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Storia del diritto romano - Masiello - riassunti per l'esame, Prove d'esame di Storia del Diritto Romano

storia del diritto romano - tommaso masiello

Tipologia: Prove d'esame

2012/2013

Caricato il 12/02/2013

frnciius
frnciius 🇮🇹

4.4

(13)

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Storia del diritto romano - Masiello - riassunti per l'esame e più Prove d'esame in PDF di Storia del Diritto Romano solo su Docsity! ETA’ MONARCHICA (753-509) Piccoli pagi (villaggi) si federano per ragioni militari e di culto, prima lentamente, poi velocemente con inizio di colonizzazione greca. Non si conosce se organizzazione politica di pagi fosse (probabilmente tutte e 3): 1. Tribale 2. Familiare di tipo agnatizio 3. Gentilizio In età monarchica (cittadina, non di pagi) prevalse organizzazione di tipo gentilizio, che creò disparità tra patrizi, inurbati, e loro clienti, che coltivavano i terreni fuori le mura. Causa prima di disparità tra ceti fu la guerra, i cui proventi venivano assegnati ai gruppi gentilizi più importanti Con repubblica vedremo fine di gruppi gentilizi e avvento di nobiltà patrizio-plebea Il re I re di Roma furono certamente più di sette. Re: garante di unità di civica romana, detentore di poteri civili e militari, mediatore tra uomini e dei (insieme ad auguri, pontefici, feziali, flamini e altri collegi sacerdotali), interrogava gli dei in caso di decisioni importanti, era affiancato dal magister populi e il magister equitum. Re doveva mantenere pax deorum, punendo i colpevoli di crimini gravi (che avrebbero attirato la collera divina sulla città) con l’ aiuto di pontefici e quaestores parricidii. (perduellio: fustigazione appesi ad un albero sterile) (parricidio = omicidio: pena cullei, la pena del sacco) Le condanne avevano sempre un valore sacrale di espiazione, perciò erano così strane Comandante supremo dell’ esercito, assistito da magister populi (una sorta di vice) e magister equituum (comandante della cavalleria). Primi cinque re furono scelti dai capofamiglia più importanti, rimanenti per iure sanguinis (successione) Per suggellare investitura di un nuovo re, auguri interrogavano gli dei e li bendisponevano nei confronti del nuovo re. Nuovo re doveva giurare fedeltà a popolo romano riunito in comizi centuriati (lex curiata de imperio) Il consiglio degli anziani Secondo principale organo monarchico Non si conosce numero esatto di membri e come si facesse a diventarlo. Si pensa i membri fossero scelti dal re tra i più autorevoli e anziani elementi di gentes più importanti. Compiti meramente consultivi, ma raramente il re non rispettava le sue decisioni. Esercitava il potere tra la morte di un re e la nomina del nuovo (interregno), affidando il potere per cinque giorni, a turno, a membri più anziani. Assemblee popolari Comizio curiato Fu istituito dal re Servio Tullio. Romolo stesso divise popolazione in tre tribù (ramnes, tities e luceres) e ognuna in dieci curie. Ogni curia doveva fornire all’ esercito 100 fanti e 10 cavalieri. Comizio curiato rappresentava unità di organizzazione gentilizia. Partecipava all’ acclamazione di nuovi re e ai giuramenti di fedeltà. Riceveva dal re le date faste e nefaste, in cui si poteva o no combattere e amministrare la giustizia. Esprimeva pareri non vincolanti su guerra e pace e sulla nomina dei magistrati. Esprimeva pareri sulle adrogatio, presiedute dal pontefice massimo (adozioni tra paterfamilias atte a perpetrare il nome gentilizio) Assisteva a testamenti pubblici (testamentum calatiis comitiis) e agli atti di ripudio della propria gens (detestatio sacrorum), a pasaggi da patriziato a plebe, e all’ ammissione di nuovi gruppi gentilizi nella comunità. Comizio centuriato Con l’ adozione di tattica militare oplitica, si dovettero creare unità, le centurie formate da 100 uomini, caratterizzate dallo stesso censo e quindi dotate di armamenti uniformi. Questo comizio ha un forte carattere militare, infatti si riuniva fuori da pomerio, al campo marzio, al suono di un corno da guerra. ETA’ REPUBBLICANA (509-23) Cacciato ultimo re, popolo elesse due patrizia cui conferirono il potere per un anno, essi inizialmente si chiamarono pretori, e successivamente CONSOLI In seguito ad aspre contese tra plebe e patrizi si decise che un conosole doveva essere plebeo. Funzioni religiose furono affidate al rex sacrorum, e la giustizia al pretore. Durante repubblica i poteri furono affidati ai magistrati. Potere era di due tipi: imperium = potere generale civile e militare, riservato a consoli e pretori, potestas = poteri concreti e specifici? Affidati ai magistrati minori e connessi alla carica rivestita. Caratteri di magistrature romane furono: collegialità e temporaneità, per evitare poteri personali eccessivi, gratuità, che di fatto escludeva i meno abbienti dalle cariche pubbliche. Per risolvere problemi dovuti alla parità di potere tra consoli o magistrati vari, o si esercitava il potere a turni di un giorno o si predeterminavano le competenze. I magistrati maggiori avevano lo ius intercedendi (veto) sui magistrati minori, solo i tribuni della plebe potevano intercedere sull’ operato di magistrati maggiori. Cursus honorum: questura, edilità curule, pretura e consolato. Cursus honorum riservato ai plebei: edilità e tribunato della plebe. Queste cariche venivano affidate ogni anno, mentre la censura non era affidata ogni anno. Magistrature straordinarie La censura: isttuita nel 443 ac, prima riservata a patrizi, poi anche a plebei, due censori, scelti tra ex consoli, in carica 18 mesi, censivano la popolazione, vigilavano sulla ossevanza del buon costume (cura morum), punendo i colpevoli nei loro diritti di voto e eleggibilità (ius suffragii et honorum) e nella loro appartenenza a una classe comiziale. Con il plebiscito ovinio del 312 ac ottennero il potere di di scegliere i senatori (lectio senatus) ed espellere dal senato coloro che avevano meritato una nota censoria (una sorta di punizione per immoralità) Dittatura: creata in caso di grave pericolo per la repubblica, dittatore in carica 6 mesi, carica non collegiale per poter prendee decisioni rapide. Magistrature Magistrature ordinarie Consolato: imperium, supremo comando politico e militare, potere di indire la leva, convocare le assemblee popolari per proporre leggi e eleggere censori e pretori, potere di convocare il senato per richiederne il parere (ius agendi cum populo e cum senatu) e di punire i cittadini disobbedienti alle leggi (coercitio) coercitio se esercitata entro i confini di Roma (domi) doveva essere sottoposta alla provocatio ad populum, un appello ai comizi centuriati, e alla intercessio tribunizia, intercessione dei tribuni, se fuori da Roma (non domi) senza ostacoli (in seguito delle leggi modificheranno tali procedure) i consoli ammettevano gli ex magistrati in senato fino a che la cosa non fosse stata ufficializzata da un censore, e davano il nome all’ anno in cui governavano (erano eponimi). Segni del loro potere erano toga praetexta, sella curule e guardia di 12 littori. Pretura urbana (una sorta di vice dei consoli) dal 367: amministrazione della giustizia (iurisdictio), di emanare editti, ius agendi cum populo per nominare i magistrati minori,e in assenza dei consoli, ius agendi cum senatu e coercitio, nonché poteri militari in vece dei consoli. Segni del suo potere: toga praetexta, sella curule, guardia di 6 littori Pretore peregrino dal 242 ac: compito di amministrare la giustizia tra romani e stranieri Edilità: inizialmente riservata ai plebei, in seguito anche ai patrizi (edilità curule), materia di agibilità e sicurezza degli edifici, incendi mercati, manifestazioni, 4 edili (2 plebei e 2 patrizi). Questori: eletti dal popolo, 20 questori, esercitavano giustizia penale nei casi soggetti alla provocatio ad populum, amministravano tesoro pubblico, allestivano la flotta. Tutti coloro che avevano rivestito una carica magistratuale entravano a far parte della nobilitas patrizio-plebea (anche i loro discendenti). Il senato Senato naturale prosecuzione di consiglio degli anziani, prima solo patrizio, poi anche plebeo, numero di senatori a seconda delle epoche variava da 300 a 1000, ma in età repubblicana furono sempre 300. Si occupava di politica estera, consigliava ai consoli di proporre ai comizi trattati di pace o dichiarazioni di guerra, si occupava di alleanze, riceveva gli ambasciatori, supervisionava le operazioni militari svolte lontano da Roma, autorizzava leva e congedi, decretava i trionfi per i generali vittoriosi, sorvegliava la regolarità delle elezioni, attribuiva agli ex magistrati il comando militare e civile nelle province, prendeva decisioni straordinarie in campo di ordine pubblico e buon costume, autorizzava le spese per le quali si utilizzava denaro pubblico, stabilivano i dazi doganali, poteva sospendere le attività giudiziarie (istituto della iustitium), ufficializzava le leggi. Vi entravano a far prate prima i magistrati curuli, poi anche quelli plebei, e in casi di estrema necessità, anche i cittadini molto meritevoli, inizialmente ammessi dai consoli, poi con il plebiscito ovinio dai censori. Senato era convocato e presieduto dai consoli, che fissavano data e luogo dell’ incontro. Non vi era dibattito, ogni senatore prendeva la parola una sola volta in ordine di importanza e anzianità, le votazioni avvenivano per discessio, chi era favorevole al parere di un senatore si recava vicino a lui, chi era d’ accordo con un altro si recava vicino a quell’ altro. Le sedute del senato erano dette senatoconsulti. Senatoconsulti non potevano abrogare leggi (tale compito spettava solo ai comizi centuriati, che le promulgavano), ma potevano consigliare ai consoli di proporre tali abrogazioni, e il loro parere era spesso preso in grande considerazione. Il vecchi ius civile per legis actiones non fu abolito, ma affiancato da uno ius novum, lo ius gentium (non fu abolito perché i romani erano molto legati alle tradizioni). Lo ius gentium serviva per rapportarsi a popoli diversi per esigenze di commercio, con schemi negoziali agili e non formali. I nuovi negozi creati furono: emptio venditio (compravendita) locatio conductio (locazione conduzione) societas (società) mandatum (mandato). Per lo ius gentium fu molto importante il concetto di bona fides. Mettendo a confronto la mancipatio e la emptio venditio, entrambi negozi di compravendita, notiamo come nel secondo bastasse il semplice consenso, la volontà, il passaggio di proprietà era il fine ultimo, non la conseguenza, poteva essere concluso a distanza e tramite lettera o incaricato. Processo formulare Con estensione di commerci, venne istituito il pretore peregrino, incaricato per processi tra romani e stranieri (rappresentati comunque da un cittadino romano). Anche i processi del pretore peregrino era in 2 fasi, ma senza schemi e formalismi, cosa che successivamente sarà estesa anche al pretore urbano (lex aebutia). Il pretore dava istruzioni ai giudici usando una struttura sintattica di tipo ipotetico alternativa (se tizio è ritenuto colpevole, lo si punisca così). Tali proposizioni divenute molto frequenti venivano trascritte dal pretore nell’ editto che emanava all’ inizio del suo anno di carica (ius edicendi). La giustizia non poteva costringere qualcuno a restituire un oggetto contro la sua volontà (come accade oggi), ma poteva costringere a pagare una somma superiore al valore dell’ oggetto. Pretore poteva rigettare l’ azione (denegatio actionis) Editto perpetuo All’ inizio dell’ anno di carica il pretore annunciava con un editto le azioni e le risoluzioni che avrebbe applicato di caso in caso, tali promesse venivano poi trascritte su tavole nel foro. Ogni editto valeva un anno, cioè per tutta la carica del pretore (per questo editto perpetuo), che poteva però discostarsene senza conseguenze (fino al 67 ac, quando una legge cornelia glielo impedì). Generalmente se un editto si era rivelato valido, i nuovo pretore ne manteneva i contenuti integrandoli, il che andò a creare un testo relativamente stabile. Questo era l’ editto perpetuo, vi era poi l’ editto repentino che veniva emanato in caso di necessità sopraggiunte. L’ editto aveva in appendice anche disposizioni dell’ edile curule in materia di liti di mercato. L’ editto conteneva schemi e formule di azioni e difese processuali e i mezzi ausiliari. Definitiva edizione dell’ editto da parte di S. Giuliano. Ius honorarium L’ editto tutelava norme già esistenti, ma in certi casi integrava e correggeva lo ius civile,diventando entro certi limiti uno strumento di produzione normativa. Innovazioni che venissero conservate da pretori successivi entravano a far parte della consuetudine, con il passare del tempo. Alcuni importanti istituti dovuti al diritto onorario furono: in bonis habere (particolare tipo di compravendita) e la bonorum possessio (eredità particolare). Ius honorarium e ius civile erano indipendenti l’ uno dall’ altro e non si abrogavano a vicenda (come rapporto tra leges e mores) Fondamento e criteri ispiratori di attività pretoria Tra i valori fondamentali alla base dell’ attività pretoria vi furono la tutela dei soggetti deboli, il riconoscimento dei vincoli di sangue, ma soprattutto l’ aequitas, in modo da correggere quelle parti del diritto civile che non fossero più al passo con i tempi. Repressione criminale da monarchia a fine della repubblica In età pre-cittadina era la stessa gens che puniva i crimini. Con sorgere della città si applicò la legge del taglione (adeguatezza della pena) o si pagava un risarcimento, la città interveniva per i crimini che turbavano la pax deorum, tale compito spettava al re, assistito dai duumviri perduellionis e dai quaestores parricidii. Per crimini minori bastava una piacula espiatoria (piccola offerta), per i crimini gravi e inespiabili vi era la condanna a morte o la punizione sacrale. Con la repubblica le funzioni punitive del re furono affidate al rex sacrorum, mentre il potere coercitivo fu affidato ai consoli, poi limitati nel loro potere dalla provocatio ad populum (che veniva applicata solo all’ interno del pomerio). Il sistema dei iudicia populi andò in crisi per la lunga durata dei processi e il loro numero enorme, e per la demagogia portata avanti da varie fazioni, rendendo necessaria la creazione di tribunali specifici e stabili, le cosiddette quaestiones perpetuae, atte ognuna a giudicare un certo tipo di crimine. Spesso le pene di morte erano commutate in esilio. Il processo era di tipo cognitorio. I giuristi laici Alla fine del IV sec ac i pontefici non avevano più il monopolio sul diritto. Il primo giurista laico fu Appio Claudio Cieco, 2 volte console e 2 censore. I giuristi laici furono quasi tutti honoratiores, appartenenti alla nobiltà patrizio-plebea, operanti attivamente in politica, fornivano gratuitamente pareri giuridici a chi ne chiedesse, per aumentare la propria fama e ottenere maggiori possibilità di accedere alle magistrature. Nell’ interpretazione del diritto non vi è nulla di certo, e spesso i pareri servivano ad accattivarsi la simpatia dell’ elettore che li chiedeva. Luogo e finalità del responso. I giuristi consigliavano a casa propria o nel foro, tali giudizi erano di tre tipi: consiglio su forme e negozi da utilizzare per raggiungere un certo scopo (responso cautelare) consiglio se intraprendere azioni giudiziarie per difendere i propri diritti e le azioni più convenienti (responso giudiziale) informazioni sull’ esistenza di certi diritti del cittadino (attività respondente). I responsi dei giuristi erano privi di spiegazioni, ed erano supportati dall’ autorità dello stesso giurista. Educazione del giurista Non esistevano scuole di diritto, in età repubblicana, lo si imparava da un maestro, speeso dal proprio padre, o da un amico di famiglia esperto. L’ insegnamento dei maestri andava integrato con quello dei libri di diritto che già allora esistevano. (per esempio il tripertitia, un commentario alle XII tavole di Sesto Elio Peto Cato) Il giurista doveva avere una conoscenza enciclopedica di diritto, retorica, grammatica e probabilmente filosofia. Il diritto diventa scienza Con l’ uso del metodo dialettico platonico, il sapere giuridico passa da essere pratico a scientifico. Letteratura giuridica Prima opera è di Appio Claudio Cieco, del IV sec ac, de usurpationibus Tripertitia di Sesto Elio Peto Cato, un commentario alle XII tavole. De iure civili di Quinto Mucio Scevola Pontifex, intorno a I sec ac, molto importante, in 18 libri. Servio Sulpicio Rufo (I sec ac) scrive l’ Ad Brutum, commento in 2 libri all’ editto del pretore urbano, e commento polemico a teorie di Scevola nel Reprehenso scevolae capito. Alfeno Varo raccolse i responsi di Servio Sulpicio nel Digesta, 40 libri. Pomponio commenta l’ opera del maestro Mucio Scevola nel Ad quintum mucium L’ opera più importante, fu quella civilistica di Scevola, che vedeva gli istituti giuridici come un intrecciarsi continuo di statuti normativi. Giurisprudenza fonte del diritto I giuristi non essendo uomini di stato, non potevano creare norme, ma già con l’ attività interpretativa pontificale e con l’ attività di consulto dei giuristi, si crearono nuovi istituti giuridici. Cicerone nei Topica inserisce i giuristi tra le fonti del diritto. Seppure il diritto creato dai giuristi non fosse coercibile, era in continua evoluzione e ben contestualizzato, al contrario del diritto “ufficiale”, per di più, spesso bastava la stessa autorità del di un giurista per rendere frequentemente applicata una sua “invenzione”, che in questo modo entrava a far parte delle consuetudini. IL PRINCIPATO (23 ac – 69 dc) Augusto si presenta superiore in auctoritas, non in potestas, in tal modo non si presenta come un sovvertitore della repubblica, ma come suo continuatore e difensore. (primus inter pares) Augusto combinò nella sua persona i poteri e le particolarità di varie cariche preesistenti, dotandosi di fatto di un potere assoluto. Assunse:imperium proconsulare maius et infinitum: potere che gli forniva il controllo assoluto su tute le province e le rispettive legioni. Tribunicia potestas: il potere dei tribuni pur senza esserlo, poteva convocare senato e asemblee popolari, poteva porre il veto sulle attività di ogni magistrato, essendone a sua volta immune, avendo solo il potere del tribuno, ma non essendolo formalmente. Creò un apparato amministrativo che facesse capo solo a lui. Il principe e gli organi costituzionali repubblicani Le assemblee popolari persero significato, trovandosi solo a prendere atto della lista di candidati (commendatio) proposta da una ristretta cerchia di senatori, facenti capo al princeps. Le magistrature persero significato, sostituite di fatto da altri organi amministrativi. L’ unico potere che i consoli ancora avevano era l’ eponimia oltre allo ius agendi cum senatu I pretori furono portati a sedici, rendendo insignificanti le innovazioni edittali (tuttavia si era ormai delineato un testo stabile, che poi verrà codificato da Salvo Giuliano per ordine di Adriano). I tribuni della plebe furono tutti uomini di fiducia di Augusto. Gli edili mantennero solo giurisdizione sulle liti di mercato. I questori mantennero il loro potere inalterato. I senatori furono portati a 600, secondo un sistema che selezionasse solo quelli favorevoli ad Augusto, presi anche tra coloro che non avessero rivestito magistrature, e ottennero poteri giudiziari, penali e civili, sotto il nome di “camera dei pari” (giudicavano gli appartenenti alla classe senatoria), anche essa sotto stretto controllo imperiale. Il nuovo ordinamento amministrativo Augusto sviluppa un apparato burocratico molto importante. Le provincie sono divise in senatorie e imperiali. Le imperiali, importanti militarmente ed economicamente, erano amministrate da legati augusti pro pretore (ex consoli o pretori), sottoposti all’ imperium del princeps, in queste province erano stanziate le legioni. Le senatorie, gestite da proconsoli (si occupavano anche di giustizia), nominati dal senato su consiglio di Augusto (erano inoltre assistiti da legati augustei). Alcune province piccole o molto rilevanti erano affidate ad equestri quali prefetti o procuratori. Augusto creò il sistema delle grandi prefetture: prefettura urbi: quella di Roma, affidata a un senatore, si occupava di ordine e di luoghi pubblici affollati. Prefettura del pretorio: gestita da un equestre, comandava i pretoriani, la guardia scelta dell’ imperatore. Con il tempo il prefetto del pretorio divenne una figura molto importante. Prefettura dell’ annona: equestre, riforniva la città di cibo e manufatti. Prefettura vigilum: equestre, preveniva e spegneva gli incendi e si occupava di vigilanza notturna. La struttura amministrativa augustea prese il nome di cancelleria e fu inizialmente privata e gestita dai liberti della famiglia del princeps, ma con la fine dei giulio-claudi, vi si impiegarono dei procuratori equestri. Importanti per il diritto gli uffici ab epistulis, a libellis, a cognitionibus e a memoria Ab epistulis e a libellis rispondevano a epistole contenenti quesiti di carattere giuridico mandate all’ imperatore da alti funzionari (ab epistulis) o da sudditi e funzionari minori (a libellis), inoltre l’ ab epistulis, inviava informazioni e disposizioni a generali e ambasciatori. A cognitionibus istituiva i processi del nuovo tipo, i processi extra ordinem A memoria era segreteria personale del principe Augusto mantenne il funzionamento dell’ erario pubblico, affidandolo ai prefetti aerarii, e successivamente ai pretori. Creò tuttavia una cassa, facente capo a lui personalmente, con il nome di fisco, in origine una cassa creata per le esigenze di veterani e militari. Vi erano poi la ratio privata principis e il patrimonium principis, rispettivamente patrimoni di principe-persona e principe- istituzione Principe e giuristi Augusto aveva in gran considerazione i giuristi, e decise di controllarli insieme al diritto. Istituì lo ius responendi, un beneficio da assegnare ai giuristi di propria fiducia, in modo da rendere i loro responsi ai cittadini vincolanti per i giudici, in quanto derivanti direttamente dall’ autorità imperiale. Tale beneficio servì di fatto a creare dei giuristi di serie A (controllati dal principe) e di serie B (coloro che non lo erano) Istituì lo ius publice respondendi, il potere del principe di rispondere su questioni di diritto tramite libelli ed epistole. Consilium principis Il consilium principis fu formato da funzionari di rango elevato, grandi giuristi, magistrati maggiori e amici del principe. Organo privo di regole e formalità, dipendente in pieno dalla volontà dell imperatore, che poteva in convocare ed estromettere chiunque. Si occupava di giustizia e diritto. Gli interventi imperiali nel diritto furono sempre fondati sulla aequitas, liberalitas, benignitas, humanitas e mai sulla ratio iuris (stratagemma per giustificare anche disposizioni che andassero completamente contro la legge) La cognitio extra ordinem Con le leggi iuliae iudiciorum publicorum e privatorum, Augusto riforma il processo civile e penale. Esteso anche al pretore urbano il procedimento formulare del pretore peregrino. Volusio Meciano: prefetto dell’ annona e di Egitto, maestro di marco Aurelio Cervidio Scevola: prefetto dei vigiles e consigliere personale di M. Aurelio Tarruteno Paterno: prefetto del pretorio Giulio Paolo, Emilio Papiniano, Domizio Ulpiano: molto importanti e tutti prefetti del pretorio. Pomponio, Gaio: coltivarono esclusivamente gli studi e l’ insegnamento L’ attività letteraria Da neva a Severo Alessandro (96-235 dc) Opere hanno stessi titoli e generi di epoche precedenti: opere casistiche: epistulae, responsa, digesto opere problematiche: quaestiones, disputationes manuali istituzionali opere di commento a diritto civile, pretorio, a singole leggi, senatoconsulti, costituzioni e XII tavole libri su compiti di magistrature, pro magistrati e funzionari opere monografiche libri di definizioni, regole e differenze tizio Aristone, Giuvezio Celso, Ulpio Marcello e Cervidio Scevola e Salvio Giuliano scrissero opere intitolate digesto (raccolta di responsi) (quello di giuliano servì da modello per il digesto di Giustiniano) Celso, Giuliano e Marcello non si limitarono a raccogliere responsi, ma aggiungevano pareri e riflessioni (talvolta eliminati da successivi interventi esterni) Cervidio Scevola, invece ometteva le riflessioni a favore di una più ampia trattazione della parte emozionale, descrittiva e “romanzesca” dei casi, che provenivano da ogni parte dell’ impero. Questiones e disputationes erano destinate a scuole, all’ addestramento degli allievi nella discussione e nel responso. I loro contenuti principali: rappresentazioni di contrasti di idee tra giuristi riflessioni su questioni di molteplice interpretazione dispute forensi Commentari: genere molto importante, in quanto aiutavano a tramandare e non dimenticare le opere precedenti. Trattavano principalmente di: Diritto civile, commentando opere di giuristi precedenti Editti pretori, principalmente quello urbano, con appendici sull’ edile curule Erano di tre tipi: Lemmatica: testo e commento erano separati e attraverso il lemma si evidenziava la parte presa in considerazione dal commento Edizione commentata: testo riportato per intero e il commento si soffermava sui punti più importanti. Epitome-commento: un riassunto dell’ opera, con osservazioni dell’ epitomatore. Vi erano inoltre i Libri de officio, che spiegavano i compiti di magistrati e funzionari, tali opere esistevano anche in età precedenti, ma non ci sono state tramandate in quanto inutili per il dibattito giuridico, e dato che i rapidi cambiamenti di ruoli e funzioni assegnate alle cariche pubbliche le rendevano facilmente obsolete. Opere istituzionali: insegnavano il diritto privato e la storia del diritto Un esempio ne è l’ Enchiridion (manuale in greco), un manuale di storia del diritto diviso in tre parti dedicate alla storia di: diritto, magistrature e giuristi. Da segnalare anche le istituzioni di Gaio e successivamente di Ulpiano, Marciano e Callistrato. I metodi di lavoro dei giuristi classici: ratio e bonum et aequum Fino ad età di Adriano si riteneva che le norme avessero alla base una ratio naturalis, ispirata dalla natura, e una ratio civilis scaturita da una comunità politicamente organizzata. La ratio era il fondamento di tutto l’ ordinamento giuridico. Per poter applicare una norma a un caso concreto, il giurista doveva prima ragionare e comprendere la ratio alla base della norma, ottenendo così la ratio decidendi. Ratio è sia il fattore costituitivo dell’ ordinamento giuridico, sia il processo di valutazione per applicarlo. Fino ad età Adrianea i giuristi pensavano che la base delle leggi ci fosse una ratio, fondamento e collante dell’intero sistema giuridico. Per scoprire la ratio alla base di una norma bisognava interpretare la norma in modo logico e razionale. Scoperta la ratio di una norma, si poteva applicare o no la norma ai casi concreti (in questo caso si parla di ratio decidendi). Un diritto così logico e razionale, veniva messo in crisi ogni qualvolta entravano in gioco fattori etico-politici quali aequitas, humanitas, pietas ecc., tutt’altro che logici e razionali. Nerazio Prisco, nelle Membranae, afferma che tralasciare tali valori, ricercando solo la ratio, nell’interpretazione di una norma, era sconveniente (tra l’altro a partire dalle costituzioni di Augusto, tali valori erano stati alla base di alcuni provvedimenti normativi). Dall’età adrianea in poi si passa ad interpretare il diritto sotto i due aspetti della ratio e dei valori etici. Ancora sui metodi Il pensiero di Celso fu offuscato dalle riflessioni di uno dei più grandi giuristi: Salvo Giuliano. Giuliano, seppure sia passato alla storia come un razionalista, dava anche molta importanza ai valori etici. E spesso vedeva i valori etici sotto la prospettiva del razionalismo (esempio del dividere un usufrutto). Alcuni temi della giurisprudenza classica: l’ autonomia della scienza giuridica Giuliano non credeva che la scienza giuridica fosse autonoma in quanto la giurisprudenza di allora, collaborava con il principe. Afferma che alle norme giuridiche introdotte per le prima volta (nuove) si dà maggiore certezza o con l’ interpretazione o con la costituzione del principe. Sesto Pomponio, titolare di un sapere tecnico, affermava che non andava confuso il ruolo di scientia iuris con il potere imperiale. Giuliano non credeva nell’autonomia della scienza giuridica, in quanto nella sua epoca, la giurisprudenza collaborava strettamente con il principe. Sesto Pomponio, invece affermava che la giurisprudenza, un sapere tecnico, non aveva bisogno di collaborare con il potere imperiale. Lo afferma più volte nell’Enchiridion e ha come esempio Labeone. Per Pomponio interpretare una norma significava decontestualizzarne il principio eterno, in modo da costituirne la giuridicità oltre il tempo e la condizione in cui era stato creato. Commenta il trattato civilistico di Q. Mucio per dimostrare, attraverso il confronto passato-presente, (? Completa)… Temi gaiani Gaio si dedicò più all’insegnamento che all’attività respondente. Per lui era molto importante il rapporto passato-presente nel diritto. Gaio nelle sue trattazioni ricercava la ratio anche degli istituti più antichi (esempio della bassa pena per iniuria). Esempio del padrone costretto a vendere lo schiavo che si rifugia in un tempio: analizza che è un istituto dello ius gentium, e poi spiega che la costituzione antonina che ratifica tale norma non scardina la schiavitù, ma ridefinisce in senso etico la potestas dominorum. Gaio accentua il fondamento etico dell’ordinamento giuridico e politico romano. Vi era in quel tempo la disponibilità a riconoscere autonomia giuridica di provincie, purchè non andasse contro le leggi romane (esempio della nave naufragata). Diritto naturale era uno dei motivi ispiratori dell’opera adriana. Si parla di giusnaturalismo gaiano. Gaio afferma che ci sono leggi comuni a tutti i popoli (ius civile e ius gentium, chiamati con termini romani, ma intesi come diritto in senso più ampio). Nel tralasciare la figura dell’imperatore dobbiamo intendere un ben celato fine eversivo nelle parole di Gaio. Per Gaio ius gentium = diritto naturale = ratio naturalis. Diritto naturale per Gaio è: una forza razionale che regola ogni atto umano, e quindi anche il diritto. In caso di leggi inique, Gaio le giustifica con il fatto che la ratio naturalis non fosse esclusiva dell’ordinamento giuridico. Crisi dell’impero e legittimazione del potere nell’età severiana Alla fine del II secolo d.C. sotto i Severi, scoppiò una crisi economica-politica-militare dovuta agli alti costi dell’enorme burocrazia e della difesa dei confini. Vi fu una “fuga generale” dalle cariche pubbliche provinciali, causata da una disastrosa politica di oppressione fiscale e altri provvedimenti maldestri che generarono malcontento nelle provincie e nei ceti meno abbienti. La mancanza di forti figure politiche rese necessario la nomina di giuristi quali Papiniano, Ulpiano e Modestino a importanti cariche burocratiche. Per rimediare al malcontento Antonino Caracalla nel 212 d.C. concede a tutti i sudditi la cittadinanza romana (constitutio Antoniniana), assicurandosi il favore non più solo delle elites municipali ma del popolo. Il potere imperiale divenne dispotico e autocratico e trova la sua giustificazione nella delega di disponibilità che il popolo, nella lex curiata de imperio affidava al princeps (riflessione di Ulpiano). La romanizzazione del diritto Dopo la constitutio Antoniniana, tutti i cittadini, equiparati ormai politicamente , dovevano sottostare allo stesso diritto, quello romano. Ci fu un inasprimento nei confronti delle autonomie locali ridotte al minimo e molti testi e norme furono tradotte in varie lingue, specialmente in greco, dato il difficile rapporto che vi era sempre stato tra cultura romana e cultura orientale e soprattutto per far comprendere ai popoli le norme romane. Grande importanza fu data al diritto di famiglia (es. tutela maschile o femminile sugli impuberi) in quanto base della società e parafrasi del potere imperiale sui cittadini. Vi fu una sfrontata affermazione del diritto romano come giusto e universale in quanto fondato sui precetti fondamentali della giustizia: vivere onestamente, attribuire a ciascuno il suo, non nuocere agli altri. Diritto e valori etico-politici Sotto i Severi venne largamente adottata la dottrina di Celso, nella quale il diritto veniva visto immerso in un sistema di valori etici. La giurisprudenza si interrogava profondamente sulle finalità ultime di un ordinamento giuridico. I boni mores,adesso, non vengono più visti come nascenti da ratio naturalis o civilis ma come dipendenti dalla volontà degli uomini che dovevano conformarvisi. I maggiori interpreti di questa dottrina furono Papiniano e Ulpiano (esempio del padre che non ama il figlio, a cui viene rifiutata l’ eredità). Papiniano, inoltre, considerava impossibili da realizzare quelle condizioni e comportamenti che andassero contro il mos e la volontà di princeps e senato (esempio di figlio nominato erede in modo illegittimo che viene messo di fronte a una scelta), ovvero equiparazione tra atti contro i buoni costumi e impossibilità soggetiva. I boni mores non sopravvivevano senza la volontà degli uomini che dovevano conformar visi. Una giurisprudenza che si interroga sulle finalità ultime di un ordinamento giuridico (esempio dell’ appello presentato da chiunque per condanna a morte). Diritto e valori in età severiana Gaio distingue tra cose che sono alienate per diritto naturale e cose che lo sono per diritto quiritario, cioè mediante mancipatio e in iure cessio. Quelle per diritto naturale basta che siano trasferite mediante consegna, tramite una ragione naturale (per Gaio vi era coincidenza tra ius naturale e ratio naturalis), al pari delle res nullius (cose che sono prese per terra, mare e cielo come minerali, animali, pesci). Per i giuristi severiani (Giulio Paolo specialmente) vi erano cose commerciabili e incommerciabili (perché sottratte al commercio). Distizione di Domizio Ulpiano: Diritto naturale: ciò che la natura insegna a tutti i viventi, compresi gli animali (unione sessuale intesa come matrimonio, educazione dei figli), forza istintuale innata, che insegna con le sue leggi i comportamenti agli esseri viventi (non vi era contemplata la schiavitù). Diritto delle genti: ciò che è comune a tutti i popoli, come schiavitù e proprietà, che però non esistono in diritto di natura.ogni cosa che esiste, ma che non è diritto naturale, è ius gentium. Il diritto di natura venne teorizzato, nonostante il suo potenziale eversivo enorme, per giustificare i cambiamenti della società romana in senso moderno (meno schiavi, meno guerre di conquista, libero mercato), senza minare il fondamento del potere imperiale. DAL PRINCIPATO ALLA MONARCHIA ASSOLUTA Fino a Diocleziano si ebbe un periodo di anarchia militare, poiché ascesero al soglio imperiale vari comandanti appoggiati dalle proprie legioni, fu un periodo buio. Diocleziano attuò riforme importanti per la pubblica amministrazione, l’ economia, la struttura del potere, inaugurando una nuova epoca definita dominato. Le più importanti disposizioni: divisione dell’ impero in oriente e occidente, on capitali a Milano e Nicomedia, ogni parte retta da un Augusto, che sceglieva un Cesare come suo successore e aiutante (per evitare colpi di stato). Diocleziano si insediò a oriente e il suo cesare fu Galerio, a occidente Massimiano con il cesare Costanzo Cloro. Costantino in seguito spostò la capitale dell’ oriente a Bisanzio, poi ribattezzata Costantinopoli, quella dell’ occidente era Milano. Si andò a creare un sistema fortemente gerarchizzato: Organizzazione provinciale: l’ impero fu diviso in 4 circoscrizioni: illirico e oriente (oriente) e Gallia e Italia-Africa (occidente), dette prefetture e governate ciascuna da un prefetto del pretorio (che furono aumentati a 4). Le prefetture furono divise in diocesi rette da vicari. Le diocesi comprendevano più province con a capo Proconsoli, consolari, correttori o presidi. Organizzazione centrale: il magister officiorum presiedeva gli uffici delle segreterie imperiali: libellorum, epistolarum, a memoria, delle scholae palatinae (un corpo speciale posto a guardia della corte), e comandava gli agentes in rebus (ispettori di polizia, verificavano il buon funzionamento di amministrazione centrale e periferica e del sistema di posta. Il quaestor sacri palatii: una specie di ministro della giustizia, competente in materia giuridica. Con una costituzione del 315, costantino vietò che le leggi speciali (rescritti e decreti) avessero validità generale, specie se contrari al diritto vigente. Successivamente si volle anche verificare che la situazione fosse realmente come descritta nella lettera, per poter applicare il rescritto (se ne occupavano i giudici o i stessi cancellieri). Per questo motivo nella costituzione Teodosiana furono inseriti solo editti e norme generali. Questa inversione di tendenza servì a evitare che i rescritti potessero essere interpretati da individui esterni alla burocrazia, e per evitare che i rescritti creassero un nuovo tipo di diritto in evoluzione, cosa che ogni cancelleria si preoccupava di evitare. Una tale norma appare strana se consideriamo che proprio costantino aprì l’ impero a nuove forme religiose. Gli imperatori ebbero sempre un’ antipatia verso le leggi emanate dall’ imperatore dell’ altra pars, non accettandole pure quando fossero ottime, e preferendo la legislazione precedente (tranne nei casi in cui non vi fosse previo accordo): tutto ciò perché accettare una legge altrui senza accordi precedenti, avrebbe minato al potere dell’ imperatore e alla sua auctoritas. Il primo codice ufficiale fu quello teodosiano: nel 429 Teodosio ordinò ai funzionari della cancelleria e a degli avvocati di redigere 2 codici, il primo che contenesse tutte le costituzioni vigenti e non da costantino in poi, il secondo solo quelle vigenti, con l’ aggiunta di trattati e responsi della scienza giuridica. Il primo, destinato alle scuole, esprimeva la continuità fra normativa vecchia e nuova. Il secondo indicava la strada da seguire (magisterius vitae). Questo programma non si realizzò per la difficoltà dell’ integrazione tra diritto giurisprudenziale e imperiale, infatti Giustiniano creerà due distinte raccolte di iura (digesto) e leges (codice). Nel 435 Teodosio ordinò ad una commissione di riunire in un unico codice le costituzioni emanate da costantino, lasciandola libera di riassumere e modificare afinchè fossero chiare. Nacque un’ opera in 16 libri, pubblicata nel 438, valente su tutto l’ impero, poi sostituita dal codex iustinianus Le codificazioni romano-barbariche I rapporti tra i re barbarici, le istituzioni e i funzionari romani furono vari, ma in generale la struttura amministrativa romana fu rispettata perché idonea ed utile a regolare i rapporti non idilliaci fra antichi e nuovi conquistatori. Fu saggio che i nuovi governanti si riallacciassero alle precedenti codificazioni romane. Ricordiamo l’ edictum Theodorici che si fondava sui due codici privati romani, il codex theodosianus, le novelle posteodosiane e le pauli sententiae. Re Alarico II emanò la lex romana visigothorum o breviarium alaricianum per i soli cittadini romani. Fu redatta da una commissione di esperti assicurandosi il consenso di vescovi e uomini eccellenti di provincia. Conteneva materiale di provenienza legislativa e giurisprudenziale. Alarico stesso dettò i caratteri dell’ opera nell’ introduzione, detta auctoritas alarici, nella quale definiva l’ opera eterna e completa. Esaustività e eternità erano volute dall’ autorità che emana le norme, quindi, più che le norme, è eterno il potere da cui scaturiscono, come se fosse possibile la cristallizzazione del diritto (cosa che invece non era contemplata nella legge decemvirale). Le fonti del breviarium alaricianum furono il codex theodosianus (in forma abbreviata), il liber gai e passi dalle sententiae pseudo-paoline. Ogni passo è seguito da una interpretatio. Anche il codex burgundiorum fu destinato ai soli romani. La codificazione di Giustiniano Giustiniano nacque a Tauresio da famiglia modesta, ebbe buona educazione letterarie e giuridica , suo zio Giustino succedette ad Anastasio e lui a Giustino, salendo al trono nel 527. Era desideroso di riunire l’ impero e dare una legislazione unica, basata sull’ eredità antica e sull’ apertura al futuro. Egli volle una raccolta di leges e una di iura, oltre che un manuale di diritto privato con fini didascalici per le scuole di diritto di Costantinopoli e Berito. Il codice si arricchì per gradi ed infatti, al progetto di un codice, si aggiunse quello di una antologia di iura, su spinta dei maestri delle università. Nel 528 con la costituzione introduttiva “haec quae necessario”, indirizzata al senato di Costantinopoli, si avviò la raccolta delle costituzioni imperiali da Adriano in poi (a somiglianza dei codici gregoriano, teodosiano e ermogeniano). La commissione preposta a ciò, Guidata da Giovanni di Cappadocia e formata dai più importanti ed esperti funzionari imperiali, doveva eliminare “l’ oscurità delle norme”, eliminare le costituzioni desuete, sintetizzarle, renderle più comprensibili. L’ opera, in 12 libri, divisi per titoli con le costituzioni in ordine cronologico, completa ed esaustiva, fu emanata con la costituzione summa rei publicae del 529, e tutte le costituzioni non presenti al suo interno vennero vietate. Subito dopo, nel 530, con la costituzione deo auctore, ordinò di esaminare e ricomporre le opere di diritto romano dei giuristi insigniti (di ius publice respondendi?) della possibilità di interpretare e redigere norme. Ne venne fuori una opera in 50 libri ordinati in titoli, che raccoglieva 1500 anni di diritto. Le opere, le costituzioni e i giuristi erano trattati tutti allo stesso modo (chiara polemica alla legge delle citazioni di Valentiniano III)(per lui la superiorità di un giurista su un altro era da accertare argomento per argomento, e non una volta per tutte). Si tolsero imperfezioni e ripetizioni, e si invitava a considerare non viziosi anche gli emendamenti in quanto provenienti da potere imperiale. Nacque così il digesto, o pandette, elaborato in soli 3 anni da 4 professori di diritto (2 per scuola), 11 avvocati del tribunale supremo della prefettura orientale, un alto funzionario della cancelleria, tutti sotto la guida di Triboniano. L’ opera fu ufficializzata nel 533 con la costituzione tanta-dedochen (significativa la doppia lingua) indirizzata al senato e a tutti i popoli. In ogni libro sono disposti i frammenti con una iscrizione che riporta autore, opera e numero del brano e del libro. Si fondono in quest’ opera amore per l’ antico e intento pratico di fornire materiale da recitare nei tribunali. Per questo si intervenne sui testi per adeguarli alle nuove realtà normative, politiche ed economiche. I frammenti non erano inseriti in modo casuale, ma divisi in tre gruppi: Produzione sabiniana: frammenti tratti da commentari al diritto civile, edittale e all’ editto. Produzione papinianea: con frammenti di opere casistiche. Appendice, un ultimo gruppo di opere, evidentemente entrate in possesso dei commissari più tardi. La commissione fu divisa in 3 sottocommissioni per la raccolta dei testi da prendere in considerazione tra le “opere nuove”, comprese nell’ appendice. Con la costituzione imperatoriam del 533, giustiniano pubblicò le istituzioni, un manuale didattico ufficiale per l’ apprendimento delle leggi non dalle antiche fonti, ma dallo splendore imperiale, che riscopriva il diritto, eliminando le desuetudini. A tal fine furono utilizzate le istituzioni e le res cottidianae di Gaio, Florentino, Marciano, Paolo e Ulpiano. Le istituzioni trattavano anche diritto privato e processo penale, ed era un’ opera in 4 libri. Giustiniano indicava come riferimenti per l’ insegnamento il digesto e le istituzioni. Con la costituzione omnem, giustiniano indicava le scansioni dell’ insegnamento del diritto. L’ insegnamento era ripartito in 5 anni , prevedeva lo studio delle istituzioni e dei primi 4 libri del digesto nel primo anno, nel secondo le parti relative a iudicia e res, più altri libri del digesto, nel terzo iudicia e res dal digesto, insieme ad altri libri, nel quarto pegno, ipoteca, editto edilizio, azione redibitoria, evizione, stipulatio duplae, matrimonio, dote, tutela, nel quinto lettura e analisi del codex iustinianus. Il codice risultò presto inageduato e incompleto e Giustiniano provvide a una seconda edizione con la costituzione cordi. Più tardi emanò delle novelle (costituzioni) con le quali innovò il diritto amministrativo e giudiziario, quello di famiglia e le successioni. Sicuro dell’ esaustività e perfezione dell’ opera, proibì che fosse commentata per evitare che le duplici interpretazioni dei giuristi la sconvolgessero e ne permise solo delle traduzioni letterali in greco (kata poda) o paratitla (richiami di passi paralleli). Le sue volontà non furono però rispettate e alla sua morte, la codificazione non sopravvisse, in quanto la esaustività e perfezione dell’ opera erano dettate esclusivamente dall’ autorità imperiale, e per il fatto che l’ opera fosse in latino, in una pars imperi dove la lingua parlata era il greco (tra l’ altro le traduzioni in greco erano imperfette).
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