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Scienza per la democrazia di Alberto Peruzzi, Schemi e mappe concettuali di Sociologia Della Conoscenza

Riassunto del libro del professore di Teoria della conoscenza.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2018/2019

In vendita dal 05/06/2023

luarda
luarda 🇮🇹

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Scarica Scienza per la democrazia di Alberto Peruzzi e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Sociologia Della Conoscenza solo su Docsity! SCIENZA PER LA DEMOCRAZIA Affinità elettive, conflitti, necessità della formazione Scienza e democrazia: affinità elettive Nella storia della civiltà europea la democrazia è cresciuta insieme alla scienza e lo sviluppo dell’una ha contribuito allo sviluppo dell’altra. Ci sono due domande fondamentali: 1. Com’è tessuta l’odierna rete di relazioni fra ricerca, applicazioni tecnologiche, scuola, industria, istituzioni? 2. Quali legami dovrebbero esserci? All’attenzione dell’opinione pubblica si sono imposti numerosi argomenti di discussione, sulla scia di scoperte e tecnologie che per il loro impatto comportano scelte etiche e politiche. Basti considerare i progressi della genetica (come la manipolazione del DNA e l’uso delle cellule staminali), le opzioni in campo energetico, l’accanimento terapeutico negli stadi terminali di una malattia, l’impiego di OGM nell’industria alimentare, le modalità di smaltimento dei rifiuti. Su questi e altri argomenti c’è scontro sui mezzi e sui fini. Quando il senso di un problema resta invischiato nelle controversie e nel bisogno di schierarsi, il senso della soluzione, però, si perde. Per non perderlo, ci vorrebbe un chiarimento dei presupposti, maggior distacco e serenità di giudizio. Purtroppo il chiarimento non è favorito dall’urgenza con cui ci si vede costretti a decidere e neanche dall’immediato coinvolgimento emotivo che le polemiche generano. Democrazia Origine: democrazia è un termine di origine greca che deriva dalla composizione di due parole: demos (popolo) e kratos (potere). Premessa: i devoti della più dura democrazia esortavano a “servire il popolo”. A parte il fatto che dicevano servire e intendevano guidare, ma anche il potere del popolo è esercitato sul popolo, ma il popolo non è un’entità cosciente e non ha neuroni per ragionare. Dicendo che il popolo governa se stesso si è detto ancora meno. In tutti e due i casi conta il come. Definizione: la democrazia è una delle varie forme politiche in cui si può organizzare una comunità quanto al suo sistema di governo e al suo sistema di controllo del governo. Tipicamente la democrazia assume forma di repubblica. Se democrazia sta a indicare un sistema che riconosce il potere sovrano del popolo, questa sovranità può esprimersi in più di un modo . Anche le procedure previste per il suo esercizio possono assumere forme diverse . Uno stato democratico non è per forza governato direttamente dal popolo, pur ospitando ambiti in cui si esercitano forme di democrazia diretta. La nostra democrazia è rappresentativa. Una democrazia rappresentativa può essere più o meno liberale. Si vota e il voto di uno vale quanto il voto di chiunque altro, indipendentemente dalla loro diversa autorevolezza. In una democrazia rappresentativa, la decisione su chi deve governare è presa mediante una procedura elettiva, a maggioranza, cui più forze politiche partecipano in competizione l’una con l’altra. La democrazia elettorale non decide le questioni, ma decide chi deciderà le questioni. Che gli elettori siano cittadini adulti è una forma basilare di uguaglianza. Il valore dell’uguaglianza presuppone la diversità umana e in particolare la diversità di idee. Se fossimo tutti uguali, sotto ogni rispetto, l’uguaglianza non sarebbe un valore, bensì uno spaventoso dato di fatto. Noi vorremmo che la democrazia fosse il risultato di un libero assenso (Approvazione liberamente espressa o apertamente concessa)e avesse una base razionale. Non è affatto facile mettere d’accordo questi due requisiti. 1 In democrazia le elezioni hanno una cadenza periodica. Quando viene il momento della competizione elettorale, alle diverse forze politiche è garantita la possibilità di confrontarsi (libertà di parola e libertà di pensiero) ed è garantita la possibilità di comunicare con gli elettori, per esempio attraverso la stampa (una libera stampa). Che la maggioranza non abbia solo il diritto di governare ma anche doveri verso la minoranza è un’idea moderna, legata al nome di un filosofo liberale: John Locke. Nell’antica democrazia ateniese non tutti erano liberi e la giustizia aveva criteri diversificati di applicazione. Da allora sono emersi nuovi bisogni e si sono resi necessari nuovi modi di dar corpo alle garanzie democratiche. Una democrazia non può violare i diritti umani e una buona teoria ha bisogno di una buona pratica, altrimenti scade a vuoto formalismo, che alla lunga favorisce costumi anti-democratici. Anche un tanto difficile equilibrio scadrà a formalismo in assenza di uno spirito di solidarietà fra i cittadini. Scienza Scienza è un insieme di conoscenze, relative ai più diversi ambiti, ottenute in conformità a un metodo, detto appunto metodo scientifico . Questo metodo è caratterizzato da: 1. Un principio: quanto si afferma come conoscenza dev’essere controllabile empiricamente, cioè verificabile o falsificabile; 2. Una forma: il corpo delle conoscenze è organizzato in teorie, che hanno la struttura di sistemi ipotetico-deduttivi, e son dette “scientifiche” perché ciò che permettono di affermare soddisfa 1. Quindi una teoria è vera solo se è scientifica e soddisfa alcune condizioni. Per essere sicuri se un’affermazione è inferibile o no da un’altra è fondamentale l’uso di un linguaggio rigoroso, ovvero matematico. Scopo fondamentale della scienza è capire com’è fatto il mondo. E non può essere trattata come un semplice accumulo di verità che via via cresce nel tempo: individua piuttosto le spiegazioni migliori e le migliori ragioni per considerare vero questo e falso quello. Qualcuno ha detto che bisognerebbe intendere il progresso scientifico come un allontanarsi dagli errori e non come un avvicinarsi alla verità. Il che può servire ad ammansire l’umana presunzione, ma il guadagno finisce lì perché il concetto di errore rimanda a quel che abbiamo motivo di considerare falso e, a sua volta, questo concetto rimanda a quel che abbiamo motivo di considerare vero. Sono concetti siamesi. Il discorso scientifico Unicamente nella struttura scientifica hanno preso corpo e hanno modo di svilupparsi al meglio razionalità ed oggettività . Nel discorso scientifico i pensieri hanno un ordine logico, riconoscibile da chiunque in linea di principio e quest’ordine trova nel linguaggio matematico la sua più rigorosa espressione. Un discorso presuppone un linguaggio. Il linguaggio della fisica, il linguaggio della chimica…sono linguaggi alquanto diversi dal linguaggio ordinario. Nessuno pensa che fisica, chimica ecc. si riducano a un linguaggio, perché ci sono i fatti. Invece, la matematica è spesso confusa con un linguaggio, pieno di strani simboli e formule, ma vuoto di fatti. Del teorema di pitagora, però, che è tale perché c’è la sua dimostrazione, siamo riusciti a servircene nelle scienze della natura, arrivando a capire che se vale la tale legge fisica allora non può esistere questo e quello (per esempio una macchina capace di estrarre lavoro gratis). La conoscenza che si esprime nel discorso scientifico è inter-soggettiva. Come non esiste un linguaggio mio e tuo, così non esiste una scienza esclusivamente mia o tua, altrimenti il discorso stesso non avrebbe ragione d’essere affermato a qualcun altro. 2 Frontiere e limiti Il fatto che le regole del metodo scientifico siano soggette a evolversi non le rende opinabili. Bisogna semmai sottolineare un altro fatto: la ricerca non definisce a priori quali siano le sue frontiere, nel senso di soglie invalicabili. Le frontiere della scienza sono mobili perché corrispondono alla soglia che di volta in volta è stata raggiunta nel capire il mondo. Per esempio esigendo che l’oggetto d’indagine sia empiricamente accessibile e che la soluzione dei problemi sia sperimentabile si pone già un limite, ma non un limite preciso, definito una volta per tutte, perché la costruzione di nuovi strumenti d’osservazione, dal cannocchiale, al radiotelescopio, dal microscopio elettronico alle tecniche di risonanza magnetica, ha continuamente dilatato il campo di ciò che si giudicava osservabile. Al pari dell’evoluzione dei criteri di scientificità, lo spostamento delle frontiere della scienza non cancella i fatti elementari della nostra esperienza né cancella tutto quanto è stato accumulato. Che le frontiere siano mobili non esclude limiti di altro tipo, intrinseci alla forma che siamo in grado di dare al sapere in quanto esseri umani, intrinseci ai linguaggi a noi accessibili. Per limiti dunque non intendo qualcosa cui è possibile avvicinarsi sempre di più senza raggiungerlo, bensì qualcosa che è riconosciuto, dall’interno stesso del sapere, come impossibile a ottenersi. Una delle grandi novità della scienza del Novecento è stata l’acquisita consapevolezza di limiti intrinseci di questo tipo. Sono stati conseguiti risultati, in matematica e in fisica, che stabiliscono l’impossibilità di risolvere, seguendo un determinato metodo, alcuni problemi di grande rilievo teorico. Per esempio in logica il Teorema di incompletezza (Godel) e in meccanica quantistica il Principio di Indeterminazione (Heisenberg). Se fosse possibile risolverli in quel modo, sarebbe sbagliato, falso, perché la teoria è relativa allo specifico dominio conoscitivo, perciò abbiamo ragione di credere il contrario. La solubilità o insolubilità di un problema va sempre riferita a un metodo di soluzione. Parlare di insolubilità in assoluto è un salto a piè pari nella metafisica, come lo è la pretesa di fare affermazioni vere, svincolate da ogni determinato metodo di controllo. Dal riconoscimento di limiti intrinseci sono scaturite nuove opportunità di comprensione, nuove linee teoriche, nuovi problemi, invece che uno stop alla ricerca. Scienza dall’esterno e scienza dall’interno Veniamo alla questione del controllo democratico. È tipico guardare con preoccupazione quel che non si può tenere sotto controllo. Non a caso l’esigenza di controllare la natura è stata una molla potente nella storia dell’umanità. Quando però quest’esigenza porta a controllare la stessa società delle idee, ivi comprese quelle scientifiche, è spia di qualcosa che con lo spirito di una democrazia ha poco a che fare, rivelando tratti non ammirevoli. È un dato di fatto che nella società odierna è cresciuto il numero di chi diffida della scienza. L’inferenza da dev’esserci una condivisione democratica circa quale impiego fare delle conoscenze a dev’essere la società a decidere i temi sui quali fare ricerca o non farla è un’inferenza erronea. Per mostrare che è erronea non occorre supporre che le linee di ricerca siano sempre il risultato di una scelta disinteressata, dato che storicamente la ricerca scientifica ha subito influenze esterne di più vario tipo. Ma le ragioni del suo successo non sono esterne. Eventuali linee guida fissate dall’esterno per orientare lo sviluppo non hanno mai partorito metodi e criteri, e tanto meno conoscenze. Proprio quando non si sono assecondate richieste pressanti della società civile, si sono avuti maggiori progressi: nell’Ottocento, i cittadini chiamati a votare in un referendum avrebbero sicuramente optato per un investimento nella ricerca di migliori candele e lumi a olio, ma questi non hanno retto il confronto con le lampadine. 5 Verità e buone intenzioni La scienza è confusa con la tecnologia, la tecnologia con i suoi specifici impieghi, i suoi specifici impieghi con impieghi che ci siamo abituati a considerare ovvi e che siamo incapaci di immaginare diversamente (pensate a quanto c’è voluto per passare dalla biga alla carriola). Invece di pensare a scienza e democrazia come a una latente avversativa, tra ciò che è male e innaturale (o cattivo uso della tecnologia) e ciò che è bene e naturale (o buon uso della democrazia), si potrebbe anche pensare che la conoscenza è un bene e che la democrazia tanto naturale non è. Non è in base alle buon intenzioni che si valuta la buona scienza o il suo buon uso. Ci vogliono competenza, ingegno e strumenti ben fatti, quindi ci vogliono investimenti nella formazione, nell’allestimento dei laboratori, nelle opportunità per i giovani talenti. Così come bisognerebbe che i rappresentanti eletti dal popolo avessero una maggiore sensibilità per il valore della ricerca, bisognerebbe che l’opinione pubblica fosse meglio informata per essere in condizione di esprimersi in merito all’uso di una tecnologia. L’educazione alla razionalità Una buona democrazia si preoccupa di assicurare ai giovani una buona formazione: strumenti concettuali che li aiutino a comprendere un po' meglio il mondo in cui vivono e li aiutino ad agire in modo un po' più razionale quando saranno cittadini adulti. I recenti dati OCSE-PISA attestano che in Italia due requisiti fondamentali non sono soddisfatti, ovvero una solida base di conoscenze e un atteggiamento già coltivato, requisiti che si dovrebbero imparare a scuola. In questo modo si aiuterebbe la crescita di una cultura democratica. L’educazione scientifica ha bisogno di una pur minima riflessione sulla scienza e allora una pur minima educazione filosofica è indispensabile. Quand’è che una conoscenza è oggettiva? Cos’è che separa il sapere che dal credere che? Facendo leva su domande simili si acquista consapevolezza di molti pregiudizi e si favorisce un dialogo razionale su qualunque tema. È anche grazie a questa forma mentis che sono nate la scienza e la democrazia in Europa. Salvo eccezioni, la scuola e l’università pare che abbiano abdicato al compito di sviluppare le potenzialità conoscitive dei giovani. Se le cose restano così, si prospetta un futuro di decadimento, povertà e inciviltà per il nostro paese. Legami forti La democrazia è basata sul consenso. La scienza è l’ambito in cui il consenso è legittimato da prove fattuali e corretti ragionamenti. Nullius in verba: se quel che affermate è valido, la sua validità non dipende dall’esser conforme a ciò che qualcun altro, chiunque sia, ha affermato. In questo motto trova espressione uno dei caratteri della civiltà europea. Non c’è oggettività se non quella accessibile alla più vasta intersoggettività. L’assunzione di responsabilità di quel che si dice è fondamentale e cresce insieme allo spirito di tolleranza, la quale non concede e basta, ma esige. L’atteggiamento scientifico allena ad essere esigenti. La libertà di pensiero produce spaesamento, ma è uno spaesamento salutare. Se non si trova argomenti solidi a sostegno delle nostre ipotesi è meglio abbandonare le certezze e immaginare, in proprio, controargomenti, per vedere se la teoria è in grado di respingerli o meno, invece di nasconderli a se stesso. La vita democratica ha bisogno di persone in grado di guardare in faccia le cose, ragionare, cambiare idea, immaginare scenari, inventarsi nuove strategie per la soluzione dei problemi e metterle alla prova. 6 Cultura e civiltà Il bisogno di evitare la confusione tra scienza e tecnologia non si fondava sul disprezzo per la volgare tecnologia a fronte della santità della ricerca pura. Il sapere scientifico è legato allo sviluppo di tante belle applicazioni, ma anche idrogeno e ossigeno sono strettamente legati alla produzione di acqua eppure restano elementi distinti. Di tecniche funzionanti ce n’erano tante ancor prima che si capisse perché mai potevano funzionare; di attrezzi utilissimi, ne sono stati scoperti molti, prima di capirne il principio. C’è voluta una riflessione, che allontanava dalla concretezza delle cose per tornarci in modo ancor più efficiente: se una piccola leva aiuta il lavoro di un uomo alla volta, una gru aiuta il lavoro di molti uomini simultaneamente. C’è anche un sapere privo di applicazioni. Ci sono teorie che spiegano un’ampia gamma di fenomeni, senza che ne scenda direttamente un impiego tecnico. Certo, se una teoria non ammette sperimentazione alcuna, rischia di essere solo un esercizio, e se porta ad applicazioni che non funzionano, qualcosa non quadra. Tuttavia, per essere scientifica, una teoria non è tenuta ad avere, e alla svelta, un alto fattore d’impatto tecnologico. Le teorie scientifiche cercano di dare spiegazioni e ci permettono di fare previsioni attendibili perché le teorie non si riducono a collezionare fatti. Le teorie, per esempio, elaborate in ambiti particolari, come quello cosmologico, è improprio aspettarsi applicazioni tecnologiche, ma questo non ne tocca il carattere scientifico. In una buona formazione scientifica rientra anche un’esplicita riflessione sulla scienza, che aiuta a evitare sia la confusione tra scienza e tecnologia sia l’idea che l’unica vera cultura è quella che mette sul trono la scienza. La cultura scientifica non esaurisce la cultura, però è bene tener presente che sul suolo italico la cultura è stata ed è associata a ciò che scientifico non è. Cultura umanistica e cultura scientifica sono diverse perché esprimono in discorsi di tipo diverso non tanto valori diversi, quanto combinazioni e gerarchie diverse di uno stesso pacchetto di valori radicati nella natura umana e accessibile a tutti. Entrano spesso in tensione, ma la tensione non deve per forza condurre a mutua ostilità o indifferenza. Giulio Preti alla fine arrivò a vedere in questa stessa tensione una caratteristica vitale dell’Occidente. Si tratta della tensione essenziale di cui vive la nostra civiltà. L’opposizione fra le due culture, umanistica e scientifica, assume valenze emotive: oggettività contro soggettività. L’analfabetismo scientifico è un impoverimento della democrazia. Per evitarlo serve una buona formazione. Né il soggetto né l’oggetto della conoscenza si capiscono se non partendo dalla loro interazione. Conosci te stesso significa anche conosci la natura. La scienza cerca di capire il mondo e di questo mondo fa parte anche il te stesso. Non basterà ad avere cura di sé, ma per avere cura di sé ci vuole una base di conoscenze affidabili. Nel novecento, accanto alle conoscenze sulla natura sono cresciute a un ritmo straordinario quelle sulla mente umana. Sapere come funzionano le cose aiuta a sentirsi un po' meno turisti. Ma la maggior parte di noi non ha la minima idea di come funzionando le cose che ha d’intorno. E poi ci sentiamo stranieri in un mondo reso inumano, dalla nostra stessa ignoranza. Una buona democrazia non può permetterselo. Competenza e creatività (da noi) 7 formazione professionale degli insegnanti: di più non di meno. Significa anche più soldi ai bravi, meno a quelli meno bravi. La religione nella scuola Se la scuola pubblica arranca, la scuola privata non è che se la passi meglio. In Italia, la scuola pubblica è laica, quella privata è per lo più d’ispirazione religiosa (cattolica, anche se cominciano a spuntare scuole d’altra fede). In prevalenza, chi si rivolge alla scuola privata lo fa perché questa facilita il conseguimento dei diplomi. Con l’esclusione di pochi istituti d’eccellenza, la scuola privata contribuisce ad assolvere un compito sociale: garantire l’uguaglianza nell’ignoranza. E anche se fosse la qualità a fare la differenza, resterebbe difficile capire perché nella scuola pubblica non ci possa essere ciò che si ipotizza come vantaggio della scuola privata. Eliminare ogni contatto dei giovani con la religione mette d’accordo laicità e multiculturalismo nel modo peggiore. Significa ignorare la nostra eredità cristiana. Di quello che s’ignora non si può discutere sensatamente e una formazione in cui non si discuta di religione è monca. Conoscere qualcosa che tanta parte ha avuto nella nostra storia e nella nostra attuale cultura non fa male alla salute e favorisce, invece, una riflessione sul rapporto tra scienza e fede. L’importante è ancora una volta la qualità dei discorsi che si fanno per fornire elementi di giudizio. Il terzo incomodo Mettendo da parte religione e uscendo dal mondo dell’istruzione, intellettuali, giornalisti e politici che si degnano di prestare attenzione alla scienza, discutono per lo più dei suoi pericoli (OGM, nucleare ecc.), della degradazione dei rapporti umani che la tecnologia provoca, di cattiva gestione delle istituzioni scientifiche, di casi clinici ed etica. Sembra che l’impegno democratico si misuri con l’intento accusatorio, non con una discussione informata, franca, pacata, senza preconcetti. Ciò che un tempo era il campo proprio della filosofia è diventato terra di nessuno. Forse Nullius in verba (non dar fiducia alle parole di nessuno) voleva dire Omnium in verba (le parole di tutti). Quando si arriva a ridefinire per legge un concetto come quello di “persona”, si ha la minima idea di cosa sia una definizione e di quali tranelli logici si nascondano nel compito di (ri)definire? Allora comincio a pensare che “democrazia” sia stata ridefinita furbescamente: ora vuol dire equiparazione di tutto, in un calderone, senza più alcuna differenza tra argomenti corretti e argomenti sbagliati. A uno scentismo con i paraocchi si alterna la rivendicazione che ci sono tanti, ma tanti, punti di vista e, democraticamente, ciascuno di essi ha i suoi titoli. Altro dalla religione e dalla scienza, la filosofia è guardata con sospetto da teologi e scienziati. Vorrebbe avere qualcosa da dire, e della massima importanza, ma pare che il mondo ne faccia a meno con tranquillità. La filosofia ha peccato contro la religione, contro la scienza e contro le ideologie politiche. Deve dunque espiare, scomparendo. Perfino alcuni filosofi ne sono convinti. Eppure… anche messi in conto i suoi peccati, chi pensa di affrontare il rapporto tra scienza e democrazia lasciando fuori la filosofia, prende un abbaglio. Il terzo incomodo ha qualcosa da dire e non si assoggetta al costume o al sapere standardizzato, e neanche si lascia rinchiudere in un discorso politico con relativo bollino di schieramento. 10 Demagogia: degenerazione della democrazia, per la quale al normale dibattito politico si sostituisce una propaganda esclusivamente lusingatrice delle aspirazioni economiche e sociali delle masse, allo scopo di mantenere o conquistare il potere. Autoreferenziale: che si basa esclusivamente su sé stesso e sui propri desideri, non curandosi dei rapporti con altre realtà. Fenomenologia: lo studio e la classificazione dei fenomeni, quali si manifestano all'esperienza nel tempo e nello spazio. Diritto a sapere Il carattere pubblico della conoscenza è stato una bandiera della <<modernità>>, trovando espressione nella rivoluzione scientifica del 600, come pure nella scelta di scrivere non più in latino, bensì in lingua volgare; un successivo contributo a questo carattere pubblico è stata l’Enciclopedia curata da Diderot e D’Alembert, guidati dalla volontà di rispondere a un bisogno crescente di conoscenza, ma senza lasciare fuori una riflessione filosofica, a differenza di molte enciclopedie di oggi. Si affermava il diritto a sapere. Sapere presuppone capire, perché non si può dire che si sa qualcosa che non si capisce; e per capire bisogna essere informati. Le informazioni necessarie a capire non sono infinite. Si tratta di selezionare quelle pertinenti a ciascun problema. Il carattere pubblico e ripetibile dei modi in cui selezionarle è una delle caratteristiche del pensiero scientifico. Il diritto a sapere è però qualcosa di diverso dal diritto a essere informati. A informare i cittadini ci pensa la stampa, ma la stampa non forma il sapere. È la scuola che è chiamata a fornire i presupposti conoscitivi, come è chiamata a orientare la selezione intelligente delle informazioni. Dunque è, dovrebbe essere, innanzitutto la scuola a fornire gli strumenti per comprendere imparando-a- imparare, per esercitare il diritto a sapere. Quand’anche fosse la realtà, non basterebbe se non si trasmette la capacità e il gusto di servirsene, il gusto di capire. Se c’è diritto di sapere, c’è un dovere a garantirlo. Lo spirito democratico si riflette in uno stile di pensiero Che a sua volta si riflette in un modo di parlare e di scrivere. Dimmi come parli e ti dirò chi sei: il linguaggio conta per la scienza come per la democrazia. Le leggi di uno stato democratico dovrebbero essere comprensibili a tutti i cittadini, non solo a giudici e avvocati. La democrazia americana per esempio: il linguaggio in cui si esprime la dice più lunga di tanti dottori sottili e del loro gergo scolastico. Lo spirito democratico vuole pensieri chiaramente espressi: se sono sbagliati è più facile correggerli, se sono giusti è più facile comunicarli e usarli proficuamente. I cittadini avranno pure il diritto di disporre di leggi che non ci sia bisogno di decrittare, le più brevi e le più chiare. La prima prevenzione dell’imbarbarimento non sta nelle leggi e nella certezza della pena. Sta in una pervicace (accanita ostinazione) educazione al pensiero, all’uso di un linguaggio chiaro, all’esercizio del confrontare ragioni, nude e crude. Ma che c’entra la filosofia? La filosofia si propone di rispondere a domande come “com’è fatta la conoscenza umana e che cosa la rende possibile?” (epistemologia), di dire qualcosa sul senso della scienza e della democrazia, sul linguaggio e sulla mente, sull’educazione e sui modi della comunicazione. Ma quel che dice ha un inconveniente: tende a sfuocare l’attualità invece di metterla a fuoco; quindi è facile capire la reazione: ci sono problemi più urgenti. La lodevole fretta di risolvere problemi ne produce di ancora più urgenti. 11 La riflessione sulla scienza non è inutile. In alcuni paesi si è tentato di democratizzare la scienza istituendo un forum pubblico. Il rischio è quello di una condivisione poco attendibile, che si presta a essere manipolata con un’abile orchestrazione del consenso o del dissenso. È un discorso di destra o di sinistra? A questa domanda rispondo che è a sud, dato che una dimensione politica può non bastare a collocare ogni linea di pensiero e ogni soluzioni a qualsiasi problema. L’umanità ha bisogno di tante cose, fra le quali la possibilità di apprezzare una gamma di valori che non si riducono all’asse destra-sinistra. Una società che disprezza la filosofia si avvia a diventare o una tecnocrazia o una teocrazia: non, dunque, una società in cui la scienza ha il posto che le spetta e le più diverse idee sono discusse razionalmente, non una società che si preoccupa di avere consapevolezza dei propri valori e dei propri orizzonti, non una società che di questa consapevolezza fa strumento per politiche più intelligenti della scienza e dell’educazione. Una società i cui cittadini non sono abituati a riflettere sui propri valori, senza partito preso e senza sarcasmo sulle idee diverse dalle proprie, si avvia a essere una pseudo democrazia, un ambiente dal quale la critica è, bene che vada, a una dimensione (quella dell’asse destra-sinistra). Prendersi cura dei valori è da sempre fra le prerogative della filosofia. Perciò, c’è bisogno di filosofia. Quel che è importante promuovere non è una specifica dottrina filosofica, ma un atteggiamento filosofico, che può essere coltivato senza il bisogno di diventare professionisti (come del resto avviene in tanti altri casi, dallo sport alla politica). Tra pillole e proclami Una democrazia ha bisogno dell’informazione e la stampa informa. Della scienza, l’area cui si dà più spazio nell’informazione è quella medica. Tuttavia la nostra mente si nutre di pensieri e produce altri pensieri, in un processo che dipende dalla qualità del nostro sapere e dalla qualità del modo di comunicarlo. L’immagine che ci facciamo del mondo, della vita, degli altri e di noi stessi, è importante quanto le specifiche conoscenze. La politica è una nobile arte, ma non l’ombelico del mondo. Proprio per il suo ruolo decisivo di trasformare in risposte efficaci le domande di una società complessa e in rapida trasformazione, come quella di oggi, la politica ha bisogno di quella competenza e quella creatività che un atteggiamento scientifico promuove. La cultura che è dato osservare nel mondo politico italiano è generalmente, e per tradizione, non scientifica. Quanto alla filosofia, il ricordo va subito all’influenza di Croce e di Gentile, al pensiero cattolico tradotto in un’azione politica in linea con la dottrina sociale della chiesa, al materialismo di Marx, alla tradizione liberale e quella socialista, i principi etici d’ispirazione laica e quelli d’ispirazione religiosa. Dimenticando il legame fra valori della scienza e della democrazia, hanno dimenticato le stesse radici filosofiche dell’una e dell’altra. Non c’è da stupirsi se agli occhi di molti il ruolo della filosofia si riduce a propaganda in favore della scienza o propaganda antiscientifica; in entrambi i casi, per filosofia s’intende quella smemorata, ridotta in pillole. La democrazia è una cosa seria. I valori della democrazia si prestano poco alla satira. Certo che si può scherzare, ma quando si è in grado di sorridere solo degli altri e mai di se stessi, c’è poco da stare allegri. 12 gioco e aprendosi agli interrogativi. Il che richiede ragionamenti, non suggestioni. Allevare al dubbio non significa allevare al pentimento, cioè a rinunciare alla possibilità di accertare la correttezza di un ragionamento. La più rigorosa razionalità positiva è non meno democratica del pluralismo delle idee; e il pluralismo nelle sciocchezze serve alla democrazia tanto poco quanto una razionalità che non parta dall’abc del rigore. La scienza dà risposte. Se le dà, è perché c’è stato e c’è qualcuno che si è preoccupato di formulare bene le domande. Se quel bambino che chiedeva perché muore, muore l’abito a chiedere e offrire ragioni valide per quel che si afferma, e così muore anche lo spirito scientifico e muore lo spirito su cui si impernia la democrazia. Uno, cento mille saperi Mancanza di informazioni e debolezza logica non prospettano una rosea discussione pubblica. La conoscenza è in continuo divenire. Bisogna allora insegnare molteplici fisiche, chimiche, biologie? Le ristrutturazioni radicali di un sistema di idee sono tenute ad addurre a ragioni e a conservare oltre a cambiare. Il sapere non è un’azienda con reparti totalmente separati e non è neppure un tutt’uno; il sapere è più cumulativo di quanto voglia far credere chi descrive il cambiamento come una conversione religiosa; ed è meno cumulativo di quanto creda, ingenuamente, la maggior parte degli scienziati. E oltre alla scienza… <<Per vivere abbiamo bisogno di credere in qualcosa. Quel che è scientificamente fondato non basta>>. Giusto, ma il bisogno (o la volontà) di credere a qualcosa non conta come prova di ciò che si crede (o si vuol credere). Chiunque confonda le due cose legittima l’ingenuità che in inglese si dice wishful thinking. Quanto al fatto che per vivere <<quel che è scientificamente fondato non basta>>, non solo non basta: non è neanche necessario. La maggior parte delle nostre azioni non si basano su conoscenze consapevoli. Questo fatto, a sua volta, non legittima l’ignoranza. Il punto è piuttosto che tante persone hanno, oltre al bisogno di credere a qualcosa, bisogno di credere a qualcosa di Assoluto. Se no, non ce la fanno a sopportare il peso dell’esistenza. Il discorso religioso, in qualunque forma si organizzi, anche assiomatica (evidente di per sé quindi indiscutibile), non ha le caratteristiche del discorso scientifico e neppure ha senso proporlo o criticarlo come se fosse assimilabile a questo, malgrado alcuni teologi ci abbiano provato. Per limitarsi alla scienza, in essa conta ciò che è razionalmente argomentato e che si ha l’umiltà e il coraggio di sottoporre al tribunale della ragione (per usare le parole di Kant). Che questo tribunale non emetta sentenze univoche (come Kant era invece incline a supporre), che l’esperienza si espanda in modi non anticipabili, che il nostro sapere si ristrutturi via via, sono fatti che non invalidano in modo automatico tutte le sentenze emesse in precedenza al tribunale. Qui rispunta il terzo incomodo. Nel novecento si è costituita un’area autonoma di studi chiamata “filosofia della scienza” in cui ci sono standard di rigore non inferiori a quelli usualmente considerati scientifici. Basta supporre che la differenza tra filosofi e scienziati possa attenuarsi, per urtare l’opinione comune e quella dei sapienti. Ma scienza e democrazia sono strettamente legate. Piccoli equivoci Per il fatto di garantire libertà di pensiero e molteplicità dei punti di vista, la democrazia non significa tutela di tutto (dunque anche del falso e dell’irrazionale). Tutelare tutto implicherebbe tutelare anche la non 15 libertà di pensiero, l’apologia del crimine, l’indifferenza verso i danni che qualcuno può fare a se stesso e verso il fondamentalismo. Polifonia (unione di più voci) di ragioni Un intelligente esercizio della tolleranza può farci ripensare i termini stessi della competizione fra idee. Chi ha un assoluto bisogno di vincere, ha più bisogno di essere curato che di essere imitato. Etica del controllo scientifico ed etica pubblica vanno a braccetto. Il pluralismo non è apologia (discorso a difesa) del relativismo: è pratica di un aperto e costante confronto di ragioni, non di quadri di idee ognuno chiuso in sé. Descrivendo il pluralismo come una necessità cui rassegnarsi di fronte a conflitti insanabili, vien meno il nesso tra etica del controllo scientifico ed etica pubblica. Una democrazia che si regge su quest’idea di pluralismo è una democrazia dimidiata (incompleto). In una democrazia non dimidiata la diversità delle idee non è vissuta per forza come conflitto, bensì come polifonia , impegno alla ricerca delle domande giuste prima che alla ricerca delle risposte giuste, anche se è a questo che vogliamo arrivare. Dagli insuccessi s’impara molto. Ma solo se sono riconosciuti come tali e solo se si ha un’idea di come uscirne. Per ragioni di propaganda. Molti politici sono inclini a negare l’insuccesso della linea intrapresa per combattere le ingiustizie e danno la colpa al contesto. Se vi ho prospettato un mondo impossibile, non meno impossibile è un mondo in cui la concretezza adottata fa leva su un respiro ideale al di sopra di ogni sconfitta. Si tratta di evitare la compulsione mareale tra opportunismo senza remore e dogmatismo senza compromessi. Se, perché sia razionale, una discussione dev’essere calata nelle contingenze, avremo una ragione ottusa. Un esempio di discussione interna alla scienza Nella comunità scientifica la discussione su principi, metodi, risultati, possibili applicazioni, è costitutiva dell’oggettività stessa del sapere. Ora, questa discussione interna (1) è poco percepita dall’esterno e, quando lo è, si presta a essere strumentalizzata; (2) è spesso fraintesa all’interno della comunità scientifica, nella supposizione che investa soltanto l’accertamento dei fatti e l’attendibilità delle previsioni. Il punto (1) riguarda la comunicazione scientifica. Il punto (2) riguarda gli aspetti più “teorici” della scienza. La supposizione è sbagliata: oltre che i fatti e le tecniche d’indagine, anche la natura dei concetti scientifici e il senso da ascrivere alla loro definizione sono oggetto di discussione; come lo sono la forma da dare a una teoria e il significato dei suoi principi. Tanto nel corso di una ricerca quanto nella fase di sistemazione dei risultati ottenuti, ci si trova a riflettere su ciò ce caratterizza la scientificità. Il principio di relatività nonché i vari principi di simmetria sono principi metateorici che hanno un diretto ruolo teorico. Dunque, ci sono considerazioni sulle teorie stesse e non sono appannaggio esclusivo dei filosofi. Perfino in matematica, ove le prove fattuali sembrano messe tra parentesi, ci sono dibattiti, talvolta molto accesi, che da metateorici finiscono per avere conseguenze teoriche. Gli studi sui fondamenti della matematica sono cresciuti a tal punto da diventare un settore a sé stante dalla matematica e uno di quelli in cui la collaborazione tra matematici e filosofi è una realtà piuttosto che un sogno o un incubo. La riflessione sui fondamenti non ha paralizzato la matematica tanto meno ne ha ridotto l’affidabilità. Piuttosto ha aperto nuove vie di ricerca e ha fatto identificare e capire in modo più nitido presupposti dati prima per scontati o semplicemente ignorati. Allora si può divulgare la matematica ignorando questo lavoro di rigorizzazione? Chi non ignora tutto ciò spesso se ne esce con: “La matematica ha perso la sua certezza e ha rivelato i suoi limiti intrinseci”. Viva il relativismo allora. 16 Primo: perfino nell’ambito dei fondamenti della matematica, pluralità è forza, non debolezza. Per esempio la consapevolezza delle diverse interpretazioni della probabilità. Secondo: si tratta di una probabilità riconosciuta nel nome di un’unità più profonda, che non comporta alcun dogmatismo. In questi due rilievi torna un tema di fondo, che interessa direttamente il senso della democrazia. Un’unità garantita da dogmi non annulla le differenze tra le idee politiche che si collocano lungo l’asse destra- sinistra, né porta a confondere la tolleranza con relativismo. Che fine fa la razionalità della democrazia? Finché ci resta un briciolo di capacità di giudizio, la democrazia offre la possibilità di riconoscere e di manifestare la non equivalenza tra modi diversi di pensare e, invece di fermarci a contemplarla, sollecita a esporre, soppesare, ordinare le ragioni per preferire questo a quello e decidere per una linea d’azione piuttosto che un’altra: è un processo che richiede l’abito ad ammettere errori commessi invece di legittimarli con ogni sorta di scuse, l’abito alla coerenza, l’abito alla consequenzialità, l’abito al rispetto dei fatti. Per far partire questo processo conviene smettere di guardare le cose della scienza dal di fuori; conviene prestare attenzione ai modi in cui, all’interno della scienza, si riflette sulla scienza. Se prestiamo attenzione, impariamo la lezione della fallibilità, che non è però l’unica lezione. Ci vuole uno spazio di manovra In una società democratica, per rendere feconda la compresenza di diversi tipi e gerarchie di valori, ci vuole uno spazio di manovra. Ogni commercio di idee ha bisogno, per svilupparsi, di un ambiente liberale. Questo spazio di manovra non s’improvvisa: richiede tempo e impegno, come richiede un distacco e un coinvolgimento ragionati. Messa da parte l’idea di un’eterea coscienza collettiva, chi riduce tutto all’alternativa tra scienza e coscienza, o tra oggettività e soggettività, la fa troppo facile. La nostra coscienza, prima o poi, in un modo o nell’altro, entra dappertutto, tanto nei valori quanto nei disvalori: quindi il mero appello alla coscienza è vuoto. La coscienza può al più prendere atto dei valori; non basta da sola a farci assentire a uno e dissentire da un altro. Tanto meno li crea. Quelli che chiamiamo “valori” risultano da una miscela di aspetti, legati alla nostra fisiologia, alla nostra etologia, alla nostra cultura, ai nostri progetti di vita, all’immagine che ci facciamo del mondo e del posto che abbiamo nel mondo. Non possiamo cambiare la nostra fisiologia (cambiandola potremmo non condividere più i valori associati alla nostra attuale natura), né possiamo cambiare il passato. Ma le nostre credenze sì: possiamo cambiarle. Questo cambiamento conta, in democrazia così come nella scienza. Anche i valori che si appoggiano a conoscenze si appoggiano a valori, perché l’oggettività, la verità, la razionalità, che entrano in ciò che abbiamo motivo di trattare come conoscenze, sono valori. E implicano scelte consapevoli. Per cambiare le nostre credenze in modo ragionato, conviene perciò: 1. Avere coscienza di quali sono i valori della razionalità scientifica ; 2. Avere coscienza di quali sono le conoscenze su cui poggiano questi valori ; 3. Avere coscienza che le credenze che non hanno un fondamento conoscitivo debbono pur sempre fare i conti con ciò che sappiamo (con questo siamo nuovamente alle parole di Preti). Dunque non basta dire che in una democrazia ognuno è libero di scegliere (secondo coscienza) i valori in cui credere e in conformità ai quali vivere. Lo spirito democratico non si alimenta di idee e valori antidemocratici, né di credenze irrazionali e d’ignoranza. Si alimenta attraverso la condivisione del sapere e il rispetto della logica. 17 La democrazia ha il pregio di possedere un grado di autocorreggibilità che altri sistemi politici non hanno. Un aperto confronto alle idee è vitale per la democrazia, ma se non portasse nessuno, attraverso il ragionamento, a modificare le proprie idee, il pregio sarebbe vuoto. Nella scienza, l’esercizio dell’autocorrezione, invece che essere disdicevole è apprezzato, dunque è più sollecitato a manifestarsi. L’autocorreggibilità è uno dei maggiori pregi della democrazia e, come terreno d’elezione, ha quello scientifico. L’autocorreggibilità fa riferimento a un processo potenziale. Per passare ab posse ad esse (quel che esiste è possibile) ci vuole creatività nel metodo e metodo nella creatività. Per favorire l’esercizio c’è più di un modo (per esempio le tecniche di metacognizione); e per capire come il passaggio ab posse ad esse si realizzi una qualche familiarità con la dinamica della scienza aiuta. Molti manuali fanno il resoconto di una verità che quasi si è scritta da sé e così nascondono la storia degli errori e delle possibilità mancate. Chi adotta questi manuali non sa il danno che produce. Analoghe considerazioni riguardano i principi della democrazia. Risultato: una sensazione di ovvietà che si diffonde tra i giovani che, anche se crescono in una società democratica, non riescono ad apprezzare il valore delle conquiste della libertà e rispetto della diversità che qualcun altro, cresciuto in una società che democratica non era, ha fatto per loro. Analfabeti pronti per il grande fratello? Il sapere che ci ritroviamo è il risultato di un investimento, intensivo e controllato, nelle nostre risorse cognitive. Non è escluso che fra qualche anno i progressi compiuti nelle neuroscienze permettano di intervenire sull’ambito cognitivo, dopo quello emotivo. Se ai cittadini del futuro si potrà chiedere sempre di meno sul piano della comprensione dei problemi e della razionalità delle decisioni, allora diventerà più economico ridurli a operatori e consumatori terminali. Il metodo democratico, al pari del metodo sperimentale, serve a ridurre i danni derivanti da eventuali errori umani e nello stesso tempo permette di scoprire i vantaggi che derivano dalla fioritura di più alternative, attraverso un dialogo razionale. Questa fioritura richiede uno spazio di manovra e di indeterminatezza. Più un sistema si definisce rigidamente, più la correzioni degli eventuali errori diventa difficile. La comprensione dei processi in base ai quali facciamo nostri certi principi (conoscitivi, etici, politici) può autorizzarci a modificare questi processi? Ogni risposta avrà un costo per l’equilibrio che vorremmo tra scienza e democrazia. Gli esseri umani non amano durare fatica e cercare risposte presumibilmente sgradite. Non amano neppure fluttuare nell’incertezza e così cercano da sempre rifugio in dottrine che rispondano a tutte le domande fondamentali. L’esigenza di un simile rifugio è storicamente legata a quella del controllo. Un modo frequentato per controllare i pensieri di un birbante consiste nell’eliminare le sue opportunità di errore. Tolta la libertà, i pericoli scompaiono. Ideologie dogmatiche e teocrazie è nel nome del bene che fissano i binari entro i quali vivere e pensare. Basta delegare altri a pensare per noi e non si corrono più rischi. E se pensate che questi scenari appartengano a un passato morto e sepolto, vi illudete. La civiltà europea Viviamo un conflitto fra l’apertura alla diversità culturale e l’idea di una scienza che, anche se <<occidentale>>, aspira a una validità universale. Secondo l’interpretazione prevalente del pluralismo culturale, <<per legittimare l’altrui cultura bisogna indebolire il senso della propria>>. Peccato che tanto sublime nobiltà abbia un’inconveniente: indebolendo il senso d’appartenenza culturale, anche l’anelata legittimazione della diversità ne risulta indebolita. 20 La storia dell’Europa è anche la storia dell’emancipazione dalla sudditanza di dogmi e a credenze identitarie: è la storia della nostra uscita dallo stato di minorità. E quest’uscita non appartiene all’Europa. Se i valori della democrazia e della scienza non saranno più avvertiti dagli stessi europei, se il loro senso sarà vissuto come arredo ambientale o come un mero pacchetto di servizi al consumatore, allora non ci resta che scomparire. L’occidente non è tramontato, tanto che siamo ancora qui a preoccuparci della sua espansione, non proprio razionale, e dei vari modi, non proprio democratici, in cui è espanso. I rimedi sono intrinseci allo spirito europeo e alla sua razionalissima vitalità. È qui che la diversità da noi, oltre che tollerata, è stata elaborata, diventando tema etico e politico, ed è qui che sono stati individuati alcuni paletti. La diversità arricchisce chi tiene alla propria identità; e l’identità dell’Europa è già ricca di suo. La complessità di una cultura in cui ciascuno possa tracciare il proprio sentiero è anche una ricchezza a disposizione di tutti. Tensioni interne Tra scienza e democrazia ci sono piccole grandi idee in comune. Ma c’è anche una tensione profonda: è la tensione tra il giudizio dei più che sanno di meno e il giudizio dei meno che sanno di più. Giulio Preti si chiedeva: non è forse un bene che ci sia e che perduri anche la tensione tra le due culture? E la sua risposta era positiva. La risposta di Preti cadeva in un momento storico molto particolare; resta il fatto che quella risposta diceva qualcosa di molto meno scontato del solito appello alla complementarietà fra le due culture. Da allora si sono costituite aree della ricerca in cui il dialogo tra cultura umanistica e cultura scientifica è operativo. Sul piano civile, occorre che il giudizio dei più sia più informato e che il giudizio di chi sa di più sia avvertito ed espresso in modo tale da essere compreso e discusso dai di più. L’educazione storica si riduce troppo spesso a una cornice descrittiva i cui dettagli sono presto dimenticati. La dimensione storica dei problemi scientifici ha invece un’importanza formativa fondamentale. Gli stessi diritti che trovano tutela nel nostro sistema democratico sono il risultato di tante controversie passate, non tanto pacifiche, che è istruttivo rintracciare. Nel momento in cui tutto si appiattisce sul presente, anche il futuro che riusciamo a immaginare sarà piatto. Sapere da dove venite non vi dirà dove andare, ma se non sapete da dove venite il rischio è quello di credere che il mondo sia nato con voi, che le opzioni siano soltanto quelle che il vostro presente considera tali, che il vostro presente sia l’ombelico del mondo. E allora è probabile che si finisca, singolarmente o collettivamente, per ripetere sciocchezze del passato. La tensione tra le due culture non si azzera neppure tenendo conto del fatto che il sapere scientifico ha una storia e che questa storia aiuta a capire il nesso dei valori scientifici con altri valori. Non c’è soluzione, e questa era appunto la soluzione di Preti (filosofo, 1911-1972). Di nuovo, il terzo incomodo Può essere utile mettere a fuoco la tensione tra razionalità e consapevolezza storica in un caso specifico. Di legami non banali con il pensiero scientifico c’è scarsa traccia nell’insegnamento usuale della filosofia. Troppo faticoso coltivare quella relazione ai valori che è atteggiamento di responsabilità verso la verità. In gioco non è una disciplina, di cui può interessar poco, bensì l’identità culturale dell’Europa. Un mondo di carte, bontà e programmologia L’intento post ’68 di fare della scuola il migliore dei mondi possibili ne ha fatto naturalmente il peggiore. L’insegnamento è un’attività dequalificata. Chi la pratica è preso in giro con aggiornamenti cervellotici e privato di opportunità di crescita professionale e di una carriera non automaticamente legata all’anzianità. 21 Da troppo tempo, il nostro mondo politico, ha fatto della scuola un carrozzone unto di buone parole. Dare un’infarinatura un po’ di tutto, tanto dopo ci pensa l’università e una volta all’università ci penserà la società? Si è abbattuto così tanto sul modo di insegnare che ci si è dimenticati di cosa. Si può insegnare bene solo quel che si è capito bene. Per capirlo bene ci vuole tempo da dedicare a capirlo e per essere intellettualmente onesti ci vuole anche qualcos’altro. C’è un insieme di idee ancora correnti che orienta alla carità demagogica (atto diretto a trascinare o lusingare il popolo). Una democrazia che appiattisce le differenze tra chi è bravo e chi non lo è, che aiuta a svincolare da ogni responsabilità, è destinata a fondarsi sull’ignoranza e sul clientelismo e delegherà quel che c’è da fare qui e ora a entità astratte, quali istituzioni, programmi, curricoli, che di concreto hanno la loro versione cartacea. Non è scuola: è ancora scolastica (La filosofia dominante nel Medioevo, caratterizzata dall'ossequio di fronte alla fede cristiana e da una tradizione fondata ora sulla speculazione platonico-agostiniana e ora sull'aristotelismo). Parla come mangi Una democrazia ha a disposizione un pacchetto di risorse per tutelare la propria stabilità, resistendo così a spinte antidemocratiche. Non basta resistere per prosperare. Una democrazia che assicuri povertà predispone i cittadini ad abbassare la guardia. La democrazia prospera solo con la qualità del lavoro di ciascuno, che significa anche qualità nel riconoscimento della qualità. La prosperità vuole un’educazione alla responsabilità. Se ci interessa avere una democrazia fatta di teste pensanti capaci di farla prosperare, dovremmo semplificare, non complicare, la struttura dei percorsi formativi, incrementando libertà di scelta, promozione del talento, responsabilità. Una democrazia prospera anche grazie alla velocità degli interventi con cui si cerca di correggere qualcosa che non funziona. Verso una società povera Allarghiamo il discorso. Pensando alla cultura di domani, ci vuole tanto a fare sì che gli specialisti siano un po’ più liberi da paraocchi e i non specialisti siano portatori di meno generiche astrazioni, gli uni teste pensanti anche quando escono dal loro orto, gli altri più rigorosi? La cosa non riguarda soltanto l’ambito scientifico e il funzionamento delle istituzioni democratiche; non riguarda soltanto la formazione alla ricerca e neanche quella al lavoro. Riguarda il tipo di vita che si avrà, o non si avrà, la possibilità di vivere. Se continuiamo a far sentire la scienza come qualcosa di freddo arido noioso complicato lontano, ne lasciamo morire lo spirito nelle menti dei giovani. E se un giovane lascia morire questo spirito, vedrà nella scienza solo una catena di montaggio, nel migliore dei casi sorgente di qualche utile rimedio, nel peggiore qualcosa di disumanizzante. Fortunatamente, tra i nostri giovani c’è chi non si porta questa morte dentro. Sfortunatamente, il loro numero è troppo esiguo per assicurare al nostro paese un futuro nella ricerca. Non sarà soltanto il comparto scientifico a soffrirne e più specificatamente le prospettive della ricerca italiana. Sarà la società intera a soffrirne, perché i suoi membri saranno persone impoverite, impoverite dalla mancanza di esercizio nel ragionamento, dalla mancanza di abitudine al controllo fattuale, dalla mancanza di coraggio imprenditoriale, dalla mancanza di collaborazione nel raggiungere nuovi risultati. 22 Già nel seicento la rivoluzione copernicana aveva tolto alla terra, e con essa all’uomo, quella centralità che faceva comodo per dire che il mondo era tutto in funzione nostra. Nell’ottocento la teoria darwiniana dell’evoluzione aveva inferto un altro colpo all’umana vanità. Ciò nonostante, la scienza aveva continuato a essere vista da molti come strumento per fare dell’uomo il padrone della natura e il padrone del proprio futuro attraverso la crescita del sapere e la diffusione delle sue applicazioni tecniche. Fino alla metà del novecento, l’Europa ha potuto pensare progresso civile e progresso tecnologico-scientifico come strettamente correlato. In Italia la questione si è posta in ritardo e, nel relativo dibattito, a far bella figura è stato chi si opponeva alla correlazione, animato dalla nostalgia per un passato agreste, pre-industriale, e dall’indignazione verso il degrado dei rapporti umani nella società industriale. Oggi c’è l’idea diffusa che scienza e tecnologia siano un pericolo: l’artificiale è male, il naturale è bene, la scienza della natura è innaturale. La potenza degli strumenti è cresciuta in modo più rapido della capacità di intendere gli effetti del loro uso e così gli intellettuali ne hanno ricavato ancor più rapide diagnosi di catastrofi globali, delle quali sarebbe direttamente responsabile la scienza. Peccato che, per essere credibile, una tale diagnosi ha bisogno di affidarsi a una conoscenza migliore di quella che condanna, dunque a una scienza ancor più estesa, più rigorosa, più profonda. Ma se è così non può essere la scienza a fare la parte di Caino e lo stesso dicasi per la tecnologia. A cattive tecnologie si rimedia con migliori tecnologie, non tornando a un mondo di povertà e d’ignoranza. Quanto alla libertà di ricerca non ci possono essere vincoli su quel che è oggetto di indagine scientifica. Ci sono due elementi che non possono essere trascurati. Primo, i risultati della ricerca, ivi compresi quelli circa la catena causale di danni e di benefici che ne derivano, debbono essere controllati. E l’unica comunità che ha titolo (competenza) per farlo è la comunità scientifica. Secondo, il controllo sulle modalità d’impiego dei risultati spetta alle istituzioni democratiche. Qualunque uso, su piccola o grande scala, di questi risultati è soggetto alle leggi vigenti. Confrontare le idee Controllo pubblico (intersoggettivo) e ragionato, tanto nella scienza quanto nella democrazia: così s’è detto. In democrazia, le procedure di controllo incrociato dipendono dalla divisione dei poteri e alla fine si reggono sul voto popolare. Qui una bella differenza c’è con la scienza, perché all’interno della comunità di ricerca il controllo sull’attendibilità dei risultati non si esercita andando al voto né c’è un codice penale per i trasgressori. C’è un’etica non scritta. In una discussione inter pares, chi risulta aver torto non è punito, eccezion fatta per la “punizione” che consiste nell’aver avuto torto. Nella scienza c’è una laboriosa messa a punto di dispositivi sperimentali, congegnati per la verifica di un’ipotesi o di una teoria. Un’analoga messa a punto sembra che manchi alla politica. In un sempre più specializzato arcipelago della ricerca, è chiaro che sia avvertita l’esigenza di una più efficace comunicazione. Spesso dimentichiamo che, prima di essere codici, norme e regole scritte, democrazia significa esercizio di ragionamento in comune, significa franco dibattito senza pregiudiziali, collaborazione e confronto in vista di un bene comune. Gruppi di ricerca e nuove tecnologie Si dice che la scienza avrebbe cambiato pelle, perché la ricerca è sempre più opera di gruppi e non di singole menti. Ma essa riguarda ancora la testolina del singolo. Nella scienza, come nell’arte e in ogni altro campo, gli avanzamenti nascono da idee che non arrivano distribuite a pezzettini fra più menti ma ne abitano una, che trova compagnia. Capita che, in simultanea e in modo reciprocamente autonomo, più ricercatori avanzino una stessa idea: in questo caso si suol dire che le nuove idee fioriscono insieme come le margherite nei campi a primavera. Fatto sta che i campi di margherite restano fatti di singole margherite e una margherita non è un campo di margherite. Il rischio che idee sbagliate diventino epidemiche si riduce solo con l’autonoma capacità critica dei singoli, mentre il beneficio derivante da un’idea azzeccata si moltiplica con l’apporto della comunità. 25 Non vorrei che il sogno di andare verso la società della conoscenza nascondesse un altro incubo: quello di un modello di conoscenza che non è più consapevole dipendenza logica, non è più valutazione critica delle informazioni, non è più una conoscenza che da soggettiva si fa patrimonio comune. Con un simile modello di conoscenza, sarebbe definitivamente rotto il legame tra scienza e democrazia. Per dire che circola una qualche conoscenza, ci vuole una prova, accessibile a comuni mortali e non alla rete di conoscenze. Con le nuove potenzialità, vengono anche nuovi rischi. Per esempio possono esserci azioni che riducono la visibilità di un’informazione e aumentano quella di un’altra, in base a interessi che non sono quelli di una comunità democratica. È poi da vedere, come sempre, se la quantità di informazioni in circolo si traduce in qualità. Comunicazione e collaborazione fra esperti e non esperti c’erano anche in passato. Neanche l’incremento di comunicazioni fra esperti basta a qualificare un nuovo modello di conoscenza o un sapere alternativo, né basta ad affossare l’accademia. Per ben comunicare Si può scoprire l’importanza della comunicazione solo se si è dimenticati dell’analisi della conoscenza che i filosofi hanno portato avanti per più di duemila anni. Per fare buona ricerca, come per comunicare, ci vuole calma. Nel fuoco della polemica si attacca e ci si difende, non si cercano soluzioni, non si favorisce la costruzione di una solida base culturale. L’importante per i media è che il problema sia subito sostituito da un altro e che faccia notizia. Per controbilanciare, c’è quella comunicazione in cui tutto sembra già risolto. Il mito illuminista Il primo a esser perso è stato lo spirito critico. Illuminismo ha finito per confondersi con positivismo e più recentemente con scientismo (Movimento intellettuale sorto nell'ambito del positivismo francese (seconda metà del sec. XIX), tendente ad attribuire alle scienze fisiche e sperimentali, e ai loro metodi, la capacità di soddisfare tutti i problemi e i bisogni dell'uomo). Ricordo la massima di Voltaire e la definizione dell’illuminismo data da Kant: la democrazia, come la ricerca scientifica, richiede coraggio in entrambi i casi, civile e intellettuale. L’autonomia dei cittadini sarebbe ridicola se esercitata nel disprezzo di ogni evidenza fattuale. È dal libero esercizio dell’intelligenza umana, educato all’uso del ragionamento e al rispetto dei fatti, che scaturisce il significato della conoscenza, per la nostra cultura così come per ogni altra che voglia dirsi democratica. The show is on La vita di una democrazia trae beneficio dalla diffusione del sapere e dalla diffusione di un atteggiamento scientifico nei confronti di qualunque problema. Il beneficio manca se non ci si preoccupa del modo in cui questa diffusione prende corpo nella scuola e attraverso i media. Sui libri venduti ogni anno, quanti sono quelli di “divulgazione” scientifica? La percentuale è avvilente. Internet è un labirinto in cui ci si perde facilmente se non si è aiutati in qualche modo a farne uso. È la scuola il luogo in cui i giovani possono e debbono essere aiutati a riconoscere la qualità delle informazioni. Rendiamoci conto che in passato l’ignoranza della popolazione era più alta, così come ancor più alto era il distacco fra scuola e società, eppure la formazione culturale e in particolare scientifica, offerta dalla scuola, era più solida, e non c’erano tante risorse multimediali. L’idea che si possa assecondare inciviltà e ignoranza è la peggior cosa che la scuola possa insegnare come introduzione alla vita civile. 26 Si può puntare su una maggiore autonomia scolastica, purché non si aggiunga altra burocrazia, e su un rapporto, anche minimo ma più frequente, fra scuola e ricerca, perché se la noia e la demotivazione sono contagiose, lo sono anche l’atteggiamento esplorativo e la passione per quell’arte che si chiama ricerca. Perché la scuola torni a respirare, ci vuole un atto di coraggio da parte di chi governa: puntare sulle cose di fondo, le più antiche, le più semplici, quelle che durano di più; un atto di coraggio e insieme umiltà perché, meno la politica pretende di forgiare la scuola, meglio è. Sì, è bestemmiare contro una bestemmia: la bestemmia che è consistita nel voler rendere la scuola al passo coi tempi, dimenticando che i tempi passano in continuazione. Se vogliamo cittadini al passo coi tempi, saranno sempre in ritardo. Se ci mettiamo a regimentare (regolare sottoponendo a un determinato regime) in tutto e per tutto l’educazione scientifica, essa non educa più. Per educare, dev’essere parametrica (relativo a uno o più parametri) nei temi, diffondendo uno spirito che servirà in qualunque professione. Il senso della ricerca pubblica è stabilito dal pubblico? È un’idea vecchia quanto il mondo: il sapere che riesce più efficacemente a formare è quello meno finalizzato a specifici e predeterminati usi; bisogna dare corda allo spirito d’avventura, a una libera esplorazione dello spazio del pensiero. L’efficacia dell’astrazione è tipicamente sottostimata da chi non ne è capace o è stato reso tale. Coraggio intellettuale e fiducia nella propria linea di ricerca hanno un costo; e così molti ricercatori fanno propri senza troppi patemi d’animo i quadri teorici in vigore, i cui fondamenti non si toccano, e sono deferenti verso le idee dominanti. È umano, ma quando diventa la norma, la conoscenza ristagna: si apre la strada allo scolasticismo, che apre la strada a un costume clientelare, che apre la strada alla selezione di portaborse. All’estremo opposto di questi aspetti soggettivi della ricerca ci sono gli aspetti finanziari. Com’è che si è pensato di realizzare la democrazia nei finanziamenti? Semplice: in modo da evitare giustizie e dare qualcosa (poco) a tutti. Se l’intento missionario si traduce in norme per la ricerca, a questa si prospetta un futuro poco roseo. Libera ricerca in libero stato Le regole democratiche sono una difesa da sopruso e intolleranza, non una garanzia del bene. Anche le regole che definiscono la pratica scientifica sono una difesa e non una garanzia. Ciò che le une e le altre regole difendono è una cornice di libertà e aperta intersoggettività; e anche se per avere prosperità sociale e progresso scientifico questa cornice non basta, è sempre di nuovo da salvaguardare. Al fondo c’è una condizione per poterci riuscire: capire che la cosa riguarda ciascuno di noi. Nessun ricercatore ha il minimo desiderio di essere sotto tutela, controllato e guidato dalla Società in nome di valori altri dalla conoscenza; e d’altra parte, nessuno può essere lasciato al fai da te. Una società libera ha bisogno di conoscenza, come la conoscenza, per progredire, ha bisogno di libertà. Teorema di Palisse: se prima di pensare al futuro bisogna trovare un rimedio a tutti i guai del presente, sul futuro possiamo semplicemente dire amen, perché è una necessità che riproduce le sue stesse condizioni. Chi vede solo le urgenze avrà sempre e solo urgenze da vedere. Tornando alla vignetta di Hansch, la ricerca guidata da uno specifico scopo, la ricerca su binari prefissati, mirata alla soluzione di un determinato problema, ha pure le sue ricadute sull’economia. Non avendo ricadute in altri settori, non permettendo di risolvere altri problemi, non crea sviluppo in altri settori industriali. 27 deterministici sono impredicibili e, nonostante l’incertezza e parzialità che si è precisata nella scienza del Novecento, il sapere è cresciuto come non mai; e proprio grazie a questa precisazione sono divenuti possibili previsioni che prima non ci sognavamo neppure di fare. Oggi, lo sviluppo della teoria dei sistemi dinamici complessi offre ulteriori opportunità di comprensione, superando l’idea di una scienza affranta dai suoi limiti. Se c’è dunque un’epoca in cui i risultati scientifici dovrebbero indurre alla fiducia nel sapere è proprio quella in cui i limiti del sapere sono diventati oggetto esplicito di indagine, cioè quest’epoca. Invece sembra che questa epoca sia l’epoca in cui si prova più gusto a esternare sospetti sulla scienza. La cultura del sospetto, altro costume italico, ha poco a che fare con la trasparenza del discorso scientifico e si addice più a una società di paranoici. Se, malgrado il costume, ce la caviamo lo stesso, è perché ci sono tante persone che pensano e agiscono libere da questa sindrome, da cui la democrazia non trae alcun vantaggio perché corrode anche l’affermazione della solidarietà. Quale apertura? Tra scienza e democrazia c’è spazio per una convergenza di valori. Questo non significa che ci sia necessariamente accordo su tutto: spesso, opinione pubblica, piani governativi e pareri della comunità scientifica divergono. Di fronte a una tensione acuta, si finisce, da un lato, col rivendicare l’autonomia della ricerca dalle indicazioni del mondo politico e, dall’altro, col ribadire il primato delle istituzioni democratiche. Nel Medioevo la contrapposizione riguardava le verità di fede e le verità di non fede. La dottrina delle due verità non ebbe vita lunga e, da allora in poi, in qualunque variante sia stata riproposta, non ha mai soddisfatto gli onesti, poco inclini ad accettare l’idea di un mondo, naturale e sociale, a compartimenti stagni, che è l’unico modo per evitare conflitti quando si è servitori di due padroni. Karl Popper ha individuato nella fallibilità il legame fra l’apertura della scienza e l’ideale di una società aperta e ha anche messo l’accento sulla pluralità di prospettive che in entrambi gli ambiti trova sostegno. Ma questa è solo una faccia della moneta. Senza collaborazione, la pluralità tende a essere riassorbita secondo la legge del più forte. La fallibilità riconosciuta non basta per indurre ciascuno a credere che la collaborazione con l’altro sia a mutuo beneficio; e a sua volta la collaborazione non si costruisce soltanto su una critica razionale distruttiva. Solo se si va al confronto con la ferma convinzione del valore degli argomenti che abbiamo a disposizione e solo se siamo pronti a esaminarli uno per uno e a controllarli empiricamente, il confronto ha valore. La vincita di uno è uguale alla perdita dell’altro. La collaborazione che si esaurisca nel rispetto delle regole del gioco, porta poco lontano. Se è un vero confronto di idee, il vincitore terrà conto delle ragioni del vinto. Dal presente al futuro In democrazia ci sono questioni che non competono agli scienziati, altrimenti si va verso una tecnocrazia. La scienza non sforna decisioni, ma serve a ridurre il numero di quelle fondate sull’ignoranza. Da sempre la scienza è entrata in campi tradizionalmente di pertinenza della politica, della filosofia e della religione. Filosofia e religione si sono ritirate, la politica no. Dal fatto di sapere che le cose stanno così e così e che se facciamo questo ne segue quello non deriva alcuna decisione su cosa fare. Qui, chi si è ritirato può rientrare in gioco, offrendo uno sfondo prospettico in cui inserire le nostre specifiche valutazioni e decisioni, ma a decidere siamo noi, non lo sfondo prospettico. Ogni decisione comporta una valutazione degli effetti futuri, dunque una qualche previsione; e ogni previsione comporta inferenze che partono da premesse le quali sarebbe bene che tenessero conto di quanto sappiamo. Benché nessuna previsione sia 30 immune da errori, specialmente quando le variabili da considerare sono numerose e interagenti, ci sono ragionevoli criteri per dire se una previsione è più attendibile dell’altra. La scienza offre ai cittadini elementi di giudizio, non si sostituisce al governo. Il vantaggio di una mentalità scientifica non si limita agli elementi di giudizio forniti dalla scienza: è d’aiuto nel prendere le decisioni. C’è chi non sa guardare se non con sospetto alle inferenze della scienza, e c’è chi se ne vorrebbe far guidare in tutto e per tutto. In entrambi i casi si manifesta un bisogno che poco ha a che fare con lo spirito dell’indagine scientifica: gli esseri umani sono sempre stati bisognosi di assicurazioni definitive e, non potendole avere da se stessi, le hanno cercate in qualche autorità esterna. Kant avrebbe scorto in questo bisogno qualcosa di infantile. Ma se siamo fatti davvero così, altrettanto infantile sarebbe non tenerne conto. Non vi sto dicendo, con Pascal, che il cuore ha ragioni che la ragione non sa intendere. Vi sto dicendo che anche la ragione ha un cuore. La stessa consapevolezza dei nostri limiti impone più che rispetto. L’insegnamento che si può trarre coltivando quella sciocchezza che si chiama riflessione filosofica, sarebbe già tanto, perché ci permette di evitare sciocchezze più grosse. L’ignoranza non fa la ricchezza di nessuna civiltà. La ragione per cui si apprezza la conoscenze meriterebbe di essere apprezzata anche se la conoscenza fosse di minore utilità pratica. E se la scuola aiutasse una vita pensata… È la scuola il luogo in cui si dovrebbe preparare la futura ricchezza della nostra società, e invece la scuola è afflitta dalla povertà. Anche in senso letterale. Molti docenti non ce la fanno più economicamente e, in non piccole aree del territorio nazionale, si trovano a operare in un ambiente che è spesso alle soglie del degrado civile. Quindi figuriamoci se si può permettere il lusso di fare le cose per bene; e così si finisce per non curarsi più della qualità della didattica e della propria formazione continua. Fortunatamente, ci sono docenti che lo danno senza aspettarsi riconoscimenti di alcun tipo. Nella scuola c’è una minoranza di docenti che convive con l’inconsistenza culturale della maggioranza. Solo il sindacalismo assistenziale che ha ispirato la politica dell’istruzione negli ultimi trent’anni può avere consentito che i giovani si ritrovassero una simile maggioranza di docenti, molti dei quali non vincitori di alcuna cattedra per concorso. Però, ripeto, quelli bravi ci sono ancora, persone straordinarie. Gli studenti sono benissimo in grado di accorgersene; da decenni il ministero dell’istruzione sembra invece incapace. Spero che i giovani non credano che l’educazione sia solo un fatto di politica della scuola, perché una simile credenza si traduce nella rinuncia ad assumersi la responsabilità di capire il mondo in cui si vive e di esercitare il diritto a una piena cittadinanza. Se paura, noia, ipocrisia, imbecillità sono contagiose, lo sono anche l’intelligenza, la chiarezza, la passione, il gusto a capire. Sta a noi decidere se uscire dallo stato di minorità o non uscirne, se vivere una vita pensata o una come viene viene. La scienza vuole il monopolio sulla verità? Conosco poche domande ugualmente mal poste. La scienza è semmai il terreno su cui possiamo far valere il titolo a pretese di verità e su cui i limiti di queste pretese si precisano meglio e con maggiore attendibilità. La domanda è spia di una tacita presunzione di verità da parte di chi non ha alcuna intenzione di sottoporsi agli stessi standard intersoggettivi. Se, di standard, ce ne fossero di più severi, la domanda avrebbe senso. Non mi risulta che ce ne siano. E poi, è questa maggiore severità ciò che interessa a chi pone la domanda? Difficile crederlo. La scienza è quel che è per il processo di autocorrezione che include e fa funzionare al meglio. Un meccanismo analogo di autocorrezione opera nella democrazia. In entrambi i casi, non offre la garanzia di verità assolute. 31 La verità si dice in molti modi. Anche nella scienza ci sono punti fermi, e riguardano l’atteggiamento scientifico più che uno specifico risultato: rinuncia ad assolute certezze, riconoscimento delle ragioni che ci hanno portato a capire i nostri errori, ricerca di spiegazioni migliori, esclusione di argomenti che non siano fondati su fatti controllabili empiricamente da chiunque in linea di principio. Nel lavoro scientifico le critiche a un’idea, al pari delle idee criticate, devono rispettare un codice di razionalità, fatto di correttezza logica e di confronto con l’esperienza. Avere o non avere alle spalle una tradizione in cui i valori della scienza si sono sedimentati fa una bella differenza, sono queste stesse risorse cognitive che rendono possibile l’invenzione di un linguaggio matematico e di sempre più accurati metodi d’indagine e controllo. Il punto è che le stesse risorse cognitive sono determinanti per la democrazia. Dobbiamo ringraziare i pensatori greci per entrambe le porte, che con una sola chiave, ci hanno aperto, e sono porte aperte a chiunque. In questo senso la civiltà europea è universale. Il passato come riserva di diversità e i pericoli futuri Abbiamo per esempio l’Occidente post moderno che annuncia il declino dell’oggettività del sapere scientifico, mentre i paesi via via di sviluppo si guardano bene dal farlo perché della scienza occidentale vedono soprattutto la portata tecnologica e il potere, fin troppo oggettivo, che ne deriva. Non importa. Non importa era uno degli slogan dei manifestanti in piazza Tienanmen (Cina). È difficile evitare la sensazione che, a forza di non importa e a forza di trascurare le modalità in cui la scienza è diventata quel che è oggi, si perda anche qualcosa che importa. La storia è una grande riserva di diversità. Ci ricorda la moltitudine di facce del pensiero umano e la moltitudine di strategie di ragionamento e la varietà di modi in cui si è manifestata e si manifesta. Da questa riserva di diversità possiamo estrarre elementi preziosi per progettare un futuro meno ottusamente tagliato sul presente di turno. Tra gli elementi preziosi c’è l’opportunità di una riflessione, che faccia capire quanto diversi siano i fattori che sono andati a combinarsi in ciò che chiamiamo scienza e quanti di questi elementi si ritrovino in altre aree dell’esperienza umana. I rischi ignoti (di danno) sono come i possibili vantaggi ignoti. È uno strano modo di ragionare quello che dà per buono l’esserci di qualcosa che non si sa se c’è o no, mentre se di benefici si trattasse, e non di eventuali danni, nessuno darebbe per buono che ci sono senza una qualche prova. Il consenso è importante. Meglio però se è un consenso sulla base di solidi argomenti e spero che fra questi includiate gli argomenti scientifici. La storia recente del nostro paese mostra che l’appello ad argomenti solidi fa ottenere meno consenso di un appello ad argomenti retorici. Se ci affidiamo a solidi argomenti, chi vince vince anche per tutti gli altri e non contro gli altri. Sonnambulismo Recentemente, un famoso letterato ha suggerito di chiedersi chi siano i mandanti dei ricercatori, per richiamare alla vigilanza sulla scienza strumento poter, che è a evidente danno della democrazia. Ho fatto il ricercatore per molti anni e chi era il mio mandante non me lo sono mai chiesto. Invece c’era e, stupido, non capivo quanto un megacomplesso superfurbo si stesse servendo di me. E se chi invece me lo insegna non fosse vittima di un ancor più astuto disegno del megacomplesso? La paranoia è una terribile malattia che porta a vedere complotti ovunque. Per parlare di un complotto, bisogna addurre prove, fare nomi e cognomi e mostrare che sono quelli giusti. Supponiamo che sia davvero così: il megacomplesso sarebbe super stupido a non capire che ben altro vantaggio avrebbe garantendo la più libera ricerca invece che incanalarla in binari preordinati, e se è in grado di operare così furbativamente dovrebbe essere non 32 La linea secondo la quale, realizzando una offerta formativa imperniata su inglese, internet e impresa, si sarebbero fornite risorse più spendibili, non ha avuto effetti molto diversi dalla linea secondo la quale la scuola dev’essere laicamente neutrale verso tutto, dunque aliena da contenuti forti e identitari. Un uso intelligente di internet nella scuola richiede che si abbia una qualche idea su che cosa valga la pena cercare, richiede un qualche concetto di informatica, un orientamento all’uso, una guida a confrontare un ambiente con un altro. Anche l’insegnamento di lingua straniera come l’inglese, se manca di standard adeguati e di pratica ben guidata e costante, serve a poco. Si deprimono le menti dei giovani che vogliono imparare, finendo in ambedue i casi per deludere anche l’impresa. In internet e nell’inglese i giovani si arrangiano meglio da sé, dunque i buoni risultati della formazione si misureranno su autodidatti. L’impresa ha bisogno di qualcos’altro che non sia strumento-per o innovazione fine a se stessa. In nessun ambito si può prescindere dalla specificità dei contenuti. L’ambito scientifico ne è una delle più elementari testimonianze. Tuttavia, è solo per comodità e pigrizia che le ore scolastiche sono etichettate con nomi di materie. Non etichettandole potremmo avere ugualmente un bel numero di giovani in grado di specializzarsi in qualunque ambito. Per quanto riguarda la matematica, tra chi s’interessa della sua didattica sembra non essere ancora chiaro che la riflessione critica e propositiva sui metodi d’insegnarla non può prescindere da una riflessione sui fondamenti della matematica, quindi sui concetti base e sull’architettura che collega i vari settori. Questa riflessione include anche un momento di analisi filosofica. Intendo suggerire un momento fondazionale nella formazione dei docenti di matematica e oso pensare che un suggerimento analogo interessi altre discipline. Per insegnare meglio una disciplina scientifica non basta un suo inquadramento storico-culturale. Nessuna cornice potrà mai valere quanto il quadro che incornicia. Gli investimenti sulle modalità di comunicazione presuppongono che ci sia qualcosa di chiaramente compreso da comunicare e per comprenderlo chiaramente, bisogna abituare a pensare partendo dai principi di fondo, perché così uno studente capisce il senso di quello che sta imparando. La razionalità può anche essere contagiosa Alla SISSA di Trieste è attivo un osservatorio dedicato alla comunicazione scientifica attraverso i media. Giustamente, l’importanza della comunicazione scientifica è stata messa in risalto affermando che il sistema di comunicazione è l’istituzione fondamentale della scienza. Nessun sistema di comunicazione trova la ragion d’essere in se stesso. Nel caso della comunicazione scientifica occorre considerare perché c’è e perché vale la pena che ci sia. C’è perché quel che s’intende comunicare ha titolo a essere giudicato scientifico in base a criteri (interni) di oggettività; e vale la pena che ci sia perché esprime la miglior comprensione che abbiamo raggiunto della natura (compresa la nostra) e perché ci preme che questa comprensione sia un patrimonio accessibile ai cittadini. Comunicare questa comprensione esige qualche accorgimento. Se chi parla capisce quel che dice solo dopo che lo ha detto a qualcun altro, prima di dirlo non lo capiva, quindi ognuno è stupido se non fosse per gli altri, quindi il ritorno di comprensione che ci verrebbe attraverso la comunicazione potrebbe diffondere stupidità, piuttosto che intelligenza. Pensare e comunicare serve a ricordare che la comunicazione non basta a se stessa. Si può dire di sapere qualcosa quando siamo coscienti delle ragioni per le quali lo consideriamo un sapere. Dunque, le modalità di comunicazione vanno riconosciute nella loro importanza, 35 ma le ragioni di quest’importanza sono a loro volta da esplicitare e inquadrare in una prospettiva di più ampio respiro, di cui fa parte una meta-riflessione di carattere epistemologico (Lo studio critico della natura e dei limiti della conoscenza scientifica, con particolare riferimento alle strutture logiche e alla metodologia delle scienze; negli ultimi decenni, per influsso del corrispondente termine inglese, il vocabolo viene sempre più usato per designare la teoria generale della conoscenza, quindi, gnoseologia). Negli anni quaranta, una personalità di spicco nel movimento neoempiristico come Philip Frank cercò di mettere in evidenza il ruolo convergente (tendente a uno stesso fine) della scienza e della filosofia della scienza per la democrazia. Frank s’impegnò in questo senso, reagendo a un’idea già allora diffusa, secondo la quale i disastri del novecento sarebbero dovuti alla scienza. Questa idea (accusa) ha ricevuto nobilitazione da numerose teste fini della filosofia. Basti pensare alla fortuna di un libello quale Dialettica dell’illuminismo, firmato da Horkheimer e Adorno. Da un lato, Horkheimer e Adorno rimproverano alla scienza il suo servizio ancillare (si riferisce a cameriera) nei confronti del potere, dunque un’indifferenza etica, associata alla sua presunta neutralità verso i valori, positivi o negativi che fossero. Dall’altro, il rimprovero era rivolto in nome di valori che si supponevano tacitamente ancor più oggettivi dell’oggettività conseguibile dalla scienza. Frank replicò alle accuse di Horkheimer e Adorno. La replica aveva punti forti così come punti deboli. Il misurato relativismo proposto da Frank poteva anche andar d’accordo con il pensiero di molti antropologi. Oggi, possiamo dire qualcosa di diverso: con lo sviluppo degli studi sulla mente umana, la scienza non ammette più l’estraneità dei valori dal suo campo d’indagine. Il legame tra democrazia e scienza si consolida in un’idea: progresso non è aumentare il numero di comunità rigidamente chiuse in sé che convivano in uno stesso territorio, ma avviare lo scioglimento di tutti gli atteggiamenti di chiusura, cominciando dal mettere in discussione, con una serie di perché?. Se i valori si sono tradotti in fatti, in istituzioni democratiche e in istituzioni scientifiche, è perché l’umanità europea si è impegnata ad argomentarli. Non possiamo accontentarci della lezione che Frank individuava nello sviluppo della scienza: la relativizzazione di ogni nostro giudizio a uno specifico sistema di credenze. La scienza ha esercitato da sempre una spinta a discutere razionalmente dei, nostri o altrui, sistemi di credenze. La democrazia ha costantemente bisogno di questa spinta. 36
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