta più interessante. La Cassazione ha a tal fine riconosciuto pari dignità al contratto aziendale rispetto al contratto nazionale, quindi riconoscendolo come prodotto di un'autonomia negoziale volto a tutelare un interesse collettivo. Per quanto riguarda l'efficacia soggettiva, la giurisprudenza prevalente ritiene che il contratto aziendale vincoli tutti i lavoratori dell'azienda indipendentemente dalla loro affiliazione sindacale, quindi a differenza del contratto nazionale di categoria, al contratto aziendale viene tendenzialmente riconosciuta un'efficacia generalizzata. Perché? Perché il contratto aziendale incide su interessi collettivi che sono considerati come indivisibili. Si ritiene cioè che la condizione dei lavoratori dipendenti da una medesima azienda sia inscindibile, non si può distinguere il lavoratore secondo a che sia affiliato ad un sindacato o meno. Quindi l'efficacia soggettiva viene di fatto estesa nei confronti di tutti i lavoratori per quanto riguarda il contatto aziendale e quindi si comporta diversamente dal contatto nazionale. Ma perché la giurisprudenza prevalente ritiene che l'efficacia del contratto aziendale non si può estendere ai lavoratori iscritti ad un sindacato dissenziente, oppure non iscritti a nessuna associazione sindacale, qualora il contratto aziendale contenga delle disposizioni peggiorative. Quindi la regola generale è che il contratto aziendale si applica a tutti i lavoratori dell'azienda, a meno che contenga delle disposizioni peggiorative. C'è però un ulteriore contemperamento a questa teoria, perché questa esclusione non si applica se il contatto aziendale peggiorativo contiene delle compensazioni, cioè se la deroga in peius inserita nel contratto aziendale è compensata da un vantaggio. Quindi se il contratto aziendale è peggiorativo rispetto al contratto
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