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Sbobine sociologia generale, Appunti di Sociologia

Sbobine sociologia Norma Baldino (corso di sociologia generale(. Dettagliate e complete.

Tipologia: Appunti

2023/2024

Caricato il 01/03/2024

Chiaraacoo
Chiaraacoo 🇮🇹

4 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Sbobine sociologia generale e più Appunti in PDF di Sociologia solo su Docsity! ANNA ATZENI SBOBINE DI SOCIOLOGIA GENERALE PROF. NORMA BALDINO AA A.A 2021-2022 1 INTRODUZIONE La sociologia è una disciplina moderna, è una scienza sociale che si è sviluppata circa 200 anni fa. Il suo sviluppo è stato sicuramente influenzato da una serie di cambiamenti economici, politici, sociali e culturali che l'Europa stava attraversando tra il sedicesimo e diciannovesimo secolo. Il diciannovesimo secolo si individua come il secolo di nascita della disciplina che quindi viene inquadrata come scienza sociale moderna. La sociologia si concentra su ciò che ogni individuo pensa, fa, come ognuno di noi agisce all'interno della società poiché è condizionato da tutte quelle che sono le strutture esterne come ad esempio la nostra cultura, la società in generale, le organizzazioni, le istituzioni che a loro volta vengono però condizionate dall’individuo stesso in un effetto duplice a farfalla. La sociologia è una scienza, e come tale utilizza il metodo scientifico derivante dalla rivoluzione scientifica. Una delle trasformazioni che prese piede durante la rivoluzione scientifica influenzò lo sviluppo della sociologia attraverso la creazione di un metodo scientifico: parte da una teoria, si formano delle ipotesi e si ha un oggetto di studio, poi i risultati confutano una teoria. In definitiva si può dire che la sociologia studia il modo in cui le persone sono influenzate dalle strutture esterne della società e allo stesso tempo influenzano tali strutture sociali. Individui e società sono in uno stretto rapporto interdipendente. La società è un sistema complesso di interrelazioni tra individui, è l’insieme delle relazioni che si instaurano tra gli individui di una popolazione, cioè è una collettività che interagisce tra di loro che deve essere insediata stabilmente in un territorio circoscritto, stabile e questo insediamento deve essere stabile a tal punto per cui i rapporti che si creano lungo il corso del tempo siano tali da permetterne la riproduzione. Questa collettività è tenuta insieme dalla cultura, dall'insieme di valori e norme sociali che condizionano la loro vita, il loro stare insieme in questo territorio. La sociologia si occupa di fenomeni contemporanei, di fenomeni attuali ma ha radici storiche ben contestualizzate; in generale studia tutte le sfere dell'attività umana, ad esempio, come la società è suddivisa per classi ad esempio quindi la stratificazione sociale, la mobilità sociale, come è possibile passare da una classe sociale ad un'altra e quali sono gli effetti nella vita quotidiana. Viene studiata la politica, l'economia, la religione, la devianza a partire dalla definizione dei gruppi, il genere, lo spazio urbano e quindi la città. Ciò che distingue la sociologia dalle altre discipline è che ad esempio per quel che riguarda l'individuo non si occupa di ciò che riguarda l'individuo in sé dal punto di vista psicologico, ma si occupa dell'individuo inserito all'interno della società, di conseguenza di tutte quelle che sono le sfere esterne che condizionano l'individuo e allo stesso tempo come l'individuo può condizionare la società. L’obiettivo di fondo della disciplina è studiare il perché, i sociologi si fanno costantemente delle domande sul che cosa c'è alla base di queste profonde interazioni sociali, questi cambiamenti sociali, ecco che cosa si differenzia rispetto alle altre discipline. Questo fa sì che i confini della sociologia sono più labili, non sono definiti, è una disciplina che viene sempre guidata dalla ricerca di un obiettivo. La sociologia nasce in un periodo, come figlia della modernità, come effetto di tre grandi rivoluzioni che ne segnano la nascita: la rivoluzione scientifica, la rivoluzione industriale e la Rivoluzione francese. I sociologi, soprattutto i padri fondatori, nello specifico Marx iniziarono a porre l'attenzione su quelli che erano i cambiamenti a seguito della rivoluzione industriale dei fattori di produzione e di come in Europa a partire dalla rivoluzione industriale, la divisione del lavoro ha iniziato a cambiare anche dal punto di vista delle disuguaglianze sociali tra chi deteneva i mezzi di produzione (cioè chi deteneva le fabbriche, chi deteneva le risorse) e chi invece offriva soltanto la forza lavoro (cioè i proletari). Quindi la sociologia si è sempre interessata di ciò che riguarda i processi produttivi e le industrie, quindi, è una disciplina che sta al passo con i tempi, si rinnova costantemente proprio perché si occupa di fenomeni contemporanei e la prospettiva cambia. Se prima la prospettiva era ad esempio soltanto focalizzata nei cambiamenti dell’Europa occidentale del XIX secolo, adesso la prospettiva è sicuramente globale. Siamo nell'era della globalizzazione e quindi anche gli interessi della sociologia sono cambiati, sono ancora più ampi. Per esempio, a partire dalla rivoluzione industriale i sociologi iniziano ad occuparsi di industrie e processi produttivi ma ora nella società post-industriale, dice Castells, la società è cambiata, si è modifica anche a partire da come l'informazione influenza noi stessi, come noi stessi siamo influenzati dall'informazione, quindi come cambia la società. Quindi Manuel Castells sostiene che il nuovo interesse della sociologia è sicuramente la società dell'informazione perché cambia a partire da come cambiano i metodi di informazione, cambia anche la produzione, i processi di produzione così come li studiamo. Infatti attualmente c'è un maggior interesse verso tutto ciò che il digitale, verso Internet, verso il computer, che è tutto ciò che ha modificato la natura dei rapporti lavorativi, quindi se Marx quando scrisse sul Capitale, sul capitalismo si occupava dei rapporti di produzione a partire dalla distribuzione dei mezzi di produzione, e quindi della divisione sociale del lavoro, anche ora c’è da dire su come questi cambiamenti sociali hanno sicuramente avuto delle conseguenze dal punto di vista dei rapporti di produzione. Ecco che quindi gli interessi della sociologia sono fluidi, talmente fluidi che i principali ambiti di studio nel ventunesimo secolo sono proprio legati soprattutto alla globalizzazione. La globalizzazione ha degli effetti talmente ampi nelle interazioni degli individui, tanto che Rizter, l'autore del manuale, prende il McDonald's come un simbolo della globalizzazione per dire come questi cambiamenti nell'era globale influenzano l'individuo in tutti gli aspetti della sua vita quotidiana, a partire ad esempio anche da ciò che mangia, da come si procura ciò che mangia, da come lavora, da come scambia le informazioni, da come interagisce a livello globale. Ritzer conia così il concetto della Macdonaldizzazione. La globalizzazione mostra quindi l’omologazione culturale come un suo effetto. Dal punto di vista del fenomeno la globalizzazione non è altro che la creazione di un mercato unico a livello globale attraverso il ruolo soprattutto dei mercati finanziari, però chiaramente è anche il processo attraverso il quale gli stessi Stati riducono la loro sovranità o comunque interconnettono la loro sovranità dal punto di vista globale insieme agli altri stati. E quindi si creano una serie di conseguenze, di effetti in una società globale, dal punto di vista, ad esempio, della limitazione del potere tra gli Stati, dal punto di vista degli scambi, dal punto di vista degli spostamenti (flussi migratori) e quindi nella creazione dello sviluppo di reti di relazione. Ecco che per forza di cose, dice Ritzer, nell’era della globalizzazione il punto di vista dei sociologi deve essere ancora più globale. 4 - Centralità dell’individuo: Il lume prende il posto della fede, la razionalità è la possibilità di agire razionalmente anche da un punto di vista economico. - L’uomo è libero di agire economicamente. Le trasformazioni che portano alla nascita del capitalismo (cambiamenti dal punto di vista produttivo) segnano il passaggio dalla società premoderna alla società moderna. Questo è sia causa che effetto dei cambiamenti dal punto di vista economico poiché l’uomo è libero di acquisire mezzi di produzione. La società premoderna era caratterizzata da una società basata sull’agricoltura, sull’’artigianato e sul commercio. Si trattava di un sistema feudale basato sull’accumulo, sulla sussistenza, dove non era necessario rispondere alle esigenze del mercato. Con l’avvento della razionalità economica aumenta sia l’offerta dei prodotti sia la domanda. A partire da queste trasformazioni cambia completamente la divisione sociale del lavoro e gli stessi ruoli lavorativi. Carl Marx sostiene che la società inizia a modificarsi a partire dalla divisione sociale del lavoro e la nascita del capitalismo è proprio dettata da tale divisione. Per Marx esistono due classi: chi detiene i mezzi di produzione (fa produrre e guadagna) ed il lavoratore (offre la forza lavoro in cambio di un salario). La razionalità è evidente anche in politica, infatti, si ha lo sviluppo dei diritti civili e politici. Viene a formarsi lo stato moderno che si fonda sulla separazione dei poteri e sul dominio legittimo della forza che viene riconosciuta perché legittimata. Quindi si passa da uno stato naturale a uno stato di diritto dove lo Stato acquisisce il potere di farsi rispettare e di imporre le sue norme giuridiche proprio perché legittimato, riconosciuto. Questa nuova sovranità è legata alla suddivisione dei poteri che sono: o potere legislativo o potere esecutivo (sarà possibile governare e difendere i propri confini) o potere giudiziario Vengono creati nuovi eserciti e quindi lo Stato gode di più difesa sempre secondo il concetto del monopolio legittimo della forza e della violenza. C’è il cambio di professionalità di ogni individuo; ognuno è libero di lavorare però va amministrato. Quindi dati tutti questi cambiamenti lo Stato si organizza e nasce quella che per Weber è la macchina più perfetta: la burocrazia. Lo stato adotta anche un suo sistema giuridico, vengono riorganizzati i diritti di cittadinanza civile e pubblici e si adotta una moneta. I diritti di cittadinanza sono essenzialmente di due tipi: i diritti civili e i diritti politici. I diritti civili appartengono alla sfera giuridica, e rappresentano le libertà inviolabili che hanno i cittadini. Il cittadino incomincia quindi ad essere proprietario delle fabbriche, delle risorse e dei mezzi di produzione; Ogni cittadino è libero allo stesso modo di fronte alla legge, non ci sono distinzioni; tutti nascono liberi, non schiavi. Parlare di razionalizzazione, i cui pilastri sono quindi la ragione e la razionalità, è fondamentale dal punto di vista sociologico perché rappresenta il processo che inizia a dettare la curiosità dei primi pensatori fondatori della sociologia. Weber è il primo che si interessa di come le azioni umane vengono interpretate e quindi di come modificano la società. È molto attento a questo carattere della razionalità, infatti dice che l’uomo è libero di agire secondo 4 tipi di azione. L’azione dell’individuo è strettamente connessa anche a cosa sta succedendo dal punto di vista della Riforma Protestante; infatti, parlerà ampiamente di etica protestante e spirito del capitalismo perché definisce il capitalismo a partire dalla nuova concezione del lavoro. Secondo l’etica protestante infatti lavorare sulla terra era un modo per impegnarsi nella salvezza eterna. Per Weber i quattro tipi di azione sono: 1. Azione razionale rispetto al valore: l’individuo può orientare la sua azione in base al valore che determina e spinge la sua azione (libertà). 2. Azione razionale rispetto allo scopo: può utilizzare la ragione per raggiungere uno scopo, si può organizzare in un gruppo organizzato al fine di raggiungere uno scopo. 3. Azione tradizionale: nonostante la tradizione e i legami tradizionali siano stati superati e sostituiti dallo stato moderno e dalla razionalità per Weber si può in realtà agire anche per abitudine, per tradizione, senza essere consapevoli di quale valore in quel momento sta orientando la visione. 4. Azione fatalistica: è l’esatto opposto dell’azione tradizionale; si agisce in un certo modo perché l’azione è orientata dall’esterno. Marx invece parla di capitalismo non da un punto di vista di azione individuale ma da un punto di vista di relazione economica. Il termine sociologia lo dobbiamo ad August Comte francese positivista, nato nel 1948 a metà quindi del diciottesimo secolo. Egli sarà il primo a parlare di società dal punto di vista di un corpo: per Comte la società è un corpo sociale e definisce la sociologia come la regina delle scienze perché è una disciplina in grado di svelare quelle che sono le leggi e le regole che governano il mondo sociale, la società. Definisce infatti la sociologia come medicina della società. Così come esistono delle leggi naturali che permettono di osservare gli eventi del mondo fisico, esistono anche delle leggi che si possono studiare e osservare e che determinano chiaramente i cambiamenti sociali e ci permettono di studiarne il significato, da un punto di vista di causa effetto. Questo approccio è dovuto chiaramente all’influsso del positivismo (scelta che si applica ai fenomeni che sono osservabili nelle loro relazioni causali- a ogni causa corrisponde un effetto). 5 I cambiamenti sociali si possono osservare attraverso l’osservazione empirica. Comte dirà che a partire da questo metodo così come si possono osservare le relazioni causa effetto nella fisica, allo stesso modo si possono adottare anche nel corpo sociale. Altro padre fondatore della sociologia è Marx. Nasce nel 1818 muore nel 1883, vive a pieno le trasformazioni di quei secoli e viene attratto particolarmente dai cambiamenti della società da un punto di vista prettamente economico. Non nasce come sociologo ma grazie alle sue idee e ai suoi studi sull’aspeto economico, dell’organizzazione del lavoro e alle sue teorizzazioni sul fenomeno del capitalismo, viene considerato padre frodatore della sociologia, oltre che economista e filosofo. Marx osserva e studia la società da un punto di vista materialistico e studia in modo molto attento tutti quelli che sono gli effetti dello sviluppo del capitalismo. Per Marx il capitalismo è un modo di produzione basato su tre fattori principali: - Sull’accumulo del capitale, un modo di produzione che non aveva mai avuto precedenti storici. Secondo Marx il modo di produzione cambia non solo perché si basa sull’accumulo di capitale che è l’insieme di risorse, di soldi, ma soprattutto è l’insieme dei mezzi di produzione (fabbriche, risorse, macchine) impiegati per creare la merce. - Un altro fattore determinante è il lavoro salariato: i mezzi di produzione sono detenuti dai borghesi ma senza la forza lavoro non si potrebbero produrre le merci, di conseguenza il lavoro salariato è un fattore determinante ed è rappresentato da tutti i lavoratori che non detengono niente, scambiano, vendono, la loro forza lavoro in cambio di un salario. Tuttavia, questo non significa che l’uomo è sfruttato! Infatti, il lavoratore non è più uno schiavo e non appartiene più al proprietario feudale; l’uomo è libero di lavorare offrendo la sua forza lavoro in un sistema capitalistico a cambio di un salario. La domanda che si pone Marx è: perché l’uomo, essendo libero, accetta di vendere la sua forza lavoro a terzi? - Un altro punto fondamentale è il profitto, che per Marx è quel valore aggiunto nella produzione della merce. La merce senza la forza del proletario, senza il surplus del proletario non porta a niente, il vero e proprio profitto è quel surplus, quella differenza che c’è tra merce e forza lavoro, è quel valore in più che è dato dalla forza lavoro, dal lavoro degli individui che genera profitto. Il profitto è insito nella forza lavoro. Marx sviluppa la teoria del capitale: il capitalismo si basa su questi tre fattori, però fondamentalmente è un sistema di produzione bastato sulla divisione di classe, un sistema classista basato sul capitale. Vi è la classe borghese costituita dai capitalisti e la classe dei proletari, la classe operaia che genera profitto ed è subordinata; vende la sua forza lavoro in cambio di un salario. Il rapporto tra queste due classi è estremamente conflittuale, diseguale poiché da una parte c’è un accumulo di mezzi di produzione e dall’altra c’è lo sfruttamento della forza lavoro della classe proletaria. L’individuo deve prendere consapevolezza di questo sfruttamento, non si parla di capitalismo come espressione della modernità da un punto di vista del rispetto dei valori che si sono sviluppati infatti Marx è attratto a partire dai tali valori e si chiede perché se l’uomo è libero di agire economicamente viene sfruttato? La sua consapevolezza e la sua coscienza di classe si dovranno creare partendo dal fatto che vende la sua forza lavoro in un sistema di sfruttamento. Il capitalismo nasce come effetto della rivoluzione industriale, attraverso le innovazioni tecnologiche cambiano i mezzi di produzione; aumenta la produzione perché dal punto di vista sociale c’è una classe che si può arricchire e che mette a disposizione il suo capitale per la produzione delle merci. Il rapporto tra le due classi si basa sullo sfruttamento (NO schiavitù) che non assume una connotazione negativa dal punto di vista del valore ma è necessario per la produzione à senza lo sfruttamento della forza lavoro non ci sarebbe profitto che è il plus valore, anche se in termini negativi porta poi alla disuguaglianza. Il motore di sviluppo della storia è questa divisione duale delle classi, questo conflitto perenne tra le due classi dettato dal fattore economico. Marx afferma che questo sistema capitalistico avrà una fine soltanto quando ci sarà una rivoluzione, quando il proletariato acquisendo la piena coscienza di classe, ribalterà questo rapporto di classe ribalterà la borghesia cosicché la società non sarà più divisa in classi. Ovviamente, Marx si colloca all’interno della sfera della macrosociologia, perché parte dal punto di vista dei cambiamenti economici della società per spiegare quelli individuali. L’altro padre fondatore è Max Weber, più recente rispetto a Marx; egli nasce infatti nel 1864. Il suo pensiero si sviluppa attorno al 1920. Se per Marx la concezione della società era prettamente materialistica e il suo riferimento di osservazione dei cambiamenti era una lente economica, anche Weber parte dallo sviluppo del capitalismo, sotto però una lente differente. Weber aveva una formazione a 360°, si è occupato di tutto: politica, religione, potere, ed anche di genere (scrive il testo “il rapporto tra i sessi”). Per Weber, il mutamento sociale è condizionato oltre che dai fattori economici, anche e soprattutto dall’influenza che i valori e le idee hanno sulle azioni degli individui. Ovviamente l’approccio di Marx è legato alla macrosociologia, mentre quello di Weber è legato alla microsociologia. Weber lo collochiamo proprio come fondatore della microsociologia, perché secondo lui la società è influenzata dai valori e dalle idee che spingono l’azione dell’individuo. Mentre in Marx la parola d’ordine è il conflitto, in Weber il motore della società è l’individuo/ l’azione. Ciò che influenza il mutamento sociale sono le idee e i valori, allora il compito della sociologia sarà quello di andare a fondo nel comportamento umano. Perché l’individuo agisce e cosa lo spinge ad agire? Per spiegare il capitalismo, anche Weber affascinato da ciò che sta accadendo in quegli anni si accorge che sono soprattutto alcuni paesi a essere maggiormente colpiti dall’effetto del capitalismo. Weber a differenza di Marx cerca di dare una spiegazione del capitalismo che va oltre l’aspetto economico, connettendolo all’etica protestante. Nel 1904 inizia a scrivere la sua opera più importante “L’etica 6 protestante e lo spirito del capitalismo”. Secondo Weber vi è una connessione ancora molto forte con la sfera della religione, che ha subito già una notevole trasformazione attraverso la Riforma Protestante. Quindi Weber collega la razionalità economica al dogma calvinista della predestinazione: sono i valori protestanti che spingono l’individuo ad impegnarsi sempre di più nella vita terrena, in quanto attraverso questo impegno l’uomo si guadagna un posto eterno, salva la sua anima. Ecco che per Weber esiste un nesso fortissimo tra lo sforzo nella vita terrena e la salvezza dell’anima. “Lo spirito del capitalismo”, il primo libro di Weber, è una raccolta di comportamenti. Egli individua all’interno del capitalismo degli atteggiamenti connessi con il dogma della predestinazione, che sono alla base dello sviluppo della società moderna. Se per Marx il lavoro della classe proletaria era basato sul conflitto e sullo sfruttamento, per Weber il lavoro è connesso ai valori e di conseguenza ai doveri morali; ecco dove cambia l’approccio di analisi sociologica. Lo stile di vita per Weber è legato anche al risparmio, egli non parla di alienazione, non si è interessato agli effetti del capitalismo all’interno delle fabbriche, va oltre cercando di capire cosa c’è stato al livello di valori che hanno spinto l’impegno basato sul capitale. Il dovere di lavoro è sia un valore che un dovere perché è una vocazione verso Dio. Il pensiero di Weber è talmente articolato che per svilupparlo ha idealizzato un concetto metafisico: l’Ideal-tipo. L’Ideal-tipo è un modello concettuale che serve per capire il funzionamento del mondo. Parlando di ideale, non ci si sta riferendo a qualcosa di auspicabile, ma è un solo un concetto metafisico. Il modello più complesso e perfetto di cui parla Weber è la burocrazia che verrà anch’essa spiegata attraverso il concetto di Ideal- tipo. Attraverso gli Ideal-tipi possiamo capire i meccanismi della società nella quale l’uomo ha cambiato le sue abitudini quotidiane, le sue azioni e il loro significato a partire dal fatto che ora è guidato dalla ragione. È attraverso il calcolo strumentale della ragione che è possibile raggiungere l’efficienza. Bisogna spogliarsi delle credenze di tutto ciò che non è scientifico, definito da Weber come magico, e quindi capire che anche un agire tradizionale ora è legato alla ragione. A partire da Weber si svilupperà tutto quel filone legato alla comprensione della società a partire dall’interpretazione della vita quotidiana che continua anche oggi ad alimentare questa teoria. Il rapporto tra individuo e società è duplice, l’individuo può influenzare la società e quindi le strutture a lui esterne; d’altra parte, la società può influenzare l’azione dell’individuo. L’altro padre fondatore è Durkheim che si colloca in una prospettiva quasi opposta a quella assunta da Weber. Emilè Durkheim nasce nel 1858 e muore nel 1917. Il suo approccio è completamente opposto a quello di Weber, in quanto l’uomo non può modificare la società attraverso la sua azione perché visto come una mera pedina dell’esterno; per Durkheim il motore della società sono i fatti sociali, ovvero i fenomeni che devono essere indagati dalla sociologia. La sociologia per Durkheim deve essere studiata in modo rigorosissimo, così come esiste un rigore scientifico per studiare i fenomeni naturali, allo stesso tempo anche la società deve essere studiata con lo stesso rigore scientifico, al fine di capirne il meccanismo di causa- effetto, di dualità. Durkheim parla proprio delle regole del metodo sociologico. I fatti sociali sono quindi gli elementi della vita sociale, e sono determinanti per l’azione degli individui. (non il contrario come diceva Weber) Durkheim viene colpito dalla rapidità dei cambiamenti nella modernità e afferma che quando i cambiamenti sono così rapidi, generano spesso un momento di carenza di valori e di norme di comportamento condivise, chiamato anomia. Al fine di comprendere e analizzare tali meccanismi, la sociologia deve applicare il metodo scientifico con grande rigore metodologico perché lo studio dei fatti sociali richiede, a contrario di quanto diceva Comte, una grande precisione. La sociologia deve affinare questo metodo, iniziando a delimitare il proprio campo di indagine e quindi occupandosi di un fatto sociale nello specifico. Nel 1895 Durkheim scrive il testo di riferimento per un metodo sociologico, il quale si basa sul trovare un nesso tra i fatti sociali, i quali si basano su due principi: il principio dell’esteriorità, e della costrizione. Tutti quelli che sono i fatti sociali per Durkheim sono esterni all’uomo, ovvero noi nasciamo in delle società che sono già costituite e che condizionano la nostra personalità, il nostro pensiero e le nostre idee. (non il contrario come sosteneva Weber) Quindi l’individuo è all’interno della società un elemento che certamente è razionale, ma alla fine è solo un mero elemento all’interno di un sistema complesso di interrelazioni già dettate da un ordine precostituito, ossia quello dell’esternalità dei fatti sociali. I fatti sociali non soltanto sono esterni all’individuo, ma sono anche imposti, secondo il principio della costrizione. Quindi se per Weber gli individui potevano scegliere come agire, per Durkheim gli individui non possono scegliere che valori adottare ma sono costretti da una serie di doveri che sono già prestabiliti dalla società. Nel 1893 scrive la sua tesi di dottorato che è “La divisione sociale del lavoro”, nella quale Durkheim sta ragionando su un metodo rigoroso da adottare nello studio della società a partire dalla differenza sostanziale della divisione del lavoro tra società moderna e società premoderna. Partendo dalla considerazione che gli individui nella società moderna si dividono i compiti Durkheim osserva che il motore della società moderna sta proprio nel fatto che ogni individuo ha un compito diverso nella società. Il mutamento sociale si può analizzare a partire dal fatto che nell’era industriale nasce un nuovo tipo di legame tra gli individui, un nuovo tipo di solidarietà. Questa osservazione empirica permette di osservare come cambiano questi rapporti tra gli individui e con il lavoro. Durkheim suddivide le differenze tra le società tradizionali e la società moderna; questo nuovo tipo di solidarietà, secondo Durkheim è di tipo organico. Gli individui nella società moderna hanno occupazioni diverse tra loro, se Marx ne parlava in termini di sfruttamento e di conflitto, Durkheim si limita ad osservarne la naturalità. Lo svolgere mansioni differenti porta le persone ad aver bisogno l’uno dell’altro; quindi, si genera un meccanismo di dipendenza reciproca. In questo periodo di grandi trasformazioni questa definizione sociale del lavoro genera dei cambiamenti radicali nella società, ecco che Durkheim conia il termine “solidarietà organica”, che rappresenta il rapporto di interdipendenza tra gli individui nella società moderna. C’è un altro elemento da prendere in considerazione nell’osservazione della società, che è l’applicazione di sanzioni. Ad ogni comportamento ed a ogni norma sociale corrisponde poi un elemento sanzionatorio. Per Durkheim i fattori di osservazione empirica della società si basano da una parte sui sistemi di relazioni legati da una reciprocità degli individui; quindi, si viene a creare quella che lui definisce una “solidarietà organica” necessaria tra gli individui la cui coesione sociale è dovuta dal fatto che ad ogni comportamento corrisponde una restituzione, uno scambio che lui chiama sanzioni restitutive. La solidarietà prima era di tipo meccanico e non era correlata ad un’interdipendenza perché i membri della società si occupavano più o meno tutti delle stesse cose quindi si può dire che nella società tradizionale gli individui erano accomunati dalla stessa esperienza e dalla condivisione degli stessi valori. I fattori sono riconducibili da una parte alla complessità delle relazioni e all’integrazione sociale che è reciproca e forte, mentre nella società premoderna è pressoché meccanica. Il grado di regolamentazione invece nella società tradizionale è altissimo e basato su 9 l'individuo, e dal livello di controllo sociale, ossia qual è il livello di regolamentazione sociale: l'unione di questi due fattori secondo Durkheim spiegava i quattro tipi di suicidio possibili. Il suo pensiero è stato il punto di partenza della macrosociologia (Weber lo è stato della microsociologia) perché il pensiero funzionalista ha influenzato il filone dello struttural-funzionalismo. I due approcci sono molto simili ma lo struttural funzionalismo deve il suo pensiero soprattutto a Merton e Parsons. L'analisi degli struttural-funzionalisti riprende quello che diceva Durkheim, ma va un po' oltre, sostenendo che la società si può osservare a partire da tutte quelle che sono le disfunzioni che si creano dalle strutture, cioè come il cambiamento di queste strutture crea una serie di conseguenze empirico osservabili, che possono essere anche conseguenze negative, nella capacità degli individui di gestirsi, organizzarsi, sopravvivere, adattarsi o autoregolarsi. L'approccio dello struttural-funzionalismo è mettere insieme le strutture e osservare che a partire dalle strutture si possono osservare una serie di conseguenze che possono essere anche negative nella vita della società. È lo studio, dunque, delle strutture insieme alle funzioni che hanno tali strutture. Merton, osservando le strutture sociali conta dei tipi di funzioni che esse hanno: ci sono le funzioni manifeste, che dipendono dalle strutture, e sono funzioni attraverso le quali un individuo intende perseguire uno scopo per la società. Le funzioni manifeste sono espresse, sono osservabili, ma il cambiamento delle strutture può determinare anche una serie di funzioni latenti, oppure positive non intenzionali. Le funzioni latenti spiegano che l'agire delle persone all'interno di queste strutture può dare delle conseguenze positive legate al proprio scopo, senza esserne consapevoli. Mentre la funzione delle conseguenze inattese riguarda il cambiamento delle strutture o dei valori che possono provocare una serie di conseguenze che possono essere sia positive che negative, però comunque del tutto imprevedibili. La conseguenza inattesa è ciò che si modifica a livello strutturale. Marx è il portavoce di un'altra teoria, lo strutturalismo. Il motore della società sono le strutture in sé e l'economia. Non si occupa della funzione delle strutture ma di come sono organizzate. L'economia è fondata sulla base di un nuovo conflitto di classe. Marx sostiene che il motore della società e della storia è il conflitto legato alla macrostruttura dell'economia. A partire dall'approccio strutturalista nasce una teoria che è proprio quella del conflitto. La teoria del conflitto deriva dal pensiero di Marx ed Engels nel 1848. Per Marx il motore della dinamicità sociale sta proprio nel conflitto che si genera tra due classi in contraddizione tra loro: la classe dei borghesi o capitalisti, che detengono i mezzi di produzione, e la classe che viene sfruttata dai capitalisti, ovvero la classe dei proletari, i lavoratori. Capitalisti e proletari non hanno valori in comune ma ciò che spingerà il conflitto sono valori completamente diversi: una classe è sfruttata dall'altra. Per questa ragione sono in eterno conflitto tra di loro, e questo conflitto, come dirà Marx, e ciò che permette alla storia di evolversi, perché arriverà un momento in cui i proletari si ribellano dando vita ad una rivoluzione, non esisterà più una società divisa in classi e si abolirà la proprietà privata. Dalla teoria di Marx sul conflitto si sviluppa la teoria del conflitto Dahrendorf che ha reinterpretato il pensiero di Marx. Anche per Dahrendorf il conflitto è il motore della società, però il conflitto non è più legato allo sfruttamento della classe proletaria dalla classe dei Borghesi. Secondo il suo pensiero, il motore del conflitto è l'autorità, nasce tra chi ha il potere e chi ne viene assolutamente escluso. Ogni gruppo della società si organizza sulla base di interessi opposti a quelli di altri gruppi e nel momento in cui acquistano consapevolezza del fatto che hanno interessi comuni, gli individui possono diventare una classe sociale, associarsi in gruppi o creare partiti politici. Di queste teorie si formano i paradigmi, riferimento teorico per lo sviluppo empirico della ricerca. I paradigmi sono suddivisi in quattro filoni principali: - Il paradigma dell'azione, che deriva da Weber, per spiegare i fenomeni sociali è sempre necessario ricondurli ad atteggiamenti, credenze e comportamenti individuali; quindi, la metodologia si basa sulla capacità degli individui di agire individualmente; - Il paradigma del conflitto, in cui i fenomeni sociali si studiano a partire dal conflitto che si genera nella società, il primo a parlarne è stato Marx, ma ne parla anche Weber (non in termini negativi, secondo lui il conflitto è una condizione naturale in cui vive la società, il conflitto è qualcosa che genera cambiamento); - Il paradigma dell'ordine, quella società si studia a partire dall'ordine strutturale in cui è suddivisa. Si occupa di ciò Durckheim, per cui la società è ordinata in modo strutturale a partire dalla divisione sociale del lavoro e delle forme di solidarietà che si generano; - Il paradigma della struttura, non si basa sull'ordine, ma su come è strutturata. Per spiegare i comportamenti umani bisogna ricondurli alla struttura, quindi alla parte la società in cui si manifestano. Personaggi di riferimento sono Marx e Durkheim, da cui derivano una serie di teorie struttural-funzionaliste. FARE RICERCA NELLA REALTÀ SOCIALE La sociologia è lo studio scientifico della società perché studia la società e le sue istituzioni, i rapporti sociali tra le istituzioni e gli individui adottando un metodo scientifico. Adottare un metodo scientifico significa seguire quel rigore di cui parlò Durkheim. Si tratta di studiare la società e i rapporti sociali, le rappresentazioni sociali formulando delle ipotesi. Quando i sociologi decidono di portare avanti una nuova ricerca, la prima cosa che fanno è porsi delle domande, cioè formulano delle ipotesi su determinati processi sociali, fenomeni sociali di interesse. A partire da queste ipotesi che si pongono, si raccolgono dei dati. Questi dati devono essere confrontati, devono essere analizzati sempre in riferimento alle ipotesi di partenza che guida l’idea di ricerca perché poi i dati raccolti servono sempre per rapportarsi all’ipotesi di partenza che può essere confermata o s mentita. Per formulare le ipotesi e raccogliere dei dati viene adottato un approccio ormai assodato fatto di strumenti, di metodi di ricerca empirica. Quindi, quando vogliamo studiare un fenomeno nello specifico si cerchs il metodo più adatto per rispondere alla domanda che è stata posta e quindi per raccogliere i dati. 10 Esistono tanti metodi, ogni metodo è utile sulla base dell'ipotesi che viene posta, è una scelta di rigore che si fa quando si studia un fenomeno. Adottare un metodo preciso è importante perché permette di rispondere alle domande di partenza e di osservare il fenomeno con modalità differenti. Attraverso gli strumenti forniti dalla metodologia della ricerca, si studia la società attraverso la lene dell’immaginazione sociologica, importante per abbandonare il senso comune, e quindi andare oltre quello che secondo noi è quel fenomeno. Per fare ciò si formulano interrogativi, l’ipotesi di ricerca parte sempre da ciò che qualcuno ha già detto quindi da una riflessione teorica che è sedimentata e che fa parte della disciplina. Quindi le teorie classiche sono il punto di partenza del fare ricerca sociale, senza di quelle non si potrebbe fare ricerca e non si potrebbe neanche formulare delle ipotesi di ricerca proprio perché gli interrogativi che ci poniamo sulla società derivano sempre dalle cornici teoriche. La raccolta dei dati è sistematica, deve sempre rispettare la sistematicità di un metodo. Fare ricerca è un’attività di studio continuo, un’attività che porta via tantissimo tempo e che unisce due lati: la teoria e l’osservazione empirica che vanno sempre di pari passo, perché l’una alimenta l’altra. Ovviamente, i risultati della ricerca si legano anche ad un’impalcatura teorica che già è esistente. Raccogliamo i dati con senso critico perché il dato di per sé, da solo, non vuol dire niente, bisogna sempre ricondurlo al rigore del metodo, a partire dal fatto che lo scopo dell’interpretazione dei dati è rispondere ad una domanda di partenza. Se cambia la domanda di ricerca cambiano anche i risultati che si ottengono, c’è proprio un meccanismo, un metodo scientifico che ci permette di comprendere la società conoscendo però gli strumenti e sapendoli adattare, adottare e quindi interpretare. La ricerca è suddivisa in diverse fasi. La fase più importante per iniziare a fare ricerca sociale è definire un problema che interessa ricercare. Questa prima fase della ricerca è il primo passo fondamentale, cruciale, perché se si definisce male l’ambito in cui si vuole lavorare, se non si hanno le idee chiare dall’inizio, la ricerca non sarà efficace. Quindi la prima cosa da fare è circoscrivere l’oggetto di ricerca che deve essere facile da osservare, limitato e preciso perché a partire dalla definizione del problema, la prima cosa che si deve fare è andare a capire che cosa è già stato detto su quel problema. In sociologia serendipity significa cogliere all’improvviso qualcosa che nella vita succede, trovarsi ad un bivio e non sapere che scelta prendere perché molto spesso è il risultato quasi improvviso di quello che ci capita nella vita; questo è un po’ anche il concetto della ricerca sociale, molti interessi dei sociologi nascono per casualità. Il primo passo della ricerca, la definizione del problema, si affianca sempre alla scelta del paradigma teorico da adottare. Quindi la prima cosa da fare quando si definisce il problema, l’oggetto della nostra ricerca è il paradigma teorico da adottare. Quando si sceglie un paradigma teorico, la scelta dello studio di un fenomeno viene dimensionata quindi se l’oggetto riguarda la vita quotidiana è chiaro bisognerà condurre ricerca nell’ottica della microsociologia perché i paradigmi legati all’interazione dello studio della vita quotidiana saranno da cornice interpretativa dello studio. La definizione del problema si accompagna sempre dal fatto che per studiare un problema bisogna fare il cosiddetto stato dell'arte, cioè andare a ricercare tutto ciò che si conosce su quel fenomeno. Il secondo passaggio della fase di ricerca è fare il disegno della ricerca, decidere quindi i passaggi che andranno seguiti quando si studia un fenomeno sociale; è il disegno del metodo scientifico, la traccia della ricerca. Nel momento in cui lo si definisce bisogna avere le idee molto chiare. Il secondo punto fondamentale è definire l’obiettivo della ricerca e decidere che aspetto si vuole indagare, attraverso le ipotesi. Una volta che vengono definite le domande si passa alla terza fase tre: la raccolta dei dati. Prima di raccogliere i dati però bisogna scegliere con quale metodo raccoglierli e secondo quale metodologia, qualitativa o quantitativa. Ogni metodo è preciso e accurato e si sceglie in base a che aspetti si vogliono indagare di un certo fenomeno. L'impostazione della ricerca quantitativa è completamente una ricerca fondamentalmente connessa a quello che è l'approccio positivista, di conseguenza il tipo di ricerca che si svolge è una ricerca assolutamente strutturata in fasi sequenziali, logiche. È una ricerca che è deduttiva. Nella ricerca quantitativa l'approccio teorico è fondamentale per la definizione di quelle che sono le ipotesi della ricerca. I concetti sono operativizzati, cioè dipendono l’uno dall'altro. Ad esempio, studiare il bullismo dal punto di vista numerico e quindi dal punto di vista della grandezza del fenomeno, è un approccio che non porta ad interagire con l’oggetto di studio, con le scuole nello specifico, ma porta solo a una rilevazione di dati in maniera completamente distaccata e neutrale. Quindi il disegno di ricerca quantitativa è assolutamente chiuso, strutturato, non prevede dei cambiamenti. L’obiettivo della ricerca è assolutamente strutturato e delineato a partire dalla teoria stessa; una volta che è chiaro e delineato l’oggetto di ricerca, si dovrà semplicemente andare a ricercare dei dati nelle fonti secondarie, cioè a partire da dati che qualcuno ha già rilevato. (ad esempio, l'Istat) Ciò che si va ad indagare nella ricerca quantitativa è un campione che generalmente si dice statisticamente rappresentativo, ovvero statisticamente omogeneo e indicativo in tutti i suoi aspetti. L’obiettivo della ricerca quantitativa è spiegare perché determinati fenomeni variano nel tempo e nello spazio e qual è la relazione tra le variabili di un determinato fenomeno. Per studiare come varia un fenomeno, come si può leggere nelle sue varie sfaccettature bisogna fare ricorso alle statistiche. Sulla base del disegno della ricerca i sociologi sanno i risultati ma non sanno con quale metodo sono stati rilevati. Il risultato porta a delle generalizzazioni casuali, cioè a confrontare i dati dal punto di vista matematico e statistico perché danno la fotografia di un fenomeno che è misurabile quantitativamente. La ricerca qualitativa è completamente diversa rispetto all’approccio quantitativo perché è una ricerca costantemente aperta, non è assolutamente standardizzata come quella quantitativa perché è costantemente modificabile e prevedere che ci sia un’osservazione nel campo di ricerca. Di conseguenza i risultati che si possono ottenere nel campo dell’osservazione non sono dei numeri, perché si ha a 11 che fare effettivamente con le persone. La ricerca è quindi aperta e interattiva. La teoria non detta le ipotesi di ricerca come nella ricerca quantitativa, ma è l'esatto contrario; la teoria è costantemente messa in discussione da ciò che viene visto nel campo. Il contatto con l'oggetto di studio nella ricerca qualitativa è assolutamente ravvicinato. Step del fare ricerca: - Definizione del problema: quale fenomeno sociale voglio studiare? Devo adottare un paradigma teorico - Definire l’obiettivo della ricerca: il nostro obiettivo deve essere chiaro perché è strettamente connesso all’approccio metodologico che si dovrà scegliere. Se l’approccio è quantitativo, la teoria precede l’analisi sul campo ma a volte sarà lo stesso campo che mi porterà nuovi spunti di ricerca, tramite l’interazione con l’oggetto in questione. Come già detto, la differenza principale tra analisi qualitativa e analisi quantitativa è l’impostazione della ricerca. Il disegno della ricerca quantitativa è un disegno strutturato, i cui risultati vengono definiti hard in sociologia perché non si possono né smussare né interpretare se non sulla base di variabili. La ricerca qualitativa invece è una ricerca più aperta e interattiva, perché la teoria emerge dall’osservazione del fenomeno. Quando si fa ricerca sul campo sociale bisogna tenere presente l’etica della ricerca, poiché si ha a che fare con persone e il cui ruolo non solo è attivo ma bisogna costruire un duplice rapporto di fiducia. Quando si fa ricerca qualitativa, si parte da un contesto per poi arrivare al singolo, è un’indagine con logica a imbuto, scendendo si va sempre più in profondità. L’individuo stesso nelle sue azioni o interazioni sarà sempre l’oggetto dell’analisi e l’analisi qualitativa dovrà raccontare queste osservazioni dal punto di vista qualitativo: i risultati non saranno tabelle e grafici come in quella quantitativa, ma saranno racconti di ciò che rileviamo. Meno è standardizzata più si entra infondo alla ricerca; un esempio piò essere un questionario ben strutturato (ricerca quantitativa), più si aprono le domande più si entra dentro la ricerca (quindi si va sempre di più verso la ricerca qualitativa). Etnografia: i primi a parlare di etnografia sono stati dei sociologi negli anni 20/30 a Chicago. Fu un’innovazione perché nessuno si era approcciato allo studio dei fenomeni sociali dal punto di vista diretto e tramite empirica. La trasformazione dell’assetto urbano di quegli anni colpì alcuni sociologi, tra cui Park, che iniziò a studiare la trasformazione demografica della città. Notò come nuovi arrivi di etnie corrispondessero ad un nuovo assetto urbano, poiché si trasferivano in un certo punto della città. Per questo, la città venne paragonata a un ecosistema biologico. L’osservazione può essere diretta o partecipante: - diretta: con l’osservazione dall’esterno - partecipante: quando si partecipa alla vita quotidiana e si ha un ruolo attivo. L’intervista: l’intervista è una tecnica di rilevazione qualitativa che ha come obiettivo il chiedere e permette di immergersi nella realtà sociale del fenomeno, ma non è qualitativa tanto quanto l’etnografia, poiché un’intervista può durare al massimo 2h. Bisogna mettere a proprio agio l’intervistato, poiché potrà dare più informazioni. In un’intervista, non ci si immedesima nel contesto di ricerca come l’etnografia, ma l’obiettivo è accedere alla prospettiva dell’intervistato, ottenendo la sua fiducia. La differenza tra il questionario standardizzato quantitativo e l’intervista qualitativa risiede nell’approccio, perché la seconda vuole ricostruire storie, non la variabile come le tecniche quantitative. Nell’intervista lo schema non è standardizzato ma flessibile, infatti, si evolve con la conversazione. Le interviste si suddividono in diversi tipi in base a quanta confidenza e fiducia l’intervistato da all’intervistatore: - Intervista strutturata: si fa faccia a faccia ed è precisa, preconfezionata quasi già stampata. Prima di sottoporla all’intervistato si sanno già le domande da fare, in quale sequenza e in quale modo. Prevede un alto grado di standardizzazione in quanto le domande sono tutte uguali, ma consente anche un’indagine qualitativa poiché si tratta comunque di un colloquio e non di un questionario cartaceo. Si sceglie quando si ha bisogno di informazioni molto precise e dettagliate. - Intervista semi strutturata: la forma delle domande non è prestabilita e varia in base al contesto e all’intervistato. L’unico elemento già prescritto è l’argomento delle domande. - Intervista non strutturata: è generalmente quella più adottata nel campo della ricerca qualitativa in quanto lascia ampio spazio al dialogo e permette quindi un’interazione profonda tra l’intervistato e l’intervistatore. Si contatta l’intervistato e a lui si lascia solitamente la scelta del set dell’intervista in modo che si senta protagonista e acquisti ancora maggiore fiducia. Nel caso di interviste particolari è l’intervistatore che sceglie il set. È importante ricordare che l’intervista è come una danza in cui chi guida è sempre l’intervistatore (anche se l’intervistato potrebbe avere la percezione contraria). L’intervista non deve essere mai improvvisata, ma deve esserci sempre una traccia, una scaletta preparata prima, che funga da schema da poi approfondire durante l’intervista. Rispetto all’intervista strutturata si ha più libertà di dialogo poiché, essendo la traccia flessibile, capita a volte che l’intervistato anticipi degli argomenti oppure si discosti leggermente dandoci comunque altre informazioni che possono esserci utili. Quando capita che l’intervistato divaghi troppo e si allontani quindi dallo schema dell’intervista è sempre necessario, in maniera velata e molto educata, ricondurre l’attenzione dell’intervistato a quella che è la traccia e al fine dell’intervista anche se non è facile. Nel caso di un’intervista semi-strutturata o non strutturata si può cambiare 14 Etnocentrismo à tendenza a giudicare le altre culture secondo i criteri specifici della propria. In group: apparteniamo a un gruppo perché condividiamo le stesse norme e gli stessi valori. Out group: troviamo valori e norme che si distinguono dalla cultura dominante; le persone fuori dal gruppo: OUTSIDERS. Con il termine sottocultura si indicano i gruppi di persone che accettano gran parte della cultura dominante ma si distinguono da questa per una o più caratteristiche culturalmente significative come, ad esempio, il genere e l’orientamento sessuale o le etnie. Esistono delle sottoculture definite devianti come i punk, gli hooligans e gli ultras. Con il termine controcultura invece si indicano gruppi che differiscono dalla cultura dominante per norme e valori incompatibili e cercano di ribaltare i valori della cultura dominante. Questo concetto nasce in riferimento agli hippy, attivisti contro la guerra e studenti radicali degli anni ‘60. Il multiculturalismo è l’ambiente in cui le differenze culturali sono accettate sia da parte dello Stato che dalla cultura dominante. (ad esempio, convivenza tra gruppi culturali e immigrati in Europa (nuovi flussi, religioni diverse)) Il fenomeno dell’assimilazionismo avviene quando la cultura dominante accetta la minoranza in termini di accettazione nel mainstream. SOCIALIZZAZIONE E INTERAZIONE Il processo di socializzazione è ciò che permette la trasmissione della cultura. È un processo basato sull’interazione che porta alla trasmissione dei codici e dei i valori e delle norme di comportamento che si sedimentano nei gruppi sociali e nelle istituzioni sociali. La società influenza l’individuo e l’individuo influenza la società: l’uomo si forma come identità sociale a partire del contatto costante e ripetitivo che ha con l’ambiente. Infatti, gli individui nascono generalmente in un determinato luogo e sedimentano la loro cultura in quel determinato luogo, però possono anche modificare la cultura che caratterizza il contesto in cui vivono, o possono spostarsi ed ereditare nuovi valori e nuove norme. Non bisogna mai pensare all’individuo come un qualcosa di esterno alla società in cui si forma. Il nostro essere si forma socialmente, a partire dalla condivisone di una cultura e anche il nostro corpo è influenzato dal contesto. L’identità è culturalmente relativa, ognuno di noi sviluppa una propria identità a partire dal contesto che vive tramite il ripetersi di azioni (banali) che sembrano acquisite, perché ripetute abitualmente; queste si cristallizzano in uno schema fisso. Questi processi di abitualizzazione si depositano poi sulla base di un processo di istituzionalizzazione, in quelle che sono le istituzioni sociali. Le istituzioni sociali sono dei modelli di comportamento oggettivi, che acquistano un significato condiviso dalle persone. La parola istituzione in sociologia riguarda i modelli di comportamento condivisi in determinate istituzioni, organizzati in sfere che accomunano una determinata dimensione. La famiglia è la prima istituzione nella quale ci formiamo; è l’insieme organizzato di modelli di comportamento che apprendiamo sin dalla nascita. Viene definita un’istituzione perché per essere considerate tali le istituzioni devono essere dei modelli di comportamento condivisi, sempre caratterizzati dalla presenza di una norma sociale. In famiglia viene appreso un modello di comportamento relativo, che varia da famiglia a famiglia, che si apprende tramite il processo di abitualizzazione. La scuola è la seconda istituzione sociale con la quale entriamo in contatto, la quale ha un ruolo fondamentale nella formazione della nostra identità perché porta ad apprendere le aspettative di ruolo. Anche l’economia in sociologia è un’istituzione perché è l’acquisizione, anche dal punto di vista macro, di comportamenti dettati dalla cristallizzazione di determinate operazioni. La quarta istituzione è la politica, che rappresenta un altro modello che va a definire ciò che siamo anche a livello governativo. L’istituzione è definita dal fatto che ha sempre bisogno dell’elemento normativo, di essere quindi guidato da ciò che è definito giusto o sbagliato. Quando nasciamo il mondo ci appare come un qualcosa di esterno, un fatto coercitivo, perché ancora non ci si rende conto di far parte di una dimensione che noi stessi possiamo plasmare, e che a sua volta plasmerà la nostra identità. Si acquista consapevolezza tramite il processo di socializzazione in tre modi à ciò che porta alla formazione di un’istituzione sociale è la sua legittimazione, quella sorta di conferma che porta le azioni a tipizzarsi, a diventare modelli sedimentati di comportamento. Un’istituzione sociale si basa prima di tutto sulla condivisione di valori culturali del gruppo di appartenenza e si costruisce prima di tutto con il linguaggio (il simbolo per eccellenza), non solo verbale ma anche del corpo, che permette di indicare la reciprocità e la legittimazione di determinate azioni. Per definire l’istituzione sociale è fondamentale l’elemento sanzionatorio. Nella trasmissione tra una generazione ed un’altra le istituzioni si trasmettono sempre nel mancato o nel corretto adeguamento dei nuovi membri alla condotta di quel determinato gruppo sociale. La condotta viene ad uniformarsi nel tempo, perché ci si adatta a quelle che sono le norme sociali condivise. Quest’uniformazione viene data quasi per scontata. La socializzazione può essere suddivisa in due tipologie principali: la socializzazione primaria e la socializzazione secondaria. La socializzazione primaria è quella che viviamo nei primi anni della nostra vita. È in questa prima fase che apprendiamo i ruoli delle persone e quelle che sono le aspettative di ruolo connesse a quella data persona. A partire dalla famiglia si iniziano a capire i diversi ruoli: qual è il mio ruolo di figlio e cosa si aspettano i miei genitori dal mio essere figlio, e viceversa. Quindi la socializzazione primaria è un processo che influenza la formazione del nostro essere in maniera latente. Le relazioni parentali e familiari, così come le relazioni con i compagni di gioco sono le interazioni più intime e vicine che sono fondamentali nella socializzazione e comportano una forte partecipazione emotiva. Mead è stato il primo a parlare dell’importanza dell’interazione tra individui nella formazione e nel cambiamento della società. Egli afferma che vi è un momento cruciale nella nostra vita, in cui definiamo la nostra identità, che avviene attorno agli 8/9 anni: ossia quando entriamo a far parte di gruppi di amici e condividiamo dei giochi che ci permettono di vedere il comportamento che assumono gli altri. In questo momento ci rendiamo conto che ciò che abbiamo appreso ha effettiva applicazione. 15 In quel momento il bambino tenderà ad imitare il comportamento dell’altro, perché si rende conto della differenza. Questo passaggio precede la socializzazione secondaria. Se nella socializzazione primaria impariamo a stare in società, nella socializzazione secondaria apprendiamo qualcosa di più specifico attraverso l’assunzione dei nostri ruoli. È il processo attraverso il quale gli individui interiorizzano competenze sociali. La socializzazione secondaria avviene nel gruppo dei pari (scuola, sport), il quale svolge un ruolo fondamentale nella formazione della nostra identità. Il lavoro è un’istituzione sociale che ci porta ad assumere modelli di comportamento tramite l’acquisizione di una vera e propria professione. Un ruolo essenziale è ricoperto dalla comunicazione di massa e dai mass-media che possono essere considerati una forma di socializzazione secondaria, perché permettono la trasmissione di modelli di comportamento. Dobbiamo pensare alle istituzioni sociali come un qualcosa che non è fisso, ma come se fosse qualcosa che si modifica costantemente nel tempo, in base al grado di istituzionalizzazione raggiunto. Questo grado di istituzionalizzazione dipende da diversi fattori: da forme rigide o flessibili di controllo sociale che garantiscono l’osservanza di determinati comportamenti. Per controllo sociale si intende quella forma di osservazione da parte degli altri riguardate l’adeguatezza dei nostri comportamenti, che può avvenire sia tramite agenzie formalizzate (forze dell’ordine), ma anche nella nostra vita quotidiana. Maggiore è il controllo sociale e maggiore sarà l’interiorizzazione di determinati comportamenti. Un altro elemento che determina il grado di istituzionalizzazione dei modelli di comportamento è il grado di accettazione di questi modelli all’interno del gruppo. Maggiore è il grado di accettazione e maggiore sarà il grado di legittimazione. Ciò dipende anche dall’intensità delle sanzioni, abbiamo detto che per parlare di istituzione elemento fondamentale è la sanzione. C’è un altro elemento, ossia il grado di interiorizzazione dei codici morali individuali. Gofmann afferma che vi sono delle istituzioni, definite istituzioni totali (manicomi, carceri), perché rappresentano istituzioni nelle quali il grado di formalizzazione dei comportamenti è rapidissimo, a causa delle agenzie di controllo sociale. L’individuo una volta che viene etichettato come deviante, inserito in delle istituzioni che servono a controllare il suo comportamento, inizierà a conformarsi a questi metodi di controllo. Il grado di interiorizzazione rappresenta quanto facciamo nostri i modelli di comportamento. È molto importante parlare di socializzazione quando parliamo di società proprio perché ogni sistema sociale per esistere deve soddisfare almeno quattro requisiti essenziali. Il primo sistema sociale esiste a partire dalle sue azioni sociali, ma anche dai valori; il formulare dei fini è rivestito dalla funzione politica. Tuttavia, non basta formulare dei fini, ma bisogna anche adattare i mezzi ad alcuni fini che riteniamo fondamentali. La funzione ricoperta è quella economica. È essenziale anche l’elemento normativo; per vivere pacificamente dobbiamo porci delle regole, ogni sistema sociale per funzionare deve porsi delle norme di funzionamento disciplinate da sanzioni, siano queste positive o negative. L’altro elemento è quello culturale, che permette la trasmissione dei valori nel tempo. Quando variano queste funzioni, variano anche le istituzioni che le rappresentano. Come ogni prodotto dell’attività umana, anche le istituzioni variano nel tempo. Come si modificano? Distinguendosi in due tipi fondamentali: da un lato in modo spontaneo, e dall’altro per volontà specifica degli attori sociali. (si pensi a tutto quello che riguarda la sfera della morale sessuale o come ad esempio l’abolizione negli anni 70 del delitto d’onore.) La socializzazione è quel processo che ci permette di apprendere competenze e atteggiamenti connessi ai nostri ruoli. Attraverso il processo di socializzazione è possibile che aspetti culturali si tramandino da una generazione all’altra. Quando in sociologia parliamo di socializzazione, trattiamo anche la socializzazione di genere, impariamo ad essere maschi o femmine in base a quello che è il grado di accettazione della mascolinità o della femminilità, anche attraverso la condivisione di giochi nell’infanzia. Anche la religione è un ambito di socializzazione, perché appartenere o meno ad un credo religioso modifica i nostri modelli di comportamento sempre sulla base di interiorizzazione. Un altro ambito di socializzazione può essere l’economia, ad esempio la sfera dei valori della società consumistica. Parliamo anche di socializzazione professionale, socializzazione politica. Non sono possibili elementi perfettamente integrati senza violenza, la violenza è un elemento fondamentale della nostra società, spesso connessa alla sfera della ribellione. La violenza è l’elemento naturale di rottura, senza il quale non vi sarebbe una realtà sociale. Il primo che ha parlato di interazione è Weber, che definisce l’azione sociale come un agire che sia riferito, secondo il suo senso, al comportamento altrui, e orientato nel suo corso in base a questo. Ogni azione dell’individuo è quindi dettata da un senso intenzionato dall’agire, cioè dall’intenzione che si da all’azione che svolgiamo. Orientiamo i nostri comportamenti in base a quello che è il senso intenzionato della nostra azione. Ogni azione corrisponde ad una nostra intenzione: Weber identifica quattro forme di azione. La prima forma di azione è l’azione razionale rispetto allo scopo, cioè un’azione determinata razionalmente dagli obbiettivi della mia azione. La seconda azione è quella determinata dai valori. Ci sono anche delle azioni che non sono per forza razionali, ma determinate affettivamente. Vi sono infine le azioni determinate dagli schemi tradizionali. L’azione razionale rispetto allo scopo è definita da Weber come chi agisce tramuta razionalmente quelli che sono i mezzi da utilizzare rispetto agli obbiettivi che si è prefissato, e considera gli scopi in base alle conseguenze che l’azione svolge. Una volta che l’individuo decide come agire paragona i diversi possibili scopi della propria azione scegliendo quale sia più conveniente. L’azione razionale rispetto al valore tiene invece conto di cosa sia giusto e cosa sbagliato, ciò che può essere comandato anche semplicemente dal dovere. La nostra dignità spinge il nostro volere. Esistono poi le azioni determinate affettivamente, le quali dipendono da manifestazioni di gratitudine, di gioia, vendetta (codice di vendetta barbaricino), affetto o di altre emozioni. Le azioni tradizionali sono invece espressione di abitudini acquisite, reazioni abitudinarie a stimoli ricorrenti, comportamenti che si ripetono senza interrogarsi su possibilità alternative, sul loro vero valore o senza porsi il problema di modi differenti per raggiungere gli stessi risultati. Nell’analisi sociologica bisogna fare una distinzione tra relazione sociale oppure di interazione sociale. La relazione sociale è una relazione che si instaura tra persone che orientano la loro azione reciprocamente, cioè entrano in contatto. Le relazioni sociali cambiano, variano. Il tipo di relazioni che instauriamo nella nostra vita possono essere differenti: possono essere più stabili, lineari, durevoli nel tempo, oppure possono essere profonde, entrare nella sfera emotiva, o superficiali. Le relazioni sociali possono essere anche conflittuali, possiamo avere relazioni che si basano sull’esistenza di un conflitto, (controcultura: un gruppo legato da una relazione sociale all’interno di un movimento contro culturale, abbiamo una relazione sociale che si basa sul 16 porre conflitto all’interno della società, porre movimento, ribellione, quindi le nostre azioni sono orientate nella necessità, volontà di affermare le nostre idee rispetto alle idee della cultura dominante). Quando invece si parla di interazione sociale si fa riferimento a un processo che non si basa soltanto sull’unione di due soggetti, sul legame, su una relazione tra due o più o soggetti, ma questa relazione è continuamente basata sulla reazione alle azioni altrui, è un continuo scambio interpretativo di quelle che sono le azioni e le reazioni a determinate azioni. Nell’interazione sociale le persone non sono soltanto legate da una relazione sociale ma reagiscono all’interno di questa relazione le azioni. L’unirci secondo relazioni sociali o l’interazione sociale porta alla nascita del gruppo sociale. Un gruppo sociale è un insieme di persone che interagisce con continuità (se non interagissero con continuità sarebero soltanto all’interno di una relazione.) Il fatto che la relazione è continua caratterizza l’esistenza di un gruppo; non è soltanto un metterci in contatto, ma abbiamo relazioni continue nel tempo e fra di noi il fatto di voler stare aggregati in un gruppo di persone. Per definirci gruppo bisogna anche seguire una serie di schemi di comportamento, schemi valoriali che sono stabiliti tra i componenti del gruppo stesso. Si tratta di schemi relativamente stabili perché il gruppo si basa sulla condivisione di quei determinati valori e norme di comportamento. Merton, sociologo funzionalista, osserva come funzionano e che reazioni causano le strutture; afferma che per definire i confini di un gruppo bisogna avere due elementi: la persona che ha voglia di appartenere al gruppo oppure la persona che ne ha minimamente voglia. Dall’altra parte invece si trovano i membri del gruppo che riconoscono una persona come un potenziale membro del gruppo oppure riconoscono che quella persona non ha le caratteristiche per appartenere a quel gruppo. Un gruppo si distingue anche per le sue dimensioni. Il primo gruppo è una diade, un gruppo composto da due membri. Le diadi sono gruppi altamente fragili perché se uno dei due membri decide di uscire da questa relazione il gruppo scompare, non si può più considerare esistente. La fragilità strutturale è un forte carattere della personalizzazione perché ovviamente sarà l’identificazione di soltanto due persone a trasmettere quelli che sono i valori del gruppo. In una diade, amoroso per esempio, il coinvolgimento psicologico è sicuramente più forte; quindi, è un gruppo che si basa su una relazione stabile, soprattutto sulla condivisione dei sentimenti e sul coinvolgimento totalizzante della relazione. Oppure caratterizzato dal seguire norme e atteggiamenti culturali che sono rigidi, (ad esempio nell’esempio della relazione di coppia chiusa, se uno tradisce la coppia sparisce perché probabilmente si era deciso che una norma di comportamento è legata alla fiducia e che quindi era una relazione basata sulla fedeltà. Le triadi sono gruppi formati da più persone, quindi almeno da tre individui. Quando le dimensioni del gruppo aumentano la personalizzazione va a scemare perché nel caso di conflitto in una diade scompare la diade, però in caso di conflitto in una triade formata da tre individui, i ruoli iniziano a definirsi. Le figure tra i tre componenti del gruppo sono: il mediatore, che in caso di conflitto cerca di mediare il rapporto; ci sarà quello che è definito il tertius gaudens, colui che in realtà da eventuali forme di conflitto può anche giovarne interesse; e c’è colui invece che probabilmente decide di amministrare questo gruppo e di gestire le azioni del gruppo sulla base di quelle che sono le finalità del gruppo. È importante parlare di gruppi perché la nostra società è formata o da gruppi che condividono determinati temi, regole di comportamento, che condividono un codice valoriale e dei ruoli che iniziano a definirsi dalla triade. Vanno però distinti da quelli che sono i comportamenti collettivi, le persone possono stare insieme anche senza condividere per forza legami profondi e senza interagire in modo profondo, magari sono tenuti insieme da uno stimolo o dal fatto che si reagisce a determinati avvenimenti che succedono senza però avere questa continuità che ha il gruppo. Si possono quindi riconoscere tre tipi di comportamento: panico, folla oppure pubblico. - Il panico è un tipo di comportamento collettivo che nasce dalla reazione collettiva, generalmente spontanea, a un qualcosa che in genere ci provoca una sensazione di rischio, di danno, è generalmente associato a un evento che avviene immediatamente, cioè senza preavviso. Il panico può avere anche una serie di conseguenze. Quindi i comportamenti collettivi in base all’intensità di quelle che sono le reazioni delle persone a un evento, anche assolutamente immediato non annunciato, possono creare delle conseguenze. - La folla è un insieme di persone che si riuniscono in un determinato luogo, che magari hanno anche atteggiamenti comuni perché magari si comportano tutti nello stesso modo, sono caratterizzati anche da una serie di codici, che possono decidere a partire dal loro incontro anche di sviluppare delle azioni. Ciò che accomuna la folla è il fatto di stare insieme, riuniti in un luogo e adottare atteggiamenti comuni. - Il pubblico è un insieme di persone che non si pone minimamente un’idea di una reazione legata al panico, cioè che il pubblico sta insieme perché li tiene qualcosa insieme, li lega ad esempio il confrontarsi su un determinato problema. Secondo la lente della microsociologia è l’approccio di studio alla società che è vista come una miriade, come un insieme infinito di azioni ripetute nel tempo e come un insieme di persone che interagiscono ripetutamente tra di loro e di conseguenza sono il motore degli eventi della società. Siamo il prodotto della reazione a determinati pensieri perché siamo portati a essere costantemente in contatto tra di noi; quindi, osservare la società dal punto di vista delle azioni, delle interazioni individuali a livello micro, porta a studiare poi delle dimensioni che sono anche più grandi della società; quindi, da un livello micro si arriva al capire come funzionano strati e sfere della società che continuano a influenzare sempre e costantemente l’individuo e viceversa. Il concetto relativo soprattutto a questo passaggio dalla microinterazione tra individui alla costruzione di qualcosa di più grande a livello sociale è il concetto di rete sociale. Oggi è talmente ovvio parlare di reti anche visto l’uso che facciamo dei social network che sono reti sociali, ma sono anche i legami e le relazioni che noi intessiamo costantemente nel corso di tutta la nostra vita, a partire dalla socializzazione primaria e investendo tutta la socializzazione secondaria. Una rete sociale è la cerchia di persone con cui entriamo in contatto e può variare dagli ambiti di socializzazione. La rete sociale si coltiva, si sviluppa nel corso della vita. Le reti sociale si distinguono per diversi elementi: 19 Mead ha influenzato soprattutto Blumer, che sviluppa maggiormente il concetto di costruzione dell’identità tra gli altri. Blumer è il fondatore di quello che è l’interazionismo simbolico, secondo il quale l’interazione tra gli esseri umani è mediata da simboli che sono costantemente interpretati da ognuno di noi in modo differente. Il processo interpretativo che è dato innanzitutto da un emittente che nell’interazione lancia un messaggio, il quale va ad un ricevente e il ricevente lo interpreta secondo quello che è il suo processo interpretativo. Questo feedback interpretativo lo riporterà all’emittente, per cui l’interpretazione è sempre mediata dall’interpretazione dei simboli. Un altro approccio nello studio della microsociologia è quello di Goffman che rappresenta lo studio della vita quotidiana grazie ad un approccio drammaturgico. Spiega come la società non è altro che la rappresentazione di azioni. Le nostre azioni e i simboli sociali sono anche per Goffman fondamentali perché nella nostra vita quotidiana siamo sempre il risultato dei simboli che assumiamo, sulla base di quello che è ciò che vogliamo far trasparire di noi. I mass media nella nostra vita quotidiana sono una costante scena di queste rappresentazioni perché mostrano quello che la nostra società è il risultato della rappresentazione di ciò che viviamo. L’approccio è di tipo drammaturgico, noi interpretiamo sempre dei ruoli. Goffman sostiene che ogni volta che interagiamo siamo impegnati costantemente nella rappresentazione di noi stessi, di quello che vogliamo che passi di noi. Ci mettiamo la faccia, un’immagine che vogliamo che passi di noi, un’immagine positiva in termini accettati socialmente. Ogni volta che interagiamo con qualcuno cerchiamo di far passare quello che gli altri vorrebbero che noi fossimo, rappresentiamo noi stessi sulla base del consenso. Sono le regole che il gruppo sociale si pone che definiscono la situazione in cui avrà luogo l’interazione. L’ordine espressivo, l’espressione dell’interazione, regola il flusso degli eventi stessi. Quindi l’interazione è una sorta di gioco perché si svolge su una scena in cui gli attori sociali cercano di controllare l’impressione che gli altri si fanno di loro stessi. Il momento in cui i presidenti si stanno presentando e stanno giurando è quella che Goffmann definirebbe “ribalta”, cioè un momento dell’interazione nella nostra vita quotidiana in cui siccome ci vogliamo presentare agli altri, e ci presentiamo secondo quelli che sono i canoni che sappiamo essere accettati e vogliamo controllare l’impressione che gli altri si fanno di noi in base all’accettazione di un determinato comportamento, in una sorta di palcoscenico noi ci poniamo di fronte agli altri e recitiamo questa rappresentazione facendo nostri degli atteggiamenti che magari in quello che è il retroscena abbandoniamo. Durante il retroscena finisco di recitare il mio ruolo e mi spoglio di tutte le condizioni che mi impongono il ruolo. La vita è quindi una rappresentazione sociale secondo Goffman perché è il risultato di un modello drammaturgico che si pone nella scena. Ci sono diversi ruoli, regole che portano a rappresentare noi stessi in determinati contesti, seguiamo delle regole di interazione sociale per presentare noi stessi in pubblico. Gli altri sono sempre interessati allo status, alla concezione che abbiamo di noi stessi e ciò che passa di noi stessi agli altri, il nostro status, il nostro ruolo, il nostro modo di apparire condiziona la nostra presentazione in pubblico. Una regola di condotta può essere definita come una guida per l’azione, come le regole che adottiamo in un’aula universitaria: ad esempio metto la camicia perché è più conveniente in un’aula universitaria ed è più apprezzato. Le regole di condotta all’interno dei gruppi secondo Goffman interferiscono in due modi nella nostra interazione: in primis perché stabilisce direttamente degli obblighi e sono azioni abitualizzate dai ruoli che assumiamo e quindi stabiliamo come si è moralmente costretti a comportarci perché è giusto ed accettabile, e poi perché sappiamo quali sono le aspettative degli altri. Le regole di accettazione influenzano sia direttamente come obblighi sia indirettamente come aspettative, stabilendo anche come gli altri moralmente sono costretti a interagire nei nostri riguardi. Noi stessi siamo quindi il risultato della creazione di questo rituale della rappresentazione di noi stessi, nel modo in cui il continuo rappresentare noi stessi al pubblico e il continuo rituale di questa interazione alla fine porta a definire la nostra identità. L’attività che svolge un determinato individuo e la funzione del ruolo è sempre quella di adattarsi e conformarsi alle richieste normative in base alla posizione che si ricopre. Noi eseguiamo un certo ruolo attraverso delle situazioni che sono sempre faccia a faccia, e il pubblico è un role-set, un complesso di ruoli. Il palcoscenico è il momento in cui ricopriamo un set di ruoli. Ad esempio, il medico interpreterà un ruolo differente se davanti a sé faccia a faccia ha un medico o un paziente o un infermiere, in base alle esigenze e alle aspettative. LE ORGANIZZAZIONI, LE SOCIETÀ E IL GLOBALE Parlando di organizzazioni bisogna in primo luogo fare una distinzione con la definizione di gruppo. I gruppi sociali sono persone che interagiscono tra loro con una certa regolarità, la quale genera tra le persone un senso di appartenenza che genera ruoli e di conseguenza aspettative di ruolo. Ruoli e aspettative hanno un ruolo fondamentale in quella che è la relazione faccia a faccia. Ancora, bisogna distinguere il gruppo sociale da aggregati e categorie sociali. Gli aggregati sono individui che interagiscono tra di loro in modo episodico, che si aggregano in modo effimero. Un pubblico al cinema è ad esempio un aggregato di persone, le quali sono sulla soglia dell’indifferenza. Diversa è invece la categoria sociale, è un aggregato astratto, non prevede né interazione né continuità. Sulla base della condivisione di alcuni tratti. Una categoria sociale è una categoria che costruiamo per dare uno sguardo alla società, attraverso l’aggregazione delle persone sulla base di alcuni tratti caratteristici. Un’organizzazione sociale è un gruppo sociale accomunato da una certa regolarità e continuità, caratterizzato dal fatto che le persone che ne appartengono condividono uno scopo, un obbiettivo e il conseguente modo in cui le persone si organizzano per raggiungere quel determinato scopo. Le organizzazioni sociali sono forme tipiche della società moderna. In Durkheim si parla del passaggio dalle società premoderne, alla società moderne. Per Durkheim l’elemento che influiva nel tipo di coesione sociale e crea la distinzione è la divisione sociale del lavoro; il fatto che in una società premoderna tutti si occupassero delle stesse mansioni portava alla coesione di tipo meccanico. In una società moderna, invece le persone si differenziano l’un l’altro, perché si organizzano sulla base di specializzazioni differenti. L’università ne è un esempio. La formazione è il fine ultimo dell’università. Nella società tradizionale, invece, la condotta degli individui è dettata dalla condivisione di consuetudini, di poteri tradizionali. Secondo Weber il modello più efficiente di organizzazione sociale mai esistito è la burocrazia. 20 Dimostra come la burocrazia incarna i caratteri della società moderna. Il termine burocrazia deriva dal termine dal greco “il potere degli uffici”. Weber formula la società in maniera Ideal-tipica, ossia dei modelli ideali sui quali egli riflette. Le società tradizionali hanno secondo Weber delle forme limitatissime di burocrazia, soprattutto legate all’amministrazione dello stato. Nelle società tradizionali, l’amministrazione dello stato si limitava alla riscossione dei tributi e altre attività minori. Esistevano anche altre figure come la chiesa, e l’organizzazione degli eserciti. Nella società moderna, la burocrazia si estende a tutti gli ambiti della vita sociale. Che cosa rappresenta la burocrazia e come si instaura nella società? La burocrazia è caratterizzata da alcuni tratti distintivi. Il primo tratto è la gerarchia, la burocrazia è una piramide gerarchica. Rappresenta il modo in cui i poteri vengono organizzati. I compiti nella burocrazia vengono trasmessi dall’alto verso il basso. Ci sarà quindi una figura al vertice che demanda una serie di compiti nei gradi inferiori. La gerarchia è formata da una serie di uffici, e da catene di comando. A determinati compiti conseguiranno determinati tipi di controllo. Un altro tatto distintivo della burocrazia è che questa si basa su regole scritte. Nella burocrazia il comportamento è determinato da delle regole scritte che dettano il comportamento dei burocrati all’interno degli uffici. Più è efficiente la burocrazia più le regole scritte sono adatte. Un'altra caratteristica per Weber è il fatto che i funzionari che lavorano all’interno dell’organizzazione appartengano a quest’ultima. Ogni funzionario ha dei compiti ben precisi. Lavora in comodo costante, a tempo pieno. Al suo lavoro corrisponde un salario, che varia in base al ruolo che ricopre nella piramide gerarchica. L’appartenenza che viene riconosciuta in base ad uno stipendio. La burocrazia rappresenta la separazione tra vita privata e lavoro. L’attenzione è rivolta verso i doveri, completamente separati dalla sfera privata. Un’altra caratteristica riguarda i mezzi economici. Il fatto che il burocrate sia responsabile dell’impiego dei mezzi economici permette la buona gestione burocratica degli uffici. Le organizzazioni sociali hanno uno scopo, i mezzi vanno utilizzati per raggiungere questo scopo e non riguardano il patrimonio del burocrate, bensì va condiviso per il perseguimento dello scopo. È fondamentale la gestione economica del burocrate, riflette solo per perseguire lo scopo dell’organizzazione, non ne è proprietario. L’efficacia della burocrazia è data dell’impersonalità. Ogni ufficio lavorerà in modo impersonale. Parlando di burocrazia è impossibile non parlare di potere, cioè l’elemento che permette la suddivisione di compiti. In Weber il concetto di potere è fondamentale. Per capire cosa sia il potere per Weber bisogna far riferimento al concetto di azione. Per Weber, il potere è la capacità di far fare o impedire di fare una determinata cosa, è quindi una decisione sulle azioni altrui. Alla base di ogni relazione di potere è essenziale affidare le decisioni ad una figura legittimata, che rappresenti l’autorità. Esistono tre forme ideali di autorità: 1. Autorità razional-legale: chi esercita il potere è legittimato da fondamenti giuridici. 2. Autorità tradizionale: autorità che si fonda sull’esistenza di determinate tradizioni, sulla fede nel carattere sacro delle tradizioni 3. Autorità carismatica: si basa sulla devozione nei confronti di un leader carismatico da parte dei seguaci, equivale ad una delle forme più tipiche legate alla nostra società attuale Weber afferma che partecipare in modo attivo alla vita democratica è pressoché impossibile per via delle dimensioni degli stati moderni. Anche la funzione politica richiede sempre una specializzazione e soltanto determinati esperti possono occuparsi di stati moderni. Per Weber è fondamentale la burocrazia perché senza la presenza di una burocrazia statale non è possibile lo sviluppo dei diritti sociali. I vertici devono essere quindi elettivi. La democrazia moderna si è organizzata secondo una concezione burocratica che è gestita da pochi, in modo specifico. Lo scopo ultimo è la gestione del bene comune. Le organizzazioni occidentali si dotano di nuove tecniche per incrementare il raggiungimento di determinati scopi soprattutto per incrementare produttività e competitività. Questi concetti servono per capire in modo tecnico ciò che è stato detto nelle prime lezioni, quando si è parlato di globalizzazione e di società globale. Le nuove tecniche di management vengono introdotte attraverso la gestione delle proprie risorse umane. La cultura del consumismo è collegata al modo in cui i mercati globali sono organizzati. La gestione delle risorse è la priorità del management. (si pensi alla delocalizzazione nelle società globali di lavoro) per cui cerca di diffondere la cultura di appartenenza dell’azienda e si incoraggia la fedeltà all’azienda e l’orgoglio per il lavoro. I funzionari delle burocrazie sono esperti formati per determinate mansioni. Nelle nostre burocrazie all’interno di queste scale gerarchiche, spesso, vi sono dei gruppi informali che collaborano. I gruppi informali hanno un ruolo fondamentale, perché da una parte aiutano la burocrazia a raggiungere determinati scopi, dall’altra nascono come reti di relazioni spontanee. Nella nostra società, la burocrazia si traduce anche nello sviluppo urbano, orientato dallo stato attraverso i propri investimenti e i segnalatori della presenza di un’organizzazione sono le bandiere. Già attraverso lo sguardo all’architettura si può capire lo spessore di un’organizzazione. Chi fa parte delle istituzioni sociali arriva ad interiorizzare i valori dell’istituzione, tanto che inizia a considerarsi parte integrante dell’organizzazione. Goffman le chiama istituzioni totali proprio perché sono totalizzanti. Un concetto chiave all’interno di istituzioni come il carcere è “sorvegliare e punire”, teorizzato da Foucault. Si sorveglia in due modi: o in modo diretto dei subordinati da parte dei superiori, oppure nel tenere archivi, registri e schede personali. Le forme di controllo, oggi, sono ancora più fitte, gli archivi sono elettronici. Queste sono forme di controllo totalizzanti. Quando il controllo è troppo pressante può produrre antagonismo, resistenza, disaffezione. Quindi un’istituzione totale è in generale un luogo in cui residenza e sfera personale combaciano con il lavoro. Tutto si svolge all’interno di un’organizzazione, può essere il carcere, un ospedale psichiatrico etc. Questi gruppi di persone si ritrovano a vivere una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato. Questo porta a sentirsi parte di queste organizzazioni, anche grazie all’eliminazione di ogni contatto con il mondo esterno. La vita all’interno di queste strutture è regolata in modo coercitivo, a determinati comportamenti corrispondono delle sanzioni repressive. In genere le istituzioni totali nascono in tutela di soggetti incapaci e considerati pericolosi per la società. L’obiettivo è la protezione della società da parte di questi soggetti minacciosi, i quali vengono organizzati in spazi lontani dalla società (si pensi ai campi di concentramento). Il controllo è possibile con la costruzione di macchinari di controllo e di punizione che servono a manipolare la coscienza. Nascono generalmente per svolgere un’attività, per condividere un’attività e poi diventano, attraverso la distribuzione dei ruoli, delle sedi staccate del mondo. Le caratteristiche principali delle strutture totali sono sicuramente la rottura con le altre sfere della vita sociale, quali il divertirsi, dormire e lavorare in luoghi diversi. Tutte le dimensioni della vita sociale si svolgono all’interno dello stesso 21 luogo e a stretto contatto con un elevato numero di persone (si pensi al fenomeno del sovraffollamento delle carceri). Tutte le persone vengono trattate allo stesso modo, obbligate a svolgere dei ruoli prefissati. Tutte le attività giornaliere sono fortemente schedate, imposte da un sistema di regole scritte veramente serrato. Il sanzionamento porta ad interiorizzare le regole che sono state imposte facendole diventare meccanismi. Le attività sono regolate in modo razionale, schedate per adempiere allo scopo ufficiale di quella istituzione. all’interno delle istituzioni totalizzanti viene a crearsi la manipolazione di determinati bisogni umani, che deve costantemente richiamare l’organizzazione burocratica. Ciò implica il costante richiamo alla sorveglianza, il controllare in modo meccanico e di punire ciò che osservano attraverso la costante sorveglianza. Questo controllo dipende dal fatto che gli internati sono divisi dallo staff, coloro che compongono l’istituzione totale. Si crea una sorta di muro tra internati e staff. Lo staff si trova in una posizione di supremazia. Gli internati dall’altra parte sanno di essere inferiori, interiorizzano questa etichetta. La loro vita si svolge all’interno di quel ruolo. Prima dell’ingresso all’interno dell’istituzione totale, l’internato aveva una propria cultura, dettata dal proprio ambiente. Per Bauman l’esempio più calzante di quella che è l’organizzazione efficiente della modernità, sono i campi di concentramento. Olocausto e modernità hanno un nesso, l’organizzazione burocratica della società. Riguardo la burocrazia è importante esporre il concetto di sburocratizzazione: a partire dal modello ideale offerto da Weber di burocrazia, si parla del suo declino, analizzato da diversi sociologi nel contesto moderno come Mintzberg e Clegg partono dal modello Weberiano di burocrazia: Mintzberg parla di come si trasforma questo modello ideale di burocrazia con la forma di adhocrazia, nelle società moderne la burocrazia tende a svolgere/rappresentare dei compiti standardizzati secondo delle procedure che si affidano a gruppi di professionisti che collaborano solo temporaneamente per singoli progetti, è una delle analisi della burocrazia nella modernità. L’adhocrazia è il modello ad hoc, creato per il raggiungimento di determinati progetti temporanei, di conseguenza porta all’organizzazione temporanea di gruppi di persone. Inoltre, nelle organizzazioni post-moderne la burocrazia si modifica anche a causa dell’influenza dei contesti culturali, della differenziazione cioè di una sorta di rifiuto di capacità generiche e capacità complesse che portano a organizzarsi per vantaggi di pochi. L’analisi dei contesti sociali e culturali è un’analisi che va di pari passo anche con la capacità e lo studio delle organizzazioni sociali e della burocrazia nelle società post-moderne. Mcdonaldizzazione: organizzazione talmente capillare ed efficiente come l’immagine del progetto di McDonald che rappresenta il massimo dell’efficienza dal punto di vista del consumismo, coinvolge gli interessi e la cultura della società dominante. Ritzer abbandona l’idea della sburocratizzazione, pensa che sia tipica della nostra società, il modello burocratico può essere adattato anche alla Mcdonaldizzazzione della società. Uno dei problemi connessi alla differenza tra modello ideale, proposto da Weber, e ciò che succede nelle forme moderne di società, soprattutto nella società attuale, è quella delle organizzazioni che non rispecchiano le pari opportunità e la pari distribuzione di risorse soprattutto in termini di potere. Secondo il contributo della sociologia femminista allo studio delle organizzazioni, le burocrazie sono sempre più caratterizzate da una segregazione occupazionale di genere, non c’è assolutamente uguaglianza in quel modello che Weber analizza come divisione delle specificità, quindi delle specializzazioni e delle professionalizzazioni, in realtà la disuguaglianza di genere è dovuta ad una forte disparità dell’ottenere gli stessi risultati, dal punto di vista della retribuzione, ma soprattutto di quelle che sono le dinamiche di rappresentazione di potere. Nella sociologia di ispirazione femminista i due grandi contributi si dividono in due prospettive dal punto di vista dello studio delle organizzazioni e delle disuguaglianze di genere: 1. La prospettiva liberale, per cui l’approccio femminista dice che il problema delle disuguaglianze di genere è legato al potere e alla sua distribuzione; quindi, lavorare nel concetto di potere è ciò che potrebbe aiutare a portare alla promozione delle pari opportunità. L’ostacolo principale all’interno dell’organizzazione è quella forma di potere di cui parla Weber. La visione liberale è legata agli studi di genere e porta all’attenzione delle disuguaglianze di genere dal punto di vista del potere. 2. La prospettiva radicale dice che non è soltanto una dinamica di potere, ma è un potere insito in modelli maschili, le organizzazioni sono dominate da modelli maschili che sono quasi neutrali, sono modelli culturali talmente accettati come tali per cui non vengono messi in discussione. Per cui il modello di valori è un modello maschile, che si basa su idee patriarcali. Le donne dovrebbero a questo punto organizzarsi secondo principi che non sono gli stessi principi organizzativi di quelli maschili, si tratterebbe di superare il modello maschile dominante, riscrivere un modello a partire da valori che sono completamente diversi da quelli maschili. Nelle organizzazioni sociali le differenze di potere facilitano quelle che sono le molestie sessuali, un qualcosa che colpisce estremamente le donne soprattutto nel posto di lavoro. Le molestie sessuali sono legate alle avances, ai commenti, a comportamenti che le donne sono costrette, da un meccanismo sociale di ripartizione del potere, a subire sempre sulla base di uno sfondo sessuale, per rimarcare una differenza sessuale. Le molestie sessuali sono di diverso tipo: - Possono avvenire in forma esplicita, per cui il rifiuto di fronte ad una avances porterebbe al licenziamento, quindi alla troncatura di una carriera femminile. - Possono avere anche forma implicita o sottile, parliamo di modelli dominanti legati a una sfera di valori completamente maschile, spesso è anche difficile in questo dominio neutrale cogliere quelle che sono le molestie più implicite e sottili. Generalmente si traducono in rottura delle carriere in termini indiretti, con una nuova organizzazione dal punto di vista dello stipendio o avere una serie di pretese che portano spesso le donne a doversi riorganizzare sulla base di queste pretese indirette che subiscono sul luogo di lavoro. 24 locali notturni e dei quartieri più periferici. Questo aspetto è interessante perché più ci si allontana dal centro più iniziano i problemi: l'idea di fondo e che man mano che la città cresce ci si dislocherà sempre di più. Con questo approccio non si vuole cercare intrinsecamente dove sta la devianza ma ci si chiede perché si sviluppa e perché i problemi aumentano più ci si allontana dal centro soprattutto in queste zone di transizione. Notano che il crimine aumenta soprattutto nel passaggio da una zona all'altra spiegando che ciò avviene perché la crescita della città corrisponde allo stabilizzarsi di determinati modelli culturali appartenenti a determinati gruppi. Ogni parte della città corrisponderà a una sfera valoriale, una sfera culturale che caratterizza quel determinato gruppo di persone che si è insediato in quella parte di città. Spostarsi in questi cerchi porta quasi ad un'invasione di nuovi codici culturali all'interno di quelli che sono già dominanti, valori che sono già interiorizzati e dominanti all'interno di determinati quartieri della città. Questo perché si guarda la città come se fosse un organismo vivente, gli individui si influenzano, respirano ciò che respirano gli altri, in qualche modo questi influenza di sfere valoriali porta all'insediamento di determinati usi e costumi nelle determinate zone della città. l'invasione di un nuovo gruppo porta al sovrapporsi di nuovi valori, la zona tra il dominio di una cultura e l'invasione di un'altra e quella che loro chiamano zona di transizione. È una zona di invasione, di transizione da una cultura all'altra, da un modello all'altro. Generalmente questa zona di transizione è caratterizzata da zone più abbandonate della città. i problemi sociali si riducono quando ci si allontana dalle zone di transizione perché questa parte è caratterizzata dalla disgregazione sociale, in queste zone la città viene vista come un qualcosa di superficiale, non come un qualcosa di appartenenza, ma luoghi in cui le persone non sono spinte da forti valori condivisi, ma sono di passaggio. Di conseguenza i legami parentali e amicali sono più deboli e quindi la coesione sociale si disgrega, rendendo più facile che si verifichino dei comportamenti che si allontanano da quelli che sono i valori condivisi dal gruppo. Altri pensatori della scuola di Chicago identificano soprattutto quattro elementi nella disgregazione sociale: - Basso status economico, dunque la povertà - Mescolanza dei gruppi etnici diversi, questo porta a situazioni anomiche; - Alta Mobilità dei residenti in ingresso ed in uscita, quindi ci sono alti tassi migratori e questo passaggio continuo porta alla disgregazione di legami e valori forti proprio perché non si sedimentano, poiché sono in continuo passaggio; - Nuclei familiari disagiati o spezzati, Possono essere in situazioni di svantaggio L'approccio della scuola di Chicago è quello di capire dove si concentra la devianza, esiste una sorta di legame tra immigrazione e criminalità proprio perché non è un qualcosa legato alla cultura degli immigrati, non è qualcosa di intrinseco alla razza come dicevano i positivisti ma è una questione di dominio-invasione che si verifica in quella zona di transizione dove i valori sono instabili e dunque sarà più facile commettere reati perché non c'è una forte coesione sociale. La devianza si osserva, non si va a capire quali sono le caratteristiche nel deviante, si cerca di capire dove si commettono i reati e perché per esempio quali sono le zone di una città più colpite. A partire da quello che è la scuola di Chicago si sviluppano delle teorie, che possono essere divise in due grandi rami: le teorie influenzate dallo struttural-funzionalismo e le teorie influenzate dall’interazionismo simbolico. La scuola di Chicago da un grandissimo contributo allo sviluppo di tante teorie sulla devianza, tra cui l interazionismo simbolico e la teoria della trasmissione culturale; si pensa che i giovani che vivono a contatto in aree socialmente degradate e disgregate dal punto di vista dei valori hanno maggiori possibilità di venire in contatto con individui che abbracciano valori che sono completamente distanti e non conformi alla società dominante e quindi spesso seguono comportamenti criminali e compiono atti di delinquenza. L'approccio dell'interazionismo simbolico sostiene che il comportamento umano è il risultato di simboli che si scambiano gli individui quindi la nostra identità non è un qualcosa di innato ma è continuamente influenzato dalle interpretazioni di simboli delle persone intorno a noi. I simboli contengono una serie di significati che influenzano il nostro agire e di conseguenza se ci autodefiniamo a partire da quello che vorremmo che gli altri pensassero di noi, questo atteggiamento potrebbe portare a commettere degli atteggiamenti non consoni e che possono essere legati alla sfera deviante. La scuola di Chicago influenza anche altre teorie, come quella dell'associazione differenziale, della trasmissione culturale e dell'apprendimento sociale, ma anche quella della sottocultura oltre alle teorie del conflitto e alla disgregazione sociale. Il metodo che si basa sull’osservazione partecipante si sviluppa a Chicago dall’osservazione della città ponendo l’attenzione su come si modifica urbanisticamente con i processi di industrializzazione e con i flussi migratori. Lo studio della devianza per la scuola di Chicago è paragonato all’approccio dell’ecologia umana: osservando le dinamiche di funzione di spostamento di flussi migratori all’interno della città e di conseguenza dove si collocavano i nuovi arrivati nella città, gli osservatori della scuola di Chicago notano che si stabilizzano in quelle zone accomunate da una serie di fattori culturali, soprattutto di provenienza, che portano le persone a stare vicine. Tra un cerchio e l’altro, attraverso meccanismi di sovrapposizione dei valori dominanti, già sedimentati e l’invasione di nuovi valori, quella zona che si crea nell’intersezione tra le due sfere è chiamata zona di transizione, nella quale si perde la profondità dei valori e quindi si verificano i maggiori atti di devianza. La scuola di Chicago è fortemente connessa, si può rappresentare quasi al centro di quelle che sono le teorie più consistenti negli studi della devianza perché oltre a svilupparsi nella prima meta del ‘900, influenza lo sviluppo della teoria legata all’associazione differenziale, all’apprendimento sociale affermando che la devianza si apprende socialmente. È connessa alla teoria della sottocultura, ma soprattutto è collegata a quelle che sono le teorie struttural-funzionaliste e alle teorie anomiche. L’approccio delle teorie strutturali funzionali è andare a studiare quali sono le funzioni di determinate strutture allora ecco che la devianza ha un significato all’interno della società, è utile perché la società ne ha bisogno soprattutto per sedimentare i valori fondamentali di una società perché soltanto trasgredendoli se ne capisce effettivamente la portata. Quindi la devianza è ciò che permette ai gruppi di definire in modo coeso la credenza collettiva, il credo collettivo, ovvero i valori su cui si basa la solidarietà. Così la devianza assume un ruolo funzionale: la funzione è proprio quella di far sviluppare gli individui e ai gruppi di individui devianti la consapevolezza dell’infrazione della norma, per questo diventa un qualcosa di inevitabile e necessario perché senza devianza non si creerebbe la coscienza collettiva, non si rafforzerebbero le credenze collettive che portano gli individui a essere coesi, solidali fra loro; questo è il 25 principio base su cui sviluppa la teoria Durkheim. La devianza ha una funzione strettamente connessa alla sfera dei valori, alla sfera valoriale, quindi serve appunto a rafforzare valori, comportamenti, di conseguenza le credenze collettive. Nelle teorie struttural-funzionali e nelle teorie soprattutto connesse a Durkheim il concetto fondamentale è quello di anomia. Per anomia si intende una situazione di assenza di valori, di confusione, è quello stato che secondo Durkheim si trova nel passaggio da una società tradizionale a una società moderna, cioè in quel momento in cui le persone sono confuse perché il loro sistema valoriale è in qualche modo messo in discussione. Anomia significa un’assenza di valori sedimentati, è un comportamento confuso che si verifica maggiormente in caso di assenza di devianza perché se la devianza porta a sedimentare e avere consapevolezza dell’infrazione della norma, allora senza infrangere quella norma, è più facile che ci siano associazioni anomiche perché non si capisce la consapevolezza del perché non bisogna infrangere le norme anche se è naturale che a partire da una situazione di assenza di valori è normale che si cada comunque nella devianza. La teoria dell’anomia di Durkheim ha sicuramente influenzato la teoria della tensione proposta da Merton. Anch’ egli parte dal concetto di anomia e sviluppa il concetto di tensione che indica una discrepanza tra determinati fini che una persona vorrebbe raggiungere e i mezzi concreti che ha a disposizione: questo fatto esiste perché le persone hanno stabilito un valore ovviamente fondamentale da raggiungere e questo è ciò che guida la loro azione. Tale teoria è da inserire all’interno delle teorie struttural-funzionali perché il rapporto con le strutture è costante; c’è quindi una tensione costante tra quelle che sono le mete culturali, i fini, gli obiettivi culturali che si pongono le persone e quelli che sono i mezzi istituzionalizzati, cioè i mezzi che offre la società in modo formale, in modo istituzionale, in modo non deviante e dunque conforme. Ad esempio, un fine culturale potrebbe essere il successo economico. La struttura è quella del lavoro, di conseguenza lo Stato dovrebbe offrire a tutti quanti la giusta possibilità di poter raggiungere questa meta culturale, quindi offrendo un lavoro. Tuttavia, sappiamo che le strutture, i mezzi a disposizione e le mete culturali non sono così così legate tra di loro, perché esiste una discrepanza, di conseguenza la società non offre a tutti quanti le stesse opportunità di poter raggiungere un determinato obiettivo. Non tutti, ad esempio, hanno la stessa possibilità di accedere a determinati livelli di istruzione, di conseguenza nonostante si pongano delle mete culturali legate all’accesso a determinate posizioni sociali connesse al titolo di studio, la società allo stesso tempo non offre a tutti la stessa possibilità di accedere all’istruzione e quindi di ottenere una carriera stabile. Allora le persone vanno alla ricerca di mezzi alternativi che non sono istituzionalizzati e che quindi portano poi a intraprendere una serie di comportamenti che non sono previsti e accettati ovviamente dalla società. Pertanto, la fonte della devianza per Merton è la società nel suo essere, le strutture della società; la causa della devianza sta esattamente nella società stessa e nelle sue strutture perché è ciò spinge le persone ad adeguare il loro comportamento per raggiungere determinati obiettivi culturali. Di conseguenza, la struttura della società è la causa stessa del comportamento criminale, la causa stessa del comportamento deviante. Quindi la tensione è quel modo in cui le persone si relazionano verso i mezzi istituzionalizzati. Nel caso in cui accettano i mezzi istituzionalizzati per raggiungere un obiettivo non si parla di devianza perché i mezzi sono conformi a ciò che la società offre; in caso invece di non accettazione dei mezzi istituzionalizzati, allora per raggiungere obiettivo e successo si cercheranno dei mezzi alternativi che portano poi alla devianza. Quindi questa tensione è costante secondo Merton, è una costante della società, è insita nella società stessa, nelle strutture che portano a una disuguaglianza tra le persone; quindi, è una costante tensione nei comportamenti degli individui quando norme sociali e la società così com’è entra in conflitto perché non dialogano, proprio perché portano a una contraddizione. Merton definisce cinque tipi di comportamento e cinque tipi di forme di devianza. Sono cinque forme di adattamento alle mete culturali e ai mezzi istituzionalizzati; da queste cinque forme di adattamento Merton rileva cinque tipi di comportamenti e quindi categorie di individui: - i primi sono i conformisti, secondo Merton, cioè sono coloro che si adattano, che accettano sia le mete culturali dominanti in una determinata società che allo stesso tempo i mezzi istituzionalizzati per raggiungerli; quindi, sono coloro che si conformano a quelle che sono le esigenze della società e allo stesso tempo le strutture della società. Accettano la meta culturale, ad esempio, del successo economico e accettano il fatto che per raggiungere il successo economico devono lavorare sodo; quindi, accettano quelli che sono i mezzi conformi e che offre la società, semplicemente non è un comportamento deviante. I conformisti sono coloro che non non commettono atti devianti, che semplicemente si adeguano e che quindi non stanno in questo stato di tensione continua. - Diverso invece è il caso degli innovatori che è il primo tipo di comportamento deviante che definisce Merton perché gli innovatori sono coloro che accettano assolutamente le mete culturali della società, che si pongono quelle che sono le mete condivise; quindi, accettano ad esempio la meta del successo economico però non accettano i mezzi istituzionalizzati e quindi vanno alla ricerca di mezzi informali. Gli spacciatori sono un classico esempio di quelli che Merton definirebbe innovatori, vogliono ottenere un certo guadagno senza però adeguarsi a quelli che sono i mezzi istituzionalizzati, di conseguenza conformi. Allora trovano delle vie alternative, nuove per raggiungere determinati scopi. - I ritualisti, anche per Merton così come per Durkheim la devianza è funzionale, quindi questi comportamenti sono funzionali alla società perché in qualche modo spingono la società a innovare, anche quello degli innovatori in qualche modo è un tipo di devianza funzionale che serve alla società perché serve appunto a non stare in quello stato di anomia. Anche per Merton il punto focale è il concetto di anomia, quindi coloro che non danno un grande contributo alla società sono i ritualisti cioè coloro che non accettano le mete culturali, sono completamente indifferenti. A loro non interessa raggiungere il successo economico, non interessa avere un determinato status sociale, non interessa avere il prestigio sociale, non interessa un obiettivo da porsi. Sono assolutamente ligi al dovere, cioè fanno quello che devono perché i mezzi istituzionalizzati li accettano, però non sono spinti da mete culturali concreti, si adeguano, sono coloro che semplicemente eseguono i riformisti. Il comportamento del 26 Ritualista è un atteggiamento disfunzionale, nel senso che in realtà non ha una funzione nella società perché semplicemente esegue, accetta i mezzi istituzionalizzati, quindi è un lavoratore modello, però allo stesso tempo non gli interessa niente dal punto di vista delle mete culturali. Non è spinto dalla profondità di valori e da ciò che gli struttural funzionalisti definiscono coesione sociale quindi coscienza collettiva. - Altro tipo di comportamento è quello dei rinunciatari, secondo Merton, coloro che rinunciano completamente, cioè sono devianti per questo motivo, perché in realtà non si pongono né mete culturali né accettano i mezzi istituzionalizzati. Sono coloro che rinunciano a far parte delle strutture sociali perché non riconoscono né le mete culturali della società e allo stesso tempo neanche i mezzi istituzionalizzati. Se i ritualisti sono l’esatto opposto degli innovatori, i rinunciatari sono coloro che si fanno quasi cullare dagli avvenimenti, nel senso che ho compiono degli atti spesso anche deviati, perché non accettano i mezzi istituzionalizzati ma allo stesso tempo non sono neanche spinti da valori che sono condivisi nella società. - La stessa cosa succede con i ribelli. Siamo quasi all’interno di quelle che sono le controculture, cioè hanno un atteggiamento di ribellione sia nei confronti delle mete culturali, perché non accettano quelle che sono le mete culturali condivise, i fini culturali condivisi dalla società e le sostituiscono con altre mete culturali. Hanno altri obiettivi culturali, hanno altri fini che in quel momento non sono condivisi dalla società e allo stesso tempo, quindi, non potrebbero accettare i mezzi istituzionalizzati perché non esistono mezzi istituzionalizzati in grado di poter raggiungere quegli obiettivi culturali che si pongono. Allora li sostituiscono, creano dei nuovi mezzi per raggiungere nuove mete culturali che si pongono. Le teorie struttural-funzionali si focalizzano soprattutto nel cercare il nesso tra struttura e funzione delle strutture e il significato che hanno le strutture. Quindi, se per Durkheim il perché della devianza sta nell’anomia, per Merton il perché della devianza sta nella struttura sociale stessa, sta quindi nel modo in cui la società offre mezzi e mete agli individui, nelle forme di adattamento o meno alle mete culturali e ai mezzi istituzionalizzati. Un’altra teoria è la teoria del controllo sociale, che si pone a cavallo tra le teorie struttural-funzionali e l’influenza che ha avuto l’interazionismo simbolico negli studi della devianza. Si sofferma soprattutto sull’importanza di sviluppare legami forti all’interno della società perché essere all’inseriti all’interno di legami sociali forti è ciò che allontana dalla devianza. Poiché il controllo sociale è legato a sfere di legami forti (ad esempio la famiglia, la scuola, il lavoro, le relazioni amorose) che tengono lontano dalla devianza, si evita che l’individuo commetta atti devianti. Quindi in presenza di legami forti, secondo i teorici del controllo sociale, la tendenza a commettere devianza è assolutamente minore. Quindi se dovessimo fare un esempio della scuola, più i ragazzi sono inseriti all’interno del contesto scolastico, più si riconoscono, sono stimolati dai docenti, da tutta la struttura scolastica e probabilmente saranno meno tendenti a compiere atti devianti, probabilmente anche semplicemente a disaffezionarsi alla scuola e quindi abbandonare la scuola. Si pensi anche all’importanza che potrebbe avere una dimensione come quella del gruppo sportivo che si basa proprio sulla condivisione di norme e valori legati al raggiungimento di determinati obiettivi, oppure al ruolo del fair play, dell’importanza di stare insieme all’interno di un gruppo sportivo e quindi di conseguenza di capire quali sono effettivamente i comportamenti da adottare proprio perché sono veicolati dalla presenza di legami forti all’interno del gruppo. Ovviamente i rapporti personali che instauriamo tutti noi del nostro quotidiano sono molto forti perché vi è un maggiore controllo sociale da parte di persone che ci stanno vicino e quindi una minore tendenza di commettere atti devianti perché si accettano i fini tradizionali del gruppo e quindi non si va alla ricerca di mete che sono ovviamente diverse, di conseguenze di mezzi istituzionali diversi. La teoria del controllo sociale è a cavallo tra interazionismo simbolico e lo struttural-funzionalismo perché è l’insieme dell’importanza dell’interpretazione dei legami forti e dell’importanza di essere inseriti nelle strutture sociali, e ciò porta a interiorizzare maggiormente le norme di comportamento condivise, di conseguenza a non trasgredirle. (non confonderla con controllo sociale di Matza legata al processo di etichettamento. I teorici del controllo sociale, sono coloro che parlano di controllo sociale inteso come controllo dei legami forti, e quindi il controllo del gruppo. Il controllo sociale, che è influenzato dall’interazionismo simbolico e da quella che è la teoria dell’etichettamento di Becker è la tendenza soprattutto degli agenti di controllo sociale, delle forze dell’ordine, delle forze armate a controllare gli individui e quindi a punirli se commettono un determinato reato. Forze dell’ordine coloro che hanno possibilità di avere autorità nei confronti degli altri). I teorici del conflitto sono influenzati dalla teoria del conflitto di Marx. Secondo i teorici del conflitto la devianza risiede soprattutto nel modo diseguale in cui sono distribuite le risorse, non soltanto materiali, così come le risorse economiche, ma anche risorse simboliche, come ad esempio il potere. Il focus è l’accesso ai mezzi e quindi alle risorse e l’impatto che questo ha sugli individui. Chi ha più potere, secondo i teorici del conflitto, sono coloro che stanno in una posizione sociale sicuramente più elevata rispetto agli altri, sono coloro che sono sia più abbienti, cioè che coloro che hanno più risorse economiche e di conseguenza godono anche di maggior prestigio sociale. Quindi coloro che hanno maggior potere, coloro che stanno nei gradini più elevati della società sono coloro che sono in grado di commettere reati, spesso però reati diversi da coloro che sono in posizioni sociali svantaggiati. Essi compiono i cosiddetti reati societari, che sono connessi alle alte sfere della società; sono i cosiddetti reati dei colletti bianchi. La loro posizione negli alti livelli della società porta anche a macchiarsi di reati più difficilmente perché conoscendo le strutture del potere, si sa come nascondere determinati reati. Questo non vuol dire che siamo meno gravi di quelli che commessi da coloro che stanno nelle sfere nelle classi sociali più svantaggiate ma semplicemente conoscono talmente bene di strutture sociali e vertici della società che compiono dei reati soprattutto da un punto di vista egoistico per avvantaggiarsi a danno di coloro che non hanno potere, quindi a danno di coloro che stanno in una posizione di svantaggio. 29 stanno ai livelli più alti siano in qualche modo remunerati in modo diverso rispetto a coloro che non hanno intrapreso questo percorso di sacrifici. Per i teorici del conflitto invece la stratificazione non è funzionale, anzi, Marx sostiene che lo stato deve avere la funzione di eliminare le diseguaglianze, deve aiutare e distribuire più equamente le opportunità economiche. Dunque, la stratificazione non è di vitale importanza per il sussistere della società e la stratificazione sociale indica delle disuguaglianze che esistono perché ci sono gruppi sociali che si avvantaggiano di determinate condizioni a scapito di altri gruppi e cercano di difendere queste risorse sempre instaurando situazioni di conflitto con gli altri gruppi sociali. Il focus di Marx era appunto un’interpretazione economica secondo la quale è una diseguale distribuzione delle risorse economiche a creare questi strati della società. Avere o meno i mezzi di produzione è ciò che consente alle società di organizzarsi; quindi, questo rapporto tra chi detiene i mezzi di produzione e chi non li ha si basa sul fatto che chi non li ha è sfruttato e chi li ha sfrutta coloro che non li hanno, perché la forza lavoro di chi non ha i mezzi di produzione serve per produrre, per generare profitto. È la forza lavoro che genera un surplus un valore aggiuntivo al prodotto, perché senza la forza lavoro quel prodotto non avrebbe lo stesso valore. Il conflitto è insito sia nella società sia nel rapporto tra le classi; è un conflitto costante che si regge sullo sfruttamento. Questa è la natura della società; il conflitto è il motore della storia, non la stratificazione sociale. Marx parla di coscienza in sé e coscienza per sé; la coscienza di classe è la coscienza che gli appartenenti ad una classe sociale inferiore apprenderanno quando si renderanno che la loro esistenza si basa sul condividere le caratteristiche dettate da questo sfruttamento; quindi, soltanto quando prenderanno consapevolezza di questo sfruttamento allora saranno in grado di ribaltare questa suddivisione di classe. Le disuguaglianze economiche strutturate sono quindi delle condizioni oggettive che caratterizzano le persone che arriveranno ad avere consapevolezza sia di sé in sé, cioè di quello che sono all’interno del gruppo, che per sé, ovvero di quello che sono all’interno della classe sociale. Questa consapevolezza la acquisiranno in fabbrica, attraverso delle dinamiche che li caratterizza, come ad esempio l’alienazione. Weber si discosta da questa concezione sostenuta da Marx e dice che non basta soltanto indossare una lente economica, ma bisogna analizzare anche il rapporto fra gli strati della società a seconda anche che si possiedano o meno altre condizioni. Weber definisce quindi che cos’è il potere, ossia la possibilità di decidere di fare, non fare e tralasciare, e cos’è la potenza che invece è la capacità che determinati individui hanno di affermare il proprio volere contro la volontà degli altri. In base a chi detiene più potenza nella società, si distribuisce in modo diverso la potenza secondo tre meccanismi: il sistema legale o giuridico, effettivamente garantisce questa possibilità sulla base della distribuzione della ricchezza e quindi dell’onore. L’altro è il sistema economico e rappresenta il modo in cui vengono impiegati beni e di conseguenza le prestazioni economiche; quindi, la dimensione economica è legata al modo in cui sono ripartiti e come vengono impiegati i beni. Il terzo sistema rappresenta la dimensione sociale, e secondo Weber è fondamentale perché è collegata al prestigio che si costruisce nella società stessa, perché il prestigio all’interno della società si ripartisce in modo diseguale fra gli individui. Quindi l’insieme è di queste tre dimensioni (della dimensione giuridica, economica e sociale) che fa sì che le persone possano stratificarsi in modo diverso. La ricchezza serve, per Weber, ad aumentare questa potenza, a far aumentare l’onore sociale e viceversa: è un meccanismo duplice. Weber non parla soltanto di classi ma, parla anche di ceti e di partiti. Le classi per Weber non sono comunità nette distinte di persone, ma sono dei gruppi che si trovano in posizioni più o meno simili rispetto alle opportunità che la società offre, quindi rispetto al mercato. La condizione di partenza per far parte di una classe sociale è il possedere o meno determinati beni economici e di prestigio. Possedere o non possedere determinate condizioni significa di sicuro possedere o non possedere attività produttive da cui estrarre il profitto, come attività produttive, ma anche oggetti, beni o posizioni che permettono di guadagnare tramite lo scambio. Le classi sono accomunate da uno status, sono raggruppamenti legati al prestigio che si può costruire nel corso della vita sulla base delle tre dimensioni citate prima. L’onore può essere anche adottare una condotta di vita che mira al farsi vedere in pubblico in un certo modo. Sylos Labini suddivide la società per categorie di reddito, non di ricchezza; quindi, la traduzione economica viene determinata da ciò che si guadagna nel corso dell’anno e non dai beni che si detengono. Egli sostiene che gli strati della società si possono suddividere sulla base di dove proviene il reddito. Il vertice degli strati sociali è costituito da coloro che detengono reddito per rendita dal possesso di determinati possedimenti. La seconda categoria è legata ai capitalisti, che generano profitto mettendo a frutto il capitale, metodo di produzione che permette di generare profitto. Alla base poi ci sono gli operai che offrono la loro forza lavoro in cambio di un salario. Goldthorpe afferma che non basta soltanto il reddito, ma bisogna prendere in considerazione anche che tipo di lavoro si svolge. Sylos Labini, sulla base delle categorie di reddito, rendita, profitto e salario, distingue cinque grandi classi sociali: al vertice c’è la borghesia che accumula reddito in diversi modi (proprietari fondiari, imprenditori, alti dirigenti imprese) e hanno un reddito misto che può provenire o da grandi rendite oppure da alti redditi legati al tipo di posizione che si occupa all’interno delle grandi imprese. Il secondo raggruppamento è quello della piccola borghesia, costituita da lavoratori autonomi che mettono in piedi la propria impresa e quindi hanno un reddito elevato ma che sta in un gradino più basso rispetto ai grandi. Al terzo posto c’è la classe media, il raggruppamento più ampio della società, che è composta da coloro che hanno un reddito proveniente dall’impiego che può essere pubblico oppure privato. Infine, la classe operaia formata da coloro che hanno un reddito che dipende dal salario che gli viene riconosciuto sulla base del lavoro che svolge. Ci sono i cosiddetti sottoproletari, che non detengono un reddito perché sono esclusi per troppo tempo dalla sfera produttiva. Goldthorpe afferma che le classi sociali dipendono da due fattori, non soltanto dal reddito ma anche da che tipo di lavoro svolgono le persone e incrociando queste due dimensioni si giunge ad uno schema a sette classi. La prima classe è la classe degli imprenditori, dei dirigenti, dei professionisti di livello superiore cioè coloro che appunto sono dirigenti di grandi strutture riconosciute anche socialmente. La seconda classe include i professionisti, cioè la loro condizione al rispetto al mercato e la loro posizione nella gerarchia occupazionale si basa dal saper svolgere determinate professioni, dall’essersi formati, sarà un livello più basso rispetto agli imprenditori dal punto di vista dall’accumulo della ricchezza. La terza alla terza classe sono gli impiegati, cioè la classe che è accumulata dal vendere, dal commerciare, dallo scambiare sia beni che servizi. La quarta classe è la piccola borghesia urbana o agricola, cioè piccoli imprenditori commerciali e piccoli imprenditori agricoli che hanno magari un’impresa familiare agricola che e producono beni legati al suolo e che soddisfano le esigenze della società. Lo stesso vale per gli artigiani, per i commercianti, quindi piccoli imprenditori che accumulano, che producono e scambiano beni e servizi. La quinta classe è formata da tecnici, sono sopra gli operai specializzati, cioè sono coloro che 30 controllano gli operai specializzati, i tecnici che svolgono delle funzioni di supervisione dei lavoratori manuali. Alla stessa classe ci sono gli operai specializzati, i capisquadra. La settima classe sono gli operai che lavorano saltuariamente perché non sono specializzati, di conseguenza il prestigio sociale si suddivide sulla base anche della specializzazione, della professionalizzazione della mansione che svolgono e quindi del riconoscimento di questa mansione. Negli ultimi anni, le trasformazioni della società hanno riguardato vari aspetti: il numero e il tipo delle classi sociali e i confini che definiscono i rapporti tra le classi stesse. Le società occidentali ultimamente sono attraversate da due processi principali: il concetto di mobilità (quindi il passaggio da una classe all’altra sia in modo ascendente che in modo discendente) con i fenomeni di proletarizzazione e deproletarizzazione. Il primo processo è stato oggetto di grande interesse per i sociologi negli ultimi 30 anni e indica il passaggio di gruppi dalla borghesia o piccola borghesia al proletariato e si configura come un processo di mobilità discendente. Si tratta quindi di un passaggio da lavoratori autonomi, che detengono i mezzi di produzione, a lavoratori salariati; questo accade perché nelle società occidentali, le nuove sfide hanno comportato una serie di adattamenti e cambiamenti relativi a tutto il fenomeno della globalizzazione. L’altro processo che caratterizza le società occidentali è quello di deproletarizzazione vede invece, al contrario di ciò che accadeva con la proletarizzazione, l’ascesa dei braccianti e degli operai salariati delle fabbriche a una condizione di lavoratore autonomo. Questo concetto è ad esempio spiegato dalla nascita di brand che si sviluppano a partire dallo sviluppo della tecnologia, sfruttando questa novità, mettono a frutto la capacità di creare nuovi lavori. Tale abilità è sicuramente il risultato di un grande intelletto che, unito a questi processi di digitalizzazione, hanno creato nuove figure imprenditoriali profondamente diverse dagli imprenditori borghesi di cui parlava Marx. Lo sviluppo tecnologico in realtà ha giocato un ruolo fondamentale anche nel processo di proletarizzazione: il mancato adeguamento alle novità tecnologiche di alcuni borghesi ha fatto sì che essi “retrocedessero” alla classe operaia perché incapaci appunto di stare al passo con le richieste e le conoscenze di determinati aspetti lavorativi. Quindi soprattutto dagli anni ’70 in poi la stragrande maggioranza della popolazione si colloca nella classe media che lavora nel settore dei servizi, il terzo settore. Tuttavia, soprattutto con il boom economico degli anni ’70, la società, con i suoi stati occupazionali, si è in un certo qual modo polarizzata (coppa di champagne): da una parte le classi più alte con la borghesia e le classi dirigenziali che hanno continuato a svilupparsi e ad arricchirsi, dall’altra le classi sociali inferiori con il proletariato e le underclass che stanno ancora più giù avendo un livello di qualificazione praticamente nullo. Questa nuova classe, il sottoproletariato, è costituita da tutti coloro che si trovano in uno stato di povertà permanente e non riescono a uscirne perché non riescono a procurarsi da vivere soprattutto in modo legittimo. Questo aspetto indica una sbagliata configurazione strutturale della società: così come abbiamo detto parlando della devianza, il problema è che la società strutturalmente non riesce a dar loro la possibilità di adeguarsi alle richieste e quindi, per farlo, molto spesso sono costretti a ricorrere a dei mezzi che non sono legali. L’unica possibilità che queste persone hanno per sviare da queste strade illegali è dipendere dal welfare, la sussistenza pubblica e in questo modo si creano una serie di meccanismi di dipendenza legati appunto all’esistenza di questi poli così lontani all’interno della società. Il Sulcis è un territorio che proprio a partire dagli anni ’70, è profondamente macchiato da queste dinamiche soprattutto a seguito della crisi e della chiusura del polo industriale di Portovesme: il meccanismo che si è creato è quindi un sistema che genera disoccupazione, soprattutto giovanile con tassi altissimi (quasi 70%), in risposta a tutte quelle manovre di sostituzione delle possibilità di occupazione nel territorio con il welfare. Riguardo tutti questioni fenomeni riguardanti la sottoclasse, ci sono diverse chiavi di lettura: una associa il fatto che queste persone dipendono dall’assistenza pubblica proprio per motivi culturali, l’altra invece sostiene che i motivi alla base di questo rapporto tra underclass e welfare sono di tipo strutturale. 1. La concezione culturalista espone come, la sottoclasse, ad esempio negli Stati Uniti è costituita da gruppi di popolazione afroamericana, ed è formata soprattutto da ragazze madri o comunque da persone espulse dalla forza lavoro che non sono più riuscite a inserirsi perché magari si trovano in contesti devianti (non c’è quindi il concetto di recupero e di rivalutazione della persona). Tutte queste persone non riescono ad emanciparsi da queste situazioni perché si trovano disincentivate proprio per il ricorso costante a tutti quei meccanismi di politiche e assistenzialismo sociale che in qualche modo li ha resi disinteressati a ricercare dei mezzi legittimi per auto mantenersi e uscire culturalmente e occupazionalmente dunque dall’under class. È quindi più facile adattarsi a una condizione piuttosto che emanciparsi per trovarne una migliore modello disincentivante che genera rassegnazione e adattamento. Non solo, ma questo meccanismo genera anche una demoralizzazione personale e un’disaffezione sociale perché fa sì che le persone, non provando minimamente a migliorare la loro condizione, non siano consapevoli neanche delle proprie capacità e delle proprie opportunità. Per trovare un esempio molto lampante dei giorni nostri riguardo tutta questa concezione possiamo parlare del dibattito che si è generato intorno al reddito di cittadinanza. 2. La concezione strutturalista invece non vede il meccanismo valoriale che invece ci illustra il modello culturalista ma sostiene che il problema è solo dell’economia e quindi della società che non riescono a dare occupazione lavorativa a tutte le persone in modo eguale. Quindi se la concezione culturalista individua il problema nella troppa presenza dello Stato che con il welfare state rende i cittadini rassegnati e disincentivati, quella strutturalista afferma l’esatto contrario ovvero che lo Stato non riesce a fornire le condizioni necessarie affinché i posti di lavoro siano distribuiti in maniera equa. Il fatto è comunque che sono troppo pochi i posti di lavoro che danno da vivere in maniera dignitosa quindi il problema è più che altro strutturale perché lo Stato non offre abbastanza opportunità. Questo problema si è generato perché dopo il crollo dell’industria manifatturiera, che dava tanto lavoro, non si è più stati in grado di reintegrare all’interno della società tutti quelli che il lavoro l’hanno perso. 31 È comunque importante capire che queste due lenti sociologiche sono praticamente interdipendenti e sicuramente non si escludono l’un l’altra. Quando parliamo di povertà dal punto di vista sociologico possiamo quindi misurarla; la rappresentiamo con una linea e dividiamo ciò la povertà relativa dalla povertà assoluta. La linea mostra degli indici di povertà che sono calcolati sulla base di un paniere di beni di consumo che si dovrebbe detenere annualmente. Essere al di sopra o al di sotto di questo limite stabilito (i dati sono disponibili nel sito dell’ISTAT a partire dal 2005), sancisce l’essere rispettivamente poveri relativi o poveri assoluti. La linea di povertà quindi varia ogni anno, e viene calcolata sulla base di alcuni fattori come, ad esempio, il numero dei componenti del nucleo familiare, le tendenze e i comportamenti di consumo della famiglia, alla locazione della famiglia (i prezzi dovrebbero variare anche in base al luogo) l’inflazione ecc ecc… Nel 2014 il tasso delle famiglie italiane in condizioni di povertà assoluta era del 5-7%, nel 2011 ad esempio la linea di demarcazione della povertà era di euro 1000 mentre ora è più alta proprio perché i prezzi e quindi la qualità della vita costa di più. Se dovessimo rappresentare questa linea graficamente, vedremo che piano piano si sta spostando sempre verso più la povertà assoluta, non solo perché stanno aumentando esponenzialmente i prezzi al consumo, ma anche perché la domanda delle famiglie è variata secondo quelle che sono le tendenze al consumo e in base alle necessità della famiglia stessa. Ogni anno, l’ISTAT rivede l’elenco dei prodotti che compongono il paniere aggiornando le tecniche d’indagine quantitativa, questionari e censimenti, e i pesi con i quali i diversi prodotti contribuiscono alla misura dell’inflazione. Le novità del 2021 riflettono la costante evoluzione dei comportamenti di spesa delle famiglie ma anche l’impatto di eventi, come la pandemia da Covid-19, che condizionano le scelte d’acquisto e la struttura della spesa per consumi. Nel paniere del 2021 figurano 1.731 prodotti elementari (1.681 nel 2020), raggruppati in 1.014 prodotti, a loro volta raccolti in 418 aggregati. Per il calcolo dell’indice IPCA, armonizzato a livello europeo, si utilizza invece un paniere di 1.751 prodotti elementari (1.700 nel 2020), raggruppati in 1.033 prodotti e 422 aggregati. Oltre che delle novità nelle abitudini di spesa delle famiglie, l’aggiornamento dei beni e servizi compresi nel paniere tiene conto dell’evoluzione di norme e classificazioni e in alcuni casi arricchisce la gamma dei prodotti che rappresentano consumi consolidati. Tra i prodotti rappresentativi dell’evoluzione nelle abitudini di spesa delle famiglie e delle novità normative, entrano nel paniere 2021: integratori alimentari, caschi per veicoli a due ruote, mascherine chirurgiche, mascherine FFP2, gel igienizzante mani, ricarica elettrica per auto, monopattino elettrico (sharing), servizio di posta elettronica certificata e dispositivo antiabbandono. Tra i prodotti che rappresentano consumi consolidati, entrano nel paniere, tra gli altri, la macchina impastatrice e la bottiglia termica. I dati ci dicono che nel 2020, la soglia di povertà assoluta in Italia sta nel mezzogiorno con una famiglia formata da 4 componenti, uno dai 0 ai 3 anni, uno dai 4 ai 10, due dai 18 ai 59, con una soglia di 1368,17 euro. Osservare i dati dal 2005 al 2021 ci fa rendere conto di quanto la situazione stia cambiando in maniera vertiginosa ancora di più a seguito della pandemia: i redditi percepiti o rimangono uguali o diminuiscono e la soglia si alza (in soli dieci anni è aumentata di più di 200 euro). Le persone appartenenti all’underclass, tuttavia, hanno visto un aumento del loro reddito in quanto le agevolazioni e i sussidi vengono erogati in base a questi dati. Ecco che la polarizzazione sia verso l’alto, che verso il basso, si accentua ancora di più. Un’indagine qualitativa, insieme a quella quantitativa, potrebbe completare il quadro di questi velocissimi cambiamenti della società. All’emergenza riguardo i fenomeni di aumento della povertà negli ultimi dieci anni, c’è stata una grande risposta soprattutto da parte delle Organizzazioni sovranazionali. Ad esempio, l’UE ha dichiarato il 2010 come l’anno di lotta contro la povertà, in cui tutti i membri dell’UE dovevano impegnarsi a far fronte a quella situazione di povertà assoluta generatasi dal 2008. Per uscire dalla povertà, l’UE fissa degli obbiettivi, non solo strutturali ma bensì inerenti a tutte le sfere dell’umanità, relativi ad aspetti valoriali, economici, della cultura, dei diritti, dell’esclusione sociale ecc ecc… quindi è necessario debellare tutte quelle forme di stigmatizzazione che fissano delle regole e dei pregiudizi contro chi è povero, rendendolo quindi escluso da tutte le dinamiche che rendono tale una società. Un altro obiettivo che si pone l’UE per uscire dalla povertà è ritrovare un vivo sentimento di affezione alla vita politica e alla sfera pubblica, cioè tornare a responsabilizzarsi verso le azioni sociali, essere dei cittadini attivi e parte integrante della società essendo consapevoli delle proprie opportunità e dei propri diritti creando spazi di inclusioni e promuovendo l’integrazione attraverso una politica di pari opportunità che miri al benessere di tutti. Sono tutti obbiettivi che hanno bisogno di tanto tempo per essere realizzati, ma l’UE ci lavora appunto dal 2008 facendosi portavoce di tutte quelle necessità globali che non riguardano solo aspetti economici, ma che passano per forza prima attraverso dinamiche sociali e valoriali. È necessario quindi abbattere tutte le barriere sociali e la stigmatizzazione che la povertà porta con sé. La banca mondiale ha individuato diversi fattori di rischio che portano alla povertà: le condizioni di vita malsane spesso legate anche al luogo in cui si vive, alla ripartizione diseguale delle risorse economiche, la mancanza di accesso al mondo del lavoro e quindi l’esclusione sociale, il non aver un titolo di studio adeguato e la partecipazione sociale. Con queste analisi vediamo come cambia l’inquadramento del fenomeno della povertà; se prima il concetto di povertà era uguale all’idea di sottosviluppo, ora, oltre all’indice di sviluppo umano, si sono individuati tanti fattori di rischio che concorrono allo sviluppo di tale condizione. Un basso indice di scolarizzazione è strettamente legato allo sviluppo di povertà: ad esempio nel basso Sulcis i dati di disaffezione scolastica sono più alti di quelli del quartiere di Scampia a Napoli. Lì i ragazzi abbandonano la scuola ancora prima della terza media perché non riescono a vedere la scuola come trampolino di lancio per una vita futura dignitosa. Non l’avremmo mai detto perché la percezione del rischio è ben diversa. Anche il quartiere di Sant’Elia a Cagliari mostra dei dati che sono più preoccupanti di quelli di Scampia. È molto importante quindi combattere questo sentimento di scoraggiamento verso l’istruzione a partire da un maggior coinvolgimento delle persone nella società e di una maggiore responsabilizzazione. Anche ridurre il rischio di vulnerabilità è un punto cruciale: abbattere cioè l’esclusione sociale debellando tutti quei rischi che fanno capo alla salute. Quindi garantire un equo accesso ai servizi sanitari e abbattere gli elementi di stigmatizzazione di cui sono colpite molte parti della società significa garantire benessere: anche questo significa lottare concretamente contro la povertà. Un esempio pratico di questo aspetto è ad esempio il legame dei Rom con la sanità a Cagliari: alla prof è capitato di accompagnare una giovane madre a fare delle visite durante la gravidanza: la cosa che colpì di più la prof è che la ragazza chiedeva costantemente di essere accompagnata perché la sua presenza era proprio fondamentale. Questa era una cosa strana perché le donne Rom sono molto riservate soprattutto per ciò che riguarda il loro corpo e la loro persona. Quando la 34 Un esempio è stata la notizia di qualche anno fa, che poi ha portato alla creazione del movimento “Black lives matter”. Spesso la discriminazione degli afroamericani negli Stati Uniti ha luogo su più livelli ad esempio la discriminazione residenziale, con la costruzione di ghetti ipercontrollati e considerati come dei contenitori di persone considerate un problema, oppure il mercato del lavoro, che può essere paragonato alla difficoltà di trovare lavoro in Europa, da parte degli immigrati. Da questo si evince che anche se il contesto cambia, i meccanismi discriminatori sono sempre gli stessi. Altre discriminazioni riguardano le opportunità educative e i diritti politici. Un’altra forma storica di razzismo è il sistema apartheid, subito da una determinata popolazione in Sudafrica, ridotta in schiavitù. A partire dal 1948 si instaura un regime basato su delle classi sociali suddivise in base alla razza, alla base della quale vi erano gli schiavi. Il meccanismo era talmente chiuso che è stato sanzionato dall’ONU, e del quale si è fatto portavoce Nelson Mandela, una figura che ha aiutato il superamento dell’apartheid in Africa e venne incarcerato e scarcerato nel 1990. . Per quanto riguarda le migrazioni in Europa, gli immigrati sono visti come un pericolo, qualcosa di minaccioso, soprattutto negli ultimi 20 anni, in cui le migrazioni sono cresciuti esponenzialmente. Spesso sono stati associati a meccanismi di criminalità, i cui dati sono associati agli immigrati. In realtà non esiste alcun dato che confermi l’aumento della criminalità in corrispondenza dell’arrivo dei migranti. Nel 2016 in Europa, i nuovi arrivi erano 192.992 di cui la maggior parte arrivati via mare. Solo nel 2016 i morti scomparsi nel Mediterraneo erano 1257, ma oggi sappiamo che in realtà è un cimitero ancora più ampio. Rifugiati e migranti provengono prevalentemente dalla Tunisia, Pakistan, Iraq, Bangladesh… Taguieff distingue due processi fondamentali alla base del razzismo: 1. Processo di auto-razzizzazione: quando la maggioranza riconosce il concetto di razza per affermare la propria superiorità, per preservare degli “elementi di purezza. Nei confronti di coloro che non appartengono alla razza viene scatenata una reazione di rigetto che, nei casi limite, arriva fino al genocidio (à Ex Iugoslavia) 2. Processo di etero- razzizzazione: si tratta della costruzione del concetto di razza, intesa come una discriminazione subita da coloro che non fanno parte della maggioranza, considerati dei pericoli per la sfera valoriale del gruppo dominante. Il razzismo implica quindi che si definisca un gruppo minoritario come razza, a cui si attribuiscono delle caratteristiche negative, chiamate stereotipi, che non hanno una ragione reale. Si creano delle condizioni per cui il gruppo minoritario rimane in svantaggio rispetto alla maggioranza. L’etnocentrismo porta al fenomeno della Xenofobia, ovvero alla paura del diverso. Dalla coesistenza di più minoranze, si vengono a creare vari fenomeni come: - Il pluralismo: indica la coesistenza di gruppi portatori di diversi valori e culture; - L’assimilazione: si verifica quando la minoranza assume le caratteristiche del gruppo dominante e rinuncia ai propri tratti culturali; - La segregazione: indica una separazione fisica e sociale imposta dalla legge (campi rom, divieto di coesistenza nei luoghi pubblici bianchi/neri) - Il genocidio: è il tentativo sistematico di eliminare un intero gruppo etnico. È la deriva peggiore e più estrema che piò assumere il conflittuale rapporto tra minoranza e maggioranza. Il concetto di etnia rimanda a differenze di ordine culturale, che si trasmettono di generazione in generazione, attraverso i meccanismi della trasmissione culturale. Gli elementi che contraddistinguono un gruppo etnico sono: - Il nome: è la caratteristica che permette ai membri di un gruppo di disegnarsi e di farsi riconoscere dagli altri. - Il mito: è un modello/leggenda che si è prodotto a partire da una comune origine o discendenza. - Le tradizioni: sono delle memorie comuni che vengono trasmesse alle generazioni comuni. - La cultura: è costituita da linguaggio, credenze religiose, costumi, forme di alimentazione, espressioni artistiche e letterarie che formano una cultura condivisa che presenta dei caratteri distintivi che la differenziano rispetto alle popolazioni geograficamente vicine. - Il territorio: è il luogo, talvolta anche simbolico, che i membri del gruppo considerano “proprio” per diritto storico anche quando vivono dispersi o separati. - La solidarietà: è il sentimento particolaristico che si sviluppa tra i membri del gruppo, che non si estende ai membri di altri gruppi. Gli elementi che costituiscono un’etnia si modificano nel tempo per effetto di fattori che si definiscono endogeni o esogeni, che possono rafforzarne o indebolirne la coesione. I fattori endogeni riguardano la presenza o l’assenza di una élite letterata, atta alla conservazione e alla trasmissione delle tradizioni e di conflitti interni di natura religiosa, politica o sociale, che minano la solidarietà. I fattori esogeni invece sono ad esempio il contatto con le culture etniche e lo stato di guerra con etnie vicine. I concetti di etnia, nazionalità e nazione sono spesso oggetto di confusione; si possono distinguere due sostanzialmente diversi, a seconda del rapporto che si instaura tra etnia e nazione e la comunità politica. La nazione designa una collettività, indica un popolo che si richiama a una discendenza comune, ai vincoli creati dalla lingua, dai costumi e dalle tradizioni comuni e che, in virtù di tale comunanza, rivendica a sé il diritto di organizzarsi, su un dato territorio, in forma di stato sovrano. In questo caso, la nazione si fonda sull’etnia ed entrambe, etnia e nazione, precedono la formazione dello “stato nazione”. Per salvaguardare la purezza di una nazione vengono adottate diverse manovre, più o meno radicali. L’espulsione, ad esempio, prevede la rimozione di un gruppo da un territorio e può essere diretta, quando i gruppi etnici minoritari sono espulsi in modo forzato dalla maggioranza con azioni militari, oppure volontaria quando il gruppo perseguitato o discriminato si allontana volontariamente. 35 La pulizia etnica invece è una manovra attuata da parte del gruppo dominante, che riguarda politiche che consentono l’espulsione forzata di un gruppo etnico. Si può prendere come esempio la pulizia etnica legata alla dissoluzione della ex Iugoslavia. Molti gruppi etnici concentrati in alcune regioni dell’ex Iugoslavia cercarono di creare aree etnicamente omogenee espellendo e uccidendo i membri di altri gruppi etnici. Ad esempio, Croati vennero espulsi da alcune zone della Croazia dai Serbi e i Bosniaci, che dichiararono la loro indipendenza nel 1992, divisi tra musulmani, serbi e croati, vennero espulsi con la forza dai serbi. La famiglia e la cultura circostante hanno un ruolo centrale per l’interiorizzazione e la costruzione dell’identità. Il genocidio, infine, è il tentativo sistematico di eliminare un intero gruppo etnico insieme agni traccia culturale relativa ad esso (es. genocidio degli ebrei) che talvolta ha marcato il ruolo della donna: la violenza fisica e sessuale contro le donne era un atto di impurità. GENERE E SESSO Il genere è lo studio della socializzazione che influenza la femminilità e la mascolinità. Evidenzia le differenze psicologiche, sociali e culturali tra maschi e femmine. È necessario specificare che sesso e genere non sono la stessa cosa. Il sesso, infatti, si riferisce alle differenze biologiche tra maschi e femmine gender queer e third gender, mentre il genere è un concetto più complesso. L’identità di genere è legata alla costruzione dei ruoli di genere che sono strettamente legati alla cultura, alla psicologia e alla società. Il sesso si eredita assieme a tutte le altre caratteristiche fisiche ma molte differenze tra maschi e femmine non sono un prodotto diretto del sesso biologico perché entra in gioco l’influenza dei contesti, delle aspettative e dell’approvazione sociale. Studi di genere à è un campo interdisciplinare dedicato a temi riguardanti le donne, il femminismo, il sesso, la politica e LGBT. Comprende spesso la teoria femminista, la storia delle donne (ad esempio la questione del suffragio femminile), la storia sociale, la narrativa femminile, la salute delle donne, la psicanalisi femminista, gli studi sulle identità sessuali, filosofia della differenza e l’intersezionalità. Gli studi sulla mascolinità rappresentano un campo interdisciplinare dedicato ai temi riguardanti la mascolinità, il sesso e la politica. Judith Butler (scrive “Gender Trouble”) è la prima donna che studia il genere come un aspetto dinamico, dato dalla costruzione dell’identità e che si lega ai processi di identificazione. Parla dell’ordine normativo del sesso, teorizza il concetto di binarietà e unitarietà e della complessità del genere nei termini dei suoi limiti in tema di identificazione. L’identità di genere è legata alle differenze, si forma precocemente dalle influenze sociali (le norme, i codici e i valori) e spesso da adulti, viene considerata come un aspetto scontato perché si forma molto precocemente. Esistono diversi approcci che tentano di interpretare le differenze di genere. - Essenzialismo: evidenzia l’effetto perdurante sull’identità di genere, ovvero vengono esplorate le caratteristiche biologiche che hanno effetto sulla costruzione dell’identità. È un approccio innatista. Secondo questo approccio, le differenze di genere sono assolutamente naturali, com’è ad esempio è naturale che i maschi siano più forti e che la caccia e la guerra sono attività a loro riservate. Tuttavia, questa teoria è stata fortemente criticata perché si è visto che l’aggressività dei maschi varia a seconda della cultura, inoltre si basava solo su dei comportamenti animali e non su studi antropologici. Presupponeva che le caratteristiche universali fossero esclusivamente biologiche e trascurava l’interazione sociale. - Costruttivismo sociale: afferma che l’identità è correlata alla società. È un costrutto sociale in continuo divenire generato dall’interazione con gli altri, quindi dalla socializzazione. Le differenze sono un prodotto artificiale: infatti, durante l’apprendimento del genere, i bambini vengono influenzati da sanzioni positive o negative, che possono reprimere o ricompensare determinati comportamenti. Il bambino attraverso il contatto con gli agenti sociali interiorizza le norme e le aspettative sociali corrispondenti al proprio sesso. Qualsiasi fondamento biologico viene respinto; si pensa che anche il sesso, oltre al genere, sia un costrutto sociale poiché anche il corpo umano è soggetto a forze sociali che lo plasmano e lo modificano in vari modi. In quest’ottica quindi le differenze sessuali e l’identità di genere sono interconnesse e si influenzano a vicenda. Approcci femministi I tre principali filoni del pensiero femminista sono: 1. Femminismo liberale: si pone attenzione sui singoli fattori che contribuiscono alle disuguaglianze di genere come il sessismo, la discriminazione sul lavoro e rappresenta un tentativo di riforma graduale del sistema dall’interno. 2. Femminismo radicale: la subordinazione femminile è il prodotto di un sistema. È un complesso che si basa sul patriarcato per questo l’uguaglianza si può raggiungere solo sovvertendo l’ordine e quindi rovesciando il patriarcato. 3. Femminismo nero: ci si concentra sulle donne afroamericane che vengono svantaggiate su diversi piani a causa del colore della loro pelle, del sesso e della collocazione di classe. Viene sviluppata la teoria dell’intersezionalita da Kimberlé Crenshaw, la quale dedica i suoi studi alle discriminazioni sulla base di diverse dimensioni. La sessualità umana è un fenomeno molto complesso legato sia a fattori biologici sia a fattori socioculturali. In ogni società l’inclinazione sessuale prevalente è quella eterosessuale, ma non è l’unica. Lorber distingue almeno dieci diverse identità sessuali mentre Ford e Beach hanno rilevato l’alta differenziazione delle pratiche sessuali: comportamento sessuale e canoni dell’attrattiva sessuale variano enormemente da cultura a cultura. L’omosessualità è l’orientamento dell’interesse sessuale o affettivo verso individui del proprio sesso. È un orientamento che esiste in tutte le culture anche se non in tutte viene accettata. Non è una malattia o un disturbo psichico e in alcuni stati è considerata un atto deviante, punibile anche con la pena di morte. 36 Il processo di accettazione degli omossessuali ha subito progressi grazie alla pubblicazione del rapporto Kinsey sul comportamento sessuale alla metà del secolo scorso, grazie alla rivoluzione di Stonewall del 1969 e allo scoppio dell’epidemia di AIDS nei primi anni ’80. Plummer ha distinto quattro tipi di omosessualità nella cultura occidentale moderna: 1. Omosessualità casuale: esperienza transitoria che non struttura l’intera vita sessuale di un individuo. 2. Omosessualità situata: le attività omosessuali sono regolarmente praticate, ma senza diventare una preferenza dominante per l’individuo. 3. Omosessualità personalizzata: individuo che preferiscono le pratiche, ma rimangono isolati in gruppi in cui questa viene accettata. 4. Omosessualità come stile di vita: individui che hanno fatto il coming out. Transegender non implica uno specifico orientamento sessuale. Può comprendere gli eterosessuali, gli omosessuali, i bisessuali, i pansessuali (attrazione verso tutti i generi e tutti i sessi), i polisessuali (attrazione sessuale/romantica verso più persone), gli asessuali. Alcuni considerno le etichette sessuali convenzionali inadeguate o inapplicabili al loro orientamento. Richard Bourelly à è un attivista per i diritti civili e studente di Sociologia alla Sapienza, nato nel 1998 in Italia da padre napoletano e madre inglese. È un giovane youtuber che racconta il percorso di transizione da donna a uomo: "Non penso che sia un passaggio da una sponda all'altra. Soltanto le lumache e le stelle marine possono cambiare sesso. In realtà sto solo facendo emergere il mio vero me all'esterno". Il termine tecnico è "disforia di genere", indica la condizione di chi sente come proprio il genere opposto a quello biologico. Tocca circa 5mila persone in Italia: uno su 10-12mila maschi e una su 30mila femmine. Numeri da calcolare per difetto, perché arrivano dall'associazione medici endocrinologi e lasciano fuori chi si rivolge al privato o non rivela il suo stato. Richard è attualmente impegnato in associazioni LGBT, dal Gay Center ad Azione Trans. Genderqueer è un catch-all termine per identità di genere diverso da uomo e donna. Le persone che si riferiscono al genderqueer possono identificarsi come uno o più generi: - sia uomo che donna (bigender, pangender); - né uomo né donna (genderless, agender); - muoversi tra i generi (genderfluid) - terzo genere o di altro tipo di genere, comprende coloro che non attribuiscono un nome al loro genere; - avere una sovrapposizione di genere, o linee sfocate tra identità di genere e orientamento sessuale. Pierre Bourdieu analizza la costruzione dell’identità di genere partendo dalla naturalità del dominio maschile che non viene messo in discussione dalla società. Per Bourdeau l’ordine maschile è implicito, la sua forza si misura dal fatto che non deve mai giustificarsi: la forza maschile si impone in quanto neutra e non ha bisogno di enunciarsi in discorsi mirati a legittimarla. Le ragioni sociali delle discriminazioni si ritrovano in: - Ordine maschile - Costruzione sociale dei corpi - Incorporazione del dominio - Valenza simbolica Si verifica una crescita del gender gap che include una disparità di genere nel mondo del lavoro, della politica, dell’istruzione e della salute. Riferendosi al contesto della polita, si parla di formazione del soffitto di cristallo, ovvero la formazione di barriere invisibili che non permette alle donne di godere delle stesse possibilità che hanno gli uomini. Inoltre, crescono anche i livelli di riconoscimento/ non riconoscimento della cittadinanza. Violenza di genere à concetto definito per la prima volta nel 1979 dall’Assemblea delle Nazioni. Si definisce l’idea che qualsiasi atto basato sulla violenza di genere porta a sofferenze non solo di tipo fisico ma anche di tipo psicologico, a minacce e alla privazione della libertà sia in pubblico che in privato. La violenza di genere come forma di discriminazione e di violazione dei diritti umani è frutto degli esiti del Tribunale internazionale dei crimini contro l’umanità della ex-Yugoslavia Il caso Foca à nel 1982 Foca era considerata la città dell’orrore a causa dei numerosissimi stupri che si verificavano nei confronti delle donne Bosniache da parte dei Serbi. Lo stupro era concepito come un’arma da guerra tradizionale; prima di allora non era mai stato visto come un’azione collettiva che ha coinvolto la catena di comando. Il 22 Gennaio 2001 Il Tribunale Internazionale dell’Aja per i crimini contro l’umanità per la prima volta applica i principi della violazione dei diritti umani e condanna Dragoljub Kunarac, Radomir Kovac, and Zoran Vukovic per stupro, tortura e schiavitù rispettivamente a 28 anni, 20 anni e 12 anni ciascuno. I capi di imputazione sono fondati su tre capisaldi: 1. lo stupro in attacchi contro civili 2. azione diffusa azione sistematica 3. stupro come arma da guerra A partire dagli anni ’70, grazie alla prospettiva femminista, si sono superati i psicologismi della relazione vittima-carnefice quindi il femminismo fornisce quindi un grande contributo nello studio del gender based violence poiché rielabora il concetto di violenza sessuale in termini di potere, controllo e uso della forza esplicitata a seconda dei diversi contesti. Diverse prospettive transdisciplinari consentono 39 Durkheim studia le forme elementari e primitive concentrandosi sul totemismo australiano; il totem era l’oggetto sacro di riferimento, il mana o l’energia di un clan e la sua rappresentazione era sacra. Il pensiero religioso rappresenta la prima forma di pensiero categoriale che sta alla base dei modelli di conoscenza. Douglas distingue il sacro, che comprende la sfera della purezza, dal profano che invece va evitato perché pericoloso e deviante. La sacralizzazione è un processo che comprende: - Un sacrificio che è ciò che genera il sacro. - Un sacerdote che è l’uomo del sacro. - La proibizione che rappresenta ciò che è impuro. Questa distinzione tra sacro e profano è definita dai libri sacri che sanciscono anche i principi su cui si basa la fede. La Torah, i cinque libri da cui si originano le sacre scritture, stabilisce ad esempio le categorie dei cibi consentiti per gli osservanti delle leggi ebraiche; il cibo puro, che prende il nome di Kosher, è classificato nel sistema delle leggi ebraiche (Halacha). Il Corano e la Sunna invece stabiliscono i principi delle leggi alimentari (Halal) per i credenti islamici. Il Kosher viene classificato come detto nel sistema delle leggi ebraiche che distinguono quali animali è permesso mangiare e quali invece sono vietati. Gli animali permessi sono i mammiferi ruminanti con lo zoccolo diviso mentre sono vietati gli animali non ruminanti con lo zoccolo, gli uccelli rapaci, tutti i rettili, tutti gli animali acquatici che non hanno pinne e branchie e tutti gli insetti eccetto la locusta. Esistono anche dei divieti riguardanti l’alimentazione e il Kosher: - Per gli animali permessi è prevista una macellazione rituale; - Non si può consumare sangue; - Non si può mangiare il nervo sciatico; - Non si possono mangiare parti provenienti da animali vivi; - Non si possono mangiare gli animali che, pur essendo permessi e macellati ritualmente, presentano malattie o difetti fisici; - Non si possono mescolare carne e latticini nello stesso pasto (nella Torah viene ripetuta tre volte la frase “non cucinerai il capretto nel latte della madre”) I rabbini stabiliscono ciò che è puro e ciò che è impuro, supervisionano gli impianti e ne verificano la conformità rilasciando una certificazione che dovrà poi essere visibile nel prodotto. L’Halal è la legge coranica che stabilisce le regole di classificazione dei cibi: - L’ Halal è il cibo permesso come la carne di animali domestici ruminanti (pecore, capre, agnelli) e galline e piccioni. Il cavallo è permesso unicamente in caso di estrema necessità alla sopravvivenza; - L’ Haram è il cibo proibito come ad esempio gli animali carnivori (tigri, leoni, cani, gatti), le aquile, gli animali morti per cause diverse dalla macellazione o i maiali e i cinghiali; - L’ Makrooh è il cibo incerto. L’Islam enfatizza il trattamento gentile degli animali durante la macellazione e durante questo processo Allah deve essere invocato. Come nella tecnica Kosher, l’uccisione dell’animale deve avvenire con un’arma da taglio adeguata alle dimensioni dell’animale e tutto il sangue deve defluire dal corpo. Queste regole sono giustificate da alcune ragioni scientifiche; ad esempio, il sangue contenuto nelle fibre della carne potrebbe contenere batteri e tossine che possono essere nocive per il sistema nervoso e i suini potrebbero essere vettori di vermi patogeni che possono contaminare l’uomo, contagiandogli infezioni come la Trichinella spiralis o la Taenia solium. Tuttavia, la religione è più un rito collettivo che un rito individuale che è costituito da un sistema di credenze condivise e accettate e dà un senso perfetto all’esperienza umana che è imperfetta. Attraverso i riti sacri l’individuo riafferma la solidarietà con il gruppo sociale di appartenenza ecco quindi come le cerimonie sono degli elementi fondamentali nel rafforzamento dei legami sociali fra gli individui e segnano le vite individuali nei momenti salienti. Ad esempio, il momento della nascita è segnato nel Cristianesimo dal Battesimo, nell’Islam dall’Imposizione del nome e nella religione ebraica dalla Circoncisione, il momento della pubertà invece è caratterizzato dalla Cresima nel Cristianesimo e dalla cerimonia del Bar-Mitzvar nell’Ebraismo e la formazione di una coppia è sancita dal matrimonio. Quindi, nelle cerimonie l’individuo è proiettato in una sfera elevata dell’esistenza e si trova in comunione con i suoi simili in uno stato che trasmette ad ogni partecipante un’energia sempre e comunque osservata. Nella società moderna, secondo Durkheim, la religione ha perso gran parte delle sue funzioni sociali generali anche se mantiene il suo ruolo per i gruppi di credenti. Nella società moderna i rituali religiosi sono sostituiti dai rituali laici. Weber propose un’imponente analisi delle forme religiose, focalizzandosi sul loro rapporto con il mutamento sociale e il comportamento economico. Egli mise in luce l’aspetto rivoluzionario delle religioni che sono una fonte di stabilità culturale e quando cambiano, contengono una forza di mutamento della civiltà che è superiore a quella della politica. Inoltre, la religione cambia anche i comportamenti individuali che poi determinano dei cambiamenti anche nella sfera collettiva della socialità. Questo aspetto viene messo in luce da Weber attraverso il suo studio sul Cristianesimo nella sua forma riformata e puritana. Il calvinismo viene interpretato come il motore di questa trasformazione; il calvinismo afferma che comportarsi bene nella vita terrena porta a elevarsi a una vita migliore dopo la morte. Questo concetto è alla base della concezione delle religioni occidentali, definite da Weber intramondane, che professano il dominio sul mondo. A contrario delle religioni occidentali, quelle orientali, che Weber definì oltremondane, sviliscono il mondo terreno e l’impegno dell’uomo verso il suo cambiamento, frenando la modernità e professando l’armonia con il mondo. 40 Il cristianesimo in particolare, fa eco al dogma calvinista, e viene definito come religione di redenzione o di salvezza; la tensione tra peccato e salvezza genera ansia e dinamismo nei fedeli delle religioni intramondane, che si trasferisce ad intere società e fa della rivoluzione una forza di trasformazione senza pari. Le organizzazioni e i gruppi religiosi si distinguono in chiese e sette, secondo la distinzione risalente a Weber che prese spunto dall’analisi fatta dallo storico delle religioni Ernst Tröltsch. Con il termine Chiesa si fa riferimento a una struttura organizzativa più solida e burocratizzata, in cui il carisma del fondatore è trasferito all’istituzione. Invece, la setta è quel gruppo carismatico di piccole dimensioni che si pone in una condizione di polemica con una o più chiese. È composta da un leader e dai suoi seguaci, gli affiliati, che costituiscono il piccolo gruppo. Vi sono cinque interpretazioni sociologiche diverse riguardanti la religione: - Interpretazione evoluzionistica: pone la sua attenzione su come la religione si è evoluta partendo dai contesti sociali che hanno portato un cambio nella concezione di giusto o sbagliato. - Interpretazione marxista: Marx affermava che la religione ostacola il processo di presa di coscienza degli oppressi e dei rapporti sociali di dominio, dei quali i proletari sono vittime. La religione è concepita come una forma di falsa coscienza e come uno strumento nelle mani delle classi dominanti nella lotta tra classi. La religione dominante è sempre quella della classe che domina la sfera economica e politica e fornisce sempre una giustificazione alla disuguaglianza e all’ingiustizia sociale. - Interpretazione funzionalistica: Durkheim sostiene che la religione svolge la fondamentale funzione di integrazione sociale; infatti, la società va pensata come un’unità, in cui le varie parti sono tenute insieme da una credenza comune. Secondo Durkheim, ogni atto di culto, ogni rituale, ogni cerimonia diventa l’occasione per ribadire e rafforzare l’identità collettiva e il sentimento di appartenenza e se nelle società moderne la religione sembra in declino è perché altre forme hanno preso il suo posto e svolgono la sua funzione. - Religione come fattore di mutamento: questo approccio riconosce che la religione sia stata un potente fattore di mutamento sociale e di rottura della tradizione. Ricollegandosi a tale teoria, Weber spiega che le idee religiose sono state storicamente delle potenze rivoluzionarie capaci di indurre delle profonde trasformazioni negli assetti sociali e culturali. - Concezione fenomenologica della religione: per la concezione fenomenologica l’elemento costitutivo e universale della religione è l’esperienza del sacro. Essa pone l’accento sulla relazione tra il soggetto credente e l’oggetto di venerazione. Il sentimento di essere creatura, l’esperienza del mistero, l’aurea di mistero e di inaccessibilità del sacro sono tutti tratti che definiscono l’esperienza religiosa.
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