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Specificità del diritto del lavoro, Sbobinature di Diritto del Lavoro

Laspecificità del diritto del lavoro, una materia in costante evoluzione che disciplina le posizioni delle parti in un rapporto contrattuale. Il legislatore ha posto dei limiti alle parti contraenti per colmare la disparità di forza contrattuale tra lavoratore e datore di lavoro. Il documento spiega come il diritto del lavoro sia nato con la rivoluzione industriale e come il legislatore abbia compiuto i suoi primi interventi nella materia. Si distinguono due aspetti della materia: il diritto collettivo del lavoro e il diritto del contratto individuale del lavoro; e il diritto della previdenza sociale.

Tipologia: Sbobinature

2020/2021

In vendita dal 08/01/2022

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Scarica Specificità del diritto del lavoro e più Sbobinature in PDF di Diritto del Lavoro solo su Docsity! Introduzione 27 settembre SPECIFICITÀ DEL DIRITTO DEL LAVORO Vi è forte carica esistenziale e sociale perché non si tratta solo della disciplina del contratto ma di disciplinare insieme alle posizioni delle parti, posizioni che hanno forte valenza esistenziale. Questa valenza costituisce la ratio dei limiti che il legislatore ha introdotto nel libero svolgimento del rapporto contrattuale, ragione per cui il legislatore ha posto dei limiti alle parti contraenti. È una materia in costante evoluzione perché sistema economico e la società sono in continuo cambiamento. Cambiamenti anche sul piano politico a seconda delle maggioranze. La sovrapposizione continua di interventi legislativi: alcune leggi degli anni ‘60 in vigore modificate da altre. Si distinguono due aspetti della materia: * Diritto collettivo del lavoro (diritto sindacale, parte della materia che regola i rapporti tra le organizzazioni collettive. Significa che i lavoratori si sono uniti per dar luce a delle organizzazioni sindacali. Anche gli imprenditori. Tutti questi si organizzano e si parla di contratto collettivo per porre le regole che disciplineranno i rapporti individuali; ® Diritto del contratto individuale del lavoro; * Diritto della previdenza sociale (sistema di regole che hanno la finalità di stabilire tutele economiche in caso di impossibilità della prestazione lavorativa). COME NASCE IL DIRITTO DEL LAVORO? Il diritto del lavoro è una materia giovane, nasce con la rivoluzione industriale. I primi interventi del legislatore in materia avevano la funzione di porre dei limiti alla disparità di forza contrattuale tra lavoratore e datore di lavoro. Significa che la materia nasce con una forte esigenza di colmare la disparità di forza contrattuale tra lavoratore e datore. Questo perché storicamente il lavoratore dipendente si connotava per una forte debolezza contrattuale. Il legislatore per colmare questa disparità contrattuale evita che le parti possano negoziare qualsiasi condizione contrattuale in modo libero. Aumenta lo spazio della norma inderogabile quando si riduce l’autonomia contrattuale; i due soggetti non sono liberi di decidere, vi sono dei limiti oltre i quali le parti non possono andare. La norma inderogabile ha bisogno di una sanzione. Nonostante la norma inderogabile, se le parti decidono di stabilire condizioni che la legge non ammette, succede: ® Exart. 1419 co.2ci è la sostituzione autonomistica della clausola difforme con la previsione stabilita dal legislatore; ® Ex 1339 ce. Vi è nullità parziale della clausola difforme rispetto al limite legale e sostituzione automatica della clausola difforme. Verso gli anni ‘60 la materia inizia una nuova fase caratterizzata da una maggiore flessibilità del contratto individuale di lavoro. Significa minore spazio occupato dalla norma inderogabile e quindi maggiore spazio lasciato all’autonomia individuale. Raggiunto il punto più alto di questa evoluzione inizia ad avvicinarsi progressivamente ai tratti caratteristici del diritto civile. Più avanti anche il diritto civile inizia a dotarsi di norme inderogabili che il legislatore ha ritenuto meritevoli di tutela. RIVOLUZIONE INDUSTRIALE-PRIMI CENNI La rivoluzione industriale si caratterizza per la concentrazione di grande massa di lavoratori in assenza di un ordinamento giuridico. Cn una prima fase, infatti, il lavoro subordinato si afferma in assenza di un contratto di lavoro subordinato. Di fronte alla necessità di porre dei limiti alle condizioni, sono i lavoratori che individuano le prime forme di autotutela. I lavoratori prima cercano di riequilibrare la disparità di forza a livello individuale, cioè si coalizzano tra di loro contrapponendosi al datore di lavoro, al fine di ottenere migliori condizioni dal datore. Lo strumento dello sciopero nasce così: astensione collettiva dal lavoro per far pressione sul titolare dell’impresa. Quindi la disparità a livello individuale si riequilibra a livello collettivo. Tutto questo produce i primi contratti collettivi, una fattispecie giuridica nuova che si sovrappone ad un’altra fattispecie giuridica. Tra ‘800 e ‘900 nel momento in cui questa profonda trasformazione sociale ed economica inizia a consolidarsi, il legislatore interviene nel regolare questa realtà sociale ispirandosi a quello che era il principio liberale della parità formale dei contraenti. In questa prima fase il legislatore compie i suoi primi interventi della materia; interviene reprimendo penalmente lo sciopero. Infatti, sul piano civilistico, lo sciopero rimaneva un illecito e solo nei primi del ‘900 il legislatore comincerà ad intervenire per ragioni sociali nel dettare regole di tutela minime di natura inderogabile. Nel 1907 stabilisce gli orari di lavoro dei bambini, nel 1910 considera la gravidanza come periodo da tutelare. Periodo corporativo che si caratterizza per un forte intervento da parte del legislatore nel diritto del lavoro: nuove norme di difesa in materia di orario del lavoro, riconoscimento delle organizzazioni collettive in cui si impone un unico sindacato nei diversi settori eliminando qualunque forma di libertà sindacale. Nel 1942 il legislatore definisce il lavoratore subordinato ex art. 2094 cc e definendo il lavoratore subordinato, definisce anche l'ambito di applicazione del diritto del lavoro. Due aspetti: abbiamo la definizione del contraente all’art 2094. Il codice compie delle scelte nel momento in cui definisce il prestatore di lavoro. Il codice sceglie di recepire una specifica costruzione dottrinale elaborata agli inizi del ‘900. Il Codice civile all’art 2094 del 42 definisce il prestatore di lavoro escludendo come requisito identificativo la condizione di debolezza socioeconomica. Il legislatore adotta una precisa teoria che identifica la fattispecie non con la debolezza, non con l’oggetto del contratto ma con requisito modale cioè la subordinazione come sottoposizione del lavoratore alle direttive impartite dal datore di lavoro per l’esecuzione dell’attività lavorativa. COSA ACCADE DOPO IL CODICE? 28 SETTEMBRE La costituzione individua nel lavoro uno degli interessi fondamentali dell’ordinamento giuridico. Se nella fase precedente il legislatore è intervenuto spinto da esigenze di ordine sociale, con la costituzione l’intervento inizia a rispondere ai principi fondamentali dell’ordinamento. Per garantire a questi principi di tutela una effettività nell’ordinamento erano necessari numerosi interventi da parte del legislatore attuando i principi costituzionali. Questa attuazione non è stata immediata, ha richiesto un certo tempo di gestazione. Il legislatore è tenuto a intervenire a dettare regole non più per scelte discrezionali ma per attuare nell’ordinamento i principi sanciti dalla costituzione. Per attuare questi principi, erano necessari numerosi interventi da parte del legislatore: era necessario che il legislatore intervenisse attuando i principi costituzionali. Questa attuazione non è stata immediata, l’attuazione ha richiesto un certo tempo di gestazione. I primi interventi post costituzione si hanno negli anni ‘60, si assiste ad un continuo intervento da parte del legislatore che rafforza tutto un sistema di tutele che a partire da questo momento si espande sempre più. CAMBIAMENTI POST COSTITUZIONE * Legge 1369/1960 divieto di interposizione: il legislatore interviene vietando al datore di lavoro di ricevere prestazioni di lavoro da parte di lavoratori dipendenti da altri datori di lavoro (si tratta del caporalato, cioè fattispecie triangolare in agricoltura). Questa situazione era fonte di sfruttamento, il datore non stipula il contratto lo fa assumere ad un altro soggetto, il quale mette a disposizione quel lavoratore. contrattuale ed essa si espande non solo nella gestione del rapporto, ma anche nella fase generica di esso. Tra gli anni 2011/2012 vengono emanate una serie di nuove riforme (anche se il legislatore non ha mai smesso): periodo nel quale il paese attraversa una crisi economica e in cui il governo tecnico (Monti) interviene con riforme tra le quali quella in materia di licenziamenti. * Legge 92/2012 (II riforma Fornero) in materia di licenziamenti, modifica l’art.18 St. Lv (introdotto con la legge 300/1970) prevedeva, nel caso di licenziamento non giustificato nelle imprese con N° dipendenti < 15, la sola reintegrazione nel luogo di lavoro. Introduce, nell’area applicativa dell’art.18 St. Lv., alcune ipotesi di licenziamento viziato siano sanzionate non più con la reintegrazione, ma con una semplice tutela economica (indennitaria). Da una tutela meramente economica, a quella reale a quella di nuovo economica. Quest’evoluzione si accompagna ad ulteriore introduzione di massicce dosi di flessibilità e ad un ulteriore allargamento delle tipologie contrattuali flessibili (con riguardo al contratto a termine e somministrazione di manodopera). Nel 2015, cambia nuovamente il governo e si torna a parlare di riforma del mercato del lavoro. Questa nuova stagione di riforme prende il nome di “Jobs act”. JOBS ACT è Legge 183/2014 Il governo interviene con una serie di decreti legislativi, nuove regole in materie di licenziamenti. Queste nuove regole trovano applicazione soltanto dai nuovi assunti a partire dal 7 Marzo 2015 con il decreto 23/2015 (contratto a tutele crescenti) à essa estende maggiormente le ipotesi di licenziamento invalido, sanzionate con la tutela economica nelle imprese con N dipendenti >15. La riforma del 2015 si sovrappone alla riforma 92/ 2012 Fornero, allargando l’area applicativa della tutela economica invece di quella integratoria. Si amplia tanto che, in queste imprese, per i nuovi assunti la sanzione generale in caso di licenziamento invalido non è più la reintegrazione, ma quella economica. Comprendiamo due aspetti fondamentali: 1. Primo aspetto: siamo alla fine della parabola discendente, si torna al 1966, cioè la sanzione generale in caso di licenziamento invalido è ormai quella meramente economica. 2. Secondo aspetto: gli assunti dal 7 Marzo 2015 (data di istaurazione del rapporto) si applica la disciplina 23/2015 e a coloro che erano già assunti continua ad applicarsi art.18 come modificato della legge 92/2012à la materia non è racchiusa in un unico atto normativo, la troviamo frammentata in diversi atti normativi (sovrapposizione). Periodo pandemico Nell’ultima stagione (tutto il 2020 e parte del 2021) contemporanea all’epidemia, il legislatore, per le evidenti esigenze e per evitare i problemi di ordine sociale, ha sospeso temporaneamente il potere di recesso del datore di lavoro (i licenziamenti), affiancando una serie di tutele volte essenzialmente a sostenere il reddito dei lavoratori occupati in imprese che avevano sospeso le proprie attività produttive. È stato affiancato ad alcuni strumenti di tutela del reddito che prendono il nome di “Cassa integrazione straordinaria Covid”. Per aumentare l'occupazione, il legislatore, non solo italiano, ma anche europeo hanno pensato di ampliare la flessibilità nel mercato del lavoro. Norme inderogabili Quando parliamo di norma inderogabile, dobbiamo intenderla in senso relativo: non tutte le norme sono inderogabili. Sebbene l’inderogabilità sia una norma essenziale della materia, abbiamo visto però che l’inderogabilità ha attraversato essa stessa un’evoluzione è all’inizio occupava aree molto ampie della materia e poi si è ridotta sempre di più. L’inderogabilità si riferisce non solo alla legge, ma anche al contratto lavorativo. Quindi il rapporto di lavoro è disciplinato dal contratto individuale, che però in ragione dell’inderogabilità delle norme, definisce poche regole perché la maggior parte di queste risiedono nelle fonti eteronome. CONTRATTO DILAVORO Il contratto di lavoro è la prima fonte normativa rapporto lavorativo, disciplinata da contratto individuale. Il contratto di lavoro è la prima fonte del rapporto, in ragione di ciò ci sono limiti: il contratto contiene poche regole, l’autonomia contrattuale è limitata, infatti buona parte della disciplina del rapporto è contenuta in altre fonti (esterne) c.d. fonti eteronome à la legge e il contratto collettivo. Nella contrattazione collettiva, in ragione dell’inderogabilità, la legge disciplina numerose norme inderogabili e aspetti del rapporto. La contrattazione collettiva detta anche un’altra parte della disciplina del lavoro, quindi al confronto con questo, il contratto stipulato dalle parti si riduce. DIRITTO SINDACALE (parte collettiva del contratto) Il diritto sindacale è quella parte del diritto del lavoro che si occupa delle relazioni contrattuali instaurate tra organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori e le organizzazioni di rappresentanza dei/del datori/e di lavoro. La contrattazione collettiva vede uno dei soggetti avere natura necessariamente collettiva (cioè l’organizzazione di rappresentanza dei lavoratori) e l’altro può essere un soggetto collettivo o un soggetto individuale. Poiché il contratto collettivo si riferisce a tutti i lavoratori di un’impresa, da un lato avremo sempre l’organizzazione di rappresentanza collettiva dei lavoratori, cioè quell’organizzazione che rappresenta tutti i lavoratori di quell’impresa, ma dal lato datoriale, avremo un solo soggetto, il titolare di quell’impresa à contratto aziendale. ATTIVITÀ SINDACALE L’organizzazione di rappresentanza collettiva ha una funzione di autotutela collettiva. Per equilibrare le situazioni di disparità di forza contrattuale, i lavoratori si coalizzano, anziché agire singolarmente. Quindi il movimento sindacale nasce con una funzione di autotutela collettiva. Si utilizzano strumenti come lo sciopero: astensione collettiva dei lavoratori da un'attività produttiva, con la finalità di fare pressione sull’altra parte, in modo da giungere alla stipulazione del contratto collettivo, con migliori condizioni di lavoro, salari e condizioni contrattuali. Chi si astiene dai propri lavori, scioperando, non avrà diritto ad alcuna retribuzione per quei giorni. In questo gioco di reciproche pressioni si arriverà alla stipulazione del contratto collettivo che sarà superiore alla legge e il contratto collettivo stabilirà le condizioni di lavoro di miglior favore rispetto alla legge. La contrattazione collettiva nasce come fonte di regolazione del rapporto di lavoro per la tutela del singolo, in ragione dell’articolazione del contratto individuale ha assunto altri compiti: - regolazioni tra parti collettive; - regolazione normativa del contratto collettivo; - gestione nel sistema contrattuale, quindi regolazione tar le parti collettive. E stata teorizzata l’esistenza di un ordinamento intersindacale autonomo rispetto a quello statale: sistema che produce costantemente regole. Anche l’ordinamento contrattuale collettivo costituisce un ordine autonomo (teoria dell’ordinamento intersindacale) fondata su pluralità degli 6 ordinamenti giuridici di Santi Romano, elaborata da Gino Giugni à fa capire come il sistema abbia assunto caratteristiche particolari, tali da renderlo autonomo rispetto all’ordinamento statale, collegato ad esso, ma vivendo secondo le proprie prassi e funzioni. Nonostante sia privo di una compiuta disciplina di materia e sistema di regole legali è riuscito nel tempo ad assumere connotati di stabilità, effettività, senza che ciò fosse garantito dalla legge. ORGANIZZAZIONE DEI LAVORATORI (fondamentale per capire organizzazione sindacale) Diversi modelli di organizzazione sindacale: 1. Sindacalismo di mestiere à sindacato che si organizza per rappresentare i lavoratori che fanno la stessa attività lavorativa (forte in diversi paesi, ma in Italia è in declino perché rappresenta interessi più ampi). Resiste il sindacalismo dei dirigenti (quei lavoratori che svolgono funzioni direttive) in Italia. 2. Sindacalismo di categoria à organizzazioni che si strutturano per rappresentare lavoratori di una certa categoria o settore economico. Es. categoria dei chimici, dei metalmeccanici, dei tessili, dipendenti dell’università (tutti lavoratori di quella categoria). Il sindacato che prende in carico una categoria, si chiama “federazione”, ha una struttura verticale e rappresenta tutte le persone che hanno occupazione all’interno di quel settore merceologico. Vi è un’esigenza di avere più ampia visione degli interessi rappresentati (frammenta la rappresentanza, è centrale nel nostro paese). Le strutture organizzative non sono solo nazionali, ma anche regionali e territoriali, scendendo sempre di più nella struttura verticale. CONFEDERATI AI livello nazionale però si pone un problema: i sindacati esercitano la funzione di rappresentare gli interessi dei lavoratori ma se ci fermassimo ad una visione di categoria mancherebbe una visione di insieme degli interessi dell’intera forza lavoro. La rappresentanza degli interessi della forza lavoro portata ad un livello superiore percorre trasversalmente tutte le categorie. Nasce allora l’esigenza di intersecare i livelli verticali con i livelli orizzontali, i quali si chiamano livelli confederali cioè di più federazioni. Se uniamo tutte le federazioni abbiamo le confederazioni quindi livello confederale. “Livello confederale” significa che le strutture sindacali vengono rappresentate al proprio interno e si intersecano con tutte le strutture federali di categoria. Quindi il sindacato è fenomeno complesso, in Italia abbiamo diverse confederazioni che riuniscono al proprio interno diverse strutture di rappresentanza di categoria. Le maggiori confederazioni sono: «CGIL: conf. generale del lavoro > si occupa anche dei pensionati giovani alla ricerca di lavoro «CISL: conf. Italiana Sindacati Lavoratori le quali hanno strutture orizzontali-confederali- e hanno, all’interno, anche le strutture verticali. «UIL: unione italiana del lavoro Quanti contratti collettivi possiamo avere per una stessa categoria dal momento che abbiamo diversi attori sindacali che la rappresentano? Abbiamo più confederazioni che hanno le proprie strutture nazionali di categoria. Non ci può essere una federazione di categoria che fa parte di 2 confederazioni: ogni confederazione ha le proprie strutture nazionali di categoria. Vi sono: - strutture orizzontali: rappresentano gli interessi a livello molto più ampio Co. 1: “L’organizzazione sindacale è libera”, definisce il principio di libertà sindacale, la quale s’identifica con lo stesso concetto democratico (nei sistemi dittatoriali, uno dei principi più limitati è quello della libertà sindacale). Questo principio è celebrato in numerosi trattati internazionali, tra cui l’art.23 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e l’art. 28 della carta di Nizza. “L’organizzazione sindacale è libera” significa che non è un principio indeterminabile, occorre capire entro quali confini si applica questa libertà. Organizzazione à la maggior parte delle organizzazioni sindacali sono costituite in forma associativa; tuttavia, questo art. utilizza il termine “organizzazione” per riferirsi in questo modo anche a quelle organizzazioni sindacali non costituite in forma di associazione, per es. comitati spontanei (cioè formati spontaneamente dai lavoratori senza la forma associativa). Il termine organizzazione è più ampio di quello di associazione; quindi, godono della libertà sindacale tutte le organizzazioni. Nella costituzione abbiamo già un diritto di associazione tutelato dall’art.18 della Cost. che prevede dei limiti al diritto di associazione. Art. 39 non pone alcun limite all’organizzazione di associazione. Sindacale à si riferisce ad un’attività di rappresentanza degli interessi dei lavoratori (subordinati, storicamente prevalente) ed è il fine che contraddistingue l’azione sindacale. Concetto di “interesse collettivo” non è la mera somma degli interessi individuali, è un interesse di categoria superiore al perseguimento di uno scopo comune, che può coincidere con gli interessi del singolo lavoratore ma potrebbe anche essere in conflitto. L’azione sindacale, a parità di obiettivi di rappresentanza e cioè di interessi collettivi, si distingue per gli strumenti che utilizza per rappresentare l’interesse collettivo e che sono propri del sindacato: contrattazione collettiva e lo sciopero come strumento di pressione per arrivare alla stipulazione del contratto collettivo (tutela dei lavoratori subordinati, storicamente prevalente). à strumenti mai utilizzati dal partito politico. E’ incompatibile con il co.1 dell’art.39 la rappresentanza congiunta dei lavoratori (interessi di categoria) e i datori di lavoro (del singolo). ART.39 “LIBERA” tuneD! 11 orroBRE Libertà sindacale: connota tutti i sistemi democratici. È riconosciuta dall’art. 23 della dichiarazione dell’uomo (1948) e dall’art. 28 della Carta di Nizza. Vi è un pluralismo sindacale: sul piano del diritto costituzionale, qualifichiamo “la libertà” come un diritto soggettivo pubblico. Significa che questa libertà è efficace su due piani diversi: * Verticaleà Del singolo lavoratore nei confronti dello stato. Lo Stato e il legislatore non possono porre dei limiti alla libertà sindacale, perché se ci fossero, si porrebbero in contrasto con il co.1 dell’art.39; * Orizzontaleà tra i consociati, assume efficacia anche nei confronti del datore di lavoro. Eventuali atti limitativi posti in essere dal datore di lavoro sono: la legge ordinaria, all’art.28 St. Lav. disciplina una particolare azione processuale a tutela della libertà sindacale contro gli eventuali comportamenti antisindacali posti in essere dal datore di lavoro. Chi è il titolare di questa libertà (TITTOLARITA?)? Il principale titolare della libertà sindacale è il singolo lavoratore e questa si riflette poi sull’organizzazione collettiva sindacale che a sua volta gode di libertà, in quanto gli aderenti sono liberi. In che cosa consiste questa libertà concretamente? Si distingue in: 10 * Libertà positiva: consiste nella libertà del singolo di aderire al sindacato, di organizzare, di costituire un sindacato nuovo, ma l’organismo collettivo godendo a sua volta di questa libertà derivativa, gode poi della libertà di contrattazione (art. 40 libertà sindacale). La contrattazione collettiva in altri termini è espressione della libertà di organizzazione sindacale, la libertà di trattare (che non è diritto di stipulare il contratto e contrarre, perché significherebbe mettere in una posizione di soggezione del datore di lavoro in un obbligo di accettare necessariamente il contratto collettivo) partecipare e negoziare. La conclusione del contratto collettivo dipende dalla forza e il consenso delle parti. * Libertà negativa: nessuno può imporre al lavoratore l’iscrizione al sindacato. Il lavoratore è libero di non aderire al sindacato, di partecipare al processo contrattuale, di non organizzarsi sindacalmente. Il nostro ordinamento riconosce esplicitamente la libertà sindacale negativa, ma non tutti gli ordinamenti che riconoscono libertà sindacale positiva riconoscono anche quella negativa, soprattutto nel sistema anglosassone: è consuetudine l’assunzione solo dei lavoratori che sono aderenti al sindacato (clausole shop) e vincolare i datori di lavoro ad assumere i lavoratori sindacalizzati. TUTELA DELLA LIBERTA’ SINDACALE Il principio di libertà sindacale come viene tutelato concretamente? La libertà sindacale è tutelata in modo preciso e concreto, non è un principio astratto. Lo statuto dei lavoratori, contiene la Legge 300/1970 nel Titolo II intitolato “Della libertà sindacale”, che è dedicato a tale tema. La stessa legge che all’art.18 aveva previsto la reintegrazione nel luogo di lavoro in caso di licenziamento ingiustificato. Questa legge, nel momento in cui riconosce la libertà sindacale nei luoghi di lavoro, non fa altro che porre dei limiti alla libertà di organizzazione del datore di lavoro anche se il luogo di lavoro sono di proprietà dell’imprenditore. Esso è libero di organizzare gli orari di lavoro e l’attività lavorativa purché non leda i limiti posti dal legislatore. LIMITI A FAVORE DELLA TUTELA Quali sono questi limiti? * Art.14: “Diritto di associazione a attività sindacali”à Il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale, è garantito a tutti i lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro. Il legislatore si preoccupa di dettare una serie di garanzie a tutela della libertà sindacale: vieta al datore di lavoro di porre in essere atti di gestione del rapporto motivati dall’obiettivo di limitare la libertà sindacale. Quindi il datore di lavoro, nel momento in cui esercita i suoi poteri, li deve esercitare con finalità che non siano in contrasto con la libertà sindacale. * Art.15 St. Lav.: “Atti discriminatori”à a) Sancisce la nullità di qualunque patto o atto tra le parti (lavoratore e datore) di subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale cioè cessi di farne parte; Non si può assumere o non assumere o licenziare sulla base del motivo sindacale: il motivo sindacale deve rimanere estraneo e in questo senso il lavoratore è libero di aderire o meno all’associazione o organizzazione sindacale. Il lavoratore può non temere le conseguenze. b) Licenziare un lavoratore, discriminato nell’assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale cioè della sua partecipazione ad uno sciopero. Il datore di 11 lavoro non può trasferire il lavoratore da un luogo ad un altro, promuovere un lavoratore, sanzionare disciplinarmente per lo svolgimento dell’attività sindacale. Qualunque provvedimento simile è sanzionato con la nullità dell’atto (es. clausola contrattuale), ma anche dell’eventuale accordo tra le parti. La tutela della libertà sindacale si risolve nella limitazione dei poteri del datore di lavoro: i poteri del datore di lavoro sono liberi finché perseguono un fine produttivo (organizzativo) e se non sia illecito (antisindacale)à la gestione dei rapporti di lavoro, da parte del datore di lavoro, vede compressa l’autonomia contrattuale delle parti. Finalità discriminatoria: La formulazione originaria dell’art.15 della Legge 300/1970, faceva riferimento alla libertà sindacale, ma con l’evoluzione dell’ordinamento e il passare del tempo, il legislatore si è preoccupato di tutelare il lavoratore contro la discriminazione sindacale e contro altre discriminazioni generate da altre ragioni. Questa norma è centrale nella definizione di discriminazione del lavoro. L’art. 15, dunque guadagna un ulteriore comma, il quale recita: “le disposizioni del comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti ai fini di discriminazione politica, religiosa, razziale di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali”. AI fine sindacale o antisindacale, le stesse conseguenze (nullità del patto o atto), si applicano anche laddove l’occupazione o gli atti di gestione del rapporto siano motivati da una delle altre ragioni discriminatorie. L'elenco è tassativo o esemplificativo? Ci sono altre ragioni discriminatorie rispetto a quelle indicate dal legislatore? La giurisprudenza della corte di giustizia adotta la linea più rigorosa: le ragioni discriminatorie sono solo tassative, quindi le ragioni riportate all’art.15 lo sono anche. In realtà, il problema va ridimensionato perché tra le ragioni discriminatorie, abbiamo anche le convinzioni personali e questo amplia di molto tutte le altre possibili ragioni. Gli strumenti di difesa del lavoratore in caso di discriminazione sono l’azione in giudizio per ottenere la dichiarazione di nullità dell’atto posto in essere dal datore di lavoro e diritto di risarcimento. La prova della discriminazione è difficile, perché non si è mai visto un datore di lavoro che adotta l’atto di gestione del rapporto scrivendo la ragione discriminatoria. L'onere della prova incombe sul lavoratore. L’Art.16 “Trattamenti economici collettivi discriminatori” È una diretta conseguenza dell’art.15 e si preoccupa di vietare i trattamenti discriminatori collettivi. Se si tutela il lavoratore contro discriminazioni sul lavoro dovuto a ragioni sindacali, a maggior ragione si dovranno tutelare i lavoratori ove discriminati in senso collettivo. L’art. recita: “E’ vietata la concessione di trattamenti economici di maggior favore aventi carattere discriminatorio ex dell’art.15. Il giudice del lavoro, su domanda dei lavoratori nei cui confronti è stata attuata la discriminazione di cui al comma precedente o delle associazioni sindacali alle quali questi hanno dato mandato, accertati i fatti, condanna il datore di lavoro al pagamento, a favore del fondo adeguamento pensioni, di una somma pari all’importo dei trattamenti economici di maggior favore, illegittimamente corrisposti nel periodo massimo di 1 anno.” Posso concedere trattamenti di miglior favore ai lavoratori che non aderiscono allo sciopero? No (art. 15, lett. b) à La discriminazione esiste se non ha alcun collegamento con la prestazione lavorativa, perché soltanto a queste condizioni diventa elemento di discriminazione; se ha un collegamento diretto con la prestazione collettiva non è più una discriminazione, ma diventa un requisito professionale. 12 (espressione di una concorde volontà delle parti contraenti e che in linea di diritto si applica a coloro i quali si sono iscritti a quella categoria stipulante). ASSOCIAZIONE SINDACALE Si tratta di associazione sindacale se costituita in forma di associazione, si applicheranno gli artt. delle associazioni non riconosciute perché il sindacato non era favorevole all’attuazione dell’art. 39, quindi era abbastanza difficile che cercasse il riconoscimento come associazione del diritto comune. Le associazioni sindacali sono quelle NON riconosciute (non c’è il controllo del potere pubblico, nessuna registrazione, nessun riconoscimento, nessuna autonomia patrimoniale): - Art. 36 cc: l’ordinamento interno e l’amministrazione sono regolati dagli accordi degli associati; - Art. 37 cc: i contributi e i beni acquistati con essi costituiscono il fondo comune; - Art. 38 cc: delle obbligazioni rispondono il fondo comune e personalmente coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione. Quando è caduto l’ordinamento corporativo e una volta disapplicata tutta la seconda parte dell’art.39, non c’è più nulla di tutto ciò che riguardi i co. 2,3,4 dell’art.39 è i sindacati sono semplici associazioni non riconosciute e prive di personalità giuridica, non vi è alcuna autonomia patrimoniale e rispondono coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione. Queste sono le uniche norme che si applicano al sindacato in ragione della scelta astensionistica e privatistica. Nasce un’anomalia: vi è l’applicazione di una disciplina piuttosto scarna per regolare un fenomeno di dimensione e di rilevanza particolare, ma nel cc non c’è niente che preveda le associazioni sindacali. Queste norme del cc non sono state fatte per regolare le associazioni sindacali e il contratto collettivo. Riconoscimento di importanti funzioni pubblicistiche di regolazione del mercato del lavoro a fronte di una scarna disciplina privatistica (cfr. funzioni degli enti bilaterali). RINVIO DELLA LEGGE ALLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA: problema della selezione del contratto collettivo, a quale contratto collettivo rinvia la legge? Il fenomeno sindacale, nonostante fosse scarsamente regolato, non ha impedito di rinviare ai contratti collettivi con funzione di integrazione della legge. Il contratto collettivo al quale rinvia il legislatore, riconoscendogli in questo modo, un importante funzione sociale di regolazione del lavoro, comporterà che quel contratto collettivo sarà di diritto comune (abbiamo una singolarità: una funzione normativa, attribuita ad una fonte primaria privatistica à la legge viene integrata da un contratto di diritto comune). Questione della misurazione della rappresentatività: è la capacità del sindacato e quindi del contratto collettivo, di rappresentare i lavoratori di un certo ambito: se si hanno tanti contratti collettivi, il legislatore rinvierà al contratto collettivo stipulato dal sindacato più rappresentativo (che ha la maggiore capacità di rappresentare quella categoria, cioè il più forte tra i sindacati). COME MISURARE LA RAPPRESENTATIVITÀ Inizialmente l’art. 19 St. Lav. parlava di criterio di maggiore rappresentatività e la giurisprudenza aveva individuato i seguenti criteri: - Numero di iscritti; - Partecipazione costante ed effettiva alla contrattazione collettiva; - Diffusione territoriale. Nell’evoluzione, il legislatore ha utilizzato un altro criterio della maggiore rappresentatività comparata, cioè norme di legge che rinviano non più soltanto al contratto collettivo stipulato dal maggiormente rappresentativo, ma che rinviano al contratto collettivo stipulato dal sindacato 15 comparativamente più rappresentativo es. contratto collettivo dei riders è (auto- accreditamento maggioranza). CHE COS'E’ IL CONTRATTO COLLETTIVO DI DIRITTO COMUNE? Il contratto collettivo di diritto comune (in ragione della mancata attuazione di parte dell’art. 39 e perché è regolato con le norme generali in materia di contratti, non avendo una disciplina specifica per il contratto collettivo) è espressione della libertà di organizzazione aziendale, della volontà negoziale delle parti è si arriva alla stipulazione del contratto solo nel momento in cui, in ragione dei rapporti di forza, le parti decidono di sottoscrivere il contratto. I soggetti stipulanti, cioè le associazioni sindacali, stipulano il contratto non solo perseguendo interessi dell’associazione, ma anche l’interesse dei lavoratori nello stabilire le regole che si applicheranno ai contratti individuali. Il contratto collettivo è eventuale, cioè nulla impedisce che in un determinato ambito, le parti non riescano ad arrivare alla conclusione del contratto, ma può accadere che entrambe le parti siano interessate a stipulare un contratto collettivo e in quel caso verrà stipulato nel momento in cui entrambe le parti riterranno soddisfacente quel punto di equilibrio tra i contrapposti interessi. I rapporti di forza nella contrattazione collettiva non sono diversi, sono diversi gli strumenti perché una parte (le organizzazioni dei lavoratori), esercitano una forza sull’altra parte attraverso lo sciopero. Attenzione: non si deve pensare che ogni contratto collettivo abbia bisogno dello sciopero per essere concluso. CONTRATTO COLLETTIVO come CONTRATTO INNOMINATO Possiamo ricondurre il contratto collettivo al principio dell'autonomia contrattuale dell’art. 1322 cc. à il contratto collettivo dovrebbe essere qualificato come un “contratto innominato”: un genere contrattuale che non ha una propria disciplina specifica. Infatti, l’art. 1322 co. 2 autorizza le parti contraenti a concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare ed l’art. 1322 cc autorizza l’autonomia contrattuale a dare vita a tipi innominati purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela. Siamo davvero di fronte a un contratto innominato? Sì, le norme del cc dedicate ai contratti collettivi si riferiscono al “contratto collettivo corporativo” e non quello di diritto comune. Tuttavia, la legislazione del lavoro, rinvia numerose volte al contratto collettivo di diritto comune quindi possiamo dire da un punto di vista formale codicistico che il contratto collettivo di diritto comune è un contratto innominato. Non è sconosciuto al legislatore, dunque è innominato anche in senso sostanziale questa differenza tra l’essere innominato in senso sostanziale o in senso formale è il frutto della contraddizione tra scelta astensionistica e scelta interventista nell’incentivare il fenomeno sindacale. Si dice di diritto comune perché applichiamo le norme in materia di contratti cioè l’art. 1321 ss., ma non abbiamo una disciplina specifica perché agli art. 2067 e ss. c.c. fanno riferimento al contratto collettivo, ma è evidente che il contratto collettivo a cui si riferiscono queste norme, sia il contratto collettivo corporativo. 1. Per ragioni cronologiche: queste norme sono state dettate pre-entrata in vigore costituzione, 2. Perla ragione secondo cui queste norme presuppongono un unico contratto e sindacato per ogni categoria e per ogni ambito rappresentato (l’efficacia erga omnes del contratto collettivo). 16 L’elemento di diversità tra quelli corporativi e di diritto comune sta nel fatto che i due contratti rispondono a un modello sindacale diverso: in un caso quello corporativo, che è espressione della negazione della libertà sindacale; quello di diritto comune è espressione dell’art. 39 co.1: di libertà di organizzazione sindacale. Essendo modelli sono incompatibili, le norme dettate per il contratto non sono applicabili a quello collettivo di diritto comune. Questa disciplina di diritto comune è insufficiente a regolare un fenomeno di tale complessità. Serie di problemi che si è cercato di risolvere in vario modo: - mancata attuazione della seconda parte dell’art.39 cost. - mancanza di una disciplina specifica del contratto collettivo - applicazione delle regole del Codice civile - Insufficienza della disciplina di diritto comune PROBLEMI. Quali sono? Dal momento che siamo all’interno di una materia non regolata, i problemi sono numerosi. - Individuazione delle materie di contrattazione - Individuazione dei soggetti stipulanti LE REGOLE DEL SISTEMA CONTRATTUALE - Definizione delle procedure di stipulazione -Individuazione dell’ambito di riferimento } IL PROBLEMA DELLA CATEGORIA Riguarda il singolo che, una volta concluso il contratto, deve individuare la categoria. Si.pone solo quando si parla di contratto nazionale di categoria. -Individuazione dei lavoratori ai quali si applica il contratto } EFFICACIA SOGGETTIVA Non avendo efficacia erga omnes, si applicherà a tutti e solo i lavoratori di quella categoria e anche coloro non iscritti? Secondo problema: una volta individuata la categoria, occorre capire a quali lavoratori si applica quel contratto che si riferisce a quella categoria. Non essendo stato attuato l’art.39, il contrato collettivo di diritto comune è privo di efficacia erga omnes; nasce quindi il problema di estendere l’efficacia soggettiva del contratto collettivo di diritto comune anche ai lavoratori che non sono iscritti al sindacato. -Rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale } EFFICACIA OGGETTIVA Una volta individuata la categoria, ambito soggettivo del contratto, si presenta il problema ai tar rispettare 11 contratto dalle parti. Dal momento che il contratto collettivo ha la funzione di stabilire regole contrattuali uniformi a livello individuale, per poter assolvere a questa funzione, le parti individuali, non devono potere derogare in senso peggiorativo al contratto collettivo altrimenti il contratto collettivo sarebbe inutile. Come si costruisce l’inderogabilità di una norma contrattuale di diritto comune priva di una sua disciplina da parte di un’altra norma? Non siamo nello schema della norma inderogabile e di legge e contratto (nullità parziale e sostituzione della clausola difforme). L’inderogabilità deve essere attribuita al contratto collettivo. PROBLEMA I: REGOLE DEL SISTEMA CONTRATTUALE (CON 3 SOTTOPROBLEMI) Dal momento che: - siamo all’interno di un contesto fortemente ispirato alla libertà sindacale; - la contrattazione collettiva è espressione della libertà sindacale; - il legislatore non ha mai cercato di intervenire, Sono le parti stesse che vogliono/possono dotarsi di regole procedurali. Evoluzione Per lungo tempo, il procedimento contrattuale collettivo era determinato dai rapporti di forza tra le parti stesse, ciò significa che più il sindacato più era forte, più aveva iscritti e maggiore era la sua capacità di rappresentare gli interessi dei lavoratori e di imporsi all’altro contraente. In base alla forza del sindacato dipendeva poi il comportamento dell’altra parte. Man mano che il sistema si è istituzionalizzato e stabilizzato, le stesse parti contrattuali hanno avvertito l’esigenza di stabilire delle regole di cornice e di regolare il procedimento contrattuale (autoregolamentandosi). 17 collettivo è obbligatorio per tutti gli imprenditori e i prestatori di lavoro rappresentati dalle associazioni stipulanti” - Art. 2070: “L'appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell'applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l'attività effettivamente esercitata dall'imprenditore”. Riferendosi al contratto collettivo corporativo, sono inapplicabili al contratto collettivo di diritto comune; la mancata attuazione della seconda parte dell’art. 39 priva il contratto collettivo nazionale di categoria dell’efficacia erga omnes. Come applicare il contratto collettivo al contratto individuali Il contratto collettivo di diritto comune ha efficacia solo privatistica. Qui vi è il problema: se il contratto collettivo di diritto comune assume efficacia solo privatistica, si applica solo ai soggetti stipulanti e non ai terzi, poiché non può avere alcun effetto nei confronti di questi ultimi. La conseguenza è che i sindacati non stipulanti, i relativi iscritti, i lavoratori non iscritti ad alcun sindacato stipulante o lavoratori iscritti ad un sindacato che non hanno voluto stipulare quel contratto [] sono tutti soggetti terzi rispetto al contratto collettivo. Quindi, il contratto collettivo dovrebbe assumere efficacia diretta soltanto nei confronti dei lavoratori iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti. Soltanto nei confronti dei lavoratori iscritti all'organizzazione stipulante, il contratto stipulato dalla parte collettiva può avere efficacia (un collegamento giuridico tale da non rendere quei lavoratori del tutto estranei a quella fattispecie contrattuale). Qual è il fondamento dell’applicazione di questo contratto, posto che il lavoratore si iscrive semplicemente all’associazione? In dottrina sono state fornite diverse soluzioni di questo problema. RISPOSTE DELLA DOTTRINA La teoria classica è quella che fa leva sul concetto di rappresentanza: Teoria della rappresentanza: Gli iscritti al sindacato conferiscono mandato (art. 1718 c.c.) all’organizzazione sindacale affinché ne rappresenti gli interessi attraverso la stipulazione del contratto collettivo (art. 1387 c.c.). Dunque, secondo questa teoria, gli iscritti al sindacato (lavoratori), non si stanno semplicemente iscrivendo ad un'associazione ma stanno conferendo un mandato all'associazione stessa per stipulare il contratto. Il mandato conferisce rappresentanza, il rappresentante stipula in nome e per conto del mandante e quindi il mandante si vincola a rispettare il contratto collettivo concluso. Mandato ee Rappresentanza ai» = Applicazione del contratto collettivo Problemi: - L'iscrizione al sindacato può davvero essere qualificata come un mandato? - Il sindacato stipulante rappresenta gli interessi di ciascun lavoratore singolarmente considerato? - L’interesse del singolo può essere sacrificato nella dimensione collettiva. Gli sforzi della dottrina cercano di colmare le lacune di una disciplina praticamente inesistente, cercando soluzioni nei princìpi generali del Codice civile o prendendo in prestito norme dettate per istituti giuridici diverse. Circa il mandato con rappresentanza, il c.c., nel momento in cui ha regolato il mandato con rappresentanza non si riferiva al contratto collettivo con schema logico giuridico, mandato è rappresentanza è mandante che si vincola alle norme stipulate. Perché questa soluzione non si adatta perfettamente alle nostre esigenze e quali sono questi problemi? L'iscrizione al sindacato può essere qualificata come un mandato? 20 Prima argomentazione contraria all'utilizzo di uno schema di questo tipo: il sindacato stipulante rappresenta gli interessi di ciascun lavoratore, singolarmente considerato. Ricordando la concezione dell’interesse collettivo, che non è la somma degli interessi individuali ma la sintesi degli stessi, se usiamo lo schema del mandato, stiamo supponendo che il singolo lavoratore conferisca il mandato a rappresentare i propri interessi individuali. Lo schema crea dei problemi perché l'interesse del singolo può essere sacrificato nella dimensione collettiva. (*) Come si utilizza lo schema del mandato? Ipotizzando che il singolo lavoratore abbia conferito il mandato all'associazione sindacale per stipulare un contratto collettivo, è chiaro il problema. (*) La teoria del mandato nel corso del tempo assume ulteriori correttivi da parte degli interpreti. Quali sono questi correttivi? “La rappresentanza non si riferirebbe all’interesse del singolo ma all’interesse collettivo inteso non come somma degli interessi individuali ma come sintesi degli stessi.” RAPPRESENTANZA + INTERESSE COLLETTIVO EFFICACIA SOGGETTIVA NEI CONFRONTI DEGLI ISCRITTI È come se questi interessi cui si riferisce la norma non fossero più quelli del singolo lavoratore che conferisce mandato, ma l'interesse della moltitudine di lavoratori che conferiscono mandato. C'è anche un tentativo dottrinale di superare i limiti della lettura tradizionale. Secondo alcuni, il fondamento dell'efficacia soggettiva del contratto collettivo di diritto comune non è l’istituto della rappresentanza civilistica ma il riconoscimento da parte dell’art. 39 co. 1, Cost. dell’autonomia collettiva come forma di autonomia privata (il sindacato diventa portatore diretto degli interessi collettivi degli iscritti). La norma che giustifica l'applicazione del contratto è l’autonomia delle parti, sia a livello collettivo e individuale. Sono le parti che, esprimendo la propria libertà sindacale, decidono di stipulare il contratto collettivo e a livello individuale di farsi regolare da quel contrattoà non è necessaria la rappresentanza o il mandato. AUTONOMIA PRIVATA COLLETTIVA + INTERESSE COLLETTIVO EFFICACIA SOGGETTIVA NEI CONFRONTI DEGLI ISCRITTI Rimane ancora privo di soluzione il problema principale à mancata attuazione dell’art. 39 (II parte) L’applicazione del contratto collettivo presuppone che il lavoratore e il datore di lavoro siano entrami i alla rispettiva associazione stipulante (perché altrimenti siamo dinanzi a soggetti ‘terzi’). Cosa accade se: - Illavoratore è iscritto e il datore di lavoro non è iscritto: come si applica il contratto collettivo di diritto comune? L’art. 39 co.1 non basta, poiché il contratto collettivo sarebbe fattispecie estranea rispetto al datore di lavoro non iscritto; - Il datore di lavoro è iscritto e il lavoratore non è iscritto; - Entrambi non sono iscritti ad alcuna associazione stipulante. Risolti i problemi del legame giuridico tra lavoratore iscritto e associazione stipulante e della rappresentanza, è necessario capire come fare ad estendere il contratto collettivo se il datore di lavoro non è iscritto o viceversa. MECCANISMI DI ESTENSIONE DEL CONTRATTO COLLETTIVO ELABORATI DALLA GIURISPRUDENZA 21 -Se il datore di lavoro è iscritto all’associazione stipulante e il lavoratore no: applicherà il contratto collettivo a tutti i lavoratori (anche i non iscritti alla rispettiva associazione stipulante) per ragioni pratiche (gestione di un rilevante numero di contratti con le stesse condizioni) e per non incorrere nella violazione dell’art. 15 St. Lav. (“Atti discriminatori”) e dell’art. 16 St. Lav. (“Trattamenti economici collettivi discriminatori”). Infatti, applicare il contratto collettivo a certi lavoratori (iscritti) e non ad altri, vorrebbe dire essenzialmente applicare certe condizioni di lavoro ad alcuni diverse rispetto ad altri (es. non iscritti). La ragione di questa differenza di trattamento sta nel fatto che un lavoratore è iscritto all’associazione sindacale e un altro non è iscritto (quindi dipende dall’affiliazione o meno del lavoratore al sindacato). Ma gli artt. 15 e 16 St. Lav. affermano che: ART. 15 à il datore di lavoro non può applicare condizioni differenti tra lavoratori in base all’adesione o meno da parte degli stessi ad un'associazione sindacale; ART. 16 à il datore di lavoro non può applicare trattamenti economici collettivi diversi tra lavoratori sulla base dell’affiliazione o meno. -Se il datore di lavoro non è iscritto all’associazione stipulante: si trova dinanzi ad un problema pratico di grande rilevanza à dovrà disciplinare ogni singolo aspetto che non è disciplinato dalla legge (che rinvia spesso ai contratti collettivi): orario di lavoro, retribuzione etc..., con il rischio che le clausole poste possano essere non conformi alla legge. Adesione esplicita: All’interno del contratto individuale, il datore di lavoro può rinviare alla fonte eteronoma (contratto collettivo) per disciplinare il contratto individuale. Non è necessario essere iscritti all’associazione stipulante per far sì che il contratto individuale sia regolato da quello collettivo. Infatti, il contratto collettivo costituisce una fattispecie a adesione aperta e chiunque nell’esercizio dell’autonomia individuale può scegliere di rinviare al contratto collettivo. In questo caso il contratto si applicherà a soggetti terzi ma solo perché l’hanno voluto sulla base della loro autonomia negoziale. Nel momento in cui si rinvia al contratto, l’adesione diventa vincolante per accordo tra le parti individuali anche per i successivi rinnovi contrattuali. Adesione implicita: Senza aderire esplicitamente al contratto e senza essere iscritto ad alcuna associazione stipulante, il datore di lavoro applica di fatto al contratto individuale la disciplina contrattuale collettiva al contratto individuale di lavoroà è un comportamento negoziale rilevante (art. 1362 co. 2 c.c.). Cosa accade se qualcuno non è d’accordo con il rinvio al contratto collettivo? (operazione giurisprudenziale con maggiori effetti pratici) Se il lavoratore e il datore di lavoro non sono iscritti ad alcuna associazione e non si verifica alcuna adesione esplicita o implicita al contratto collettivo (chi decide il livello di retribuzione?): la giurisprudenza estende l’efficacia soggettiva del contratto collettivo assumendo che lo stesso sia parametro di individuazione della retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 Cost. Ma l’art. 36 Cost. non parla affatto di contrati collettivi: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.” 22 -non applicare il contratto collettivo (ma in questo modo anche la disciplina legislativa rinvia comunque al contratto collettivo). È legittima questa norma, tenuto conto del ia negativa dell’art. 39 Cost.? Secondo la giurisprudenza, il meccanismo del “minimale contributivo” non riguarda l’’applicazione” del contratto collettivo, ma la quantificazione dei contributi previdenziali è parametro di calcolo della contribuzione che utilizza essa come criterio. Ciò non implica alcuna applicazione del contratto collettivo al contratto individuale di lavoro. LEZIONE 19.10.21 L’estensione del contratto collettivo è un orientamento giurisprudenziale à estende di molto l'efficacia del contratto collettivo, ma soltanto della parte retributiva e soltanto del minimo retributivo. Il meccanismo di ragionamento che svolgono i giudici è: in caso di retribuzione inferiore ai minimi contrattuali il lavoratore può agire in giudizio al fine di accertare la conformità o meno di tale livello retributivo all'art. 36 Cost. I giudici ritengono che le retribuzioni inferiori al minimo contrattuale siano nulle per contrasto con l'art. 36, perché la retribuzione proporzionata e sufficiente viene individuata attraverso il parametro costituito dal contratto collettivo e grazie all’art. 2099 cc si rinvia al giudice l'individuazione della retribuzione corretta, viene individuato il valore stesso o un parametro identificativo (che è di solito quello dei contratti collettivi). Si combinano l'art. 36 Cost. e art. 2099 ce. Quindi si tratta di un orientamento giurisprudenziale; il giudice può definire la retribuzione conforme all'art. 36 utilizzando un parametro diverso, e non solo. Questa estensione del contratto collettivo è subordinata all’azione in giudizio del lavoratore: non è un’applicazione automatica. Infine, non è l’intera disciplina contrattuale collettiva che viene applicata, ma soltanto la parte retributiva. Di fronte a un orientamento consolidato che estende la parte retributiva del contratto, il datore di lavoro è incentivato ad applicare l'intera disciplina contrattuale, quindi con un effetto di trascinamento nella consapevolezza che la parte retributiva, in caso di azione in giudizio, sarà applicata anche ai non iscritti e il datore di lavoro è così indotto ad applicare (per facilità di gestione dei rapporti di lavoro) anche la restante disciplina del contratto collettivo. Anche il legislatore ha utilizzato degli strumenti per estendere l'efficacia soggettiva del contratto collettivo ai lavoratori e datori di lavoro non iscritti ad alcuna associazione stipulante. Da questo punto di vista però si pone un problema importante che ha dato luogo ad alcuni interventi della Corte costituzionale: la II parte dell’ art. 39 Cost non è stato attuato, ma questo non vuol dire che sia scomparso, ma resta pienamente vigente ed esercita una efficacia negativa sui meccanismi di estensione del contratto collettivo da parte del legislatore. L'efficacia negativa della II parte dell’art 39. Cost. consiste nell'impossibilità costituzionale da parte del legislatore di perseguire e di realizzare erga omnes le norme del contratto collettivo in modo diverso da quanto prescritto dalla II parte dell'art. 39 cost. In altri termini, l'attribuzione legislativa dell'efficacia erga omnes del contratto collettivo può avvenire solo attraverso l'adozione della II parte dell'art. 39. Non si parla dei meccanismi di estensione analizzati fino ad ora (operati dalla giurisprudenza per via interpretativa) ma degli interventi del legislatore vincolato all’attuazione della II parte dell'art. 39. Il problema si pone rispetto all'intervento del legislatore, posto verso la fine degli anni ‘50 con la legge delega 741/1959 — legge Vigorelli dal nome del ministro; con questa il Parlamento aveva delegato il Governo ad emanare norme giuridiche, aventi forza di legge, al fine di assicurare minimi 25 inderogabili di trattamento economico e normativo nei confronti di tutti gli appartenenti ad una medesima categoria. L’art 39 Cost. non è stato attuato, e il legislatore si rende conto della necessità di garantire minimi di trattamento economico e normativo perché il contratto collettivo non ha efficacia erga omnes. Il Parlamento allora stabiliva che, nel determinarli, il Governo avrebbe dovuto uniformarsi a tutte le clausole di singoli accordi economici contratti collettivi, anche intercategoriali, stipulati dalle associazioni sindacali prima dell'entrata in vigore della legge. Vengono depositati presso il Ministero del Lavoro i contratti collettivi e il governo li inserisce all'interno di decreti — la forma era di norma di legge, di decreto, ma il contenuto era quello del contratto. Il risultato che il legislatore aveva conseguito era rendere legge (obbligatoria per tutti), un contratto che non poteva avere efficacia in ragione della mancata attuazione dell'art. 39. Si limitavano al recepimento dei m.t.e., ma recepiva integralmente il contenuto del contratto. In questo modo il contratto collettivo assumeva integralmente efficacia legale generale, questi decreti sono ancora in vigore - quando il contratto collettivo di diritto comune attuale non può trovare applicazione perché il lavoratore o il datore di lavoro non sono iscritti, vengono richiamati i c.d. DECRETI ERGA OMNES. Formalmente il legislatore non aveva dichiarato l'efficacia erga omnes del contratto collettivo: il meccanismo sottile era nel contratto collettivo, che assumeva efficacia erga omnes in quanto recepito all'interno di un atto avente forza di legge, il legislatore aveva ottenuto il risultato della II parte dell’art 39 Cost. senza avergli dato attuazione. Il problema che si è posto dal punto di vista costituzionale era la legittimità di questo tipo di soluzione rispetto all' art. 39 della Costituzione, può quindi il legislatore aggirare l’art. 39 e ottenere lo stesso risultato? La Corte costituzionale è stata chiamata ad intervenire sulla legittimità costituzionale della legge Vigorelli, perché il contratto collettivo dei metalmeccanici (la più ampia platea di lavoratori) non viene stipulato in tempo per poter essere depositato presso il Ministero del Lavoro ed essere recepito sotto forma di decreto; quindi, il legislatore dovette, con la legge 1027/1960, prorogare il termine di deposito dei contratti per poter rendere erga omnes anche quest'ultimo contratto. Questo meccanismo (eccezionale, limitato, temporaneo con un termine di deposito) inizia a diventare stabile, tanto che è stato prorogato. La Corte costituzionale, con la sentenza 106/1962 - chiamata ad intervenire sulla legittimità sia della legge delega 741/1959 quindi la prima legge, sia sulla legittimità costituzionale della proroga 1027/1960- dichiara la legittimità della legge 741/1959, mentre dichiara l’illegittimità della proroga della 1027/1960. Perché? 1. “Salva” la legge Vigorelli 741/1959 perché transitoria, provvisoria ed eccezionale, ed era rivolta a regolare una situazione passata e per tutelare l'interesse pubblico della parità di trattamento dei lavoratori e dei datori di lavoro. In sostanza la Corte costituzionale sa bene che a causa della mancata attuazione dell'art. 39 il legislatore si è trovato davanti ad un problema enorme, ovvero quello di garantire dei minimi di trattamento economico e normativo a milioni di lavoratori ai quali il contratto collettivo non poteva trovare diretta e automatica e obbligatoria applicazione. Quindi la corte, ben consapevole di questa esigenza, riconosce la legittimità della legge 741/1959, cioè la meritevolezza delle esigenze che ha spinto il legislatore ad applicare quel meccanismo senza attuare l'art. 39. 2. Di fronte però alla proroga (1027/1960), il discorso cambia: perché per esigenze eccezionali e provvisorie è possibile aggirare l'art. 39, non può però diventare un 26 meccanismo stabile perché l’unico meccanismo costituzionalmente imposto per garantire l’efficacia erga omnes dei contratti collettivi è quello di dare attuazione alla II parte dell’art. 39. Non può sostituire al meccanismo costituzionale dell'art. 39 un altro meccanismo da lui discrezionalmente individuato; se vuole garantire l'efficacia erga omnes deve attuare l'art. 39à questa è l’efficacia negativa della II parte dell’art 39. Non ci sono altre vie per farlo. Pur non essendo attuato l’art.39 cost., continua a condizionare il legislatore sul contratto collettivo. L’efficacia negativa dell'art. 39 impedisce al legislatore di attribuire in un’altra forma l'efficacia erga omnes al contratto collettivo (efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alla categoria), ma essa non impedisce al legislatore di incentivare l'applicazione del contratto collettivo. Si tratta di meccanismi di incentivazione, non di attribuzione diretta dell’efficacia erga omnes. Enorme differenza giuridica tra l'efficacia obbligatoria diretta e l'incentivazione, uguale a quella tra obbligo e onere: - Obbligo: rappresenta una posizione giuridica passiva e comporta per il soggetto obbligato un comportamento dovuto; - Onere (incentivazione): la parte resta libera di scegliere se applicare o meno il contratto collettivo, sapendo che, se lo applicherà il contratto conseguirà un certo risultato (un incentivo, un vantaggio), se non lo applicherà non conseguirà quel vantaggio. Questo ha consentito al legislatore di intervenire con numerosi incentivi che hanno esteso l'efficacia del contratto collettivo. Gli incentivi sono, l’art 36 St. Lav. che afferma nei provvedimenti di concessione di benefici alle imprese deve essere inserita la clausola che “esplicita l’obbligo per il beneficiario o appaltatore di applicare o di fare applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona” ; ci sono poi diverse norme disseminate in tutta la legislazione lavoristica che prevedono sconti fiscali, sconti contributivi, sgravi di diverso tipo per l'assunzione dei giovani, per l'assunzione in aree geografiche economicamente depresse, così via numerosissimi norme che condizionano l’applicazione degli incentivi all'applicazione dei contratti collettivi; La scelta del sindacato, dovuta al timore del controllo pubblico, di non avere l'attuazione dell'art. 39, e di non conseguire l’efficacia erga omnes sul piano legislativo, ha portato ugualmente ad un risultato molto vicino a quello che l'attuazione dell'art. 39 avrebbe garantito. Sono certi di non volere l'attuazione dell'art. 39, ma comunque il contratto collettivo di diritto comune ha un'efficacia soggettiva di gran lunga superiore a quella garantita dall'art. 1372 c.c. MECCANISMI DI NATURA CONTRIBUTIVA L’art.1 del decreto-legge 338/1989, convertito in legge 389/1980 stabilisce che “La retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo.” In numerosi casi il legislatore non definisce esattamente il contenuto della disciplina, ma rinvia alla contrattazione collettiva. Quindi, le parti a livello individuale si trovano dinanzi a questa scelta: -applicare il contratto collettivo; 27 sindacato ma ad un altro sindacato che, non solo non ha sottoscritto quel contratto ma si è posto in aperto dissenso con la stipulazione (dichiaratamente contrario alla stipulazione di quel contratto). Una cosa è applicare il contratto al lavoratore non iscritto ad alcuna associazione sindacale e quindi estendere l'efficacia del contratto collettivo. Altra cosa, invece, è applicare il contratto sottoscritto da un sindacato a lavoratori iscritti ad un sindacato contrario alla stipulazione di quel contratto. Ed è quanto avvenuto nel caso di un'importante azienda. IL PROBLEMA DELL’EFFICACIA SOGGETTIVA DEGLI ACCORDI SEPARATI Dottrina e giurisprudenza per un lungo periodo si sono sforzati di costruire l'obbligo del datore di lavoro iscritto all'associazione stipulante, ad applicare il contratto collettivo a tutti i propri dipendenti. Sicché, in questo caso, l'alternativa è semplicemente iscritto o non iscritto: o lavoratore iscritto al sindacato stipulante o lavoratore non iscritto. Questo schema presuppone che il sindacato stipulante, sottoscriva uno e un solo contratto, ma se il fronte sindacale si frammenta (i sindacati possono essere tanti), e cioè i sindacati non sono tutti uniti, nella stipulazione quel contratto qualche sindacato è contrario all'applicazione di quel contratto, alla stipulazione, il problema dell'efficacia soggettiva si complica. Perché? Perché non avremo solo lavoratori iscritti e non iscritti al sindacato stipulante, ma avremo una terza categoria di soggetti: lavoratori iscritti a un sindacato contrario alla stipulazione del contratto. Diventa quindi delicato se rispondiamo affermativamente al problema dell'efficacia soggettiva, rischiamo di applicare il contratto collettivo stipulato da alcuni sindacati a lavoratori iscritti a sindacati che non volevano stipulare quel contratto. Infatti, tentativi di risolvere il problema dell'efficacia soggettiva, cioè tutti quei meccanismi che abbiamo visto finora, entrano inevitabilmente in crisi in caso dei cosiddetti accordi separati, cioè quando il contratto collettivo viene accettato solo da alcuni sindacati e non da tutti. ACCORDI SEPARATI Che cosa si intende per accordi separati? [] durante il caso Fiat, cioè durante il rinnovo del contratto applicabile a questa azienda è accaduto che, il contratto dei metalmeccanici (federazioni nazionali di categoria) sia stato accettato da 2/3 dei sindacati. - Rinnovo del contratto nazionale o aziendale da parte soltanto di alcune delle organizzazioni sindacali che avevano stipulato il precedente contratto e con l’esplicito dissenso di una o più organizzazioni sindacali (caso FIAT). Il sindacato che rifiuta il contratto è la FIOM-CGIL, accettato invece dalla FIM e UILM. Il datore di lavoro può applicare il contratto collettivo sottoscritto da alcune organizzazioni sindacali agli iscritti al sindacato dissenziente? CASO FIAT / Metalmeccanici 2008/ 2009 [] stagione di crisi a livello internazionale. Contratto collettivo metalmeccanici del 2008 [] il contratto scadeva per la parte economica il 31/12/2009, per la parte normativa, cioè la parte di disciplina del rapporto di lavoro scadeva il 31/12/2011. Quindi le tabelle salariali scadevano nel 2009, la parte invece di disciplina del rapporto di lavoro scadeva nel 2011. Livello interconfederale 22 gennaio 2009 [] viene stipulato un accordo interconfederale che cerca di dare più importanza al contratto aziendale nel gioco dei due livelli di contrattazione. Questo accordo interconfederale non viene sottoscritto dalla Fiom-Cgil, che ritiene di dover continuare a riconoscere maggior peso alla contrattazione nazionale anziché quella aziendale. Si arriva quindi ad 30 un contratto nazionale di categoria metalmeccanici che viene sottoscritto non da tutte le organizzazioni sindacali (Fiom). Accordo di Pomigliano 15 giugno 2010 [] viene stipulato nell'azienda Fiat e viene sottoscritto solo da alcune organizzazioni: FIAT, FIM, UILM e FISMIC, con l’esplicito rifiuto della Fiom-Cgil. Perché? Perché ritiene che le materie inserite in quel contratto aziendale, in ragione di quell’accordo interconfederale del 2009, siano materie eccessive per un contratto aziendale. In altri termini, quella organizzazione sindacale, non avendo accettato una maggiore importanza del livello aziendale, poi alla fine non stipula il contratto di quella specifica azienda. Referendum tra i lavoratori[] Il 60% dei voti è a favorevole al contratto. La situazione si complica: vi è un sindacato dissenziente che non ha accettato l'accordo interconfederale e non ha accettato l'accordo aziendale, ma il referendum indica che la maggioranza dei lavoratori è favorevole. Come risolvere questi problemi? Non abbiamo una disciplina legale, ci muoviamo sempre in assenza di regole legali; quindi, la soluzione deve essere trovata all'interno del sistema. Il problema dell'efficacia soggettiva nei contratti collettivi separati -Nulla impedisce che le parti firmatarie di un contratto collettivo possano modificarlo prima della sua scadenza (CCNL Metalmeccanici 2009), quindi questo è il problema del contratto dei metalmeccanici. - Il problema però si pone a livello aziendale (accordo di Pomigliano): il problema degli accordi separati ha dato inizio tutta una serie di soluzioni a livello dottrinale. Secondo una: Prima lettura della dottrina: il sistema di diritto sindacale di basa sul principio di unanimità e non su quello di proporzionalità (art. 39, co. 4 cost.): il sindacato dissenziente non può impedire l’applicazione del contratto ai propri iscritti e il datore di lavoro è tenuto ad applicarlo per non violare l’art. 16 St. Lav. Questa lettura però non va bene a tutti poichè comporta l'applicazione del contratto collettivo ai lavoratori iscritti all'organizzazione sindacale dissenziente. -Seconda lettura della dottrina: la tutela della libertà sindacale dei singoli lavoratori (art.39, co.1 cost.) legittima il loro rifiuto di vedersi applicare il contratto non firmato dal sindacato al quale aderiscono. Se aderissimo a questa lettura, verrebbe meno la regola giurisprudenziale che vincola il datore di lavoro ad applicare uniformemente il contratto collettivo ai propri dipendenti. Il datore di lavoro violerebbe la libertà sindacale applicando il contratto indistintamente a tutti i lavoratori: si ribalta la prospettiva [] finora si è ipotizzata, sulla base degli art. 15 e 16, la discriminazione in caso di mancata applicazione del contratto a tutti i lavoratori. Qui, invece, la violazione della libertà sindacale scatta nel momento in cui il datore di lavoro applica lo stesso contratto a tutti i lavoratori, anche a coloro che sono iscritti al sindacato dissenziente. -Terza lettura della dottrina: la risposta non deve essere cercata nell’efficacia soggettiva del contratto collettivo ma nell’autonomia individuale (di ogni lavoratore). La natura separata del nuovo contratto non ha rilevanza a livello individuale, cioè: le parti, a livello individuale rinviano al contratto collettivo, e non all’organizzazione che ha stipulato il contratto. Se nel contratto dei lavoratori iscritti al sindacato dissenziente è contenuto il rinvio a quel contratto collettivo, anche se non è sottoscritto da tutte le organizzazioni sindacali, la fonte rimane sempre la stessa [] la fonte viene individuata nel contratto collettivo es. dei metalmeccanici. 31 GIURISPRUDENZA PREVALENTE Nel momento in cui ai lavoratori è stato applicato il contratto collettivo delle altre organizzazioni, questi ultimi hanno rifiutato dinanzi al giudice l’applicazione dello stesso contratto. L’organizzazione dissenziente aveva interesse ad agire in giudizio perché molti dei suoi iscritti iniziavano a passare all'altra organizzazione sindacale che aveva stipulato quel contratto. Iniziava una competizione, una concorrenza tra organizzazioni sindacali diverse. Quali risposte hanno dato i giudici’ - non applicabilità del nuovo contratto collettivo “separato” ai lavoratori aderenti al sindacato dissenziente o che non abbiano espressamente richiesto l'applicazione del contratto “separato”; - la pretesa datoriale aziendale è illecita quando esige il rispetto dell’accordo aziendale anche dai lavoratori dissenzienti perché iscritti ad un sindacato non firmatario dell’accordo medesimo; - soltanto i lavoratori sono legittimati ad agire per negare efficacia nei propri confronti ad un contratto collettivo stipulato da organizzazioni sindacali diverse da quella cui siano iscritti, mentre non è ravvisabile alcun diritto o interesse dell’organizzazione sindacale ad agire in giudizio in relazione a validità, efficacia, o interpretazione di un contratto collettivo alla cui stipulazione sia rimasta estranea (non può utilizzare quella particolare azione regolata dall'art. 28 St. Lv. perché l'applicazione del contratto ai lavoratori iscritti al sindacato dissenziente non configura una condotta antisindacale.) EFFICACIA OGGETTIVA DEL CONTRATTO COLLETTIVO (il problema) — 26 OTT. Le due questioni sono distinte, ma tra loro collegate perché una volta ricostruita l’ efficacia soggettiva, cioè stabilita l’applicazione del contratto collettivo, il problema si sposta sull’ inderogabilità di tale contratto collettivo da parte dei soggetti individuali. Una volta stabilita l'applicazione del contratto collettivo, quale rapporto si instaura tra la disciplina del rapporto individuale contenuta in esso e l’autonomia individuale (del lavoratore e del datore di lavoro) al momento della stipulazione del contratto individuale (efficacia oggettiva del contratto collettivo)? IMPORTANZA DEL PROBLEMA Perché ci interroghiamo sull’efficacia oggettiva del contratto collettivo? Se il contratto individuale potesse liberamente derogare alle condizioni previste dal contratto collettivo, quest’ultimo perderebbe la sua funzione normativa (la funzione più importante è consistente nel dettare la disciplina uniforme dei contratti individuali) e la capacità di riequilibrare la disparità di forza contrattuale al livello individuale. Se il contratto collettivo perdesse tale funzione non avrebbe molto senso cercare di estendere l'efficacia del contratto collettivo di diritto comune ai lavoratori non iscritti se poi le parti, al livello individuale, potessero derogare dal contratto collettivo. I problema: Dal punto di vista tecnico, perché si pone questo problema? Perchè in base all’art.1 delle disp. prel. cc, il contratto collettivo di diritto comune non è tra le fonti del diritto: l'art. 1 Disp. prel. cc al n. 3 richiama come fonti del diritto solamente “le norme corporative” (le norme dei contratti collettivi corporativi). Se l’art. 1 richiama le norme corporative tra le fonti del diritto, allora quella norma non è applicabile al contratto collettivo di diritto comune che allora non sarà annoverata tra le fonti del diritto. II problema: 32 Art. 1419 c. 2 (nullità parziale): il contratto di lavoro resta valido ma è la singola clausola che è nulla ed è sostituita da norme imperative le quali, ex dall’art. 2113 cc, non sono più solo quelle di legge, ma anche quelle del contratto collettivo. Dunque, la clausola individuale invalida è sostituita automaticamente dalla norma collettiva invalidamente derogata. Il combinato disposto dell’art. 1419 co.2 c.c. e dell'art. 2113 cc replicano per il contratto collettivo lo stesso meccanismo di sostituzione di clausole nulle e difformi che si ha tra legge e contratto individuale. Si è detto che il problema dell’inderogabilità si pone rispetto alle deroghe in peius; la deroga migliorativa (in meius) non pone alcun problema rispetto alla funzione del contratto collettivo (quella di stabilire trattamenti minimi uniformi): non si pone alcun problema in caso di deroghe migliorative. Nel confronto tra c. individuale e c. collettivo come si capisce se una deroga è in peius o in meius? Il meccanismo dell'art. 2113 come si applica? Secondo la giurisprudenza il criterio deve essere quello del raffronto per istituti (per aspetti omogenei della disciplina contrattuale, si confrontano integralmente le clausole che regolano un singolo istituto). Criterio del conglobamento: si applica la disciplina dell’istituto più favorevole e dunque all’interno del singolo istituto le deroghe in peius si compensano con le deroghe in meius. Non si possono compensare tra loro deleghe migliorative, e * peggiorative. di istituti diversi. retribuzione) rispetto al contratto collettivo qual è criterio di ET Raffronto pi per istituti. Vi è un’eccezione operata nel pubblico impiego rispetto a quanto detto: qui, l’art. 2.3 bis, dlgs. n. 165/2001 prevede una inderogabilità assoluta, sia in meius che in peius. In questo caso le regole dell’art. 2113 sono assolute: non sono ammesse al livello individuale deroghe né peggiorative né migliorative rispetto al contratto collettivo. LA DISPONIBILITÀ DEI DIRITTI INDIVIDUALI lezione 02/11/2021 Art. 2113 cc (Rinunzie e transazioni) Co. 1. “Le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’art. 409 c.p.c., non sono valide.” L’invalidità della singola causa (art. 1419), come deve essere fatta valere? Il problema è molto delicato, perché il rapporto di lavoro è di durata. L'invalidità della clausola deve essere fatta valere entro un certo periodo di tempo per garantire la certezza dei rapporti giuridici. Es: rapporto di lavoro di 10, 20, 30 anni di durata. Ebbene, il lavoratore a quel punto potrebbe far valere l’invalidità a distanza di molto tempo dal momento della pattuizione. L'art. 2113 al co. 1 sancisce l'invalidità della clausola derogatoria in peius. Co. 2. “L’impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro 6 mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data di rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima.” Significa che il termine decadenziale di 6 mesi entro il quale l'invalidità deve essere fatta valere, decorre dal momento della cessazione del rapporto. Perché questa regola? 35 Il legislatore conosce bene l’incapacità del lavoratore, di far valere invalidità mentre il rapporto perdura. D'altro canto, però, sancisce un termine molto ristretto a partire dal momento della cessazione del rapporto. Il legislatore, presume che, data la debolezza contrattuale del lavoratore, nel corso del rapporto, questo non farà valere l’invalidità, per timore di ritorsioni del datore durante il rapporto. L’invalidità può essere fatta valere solo dopo la cessazione[] venute meno le ragioni dell'eventuale timore del lavoratore di agire in giudizio, l'invalidità deve essere fatta valere entro 6 mesi. Si tratta di un termine di decadenza, non di prescrizione. La giurisprudenza unanime riteneva che, nell'aria di applicazione della tutela reale, il lavoratore comunque potesse far valere le invalidità del 2113. Tenuto conto della particolare forza di questa tutela (oggi che come abbiamo visto la tutela reale è in parte venuta meno) il comma due resta fermo, appunto nel suo nella sua regola. Come far valere queste rinunce e transazioni come non incorrere nella decadenza dei sei mesi? Co. 3. “Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà.” È sufficiente, dunque, che il lavoratore comunichi al datore di lavoro la volontà di impugnare, di far valere l'invalidità della clausola per impedire la decadenza dei 6 mesi. AI Co. 4 vi è un’eccezione al sistema appena analizzato. Il sistema appena visto si fonda su queste regole: - Le deroghe in peius sono invalide; - Il lavoratore deve far valere l'invalidità entro 6 mesi dalla cessazione del rapporto; con qualunque atto scritto, anche stragiudiziale Il legislatore parte dal presupposto secondo il quale, durante il rapporto, il lavoratore avrebbe una volontà condizionata per far valere l'invalidità, temendo ritorsioni da parte del datore di lavoro. Per questa stessa ragione, laddove le rinunce e le transazioni siano concluse nelle cosiddette sedi protette, saranno valide anche durante il rapporto. * Potrebbe essere conveniente, per entrambe le parti, conciliare una controversia immediatamente senza attendere la cessazione del rapporto, soprattutto perché sui numerosi istituti vi potrebbe essere un'incertezza nell'applicazione della legge e del contratto collettivo; per cui la deroga in peius potrebbe essere anche il frutto di un'incertezza nell'applicazione della disciplina contrattuale o della disciplina legale. Se la norma si limitasse ai primi 3 commi, questa situazione di incertezza durerebbe per l'intero svolgimento del rapporto di lavoro e soltanto al momento della cessazione, il lavoratore potrebbe fare bene quell’invalidità (che sarebbe difficile da regolare, quantificare economicamente, perché si dovrebbe andare indietro nel tempo). Il Co. 4, quindi, apre ad una possibilità. Co. 4. “Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater del c.p.c.”. Per garantire alle parti la possibilità di rimuovere situazioni di incertezza, ammette la validità di rinunzie e transazioni intervenute anche durante il rapporto di lavoro. Ma il datore lavoro e il lavoratore non possono essere lasciati liberi di sottoscrivere qualunque rinunzia o transazione, per le ragioni dette prima (lavoratore ha una volontà condizionata per far valere l'invalidità perché teme ritorsioni dal datore di lavoro) *. 36 Esse saranno valide anche durante il rapporto, purché concluse in alcune sedi particolari [] “Sedi protette”. Le norme del c.p.c indicate nell'art. 2113, ovvero artt. 185, 410, 411, 412-ter e 412- quater fanno riferimento a queste particolari sedi. Se la conciliazione interviene in sedi particolari, tali da garantire il lavoratore e da consigliare al meglio il lavoratore rispetto alle rinunzie e alle transazioni che sta sottoscrivendo, in questo caso il legislatore presume non vi siano più quelle stesse esigenze di tutela che invece, ex. Co.1,2,3, rinviano all'invalidità a dopo la cessazione del rapporto di lavoro. Di quali sedi si parla? Le conciliazioni intervenute dinanzi al giudice; - Le conciliazioni in sede sindacale: numerosi contratti collettivi prevedono l'istituzione di commissioni di conciliazione, in sede sindacale, formate da rappresentanti sindacali, la cui funzione è quella di assistere il lavoratore nell'attività di conciliazione e verificare la genuinità del suo consenso. L’IPL (ispettorato territoriale del lavoro)à la branca territoriale del Ministero del lavoro, al suo interno ha un'altra commissione di conciliazione, in sede amministrativa. In questo caso la funzione di soggetto terzo viene svolta dall'organo pubblico; - Le conciliazioni ad opera delle commissioni di certificazione: possono essere costituite anche dalle università e, in questo caso, il soggetto terzo è rappresentato da un Professore di Diritto del lavoro che assisterà il lavoratore e le parti nel sottoscrivere la conciliazione. L'assistenza dell'organo terzo deve essere effettiva e, a queste condizioni, le rinunzie e le transazioni assumono immediata validità. L'accordo concluso in queste sedi diventa inoppugnabile. Perché si parla di “sedi protette”? Perché vi è un terzo soggetto imparziale che interviene ad assistere il lavoratore in modo tale da verificare che questi sia cosciente e consapevole di ciò che sta firmando. In altri termini, per verificare che non vi siano timori da parte del lavoratore rispetto a ciò che sta facendo valere. Le parti, davanti ad un terzo organo, hanno la possibilità di conciliare e di sottoscrivere rinunzie e transazioni, rimuovendo quelle situazioni di incertezza. Es: calcolo di una certa voce retributiva [] Come calcolarla? Vi potrebbe essere una situazione di incertezza: si scopre ad un certo punto che quella voce è stata retribuita in modo inferiore rispetto al dovuto. Se non ci fosse questa possibilità, il lavoratore dovrebbe agire soltanto al termine della cessazione del rapporto. In sede protetta, invece, le parti possono conciliare e il lavoratore rinuncerà a far valere l'invalidità ottenendo in cambio una prestazione patrimoniale dal datore di lavoro. Dunque, la conciliazione della controversia sarà inoppugnabile a condizione che avvenga dinanzi ad un terzo organo imparziale. È importante precisare che la giurisprudenza ex Co. 4, ritiene che le conciliazioni intervenute in sede protetta siano valide e inoppugnabili, se il conciliatore svolge un'effettiva assistenza nei confronti del lavoratore. LE REGOLE INTERNE DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA Con “interne” si intendono le regole che le stesse parti si sono date. Non si parla di disciplina legale, ma della famosa autoregolamentazione che gli stessi sindacati si sono dati. 37 COME SI È EVOLUTO IL SISTEMA DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA Dal momento che la contrattazione collettiva si è evoluta in una condizione di assenza di regole legali, questo sistema contrattuale ha subito e vissuto diverse stagioni nella sua storia. Le direttrici evolutive del sistema contrattuale sono essenzialmente due: 1. il sistema contrattuale collettivo ha avuto una diffusione sempre maggiore: nel corso del tempo si è articolato in coerenza con l'evoluzione del sistema economico produttivo; 2. il sistema contrattuale ha avuto sempre più diffusione e al suo interno si è anche articolato. Fino agli anni ’50 (dominato dalla grande impresa) subito dopo l’entrata in vigore della costituzione, l'art. 39 Cost. non era stato ancora attuato: eravamo appena usciti dal sistema corporativo e i sindacati erano ancora organizzazioni deboli, non particolarmente strutturati. Le organizzazioni sindacali erano in grado di stipulare solo contratti nazionali, quindi contratti stipulati al centro dell'organizzazione, oppure accordi interconfederali. Trattandosi di un'organizzazione ancora non capillarmente diffusa sul territorio, è chiaro che le strutture organizzative del sindacato erano in grado solo di stipulare contratti al vertice del sistema: contratti nazionali e accordi interconfederali. Dagli anni ’60 (sistema produttivo di piccole-medie imprese), il sistema economico produttivo vede la nascita di numerosissime piccole e medie aziende: pieno boom economico. Il sindacato tende ad organizzarsi in modo più capillare sul piano territoriale e, riuscendo ad organizzarsi sul piano territoriale in modo graduale, riesce a stimolare, a partire dagli anni ‘60 i primi contratti di livello aziendale. Gli anni ?70, stagione molto particolare e di fortissima conflittualità, anche interna allo stesso sindacato, il quale ha fatto spesso fatica a controllare le proprie articolazioni territoriali. Si assiste ad uno sviluppo notevole della contrattazione aziendale spesso conclusa avanzando rivendicazioni che superavano la contrattazione nazionale, che non sembrava più in grado di controllare o regolare le rivendicazioni del livello inferiore. A partire dagli anni ’80, il sistema tende ad accentrarsi, vengono stipulati una serie di accordi interconfederali, che cercano di definire esattamente le materie entro le quali deve muoversi il contratto aziendale, materie indicate nel livello nazionale di contrattazioneà in modo tale da garantire all'intero sistema una sua coesione. Avere un sistema compatto, coeso, oppure due livelli di contrattazione che si muovono in modo distinto, ha degli effetti economici molto diversi: - se il livello aziendale si muove distintamente dal livello nazionale, superando le rivendicazioni del livello nazionale, si innesca una continua rincorsa ad un miglioramento dei trattamenti economici e normativi; - se il sistema è accentrato le tendenze del sistema possono essere governate a livello nazionale e questo decide quali miglioramenti può prevedere il contratto aziendale. Però c’è una debolezza: se il contratto nazionale stabilisce, ad es., che il contratto aziendale può intervenire in materia retributiva solo sugli straordinari, l’impresa che applica il contratto nazionale sarà sufficientemente tranquilla del fatto che poi a livello aziendale le uniche rivendicazioni che verranno presentate saranno sullo straordinario. 40 Cosa accade se i sindacati a livello aziendale accedono a conflittualità, cioè eventuali scioperi per rinegoziare o rimettere in discussione ciò che è stato stabilito dal livello nazionale? - Gli anni ‘70 passano alla storia come periodo di conflittualità permanente: rivendicazioni continue sul piano economico. Crea tutta una serie di scompensi; - Gli anni ‘80 si passa all' accentramento del sistema, il contratto nazionale, attraverso degli accordi interconfederali, stabilisce che, le regole siano sono definite a livello nazionale. Ma queste regole a livello interconfederale hanno una debolezza. Se un sindacato diverso fosse l'articolazione interna di quello stesso sindacato, agirebbe violando le regole del sistema contrattuale; tuttavia, quel contratto collettivo sarebbe comunque valido a livello aziendale. Se a livello aziendale il sindacato è talmente forte da riuscire a imporsi al datore di lavoro e a stipulare il contratto collettivo anche su materie sulle quali teoricamente non potrebbe intervenire, quel contratto collettivo risulterà valido. Sul piano sociale però, il sistema, a partire dagli anni ’80, per ragioni di controllo dell'inflazione e per tutta una serie di altre variabili macroeconomiche, si accentra; il sindacato cerca di controllare meglio la base (livello territoriale) e quindi si assiste a un collegamento tra livello nazionale-livello aziendale dove il contratto nazionale stabilisce le materie e limiti sui quali può intervenire il contratto aziendale; - Gli anni ‘90 il sistema tende a stabilizzarsi: con il protocollo del 23 luglio 1993, c.d. protocollo Ciampi, il sistema si stabilizza attraverso delle regole, tende cioè ad assumere una fisionomia che rimarrà per lungo tempo. I PRINCIPALI CONTENUTI DEL PROTOCOLLO CIAMPI, 23 luglio 1993 Il protocollo conferma il doppio livello di contrattazione: riconosce che il sistema contrattuale è articolato su due livelli, questo però non significa che in ogni impresa ci sarà un contratto aziendale e che in ogni impresa ci sarà necessariamente il secondo livello contrattuale, perché se le imprese fossero di ridottissime dimensioni, se il sindacato non fosse presente o se il datore di lavoro non intendesse stipulare il contratto collettivo, non si avrebbe il secondo livello di contrattazione. Le regole del sistema riconoscono che è articolato potenzialmente su due livelli: quello nazionale che è sempre presente, perché tutte le categorie sono coperte, e quello aziendale che però è solo 1/3 delle aziende che ha un secondo livello di contrattazione (nelle aziende piccole non c’è un secondo livello di contrattazione). In un'impresa con 3 dipendenti è evidente che non ci sarà nessun contratto collettivo. Il doppio livello di contrattazione viene reso esplicito e viene riconosciuto che il sistema continuerà a fondarsi sul doppio livello contrattuale. Il protocollo di Luglio ‘93 stabilisce anche regole di durata dei contratti collettivi che è differenziata a seconda del contenuto del contratto cui facciamo riferimento. Contratto nazionale: secondo il protocollo di luglio ‘93 il contratto nazionale avrà una durata: - 4 anni per la parte normativa, cioè quella che contiene le regole la disciplina del rapporto individuale; - 2 anni per la parte economica, cioè quella del contratto collettivo che definisce i trattamenti retributivi. Perché la parte normativa dura 4 anni e quella economica dura 2 ann 41 La parte retributiva di qualunque contratto collettivo è soggetta ad un’obsolescenza molto più rapida rispetto a quella normativa, tende a diventare vecchia a causa di fenomeni inflattivi in maniera molto più veloce rispetto alla parte normativa. Ecco che allora la parte retributiva (economica), è soggetta ad un adeguamento più veloce. La parte normativa, che non contiene dei livelli salariali, stabilisce semplicemente le regole di funzionamento di svolgimento del rapporto ed è soggetta ad un’obsolescenza molto meno rapida rispetto a quella economica, e quindi dura 4 anni. CONTRATTO AZIENDALE Il contratto aziendale è contemplato nel protocollo, ma non è detto che ci sia sempre. La durata è di 4 anni, ma il contratto aziendale potrà intervenire e negoziare a livello aziendale, solo sulle materie indicate dal livello nazionale. L'obiettivo è quello di fare in modo che l'evoluzione della contrattazione collettiva sia ben governata a livello centrale: cioè sono i sindacati del livello nazionale, la federazione nazionale di categoria, che tende a verificare, a controllare, a regolare ciò che avviene nel secondo livello (livello territoriale). Il protocollo del luglio del ‘93 va a disciplinare poi le procedure di rinnovo dei contratti collettivi. Il sistema contrattuale non è un contratto, ma un flusso continuo di stipulazione di contratti collettivi, di rinnovi contrattuali. Ogni 4 anni occorre rinnovare la parte normativa e stipulare nuovamente il contratto aziendale ove presente e ogni 2 anni ci si incontra per discutere le tabelle salariali. Per fare in modo che questo sistema possa funzionare è necessario stabilire anche regole per i rinnovi contrattuali; infatti, ad es. ridiscutere ogni volta le procedure di rinnovo aumenterebbe enormemente la conflittualità. Sei mesi prima della scadenza del contratto si aprono delle procedure di negoziazione e durante la negoziazione le parti firmatarie del protocollo rinunciano alle azioni c.d. “dirette”: rinunciano cioè ad azioni conflittuali à fino a quando si negozia, non si ricorre alla conflittualità (sciopero). Se un sindacato non aderente alle confederazioni, che hanno accettato il protocollo di luglio ’93. rivendica la stipulazione di un altro contratto aziendale, prima della scadenza dei 4 anni, su materie diverse rispetto a quelle ammesse dal contratto nazionale, cosa accade? È valido. Ma da cosa dipende la sua stipulazione? Dalla capacità di quell'altro sindacato di esercitare una forte pressione sul datore di lavoro, cioè i rapporti di forza tra le parti. Come funziona questo meccanismo: i sindacati cercano di darsi delle regole al proprio interno, ma non possono evitare che sindacati esterni, che non hanno accettato quelle regole e che hanno una notevole forza contrattuale e capacità di pressione, possano imporsi come agenti negoziali per stipulare un altro contratto collettivo. Gli altri sindacati che avevano già stipulato l'altro contratto, che posizione avranno? Saranno favorevoli rispetto all'altro contratto o no? Certamente non saranno favorevoli ad essere superati da un altro contratto e dai lavoratori associati ai loro sindacati. Le principali questioni di queste regole poste dal protocollo del luglio del ‘93 sono state messe sul tavolo dopo una 20 anni di vigenza. Il protocollo tende ad essere rispettato dalla maggior parte delle organizzazioni sindacali senza particolari fughe dal sistema contrattuale. Le questioni iniziano ad emergere a partire dagli anni 2000, con il presupposto che si sia a conoscenza che, a seconda delle competenze e a quanta importanza si attribuisce ad uno o l’altro 42 Il: MISURAZIONE DELLA RAPPRESENTATIVITA’ — misurarla di ciascun sindacato è necessario per poter sancire un principio maggioritario, per rendere vincolante il contratto collettivo stipulato dalla maggioranza anche nei confronti della minoranza, e per questo occorre capire chi è minoranza e chi maggioranza e quindi è necessario misurare la rappresentatività dei sindacati. Il TU lo fa prendendo come punti di riferimento due elementi: 1. Criterio associativo: quanti iscritti ha ciascun sindacato; 2. Criterio elettorale: si misurano i voti ottenuti da ciascun sindacato alle elezioni degli organismi di rappresentanza aziendale (dei lavoratori di quell’impresa), che prendono il nome di rappresentanze sindacali unitarie, e sono composte per via elettorale dai diversi sindacati che partecipano a queste elezioni. Quindi la media tra il dato associativo e il dato elettorale costituisce il criterio di misurazione della rappresentatività di ciascun sindacato. Tutto questo serve ad applicare il sistema maggioritario del terzo punto, necessario a risolvere il problema degli accordi separati, per rendere il contratto collettivo sottoscritto dalla maggioranza dei sindacati (misurati in quel modo) vincolante per quella parte dei sindacati che invece sono contrari alla stipulazione di quel contratto. Il TU, infatti, indica che quel contratto stipulato dalla maggioranza (50%+1) dei sindacati è vincolante anche per la minoranza, la quale è sempre interna al fronte di sindacati che quelle regole le hanno condiviso, una minoranza che ha sottoscritto al TU. Si richiama il principio maggioritario sancito dall’ultimo comma dell’art. 39 della Costituzione, che poneva il principio maggioritario come criterio di stipulazione del contratto erga omnes. Benché si tratti dello stesso principio, sul piano dell’efficacia i due principi (art. 39 e TU) sono diversi: - Il principio dell’art. 39 non è stato attuato, ma anche laddove fosse intervenuto il legislatore, quel principio avrebbe avuto efficacia legale; - Il principio del TU ha invece solo efficacia contrattuale, quindi applicabile ai soggetti partecipanti, per quanto si ispiri al modello dell’art 39 nell’esigenza di risolvere il problema degli accordi separati. Sul piano sostanziale possiamo però dire che il TU ha un'applicazione molto ampia, per via del numero di sindacati aggregati. REGOLE DEL CONTRATTO NAZIONALE DI CATEGORIA NEL T.U. DEL 2014 Lez. 9.11 T.U.: - conferma che il livello nazionale resta quello dominante (contratto stipulato dalle federazioni di categoria nazionale); - il concetto di categoria è volontaristico (stabilito dalle parti); - regole di legittimazione negoziale: ci si riferisce alla selezione degli agenti negoziali. Chi si siede al tavolo delle trattative? In un contesto di pluralismo sindacale è ovvio che non vi sono soggetti che automaticamente hanno diritto ad una sedia a quel tavolo di rinnovo. 45 Quali sono le regole? In precedenza, la selezione negoziale avveniva sulla base dei rapporti di forza (se il sindacato è sufficientemente forte per la sua rappresentanza si siede al tavolo). Con il T.U. si cerca di stabilire delle regole oggettive di ammissione alle trattative, cioè regole di selezione degli agenti negoziali. L’obiettivo di queste regole è quello di ammettere al tavolo delle trattative sindacati che abbiano un livello minimo di capacità rappresentativa (non chiunque). Per fare ciò, occorre una misurazione della capacità rappresentativa di ogni sindacato, che è fondamentale non solo per calcolare il 50% + 1 (maggioranza dei sindacati), ma per capire prima dell’inizio delle trattative se vi è una consistenza minima di rappresentanza. Inizia un procedimento per misurare la media tra dato associativo e dato elettorale che si svolge così: * A ciascun contratto e a ciascuna organizzazione sindacale interessata a partecipare alla rilevazione della propria rappresentanza è attribuito un codice. * Ogni datore di lavoro comunica all’INPS (Istituto Nazionale previdenza sociale) il codice del c. collettivo applicato e il numero delle deleghe (dato associativo) ricevute dai lavoratori che autorizzano il datore di lavoro a trattenere dalla retribuzione la quota associativa per essere affiliati a un sindacato. Così si comunica il n° d’iscritti ad una organizzazione sindacale. * L'INPS elabora annualmente i dati raccolti e, per ciascun contratto collettivo nazionale di lavoro, aggrega il dato relativo alle deleghe raccolte da ogni organizzazione sindacale di categoria relativamente al periodo gennaio-dicembre di ogni anno. Sappiamo però che il dato associativo è solo uno dei due dati, l’altro è quello elettorale. Se il sistema fosse solo quello del dato associativo, questa fotografia della rappresentatività sarebbe statica. Ma un sindacato alle elezioni potrà ottenere un grande successo elettorale o viceversa. In questo modo la fotografia sarà più dinamica. * Utilizzare i due criteri serve a combinare una rappresentatività statica (iscrizioni al sindacato) con un dato molto più dinamico. Ora occorre registrare e valutare i dati ottenuti nel procedimento elettorale. Qui c’è stata una modifica del T.U. sulla rappresentanza (Accordo di integrazione del 2017). Il T.U. prevedeva che fosse il CNEL (consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) a raccogliere i dati relativi all’elezioni delle RSU (dato elettorale). Il 4 dicembre 2016 si è tenuto un referendum di riforma costituzionale che aveva tra i vari contenuti l'abolizione del CNEL. Il referendum non è passato, ma è rimasta l’ipotesi; quindi, le parti sociali si sono poi rincontrate il 4 luglio 2017 per stabilire un accordo di integrazione. ACCORDO DI INTEGRAZIONE 4 LUGLIO 2017 Tenuto conto che il CNEL sta attraversando una fase di transizione in vista di una ridefinizione dei suoi compiti istituzionali e che occorre individuare altri soggetti che subentrino a queste funzioni (le funzioni attribuite al CNEL nel T.U. del 2014 relative alla rappresentanza sono trasferite all'INPS). Se inizialmente il dato associativo era raccolto dall’INPS e quello elettorale dal CNEL, ora si attribuisce quella stessa funzione all’INPS. Un unico organo diventa il destinatario di questi due flussi di dati. Come calcolare questo dato elettorale? 46 1 Ilcomitato provinciale dei Garanti (capo dell’Ispettorato territoriale del lavoro, composto da rappresentanti dei sindacati) riceve i verbali sulle elezioni delle RSU (aziende con n° +15 dipendenti) e comunica i risultati alle organizzazioni sindacali e all'INPS. 2 L’INPS (che già dispone del dato associativo) provvede alla ponderazione del dato associativo ed elettorale (50%+50%). Non in tutte le aziende si tengono le elezioni sindacali. Se non sono state effettuate le elezioni delle RSU, calcola due volte il dato associativo. 3. Effettuata la ponderazione, INPS comunica il dato della rappresentanza a ciascuna organizzazione sindacale firmataria o aderente al T.U. 10 gen. 2014. PROCEDIMENTO CONTRATTUALE, fasi: 1. Partecipano alle trattative per il rinnovo del contratto, le organizzazioni sindacali che abbiano raggiunto una rappresentatività non inferiore al 5%, sulla base della ponderazione del calcolo dell’INPS. È una misura che ha una funzione di evitare una eccessiva frammentazione del fronte sindacale. Ricorda: queste regole si applicano sempre solo a chi le ha accettate. 2. Come si contratta? Nella prassi, le organizzazioni sindacali elaborano la c.d. PIATTAFORMA UNITARIA, cioè si cerca di elaborare una rivendicazione unica. In mancanza, la piattaforma presentata da organizzazioni sindacali che abbiano complessivamente un livello di rappresentatività nel settore pari almeno al 50% +1. Non ha senso aprire le trattative sulla piattaforma minoritaria; si contratta sulla piattaforma sostenuta dal 50% +1 dei sindacati, perché poi quel contratto dovrà essere concluso, serve la maggioranza che lo sottoscriva. 3. A questo punto il contratto viene sottoscritto (rinnovato). La controparte accetta, ma non vuol dire che accetta la piattaforma intera, si troverà poi il punto di equilibrio tra le contrapposte richieste. 4. Da chi è sottoscritto i] contratto? Le parti sottoscrivono da un fronte sindacale che rappresenta il 50% +1 cioè la maggioranza. I sindacati consulteranno i lavoratori/trici su quell’ipotesi contrattuale. L’ipotesi stessa sarà sottoposta alla base (livello territoriale), a quel punto viene sottoscritto il contratto. È sottoscritto dal 50% +1 dei sindacati. Il 49% anche se in dissenso con quel contratto, si vincola a rispettarlo (si obbliga sulla base del T.U. a rispettare il contratto concluso dalla maggioranza). Richiama l’art.39 co. 4: “i sindacati rappresentati unitariamente in proporzione ai loro iscritti”. Sono però regole contrattuali: nessuno potrà mettere in discussione quel contratto, né i lavoratori né i datori. 5. Il contratto collettivo nazionale avrà una durata di 3 anni per entrambe le parti (economica e normativa). Ogni 3 anni le parti contrattuali si ritroveranno per le trattative per stipulare il rinnovo del contratto collettivo. In base al dato elettorale e il numero di iscritti, quel fronte potrebbe cambiare nel tempo. È un processo continuo di calcolo della rappresentatività, e quindi di rinnovi contrattuali. Il sindacato dissenziente, minoritario, una volta che il contratto è stato concluso dalla maggioranza, non potrà poi agire per la stipulazione di un altro contratto. L’ulteriore effetto del principio maggioritario è che: il contratto sottoscritto dalla maggioranza è efficace anche per i lavoratori iscritti al sindacato dissenziente. 47 PRIME POSSIBILI DEROGHE Il contratto nazionale dà le direttive: il contratto aziendale in questo caso è vincolato a rispettare le ipotesi di deroga previste dal contratto nazionale, senza poter intervenire su altre materie rispetto a quelle definite. Il T.U. del 2014 prevede l'attribuzione al contratto aziendale di poteri di deroga alla disciplina prevista dal contratto nazionale in alcune situazioni particolari. In quelle specifiche situazioni il contratto di secondo livello può derogare al contratto nazionale, indipendentemente dal fatto che questo lo preveda e che autorizzi o meno queste derogheà il contratto aziendale è legittimato alla deroga direttamente dal T.U., direttamente dall'accordo interconfederale. Quando il contratto aziendale può derogare? In caso di crisi (situazione patologica e negativa) o in caso di investimenti significativi. PERCHÉ QUESTE DUE SITUAZIONI? Due delle maggiori esigenze per le quali le aziende cercano una maggiore flessibilità a livello aziendale sono ricollegate a situazioni molto positive o negative: - in caso di crisi, quando l'azienda va male, si cerca una riduzione del costo del lavoro o una maggiore flessibilità nella gestione del rapporto di lavoro. Questo può avvenire solo derogando al contratto nazionale e così quell’azienda cercherà delle condizioni di regolazione del rapporto di lavoro più flessibili per far fronte alle esigenze della crisi (situazione negativa); - in caso di investimenti significativi, il socio dell'azienda intende ricapitalizzare l'azienda (rilanciare l'azienda, investire all'interno di quell'azienda), ma chiede in cambio una regolazione dei rapporti di lavoro più flessibile. In queste due specifiche situazioni, il T.U. del 2014 autorizza direttamente la contrattazione di secondo livello a derogare al contratto nazionale di categoria: deroga automatica. Saranno le rappresentanze sindacali a sedersi al tavolo e a verificare qual è la situazione di crisi o quali sono gli investimenti significativi ed eventualmente a stipulare il contratto aziendale contenente le deroghe. Se non ci fosse questa seconda categoria di deroghe, non vi sarebbe la possibilità di derogare al contratto nazionale, a meno che lo stesso contratto nazionale non lo preveda. Il T.U. del 2014 introduce questa possibilità, il che vuol dire che la deroga ci sarà necessariamente, mala valutazione circa l'opportunità o meno di introdurre le deroghe sarà rimessa al secondo livello di contrattazione. QUALI DEROGHE? Sono quelle il cui fine è di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale dell'impresa. I contratti aziendali possono definire intese modificative con riferimento agli istituti del contratto collettivo nazionale, che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l'organizzazione del lavoro, espressioni che fanno riferimento alla disciplina del rapporto individuale di lavoro. COME SI STIPULA IL CONTRATTO AZIENDALE AI tavolo della contrattazione è seduto il singolo imprenditore o la rappresentanza dei datori di lavoro di quel territorio, in caso di contratto territoriale. Ipotesi prevalente: quella del contratto riferito alla singola azienda. Laddove sia presente la RSU, il contratto deve essere approvato dalla maggioranza dei componenti della RSU; quindi, chi ottiene molti voti alle elezioni di questa e ha più rappresentanti al suo interno, può avere la maggioranza per stipulare il contratto collettivo aziendale. 50 Quando non vi siano le RSU, ma le RSA (art.19 dello St. Lv.), non abbiamo una rappresentanza unitaria, ma le singole rappresentanze aziendali. In questo secondo caso non possiamo fare riferimento alla maggioranza dei componenti della stessa rappresentanza, ma faremo riferimento alla maggioranza delle RSA che risultino destinatari dalla maggioranza delle deleghe (maggioranza degli iscritti). Così, quando siano presenti le RSA, il contratto deve essere approvato da un numero di RSA che rappresentino almeno la maggioranza dei lavoratori iscritti, la maggioranza delle deleghe. Qual è la maggioranza degli iscritti? La maggioranza della frazione di lavoratori iscritti al sindacato. Il contratto collettivo aziendale si applica a tutti i lavoratori di quell'azienda iscritti e non iscritti: la quota di iscritti è generalmente minoritaria rispetto all’insieme dei lavoratori dipendenti di un'azienda. Se il contratto fosse stipulato semplicemente con un numero di RSA che rappresentano la maggioranza dei lavoratori iscritti, quel contratto verrebbe stipulato semplicemente con il consenso delle rappresentanze che rappresentano 20-30% dei tutti i lavoratori. Es: in un'impresa con 100 dipendenti, gli iscritti sono soltanto 20 è basterebbe le rappresentanze di 11 per stipulare il contratto, cioè una netta minoranza rispetto ai lavoratori complessivi. Si fa riferimento alle deleghe (gli iscritti), ma non tutti i lavoratori sono iscritti, solo una parte, ecco allora il senso della seconda previsione. Oltre all'approvazione delle RSA, che rappresentano la maggioranza dei lavoratori iscritti, cioè la maggioranza delle deleghe, il T.U. del 2014 si preoccupa del consenso di tutti lavoratori (anche dei non iscritti). Ecco che, oltre alla maggioranza della RSA (rappresentano la maggioranza dei lavoratori iscritti), quando i dipendenti dell’azienda lo richiedano, si procederà con un referendum sul contratto e a quel punto potrà essere stipulato se i lavoratori lo approvano con il 50% +1. Se quell'ipotesi è rifiutata dalla base, si dovrà rinegoziare fino a quando non si arriverà ad una legittimazione da parte di questa. La richiesta per il referendum è sufficiente che arrivi o da un'organizzazione aderente al T.U. o anche soltanto da 1/3 dei lavoratori, cioè dal 30%. In questo modo il T.U. si assicura una legittimazione, un consenso, non solo degli iscritti, ma di tutti lavoratori dipendenti di quell'azienda. Nulla esclude che il numero di lavoratori di quell'impresa possa essere in conflitto/conflitto con la piattaforma contrattata dalla negoziata dalle rappresentanze. A questo punto il contratto aziendale stipulato, sottoscritto dalla maggioranza dei rappresentanti delle RSU e dalla maggioranza delle deleghe in caso di RSA, votati dal 50% +1 dei lavoratori, è vincolante anche per la minoranza dissenziente. Quindi quella vicenda degli accordi separati Fiat, all'interno del T.U. non è ammessa, l'obiettivo era proprio quello di evitare. Il contratto sottoscritto dalla maggioranza è efficace anche nei confronti degli iscritti alle organizzazioni dissenzienti; quindi, il datore di lavoro non avrà più quel problema che si è visto nascere con gli accordi separati: il contratto aziendale, stipulato dalla maggioranza, è efficace erga omnes, si applicherà a tutti i lavoratori dipendenti di quell'azienda. Per evitare l’efficacia erga omnes si applicherà a tutti i lavoratori presenti in quell'azienda, per evitare che vi possano essere conflitti una volta stipulato il contratto aziendale, cioè al fine di 51 garantire la tenuta del contratto, al fine di evitare che organizzazioni sindacali dissenzienti possano ricorrere al conflitto, possano porre in discussione il contratto stipulato, il T.U. del 2014 affida alla contrattazione aziendale un compito molto delicato, il compito cioè di prevedere clausole di tregua sindacale, con relative sanzioni. COSA SO UESTE CLAUSOLE DI TREGUA SINDACALE? Le clausole di tregua sindacale, come dice la stessa espressione, sono clausole attraverso le quali le organizzazioni stipulanti si vincolano a non mettere in discussione il contratto stipulato ricorrendo al conflitto (sciopero). Quest'ultimo serve a stipulare il contratto e a rinegoziarlo; quindi, con la clausola di tregua sindacale, una volta stipulato il contratto, non è possibile ricorrervi prima della sua scadenza, cioè rimettere in discussione ciò che è stato siglato. Tuttavia, il titolare del diritto di sciopero, sancito dall'art. 40 Cost., non è l'organizzazione collettiva, né quella sindacale, quantomeno nel nostro ordinamento, ma è il singolo lavoratore à Il diritto di sciopero è un diritto a titolarità individuale, ma ad esercizio collettivo. Il T.U., nel momento in cui affida alla contrattazione aziendale il compito di definire queste clausole di tregua, afferma che sono finalizzate a garantire l'esigibilità degli impegni assunti con il contratto collettivo: hanno effetto vincolante per il datore di lavoro, che dovrà rispettare il contratto, per le rappresentanze dei lavoratori e le associazioni firmatarie del T.U. e non per i singoli lavoratori. A cosa servono le clausole di tregua e perché vengono stipulate da soggetti che non possono disporre di quel diritto? A cosa stanno rinunciando, se non possono rinunciare al diritto che non è loro? Il significato della clausola è meramente obbligatorio: le organizzazioni sindacali si vincolano a non organizzare scioperi e ad esercitare il c.d. dovere di influenza nei confronti della base; quindi, si impegnano a non organizzare loro stesse uno sciopero e ad intervenire, esercitando il dovere di influenza, sugli iscritti e i lavoratori in generale, affinché questi ultimi non ricorrono ad uno sciopero. Vi è una sorta di dissociazione tra chi stipula la clausola e il soggetto titolare del diritto. L'organizzazione sindacale, nel momento in cui stipula clausole e la inserisce nel contratto aziendale non sta rinunciando all’esercizio del diritto di sciopero, perché non ne è titolare, ma sta assumendo semplicemente l'obbligo nei confronti della controparte di non organizzare lo sciopero, al quale poi aderiscono i singoli lavoratori che esercitano quel diritto. Laddove siano i lavoratori ad organizzarlo, si impegnano ad intervenire- in quello che i tedeschi chiamano dovere di influenza- nei confronti dei lavoratori per distogliere dall'intento di ricorrere al conflitto (sciopero). Tutte queste regole, che riguardano la procedura di stipulazione del contratto aziendale, del T.U. del 2014, riguardano sempre e soltanto i soggetti aderenti. Qual è l’intrinseca debolezza del t.u. del 2014? Le regole circa il principio maggioritario, l'individuazione dei soggetti negoziali e il referendum tra i lavoratori, sono vincolate come per il contratto nazionale, anche per il contratto aziendale solo per il sindacato o quelli che hanno stipulato direttamente il T.U. o che vi hanno successivamente aderito. I sindacati che non hanno accettato quelle regole o che non vi hanno successivamente aderito non sono vincolati; quindi, un sindacato forte a livello aziendale, che non ha aderito al T.U., potrebbe imporsi come soggetto negoziale durante le trattative, indipendentemente da questi criteri, si ritorna ai rapporti di forza. 52 che è stato violato non è la legge ma un’altra norma contrattuale. Lo strumento della responsabilità contrattuale è poco efficace: la violazione è attuata da un’articolazione sindacale diversa rispetto a quella che ha stipulato il contratto nazionale o il T.U. del 2014. non abbia rispettato le regole stabilite nel T.U. del 2014? Significa che l’articolazione territoriale del sindacato che ha condiviso le regole del T.U. non ha rispettato quelle regole. Qualcuno ha ipotizzato che le associazioni dei datori di lavoro possano agire per responsabilità contrattuale nei confronti del sindacato che non ha rispettato le regole del TU. L’accordo del 2014 è un accordo interconfederale composto da due contraenti; dunque, uno dei due contraenti non ha rispettato quanto è stato stabilito in quel regolamento contrattuale. Perché non viene utilizzata l’ipotesi di azione per inadempimento? Perché l’articolazione che non ha rispettato le regole del T.U. 2014, non è il sindacato al livello interconfederale che ha stipulato le regole del 2014, ma la sua articolazione inferiore (associazione giuridicamente distinta). La confederazione è un’associazione di associazione. Se il sindacato di quella confederazione stipula nell’azienda X un contratto aziendale che non rispetta le regole del T.U., chi ha attuato la violazione è quella associazione e non la sua confederazione. Nella pratica esse non sono questioni che possono essere risolte con una mera azione per inadempimento in giudizio come qualunque tipo di contratto: le uniche sanzioni sono di natura endoassociative à sarà la confederazione ad intervenire nei confronti della sua articolazione territoriale per fare in modo che il contratto sia rispettato. LE RAPPRESENTANZE SINDACALI AZIENDALI Come il sindacato si organizza al livello aziendale? L’ambito aziendale è fondamentale perché è il livello più vicino ai lavoratori. Per il sindacato “organizzazione di rappresentanza degli interessi dei lavoratori” è il livello più importante. Si sta parlando della presenza dei sindacati in azienda, prescindendo dalla loro possibilità di stipulare il contratto collettivo in azienda (non è obbligatorio stipulare il contratto collettivo, esso dipende dal consenso di controparte). Evoluzione storica Per essere presenti in azienda, soprattutto nel nostro paese (composto da piccole-medie aziende) ci vorrebbe da parte del sindacato un’organizzazione estremamente capillare: questo non è concepibile. Per ragioni organizzative la presenza del sindacato si concentra nelle aziende di medio-grandi. Anche le rappresentanze sindacali in azienda si sono evolute nel tempo: fino agli anni ‘60 il sindacato era presente solo nelle grandi aziende e la rappresentanza sindacale era detta commissione in azienda (le prime risalgono ai primi del ‘900). Cosa erano tali commissioni? Organismi eletti da tutti i lavoratori iscritti e non: da questo si evince che la rappresentanza sindacale all’interno dell’azienda può essere organizzata in due modi diversi, che dipendono da come il sindacato concepisce la propria rappresentanza in azienda. La domanda fondamentale che si pone il sindacato è: “rappresento solo i miei iscritti o tutti i lavoratori?” Nel primo caso si avrà un canale di rappresentanza interna (iscritti), ma se la scelta 55 fosse questa si perderebbe gran parte dei lavoratori; nel secondo caso vi è una scelta più ampia e di maggiore rappresentanza. Le commissioni interne rappresentavano tutti i lavoratori e nel momento in cui li rappresentavano, la commissione interna non poteva qualificarsi come la struttura territoriale dello stesso sindacato. Costituiva una rappresentanza dei lavoratori collegata ad un sindacato ma che non si immedesimava nello stesso (tutti i lavoratori). Dietro questa decisione vi erano anche scelte politicheàse fossero stati rappresenti solo gli iscritti il collegamento sarebbe stato più forte con il sindacato, ma non avrebbero rappresento tutti i lavoratori; mentre se fossero stati rappresentasti tutti i lavoratori, il collegamento sarebbe stato debole per la presenza dei non iscritti. Sulle commissioni interne la scelta era della rappresentanza generale. Secondo l’art. 2 dell’Accordo 7 agosto 1947 (CGIL-Confindustria), il compito della commissione interna era quello di concorrere a mantenere rapporti normali tra i lavoratori e la direzione dell’azienda (datori di lavoro). Sempre l’art. 2 del 1947 stabiliva che le commissioni interne devono rimettere alle proprie organizzazioni sindacali tutto quanto attenga alla disciplina collettiva dei rapporti di lavoro e alle relative controversie (si spogliavano di qualunque ruolo contrattuale collettivo). Le commissioni interne, dunque, non erano agenti negoziali e non stipulavano contratti collettivi (nessun ruolo contrattuale formale). Rappresentando tutti i lavoratori, le commissioni interne rinviavano alle organizzazioni sindacali il compito di stipulare il contratto collettivo che, non essendo ad efficacia erga omnes, si applica solo agli iscritti. Forme di rappresentanza sindacale in azienda Non tutti i lavoratori dipendenti in un’azienda sono iscritti ad un sindacato. Quindi, vi sono lavoratori iscritti e non: pone il problema se rappresentare tutti i lavoratori o solo quelli iscritti (minoranza). La tendenza alla sindacalizzazione è decrescente in tutti i paesi ad economia sviluppataà gli iscritti diminuiscono e tra le motivazioni vi è una disaffezione delle nuove generazioni all’appartenenza al sindacato. A livello europeo vi sono diversi modelli di rappresentanza sindacale aziendale: - a canale unico: diretta emanazione del sindacato. In questo caso la rappresentanza costituisce un organo del sindacato, il quale crea in azienda la propria rappresentanza. In questo caso il rapporto è dall’esterno all’interno (legittimazione dall’alto-sindacato-al basso) e che crea una rappresentanza all’interno di quello specifico contesto aziendale. I lavoratori dipendenti dell’azienda non partecipano direttamente in quanto è un rapporto tra organi interni del sindacato à tra il sindacato e la sua rappresentanza aziendale. - a doppio canale: la caratteristica è che le due anime convivono, il sindacato mantiene la rappresentanza diretta come emanazione del sindacato (legittimazione dall’alto verso il basso). Il sindacato sa che mantenere un canale unico può essere pericoloso perché può essere delegittimato da tutti quei lavoratori non iscritti e dunque si cerca di strutturare la rappresentanza con un doppio canale. Da un lato si rappresenta solo il sindacato, ma dall’altro si cerca di farlo legittimare da tutti lavoratori. Il sindacato, in molti paesi, partecipa con proprie liste alla rappresentanza, elette da tutti i lavoratori, in tal modo si cerca un collegamento con tutti i dipendenti dell’azienda. 56 Dal punto di vista politico la differenza è evidente, nel caso: - del canale unico, il canale di rappresentanza rischia di essere molto ristretto (solo iscritti); - del doppio canale, si cerca anche un collegamento, una rappresentanza, con tutti i lavoratori dipendenti dell’azienda. Le due cose non coincidono affatto perché una cosa è rappresentare una porzione di lavoratori, un’altra è rappresentare tutti i lavoratori dipendenti dell’azienda. MODELLO ITALIANO DI RAPPRESENTANZE AZIENDALI Lezione 16/11 Qual è il modello italiano? Si è passato dal canale unico al canale misto. AL CANALE MISTO DAL CANALE UNICO RAPPRESENTANZA SINDACALE RAPPRESENTANZA UNITARIA (RSU) SINDACALE AZIENDALE (RSA) n RIMITARIA (Pai ho SINDACATO ARTFISTLAN ELETTO DA TUTTI | LAVORATORI FONDAMENTO LEGALE ALI. 1993 E SUCCESSIVI FONDAMENTO CONTRATTUALE Perché il canale unico è rappresentato dalla RSA? Perché è costituita dal sindacato all’interno dell’azienda (legittimata dall’alto verso il basso). L’RSA è costituita dal sindacato, ma non è eletta dai lavoratori. È disciplinata dall’art. 19 St. Lv. E ha un fondamento legale. Grazie agli accordi interconfederali si passa ad un altro organismo di rappresentanza [] RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie). In questo caso abbiamo un canale misto: i due canali si uniscono all’interno della stessa rappresentanza perché, da un lato il sindacato partecipa alla creazione della RSU attraverso una propria lista (legittimazione dall’alto al basso) che è eletta da tutti i lavoratori. Dunque, all’interno della RSU abbiamo, sia il diretto collegamento con l’organizzazione sindacale, sia la legittimazione di tutti i lavoratori, che con il proprio voto, individuano le rappresentanze, scelgono le liste con una legittimazione dal basso all’alto. Le RSU non sono previste dalla legge, ma da accordi interconfederali. Qual è allora il rapporto tra RSA e RSU? Le organizzazioni sindacali hanno scelto, attraverso accordi interconfederali, di creare un'organizzazione di rappresentanza aziendale unitaria, ma lo hanno scelto contrattualmente (come se avessero scelto di non costituire RSA separate ma di utilizzare quella prerogativa prevista dall’art. 19 St. Lv. per creare una rappresentanza unitaria). I sindacati che non partecipano alla costituzione o alle elezioni delle RSU possono sempre costituire, laddove ne ricorrano i presupposti, le RSA separate ai sensi dell’art. 19 St. Lv. Differenza sostanziale: non sono più legittimati, dal voto di tutti i lavoratori di quell'azienda nel momento in cui scelgono di costituire una RSA, perché il procedimento elettorale riguarda solo la RSU. All'interno dell'azienda, per il sindacato, è molto più conveniente avere una rappresentanza che sia legittimata dal basso, oltre ad avere un collegamento con lo stesso sindacato, anziché avere una RSA separata (emanazione diretta del sindacato) che non ha una partecipazione dal basso. RSA Legge 20 Maggio 1970, N. 300 St. Lv. TITOLO IH Dell’attività sindacale Art.19 Cost. delle rappresentanze sindacali aziendali. 57 Perché queste critiche? Perché il secondo criterio non allarga di molto la legittimazione a costituire RSA e l'art. 19 alla lettera b. sancisce “firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali applicati all'unità produttiva”. Quanto spazio effettivamente la lett. b. conceda ai sindacati che non rientrano nella lett. A? Non è così semplice; occorre essere in ogni caso firmatari di contratti collettivi nazionali, perché il livello provinciale è praticamente inesistente. Quindi, non è facile che il sindacato non affiliato alle confederazioni, abbia addirittura la capacità di stipulare contratti nazionali. Nel mondo sindacale normalmente i contratti nazionali sono sottoscritti dalle federazioni nazionali di categoria affiliate alle confederazioni. (colonnine) Quindi, ipotizzare un sindacato non aderente alle confederazioni (lett. A), ma in grado stipulare un contratto nazionale, è piuttosto difficile. La lett. B allargava solo apparentemente l'ambito della lett. A. Cosa accade all'interno dell'azienda con una rappresentanza sindacale aziendale che, con il canale unico è calata dall'alto? L'art. 19 sancisce che è ad iniziativa dei lavoratori, ma quella RSA è diretta emanazione di una Confederazione, cioè dell'organizzazione sindacale nazionale che decide di costituire una RSA all'interno di quell'azienda. I lavoratori dipendenti di quell'azienda non sono necessariamente iscritti a quell'organizzazione sindacale; anzi, solo una piccola parte saranno iscritti a quell'organizzazione sindacale che ha costituito l’RSA. C'è un possibile distacco (distanza in termini di rappresentanza), tra i lavoratori dipendenti di quell'azienda e la RSA costituita dal sindacato nazionale in quell’ azienda. Il lavoratore dipendente di quell'azienda non partecipa alla costituzione di quella RSA (non la vota). I rappresentanti non sono diretta emanazione dei dipendenti di quell'azienda. Il modello dall'art. 19 ha scaturito innumerevoli le questioni di legittimità costituzionale. QUESTIONI DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE E legittima l’esclusione dei sindacati non aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale? I sindacati non aderenti sono esclusi non solo dalla costituzione delle RSA, ma anche dall’esercizio dei diritti sindacali attribuiti alle RSA dagli artt. 20 e ss. St. Lav. Nei confronti di questa norma sono state sollevate numerose questioni di legittimità costituzionale. Perché? Perché i sindacati non aderenti alle confederazioni lett.a, o i sindacati non firmatari di contratti nazionali, quindi che non rientravano nè nella lett.a né nella lett.b, non potevano avere alcuna rappresentanza in azienda. Es. “paradossale”[] in una determinata azienda “Y” che produce mascherine vi è un sindacato al molto forte che ha un certo numero di iscritti, anche superiore agli scritti dei sindacati confederali. È un sindacato che in quella specifica azienda, in quel determinato territorio è molto forte, ma che non è affiliato ad alcuna Confederazione a livello nazionale. Sulla base del modello dell'art. 19, quel sindacato non poteva costituire una RSA all'interno dell'azienda; mentre lo poteva fare quel sindacato confederale che all'interno di quell'azienda aveva una capacità di rappresentanza inferiore all'altro sindacato. Su questo specifico punto sono state sollevate questioni di legittimità costituzionale: perché? Perché il punto non è la presenza della bandiera della RSA, ma il fatto che nello statuto dei lavoratori, alla RSA sono attribuiti una serie di diritti e prerogative, es. il diritto di assemblea, il 60 diritto di referendum etc. Quindi, avere una propria RSA voleva dire esercitare una serie di diritti all'interno dell'azienda. Dunque, è legittima l'esclusione dei sindacati non aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative? I sindacati non aderenti alle confederazioni non erano solo esclusi dal diritto di costituire RSA, ma anche dall'esercizio di tutti i diritti sindacali che lo St. Lav. attribuisce alla RSA con gli artt. 20 ss. LE RISPOSTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE La Corte costituzionale ha dato diverse risposte, cercando di salvaguardare il modello dell'art.19. Secondo la Corte costituzionale, “il legislatore ha operato una scelta consapevole e razionale”, perché non si poteva dar vita ad un numero imprevedibile di organismi rappresentativi: cioè 1’ RSA non poteva essere concessa a tutti. Corte Cost. n. 54 del 1974: “il legislatore (...) ha operato una scelta razionale e consapevole, tenendo presente gli scopi che si propone la legge n. 300/1970. Ha voluto evitare che singoli individui o piccoli gruppi isolati di lavoratori, costituiti in sindacati non aventi requisiti per attuare una effettiva rappresentanza aziendale possano pretendere di espletare tale funzione compiendo indiscriminatamente nell’ambito dell’azienda attività non idonee e non operanti per i lavoratori e possano così dar vita ad un numero imprevedibile di organismi, ciascuno rappresentante pochi lavoratori, organismi i quali, interferendo nella vita dell’azienda a difesa di interessi individuali i più e anche a contrasto fra loro, abbiano il potere di pretendere l’applicazione di norme che hanno fini assai più vasti, compromettendo o quanto meno ostacolando l’operosità aziendale, quella dell’imprenditore ed anche la realizzazione degli interessi collettivi degli stessi lavoratori”. “non si opera alcuna discriminazione fra le associazioni sindacali anche in quanto i requisiti stessi (...) sono sempre direttamente conseguibili e realizzabili da ogni associazione sindacale”. Corte Cost. n. 334 del 1988: “Sul piano della struttura delle rappresentanze sindacali aziendali, la norma impugnata è, invero, assai generica, e perciò idonea sia a consentire lo sviluppo di moduli e logiche organizzative diverse, di volta in volta adeguate — come l’esperienza dimostra — alle singole realtà, sia a dar vita ad assetti coerenti ai principi di democrazia sindacale e alle esigenze di rappresentanza delle varie figure professionali. Sul piano dei collegamenti delle rappresentanze con le organizzazioni extra-aziendali, il legislatore, onde garantire un effettivo pluralismo sindacale, ha consentito sufficienti spazi di libertà e di azione al sindacalismo autonomo mediante la disposizione di cui alla lett.b del medesimo art.19, che prevede che rappresentanze aziendali possono essere costituite nell’ambito di associazioni sindacali non affiliate alle confederazioni maggiormente rappresentative, sempreché queste siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva. Per questa via, alle associazioni sindacali che raccolgono adeguati consensi è dato modo di affermarsi e di fruire delle ulteriori attribuzioni previste dal titolo III dello Statuto” La Corte ritorna sulla questione: integra quanto aveva detto nella sentenza precedente e afferma che la norma dell’art. 19 è generica e idonea a consentire lo sviluppo degli organismi sindacali. Per quanto riguarda il collegamento con le organizzazioni extra-aziendali, cioè con le organizzazioni confederali, il legislatore (dice la Corte) ha consentito sufficienti spazi di libertà e di azione al sindacalismo autonomo, cioè al sindacalismo non confederale e non tradizionale. Perché c'è sempre la lett. B? Perché tramite la lett. B, anche il sindacalismo non confederale può costituire RSA se il firmatario di contratti nazionali; ma si tratta di una possibilità che, sul piano concreto, è sottile e limitata. Per comprendere il dibattito sull'art. 19 è necessario capire che, all'interno del mondo sindacale, c'è sempre stato un conflitto tra il sindacalismo confederale 61 tradizionale e il sindacalismo c.d. autonomo, che spesso raggiunge dimensioni nazionali, ma che non ha sempre quella organizzazione capillare tipica del sindacato confederale. Corte Cost. n. 30 del 1990: “La protezione accordata dallo Statuto dei diritti dei lavoratori alle organizzazioni sindacali si articola su due livelli. Ad un primo livello, comune a tutte, viene assicurata la liberà di associazione e di azione sindacale, che comprende altre importanti garanzie, quali la tutela contro atti discriminatori, anche sotto forma di trattamenti economici collettivi, la libertà di proselitismo e collettaggio*(artt. 15, 16, 26), l’accesso ad altri importanti diritti di esercizio collettivo, come quelli sanciti dagli artt. 9 e 11. A garanzia del libero sviluppo di una normale dialettica sindacale stanno poi il divieto di sindacati di comodo (art. 17) e la tutela per le organizzazioni a dimensione nazionale contro la condotta antisindacale del datore di lavoro (art. 28). (*L’art. 26 dello statuto di lavoratori riconosce il diritto di svolgere attività sindacali di proselitismo e collettaggio, cioè di raccolta di contributi a favore dei sindacati di appartenenza. Questa prerogativa appartiene ai singoli lavoratori: ciascuno può esercitarlo senza alcuna interferenza da parte di RSU o RSA. L'esercizio di tali diritti ex. Art 26 non deve compromettere il regolare funzionamento dell’organizzazione sindacale.) Il secondo livello esprime la politica promozionale perseguita dal legislatore al precipuo fine di favorire l’ordinato svolgimento del conflitto sociale, e comporta una selezione dei soggetti collettivi protetti fondata sul principio della loro effettiva rappresentatività. Ad essi sono attribuiti i diritti ulteriori idonei a sostenere l’azione, come quelli di tenere assemblee, disporre di locali, fruire di permessi retribuiti (artt. 20, 23, 27) ecc. Il principale criterio selettivo adottato al riguardo è quello della ‘maggiore rappresentatività’ a livello pluricategoriale (art. 19, lett.a) (...). Ma accanto ad esso la tutela rafforzata è stata conferita (lett.b) anche al sindacalismo autonomo, sempreché esso si dimostri capace di esprimere — attraverso la firma di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva — un grado di rappresentatività idoneo a tradursi in effettivo potere contrattuale a livello extra-aziendale”. L'ultima sentenza è la 30 del ’90à diventa molto più esplicita La Corte dice che lo St. Lav. attribuisce all'attività sindacale un doppio livello di protezione. Il primo livello (trovato quando parlavamo di libertà sindacale) è garantito a tutti gli organismi sindacali: la tutela contro le discriminazioni, la libertà di proselitismo etc... Il secondo livello è più incisivo e — secondo la Corte- esprime una politica promozionale del legislatore per favorire l'ordinato svolgimento del conflitto sociale. È necessaria una selezione dei soggetti, perché non si tratta di attribuire semplicemente garanzie contro discriminazioni, trattamenti economici discriminatori etc. Qui si tratta di attribuire qualcosa in più: diritti più incisivi, diritti ulteriori idonei a sostenere l'azione. Il principale criterio selettivo è quello della maggiore rappresentatività, a livello pluri-categoriale. Il dibattito non si placa, diventa sempre più acceso: continua perché, se da un lato il sindacalismo confederale inizia ad attraversare una fase di difficoltà; i sindacati non confederali, non tradizionali, guadagnano sempre più spazio in alcune realtà: quel criterio selettivo dell'art. 19 diventa più limitativo. REFERENDUM 1995 LEGGE 20 MAGGIO 1970, N.300 St. Lav. TITOLO II Dell’attività sindacale Art. 19. Cost. delle rappresentanze sindacali aziendali. 62 Differente è anche la legittimazione — nel caso della RSA siamo davanti ad una legittimazione sindacale, nelle RSU la legittimazione è elettorale. Come si costituisce la RSU? Procedimento elettorale. Nelle elezioni il voto è segreto, diretto e non può essere espresso per interposta persona. L'elettore può manifestare la preferenza solo per un candidato (organizzazione sindacale) della lista da lui votata. La RSU è eletta sulla base di liste presentate: 1. organizzazioni sindacali di categoria aderenti a confederazioni firmatarie del presente accordo o dalle organizzazioni sindacali di categoria firmatarie del contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell'unità produttiva; 2. associazioni sindacali formalmente costituite con un proprio statuto ed atto costitutivo a condizione che: - accettino espressamente, formalmente ed integralmente i contenuti del presente accordo, dell’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 e del Protocollo del 31 maggio 2013; - la lista sia corredata da un numero di firme di lavoratori dipendenti dall'unità produttiva pari al 5% degli aventi diritto al voto nelle aziende con oltre 60 dipendenti. Nelle aziende di dimensione compresa fra 16 e 59 dipendenti la lista dovrà essere corredata da almeno 3 firme di lavoratori. La RSU è eletta da tutti i lavoratori dell’azienda (nelle imprese in cui possono essere costituite RSA): tutti gli apprendisti, operai, impiegati e quadri non in prova alla data delle elezioni nonché i lavoratori a tempo determinato che prestino l’attività al momento del voto. Ai fini dell'elezione, il numero dei seggi sarà ripartito secondo il criterio proporzionale (chi ottiene più voti, avrà più seggi). Nell'ambito delle liste, i componenti saranno individuati secondo l'ordine dei voti di preferenza dei singoli candidati e, in caso di parità di voti di preferenza, in relazione all'ordine nella lista. Il numero dei componenti delle RSU sarà pari almeno a: a) 3 componenti nelle unità produttive che occupano fino a 200 dipendenti; b) 3 componenti ogni 300 o frazione di 300 dipendenti nelle unità produttive che occupano fino a 3000 dipendenti; c) 3 componenti ogni 500 o frazione di 500 dipendenti nelle unità produttive di maggiori dimensioni, in aggiunta al numero di cui alla precedente lett. (b). I componenti della RSU restano in carica per 3 anni, al termine dei quali decadono automaticamente. In caso di dimissioni, il componente sarà sostituito dal primo dei non eletti appartenente alla medesima lista. Le dimissioni e conseguenti sostituzioni dei componenti le RSU non possono concernere un numero superiore al 50% degli stessi, pena la decadenza della RSU, con conseguente obbligo di procedere al suo rinnovo, secondo le modalità previste dal presente accordo. Il cambiamento di appartenenza sindacale (“cambio casacca”) da parte di un componente della RSU ne determina la decadenza dalla carica e la sostituzione con il primo dei non eletti della lista di originaria appartenenza del sostituito. RAPPORTI RSA/RSU — fonte legale e fonte negoziale. I componenti delle RSU subentrano ai dirigenti delle RSA nella titolarità di diritti, permessi, libertà sindacali e tutele previste dal titolo III St. Lav. I sindacati che non partecipano alle elezioni delle RSU e non aderiscono al T.U. 2014 possono sempre costituire RSA ove firmatari del contratto collettivo applicato in azienda (art. 19 St. Lav.). 65 I sindacati che partecipano alle elezioni delle RSU e aderiscono al T.U. 2014 rinunciano formalmente ed espressamente a costituire RSA ex art. 19 e s’impegnano a non costituire RSA quando siano state o vengano costituite RSU. (*) Nella stessa azienda vi può essere la contemporanea presenza di RSA ed RSU ma di sindacati diversi. Non vi può essere la contemporanea partecipazione dello stesso sindacato alla RSA e RSU (*) Il sindacato X che ha sottoscritto gli accordi interconfederali, attraverso i quali si è vincolato a costituire RSU e ad esercitare quindi i diritti delle RSA attraverso la partecipazione nelle RSU, se questo sindacato decidesse di voler costituire una propria RSA e di riappropriarsi della normativa prevista dalla norma legale, cosa dovrebbe fare? Dovrebbe dare la disdetta (recedere dall’accordo interconfederale), a quel punto si è spogliata del vincolo negoziale e, se sussistono i requisiti, ritorna a quella che è la prerogativa prevista dalla fonte legale. PROBLEMA — Quali sono le conseguenze in caso di violazione della rinuncia a costituire RSA? Nessuno può legalmente impedirgli di farlo, perché la rinuncia è un valore meramente negoziale. le conseguenze sono meramente contrattuali (inadempimento, ...). A quali condizioni è possibile costituire una RSA da parte di un sindacato aderente al T.U. 2014? Dando disdetta. Può accadere che un sindacato aderente al T.U. scelga di costituire una propria RSA anziché partecipare in minoranza alla RSU. Perché sono così importanti le RSA e perché l'art. 19 ha sempre previsto requisiti selettivi? Si può capire l'importanza dell'art. 19 e il significato di quei criteri selettivi, guardando nel titolo III St. Lav. quali sono tutte le prerogative attribuite alle RSA ed esercitate per i sindacati che aderiscono agli accordi interconfederali, esercitate sotto forma di RSU. Si tratta di prerogative che incidono sull'attività produttiva che si svolge all'interno dei luoghi di lavoro, non all'esterno, ed è questa la ragione per cui la Corte legittimava il meccanismo selettivo dell'art. 19 St. Lav. Sono semplicemente delle prerogative dei diritti attribuiti alle RSA, e sappiamo che chi aderisce agli accordi interconfederali, esercita questi diritti attraverso la RSU ed è la RSU nel suo complesso che esercita (riceve) questi diritti. I componenti delle RSU subentrano ai dirigenti delle RSA nella titolarità dei diritti, permessi, libertà sindacali e tutele previste dal titolo III. DIRITTI - di indire assemblea nei luoghi; - di consultare i lavoratori; - garanzie particolari per i dirigenti (della RSA o RSU, che non possono essere trasferiti da un luogo all'altro senza il consenso dell'organizzazione sindacale, garanzia a tutela del rappresentante sindacale); - permessi sindacali retribuiti; - permessi non retribuiti; - il diritto di affiggere in azienda (il diritto di avere una c.d. bacheca sindacale dove affiggere le comunicazioni riguardanti il sindacato, i contributi sindacali, le deleghe; di locali veri e propri dedicati all'attività sindacale). SCIOPERO Lo stesso significato dello sciopero è evolutivo. La sua finalità è quella sindacale, il fine è tutelare i lavoratori subordinati. Ciò che caratterizza l'azione sindacale è sia il perseguimento dell'interesse collettivo, ma anche come questo interesse collettivo viene perseguito: quali sono gli strumenti 66 utilizzati. 3 Lo sciopero è il principale strumento di pressione e conflitto, cioè lo strumento di difesa e attacco dell'organizzazione sindacale. È stata una delle prime manifestazioni per il sindacato. Quando ancora il sindacato non c'era vi erano delle coalizioni spontanee che davano vita a un'astensione collettiva per raggiungere dei risultati, per ottenere dei miglioramenti sul piano contrattuale. + Lo sciopero non è altro che lo strumento attraverso il quale si riequilibra sul piano collettivo, grazie all'unione di tanti singoli, quello che è lo squilibrio all'interno del rapporto. Viene utilizzato per fare pressione sul datore di lavoro, il quale subisce un danno economico provocato da questo. Ciò dovrebbe indurlo ad accettare le rivendicazioni e le richieste dal lato dei lavoratori per stipulare il contratto collettivo. Se per finalità contrattuale, cioè quella di giungere alla stipulazione del contratto collettivo (la finalità storicamente prevalente: lo sciopero nasce per questo come strumento di pressione per stipulare un contratto collettivo), non possiamo però non sottolineare che nel corso del tempo lo sciopero non è stato sempre esercitato per stipulare il contratto collettivo, ma anche come strumento di espressione della posizione dei lavoratori del sindacato, rispetto a vicende della vita politica, sociale, economica. Abbiamo avuto scioperi non solo contrattuali, ma anche per finalità politica, scioperi economici politici (rivolte alle pubbliche autorità). È diventato da strumento finalizzato per un'immediata finalità contrattuale a strumento di partecipazione alla vita sociale, economica e politica del Paese. Il conflitto assume un valore partecipativo. Come è cambiato lo sciopero nel tempo fino agli anni ’80? La maggior parte degli scioperi, dalle origini fino agli anni ‘80 del secolo scorso, si concentravano essenzialmente nel settore industriale dando vita ad una serie di scioperi finalizzati al rinnovo del contratto collettivo. Ma nel momento in cui il procedimento contrattuale (il sistema di produzione di norme collettive), si è regolarizzato, lo sciopero non è stato così necessario per arrivare al rinnovo del contratto collettivo. Il sistema si è istituzionalizzato nell'impiego privato: il numero di scioperi di impiego, si stabilizza e tende a diminuire. Non è più necessario ricorrere al conflitto, che per il lavoratore ha un costo, visto che non percepisce la retribuzione per il giorno in cui sciopera. A partire dagli anni ‘80, soprattutto ’90, nell'industria si assiste a un sistema di rinnovi contrattuali sempre meno conflittuale; quindi, lo sciopero perde la sua centralità come strumento di negoziazione. La conflittualità inizia ad aumentare all'interno dei servizi pubblici, in particolare quelli rivolti all'utenza perché essa subisce gli effetti dello sciopero e normalmente c'è il soggetto pubblico che cede più facilmente alle richieste, nel momento in cui l'utenza subisce gli effetti dell'astensione. Non a caso dal 1990, con la Legge n. 146, modificata nel 2000, il legislatore interviene a regolamentare lo sciopero nei servizi pubblici essenziali poiché, in quanto diritto costituzionale, può essere limitato soltanto da altri diritti costituzionali (diritto alla circolazione, alla salute, alla vita e così via). Si parte da uno sciopero che si concentra nel settore privato, per arrivare ad un contesto nel quale si concentra nel settore dei servizi pubblici essenziali. EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA NAZIONALE DELLO SCIOPERO Lo sciopero si afferma come strumento di lotta sindacale nella seconda metà del ‘900: era un fenomeno nuovo che l'ordinamento giuridico non conosceva. Di fronte a questo fenomeno di astensione collettiva e organizzata, le risposte degli ordinamenti giuridici sono state diverse nel tempo. 67 Nel corso della sua evoluzione, lo sciopero è diventato uno strumento di partecipazione alla vita sociale del paese oltre che un mezzo per il rispetto dell’obbiettivo contrattuale: è stato usato per esprimere dissenso nei confronti di certe politiche+ il diritto di sciopero configura un diritto fondamentale della persona perché costituisce strumento di partecipazione del lavoratore alla vita pubblica, sociale del paese. Questione delicata: chi è il titolare di questo diritto: il singolo lavoratore (singolo individuo) o l’organizzazione sindacale (soggetto collettivo)? L’art..40, si esprime in modo ambiguo, dice “si esercita il diritto di sciopero”, ma chi è il soggetto? Non si individua il titolare: questo diritto, secondo la lettura tradizionale, è attributo nell’area del lavoro subordinato. Nasce come diritto e strumento di conflitto dei lavoratori subordinati. Nel momento in cui lo sciopero inizia ad essere configurato non più come strumento di pressione contrattuale, ma anche come strumento di ampia partecipazione, questo diritto inizia ad essere riconosciuto anche al di là dei confini della subordinazione. Si assiste ad una tendenza espansiva dell’area della titolarità del diritto di sciopero. Nel 1975 con la sent. 222 la Corte costituzionale riconduce entro i confini dell’art. 40, con tutto ciò che ne consegue in materia di liceità della condotta sul piano civile e penale, l'astensione dall’ attività dei piccoli esercenti (senza dipendenti): piccoli imprenditori senza dipendenti che si astengono dall’attività lavorativa per reagire ad una determinata decisione politica. QUALIFICARE L’ASTENSIONE Si tratta di lavoratori subordinati (piccoli esercenti/imprenditori, i quali altrimenti sarebbero datori di lavoro). La Corte costituzionale inaugura una tendenza espansiva e ricomprende nell’art. 40 anche l’astensione di soggetti che sul piano contrattuale non si qualificano come lavoratori subordinati. A partire dal ‘78 alcune sentenze della cassazione ricomprendono nell’art. 40 anche l’astensione dei lavoratori parasubordinati. Nel 1996 con la sent. n. 171: astensione collettiva degli avvocati à la Corte costituzionale esclude che l’estensione collettiva degli avvocati si inquadri nell’art. 40. Perché? Facendo leva sul fatto che si tratti di liberi professionisti e che la loro astensione si riflette sull’utenza: è il confine ultimo sull’espansione del diritto di sciopero. La titolarità del diritto di sciopero è individuale o collettiva; e perché è importante? Stabilire chi è il titolare del diritto vuol dire individuare il soggetto che controlla lo strumento dello sciopero: - se è titolare il singolo lavoratore, lo strumento non sarà controllato dall’organizzazione collettiva; - se quest’ultima è il titolare, allora i lavoratori non potranno scioperare indipendentemente dalla decisione del sindacato. A seconda delle tesi si attribuisce al diritto di sciopero un significato di maggiore o minore controllo da parte dell’organizzazione collettiva. Noi viviamo in un sistema dove il sindacato non è riconosciuto dal potere pubblico (del soggetto sindacale). In sintesi: chi è titolare del diritto al conflitto, chi lo controlla, chi ne dispone? La tesi che prevalse in dottrina e giurisprudenza è quella secondo la quale il diritto di sciopero ha titolarità individuale, il singolo è il titolare del diritto ex art.40 e non l’organizzazione collettiva. Per questa ragione le clausole di tregua ex T.U. devono essere inserite nei contratti collettivi, dato che il titolare del diritto è il singolo e non l’organizzazione sindacale. 70 Che contenuto avranno le clausole di tregua? Le clausole di tregua, stipulate dall’organizzazione collettiva, che non ha titolarità del diritto di sciopero, eserciteranno un’influenza sui titolari del diritto (la base, i lavoratori, i singoli), affinché non esercitino il diritto stesso. Se il diritto di sciopero è un diritto a titolarità individuale, il singolo può scegliere da solo di scioperare? La distinzione tra inadempimento ed esercizio del diritto di sciopero è rilevante (se non è esercizio di sciopero, è inadempimento e viceversa). È un diritto a titolarità individuale, però il suo esercizio deve essere collettivo, finalizzato al perseguimento di un interesse collettivo (sintesi di interessi individuali). Nulla esclude che anche 2 lavoratori possano esercitare un diritto di sciopero: occorrerà valutare l’interesse che viene perseguito con tale astensione. Quali sono le conseguenze di questa qualificazione? Per esercitare il diritto di sciopero non è richiesta la proclamazione dello stesso da parte del sindacato. I lavoratori possono scioperare indipendentemente dalla posizione della organizzazione collettiva, con tutto ciò che ne consegue 3 possono scioperare anche in dissenso con il sindacato. Gli iscritti ad un sindacato possono partecipare allo sciopero organizzato da un altro sindacato. La clausola di tregua ha efficacia dispositiva del diritto di sciopero? No, implica l'assunzione di un obbligo diverso: quello di esercitare l’influenza sulla base. Il titolare è il singolo e non può incorrere in alcuna sanzione penale o civile ma l’inadempimento è punibile. Qualificare l’astensione come sciopero ha delle implicazioni notevoli per il singolo all’interno del rapporto. L’art. 40 non definisce lo sciopero: uno dei problemi è capire quali comportamenti integrano la fattispecie dello sciopero e quali non integrano lo sciopero. Quindi: esiste una definizione aprioristica di sciopero? Esistono limiti interni alla definizione del diritto di sciopero? Questione delicata perché lo sciopero, come molti strumenti di lotta sindacale si è evoluta nel tempo. Da dove nasce la questione definitoria? Lo sciopero tradizionale è costituito da una astensione collettiva prolungata nel tempo. Esso però non è indifferente economicamente per i lavoratori. Perché? La mancata prestazione è lecita civilmente (non è inadempimento) ma, in ragione del rapporto contrattuale alla mancata prestazione, non corrisponde ad alcun diritto di retribuzione (due aspetti distinti). L’astensione non configura inadempimento, ma un soggetto non ha diritto alla retribuzione per la prestazione non svolta perché verrebbe meno la correspettività tipica del rapporto contrattuale. Aderire allo sciopero comporta un sacrificio economico per il lavoratore che perderà quella quota di retribuzione: l’obbiettivo dello sciopero è quello di recare danno al datore di lavoro, interrompendo l’attività lavorativa ma dall’altro quello di minimizzare il sacrificio economico per il lavoratore (massimizzare danno e minimizzare sacrifico). Per questa ragione nella prassi si sono diffuse una serie di forme di sciopero diverse da quella tradizionale per minimizzare il sacrificio. FORME DI SCIOPERO -Rifiuto dello straordinario: la prestazione viene eseguita nell’orario normale, ma viene rifiutata la prestazione per le ore aggiuntive; -Rifiuto delle mansioni: il lavoratore si attiene strettamente alle mansioni che gli vengono attribuite, quelle contrattualmente definite. Qualsiasi richiesta al di fuori delle mansioni definite viene rifiutata; - Rifiuto della reperibilità: fascia orario nella quale il lavoratore non esegue la prestazione, ma rimane a disposizione; 71 - Sciopero pignolo: in qualunque azienda vi è un regolamento interno che definisce le procedure per la prestazione lavorativa. Esso consiste nell'osservanza scrupolosa delle istruzioni aziendali in modo tale da rallentare l’attività produttiva. - Sciopero a singhiozzo (intervallato nel tempo): all’interno di tutte le aziende il processo produttivo prevede la partecipazione di diversi reparti collegati tra loro. Sciopera prima un reparto per un certo tempo e l’altro non potrà lavorare, ma formalmente il secondo reparto non sta scioperando, ma anzi i dipendenti lavorano ma non possono fare niente perché il reparto precedente è bloccato. Nel momento in cui il reparto precedente incomincia a lavorare, allora il secondo reparto si fermerà e sciopererà. - Sciopero a scacchiera (sciopero intervallato nello spazio): come lo sciopero a singhiozzo i lavoratori non sono in sciopero, ma sfruttando le connessioni funzionali tra i diversi reparti questo tipo di sciopero produce un risultato, in termini di sacrifico, ben superiore al tempo di astensione. Giuridicamente, queste forme di astensione sono scioperi: se siamo all’interno dell’art.40, quei lavoratori non commetteranno alcun reato o inadempimento e non possono essere sanzionati dal datore; se siamo al di fuori dell’art. 40 queste condotte non beneficiano della garanzia costituzionale e costituiranno inadempimento. La questione viene risolta con la sent. della Cassazione (30 gennaio 1980 n. 311): esclude che vi sia una definizione aprioristica dello sciopero. Sciopero è tutto ciò che la prassi sindacale considera tale: la definizione è evolutiva e non precostituitaà riflette la prassi sociale. Essa risente dei cambiamenti e delle modalità dei conflitti, non vi sono limiti interni definitori del diritto di sciopero, perché la sua definizione rimanda alla prassi sociale. Tutte quelle modalità diverse da quella tradizionale, emerse dalla prassi sociale, sono lo sciopero e rientrano nell’art. 40. FINALITÀ DELLO SCIOPERO Quale è il fine dello sciopero? La finalità storica è quella economico-contrattuale strumento di conflitto teso alla stipulazione del contratto collettivo. Nella prassi sociale si sono affermate altre finalità del diritto di sciopero in ragione di una lettura ampia dell’art. 40 Cost. Uno dei problemi che si è posti all’attenzione è stato quello della compatibilità tra le norme del Codice penale, incriminatrici dello sciopero e l’art. Cost. La Corte costituzionale è intervenuta numerose volte ridisegnando completatamene il significato delle norme del Codice penale: 1. Sentenza (n. 29/1960) sciopero per fini contrattuali: dichiara l’integrale illegittimità dell’art. 502 c.p. che era la norma che reprimeva lo sciopero per fini contrattuali; 2. Sentenza (n. 123/1962): dichiara la parziale illegittimità dell’art. 505 c.p., lo sciopero di solidarietà, ossia lo sciopero posto in essere da una comunità di lavoratori per solidarizzare con un altro gruppo di lavoratori in sciopero è legittimo purché vi sia una comunanza di interessi tra gli scioperanti. 3. Sentenza (n.147/1967) la Corte incomincia a porre le basi di una lettura espansiva dell’art. 40 Cost. che tutela ogni astensione attuata per ogni rivendicazione riguardante gli interessi dei lavoratori (interesse collettivo). Non vi possono essere finalità precostituite, ma essa è decisa dalla stessa comunità dei lavoratori. L'art. 503 c.p. incriminava come reato lo sciopero politico. Che cos'è lo sciopero politico? 4 E lo sciopero posto in essere, non per ragioni contrattuali (cioè per stipulare un contratto collettivo) né per ragioni di solidarietà: è lo sciopero posto in essere per una ragione puramente politica. 72 Dov'è il punto di equilibrio tra l'esercizio del diritto di sciopero e la libertà di iniziativa economica priva Fin dove può spingersi lo sciopero nel determinare un danno all' impressa? La giurisprudenza, in modo costante, opera la distinzione sopra riportata (*). Lo sciopero rimane, nei confini ammessi dall'ordinamento, indipendentemente dalla forma con cui viene attuato, purché si limiti ad arrecare un danno alla produzione, che è la finalità tipica dello sciopero à interrompere l'attività produttiva. Quindi, gli scioperi articolati, e qualunque altro sciopero, finché si limitano a ridurre i volumi di produzione rimangono all'interno della sua finalità politica. Ciò che non può fare invece lo sciopero è arrecare un danno alla produttività. Qual è la differenza? La differenza sta nel fatto che, mentre la produzione si riferisce all'attività in un dato momento, e quindi rientrano nelle finalità tipiche e legittime dello sciopero, il danno alla capacità produttiva, invece, è un danno arrecato alla capacità dell’impressa di riprendere la produzione al termine dello sciopero. Questo tipo di danno, incidendo sulla libertà di iniziativa economica, non è ammesso dall'ordinamento. Quindi, lo sciopero articolato, o qualunque altro sciopero, in questo caso diventa illegittimo. Ciò non vuol dire che lo sciopero sia limitato, ma vuol dire semplicemente che lo sciopero non può spingersi al punto di arrecare un danno alla produzione impedendo al contempo all'azienda di ricominciare a produrre dopo. Il problema si è posto soprattutto nelle aziende a ciclo produttivo integrale: es. aziende siderurgiche, il cui ciclo produttivo, per ragioni tecnologiche, deve rimanere in funzione costantemente. Vi sono alcune lavorazioni che per ragioni tecniche devono essere sempre in funzione. Qual è allora il limite? Durante gli anni ‘70/80, vi sono stati alcuni scioperi che di fatto hanno creato un danno alla produttività, cioè alla capacità dell'impresa di ricominciare a produrre una volta cessato lo sciopero; è per questa ragione che, gli stessi contratti collettivi prevedono che la maggior parte dei lavoratori possa scioperare e che alcuni gruppi cosiddetti comandati restino lì a lavorare per tenere l'impianto attivo al minimo, in modo tale da consentire a quell'impianto di riprendere i volumi normali di produzione al termine dello sciopero. Vi sono dei casi in cui lo sciopero rischia di pregiudicare, non la capacità dell'impresa di produrre durante lo sciopero, ma la capacità dell'impresa di produrre dopo lo sciopero (cioè qualunque capacità di produzione). EFFETTI DELLO SCIOPERO SUL RAPPORTO DI LAVORO LO SCIOPERO COSTITUISCE mmm) LECITO PENALMENTE ESERCIZIO DI UN DIRITTO COSTITUZIONALE trent LECITO CIVILMENTE SOSPENSIONE DELLA NON INTEGRA PRESSIONE INADEMPIMENTO MANCA COMUNQUE LA PRESTAZIONE PERDITA DELLA ‘RETRIBUZIONE PER IL TEMPO NON LAVORATO 75 Lo sciopero costituisce esercizio di un diritto costituzionale. La prestazione resta sospesa. È lecito penalmente, quindi non è un reato, ed è lecito civilmente; non integra quindi un inadempimento, ma la prestazione manca comunque. In coerenza con il principio di corrispettività, mancando la prestazione, il lavoratore perde il diritto alla retribuzione per il periodo appunto non lavorato. Tutto questo nello sciopero articolato come si pone? Lo sciopero articolato ha la funzione di massimizzare il danno e di minimizzare il sacrificio. Si sciopera a intervalli di tempo ed a intervalli di spazio: sciopera prima un reparto, poi ne sciopera un altro, e così via. Questo sciopero intende in altri termini sfruttare le connessioni funzionali che ci sono all'interno dell’impressa tra reparti diversi. Che cosa accade? Accade che, per alcune ore i lavoratori sono in servizio, ma di fatto non svolgono alcuna prestazione perché materialmente impossibilitati a far funzionare quel determinato reparto. Perché l'altro reparto dal quale dipendono sta scioperando. Il problema allora qual è? Nello sciopero articolato la perdita della retribuzione si calcola semplicemente in ragione dell'ora di presenza inufficio, anche se quella presenza non ha alcuna utilità economica per i datori di lavoro? La prestazione, sappiamo che viene resa, ma è economicamente inutile. 3 Per una parte della giornata i lavoratori, a seconda dei reparti, a seconda degli orari, sono stati in servizio, ma la prestazione che hanno reso è economicamente inutile. Teoricamente il datore di lavoro dovrebbe corrispondere la retribuzione per il periodo in cui lavoratore è rimasto nella sua disponibilità. Data la connessione tra i diversi reparti, anche i lavoratori che non hanno partecipato allo sciopero potrebbero vedere la loro prestazione diventare inutile perché, materialmente, non erano in grado di svolgere alcuna prestazione. La risposta che dà la giurisprudenza si richiama sempre al principio di corrispettività. La giurisprudenza è solita richiamarsi all'art. 1464 c.c. In altri termini, laddove la prestazione sia inutile si sia rivelata inutile, indipendentemente dall'effettiva partecipazione o meno allo sciopero, il datore di lavoro potrebbe non retribuire l'attività diventata economicamente inutile, a causa dello sciopero articolato, con l'effetto quindi, che, in teoria, anche lavoratori che non hanno partecipato allo sciopero potrebbero vedersi negare la retribuzione per le ore o le giornate in cui hanno di fatto svolto una prestazione priva di utilità economica. Questo ragionamento si inquadra all'interno dell'impossibilità parziale della prestazione è art. 1464 c.cc uali strumenti a dispo: ne il datore di lavoro per reagire allo sciopei DIRITTO SOGGETTIVO SOGGEZIONE DEL POTESTATIVO DEL DATORE DI LAVORO LAVORATORE SCIOPERO ESERCIZIO DI UN mm)), NESSUN DIRITTO INADEMPIMENTO COSTITUZIONALE “&x NESSUNA CONDOTTA DISCIPLINARMENTE RILEVANTE NESSUNA SANZIONE DISCIPLINARE 76 Lo sciopero è un diritto soggettivo potestativo del lavoratore. Perché? Perché il datore di lavoro versa in una posizione di soggezione, può soltanto subire lo sciopero. Si tratta dell'esercizio di un diritto costituzionale, quindi non configura come inadempimento. Il datore di lavoro non può utilizzare nessuno strumento disciplinare come reazione allo sciopero; non si configura, infatti, alcuna condotta disciplinarmente rilevante. Il datore di lavoro, quindi, da questo punto di vista non sembra avere alcun tipo di capacità reattiva rispetto allo sciopero, ma non solo: l'art. 15 St. Lav., estende il concetto di atti discriminatori per ragioni sindacali anche alle differenze di trattamento dovute alla partecipazione a uno sciopero. x Art. 15 Atti discriminatori È nullo qualsiasi patto od atto diretto a: (+) b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche ‘o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti isciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero. Art. 16 Trattamenti economici collettivi discriminatori E' vietata la concessione di trattamenti economici di maggior favore aventi carattere discriminatorio a mente dell'articolo 15. Art. 28 Repressione della condotta antisindacale Qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e della attività sindacale nonché del diritto di sciopero L'art. 16 Stat. Lav. vieta concessioni di trattamenti collettivi nelle ipotesi previste dall'art. 15. L’art. 28 Stat. Lav. considera come condotta antisindacale anche i comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio del diritto di sciopero. Non può neppure discriminare successivamente i lavoratori in base alla partecipazione o meno a uno sciopero perché commetterebbe una condotta antisindacale. L'unico strumento ammesso è quello del crumiraggio: divieto di assunzione con contratto di lavero SRIAGGIO mò ILLECITO BI iricrritente (a. 14, (ASSUNZIONE DI LAVORATORI d.lgs. n. 81/2015), tempo ER SOSTITUIRE GLI determinato (art. 20), SCIOPERANTI) somministrazione (art. 32) CRUMIRAGGIO RIS)» LECITO INNS) Nei iti delle mansioni INTERNO fert. 2103 c.c.) e dell'orario (UTILIZZO DI ALTRI, di lavoro ORATORI DELL'IMPRESA. PER SOSTITUIRE GLI SCIOPERANTI) “Crumiri” sono coloro che lavorano non partecipano allo sciopero e che accettano di entrare ugualmente in azienda. Ci sono però due tipi di crumiraggio: esterno ed interno. Il crumiraggio esterno consiste nell'assunzione di nuovi lavoratori per sostituire coloro che in quel momento sono in sciopero. Il crumiraggio esterno è vietato dal nostro ordinamento: non si possono assumere lavoratori solo per sostituire degli scioperanti. Infatti, all'interno del codice del lavoro - decreto 81 del 2015 — il divieto di assunzione o un contratto di lavoro intermittente con tempo determinato e con somministrazione di manodopera è fa riferimento a contratti brevi, poiché breve dovrebbe essere la sostituzione. Il legislatore afferma che i contratti di lavoro brevi non possono essere utilizzati per sostituire gli scioperanti. Ciò che si può fare invece è il crumiraggio interno, perché si tratta di lavoratori già in forza nell'impresa, che possono essere spostati da un reparto all’altro. 77
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