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seconda parte diritto del lavoro, Sbobinature di Diritto del Lavoro

appunti presi a lezione sulla parte riguardante i rapporti di lavoro, sufficienti a passare l'esame. a.a 2023/2024 diritto per le imprese e le istituzioni - diritto del lavoro

Tipologia: Sbobinature

2022/2023

Caricato il 09/12/2023

camillaa__
camillaa__ 🇮🇹

4.4

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Scarica seconda parte diritto del lavoro e più Sbobinature in PDF di Diritto del Lavoro solo su Docsity! Pagina di 1 32 II PARTE 18/10/23 Le regole che disciplinano il rapporto di lavoro Ci sono due forme fondamentali attraverso le quali si può prestare la propria attività lavorativa: si può essere lavoratori autonomi (libero professionista) o dipendenti. • Oltre alla dicotomia lavoro autonomo - subordinato si è sviluppata un’altra categoria, quella del lavoro para subordinato. Quando un soggetto può definirsi lavoratore subordinato? È importante chiarirlo perché i due mondi sono distanti. Il lavoro subordinato, già dal codice civile, riceve una serie di tutele tipiche di diritto sostanziale, che avevano la finalità di porre delle regole legali o di contratto collettivo finalizzate a riequilibrare la posizione delle parti del contratto. Per il lavoratore dipendente il nostro ordinamento ha sempre avuto un occhio di riguardo, ha fatto la scelta legislativa di sostenerlo mettendo delle regole inderogabili fatte in modo da riportare le parti in parità, per evitare che la parte forte prevarichi sulla debole. La differenza tra i lavoratori autonomi e dipendenti sta nella: - Tutela sostanziale, data dalle leggi - Tutela collettiva, data dalla contrattazione collettiva - Tutela previdenziale (quando nasce un rapporto di lavoro subordinato nasce anche un rapporto previdenziale: il datore è tenuto a dare certe prestazioni, come pagare i contributi, mentre il lavoratore deve ricevere delle prestazioni). - Tutela processuale, ulteriore tutela specifica processuale: nel ’73 è stata emanata una legge che ha introdotto un particolare processo, quello del lavoro che ha delle regole diverse dagli altri processi, ha un suo tribunale espressamente competente (tribunale del lavoro) e ha sempre goduto di un regime privilegiato, nel senso che fino a qualche anno fa non si pagava un contributo di spese allo stato (oggi si paga un contributo minimo), ed è sempre stata una giustizia molto celere. Il mondo del lavoro subordinato ha sempre goduto di queste 4 forme di tutela particolare Dall’altra parte c’è il mondo del lavoro autonomo, i liberi professionisti, che per molto tempo è rimasto senza tutele specifiche, veniva disciplinato dal codice civile, dalle regole generali sui contratti, ma non si riteneva fosse necessaria una tutela sostanziale specifica perché si riteneva che non ci fosse una parte debole. Non esisteva nemmeno una tutela collettiva, si riteneva che il lavoratore autonomo fosse in grado di trattare da sé le condizioni, non c’era una tutela previdenziale e il processo era quello ordinario (non c’era tutela processuale). Per molto tempo sono rimasti due mondi all’antitesi: uno con delle garanzie e uno senza. La realtà empirica (realtà sociale) ha poi dimostrato come i lavoratori autonomi non sono sempre forti come il paradigma del lavoratore autonomo li descrive. Ci sono forme di lavoro autonomo che necessitano di tutela, quindi sono state previste alcune garanzie anche per il lavoratore autonomo. I lavoratori autonomi hanno una disciplina sostanziale molto minima che è contenuta in una legge del 2017, la numero 81. - Hanno una tutela previdenziale che risale alla riforma Dini (1995) e una tutela processuale nel senso che certe forme di lavoro autonomo possono accedere al tribunale del lavoro. Oggi quindi i mondi si sono avvicinati ma sicuramente non sono equivalenti (i riders, sono l’emblema di questa problematica). Caso giudiziario: • Caso deciso l’anno scorso della cassazione: si trattava di una persona laureata in giurisprudenza negli anni 90 e che ha da sempre lavorato in uno studio legale affiancando il titolare dello studio legale, ricevendo con lui i clienti, redigendo per lui gli atti che però venivano firmati dall’avvocato. Problema: questo soggetto non poteva firmare tali atti ne andare in udienza perché non aveva mai superato l’esame per diventare avvocato, quindi non poteva fare quelle cose in quanto non aveva il potere di rappresentanza dato dall’iscrizione all’albo. Proprio per questi motivi è sempre stato considerato lavoratore autonomo. Dopo trent’anni di questo lavoro, il soggetto fa causa dicendo di essere sempre stato lavoratore dipendente e quindi chiede che gli siano date certe tutele. Perché può fare questa richiesta? Perché per 30 anni ha svolto attività che potrebbero essere considerate di un libero professionista, ma le svolgeva con delle modalità che erano quelle del Pagina di 2 32 lavoro dipendente (doveva obbedire agli ordini dell’avvocato, riceveva retribuzione fissa, in caso di assenza doveva giustificare…). La cassazione ha deciso che venisse considerato come lavoratore subordinato. • Es. i medici: se è un libero professionista può scegliere di lavorare solo il lunedì e il martedì o può scegliere di non lavorare un giorno e disdire tutti gli appuntamenti, se invece il medico è dipendente deve lavorare nell’ufficio che gli da l’ospedale, deve effettuare le visite che gli da l’ospedale e queste devono durare il tempo stabilito dall’ospedale. Una massima che si trova in tutte le sentenze della cassazione che si occupano di decidere se si tratta di lavorato autonomo o subordinato è: “ogni attività economicamente rilevante può essere resa come lavoro subordinato o lavoro autonomo”, quindi, se ci si chiede se una prestazione debba essere considerata subordinata non bisogna chiedersi cosa fa la persona ma come la fa. Non conta l’oggetto della prestazione ma contano le modalità con le quali vengono rese le prestazioni. Vale l’effettività: non conta l’attività fatta ma come viene fatta. Non è nemmeno dirimente il tipo di contratto stipulato, conta ciò che avviene nel concreto (es. caso di una segretaria inquadrata come lavoratrice autonoma). Art 2094 c.c. e indici di subordinazione Non c’è un criterio stabilito dal legislatore per capire se uno è lavoratore sub o aut? C’è una norma del c.c. che definisce il lavoratore subordinato ed è l’art 2094: “è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. Cosa significa in concreto “sotto le dipendenze e direttive del imprenditore”? La giurisprudenza ha ideato gli indici di subordinazione, non c’è una definizione a priori, caso per caso bisogna capire se la prestazione lavorativa ha tutte, o gran parte, delle caratteristiche che l’avvicinano alla definizione del 2094. Indici: - Essere soggetto a degli ordini: il rapporto di lavoro subordinato per definizione prevede che ci sia una parte, il lavoratore, che prende ordini dall’altra parte, il datore di lavoro. "Ordini” è un concetto generico, dipendono dall’attività che si compie, l’entità degli ordini cambia in base al lavoro che si svolge (es. direttore commerciale/dirigente e operaio generico sono entrambi subordinati ma obbediscono ad ordini diversi). - L’obbligo di rispettare un orario di lavoro: fino al 2017 il dipendente era colui che aveva un orario di lavoro rigido o comunque fisso, adesso è intervenuto lo smart working che è una forma di lavoro subordinato che ha sbarellato alcuni di questi indici, nello smart working il lavoratore può scegliere l’orario di lavoro. - Retribuzione predeterminata : il lavoratore dipendente riceve una retribuzione predeterminata di cui sa già l’esatto importo o il parametro di calcolo. Deve essere predeterminata o predeterminabile ed è sempre dovuta. Il corrispettivo, nel lavoro autonomo, non è determinato né determinabile. Si dice che il lavoratore dipendente non corre il rischio d’impresa. Il lavoro autonomo è definito dall’art 2222 ed è una definizione in negativo: dice che è lavoro autonomo quello che non è subordinato. Principio della indisponibilità del tipo: principio sancito dalla corte costituzionale nel ’93 e ’94. Significa che nessuno, né le parti di un contratto e né il legislatore, possono dire a priori se una certa attività è autonoma o subordinata. Il tipo di lavoratore non è disponibile, le parti private non possono dire a priori che tipo di lavoratore è (es. non si può dire che i ridere sono tutti lavoratori autonomi). La corte ha detto che va verificato caso per caso se il rapporto ha gli indici della subordinazione e se si hanno tali indici si ha diritto a godere delle tutele garantite al lavoratore subordinato e ne le parti ne il lavoratore possono impedirlo. A questo panorama si è aggiunto un terzo genere, un terza modalità di collaborazione nell’impresa: le collaborazioni continuative. Una volta vi era questa dicotomia: gli autonomi fanno come vogliono e i subordinati ricevono ordini, ma la realtà empirica ha fatto emergere soggetti che pur essendo autonomi avevano un stretto rapporto il loro committente, con colui che dava loro dà lavorare. Pagina di 5 32 • Es. se al datore non piace la persona non piace caratterialmente, può licenziarla? Normalmente no, non può farlo per questo motivo, ma durante il periodo di prova, se il datore non si trova bene con il lavoratore può ritenere liberamente il patto di prova non superato. Il datore può far valere anche delle sue opinioni personali che in caso di licenziamento non potrebbe far valere. Il patto di prova permette di recedere senza giustificazione, l’unico limite è che il recesso non sia dato per motivi discriminatori (motivi politici, sindaci, etnici, religiosi, di genere… non c’entrano motivi legati all’estetica). L’essenza della prova è di andare oltre gli aspetti oggettivi che il legislatore consente di valutare in caso di licenziamento. Per risolvere un rapporto di lavoro è necessario dare alla controparte un preavviso, durante il periodo di prova invece, il recesso può essere immediato, senza motivazione e senza preavviso. • Es. caso di narcolessia di un direttore commerciale in prova: può essere motivo di licenziamento? All’epoca venne considerato legittimo, ma oggi potrebbe non esserlo più. In ambito di malattie è molto complicato. Le caratteristiche del patto di prova, contenute nell’art 2096: • Deve avere forma scritta, a pena di nullità • Deve essere apposto o prima dell’inizio del contratto o contestualmente all’inizio del contratto • La giurisprudenza ha introdotto un ulteriore vincolo: quello per cui nel patto devono essere indicate in maniera specifica le mansioni del lavoratore. Requisito introdotto a pena di nullità. Se si ragiona solo col c.c. si dice che la nullità è prevista solo per legge, ma la giurisprudenza ha aggiunto la specificazione delle mansioni. La difficoltà di questa materia è che le regole non si trovano solo nel diritto civile, ma vengono integrate dalla giurisprudenza. Il lavoratore ha diritto di chiedere e sapere che mansione dovrà fare durante il periodo di prova. La durata della prova è fissata dal contratto collettivo, per un operaio generico è 12 giorni e per un dirigente sono 6 mesi, che corrisponde al termine massimo. Il decreto trasparenza ha detto esplicitamente che anche la durata della prova deve essere indicata nel contratto individuale. Se il lavoratore si assenta nel periodo di prova la prova si prolunga. Scaduto il periodo di prova il rapporto continua e l’attività prestata vale nell’anzianità di sevizio. Se una delle parti vuole interrompere il periodo di prova deve comunicare all’altra parte che la prova non è stata superata. È previsto un termine massimo ma può essere fissata anche una durata minima e in questo caso non si può recedere prima. Il collocamento, come avviene l’incontro tra domanda e offerta di lavoro Storia: • Il sistema di collocamento ha avuto un storia che nasce con il monopolio pubblico e che finisce con la possibilità di un incontro privatistico tra domanda e offerta di lavoro. Da monopolio a liberazione. • Il monopolio pubblico era sancito con una legge del ’49 e prevedeva che le assunzioni dovessero passare per l’ufficio di collocamento: il lavoratore che voleva essere assunto si iscriveva alle liste di collocamento e aveva una graduatoria in senso cronologico e il datore che voleva assumere assumeva il primo della lista. Era la cosiddetta chiamata numerica: se il datore necessitava di 15 operai venivano presi i primi 15 della lista. L’idea era di garantire imparzialità. • Questo sistema è stato dichiarato illegittimo e anti-concorrenziale nel ’97 dalla corte di giustizia perché il monopolio è l’antitesi della concorrenza, l’UE consente regime anti-concorrenziale laddove ad un anti-concorrenza deriva un beneficio pubblico. • L’Italia nel frattempo aveva già modificato il sistema con una legge del ’91 che aveva lasciato il collocamento ma aveva sostituito la chiamata numerica con quella nominativa, quindi tutto passava dallo stato ma il datore poteva scegliere tra quelli iscritti alla lista. Con una percentuale di assunzioni destinata alle fasce deboli. • In Italia nel ’96 interviene una legge che liberalizza l’incontro tra domanda e offerta di lavoro dicendo che il datore può scegliere i lavoratori come vuole ma deve solo comunicare all’ufficio che h assunto il lavoratore. • Poi si arriva al ’97 con il cosiddetto pacchetto Treu che introduce in Italia l’istituto del lavoro interinale che oggi corrispondono all’agenzia per lavoro che hanno anche la funzione di far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro, e svolgono una funzione parallela all’ufficio di collocamento. Come possono farlo? Facendo una selezione prima, raccogliendo i curriculum, e poi propone all’azienda i candidati che ha valutato prima. Oggi il mercato rilavorò è liberalizzato Pagina di 6 32 Poi c’è il collocamento obbligatorio, forma di collocamento guidato, disciplinato da una legge del ’99 che prevede che i datori di lavoro che occupano più di 15 dipendenti hanno un vincolo, nel senso che nell’assumente dal 16esimo dipendente in su devono attingere anche alle liste di collocamento obbligatorio, alle quali sono iscritti dei soggetti che cercano lavoro che però sono affetti da patologie invalidanti, es. qualche forma di handicap o malattie oncologiche, handicap fisico o psichico che deve avere una certa percentuale che deve essere valutata da una commissione e queste categorie hanno una corsia preferenziale per l’assunzione. L’idea è di garantire la possibilità di assunzione a lavoratori che altrimenti non verrebbero assunti. Il rapporto di lavoro seguirà poi le regole generali ovviamente rendendo il luogo di lavoro conforme alle necessità che il lavorare portatore di handicap presenta. 24/10/23 Trasparenza Il dovere di una parte di rendere conosciuti o conoscibile all’altra le condizioni del contratto o del rapporto. Il datore deve portare a conoscenza del lavoratore una serie di elementi che riguardano il loro contratto e i loro rapporti. Di trasparenza si occupa un decreto legislativo del 1997 numero 152 che è rimasto poco utilizzato fino all’anno scorso quando è stato emanato il decreto legislativo 104 del giugno 2022. La normativa è recente. Fino all’anno scorso quindi era possibile un rapporto di lavoro si instaurasse secondo regole di cui il lavoratore poteva non essersene a conoscenza, ancora oggi si dice che il rapporto di lavoro può sorgere di fatto; continua a non esser necessario un contratto formale, il rapporto di lavoro può nascere a seguito di un fatto specifico che un soggetto inizia a prestare una certa attività con certe caratteristiche per un altro. In questa informalità rientra anche il rischio che colui che lavora non sia conoscenza delle condizioni che regolano il suo rapporto. Ancora adesso il contratto di lavoro non necessita di una forma particolare, può anche essere stipulato in forma orale. Questo porta il rischio che il lavoratore non sia a conoscenza della disciplina che regolano quel rapporto. Interviene il decreto trasparenza che impone al datore al momento dell’assunzione di comunicare per scritto una serie di elementi: OBBLIGO DI INFORMAZIONE RESO PER SCRITTO. Cosa deve comunicare? - Identità del datore di lavoro. - Il luogo di lavoro - Orario di lavoro - Mansioni che il lavoratore dovrà svolgere - Ferie a cui avrà diritto - Preavviso in casi di licenziamento - Il contratto collettivo eventualmente applicato È intervenuto il 4 maggio del 2023 il decreto lavoro, il governo ha rivisto la normativa dicendo che tutte queste informazioni si possono dare facendo rinvio al contratto collettivo, ora siamo tornati a una modalità di redazione e della lettera di assunzione snella c’è la possibilità di rinviare al contratto collettivo. L’altra informazione che deve essere data è se il datore di lavoro utilizza dei sistemi di decisione automatizzati. Questa comunicazione va fatta anche durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, ogni volta che una di questa condizioni cambia, almeno 24 ore prima devo dare al lavoratore l’informazione che la regola è cambiata. Ci sono disciplina che cambiano automaticamente con l’anzianità di servizio del lavoratore. Non sono indicate le conseguenze sul rapporto dell’inadempimento o di questo obbligo di informazione. È invece previsto che, se il lavoratore si lamenta dicendo di aver chiesto al datore queste informazioni senza riceverle e poi viene licenziato per un motivo a parte, si presume che questo licenziamento sia una ritorsione del datore alla richiesta del lavoratore. Mansioni del lavoratore Art 2103 del cc. Che cosa sono le mansioni? Sono l’oggetto principale del contratto di lavoro, ciò che il lavoratore si obbliga a svolgere. Esse sono l’unico tema che le parti devono concordare —> principio della contrattualità delle mansioni. Pagina di 7 32 Dalla mansione svolta discende il diritto a una certa qualifica, il diritto a un certo livello di retribuzione e di li in vanati tutta una serie di altre tutele. Le qualifiche (art 2095 cc): - Operaio: svolge mansioni di tipo esecutivo, lavora nell’organizzazione - Impiegato: contribuisce con la sua attività a un pezzo dell’organizzazione - Quadro - Dirigente All’interno di ciascuna qualifica ci sono diversi livelli stipendiali. Il datore di lavoro può unilateralmente modificare le mansioni, quindi modificare l’oggetto del contratto. Nel rapporto di lavoro possono quindi essere assunto per svolgere una certa mansione ma il datore ha poi il diritto di modificarla. Questa possibilità di modificare le mansioni (ius variandi) è disciplinata dall’art 20103 che pone dei limiti allo ius variandi del datore di lavoro. Questa modifica delle mansioni dobbiamo immaginare che possa avvenire secondo 3 direttrici: - In senso verticale migliorativo (mansioni superiori) - In senso verticale peggiorativo (mansioni inferiori) - In senso orizzontale (mansioni equivalenti) Io vengo assunto come addetto all’ufficio personale (terzo livello). la mansione superiore sarebbe essere dipendente amministrativo con delega, mansione inferiore essere l’addetto al magazzino e una mansione equivalente sarebbe essere fatturisti. Limiti e conseguenze, art 2103 • Adibizione a mansioni superiori Come viene regolata l’adibizione a mansioni superiori? Il lavoratore ha immediatamente diritto a essere pagato di più perché l’art 36 della costituzione dice che il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità di lavoro svolto. Il lavoratore non ha necessità di svolgere una formazione specifica. Il lavoratore può però rifiutare le mansioni superiori. Il lavoratore se dimostra di aver svolto mansioni superiori per un periodo minimo fissato dal contratto collettivo o in mancanza di questo (6 mesi), acquisisce la promozione automaticamente. Il diritto alla promozione automatica non si acquisisce invece se il lavoratore svolge mansioni superiori in sostituzione di un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto. • Adibizione a mansioni equivalenti. L’art 2103 del cc utilizza una nozione di equivalenza in senso statico, perché dice che il lavoratore deve essere adibito per le mansioni per le quali è stato assunto o mansioni dello stesso livello e categorie legale previsto dal contratto collettivo. Riscritto nel 2015. Prima la norma parlava di norma equivalente senza dare una nozione di equivalenza. La giurisprudenza dice che equivalenza ha un duplice profilo: - Profilo statico: le mansioni devono essere dello stesso livello e qualifica - Profilo dinamico: il lavoratore poteva essere adibito ad altre mansioni nelle quali potesse utilizzare la professionalità che avesse acquisito eventualmente arricchendo quella professionalità. • Adibizione a mansioni inferiori Fino al 2015 l’art 2103 vietava il demansionamento, ovvero prevedeva che il lavoratore potesse essere solo spostato a mansioni superiori o equivalenti. Ad un certo punto ci sono dei casi in cui le parti fanno accordi di demansionamento. Perché un lavoratore potrebbe accettare un demansionamento? Questo quando il demansionamento è il male minore, un’estrema ratio. La norma viene riscritta nel 2015 e viene introdotta la possibilità disciplinata dalla legge di demansionare. Si può demansionare in tre ipotesi: 1. Modifiche organizzative che incidono sulla posizione del lavoratore (pur di non perder eil posto di lavoro posso essere demansionato) 2. Previsto dai contratti collettivi (deregolazione). Queste prime due ipotesi hanno un’unica disciplina, il datore di lavoro può unilateralmente adibire il lavoratore a mansioni che appartengono alla stessa qualifica ma possono appartenere al livello immediatamente inferiore. 3. Le parti stipulino un accordo di demansionamento. L’accordo va fatto in una sede protetta. Quando il lavoratore rinuncia a un suo diritto, questa rinuncia deve avvenire di fronte a persone che garantiscano la genuinità della volontà del lavoratore. L’accordo di demansionamento può essere fatto per perseguire 3 scopi: Pagina di 10 32 riguarda le divise (che non ha fine di tutela alla salute, ma è identificativa), se si possono mettere direttamente a casa questo non è tempo di lavoro, se invece il datore impone di mettersi la divisa in azienda, quello è orario di lavoro. • Tribunale di Milano ha fatto una sentenza: caso in cui il lavoratore doveva indossare una divisa per fare le pulizie, quindi una tuta ma che si poteva indossare da casa. Gli indumenti però vengono ritenuti non dignitosi e quindi la sentenza del tribunale di Milano dice che in questo caso i lavoratori possono chiedere al datore di cambiarsi in azienda. Si possono avere diverse nozioni di orario di lavoro, il decreto 66 del 2003 prevede - Orario ordinario: 40 ore a settimana - Orario massimo settimanale: 48 ore a settimana (8h di straordinario) - Orario multi periodale: l’orario ordinario e l’orario massimo si calcolano sulla base del multi periodo cioè sulla base di più settimane all’interno di un semestre, o del diverso periodo previsto dal contratto collettivo. Orario ordinario calcolato sul multiperiodo, una settimana posso fare 45 ore e un’altra 35, poi alla fine del periodo, che può essere per esempio di 6 mesi, calcolo il tempo rilavorò medio (se sono 40h è orario ordinario, se sono per esempio 41h vuol dire che ho fatto straordinario). Non c’è però un numero ordinario al giorno, il decreto non lo dice espressamente ma in realtà lo si può ricavare con un’operazione aritmetica: la giornata è fatta da 24h e la legge dice che ogni giorno di lavoro bisogna concedere 11h di riposo consecutive e dice anche ce dopo 6h di lavoro consecutive devono essere dati 10 minuti di pausa, quindi in teoria al giorno si potrebbe lavorare per 12h e 50. Il datore può modificare l’orario di lavoro? Fino ad adesso la giurisprudenza ha detto che in un contratto di lavorò a tempo pieno il datore può modificare l’orario, poi ci sono limiti imposti dalla contrattazione collettiva. Anche questo orientamento sta cambiando in quanto sta sorgendo l’interesse del lavoratore di poter bilanciare lavoro e vita privata (movimento del “work life balance”). La giurisprudenza inizia ad essere sensibile: il datore per modificare l’orario deve avere delle esigenze precise. Lavoro straordinario sono quelle ore che eccedono alle 40h settimanali fino ad massimo di 48h. Anche questo viene calcolato sul multiperiodo. Il limite massimo annuo di straordinario è di 250h. Il lavoratore ha diritto al pagamento di una maggiore retribuzione o a dei riposi compensativi (oppure anche ad entrambi, sono i contratti collettivi a disciplinare ciò). Il limite è dettato per la tutela della salute del lavoratore ma anche a tutela dell’occupazione Poi c’è l’orario notturno che ha una disciplina particolare. Con orario notturno si intende quello prestato per almeno 7h consecutive che all’interno contengano l’intervallo che va da mezzanotte alle 5 di mattino. Serie di diritti ed obblighi: - Divieto di lavoro straordinario per chi fa l’orario notturno - Diritto ad una maggiorazione della retribuzione o a riposi compensativi (più alti rispetto a quelli del lavoro straordinario) - Obbligo di informazione: le rsa devono essere informate sul ricorso al lavoro notturno da parte dell’azienda, così anche i sindacato possono monitorare. - I lavoratori notturni devono essere soggetti ad una visita di idoneità specifica - Serie di soggetti per il quale il lavoro notturno è vietato i minori, le donne in stato di gravidanza e le donne fino ad un anno i nascita del bambino. Risposi Il legislatore si occupa anche di disciplinare i riposi. Tre tipi: - Giornalieri: almeno 11h consecutive di riposo ogni giorno - Settimanali: 24h di riposo ogni 7 giorni e di solito coincideva con la domenica La violazione è sanzionata con un’ammenda al datore e il diritto del lavoratore ad ottenere il risarcimento dei danni. - Annuali: ferie che sono previste dall’art 36 della costituzione (il lavoratore ha diritto ad un periodo di riposo annuale retribuito). È un diritto irrinunciabile: le ferie sono fatte per ripristinare l assalite psicofisica del lavoratore. Il coente ore di ferie è disciplinato dal decreto 66/2003 ed è almeno di 4 settimane l’anno, di cui 2 fruite consecutivamente nell’anno di maturazione e altre 2 fruite entro i 18 mesi successivi. Pagina di 11 32 Principio dell’introannualità delle ferie dichiarato dalla corte costituzionale con una sentenza che ha dichiarato incostituzionale l’art 2109 del c.c. che originariamente diceva che le ferie maturavano dopo un anno di lavoro. La corte invece ha affermato tale principio sia che l ferie maturano giorno per giorno durante l’anno. Il periodo di fruizione delle ferie è deciso dal datore di lavoro, salva diversa previsione dei contratti collettivi. Nuovo istituito introdotto nel 2015 che esprime la solidarietà tra lavoratori è quello della cessione delle ferie. Oggi il legislatore prevede un’ipotesi di rinuncia alle ferie rinviando la disciplina alla contrattazione collettiva che può prevedere che una parte di giorni di ferie possano essere ceduti da un lavoratore ad un altro lavoratore per ragioni molto particolari e molto gravi (es. lavoratore che deve assistere ad un figlio molto malato). Non è un obbligo. Durante le ferie il lavoratore ha diritto alla retribuzione. Se normalmente la retribuzione è straordinaria anche durante le ferie ha diritto a quella retribuzione. Malattia: il lavoratore va in ferie e si ammala, cosa succede? La malattia durante le ferie sospende le ferie e fa decorrere il periodo di malattia 31/10/23 Potere direttivo del datore di lavoro È ciò che caratterizza il rapporto di lavoro subordinato, vale a dire che il lavoratore subordinato è colui che è soggetto alle direttive del datore. Direttive che riguardano le mansioni e l’orario lavorativo. Il potere direttivo permette al datore di lavoro di conformare la prestazione lavorativa dei suoi dipendenti, può decidere cosa devono fare i lavoratori e come devono farlo. Limiti generali all’esercizio del potere direttivo legati al diritto antidiscriminatorio: - Art 37 della costituzione prevede un principio di parità di trattamento tra lavoratori per il quale non è ammessa una discriminazione basata sul genere o sull’età. L’appartenenza ad un certo genere o avere una certa età non giustifica un diverso trattamento. Il diritto a non essere discriminato però non coincide con il diritto alla parità di trattamento, quindi è ammessa la possibilità di trattamenti diversificati che però non devono dipendere da motivi discriminatori. - Art 3 della costituzione (principio di uguaglianza) sancisce una parità formale e sostanziale. - Lo statuto dei lavoratori, agli art 15 e 16, sancisce un divieto di discriminazione e indica in maniera tassativa quelli che sono i fattori di discriminazione. È vietata la discriminazione per genere, etnia, lingua, razza, religione, ragioni sindacali, politiche, orientamento sessuale e convinzioni personali, poi sono state aggiunte l’età e l’essere portatore di handicap. Alcuni giudici ritengono di poter ampliare i fattori di discriminazione oltre a quelli previsti dalla legge ma la corte di giustizia ha ribadito che sono solo quelli individuati dal legislatore. In caso di comportamento discriminatorio la conseguenza è la nullità dell’atto, del comportamento o del fatto discriminatorio posto in essere dal datore di lavoro. - Accanto alle fonti interne ci sono poi quelle che derivano dall’ordinamento comunitario: ci sono numerose direttive dell’UE che sanciscono divieti di discriminazione. Ipotesi di discriminazione legata al sesso a) Discriminazione legata al genere Questa tutela trova fonte primaria nell’art 37 della costituzione e poi trova in una serie di leggi che hanno integrato il principio generale di non distrazione sancito dall’art 37. - Legge 903/1977: si limitava ad affermare una parità formale tra lavoratori e lavoratrici dicendo che era vietato applicare trattamenti differenziati, sia in sede di assunzione che di svolgimento che di cessazione del rapporto, in ragione dell’appartenenza ad uno o all’altro genere. Conteneva anche il divieto di lavoro notturno che la corte di giustizia ha ritenuto discriminatorio perché impediva/riduceva la possibilità di accesso al lavoro delle donne. - Segue poi una legislazione tesa ad affermare la parità in senso sostanziale: il legislatore inizia ad introdurre una serie di misure volte a contrastare nei fatti la discriminazione, volte a far si che in concreto i datori di lavoro pongano in essere delle azioni che servono a ridurre i trattamenti differenziali e a riportare l’equilibrio tra lavoratori e lavoratrici, sono le cosiddette azioni positive previste dalla legge 125/1991. Il legislatore non si limita a dire “non discriminare” ma mette in campo una serie di strumenti per evitare che ci siano occasioni per discriminare. Es. quote rosa (definizione di una percentuale minima di presenze femminili), asilo in azienda (la ratio è fare in Pagina di 12 32 modo che in azienda ci siano modalità per occuparsi dei bambini e che l’occupazione familiare non tolga risorse alla donna o all’uomo che voglia lavorare) La legge prevede delle premialità per le aziende che pongono in essere queste azioni) - Accanto a queste azioni positive la legge 125 prevede una serie di strumenti che servono ad aiutare i lavoratori e le lavoratrici: prevede una serie di organismi che hanno lo scopo di monitorare la situazione dell’azienda e di intervenire in caso di ipotesi di discriminazione. Queste figure sono i consiglieri/consigliere delle pari opportunità: apparato a vari livelli, sia pubblici che privati (livello regionale, comunale ma anche nelle aziende) che monitora il rispetto della disciplina in tema antidiscriminatorio. - Decreto legislativo 151/2001 pone una serie di misure a tutela della maternità e della paternità. - Codice delle pari opportunità, decreto legislativo 198/2006: cosa si intende per discriminazione? • Discriminazione diretta: quando c’è un trattamento differenziato basato su uno dei fattori di protezione prima accennati. Il fattore di protezione è la diretta causa del trattamento differenziato. • Discriminazione indiretta: si ha quando il datore utilizza dei criteri di selezione che sono apparentemente neutri ma di fatto creano un pregiudizio per gli appartenenti all’uno o all’altro genere (es. assumo solo chi è alto 1.7m o più, è più probabile che gli uomini raggiunga questo requisito). La discriminazione indiretta è vietata a pena di nullità a meno che non sia essenziale per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Il caso tipico era sul criterio di selezione per operare sui treni nelle ferrovie dello stato, in origine il requisito era essere alti 1.75m e una donna aveva impugnato tale criterio e ferrovie dello stato ha detto che era richiesta tale altezza a causa dei gradini per salire sul treno e quindi per tutelare la salute delle donne che non sarebbero riusciti a salire. b) Molestie sul luogo lavoro Il legislatore dà una definizione di molestie sul luogo di lavoro che vengono fatte rientrare nella generale definizione di discriminazione. Cosa si intende per molestie? Tutti quei comportamenti indesiderati che si tengono nei confronti di un lavoratore/lavoratrice per ragioni legate al genere. Le molestie devono essere finalizzate ad allontanare o estromettere il lavoratore/lavoratrice dal luogo di lavoro. Comportamento che tende ad umiliare le persone in base all’appartenenza al genere. • b2) Rientrano anche le discriminazioni per ragioni sessuali: comportamento a sfondo sessuale. Sono condotte che vengono sanzionate in maniera severa dall’ordinamento e il datore risponde di queste condotte anche se a tenerle sono i suoi sottoposti. c) Genitorialità La nozione di discriminazione di genere si è ampliata e quindi rientrano nella tutela antidiscriminatoria quei comportamenti differenziati che sono legati all’espletamento della genitorialità. Il datore non può adottare condotte, decisioni organizzative che in qualche modo incidono negativamente sull’esercizio della genitorialità dei suoi dipendenti. Es. ispettorato del lavoro di Firenze, che aveva per i suoi lavoratori un orario di entrata flessibile, fa una disposizione organizzativa che incide sulla fascia oraria che diventa rigida. La consigliera di parità di Firenze fa ricorso al giudice dicendo che questa era una misura discriminatoria per la genitorialità perché coloro che hanno dei figli al mattino possono avere più problemi a rispettare un orario fisso (nonostante fosse stata data una flessibilità di mezz’ora) e quindi hanno maggior possibilità essere sanzionati rispetto a chi non ha figli. Il tribunale di Firenze ha considerato questa misura discriminatoria. Il datore ogni volta che adotta una decisione organizzativa deve fare attenzione al fatto che questa indirettamente possa attaccare gli appartenenti ad uno o all’altro gruppo protetto dai fattori di protezione. Il nostro ordinamento prende in considerazione gli atti formali, i comportamenti e le mere omissioni: è una copertura a tutto campo che comprende anche gli atti omissivi (non promuovo una persona a dirigente perché è donna) Come si fa a dichiarare la nullità nell’omissione? Si dichiara la nullità del comportamento. Se il comportamento è omissivo, qual è la conseguenza della nullità? Il giudice si sostituisce al datore di lavoro. Il lavoratore può avere una doppia tutela: ripristino della situazione precedente al comportamento discriminatorio e in caso di danni il risarcimento. Se decide di dimettersi ha la tutela per dimissioni per giusta causa. Pagina di 15 32 Problemi: io non posso perquisire fisicamente il lavoratore, ma posso richiedere al lavoratore di aprire lo zaino? La giurisprudenza ha avuto una tendenza altalenante. Una parte di essa diceva che dovendo interpretare le norme penali in senso restrittivo, visita personale di controllo è quella sulla persona. Altri dicono che invece che bisogna intendere la norma come tutela del lavoratore quindi anche in relazione a ciò che è strettamente accessorio (non solo persona fisica) Art 8: sancisce il divieto per il datore di fare qualunque indagine sulle opinioni del lavoratore che non siano rilevanti per lo svolgimento dell’attività lavorativa. 13/11/23 Potere disciplinare del datore di lavoro Laddove il datore rilevi delle mancanze del lavoratore può esercitare il potere disciplinare. Disciplinato da due disposizioni: • Art 2106 cc: disciplina i presupposti sostanziali dell’esercizio del potere disciplinare(a quali condizioni possono legittimamente esercitare il potere disciplinare) • Art 7 dello statuto dei lavoratori: disciplina i presupposti procedimentali del potere disciplinare. Art 2016 Presupposti - Sussistenza di un fatto disciplinarmente rilevante: deve aver disobbedito a un ordine impartito e devo avere verificato questa disobbedienza utilizzando correttamente il potere di controllo - Devo poterli addebitare a uno o più lavoratori: devo poter dire che quel fatto è da ricondurre a una responsabilità del lavoratore. L’onere della prova è in capo al datore di lavoro. - Proporzionalità: sanzione deve esser proporzionata alla mancanza commessa. Questo giudizio di proporzionalità è alle volte contenuto nei contratti collettivi. Altrimenti spetta al datore di lavoro dare un provvedimento proporzionato. Art 7 dello statuto Disciplina le procedure da seguire prima di arrivare a un provvedimento disciplinare. Il lavoratore può rendersi responsabile della peggiore mancanza, per esercitare il potere disciplinare devo comunque seguire l’art 7. - In azienda devo essere affisso il codice disciplinare: l’azienda deve portare a conoscenza preventivamente i lavoratori quei comportamenti che segue e le conseguenze delle violazioni dei comportamenti stessi. Se manca questo codice disciplinare il provvedimento è nullo. Il codice deve essere affisso in luogo accessibile a tutti i lavoratori - Quando il datore ritiene che il lavoratore si e reso responsabile di una mancanza la prima cosa è che deve trasmettergli una lettera di contestazione, cioè scrivere una lettera in cui descrive in maniera analitica le mancanze disciplinari che ritiene che gli siano addebitabili. La contestazione deve essere specifica e immediata. Perché? Perché la contestazione serve per dar modo al lavoratore di presentare le sue giustificazioni. - Il lavoratore ha almeno 5 gg per dare le proprie giustificazioni, durante i quali il datore non può adottare nessun provvedimento disciplinare. Trascorso il termine, il datore può adottare il provvedimento disciplinare; il nostro ordinamento prevede per il rapporto di diritto privato prevede 4 provvedimenti disciplinari più un quinto che è il caso estremo de licenziamento. 1. Richiamo verbale 2. Richiamo scritto 3. Multa (detrazione dalla retribuzione per una somma pari al massimo a 4 ore di lavoro 4. Sospensione da lavoro e retribuzione per un massimo di 10 gg + possibilità di licenziare. Anche il licenziamento rientra tra i provvedimenti disciplinare soggetti all’applicazione dell’art 7. La recidiva Quando il lavoratore è già stato oggetto di procedimenti disciplinari negli ultimi 2 anni. Questo giustificherebbe una sanzione disciplinare più grave rispetto a quella che verrebbe adottata se ci fosse quell’unico comportamento. I doveri del datore di lavoro Il dovere di retribuzione Retribuire il suo dipendente. Il contratto di lavoro è sinallagmatico quindi la prestazione fondamentale del lavoratore è di svolgere le mansioni con diligenza ecc, e la prestazione del datore è quella di versare il corrispettivo. Pagina di 16 32 Il contratto di lavoro subordinato è un contratto onero, quando una prestazione viene resa con le caratteristiche id cui all’art 2094 quella prestazione deve essere retribuita (questo non vale nel rapporto di lavoro tra parenti). Il diritto alla retribuzione è previsto dall’art 36 della costituzione. detta due principi fondamentali - Proporzionalità (la retribuzione deve essere proporzionata alla qualità e quantità di lavoro svolto) - Sufficienza (la retribuzione deve garantire al lavoratore alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa). Per anni la giurisprudenza ha demandato alla contrattazione collettiva il compito di individuare a retribuzione proporzionata sufficiente. Oggi non è più così. L’anno scorso è stata emanata la direttiva sul salario minimo e nel frattempo i giudici hanno iniziato a cambiare orientamento, è capitato in alcune sentenze che la giurisprudenza dicesse che il minimo tabellare applicato dal datore non rispetta l’art 36. Si scardina quindi il principio per cui al datore bastasse applicare il minimo del contratto per essere rispettoso dell’art 36. Ora i giudici hanno iniziato dire di poter fare una verifica parallela alle parti sociali e dire che la retribuzione giusta è più alta rispetto a quella prevista dai contratti. Direttiva europea 2022: gli stati membri devono adottare un salario minimo ma lascia la possibilità a loro se adottarlo per legge (salario minimo legale) o se lasciare che essi demandino alla contrattazione collettiva l’individuazione del salario minimo, a condizione che la contrattazione collettiva copra almeno l’80 % dei lavoratori di un certo settore. La retribuzione viene utilizzata come base di calcolo in particolare per i contributi che devono esser versati all’INPS e all’INAIL per ricevere tutele in caso di bisogno. La retribuzione deve essere pagata in denaro ma ce anche la possibilità di dare corrispettivi in natura, oltre il minimo tabellare. La retribuzione deve essere determinata o determinabile; è ammessa una retribuzione variabile ovvero una retribuzione che ha una finalità incentivante. Il dovere di salute e sicurezza dei lavoratori Previsto dall’art 2087 del cc. Norma generica che dice che il datore di lavoro deve adottare quelle misure che in base all’esperienza servono a garantire l’integrità fisica e psichica del lavoratore. Accatto a questo articolo, il nostro ordinamento ah emanato una legislazione specifica (una volta decreto legislativo 626/94 ora decreto legislativo 81/2008) -> il datore di lavoro deve porre in essere un apparto che prevenga infortuni sul lavoro e malattie professionali. Come fa? La cosa fondamentale è complire il documento d valutazione dei rischi. Deve essere tutelata anche l’integrità morale del lavoratore per questo ha assunto rilevanza giuridica un fenomeno che è il MOBBING-> viene definito dalla cassazione come una serie di comportamenti persecutori reiterati e continuativi che vengono tenuti nei confronti del lavoratore dal datore di lavoro o dai colleghi che ledono la salute psichica del lavoratore e hanno l’intento di isolarlo dal posto di lavoro. Le condotte che possono dare luogo a mobbing sono molte, ad esempio - Il demansionamento - Attribuire al lavoratore die lavori che si sa già che non sarà in grado di svolgere - Subire condizioni di lavoro stressanti - Umiliazioni davanti ai colleghi No mobbing-> Normale conflittualità che ci può essere in un ambiente lavorativo. Il mobbing da il diritto al risarcimento dei danni alla salute. 14/11/2023 Ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro Casi in cui il rapporto di lavoro subordinato può essere sospeso. La sospensione può dipendere da: • Cause legate al lavoratore, in particolare malattia e maternità (poi ce ne sono altre come i permessi della 104 o motivi di studio…). • Cause di sospensione del rapporto che sono riconducibili all’azienda, in particolare la cassa integrazione. La cassa integrazione è un ammortizzatore sociale, uno strumento che l’ordinamento fornisce al datore di lavoro per fare in modo che gli effetti di determinate situazioni oggettive non incidano in maniera eccessiva sull’impresa e di conseguenza sui rapporti di lavoro. Es. ipotesi è la cassa integrazione per ragioni di mercato, oppure in caso di Pagina di 17 32 maltempo per il settore edilizio, oppure ci sono ipotesi di cassa integrazione a seguito di eventi eccezionali come la caduta del ponte Morandi. La sospensione può essere totale o parziale. La conseguenza della sospensione del rapporto dovrebbe essere la mancanza di retribuzione ma, i lavoratori in questo caso ricevono l’indennità di cassa integrazione a spese dell’INPS. Cause di sospensione del rapporto che trovano la loro giustificazione in eventi che riguardano il lavoratore: la malattia e la genitorialità. a) La malattia Il lavoratore che contrae una malattia può non essere in grado di andare a lavorare. Questa definizione deriva dalla nozione di malattia a fini del diritto di lavoro: qualunque patologia che incide sulla sfera fisica o psichica del lavoratore e non gli consente di rendere la prestazione lavorativa. Deve essere una patologia temporanea, se diventasse definitiva questa fattispecie viene considerata come un’ipotesi di inidoneità sopravvenuta a lavoro. Si tratta di una definizione più restrittiva rispetto alla definizione medica di malattia, in quanto tiene in considerazione solo quelle patologie che influiscono temporaneamente sulla capacità lavorativa del soggetto. Quali sono i diritti e i doveri di un lavoratore che contrae una malattia la fini lavorativi? - Obbligo di comunicare immediatamente al datore l’impossibilità di presentarsi a lavoro perché malato.. - Obbligo di giustificare la malattia attraverso la presentazione d’un certificato medico che deve contenere anche l’ipotetica dura della malattia. Il datore non ha diritto di conoscere la diagnosi quindi gli arriva un certificato medico “muto”. - Obbligo per il lavoratore di comunicare il domicilio al quale sarà reperibile durante la malattia, questo per consentire al datore di lavoro di far effettuare le cosiddette “visite di controllo”, infatti il datore può far accertare lo stato di salute del lavoratore chiedendo ad un medico pubblico (dell’INPS) di andare a visitare il lavoratore. La legge prevede poi delle fasce orarie nelle quali il lavoratore deve farsi trovare obbligatoriamente a casa per permettere al medico di effettuare la visita (dalle 10-12 e dalle 17-19). Se il lavoratore non viene trovato a casa l’assenza viene considerata ingiustificata e la malattia non viene ritenuta sussistente, salvo che il lavoratore dimostri che era assente dal domicilio per una necessità che non poteva assolvere diversamente (es. medico della mutua visita solo dalle 10 alle 12). L’ingiustificata assenza ha delle conseguenze: • Di tipo disciplinare, si può arrivare anche al licenziamento • Di tipo economico: il lavoratore malato riceve dall’INPS l’indennità di malattia (è uno dei casi in cui lo Stato interviene economicamente per far fronte ad uno stato di bisogno indotto dalla malattia - se lavoratore non lavora non riceve retribuzione -). Tutela che trova fondamento all’art 38 della costituzione. L’indennità di malattia può essere erogata per un massimo di 6 mesi nell’anno solare, inizialmente è pari al 60% della retribuzione giornaliera e poi va a scalare. L’ordinamento prevede che l’INPS intervenga dal 4 giorno di assenza perché se il lavoratore sta assente per meno di 4 giorni non versa in uno stato di bisogno. Se non viene trovato durante le visite di controllo il lavoratore perde l’indennità di malattia. Originariamente la legge diceva che se non veniva trovato perdeva tutta l’indennità di malattia, ma la corte costituzionale ha poi affermato che se viene trovato assente alla prima visita di controllo perde i primi 10 giorni d indennità di malattia e se viene trovato assente anche alla seconda visita allora la perde completamente per tutto il periodo di sospensione del rapporto. La contrattazione collettiva integra questa tutela a carico del datore di lavoro: i contratti collettivi prevedono che i primi 3 giorni di assenza (“periodo di carenza”, durante i quali l’INPS non interviene) sono a carico del datore di lavoro, poi prevedono che il datore, per il periodo successivo, debba integrare quanto dato dall’INPS con l’indennità di malattia (se INPS dà il 60% della retribuzione, il datore dà il 40%). - Durante la sospensione del rapporto di lavoro il datore non riceve la prestazione di lavoro, quindi il lavoratore, se la malattia si prolungasse per molto tempo, potrebbe rischiare il licenziamento. L’ordinamento prevede una tutela ulteriore per il lavoratore malato all’art 2110: il datore può licenziarlo solo se trascorso un determinato periodo, chiamato “periodo di comporto” (può essere di 180 giorni in un anno solare oppure 180 giorni in un triennio), la cui durata è fissata dai contratti collettivi. I contratti, infatti, prevedono un periodo durante il quale il lavorare ha diritto di rimanere assente per malattia senza rischiare di essere licenziato per quest’assenza. Trascorso questo periodo, il Pagina di 20 32 il lavoratore alle dimissioni tramite la sua condotta, e in più ha il diritto al trattamento di disoccupazione. Fino al 2015 le dimissioni non erano normate, poi è stata introdotta una procedura obbligatoria che se non viene seguita rende le dimissioni inefficaci, ossia come se non fossero state presentate. La procedura prevede che il lavoratore che vuole dare le dimissioni deve scaricare un apposito modulo dal sito del ministero del lavoro. • La finalità era di evitare le dimissioni in bianco, infatti succedeva che, al momento dell’assunzione, il datore facesse già firmare delle dimissioni in bianco (senza data). Il problema è stato risolto in quanto, nel momento in cui scarico il modulo appare una data che scade dopo 15 giorni e ciò fa si che le dimissioni abbiamo una data certa. • Adesso c’è un altro problema: quando un lavoratore si stufa di lavorare semplicemente sparisce senza presentare il modulo, quindi l’azienda deve licenziarlo, in quanto le dimissioni per fatti concludenti (per sparizione) non sono validi. Alcuni casi prevedono che le dimissioni vengano firmate davanti all’ispettorato del lavoro per garantire la volontà e la consapevolezza di chi le firma, es. lavoratrice madre, lavoratrice per causa di matrimonio (avevamo una legge del ’63 che diceva che la donna, nell’anno successivo alle pubblicazioni del matrimonio, non poteva essere licenziata). b) Licenziamento individuale Sui licenziamenti il nostro ordinamento ha assunto una posizione molto rigorosa a partire dal 1966, quando ha emanato la legge 604 che è la legge limitativa del licenziamento individuale. È una legge che dice le condizioni formali e sostanziali, in presenza delle quali sole si può licenziare. Si può licenziare solo in presenza di queste condizioni: 1. Licenziamento deve avere una giustificazione che è il legislatore ad individuare. 2. Licenziamento deve essere fatto con atto scritto, quello in forma orale è del tutto inefficace. 3. Nella lettera di licenziamento devono essere comunicati i motivi per i quali si licenzia. Fino al 2012 i motivi del licenziamento non dovevano essere indicati, potevano essere indicati solo successivamente a richiesta del lavoratore, poi nel 2012 la legge Fornero ha introdotto l’obbligo di motivazione contestuale del licenziamento. Quali sono i motivi di licenziamento individuati dal legislatore? - Giusta causa, art 2119 c.c.: una mancanza che non consente la prosecuzione del rapporto (nemmeno temporaneamente) e che non dà luogo a preavviso. Esisteva già da prima del ’66 ma prima serviva solo per capire quando servisse il preavviso, dal ‘66 la giusta causa serve anche a giustificare il licenziamento. È qualcosa di addebitabile al lavoratore, che fa qualcosa di talmente grave che il datore può licenziarlo senza nemmeno dargli il preavviso. - Giustificato motivo che a sua volta il legislatore divide in: • Giustificato motivo soggettivo: definito dall’art 3 della legge 604/1966 come un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore Qual è la differenza tra giusta causa e giustificato motivo soggettivo? Hanno innanzitutto un effetto diverso: la giusta causa non ha preavviso mentre il giustificato motivo soggettivo ha preavviso. Sono entrambe addebitabili al lavoratore (vogliono entrambi la procedura dell’art. 7) e rientrano nelle sanzioni disciplinari. Due differenze principali: - Qualitativa: sono entrambi un inadempimento agli obblighi contrattuali ma, la giusta causa comprende inadempimenti gravissimi, il giustificato motivo soggettivo gli inadempimenti notevoli, quindi gravi ma non gravissimi. - Quantitativa: concetto di “causa” è diverso da “inadempimento” e ciò fa si che all’interno della giusta causa rientrano comportamenti che non sono inadempimenti contrattuali ma che incidono sul rapporto di lavoro o sul vincolo di fiducia che deve intercorrere tra lavoratore e datore di lavoro (comportamenti esterni che incidono rispetto alla figura del lavoratore modello). La giusta causa è più ampia. Il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo è una sanzione disciplinare quindi la corte nel 92 ha detto che il licenziamento deve seguire la procedura prevista dall’art 7 per i provvedimenti disciplinari. • Giustificato motivo oggettivo: definito dall’art 3 della legge 604/1966 come quel motivo che attiene a ragioni legate all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro o al regolare funzionamento di essa. Pagina di 21 32 Sono ragioni che riguardano il datore e quindi il lavoratore subisce una decisone per la quale non ha responsabilità. Viene anche detto licenziamento per soppressione del posto di lavoro. “Soppressione del posto di lavoro” può avere molteplici significati: - Cessazione dell’attività; - Diminuzione dell’attività; - L’attività continua ma viene esternalizzata; - Sostituisco l’uomo con la macchina; - … Tutti casi in cui il lavoratore non ne può nulla, quindi la domande è: queste ragioni di soppressione del posto devono avere una giustificazione? Il datore, per assumere queste decisioni, deve avere una motivo legato alla crisi o può farle semplicemente per guadagnare di più? Soluzione arrivata con sentenza del 2016 che afferma che non è necessario un motivo di crisi, il datore può organizzare l’azienda come crede anche in vista di un maggiore profitto, deve solo dimostrare che ha fatto una modifica organizzativa. La giurisprudenza ha detto che questo però non basta, il datore deve occuparsi anche del ripescaggio (repechage) dimostrando che questo non è stato possibile: il datore è libero di sopprimere i posti per qualsiasi ragione, ma dato che significa incidere sulla vita del lavoratore, deve prima vedere se il lavoratore può essere “ripescato” e quindi adibito ad altre mansioni alternative che possono essere equivalenti o anche inferiori (mantenendo la stessa retribuzione) su tutto il territorio nazionale. Come si sceglie il lavoratore da licenziare? La giurisprudenza dice con correttezza e buona fede (non usare criteri discriminatori), criteri che sono molto ampli. 20/11/2023 riascoltare Procedura licenziamento Per il licenziamento disciplinare deve essere eseguita la procedura dell’art 7 dello statuto dei lavoratori. In caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, la riforma Fornero ha introdotto una procedura che prevede un passaggio obbligatorio per il datore che occupa più di 15 dipendenti: questo deve dare preventiva comunicazione del licenziamento all’ispettorato territoriale del lavoro, che entro 20 giorni dalla comunicazione deve convocare le parti e vedere se si riesce a trovare una soluzione concordata, e se le parti non trovano un accordo il datore può proseguire con il licenziamento. Il lavoratore può impugnare il licenziamento entro 60 giorni poi ha ulteriori 180 giorni per presentare ricorso davanti al giudice (termini introdotti nel 2010). Perché termine così breve? Per andare incontro alle esigenze del datore (spetta a lui l’onere della prova), è stato introdotto per dare certezza alle aziende, per far si che avessero certezza sia nell’organizzazione del lavoro e anche dal punto di vista economico (reintegra del lavoratore costa: risarcimento del periodo di licenziamento + spese di giustizia). Ragioni del licenziamento Devono essere indicate nella lettera di licenziamento. La cassazione ha elaborato il principio dell’immutabilità delle ragioni del licenziamento: una volta che il datore ha licenziato per determinate ragioni la legittimità del licenziamento va dimostrata solo sulla base di quelle ragioni, non ne possono essere introdotte delle ulteriori per giustificare il licenziamento (altrimenti è illegittimo). Questo serve al lavoratore per capire se le ragioni sussistono realmente e ipoteticamente capire se impugnare il licenziamento. Altre ipotesi di licenziamento per ragioni organizzative (motivi per i quali il lavoratore non può perseguire l’attività lavorativa): • Inidoneità sopravvenuta: es. pilota che perde decibel di vista • Carcerazione preventiva: si recuperano le norme del codice civile sull’impossibilità della prestazione per un fatto attribuibile al lavoratore che però non ha nulla a che fare col rapporto di lavoro. Se la carcerazione ha una durata tale da rendere la prestazione non più interessante il datore può licenziare il lavoratore. Quando in un contratto a prestazioni corrispettive una prestazione diventa impossibile, anche in via temporanea, il creditore può scegliere di interromperlo. Quanto deve durare la carcerazione preventiva per autorizzare il licenziamento? Un criterio può essere attendere lo stesso periodo previsto in caso di malattia. In caso di carcerazione preventiva, il lavoratore può essere autorizzato dal giudice di presentarsi a lavoro. Pagina di 22 32 2. Licenziamento collettivo Riguarda solo ragioni che attengono all’azienda e queste devono riguardare una pluralità di lavoratori. Due cause contenute nella legge 223 del 1991(introdotta per adempiere ad una direttiva comunitaria del ‘79): - Art 4, licenziamento per messa in mobilità: si ha quando, al corso o al termine di un periodo di cassa integrazione, l’azienda non può riassorbire uno o più dei lavoratori che erano stati sospesi. Può essere anche uno solo ma la collettività sta nella ragione che accomuna più lavoratori. - Art 24, licenziamento collettivo per riduzione del personale che prevede 4 requisiti: • Presupposto numerico: il datore intende licenziare almeno 5 lavoratori • Presupposto temporale: nell’arco di 120 giorni • Presupposto geografico: nella stessa provincia • Presupposto causale: licenziamenti dovuti alle stesse ragioni che possono essere di … Il legislatore prevedere una PROCEDURA COMUNE AD ENTRAMBE. Il legislatore vuole il coinvolgimento del sindacato e in seconda battuta anche delle autorità (in particolare della direzione regionale del lavoro) La procedura prevede che il datore che intende licenziare debba mandare una comunicazione preventiva alle organizzazioni sindacali. In questa comunicazione, il datore deve dire che intende licenziare + quante persone intende licenziare + i motivi per cui intende licenziare. Il datore deve chiarire in maniera trasparente qual è il suo piano. DOPO si apre un tavolo di confronto che dura 45 gg al massimo con il sindacato, in questo periodo datore e sindacato cercano soluzioni alternative. Il sindaco ha un altro ruolo, ovvero condivide i criteri di scelta dei soggetti da licenziare al datore. Se la trattativa non arriva un esito positivo è possibile la seconda fase, quella AMMINISTRATIVA, dura 30 gg e vede il coinvolgimento della direzione regionale del lavoro. Trascorsi questi 30 gg, il datore può licenziare (nei successivi 120 gg). Come fa il datore a scegliere i lavoratori da licenziare? Art 5 della legge 223 detta i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare e in via principale il legislatore dice che i criteri di scelta sono quelli fissati dal contratto collettivo (nel rispetto delle esigenze tecnico- organizzative-produttive). La legge detta criteri sussidiari (che valgono solo se non si trova accordo con sindacato): 1. Anzianità di servizio: sono maggiormente tutelati coloro che sono in azienda da più tempo, il criterio non aiuta quindi i giovani 2. Carichi familiari: resta in azienda chi con il proprio stipendio deve mantenere più persone. 3. Esigenze tecnico organizzative produttive: Guardo cosa c’è scritto nella lettera di apertura. Non c’è tema meritocratico anche se le esigenze dell’azienda devono valere. La prima cosa che si cerca di fare è guardare se ci sono dei lavoratori che possono andare in pensione. Quando il lavoratore fa il licenziamento, il file Excel va mandato alla direzione provinciale per l’impiego, alle organizzazioni sindacali Sanzioni per il licenziamento illegittimo • Legge 604/66: introduce la necessaria giustificazione, la necessaria forma e inserisce un apparato sanzionatorio del licenziamento illegittimo. Prima il licenziamento aveva come unica tutela il preavviso. La mancanza di forma/giustificazione dà luogo a una sanzione chiamata tutela obbligatoria (perché non ricostituiva integralmente il rapporto di lavoro) • Con la legge 300/1970 viene introdotto l’art 18-> prevede la reintegra nel posto di lavoro (TUTELA REALE NEL POSTO DI LAVORO) Quando si applica la tutela obbligatoria e quando la tutela reale? Dipende dal numero di dipendenti. I datori sottosoglia (fino a 15 nella stessa unità produttiva o nello stesso comune o fino a 60 nel territorio nazionale) applicavano tutela obbligatoria, i datori sopra soglia applicavano la tutela reale. Tutela reale= viene reintegrato come se non fosse mai stato licenziato Fino alla riforma Fornero, la disciplina del licenziamento era facilissima: sopra soglia tutela reale, sottosoglia tutela obbligatoria. Ma riforma Fornero riscrive l’art 18: prima prevedeva un'unica sanzione, ora ne prevede quattro (2 tipi di tutela reale e due tipi di tutela indennitaria). Pagina di 25 32 - Licenziamenti collettivi-> per coloro assunti fino al 7 marzo 2015 ci sono due sanzioni: se il datore ha violato la procedura avremo tutela indennitaria forte mentre se ha violato i criteri di scelta avremo tutela reintegratoria. - Per coloro che sono stati assunti dopo il 7 marzo 2015 sempre tutela indennitaria forte, mai reintegra. 27/11/23 CONTRATTO A TERMINE E CONTRATTO SOMMINISTRAZIONE LAVORO Decreto legislativo 81/2015. Il contratto a termine Le parti sanno già che al verificarsi di un certo evento o a una certa scadenza che quel contratto cesserà di avere efficacia. Il contratto quindi si risolve e le parti sono libere. Il termine può essere una data fissa oppure il termine può essere dato dal verificarsi di un certo evento. Atteggiamento dell’ordinamento? Chi è la parte che ha bisogno di una tutela? il lavoratore sa che avrà un rapporto che scadrà quando l’esigenza del datore viene meno, quindi il legislatore ne ha previsto una disciplina tipica in senso restrittivo (per limitare la possibilità per il datore di acceder a questo contratto). La disciplina era contenuta nell’art 2097 del cc e poi è stata aumentata con delle previsioni di legge. Nel codice Zanardelli il tempo determinato era una garanzia perché si voleva evitare la schiavitù a vita, ma dal Codice civile in avanti è visto come una precarietà che necessita di una serie di tutele. Accanto alla legislazione interna, anche l’unione europea si è occupata di contratto a termine con una direttiva volta a evitare la reiterazione di contratti a termine, volta a evitare che un lavoratore rimanesse eternamente precario attraverso reiterati contratti a termine. Requisiti per limitare il contratto a termine: • Requisito di forma: Stipulato in forma scritta ad substantiam (salvo che il contratto abbia una durata fino a 12 gg per cui non è necessaria la forma scritta). Se il termine non è apposto in forma scritta si ha come non apposto, il contratto si considerata a tempo indeterminato. Il termine non può essere apposto a rapporto già in essere. • Presenza di causali giustificatrici. A partire dalla legge del ’62, il legislatore ha detto si può assumere a termine solo in presenza di determinate ragioni. Il contenuto di queste ragioni è mutato nel tempo. nel 2012 il legislatore dice che per i primi 12 mesi non è necessaria la causale; oltre i 12 mesi è necessario un causale->MECCANISMO MISTO. Le causali sono state modificate dal decreto dignità del 2018: oltre i 12 mesi sono necessarie una di queste 3 causali: 1. Esigenze temporanee riferite all’attività ordinaria e non prevedibili 2. Esigenze temporanee ma non riferite all’attività ordinaria 3. Esigenze sostitutive Nel 2023 il governo modifica queste causali completamente. Ad oggi le causali sono: - Casi previsti dai contratti collettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi - Se mancano le previsioni di cui ai contratti collettivi comparativamente rappresentativi, si può assumere a termine per le ipotesi previste dai contratti collettivi applicati in azienda e fino ad aprile 2024 nelle ipotesi nei casi individuati tra singolo datore e singolo lavoratore. - Ipotesi di sostituzioni • Indicare la durata massima del contratto a termine: decreto 81 dice tra lo stesso datore e lo stesso lavoratore per mansioni che appartengano alla stessa qualifica e livello, la durata massima di rapporti a termine è pari a 24 mesi. È ammesso un unico contratto o più contratti. il termine massimo può esser allungato per una sola volta (altri 12 mesi) se si sottoscrive un accordo tra lavoratore e datore in sede protetta (davanti ispettorato territoriale del lavoro); questo salvo diversa previsione dei contratti collettivi (ovviamente ci sono principi generali da rispettare) • Prevedere una percentuale massima di lavoratori che un datore poteva assumere a termine (introdotto con la riforma Fornero) -> attualmente la percentuale massima è del 20% della forza lavoro. Pagina di 26 32 Proroga contratti a termine Proroga quando la durata iniziale del contratto viene prolungata, quindi il contratto è lo stesso e prima della scadenza la durata viene prolungata. Il consenso alla proroga deve essere prescritto dal Contratto originario + proroga sempre 24 mesi, se con la proroga si superano i 12 mesi sono necessarie le causali precedenti. Lo stesso contratto può essere prorogato al massimo quattro volte. Rinnovo contratto a termine Quando un lavoratore che ha già avuto un precedente contratto di lavoro a termine, viene assunto nuovamente dallo stesso datore di lavoro. sempre richiesta la forma scritta, durata massima complessiva 24 mesi; se il rinnovo porta a una durata complessiva di 12 mesi sono necessarie la causali. Ulteriori regole contratto a termine - Regola stop and go: tra un contratto a termine un successivo contratto a termine tra le stesse parti, deve decorrere un intervallo di almeno 10 gg se il contratto aveva durata a fino a 6 mesi e di almeno 20 gg se il contratto aveva durata superiore a 6 mesi. Interregno Se il termine scade e il lavoratore continua a lavorare per quel datore di lavoro, che succede? Il legislatore ha previsto un tempo in cui è possibile che il lavoratore nonostante la scadenza del termine continui a lavorare peer quell’azienda. Termine massimo di 30 o 50 gg a seconda che il contratto fosse fino a 6 mesi o più di 6 mesi e la conseguenza è che il lavoratore avrà diritto a una maggiorazione. Se passato l’interregno il lavoratore continua a lavorare, il contratto diventa a tempo indeterminato. Esiste un divieto di discriminazione in ragione dell’assunzione a termine. Il lavoratore che è a termine ha un diritto di precedenza nelle assunzioni che il datore fa a tempo indeterminato per le stesse mansioni per cui il lavoratore è stato assunto a termine-> DIRITTO DI PRECEDENZA Il lavoratore deve aver lavorato almeno 6 mesi e deve inviare al datore una comunicazione scritta entro 6 mesi in cui dichiara di volersi avvalere del diritto di precedenza. Se il datore fa assunzioni entro un anno deve prioritariamente chiamare quel lavoratore. Divieti: quando non si può assumere lavoratore a termine? - Per sostituire i lavoratori in sciopero - Nelle unità produttive per cui ci sono state procedure di licenziamento collettivo o cassa integrazione - Aziende che non hanno fatto valutazione dei rischi Sanzioni contratti a termine Se non fatto in forma scritta e sono superati i 24 mesi oppure se mancano causali quando sono necessarie, il contratto diventa a tempo indeterminato. Altrimenti c’è solo sanzione amministrativa, il datore paga una multa-> questo quando si supera la percentuale del 20% e salvo il periodo di interregno Somministrazione di lavoro O lavoro interinale, è un tipo di contratto inserito recentemente, con il pacchetto Treu nel 1997 con la legge 196. Ora è disciplinata dal decreto legislativo 81/2015 Peculiarità: contratto trilaterale: - Agenzia per il lavoro - Utilizzatore - Lavoratore (assunto dall’agenzia) Due contratti: contratto tra agenzia e utilizzatore e un contratto di lavoro subordinato tra agenzia e lavoratore. Il lavoratore è assunto dall’agenzia e poi viene fornito dall’agenzia all’utilizzatore. Per molti anni il nostro ordinamento vietava l’intermediazione di manodopera ovvero che un soggetto assumesse lavoratore per poi imprestarlo ad un altro (caporalato). Dal 1997 questo è possibile, ovviamente con dei vincoli. Chi può essere agenzia per il lavoro? Solo soggetti costituti in spa con capitale sociale interamente versato di 200 mila euro. L’agenzia deve essere autorizzata preventivamente dal ministero del lavoro, gli amministratori non devono aver riportato condanne penali Chiunque può invece essere utilizzatore. Pagina di 27 32 Lavoratore invece si intende qualsiasi persona fisica, può essere assunto dall’agenzia con un contratto a tempo indeterminato o determinato. Il contratto di fornitura può essere ugualmente a tempo indeterminato o determinato. Se l’utilizzatore fa con agenzia Contratto a tempo indeterminato l’agenzia può fornire a quell’utilizzatore solo lavoratori che l’agenzia ha a sua volto assunto a tempo indeterminato. Negli altri casi c’è libertà. Il contratto di somministrazione deve aver forma scritta, è un contratto commerciale. L’agenzia può assumere lavoratore a tempo indeterminato e si applicano le regole del rapporto a tempo indeterminato. PERO’ l’agenzia invia il lavoratore ma è possibile che ci siano momenti in cui il cliente non vuole >il lavoratore rimane a casa, percepisce una somma dall’agenzia (indennità di disponibilità). Il numero massimo di lavoratori somministrati a tempo indeterminato che un somministratore può avere è il 20%. Se l’agenzia assume a termine, valgono le regole sul contratto a termine, con tre eccezioni: 1. Non vale la regola dello stop and go 2. Non vale la regola del diritto di precedenza 3. La percentuale di lavoratori a termine tramite agenzia è del 30% Tutela particolare per i lavoratori somministrati: diritto a ricevere un trattamento non inferiore a quello praticato dall’utilizzatore ai suoi lavoratori che svolgono uguali mansioni. Si vuole evitare il damping. L’utilizzatore risponde solidalmente con l’agenzia per i diritti di credito maturati dli lavoratori somministrati. Come vengono divisi i poteri tipici del datore di lavoro? - Potere direttivo-> utilizzatore - Dovere di pagare retribuzioni-> agenzia - Esercizio del potere disciplinare-> agenzia, su indicazioni dell’utilizzatore che si renderà conto degli inadempimenti Il lavoratore può esercitare diritti sindacali sia presso l’agenzia che presso l’utilizzatore. Sanzioni: se il contratto di somministrazione è privo della forma scritta, il contratto è nullo e i lavoratori vengono considerati dipendenti dell’utilizzatore. altrettanto se i lavoratori vengono forniti nei casi in cui è vietato somministrarli oppure se vengono superate le percentuali massime del 30%, in questo caso i lavoratori vengono considerati dipendenti dell’utilizzatore. 28/11/23 Decentramento produttivo È una nuova modalità di organizzazione delle imprese che ha iniziato a prendere piede in Italia verso la metà degni anni 80/90. Una volta le aziende erano strutturate con formula verticale, la cosiddetta fabbrica fordista ->costruzione piramidale che al suo intero svolgeva tutte le funzioni ed era organizzata secondo rapporti gerarchici. Adesso si dice che la fabbrica si orizzontalizza, le aziende tendono a trattenere le attività specialistiche che sono in grado di svolgere e dare all’esterno le altre attività non principali. A una serie di rapporti gerarchici, si affiancano rapporti commerciali. L’azienda anziché assumere tutti i dipendenti, fa contratti commerciali con altre imprese per ottenere il risultato dell’attività lavorative di queste altre imprese. Il diritto del lavoro prende coscienza di tutto questo e inizia a pensare che è necessario occuparsi degli aspetti giuslavoristici legati a questa nuova forma di organizzazione delle aziende. Con la somministrazione di lavoro, l’azienda compra manodopera dall’agenzia, quindi anziché assumere l’azienda fa un contratto di somministrazione. Altra modalità con cui si può acquisire un risultato di una certa attività: contratto di appalto. Codice civile art 1655: istituto di diritto civilistico/commerciale. Contratto con cui una parte si obbliga a rendere, dietro corrispettivo, un’opera o un servizio. Nel 2003 il decreto Biagi n. 276/del 2003, prevede l’art 29 che dà la disciplina giuslavoristica del contratto di appalto: quello di cui all’art 1655 del cc, rinvia alla nozione codicistica. L’art 29 dice inoltre come si fa a distinguere il contratto di appalto da quello di somministrazione. Si distingue perché nel caso di appalto, l’appaltatore esercita sui lavoratori il potere organizzativo e direttivo. Mentre in caso di somministrazione il poter direttivo è esercitato dall’utilizzatore. Pagina di 30 32 diritti in corso di maturazione che dipendono dal contratto collettivo vengono conservati se e nella misura in cui resta il contratto collettivo (che può cambiare anche in senso peggiorativo), quindi se cambia il contratto collettivo cambia anche il trattamento economico normativo. - Responsabilità solidale tra cedente e cessionario per tutti i crediti maturati dal lavoratore prima del trasferimento: se subentro nella titolarità di un’attività economica organizzata devo essere consapevole che mi accollo tutti i debiti verso i lavoratori che derivano da quell’attività. Sia i debiti che risultano nelle scritture contabili ma anche quelli che non sono visibili. Nel diritto commerciale il subentrante risponde dei debiti che risultano dalle scritture contabili. Accanto all’art 2112 il nostro ordinamento prevede anche una disciplina procedimentale, quindi prevede la procedura che deve essere seguita qualora si volesse traferire un’azienda e questa è disciplinata dall’art 47 della legge 428 del ’90 (anche questa è una legge di implementazione della direttiva comunitaria). Obbligo d’informazione: la legge prevede che se il datore che intende trasferire l’azienda o il ramo, occupa più di 15 dipendenti, almeno 25 giorni prima di raggiungere con un possibile cessionario un’intesa vincolante, deve informare le organizzazioni sindacali dell’intenzione di cedere l’azienda o il ramo delle ragioni per cui intende fare quest’operazione e delle conseguenza che questa operazione avrà per i lavoratori. Analoga informazione dev’essere data dal possibile cessionario. Questa procedura vale solo per quei trasferimenti che passano attraverso un contratto. È una procedura preventiva nel senso che deve essere fatta almeno 25 giorni prima che le parti raggiungano un’intesa vincolante. Le organizzazioni sindacali ricevuta quest’informazione possono richiedere un esame congiunto (possibile cedente + possibile cessionario + organizzazioni sindacali del cedente + organizzazioni sindacali del cessionario). L’oggetto dell’esame non può essere l’autorizzazione all’operazione, che si fa a prescindere dalla volontà dei sindacati, però potrà riguardare le ricadute del trasferimento sui lavoratori. Scaduto il termine di 25 giorni le parti possono procedere con il trasferimento (il parare dei sindacati non è vincolante). Se non viene data quest’informazione, viene data un’informazione completa o non viene svolto l’esame congiunto, è un’ipotesi tipica di condotta antisindacale, caso espresso di condotta antisindacale. Il contratto part-time Disciplinato dal decreto legislativo 81 del 2015. Il part-time è un contratto che si caratterizza per una diversa modulazione dell’orario di lavoro e la legge dice che è part-time il contratto che prevede una durata inferiore alla durata ordinaria prevista dalla legge o dal contratto collettivo (per legge la durata ordinaria è di 40h). È un contratto che si dice flessibile, che dovrebbe venire incontro alle esigenze del lavoratore ma in realtà negli ultimi tempi si è evidenziato come sia un contratto che va incontro alle esigenze della popolazione femminile che deve conciliare vita privata e lavoro. È stato visto come una sorta di strumento di discriminazione, in quanto le donne ricorrono a questo contratto per assolvere i doveri familiari mettendosi però ai margini della vita lavorativa, quindi negli ultimi tempi si sta cercando di stimolare il ricorso a questo contratto anche da parte del genere maschile, o comunque di evitare che questo diventi uno strumento di discriminazione. Prevede per la sua validità la forma scritta, richiesta solo per la prova, quindi non a pena di nullità ma a pena di dimostrare che si tratta di un contratto part-time. La forma scritta deve riguardare non solo la decisione di assunzione part-time ma anche la collocazione di queste ore nella giornata/settimana/anno lavorativo. Al lavoratore deve essere detto quante ore lavora ma anche quando lavora queste ore. Se manca l’indicazione della quantità di orario o l’indicazione della distribuzione delle ore, il lavoratore può rivolgersi al giudice e il giudice potrà dichiarare che il lavoratore deve lavorare full time oppure decidere come viene distribuito l’orario part time. L’orario può essere distribuito secondo tre modalità: - Part time orizzontale: il lavoratore lavora tutti i giorni della settimana lavorativa con un orario giornaliero inferiore rispetto a quello dei colleghi full time. Es. 25h a settimana, 5h al giorno ≠ colleghi lavorano tutti i giorni 8h. - Part time verticale: il lavoratore lavora a orario pieno (8h) soltanto per alcuni giorni della settimana, o per alcune settimane nel mese, o per alcuni mesi nell’anno. - Part time misto: accoppia orizzontale e verticale. Pagina di 31 32 Una volta che le parti hanno individuato la quantità di ore e la loro distribuzione, il datore di lavoro non può unilateralmente modificare quantità e/o distribuzione, a meno che nel contratto di lavoro venga inserita la “clausola elastica”: il lavoratore può accettare di inserire nel suo contratto individuale una clausola che consente al datore di lavoro di aumentare l quantità di ore dovute oppure rimodificarne la distribuzione. Questa clausola rende elastico un rapporto rigido. La clausola elastica può essere inserita quando il contratto collettivo la consente (il lavoratore non è obbligato, il rifiuto di una clausola elastica non può essere motivo di licenziamento), in questo caso la clausola estatica deve essere compensata, vale a dire che il lavoratore deve ricevere un compenso per questa sua disponibilità e il datore può esercitare la modifica ma deve rispettare un preavviso di almeno 2 giorni. Se il contratto collettivo non prevede questa possibilità, questa può essere inserita nel contratto individuale di lavoro previo accordo da stipulare in sede protetta. Al lavoratore part time può essere richiesta la prestazione di ore oltre quelle concordate e prendono il nome di “lavoro supplementare” (fino alla 40h, oltre è straordinario). Il lavoratore part time ha gli stessi diritti/obblighi del lavoratore full time, non può essere discriminato in ragione di questo contratto, tutti gli istituti economico/ normativi vengono parametri in base a quest’orario. Poi ci sono dei casi in cui il nostro ordinamento prevede che determinati lavoratori abbiano diritto di passare da full time a part time (es. malati oncologici), nelle altre ipotesi sono i contratti collettivi a dire che il datore, entro una certa percentuale di lavoratori, deve concedere il part time. Se un lavoratore è assunto part time ha diritto di precedenza nel caso in cui il datore di lavoro abbia una posizione full time per le sue stesse mansioni, quindi il datore di lavoro che ha dei lavoratori part time, prima di assumere full time dei lavoratori dall’esterno per le stesse mansioni, deve offrire l’orario a coloro che sono part time, se questi non accettano può assumere dall’esterno. La legge dice anche che il rifiuto del lavoratore full time a passare part time non è motivo di licenziamento. Questa previsione ha dato luogo ad una serie di questioni in giurisprudenza perchè sono capitati casi in cui il datore, a fronte di una riduzione dell’attività, andasse dal lavoratore dicendogli che poteva rimanere solo se fosse passato in part time, se il lavoratore rifiutava veniva licenziato. Il lavoratore ha fatto causa appellandosi a tale legge e il giudice gli aveva dato ragione. Occorre quindi dare a questa previsione di legge una diversa interpretazione: il rifiuto del lavoratore full time a passare part time non è motivo di licenziamento disciplinare, non è una colpa rifiutare il part time, ma infatti che non si una colpa non esclude che ci sia un motivo organizzativo che autorizzi quel licenziamento. Quindi il licenziamento è legittimo se si dimostra di non aver più bisogno di 8h di lavoro e che il part time era un’ipotesi di repechage che è stata rifiutata. Ci sono delle norme di legge che si applicano ai datori di lavoro che occupano un certo numero di dipendenti, i lavoratori part time vengono considerati in base alle ore che fanno (un lavoratore part time che fa 20h viene considerato 0,5 nel conto del numero dei dipendenti). Contratti di apprendistato Disciplinati dal decreto legislativo 81 del 2015. Si tratta dei cosiddetti contratti formativi, o contratti a causa speciale, in quanto la causa di questi contratti si arricchisce dell’elemento formativo. Nel contratto di lavoro classico la causa è prestazione vs retribuzione, che è calcolata in base alla quantità e alla qualità di lavoro svolto. Nel contratto di apprendistato la causa è prestazione vs retribuzione e formazione del lavoratore. Il datore si obbliga anche ad un dovere formativo del lavoratore. Questa causa mista ne condiziona la validità e la disciplina. La disciplina comune vuole la forma scritta di questo contratto, che deve contener l’indicazione che si tratta di un contratto di apprendistato e altresì il piano formativo individuale (lavoratore deve sapere che verrà formato e come verrà formato). È una formazione che deve avvenire in parte in aula, formazione teorica, e in parte sul posto di lavoro, con l’affiancamento a un soggetto più esperto che viene nominato come tutor e che deve insegnare il mestiere all’apprendista. È un contratto a tempo indeterminato ma l’apprendistato ha una durata ,che varia a seconda del tipo di apprendistato e quella massima è di 5 anni. Durante il rapporto può essere licenziato secondo le normali ragioni del licenziamento e in aggiunta, quando viene a scadenza il periodo di apprendistato, ciascuna delle due parti possono interrompere il contratto dando solo il preavviso, senza necessità di causali di licenziamento. Tutto questo a condizione che l’apprendistato sia genuino e che quindi il lavoratore sia realmente sottoposto a formazione. Pagina di 32 32 Proprio perché il lavoratore è soggetto a formazione a carico del datore di lavoro, questo obbligo influisce sull’altro obbligo del datore di lavoro, ossia la retribuzione. Questo fa si che l’apprendista possa essere assunto e retribuito fino a due livelli inferiori rispetto alle mansioni che svolge. Si scambia la formazione con una prestazione e una contribuzione più bassa. Esistono tre tipi di apprendistato: - Apprendistato di primo tipo è quello che serve per conseguire una qualifica o un diploma professionale, è quell’apprendistato che sostituisce gli ultimi anni di scuola dell’obbligo. È disciplinato dalla legislazione regionale sulla formazione professionale. - Apprendistato di secondo tipo, quello professionalizzante (il più utilizzato), ed è quello che serve al lavoratore per imparare effettivamente un mestiere, viene utilizzato per fare ingresso nel mondo del lavoro. È rivolto ai giovani che hanno almeno 18 anni e massimo 29. In questo caso il lavoratore entra nell’azienda per imparare un mestiere tipico. - Apprendistato di alta formazione: per i giovani tra i 18n e i 29 anni e sono quelli finalizzati al conseguimento di titoli di studio avanzati. Sono disciplinati dalla contrattazione collettiva. Al termine dell’apprendistato il lavoratore ha diritto di ottenere una certificazione che ne testimoni le competenze. Se il rapporto si interrompe durante il periodo di apprendistato il lavoratore può essere assunto da un altro datore che dovrà tener conto del periodo di formazione fatto in precedenza (se si tratta di mansioni equiparabili).
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