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Storia della letteratura italiana. Il Novecento, Sintesi del corso di Pedagogia

Sintesi del testo "Storia della letteratura italiana. Il Novecento. Vol 6, seconda edizione di Alberto Casadei. Sintesi completa per lo studio del testo

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 27/03/2024

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Scarica Storia della letteratura italiana. Il Novecento e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Rias su nti &App un tiU niF G Il Novecento Storia della letteratura italiana A cura di Alberto Casadei CAPITOLO 1 Percorsi della letteratura novecentesca 1. Profilo del XX secolo L’evoluzione della letteratura italiana nel Novecento si potrebbe meglio rappresentare come una serie di insiemi con intersezioni più o meno ampie, dato che sono numerose le sovrapposizioni di movimenti e poetiche coesistenti e su di essa hanno pesato importanti fattori storico-politici e socioculturali. Per esempio non si può sottovalutare che, durante il ventennio fascista la libera circolazione delle idee è stata impedita o fortemente limitata e che perciò il dibattitto letterario è stato condizionato soprattutto nel rapporto intellettuali/politica, viceversa tornato in primo piano alla fine della seconda guerra mondiale, con una massiccia adesione alle ideologie di sinistra. Sul versante socioculturale grande influenza ha il critico Benedetto Croce che fece sì che la critica accademica non si aprisse a stimoli provenienti da altri paesi europei, rimanendo spesso legata ai canoni estetico-idealistici. Anche durante il regime fascista però rimasse vivo l’interesse per il confronto letterario con le novità europee, grazie soprattutto ai gruppi riuniti intorno alle riviste fiorentine come “Solaria” alla quale collaboravano autori quali Eugenio Montale o Carlo Emilio Gadda. Molti giovani proponevano letture e valutazioni autonome dei nuovi scrittori, basti citare due dei più autorevoli critici del XX secolo: Giacomo Debenedetti e Gianfranco Contini. Una scansione del ‘900 letterario deve mettere in rilievo le dominanti di un periodo, senza però schiacciare o eliminare gli elementi di contrasto, gli autori che non si adeguano. Spesso i risultati più alti vengono da scrittori fuori dai circuiti di moda come Svevo o Fenoglio. Un altro aspetto da tenere in considerazione è il rapporto fra letteratura italiana nel suo insieme e le tendenze internazionali. Questo perché con la fine del XIX secolo e sempre più con gli inizi del XX la formazione dei nostri scrittori avviene molto più spesso grazie a contatti con movimenti e autori attivi altrove. Il rapporto tra la letteratura italiana e quella straniera del Novecento è caratterizzato da una costante interazione che può indurre alla modifica di poetica o alla scelta di percorrere nuove vie (come ad esempio Pirandello, considerato più modernista che avanguardista). 2. I caratteri fondamentali Di grande rilievo è stata a lungo l’interazione fra lingua nazionale e dialetti, che ha dato origine a forme di interferenza che negli autori maggiori, come Gadda, arriva a forme di espressionismo. Rias su nti &App un tiU niF G È evidente che la scelta della lingua italiana, ovvero del toscano manzoniano poi progressivamente standardizzato, non è mai stata scontata; anzi, la difesa dei dialetti implicava spesso un bilinguismo ben evidente, anche per quegli autori più eruditi. Dalla seconda metà del 900 la scelta dei dialetti risulta soprattutto difensiva o per manifestare la nostalgia di una dimensione socioculturale in via d’estinzione, o per denunciare la massificazione e la globalizzazione. Un’altra caratteristica della nostra letteratura è la notevole divaricazione fra il destino della prosa e della poesia: mentre la prima è dotata di una propria tradizione e un confronto diretto o indiretto con i grandi modelli (Dante, Petrarca, Leopardi) la seconda appare continuamente rinnovata e di fatto azzerata. Il romanzo in Italia non svolge la funzione che ha avuto negli altri paesi, perché non ripropone una ricostruzione della società nel suo insieme. Questo avviene non solo per le storiche prevalenze della lirica e del melodramma sui romanzi, bensì per l’effettiva difficoltà a ricostruire fenomeni che fossero davvero di portata nazionale in una lingua che non risultasse troppo artificiosa e personale. Nell’ambito della lirica un tratto distintivo è il rifarsi alla tradizione nazionale e spesso europea, coniugando un linguaggio aulico o marcato e poi stilizzato dai singoli. Nell’ambito della lirica, un tratto distintivo italiano è il rifarsi alla tradizione nazionale e spesso a quella europea, coniugando un linguaggio aulico a una dimensione di referenzialità, ossia alla possibilità di nominare oggetti simbolici o allegorici. Questa concretezza distingue l’evoluzione della poesia italiana rispetto a quella francese che passa dal simbolismo al surrealismo e la avvicina a quella anglosassone della metafisica di Eliot. Negli ultimi anni si è riconosciuto un processo analogo a quelli caratteristici del modernismo, categoria storico-letteraria impegnata soprattutto nella letteratura inglese per indicare gli autori che coniugano un rinnovato rapporto con la tradizione a una volontà sperimentale. La linea oggettuale italiana può trovare uno specifico antecedente in Pascoli. Fino al secondo dopoguerra i modelli privilegiati erano altri, e prevalevano i due proposti da Ungaretti: quello costituito dall’Allegoria (versione 1916-19) e quello condensato nel Sentimento del tempo (1933). Sempre negli anni Venti, nel contempo, si veniva rafforzando una tendenza antinovecentesca o antinovecentista, ostile cioè ai caratteri sperimentali tipici del primo ‘900, che trovava il suo punto di riferimento nel Canzoniere (versione 1921) di Umberto Saba. La linea antinovecentesca o dello stile semplice è stata rivalutata ed è stata consolidata in modi diversi da autori quali Sandro Penna, Giorgio Caproni, Attilio Bertolucci. A partire dalla fine degli anni ’50 è di nuovo la sperimentazione a costituire la linea dominante nella nostra poesia. Anche in questo caso però i risultati più duraturi non sono ottenuti dalle forme estreme, come quelle degli anni ’10 dei futuristi e negli anni ’60 dal Gruppo 63, bensì dalle elaborazioni attente alla tradizione e pronte a un rinnovamento molto forte ma non a uno scardinamento, come ne Gli strumenti umani (1956) di Vittorio Sereni e La Beltà (1968) di Andrea Zanzotto. In sostanza i tratti fondamentali che si possono sottolineare spingono a individuare nella scansione cronologica, sovrapposizioni e intersezioni, che Rias su nti &App un tiU niF G Nel suo insieme il crepuscolarismo non si configura come una tendenza trasgressiva e di rottura. Esplodono invece all’inizio del secolo le cosiddette avanguardie, movimenti artistici che intendono rompere i ponti con le forme più tradizionali. Alcuni di essi giungono a rifiutare l’arte stessa in quanto istituzione, non solo arrivando a impiegare elementi industriali per la realizzazione di opere, ma addirittura sottolineando che le nuove forme di sublime artistico possono essere costituite dal rovesciamento parodico della funzionalità quotidiana: così Marcel Duchamp, uno degli esponenti del dadaismo propone nel 1917 una sua scultura intitolata Fontana e in realtà costituita da un orinatoio capovolto; cosi come il cubismo di Picasso rompe definitivamente il legame con la prospettiva rinascimentale. Tra i movimenti maggiore d’avanguardia va segnalato l’espressionismo caratterizzato da una voluta deformazione dei codici espressivi e dei soggetti delle varie arti. Parigi fu il centro principale di tutte le avanguardie. Apollinaire fu tra i primi sostenitori del futurismo che venne lanciato con provocatori manifesti nel 1909 da filippo Tommaso Marinetti. Il futurismo raggiunse una diffusione capillare in Italia ma non ottenne in letteratura risultati di grande valore, se non sul versante delle poetiche. Nell’ambito della critica più autorevole si andava affermando il dominio del filosofo Benedetto croce che pubblicò nel 1902 una sua monumentale Estetica dalla quale derivano varie conseguenze per la valutazione delle opere letterarie. Fra le principali si può segnalare la distinzione tra poesia e non poesia e la distinzione di un’opera in cui l’invenzione fantastica si fa immediatamente espressione linguistico-stilistica, e quelle in cui permane il progetto non realizzato o anche la struttura logico argomentativa ma non poetica. La subordinazione della prosa narrativa alla lirica non implicò comunque a inizio secolo un totale rifiuto del romanzo. Si può citare il filone decadente con Il fuoco di D’Annunzio, Antonio Fogazzaro con Il Santo; Verga con il filone verista e Luigi Capuana con Il marchese di Roccaverdina. In questo contesto risultava abbastanza rara l’elaborazione di una prosa narrativa sperimentale o quanto meno originale. Si debbono citare casi isolati come quello di Luigi Pirandello, già autore a fine Ottocento di numerose opere ascrivibili al filone verista ma che esce da questi limiti con Il fu Matia Pascal singolare storia di un cambiamento d’identità in cui la riflessione pirandelliana sui limiti dell’io e sulla crisi dell’individuo si coniuga con la riscoperta del filone narrativo umoristico. Le opere di Pirandello rimasero per un buon periodo ai margini del sistema letterario ufficiale; tuttavia ora riconosciamo nel suo modo di affrontare temi tipici del disagio sociale gli stessi temi oggetto dell’analisi di Freud. Il modernismo europeo trova in autori come Joyce, Elliot o Woolf significativi esponenti. La fine di questa stagione varia e ricca di fermenti può essere indicata in un tempo ampio: la prima guerra mondiale costituì un limite e insieme un banco di prova per molte avanguardie, prima fra tutte quella futurista, che in linea con i suoi ideali, sostenne la lotta fra le nazioni europee. Molto diversa la reazione di altri autori, che dopo iniziali entusiasmi rifiutarono completamente il massacro bellico, proponendo opere intensamente autobiografiche. Si colloca qui l’opera più innovativa nel panorama della lirica sino alla fine Rias su nti &App un tiU niF G degli anni ’10, ossia Allegria di naufragi (1919) di Giuseppe Ungaretti, frutto della rielaborazione di una raccolta del 1916 (Il porto sepolto) e in seguito ulteriormente modificata (e uscita nel 1931 col titolo di L’allegria). Con questa raccolta giungono a un limite estremo sia l’attenzione alla parola pura, assoluta sia la disgregazione metrico-sintattica, praticata da Apollinaire e dai futuristi. Su un altro versante, quello del teatro, il vertice della produzione sperimentale viene toccato con i Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello. Di qui comincia la fortuna internazionale del nostro drammaturgo che nel giro di pochi anni raggiunse una fama larga tanto da favorire il facile stereotipo del pirandellismo. Di fatto con i primissimi anni Venti si avviò una fase sperimentale della nostra letteratura che diede ancora frutti significativi (ad esempio con Svevo) ma non fu più dominante. In quello stesso periodo cominciò ad affermarsi una volontà di ritorno all’ordine. 2. La poesia 2.1 Il crepuscolarismo Una prima tendenza della lirica italiana che comincia a staccarsi dal grande filone tardosimbolista- decadente rappresentato attivamente da Pascoli e D’Annunzio è quella del crepuscolarismo, termine coniato dal critico Giuseppe Antonio Borgese per indicare un atteggiamento spirituale e quindi un campo dell’immaginario poetico, che non un preciso gruppo di autori, in effetti non è un gruppo coeso, bensì un movimento diramato in varie regioni d’Italia. Tale atteggiamento si basa sulla consapevolezza della lateralità della poesia nella società borghese capitalistica, che comporta non un tentativo estremo di riscatto, ma il restringimento della propria prospettiva vitale alle piccole cose quotidiane, alla banalità. Si lega l’uso di un linguaggio ordinario, senza punte eccessive, oppure con un voluto abbassamento dell’aulico fatto scontrare con il prosaico. La poesia delle piccole cose aveva trovato un’anticipazione nella poesia realistica della tarda Scapigliatura e poi in pascoli ma anche in un particolare filone del simbolismo di fine ‘800, come ad esempio Il regno del silenzio di Georges Rodenbach (1891) e La saggezza e il destino di Maurice Maeterlinck (1898). I crepuscolari però rinunciano a investire di valori simbolici gli oggetti quotidiani e li descrivono in quanto espressioni di una cultura sempre più emarginata, oppure di una sensibilità piccolo-borghese, legata alle buone cose di pessimo gusto. Il tema dell’inettitudine già presente in molte opere diventa basilare per la costruzione dell’io poetico crepuscolare che rivendica la sua incapacità di vivere. Fra i primi poeti a distinguersi nel filone crepuscolare va ricordato Sergio Corazzini, morto giovanissimo di tubercolosi. Nelle sue poesie fra le quali Piccolo libro inutile (1906), prevale il sentimento doloroso dell’impossibilità di fare poesia e la rivendicazione di una sincerità che porta al rifiuto degli artifici retorici. A ciò si accompagnano una scelta metrica piuttosto semplificata e un uso linguistico-stilistico del tutto medio. Da ricordare anche Corrado Govoni e Marino Moretti, in cui prevale l’elencazione monotona di oggetti e di situazioni prive di rilevanza. Nel primo il catalogo risulta la forma poetica preferita, nel secondo predomina la sottolineatura del Rias su nti &App un tiU niF G vuoto esistenziale per cui la poesia ha la prima se non unica funzione di dire il “niente da dire” ormai rimasto ai poeti. o GUIDO GOZZANO Una via distinta dalle precedenti è quella di Gozzano che ripropone i temi già visti in una chiave ironica, riuscendo così a demistificare le mitologie del sublime simbolistico-decadente, in particolare quelle di Gabriele d’Annunzio. L’io delle raccolte gozzaniane (La via del rifugio, 1907; e I colloqui 1911) rifiuta decisamente di atteggiarsi a “gabrieledannunziano” rivelandosi invece un “coso con due gambe detto guidogozzano”. L’abbassamento del nome proprio a nome comune indica emblematicamente il raggiungimento del nadir, posizione opposta allo zenit del sublime io dannunziano. Si tratta di antisublime o di sublime dal basso: in Gozzano non si trova solo la rinuncia o il grigiore, ma la rivendicazione a suo modo etica del doversi distinguere dai miti già romantici e decadenti. Attraverso un’elaborazione stilistica e metrica corrosiva, che riprende versi tradizionali ma li tratta con voluta libertà. Gozzano riscatta la sua posizione mettendo in rilievo la falsità di quelle superomistiche in voga, grazie a un gioco raffinato e in parte caustico con la tradizione letteraria. Fra i temi quello dell’eros cavallo di battaglia del vitalismo e insieme dell’estetismo mortuario dannunziani. In Gozzano l’eros viene del tutto evitato e bloccato sul nascere, oppure viene solo ipotizzato in rapporto a donne irraggiungibili, oppure viene ridotto ad avventura prosaica con modeste servette. Al fondo si coglie la tentazione di annullamento nichilistico, che impedisce solo in virtù di un distacco ironico a volte coincidente con una sorta di fatalismo. 2.2 Il futurismo La prima e più consapevole avanguardia letteraria in Italia è il futurismo, che peraltro nasce in rapporto alle tendenze sperimentali più avanzate d’Europa, quelle parigine. È a Parigi infatti che si forma Filippo Tommaso Marinetti. Con l’aiuto del grande poeta sperimentale Guillaume Apollinaire esce uno dei primi Manifesti del futurismo, pubblicato sul “Figaro” il 20 febbraio 1909. Marinetti pone in rilievo alcuni dei punti essenziali della poetica futurista: il rifiuto totale di ogni forma di tradizione, l’accettazione del presente fatto di macchine e di velocità, una spinta verso il futuro in quanto espressione di un movimento incessante e rivoluzionario. Le indicazioni di poetica appaiono più interessanti dei risultati degli autori futuristi. I manifesti del futurismo si susseguono sempre più ripetitivamente fino agli anni ’40, quando il movimento che dopo la prima guerra mondiale si era avvicinato al fascismo, diventando una delle forme d’arte del regime, esaurì definitivamente la sua azione. Il futurismo provò a proporre i suoi oltranzismi su tutti i fronti della letteratura, dalla narrativa al teatro, ma il primo settore fu la poesia, sulla quale Marinetti espose alcune sue precise riflessioni in un ennesimo Manifesto 1912: teorizzava l’eversione sintattica, l’abolizione degli aggettivi e degli avverbi, della punteggiatura, doveva invece dominare l’uso dell’analogia, intesa come l’amore profondo che collega le cose distanti. L’immaginario doveva essenzialmente rientrare nell’ambito tecnologico e non in quello naturalistico. Marinetti raggiunge i Rias su nti &App un tiU niF G 3. GIUSEPPE UNGARETTI 3.1 La formazione culturale Nel campo delle sperimentazioni di matrice avanguardista si colloca in prima istanza l’opera di Giuseppe Ungaretti (1888-1970). Di origine lucchesi, Ungaretti visse a lungo ad Alessandria d’Egitto e poi studiò a Parigi, entrando in contatto con Guillaume Apollinaire. Nella sua formazione eterogenea al di fuori dei centri culturali italiani più importanti, interagiscono interessi letterari ma anche politici, che indussero il giovane a partecipare alla prima guerra mondiale: esperienza traumatica e definitiva spinta alla scrittura poetica, che portò a un esito folgorante con Il porto sepolto uscito a Udine nel 1916 in soli 80 esemplari. Ungaretti strinse rapporti sempre più forti con l’ambiente fiorentino dove nel 1919 uscì Allegria di naufragi, e poi con quello di Roma dove si trasferì aderendo al fascismo. Tra gli anni ’20 e ’30 il poeta fece sue molte istanze del regime e del cattolicesimo, riadattando nei suoi versi una mitologia di forte impronta nazionalistica e religiosa, e tornando a impiegare una metrica più canonica e immagini di un denso simbolismo, specialmente nella sua seconda raccolta Il sentimento del tempo (1933). Ungaretti continuò ad allargare la sua conoscenza dei classici grazie anche a numerosi viaggi all’estero e a un’intensa opera di traduttore. Il grande progetto Vita d’un uomo che doveva raccogliere la sua opera omnia è poi continuato sino alla morte, con il sostegno di numerosi critici e interpreti. 3.2 L’Allegria L’Allegria è il libro poetico più rilevante della fase primo-novecentesca. La sua gestazione fu piuttosto elaborata: al nucleo costituito dal Porto sepolto (1916), si aggiunsero varie sezioni nell’edizione uscita a Firenze, da Vallecchi, col titolo Allegria di naufragi (1919): questa raccolta sarà poi sottoposta a numerose varianti nel 1931, col titolo definitivo L’allegria nel 1942. Alla poesia viene riassegnata un’alta funzione, di ascendenza chiaramente simbolista e comunque lontana tanto dall’ironia o malinconia crepuscolare, quanto dall’oltranzismo vitalistico futurista benché componenti futuriste agiscano in parte su Ungaretti. Lo stesso porto che rimanda a quello antico di Alessandria d’Egitto, appare sin dalla poesia eponima un luogo orfico, dove arriva il poeta e poi torna alla luce con i suoi canti, ciò che resta è un nulla/d’inesauribile segreto, e proprio grazie a questa apparente contraddizione (fra il nulla e l’inesauribilità del mistero poetico) brilla la magia della parola lirica, capace di sublimare persino il niente. Un niente che si sostanzia, nel Porto, nelle poesie scaturite dal dramma dell’autore. La ricerca di un inesauribile segreto parte dall’ansia di giustificare un terribile trauma personale, che porta ripetutamente l’io poeta a chiedersi quale sia il suo rapporto con Dio o quale può essere il luogo in grado di ridonare una pace effettiva al corpo e allo spirito. Ecco riaffermato il valore simbolico e insieme salvifico della parola poetica: ed ecco perché molto spesso la versificazione del primo Ungaretti fa coincidere un singolo vocabolo con un verso. Rias su nti &App un tiU niF G La frantumazione ridotta a versicoli seppure a volte ricomponibili in versi canonici, mira innanzitutto a ridonare una forte autonomia agli aspetti fonico-semantici. La compattezza del Porto sepolto viene in parte persa con Allegria di naufragi, raccolta nella quale confluiscono numerosi nuovi testi, compresi alcuni in prosa, quelli già editi subiscono rimaneggiamenti. In questa nuova raccolta molto più letta Ungaretti accentua l’uso dell’analogia e delle metafore ardite, lasciando parole isolate; la sintassi viene semplificata al massimo, senza punteggiatura o quasi. Sebbene l’antecedente di questi possa essere rintracciato nelle teorie futuriste, il risultato appare diverso, non essendo lo scardinamento beffardo dell’istituzione letteraria lo scopo, bensì quelli di ridare un senso forte all’esperienza di un singolo individuo. I procedimenti stilistici sono scelti da Ungaretti in rapporto alle potenzialità linguistiche: nelle sue liriche in francese, coeve a quelle italiane e a volte auto traduzioni, alcuni testi sono ridotti a una semplice frase in prosa lirica, mentre risultano ancora più elaborati l’uso degli spazi bianchi. 3.3 Il sentimento del tempo Nelle versioni successive dell’Allegria (1931 e 1942) Ungaretti tenderà a ridurre gli oltranzismi e a riportare molti versi a una scansione più piana. Il poeta ha compiuto una parabola esistenziale che l’ha portato non solo ad aderire al fascismo e al cattolicesimo ma anche a riscoprire l’importanza della tradizione letteraria italiana ed europea. Già nella seconda raccolta Sentimento del tempo (1933) il gusto per l’analogia tende a farsi più manierato, ricco di risonanze raffinate. Si attenuano i riferimenti all’esistenza vissuta. La poesia assume un valore sublime in sé e tende a creare miti e metafore preziose, al limite del barocco. Anche la metrica viene ricondotta a misure consuete, mentre il lessico risulta depurato e squisito. Il Sentimento appare come la prosecuzione di alcune linee di forza già attive nell’Allegoria, ma non può nascondere la perdita della dimensione esistenziale-tragica. Molto forte è invece la dimensione mitologizzante, per il confronto diretto con miti antichi ma anche per la presenza di figure viarie, che rappresentano in maniera mediata la condizione della peota, come Il capitano o Caino. Ora la critica tende a privilegiare la prima fase poetica ungarettiana, nell’immediato la seconda raccolta però ottenne un largo successo e costituì un punto di riferimento specie per la poesia ermetica. 3.4 Le altre opere poetiche e saggistiche Nelle opere successive Ungaretti mantiene un tono in genere retoricamente elevato, sebbene tornino a volte in primo piano i drammi personali, come la morte del figlio Antonietto, uno dei temi fondamentali di Il dolore (1947) e delle sezioni Giorno per giorno e il tempo è muto, ma pure i drammi del secondo conflitto mondiale emergono in testi come Mio fiume anche tu, sorta di appendice al celebre e autobiografico I fiumi del 1916. Ungaretti, in realtà aveva iniziato sin dal 1935 un’altra raccolta, La terra promessa che doveva costituire la terza tappa, l’autunno del suo poema complessivo: il testo però esce solo nel 1950 come insieme di vari frammenti. Le raccolte successive che in parte proseguono i temi delle due precedenti sono state in genere considerate minori, benché non manchino alcuni testi intensi. Si chiudono qui alcuni percorsi tematici e Rias su nti &App un tiU niF G simbolici presenti sin dai componimenti giovanili di Ungaretti come la dialettica luce-memoria/buio-oblio, sino al trionfo del ricordo e della vita sulla morte, in una sorta di nuova mitologia a forte caratura religiosa. Tutti i componimenti ungarettiani vengono a formare un intero canzoniere intitolato Vita d’un uomo: nel volume uscito nel 1969 furono raccolte le poesie, accompagnate da introduzioni e note dell’autore, nonché da interventi critici. Alle poesie furono poi affiancati, in altri volumi i saggi e gli interventi critici di Ungaretti. Le traduzioni anch’esse di recente raccolte in volume 2010: se il rispetto dell’originale è a volte eccessivo, a volte troppo superficiale, si può constatare che in molti casi è notevole la resa soprattutto di metafore e analogie ardite, soprattutto quelle da Gongora e Racine, ma vanno ricordate pure quelle da Shakespeare, Blake e Mallarmé. 4. LA NARRATIVA E IL TEATRO 4.1 Tendenze del periodo Rispetto alla poesia, il quadro della narrativa italiana appare molto più vario. Ciò corrisponde ad una situazione di fatto: si presenta in Italia dotata di una tradizione meno forte rispetto alla lirica, dominata per lungo tempo dal modello dei I promessi sposi. Continuano a occupare la scena della narrativa autori come Gabriele d’Annunzio e Antonio Fogazzaro, mentre si fanno notare scrittori adatti a un’editoria che tende a espandersi grazie all’ampliamento della scolarizzazione come Edmondo De Amicis. Non mancano opere che intersecano la grande tradizione del realismo-verismo ottocentesco con una nuova sensibilità per gli aspetti inconsci come Grazia Deledda in Canne al vento (1913). La critica tende oggi a individuare i testi più significativi fra quelli di Pirandello che si propone sin dal 1904 come sperimentatore e precorritore di alcune soluzioni metanarrative e la scrittura espressionista. 4.2 I prosatori. Federico Tozzi Nel panorama della narrativa primonovecentesca vanno ricordati autori che hanno privilegiato la prosa di carattere espressionista, ricca di asperità e di vocaboli rari. In generale gli scrittori espressionisti legati alla rivista “La Voce” hanno impiegato il frammento o il poema in prosa, ovvero una prosa di tipo lirico. Viceversa, il versiliese Enrico Pea amico e sostenitore di Ungaretti usa il vernacolo in funzione antidillica, componendo una tetralogia di romanzi brevi poi raccolta col titolo Il romanzo di Moscardino (1944); il viareggino Lorenzo Viani, legato a Pea e ottimo pittore espressionista, impiega toni grotteschi per descrivere vite di emarginati. Forte è la componente anarchica che contraddistingue molti scrittori espressionisti di questa fase. Federico Tozzi. La narrativa di tipo espressionista attualmente più stimata è quella del senese Federigo Tozzi. Dopo un’adolescenza segnata dal dispotismo del padre e dai dissesti finanziari della famiglia, Tozzi arriva nel 1913 alla scrittura del suo primo e forse più notevole romanzo edito nel 1919 col titolo Con gli occhi chiusi. La storia in sé appare piuttosto semplice: il giovane Pietro ama Ghisola, idealizzandola senza accorgersi Rias su nti &App un tiU niF G inconsueti dell’esistenza e l’umorismo che invece va a scavare nelle motivazioni profonde di situazioni buffe o grottesche puntando al sentimento del contrario. I romanzi successivi. Nei romanzi scritti dopo Il fu Mattia Pascal Pirandello approfondisce vari aspetti della sua poetica. I vecchi e i giovani (1909-1913) riguardante l’Italia postrisorgimentale, fra scandali e arrivismi si coniuga con una critica dello storicismo assoluto. Il successivo Si gira…(1915, noto come Quaderni di Serafino Gubbio operatore) tratta del rapporto uomo/macchina attraverso il diario di un operatore cinematografico, che non riesce più a parlare a causa di un trauma. Lo scambio fra realtà e finzione, mentre la riflessione sull’onnipotenza delle macchine approfondisce quella sulle forme che sclerotizzano e alienano la vita. Ultimo e ormai tardo romanzo è Uno, nessuno e centomila (1926). Il tema della mancanza di un’identità certa viene qui portato sino alle estreme conseguenze: il protagonista Vitangelo Moscarda, dopo essere stato sconvolto dalla scoperta che i suoi conoscenti lo vedono in centomila modi diversi da come lui si percepisce, non solo accetta la disgregazione della sua individualità, ma cerca di annullarsi per uniformarsi al ritmo della natura-madre. Si colgono gli effetti delle propensioni antirazionalistiche già presenti in altre opere pirandelliane. Le novelle. Alla narrativa breve Pirandello si dedicò sin dal 1894, nel 1922 progettò le Novelle per un anno, che dovevano riunire tutta la sua produzione in 24 volumi, per un totale di 365 testi. Ne sono stati composti 225, raccolto in 15 volumi (cui si aggiungono 26 racconti dispersi). Si possono riconoscere caratteri, temi e strutture molto differenziati, essendo individuabili novelle comiche, drammatiche, surreali, umoristiche ecc. interessante La carriola dove uno stimato professionista confessa di aspettare più di ogni altra cosa i momenti di solitudine per far fare la carriola alla sua cagnolina. L’assurdità dei comportamenti dei singoli e in genere dell’esistenza stessa emerge con forza in numerose novelle, dominate dalla volontà di demistificare i luoghi comuni. In alcuni casi vengono adottati punti di vista straniati come in La rallegrata; La giara; Ciaula scopre la luna. La scrittura è volutamente media ma non priva di preziosismi. Costituiscono una rilevante alternativa al grande romanzo. Nella struttura delle novelle pirandelliane sono spesso dominanti i monologhi o i dialoghi, e questo ha favorito la loro riscrittura per il teatro, piuttosto frequente. 5.3 La produzione drammaturgica Le opere teatrali sino al 1920. Pirandello cominciò a dedicarsi al teatro con costanza dal 1910, dopo un luogo e fruttuoso impegno nella narrativa. Le prime prove appaiono legate al mondo siciliano, ma a partire dal 1915-1916 venne approfondita la costruzione del personaggio teatrale, che può riuscire a incarnare pienamente le riflessioni dell’autore, in particolare riguardo alla funzione dell’umorismo, liberatoria e dissacrante nei confronti delle forme e delle convenzioni sociali: un fortunato dramma di questo periodo, Liolà, rielabora il quarto capitolo Rias su nti &App un tiU niF G del Fu Mattia Pascal. La produzione del 1917-1918 che affianca a testi regionalistici, magari ricavati da novelle come La giara, i primi drammi grotteschi come Così è (se vi pare) o Il giuoco delle parti. L’ambientazione borghese lascia progressivamente il posto a situazioni allucinate e appunto grottesche, in cui non è possibile distinguere tra vero e falso, perché la verità stessa è relativa. In questi drammi nel 1918 l’autore comincia a raccogliere sotto il titolo di Maschere nude, si mira a demistificare le certezze e a rompere le sclerotizzazioni: fondamentale risulta l’uso dei dialoghi e dei monologhi, caratterizzati da un linguaggio a volte enfatico e ripetitivo. I Sei personaggi e la fase maggiore. La fase più importante del teatro pirandelliano si apre con il 1921, quando vanno in scena prima a Roma e poi a Milano i Sei personaggi in cerca d’autore. Il dramma appare fortemente rivoluzionario e viene riutilizzato l’espediente del teatro nel teatro. Inoltre l’intera azione riguarda poi la stessa natura della finzione teatrale proponendo aspetti metateatrali che saranno ripresi da molti autori d’avanguardia. I sei personaggi, fra cui spicca il Padre, sono in realtà idee dell’autore, che però ha rifiutato di materializzarle in un testo e queste figure non nate si presentano al Capocomico appunto per poter vedere la luce nel palcoscenico. Il tema non è nuovo (legami fra personaggi e scrittore). Mentre il Capocomico cerca di trovare spunti nella vicenda dei sei personaggi tentando di ricondurli a forme concrete ma allo stesso tempo false, il Padre in vari modi afferma che essi, nella loro condizione potenziale, sono le uniche persone perfette e complete. L’individuo non solo appare scomposto ma si giunge a decretare il rovesciamento del rapporto tra realtà e finzione per cui la sola idea dello scrittore appare autentica. Pirandello può essere considerato uno scrittore modernista. Sino al 1930 Pirandello continuò la sua produzione basata sullo schema del teatro nel teatro come Ciascuno a suo modo (1924) e Questa sera si recita a soggetto (1930). Molto più considerevole è un altro dramma Enrico IV (1922), nel quale il tema della pazzia viene posto al centro dell’azione, che si svolge come un falso dramma storico. Il protagonista che per molti anni ha creduto di essere Enrico IV di Germania è invece rinsavito e tuttavia continua a fingere di essere pazzo, non solo per potersi vendicare di un rivale in amore, ma anche per poter mettere in crisi la presunta razionalità dei sani di mente. L’Enrico IV costituisce una sorta di riscrittura di uno dei testi più meditati da Pirandello l’Amleto, il cui dramma viene spostato sul piano mentale, cosicché l’Enrico-fool si seve della pazzia per poter ribadire le ragioni che lo spingono a non accettare più la vita reale, preferendo invece una perenne condizione di personaggio. I drammi dell’ultimo periodo. Nell’ultima parte degli anni Venti Pirandello, ormai famoso, comincia a ripetere alcuni dei suoi temi e delle sue tecniche più collaudate, finendo per generare un pirandellismo d’autore. Interessante appare il suo tentativo di uscire da questo filone. Fra i drammi di quest’ultima fase, dopo La nuova colonia (1928) e Lazzaro (1929), il più suggestivo sembra l’incompiuto I giganti della montagna, un Rias su nti &App un tiU niF G mito in due tempi scritto in gran parte tra il 1930 e il ’33. Avvicinandosi a tematiche di tipo psicanalitico, Pirandello gioca sull’inconscio e sulla possibilità di liberarlo interamente dalle repressioni morali e sociali. Questa forza si troverebbe nell’arte. Il testo è incompiuto, tuttavia questa riscoperta del mito è apparsa a numerosi critici recenti in linea con gli sviluppi dell’ultima avanguardia primonovecentesca, il surrealismo. Riscosso dapprima un minore successo, a partire dagli anni Sessanta è stata riconsiderata. 6. LA CRITICA E IL DIBATTITO CULTURALE 6.1 L’idealismo di Benedetto Croce e la critica letteraria Il dibattito culturale e letterario nell’Italia dei primi due decenni del Novecento fu vivace e per molti risvolti innovativo. Vanno però ricordati altri suoi aspetti, a cominciare da quello della critica ufficiale che vede progressivamente il predominio del filosofo idealista Benedetto Croce, che pubblicò nel 1902 Estetica. Croce teorizzò che l’arte doveva rimanere autonoma da qualsiasi finalità pratica. Lo scopo della critica diventava quello di individuare i momenti di autentica poesia di un’opera. Croce divenne così il difensore della grande tradizione sino a Carducci. Nei suoi interventi sulla letteratura contemporanea attaccò spesso le sperimentazioni e gli eccessi. Le posizioni crociane furono accolte sempre più largamente anche per il prestigio personale del filosofo, che divenne punto di riferimento della cultura antifascista. La loro rigidità bloccò per lungo tempo lo sviluppo di una critica accademica attenta alle nuove discipline, come la sociologia, la psicanalisi ecc. per molto tempo in Italia si ebbero soprattutto studi di carattere erudito documentario che produssero molti studi ed edizioni di altissimo valore grazie a Michele Barbi e Santorre Debenedetti, specialisti di Dante, Ariosto e altri grandi classici italiani. 6.2 La critica militante. Le riviste Al di fuori dell’accademia fra gli interlocutori di Croce si contano vari letterati impegnati in riviste militanti (attente alla letteratura contemporane). Giuseppe Prezzolini si avvicinò specie intorno al 1914 alle teorie crociane, che si potevano coniugare con la propensione al frammentismo tipica dei vociani. All’interno del gruppo si cogliessero anche voci differenti per esempio Renato Serra che cercava di ricostruire appieno la personalità die nuovi autori. Nell’ultima fase della rivista si mise in luce Giuseppe De Robertis, sostenitore di giovani poeti come Ungaretti e Carlo Michelstaedter. Altre riviste attive a Firenze furono nei primi anni del ‘900 il “Leonardo”, il “Regno” e “Hermes”, tutte promosse o sostenute da Prezzolini e da Giovanni Papini che fu poi uno degli animatori della futurista “Lacerba”, attiva fra il 1913 e il 1915. Nonostante la loro spesso breve durata, queste e molte altre riviste contribuirono ad ampliare il dibattito intellettuale ed ebbero una momentanea ripresa alla fine della prima guerra mondiale, spesso però on posizioni nettamente diverse. Cominciò a prevalere la tendenza a un ritorno all’ordine, che ebbe i suoi inizi prima nell’ambito culturale che in quello politico-sociale. Rias su nti &App un tiU niF G ermetismo di giovani autori toscani, legati alla rivista “Frontespizio” (1929-1940) e in particolare al critico Carlo Bo, di ispirazione cattolica e sostenitore di un’idea di Letteratura come vita, che mirava a contrapporre i valori religiosi e umanistici alla crudezza del regime fascista; da un’altra parte si distingue l’ermetismo di vari autori del Sud, più propenso a una metaforicità accesa, ad analogie ardite, non prive di contatti, in certe fasi con il surrealismo francese. In comune mostrano la tendenza a un uso astratto e fortemente simbolico del linguaggio, che riduce la possibilità di identificazione di fatti e oggetti concreti. Fra gli esponenti Salvatore Quasimodo e Alfonso Gatto. Entrambi operano a Firenze soprattutto negli anni ’30, assumendo un ruolo autorevole nelle riviste più stimate, come “Solaria” e “Campo di Marte”. Quasimodo ottenne un ampio successo già con la sua prima raccolta Acqua e terre (1930), cui ne seguirono presto altre poi riunite nel 1942 sotto il titolo Ed è subito sera. Spesso l’opera migliore di Quasimodo viene considerata la sua traduzione dei lirici greci. Gatto invece mirò a una poesia ricca di suggestioni mitiche. Altri autori, toscani di origine e formazione culturale, propongono un ermetismo più colto; come Mario Luzi, si può considerare pienamente ermetico solo per le sue primissime raccolte, in specie per Avvento notturno del 1940. Altri, Piero Bigongiari o Alessandro Parrochi, proposero una lirica raffinata ma dai tratti stilistici meno individuati. Ai margini dell’ermetismo invece ci sono Leonardo Sinisgalli e Carlo Betocchi, con uno stile più sobrio di quello degli ermetici. Tutti gli ermetici furono spinti, già nell’immediato dopoguerra, ad abbandonare i temi più rarefatti e tardosimbolisti, per affrontare in modi a volte stilisticamente sin troppo retorici gli eventi drammatici del conflitto e della ricostruzione. Esemplari sono le raccolte di Quasimodo Giorno dopo giorno 1947 e La vita non è sogno 1949. Ben diverso fu il percorso di Eugenio Montale. 2.3 Altri percorsi. La poesia dialettale Si possono individuare altri percorsi oltre quelli individuati, ad esempio quello della lirica narrativizzata, che usa versi lunghi alla maniera del poeta statunitense Walt Whitman; fondamentale appare la raccolta Lavorare stanca di Cesare Pavese, e le prove del rondista Riccardo Bacchelli. Rilevante è l’apporto dei dialetti. La scelta della lirica in dialetto può risultare ancora in molti casi spontanea; tuttavia gli autori dialettali sono per lo più colti e la loro opzione linguistica appare dettata spesso da ragioni peculiari, a volte la difesa di culture, a volte l’opposizione esplicita all’italianizzazione forzata, intesa come oppressione del regime. Fra gli autori più considerevoli possono essere citati Virgilio Giotti, Biagio Marin, Giacomo Noventa (che fonde cattolicesimo democratico e socialismo, proponendo liriche antiermetiche), Delio Tessa. 3. UMBERTO SABA 3.1 La formazione culturale Umberto Poli, che assunse dal 1910 lo pseudonimo-cognome “Saba”, di ascendenze ebraiche, nacque a Trieste nel 1883. L’immediato abbandono da parte del padre, il rigore della madre israelita, l’affetto della nutrice slovena Beppa e Peppa Sabaz, costituiscono presupposti autobiografici influenti. Rias su nti &App un tiU niF G Solo dal 1929 Saba seguì una terapia psicanalitica che renderà più consapevole l’uso straniato di una stilizzazione, la quale da subito si presenta come troppo semplice. La formazione fu eterogenea, con studi umanistici e tecnici più volte interrotti. Saba rivendicò sempre con orgoglio la sua figura di irregolare, e nello stesso tempo aspirò a un’integrazione che dovette rivelarsi difficile mentre si definiva italiano tra gli italiani: il regime fascista lo emarginava con le leggi razziali che lo costrinsero nel 1943 ad abbandonare Trieste; l’amore coniugale per Carolina Wolfler andò incontro a numerose e forti crisi, per un periodo intenso si legò al giovane Federico Almansi. Saba rimase sino alla morte (1957) al di fuori dei circoli culturali più attivi e influenti. Soprattutto a partire dagli anni ’50 la sua poesia fu assunta a modello per la linea antinovecentesca o antinovecentista, caratterizzata come semplice e onesta, capace di costruire un rapporto franco con il lettore. 3.2 La produzione poetica sino al 1921. Il primo Canzoniere La vocazione poetica di Saba si manifesta già nel 1911 e nel 1912 escono testi poi molto apprezzati come quelli di Casa e campagna e soprattutto di Trieste e una donna, raccolte in parte dedicate alla moglie Lina. Saba rimane legato alla sua Trieste mitteleuropea ma laterale in ambito italiano. Ecco perché le liriche delle prime raccolte appaiono del tutto fuori tempo rispetto alle avanguardie e volutamente fondate su un linguaggio letterario ormai desueto. La stessa idea di un Canzoniere elaborata sin dal 1913 e compiuta in una prima versione nel 1921, risulta a quest’altezza decisamente conservatrice; se si aggiunge che le forme metriche preferite da Saba sono quelle chiuse come i sonetti, che tendono alla cantabilità. Fra le poesie di maggior valore del primo Canzoniere, si debbono ricordare quelle che fondono una stilizzazione classicista con una scelta di immagini inconsuete e appunto stranianti: A mia moglie, in cui Lina viene paragonata a una serie di anim li. L’amore coniugale contrastato si esplicita non in una liricità sublime ma in un affetto quotidiano. L’insieme dei testi assume la struttura di piccoli romanzi (molto evidente in Trieste e una donna), dove l’autobiografismo esibito manifesta una tensione dell’io lirico a depurarsi dei sensi di colpa e nello stesso tempo a comprendersi, nonché a comprendere la psicologia profonda dei suoi interlocutori a cominciare da Lina. La serena disperazione (scritta fra il 1913 e ‘15) e Amorosa spina del 1920 sono titoli in cui già la sfumatura ossimorica indica la tonalità dominante, che va a toccare il conflitto inevitabile tra i sessi, già ipotizzato da Nietzsche; nel primo Canzoniere Saba mira a una poesia da lui stesso definita onesta, una leggerezza che diventa chiarezza. Suo scopo è quello di raccogliere in unità tappe biografico-esistenziali che ancora l’autore stesso non comprende sino in fondo: il modello rimanda alle raccolte del pieno Ottocento come quella di Heinrich Heine. 3.3 La produzione poetica dal 1921 al 1957 Dopo la pubblicazione del primo Canzoniere Saba sempre appartato e avverso al fascismo entra in contatto con Giacomo Debenedetti e Eugenio Montale. Il poeta si avvicina non solo alla psicanalisi, ma più in generale alla cultura europea contemporanea, trovando modo di introdurre note più forti di modernità. Una nuova tappa è segnata dal secondo Canzoniere Rias su nti &App un tiU niF G uscito nel 1945, nel quale confluiscono le raccolte successive al ’21. Nuovi apporti tematici arrivano con Preludio e fughe (1928-1929) dove si mettono in contrappunto musicale varie voci liriche, con Il piccolo Berto (1929-31) vengono invece finalmente alla luce i traumi infantili. Nella versione del ’45, il Canzoniere è diviso in tra grandi sezioni, le tre principali età dell’uomo. Rispetto alla prima edizione e alle singole raccolte successive, Saba ha lavorato a una risistemazione complessiva, soprattutto in rapporto al tema dell’amore e a quello della guerra. La sezione Cuor morituro (1925-1930), angosciata e dissonante anche da un punto di vista stilistico, due poesie fondamentali nel percorso sabiano, La brama e Il borgo. Amara nella sua denuncia diretta e volutamente enfatica è poi la sezione intitolata 1944, che rievoca uno dei periodi più drammatici della sua vita. Nella terza parte, incisive e drammatiche risultano le sezioni Parole (1933-1934) e Ultime cose (1935-1943), ancora risalenti al periodo culminato nella persecuzione razziale e nella guerra. I contatti diretti con Ungaretti e Montale lo portano a scrivere versi senza esplicitazione dei nessi connettivi dimodoché la sua lirica assunse una componente della migliore oscurità moderna. Successivamente specie dopo il 1948 (anno traumatico per motivi personali) nella vena lirica di Saba si fece strada anche una sempre più forte insoddisfazione esistenziale, che negli anni ’50 si manifestò attraverso nuove crisi nevrasteniche e un incupimento definitivo, con numerosi riferimenti al tema della morte. Non mancano però testi più lievi, ancora in forma di delicato racconto autobiografico. Le raccolte da Mediterranee (1946) a Sei poesie della vecchiaia (1953-53) vanno a completare la nuova terza parte del Canzoniere che nel 1961 dopo varie versioni intermedie, trova una sistemazione postuma con la chiusura moralmente alta e serenamente amara di Epigrafe (1947-48). 3.4 Le altre opere Saba fu pure un ottimo prosatore. Nei suoi molti racconti brevi non mancano le storie legate al ricordo del mondo ebraico di Trieste. Spiccano i testi di Scorciatoie e raccontini (1946) nei quali le occasioni fornite dalla vita quotidiana vengono interpretate in modo inatteso, con un gusto per l’aforisma che riconduce a due modelli: Nietzsche e Freud. Postumo (1975) è uscito il romanzo incompiuto Ernesto, scritto intorno al 1953 e rivelatore: si parla di un’iniziazione omosessuale di un ragazzo, grazie pure a un uso del dialetto triestino. Ricordato infine è Storia e cronistoria del Canzoniere del 1948: un autocommento in forma di falsa tesi di laurea attribuita al “doppio” Giuseppe Carimandrei. Infine vanno ricordati i ricordi-racconti, raccolti in volume nel 1956 ma risalenti in parte alla prima fase della produzione sabiana, come nel caso delle novelle Gli ebrei o di quella intitolata La gallina (1913). 4. EUGENIO MONTALE 4.1 La formazione culturale del primo Montale Montale nacque a Genova nel 1896. La sua formazione fu molto eterogenea, nutrita dalla lettura dei testi letterari recenti, italiani e francesi, nonché di classici; buona anche la conoscenza artistica e musicale. Montale lesse o conobbe numerosi testi filosofici, morali e religiosi, fra cui spiccano Henri Bergson e Emile Boutroux, avversari del positivismo e sostenitori di teorie vitaliste-spiritualiste. Montale cercò di avvicinarsi Rias su nti &App un tiU niF G alla guerra imminente e con una chiusa ancora una volta memorabile]. Le Occasioni imitate nel dopoguerra, possono essere considerate una raccolta centrale nello svolgimento della lirica italiana del ‘900. 4.4 La bufera e altro Senza soluzione di continuità Montale dopo le Occasioni scrisse componimenti che alludevano alla seconda guerra mondiale, raccolti nel 1943 e nel ’45 in due plaquettes dal titolo Finisterre. Deriva la prima sezione della terza raccolta montaliana, uscita nel 1956 e intitolata La bufera e altro (poi riedita nel 1957). Nel frattempo Montale aveva attraversato una breve fase di impegno politico nel Partito d’Azione. Si era poi trasferito nel 1948 a Milano, diventando redattore del Corriere della sera. L’attività giornalistica lo porta a incontrare artisti, scrittori e in generale realtà culturali europee ed extraeuropee. Nella Bufera si accentuano anzi i tratti manieristici e barocchi, applicati peraltro a una realtà storica spesso più chiaramente riconoscibile che non nella raccolta precedente, ossia quella della guerra (la bufera appunto). Nello sfondo collettivo emerge ancora Clizia e poi sostituita dalla più terrena Volpe (ossia la poetessa Maria Luisa Spaziani). Rispetto alle Occasioni, sono più frequenti i testi interpretabili in senso allegorico. È il caso del componimento forse più denso mai scritto da Montale, Iride, ma anche Il gallo cedrone o L’anguilla. La struttura pur mantenendo analogie con le precedenti (e un andamento autobiografico-narrativo) si complica: le parti sono sette e una, Intermezzo, propone addirittura brevi testi in prosa. La sezione in cui si colgono le più forti tensioni è forse quella intitolata Silvae (selve), i vari testi dedicati in parte a Clizia, che vorrebbe spingere il poeta a una scelta definitiva in senso religioso: ma l’io lirico che si nasconde sotto la maschera di personaggi dubbiosi, preferisce ritornare alle incertezze ma anche alla concretezza della vita terrena. Molto significativa è la parte finale della Bufera, dal titolo Conclusioni provvisorie, nei cui due testi (Piccolo testamento e il sogno del prigioniero) si riscontrano alcuni cambiamenti. L’io viene a coincidere più esplicitamente e circostanziatamente con quello autobiografico, per la rivendicazione di una dignità morale e di una propria autonomia di giudizio nel tempo delle contrapposizioni forti tra chierici rossi e neri, ovvero tra l’ideologia comunista e quella clericale-conservatrice. Inoltre il consueto tema della disarmonia e del male di vivere si sostanzia nella storia presente, dal fascismo e del dopoguerra. L’io poeta adotta qui un linguaggio basso-comico, intriso di espressioni o termini volutamente prosastici e quasi gergali che non sono più sostenuti da un grande stile, ma emblematicamente anticipano la prossima impossibilità, di una lirica alta nella società di massa. Rias su nti &App un tiU niF G 4.5 Satura e le ultime raccolte Dopo un lungo silenzio, Montale ricomincia a scrivere dal 1963 e poi soprattutto dal 1968. Il risultato di questa nuova fase è un libro molto diverso dai precedenti, Satura, edito per la prima volta nel 1971. Lo stesso autore dirà che questa sua nuova opera corrisponde al verso della lirica di cui prima aveva dato il recto: ovvero, una sorta di rovesciamento ironico, a volte apertamente parodico dei suoi temi. Lo stile diventa comico- satirico, anche se il termine satura dovrebbe essere riferito, in primo luogo alla varietà degli argomenti e degli stili. Una componente propriamente satirica è ben evidente, dato che sono molti i testi dove si combattono le assurdità della società di massa, i luoghi comuni, le posizioni ideologiche massimaliste, le arti neoavanguardiste ecc. gli interventi sempre più conservatori che Montale andava proponendo sul Corriere, diventano qui il sottofondo per una resa poetica basata su alcune figure retoriche ricorrenti (anafore, giochi di parole, paronomasie) e su una metrica non priva di tratti grotteschi, con rime singolari, largo uso di versi molto cadenzati ecc. la cronaca comincia a fornire il materiale. La prosa acquisisce il sopravvento sulla lirica, e l’io poeta si riserva in genere il ruolo di ironico esaminatore delle storture sociali, oppure di pseudo-filosofo e dissacrante teologo; le frecciate contro altri poeti o contro gli stessi critici si distinguono le due sezioni degli Xenia, scritte precedentemente alle due intitolate Satura, e dedicate alla moglie Mosca, morta nel 1963 come Ho sceso, dandoti il braccio o Avevamo studiato per l’aldilà. I tratti riscontrati in Satura si ripropongono nelle raccolte successive: Diario del ’71 e del ’72 (1973), quaderno di quattro anni (1977), altri versi (1980), tutti riuniti nell’edizione critica L’opera in versi curata da Gianfranco Contini e Rosanna Bettarini a cui si aggiunge il Diario postumo. L’impossibilità di una poesia alta nell’epoca della massificazione risulta ribadita, mentre i temi diventano sempre più moralistico-sociologici: la perdita dell’identità individuale, la falsità delle convenzioni a cominciare da quella del tempo, il trionfo della spazzatura. In molti casi vengono citati e parodiati testi lontani mentre, tra le varie figure femminili montaliane, prende qui il sopravvento quella di Arletta o Annetta, che con non poche contraddizioni, dovrebbe riferirsi a una fanciulla mota giovane. I punti di forza di quest’ultima fase stanno forse in quei componimenti che meglio riescono a coniugare il nuovo stile basso e mescidato con una riflessione non scontata sui destini dell’umanità e dell’arte. 4.6 Altre opere Montale vince il Nobel del 1975, fu anche un critico intelligente, capace di individuare valori misconosciuti, come quelli di Saba e di Svevo. Fu inoltre critico musicale e d’arte, nonché autore di numerosi interventi di taglio politico-morale. Vanno segnalati gli scritti in prosa narrativa, una prosa molto vicina a quella raffinata degli anni ’30, senza essere esattamente una prosa d’arte: i brevi Rias su nti &App un tiU niF G racconti di La farfalla di Dinard, usciti in volume lo stesso anno della Bufera (1956), costituiscono le versioni in prosa delle occasioni poetiche. 5. LA NARRATIVA, IL TEATRO E IL CINEMA 5.1 La narrativa fra anni Venti e Trenta Poco dopo la fine della prima guerra mondiale nella narrativa italiana due linee in parte contrastanti. La prima era promossa dalla già citata rivista “La Ronda” e puntava a una prosa d’arte, che prendeva spunto dal frammentismo e dal saggismo raffinato già diffusi dalla £Voce”, li inseriva in strutture più solide, in particolare in racconti e novelle. Questa linea venne seguita da autori come Vincenzo Cardarelli e Riccardo Bacchelli, il quale peraltro arrivò poi alla composizione di romanzi di ampia portata come il tolstoiano Mulino del Po (1938-40). Venne poi ripresa negli anni ’30. La seconda linea sostenuta dal critico Giuseppe Antonio Borgese che già nel 1921 pubblicò un testo definibile a pieno titolo romanzo Rubè. Il precoce antifascismo di queste posizioni, che portò poi Borgese addirittura all’esilio, si coniugava con la ricerca di un nuovo tipo di realismo, ovvero di una narrazione che ponesse in primo piano l’interpretazione della realtà storica e quella della psicologia profonda. Questo appello fu accolto solo in parte. Tuttavia sono numerosi gli autori nuovi, che negli anni ’20 e ’30 propongono romanzi almeno in parte di tipo realistico, anche se dati i limiti imposti dal regime per una vera rinascita di questa narrativa occorrerà attendere il 1943-1944. Ma il caso più clamoroso di romanzo nuovo, realistico e umoristico-sperimentale arrivò nel 1923 da Italo Svevo. Invece l’esito più alto della linea fondata sulla scrittura raffinata e addirittura complessa fu raggiunto fra anni ’30 e ’40 da Carlo Emilio Gadda. 5.2 La prosa d’arte, il realismo magico, il fantastico La narrativa raffinata, fortemente lirica e in genere breve porta l’etichetta di prosa d’arte, trova a Firenze la sua patria. I sostenitori di questa forma espressiva presentano molteplici sfaccettature: parecchi si riunirono intorno alla rivista “Solaria”. Fra gli autori Arturo Loria, Giovanni Comisso. Molto presenti i temi dell’infanzia e del tempo passato, sulla scorta di una lettura di Proust e poi anche di Virginia Woolf, come avviene nelle opere di Anna Banti. Anche Romano Bilenchi fu attivo nell’ambito del cosiddetto fascismo di sinistra e nel secondo dopoguerra esponente della cultura marxista. Con il racconto Anna e Bruno (1938), il romanzo Il conservatorio di Santa Teresa (1940) e il trittico riunito nel 1984 sotto il titolo Gli anni impossibili, Bilenchi esaminò in modo acuto e a volte quasi spietato soprattutto il periodo dell’adolescenza, con l’esplosione dei contrasti fra io e mondo. Si differenziano privilegiando un’idea di realismo magico altri autori come Massimo Bontempelli, Rias su nti &App un tiU niF G Nel 1898 esce il secondo romanzo Senilità, più raffinata capacità di introspezione psicologica. Intreccio con quattro personaggi: il principale è Emilio Brentani, sempre in preparazione di un’opera più importante. Emilio s’innamora della bella popolana Angiolina, che però rivela col tempo la sua rozzezza e s’invaghisce di Stefano Balli opposto al giovane. Anche la sorella di Emilio, Amalia, è innamorata segretamente di Balli e soffre al punto da ridursi in fin di vita per la sua scelta di Angiolina; a sua volta Emilio si ritrova solo al termine del romanzo, precocemente arrivato alla senilità, incapace di agire. Si coglie una contrapposizione fra i deboli-sognatori (Emilio- Amalia) e i forti realisti (Angiolina-Stefano), darwinianamente molto più adatti alla vita. I tentativi di Emilio di idealizzare Angiolina sono destinati a fallire. un uso interessante del discorso indiretto libero, che permette di cogliere pensieri e impressioni. Ma emerge con chiarezza l’inaffidabilità delle affermazioni del protagonista, che spesso si scopre travestire le sue vicende secondo una prospettiva falsificante. Il protagonista viene smentito in vario modo. 6.3 La coscienza di Zeno Dopo l’ulteriore insuccesso di Senilità Svevo decide di abbandonare la scrittura. Dal 1899 al 1923 egli continua a elaborare saggi e comporre racconti. Sembra leggere con maggiore interesse la letteratura anglosassone contemporanea e anche settecentesca come Swift e Sterne. È quindi la tecnica umoristica a venir messa in pratica da Svevo. Con Joyce entrò in una duratura amicizia. Il 1919 è l’anno in cui Svevo comincia la stesura della Coscienza di Zeno, il capolavoro poi pubblicato nel 1923, lo scrittore ha conosciuto meglio le teorie freudiane, che gli permettono di approfondire le sue idee sull’animo umano. Il risultato è la nascita di un personaggio del tutto nuovo nel panorama italiano e originale anche in quello internazionale: un commerciante ben poco abile, sposatosi in modo quasi grottesco, affidatosi poi alle cure della psicoanalisi senza un’effettiva fiducia, ma costretto a scrivere una sorta di memoriale degli eventi più significativi della propria vita. Appunto questo brogliaccio sottratto al paziente Zeno Cosini dal dottor S. dopo l’improvvisa interruzione della cura, viene a costituire la narrazione. Essa non segue un percorso lineare, secondo il modello umoristico procede in apparenza a caso, per blocchi, al cui interno la voce del protagonista narratore prende il sopravvento e descrive la realtà secondo una prospettiva decisamente unilaterale. In molti casi Zeno si contraddice. Zeno è un personaggio nevrotico e mentitore, soggetto a problemi psicosomatici. L’ultimo capitolo si riferisce appunto al periodo iniziale della prima guerra mondiale, che presenta una situazione drammatica. Zeno abbandonata la psicanalisi, conclude provvisoriamente il suo racconto ipotizzando la distruzione del mondo con una bomba. Zeno non è più solo un inetto: la sua stravaganza lo porta a interpretare la realtà psichica e storico-naturale secondo coordinate insieme scientifiche e stralunate. Ciò che gli manca è la certezza di un destino. Al suo posto gli Rias su nti &App un tiU niF G rimangono ipotesi. Non esistono allora deboli e forti, ma solo malati consapevoli o meno: Zeno sperimenta grazie all’amante Carla; oppure può gettarsi a capofitto nel reale materiale. Il paziente Zeno Cosini reputa di essere guarito mentre invece la chiusura e la fine sembrano incompatibili con la sua visione. Zeno è probabilmente guarito dall’ottimismo scientifico o presunto tale, quello di tutti coloro che pensano di poter cambiare le vite dei singoli o addirittura la vita umana spiegando dove sanno le malattie e dove la salute: tutto è malattia, e per questo il mondo sembra destinato a finire letteratura, paradossalmente può ritenersi guarito. Il testo non può dirsi concluso, perché la dialettica di verità e menzogna potrebbe continuare anche dopo la provvisoria chiusura. 6.4 Altre opere Dal 1924-1925 per Svevo finalmente cominciarono ad arrivare i riconoscimenti, nonostante le varie critiche alla sua lingua poco elegante. La non conclusione della Coscienza con l’apocalissi buffa del finale presenta come mera ipotesi piuttosto che come autentica chiusura, suggerì allo scrittore di pensare a prosecuzioni, intraprese ma lasciate incompiute. Nei vari abbozzi Zeno compare ormai vecchio, ma attraverso una sorta di letteraturizzazione della vita, ovvero la trasformazione della vita in scrittura continua e potenzialmente infinita. Svevo pubblicò o revisionò molti racconti e testi teatrali approntati in precedenza e ne preparò altri nuovi. I racconti Corto viaggio sentimentale (1925- 1926), che sin dal titolo rinvia al modello del Viaggio sentimentale di Sterne e Una burla riuscita (1926) e il dramma La rigenerazione (1927-28) che affronta uno dei temi più battuti dell’ultimo Svevo, ossia quello dell’invecchiamento e della sua giustificazione in una prospettiva biologico- darwiniana. Questi ultimi tentativi presentano ulteriori doppi o controfigure dell’autore che continua a scrivere in modi sempre diversi, una sorta di ironica autobiofrafia per interposti personaggi. 7. CARLO EMILIO GADDA Carlo Emilio Gadda nacque a Milano nel 1893. Dopo la morte del padre (1909), Carlo Emilio si legò sempre più alla madre, che lo spinse agli studi di ingegneria. Allo scoppio della prima guerra mondiale, si arruolò come ufficiale volontario, ma venne fatto prigioniero dopo la sconfitta di Caporetto. Alla fine del conflitto venne a sapere della morte del fratello Enrico, trauma che scosse ulteriormente il suo equilibrio psichico. Gadda iniziò negli anni ’20 a scrivere ampi abbozzi di romanzo e trattati, pubblicati solo postumi tra cui Racconto italiano di ignoto del Novecento (1924- 25) e La meccanica (1928-29) che contengono molte riflessioni sulle caratteristiche che deve avere il romanzo moderno e la Meditazione milanese (1928), un trattato filosofico che basato su Spinoza, Leibniz e Kant. Una riflessione fondamentale è quella relativa ai rapporti tra vari registri linguistici. Rias su nti &App un tiU niF G Cominciano a emergere alcuni nuclei narrativi poi ossessivamente ripetuti nella produzione di Gadda, per esempio quello della persona moralmente retta ma incapace di difendersi, che viene emarginata dalla società, o quello della donna, casta o impura, che viene uccisa violentemente; quello dei comportamenti dell’intera società in periodi di profonda crisi (Gadda aderì al fascismo già nel 1921, forse più per un nevrotico bisogno di ordine). Nel 1931 esce la prima raccolta gaddiana di racconti, La Madonna dei SlosoS, che viene seguita nel 1934 da quella intitolata Il castello di Udine, accompagnata nella versione originaria da una permessa id poetica (Tendo al mio Sne). Legato alla rivista “Solaria” non consentono però a Gadda di abbandonare il lavoro di ingegnere, che lo porta a collaborare con il Vaticano e a conoscere bene l’ambiente romano. Continua a scrivere brevi testi inseribili nel filone della prosa d’arte. Di recente sono state pubblicate le cospicue parti di un romanzo (Un fulmine sul 220), abbozzato nel periodo 1932-36; Gadda ricaverà materiali per alcuni racconti, in parte editi nella raccolta L’Adalgisa (1944). Nel 1936 muore la madre Adele e Gadda è costretto a prendere dolorose decisioni, che aumentano i suoi sensi di colpa e le sue nevrosi. Dopo comincia a scrivere il primo dei suoi romanzi maggiori, La cognizione del dolore. 7.2 La cognizione del dolore Pubblicata in parte sulla rivista fiorentina “Letteratura” tra il 1938 e il ’41, poi in volume nel 1963 e con ampliamenti nel 1970 mette in evidenza non solo alcuni dei temi più forti di Gadda, ma anche la sua difficoltà a chiudere definitivamente le opere. Ciò implica per la critica, la necessità di interpretare i finali, ma soprattutto implica una questione di poetica: la trama non è più il punto essenziale, che invece vive della sua capacità conoscitiva, ovvero della possibilità a esso connaturata di interpretare il mondo attraverso il linguaggio. È l’unico modo di riuscire a rappresentare l’infinita complessità, ovvero la baloccaggine del mondo. Questo aspetto, ancora più vistoso nel Pasticciaccio si coniuga sempre con una fortissima volontà di giudizio. La cognizione si apre nel fantastico paese sudamericano del Maradagàl simile alla Brianza, protagonista don Gonzalo Pitrobutirro, ingegnere che vive in una villa dissestata con la vecchia madre (dopo la morte del padre e di un fratello), deve subire angherie e minacce di ogni tipo, diventando ancora più nevrotico. Il dialogo fra Gonzalo e un medico, nel quale il primo rivela il suo male oscuro, legato in parte al rapporto di amore e odio con la madre. Di quest’ultima viene adottato il punto di vista nel quinto tratto (così Gadda chiama le sezioni del romanzo), estremamente lirico. Dopo si arriva a una conclusione tragica: la madre viene trovata agonizzante, forse a causa di un’aggressione. Gonzalo è incapace di adattarsi all’imperfezione del mondo, alle ingiustizie e ai soprusi, alla mentalità dei borghesi: del suo male oscuro si continua a ignorare la causa, perché le cause sono molteplici e intanto però quel male lo si porta dentro di sé per tutto il fulgorato scoscendere d’una vita. Si possono riscontrare il tragico il lirico oppure il parodico, Rias su nti &App un tiU niF G CAPITOLO 4 I nuovi realismi e l’impegno dei letterati 1. Introduzione al periodo (1945-1962) Dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, la rinascita della cultura italiana ed europea avviene in uno scenario internazionale profondamente modificato. Divisione delle zone di influenza delle ideologie liberale- capitalistica e comunista. L’Europa si trovò divisa. L’Italia, paese di frontiera a contatto diretto con Stati comunisti, più di molte altre nazioni fu influenzata dalla politica statunitense, venne governata a lungo dalla Democrazia cristiana. Moltissimi scrittori avvertirono il bisogno di far sentire la loro voce: l’impegno fu la richiesta prioritaria di quegli anni. Questa linea fu accolta da molti intellettuali soprattutto in Francia con Sartre e Camus, esponenti dell’esistenzialismo laico, cercarono forme di impegno nuove e magari divertenti, ma ricche di stimoli per l’intera Europa. In Italia si aprirono spazi per un libero dibattito: nacquero riviste, giornali e radio, case editrici cominciarono a tradurre opere fondamentali della contemporaneità. Le scelte degli uomini di cultura andarono verso le sinistre. La linea di tendenza più forte nella letteratura italiana del dopoguerra fu quella del realismo. Spinta a descrivere l’enormità degli eventi appena accaduti, lager e bomba atomica. La grande fase delle avanguardie non era passata invano, così elementi sperimentali si colgono negli autori del cosiddetto neorealismo. Molte delle opere che oggi consideriamo più importanti come quelle di Italo Calvino, Pier Paolo Pasolini e Beppe Fenoglio, interpretano la tendenza al realismo in modi spiccatamente personali. La poesia dovette trovare nuove strade. Quasi tutti gli esponenti dell’ermetismo sentirono il bisogno di rinnovare il loro stile, accantonando temi e metafore raffinatissimi, per affrontare i drammi del presente. Pochi ci riuscirono e i risultati maggiori arrivarono alla fine degli anni ’50 con le nuove raccolte di Mario Luzi. Anche poeti lontani dal filone ermetico, arrivano a risultati di alto valore nell’ambito della poesia semplice anti- novecentesca, sino allo sbocco ideologico-civile della raccolta Le ceneri di Gramsci (1957) di Paolini o a quelli legati ai contesti regionali come Tonino Guerra. Se la narrativa mostra una notevole vitalità, si assiste a un progressivo spostamento degli interessi del grande pubblico verso il cinema, capolavori incentrati sulla condizione italiana alla fine della guerra, come quelli di Roberto Rossellini e Vittorio De Sica. Quasi tutti i nuovi scrittori collaborarono con l’industria cinematografica scritte per Federico Fellini e Ennio Flaiano. In questi anni il cinema italiano diventa famoso ma non può essere paragonata a Hollywood. La potenza dell’industria culturale comincia a condizionare molte scelte e soprattutto i gusti del pubblico di massa. Dalla seconda metà negli anni ’50 si riscontra una prima polarizzazione fra produzione di largo consumo e cultura d’elite. Testi inquietanti e sperimentali come Beckett o la poesia Rias su nti &App un tiU niF G espressionista-surrealista di Paul Celan. Negli USA modelli di vita alternativi a quelli capitalistici, beat generation. In Italia alla fine degli anni ’50 una nuova fase avanguardistica, che esploderà con il 1963. 2. La poesia 2.1 Il nuovo clima del dopoguerra. Mario Luzi Þ Prosecuzioni e sviluppi. L’immediato dopoguerra propone una progressiva modifica degli equilibri, l’ermetismo nelle sue varie espressioni lascia il posto a una lirica molto più diretta e concreta come Quasimodo. Pure Ungaretti si distacca dalle atmosfere rarefatte del Sentimento del tempo, è comunque Montale a diventare il modello. A Saba invece si ispirano o si possono accostare poeti antinovecenteschi o antinovecentisti. Þ Mario Luzi. Uno dei più rappresentativi esponenti dell’ermetismo fiorentino è Mario Luzi. Raggiunge uno degli apici manieristici del movimento con Avvento notturno (1940), Luzi comincia ad avvicinarsi a una poetica sostanziata di riferimenti alla realtà sin della seconda metà degli anni ’40 e con le raccolte Primizie del deserto (1952) e Onere del vero (1957), fino al culmine con Nel magna (1963), una raccolta in cui, su una trama fitta di rimandi al Purgatorio i dubbi esistenziali dell’io lirico, autobiografico vengono esaminati in componimenti polifonici e dai versi lunghi e non regolari. Domina una volontà di comprensione etica, che spazia dall’impegno politico alla fede religiosa. Nelle raccolte successive prosegue in parte questa caratura stilistica, mentre nelle ultime prevale una tendenza all’astrazione e al dett to mistico-religioso. Luzi è stato anche saggista e autore di testi teatrali. Þ Il neorealismo in poesia: tra le nuove propensioni, quella al neorealismo si sostanzia in poesia di caratteri quotidiani e di riferimenti storici concreti, mentre da un punto di vista formale prevalgono tecniche prosastiche. Anticipati da Cesare Pavese con il suo Lavorare stanca (1936), i poeti neorealisti non si allontanano da alcuni precisi modelli, come gli statunitensi Walt Whitman (Foglie d’erba) o Edgard Lee Masters. Questi modelli vennero applicati innanzitutto al racconto poetico della Resistenza, poi a quello delle condizioni del proletariato: temi scelti, per esempio dal lucano Rocco Scotellaro con la sua raccolta postuma È fatto giorno (1954), un esempio di lirica neorealista politicamente schierata e insieme ricca di umori derivati dal folklore. L’ampia disponibilità tematica consente di accostare al filone neorealista anche molti altri poeti ancora ermetico-simbolisti, permangano fra i poeti neorealisti. Rias su nti &App un tiU niF G 2.2 La linea antinovecentesca Sandro Penna, Giorgio Caproni e Attilio Bertolucci: Þ Sandro Penna. La linea dello stile semplice di Saba, maggior esponente. Questa tendenza definita antinovecentesca per il suo rifiuto delle forme letterarie tipiche del 900, e delle sperimentazioni avanguardistiche era seguita già negli anni ’30 dal perugino Sandro Penna, valorizzato proprio da Saba. Nelle sue liriche più alte domina una percezione fresca e apparentemente ingenua degli attimi vitali, spesso connotati dalla dialettica fra nascita e appagamento/frustrazione dei desideri. Porta a una distillazione del reale, a una sua percezione cristallina, che trova gli esiti più compiuti in poesie brevissime, dal tono aforistico e dal linguaggio depurato, una poesia immediata, priva di mediazioni. D’altra parte l’apparente facilità si converte spesso in effettiva oscurità. Þ Giorgio Caproni. Vissuto a lungo in Liguria, terra che spesso fa da sfondo. L’avvio poetico risale agli anni ’30, con raccolte ricche di impressioni e bozzetti di gusto pascoliano, che però già sfociano in un riutilizzo originale delle forme chiuse come il sonetto in particolare in Cronistoria (1943). Dopo una fase di impegno prima nelle file della Resistenza, poi nella sinistra socialista, Caproni torna a pubblicare una delle sue raccolte più apprezzate Il passaggio d’Enea (1956). La stilizzazione e la chiusura formale si accentuano come difesa umanistica nei confronti delle repressioni naziste. Questa chiusura permette l’adozione di versi cantilenanti a rime baciate o ravvicinate, sostiene di solito temi derivati dall’autobiografia, alla maniera di Saba, scaturiscono improvvise rivelazioni, in genere drammatiche, ma a volte sospese tra mito e ironia. Nelle raccolte successive, dopo un’ulteriore puntata di un percorso autobiografico, questa volta dedicata alla scomparsa della madre arriva a una sorta di costruzione teatrale-narrativa in versi, con i dialoghi di personaggi maschere dell’autore del Congedo del viaggiatore cerimonioso (1965). Il nichilismo di Caproni assume un tono sempre più lucido e pacato che prelude all’ultima fase della sua poesia, di matrice filosofica e teologica. I versi diventano sempre più secchi, mentre quesiti sulla non esistenza di Dio si alternano all’apparizione di esseri mostruosi o fantastici. Il nulla domina la realtà, ma questa certezza viene nascosta o modificata dal linguaggio. L’unica risposta è il disincanto della consapevolezza di essere chiusi in un cerchio invalicabile, lontani da una qualunque definitiva verità. Þ Attilio Bertolucci. Altro esponente dell’antinovecentismo sebbene le sue raccolte giovanili (Sirio, 1929) non siano esenti da elementi simbolisti, impressionismo pascoliano- crepuscolare. Ma la sua voce più esatta Bertolucci la trova a partire dal 1951 con La campana indiana, quando la descrizione della vita nelle campagne supera i limiti del microevento per aspirare a una dimensione più largamente narrativa, quella del poemetto. Con Viaggio Rias su nti &App un tiU niF G diffusione. Comincia a farsi largo una narrativa che interpreta la realtà italiana attraverso personaggi relativamente semplici spesso bonari o comici, incarnazione dei vizi. Ripresi e incarnati nella commedia all’italiana cinematografica, come la saga di Don Camillo e Peppone, cominciata nel 1948 dal giornalista e polemista emiliano Giovanni Guareschi. L’aspetto della traducibilità cinematografica di un romanzo diventa sempre più rilevante. Fra i primi a tener conto di questa situazione Alberto Moravia. 3.2 Alberto Moravia Di origini ebraiche, Alberto Pincherle Moravia nacque a Roma nel 1907. A causa di una grave forma di tubercolosi, fu costretta per tutta l’adolescenza a lunghi periodi di isolamento. Nel 1929 pubblicò quello che resta forse il suo capolavoro, il romanzo Gli indifferenti: un’opera di un realismo singolare, senza storia perché quasi priva di agganci, più simile nella struttura a una tragedia. La borghesia è ormai priva di valori e i giovani si adattano, disposti ai compromessi perché indifferenti a tutto. Negli anni successivi, il giovane scrittore continua a pubblicare abbondantemente, nonostante le difficoltà crescenti a causa delle leggi razziali, senza però decidersi per un unico stile. Dopo aver sposato nel 1941 la scrittrice Elsa Morante, Moravia pubblica Agostino (1944), romanzo breve. Costituisce comunque il limite della prima stagione moraviana; negli anni successivi, lo scrittore proporrà testi sempre più legati alla storia italiana del dopoguerra, soprattutto con La romana (1947), le serie dei Racconti romani (1954-59) e La ciociara (1957). Negli anni ’60 la fama di Moravia è ormai alta e sancita dalla sempre più frequente trasposizione cinematografica. Allora lo scrittore sente il bisogno di rinnovarsi, in particolare l’analisi del vuoto esistenziale e morale della borghesia, nonché del rapporto fra denaro, sesso e società. Nasce così La noia (1960) nasconde un crescente pessimismo, oltre che una sfiducia nella possibilità di un cambiamento esclusivamente politico del sociale. Nel periodo fino al 1990 dopo opere ancora più sperimentali, Moravia tende a ripetere, con capacità di enfatizzare i mali della borghesia evidenziato senza vezzi stilistici e anzi con un linguaggio volutamente grigio, è riuscita a fornire per lungo tempo una rappresentazione non scontata della società italiana. 3.3 Elio Vittorini Siciliano, inizia a scrivere durante il ventennio fascista: opera a Firenze, prima di trasferirsi a Milano e di aderire alla lotta resistenziale. Fra il 1938 e il ’39 Vittorini pubblicò sulla rivista “Letteratura” il suo capolavoro, Conversazione in Sicilia. Si tratta di un romanzo a sfondo simbolico-allegorico, nel quale il rientro in Sicilia del protagonista Silvestro diventa l’occasione per una riflessione sia sul proprio ruolo politico sia sulla condizione dell’Italia. Vittorini senti subito la necessità di trovare nuove forme di impiego nel dopoguerra, ricordando la Resistenza e promuovendo una rivista progressista come “Il Politecnico”. Dopo un dissidio insanabile con Rias su nti &App un tiU niF G Palmiro Togliatti, Vittorini rivendicò l’autonomia degli intellettuali rispetto alla politica ufficiale e promosse iniziative in questo senso con la casa editrice Einaudi. Fu tra i più fervidi sostenitori dei giovani autori. Modelli privilegiati erano quelli statunitensi già nel 1941-42 aveva coordinato un’ampia antologia di traduzioni, Americana. Altri testi sono Le donne di Messina (1949) e l’incompiuto Le città del mondo, postumo nel 1969. 3.4 Cesare Pavese A fianco di Vittorini presso l’Einaudi si pose, sino al tragico suicidio nel 1950, Cesare Pavese. Nato nel 1908 a Santo Stefano Belbo, nelle Langhe, Pavese si formò a Torino. Il suo primo interesse riguardò la letteratura angloamericana, che iniziò a tradurre subito dopo la laurea. Nelle poesie di Lavorare stanca (1936), si colgono subito gli effetti della cultura americana: i metri lunghi e tendenzialmente narrativi. Pavese ha dovuto subire due anni di confino per sospetto antifascismo: la sua salute, minata dall’asma è peggiorata, tanto da lasciarlo in uno dei suoi stati di depressione. Il periodo bellico lo vede appartato sulle colline del Monferrato. Nel dopoguerra invece Pavese aderisce al partito comunista e rafforza la sua collaborazione con l’Einaudi: i suoi interessi soprattutto mitologici e antropologici. Il mito in quanto fondo primitivo e inconscio da riscoprire dietro la razionalità moderna, ritorna costantemente nelle sue opere, si collocano più in una dimensione metastorica che non storica in senso stretto. Tra il 1945 e il 1950 Pavese svolge un’intensa attività come scrittore e saggista, ma il suo primo romanzo importante Paesi tuoi, era già uscito nel 1941: l’ambientazione di tipo realista-verista, influenzata da modelli americani, lascia già qui spazio ad aspetti simbolici e antropologici. Nell’immediato dopoguerra numerosi racconti nel volume Feria d’agosto (1946) e propone un esame della psicologia borghese nella trilogia che esce sotto il titolo La bella estate (1949). La riflessione filosofica ed etica trova spazio i Dialoghi con Leucò. Le opere più fortunate furono però quelle riguardanti con la storia contemporanea: Il compagno (1947); Il carcere (1949); La casa in collina (1949); La luna e i falò (1950). L’impossibilità di trovare un luogo nel quale non ci sia macchia di violenza, e nel quale sia possibile radicarsi definitivamente. Su questa drammatica scoperta si chiude il percorso pavesiano, che si arricchisce però di numerosi testi postumi, tra cui la raccolta di versi Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1951) e il diario Il mestiere di vivere (1952). 3.5 Tra neorealismo e memorialismo Nonostante possiamo parlare di neorealismo, alla prova dei fatti sono pochi gli scrittori integralmente inseribili entro strette categorie. Fra quelli che più di altri hanno rappresentato il filone vi sono Vasco Pratolini e Carlo Cassola. Rias su nti &App un tiU niF G Þ Vasco Pratolini. Parte dalla sua esperienza diretta delle condizioni del popolo e pubblica dapprima romanzi strettamente legati alla vita dei quartieri poveri di Firenze come Il quartiere 1944 e Cronaca familiare 1947. Schematizzando poi le opposizioni fra eroi positivi, vicini agli ideali comunisti, e borghesi negativi. Già il primo romanzo Metallo (1955) fu al centro di un’aspra polemica tra sostenitori e detrattori. Pratolini tende all’allegoria, proponendo strutture narrative più sperimentali. Þ Carlo Cassola. Nasce a Roma ma vive in Toscana, e narrò con fluidità vicende scottanti come le violenze della guerra e del dopoguerra nel suo romanzo più celebre La ragazza di Bube (1960). Þ Giorgio Bassani. E’ ancora più vicino a un’idea di letteratura come ricordo. La sua condizione da ebreo duramente colpito dal regime fascista trapela in molte opere a cominciare dalle Cinque storie ferraresi (1056) e dal fortunatissimo Il giardino dei Finzi- Contini (1962). Þ Natalia Ginzburg Alla condizione ebraica fa riferimento pure Natalia Ginzburg, inserita nell’ambiente einaudiano col suo testo più famoso Lessico famigliare (1963), un quadro delicato soprattutto del periodo del regime fascista. Þ Carlo Levi. Con Carlo Levi si entra decisamente nel campo della memorialistica con Cristo si è fermato a Eboli (1945), l’opera più fortunata dell’autore torinese, confinato dal governo fascista in Lucania. È un resoconto scarno e incisivo di quell’esperienza, volto a dimostrare la perdurante arretratezza di tutto il Sud Italia. Levi si è impegnato anche politicamente per risolvere i problemi meridionali con opere come L’orologio (1950). Molti altri testi memorialistici andrebbero ricordati in relazione alle esperienze belliche come Il sergente nella neve (1953) di Mario Rigoni Stern, una rievocazione dell’Armata italiana in Russia. Numerosissimi altri sono i diari resoconti come Banditi (1946) dello studioso e filosofo Pietro Chiodi incentrato sul periodo della Resistenza. 3.6 Primo Levi La testimonianza e il ricordo: se questo è un uomo e la tregua Il memoriale più famoso rimane però Se questo è un uomo di Primo Levi. Formatosi come chimico, il torinese di origini ebraiche Primo Levi venne catturato durante la guerra di Resistenza e deportato ad Auschwitz, dove rimase sino al gennaio del 1945. L’esperienza del lager risulta cruciale anzi Rias su nti &App un tiU niF G Lo scrittore si concentra su una storia d’amore-passione collocato sullo sfondo tragico della guerra. Il risultato è Una questione privata, pubblicato poco dopo la precoce morte dell’autore nel 1963. L’amore di Milton per la bella Fulvia diventa ossessivo e folle quando il giovane viene a sapere di un probabile legato tra la ragazza e il suo amico. Riesce a rappresentare la guerra nella sua brutale drammaticità. La morte non è legata soltanto alla lotta resistenziale. Lo stereotipo del romanzo di amore e guerra trova in questo testo di Fenoglio un’interpretazione di altissimo valore: anche lo stile, benché in genere lontano dalle punte del singolare espressionismo del Partigiano è teso ed efficace, specie nello straordinario finale. Fenoglio scrisse negli ultimi anni numerosi abbozzi di romanzi, altri racconti, poi raccolti nel volume postumo Un giorno di fuoco e ora (2007) ripubblicati. Molto riuscite sono le traduzioni e i testi per il teatro. 3.8 Elsa Morante La produzione sino a Menzogna e sortilegio. L’autrice vive una difficile infanzia che condizionò molto le sue propensioni per esempio quella verso la ricostruzione fiabesca dei rapporti familiari, non a caso parecchie sue opere giovanili sono racconti per bambini o fantastici. Dal 1943 si concentrò sul primo grande romanzo Menzogna e sortilegio che uscì nel 1948. La narratrice avverte che spesso i fatti non sono come appaiono, che gli inganni sono necessari alla vita stessa dei vari personaggi, visione realistica e deformazioni favolose od oniriche, non senza risonanze psicanalitiche, freudiane e junghiane. La forza del racconto sta nel suo sviluppo ossessivo: lo scontro fra le diverse personalità con le loro passioni e le loro finzioni risente della grande narrativa melodrammatica e romanzesca dell’ottocento. L’isola di Arturo: dopo la prima ampia prova narrativa, la Morante si dedica alla poesia, seguendo una linea antinovecentesca e scrive vari racconti. Sta già progettando e scrivendo il suo nuovo romanzo L’isola di Arturo, che esce nel 1957. L’ambientazione è a Procida, comunque trasfigurata, nel periodo a ridosso della seconda guerra mondiale. Il romanzo parla di Arturo racconta le sue storie infantili: sdoppiamento dei piani, benché meno nitido rispetto al romanzo precedente è anche in questo caso per leggere le vicende da varie angolature. Arturo vive con la cagnetta Immacolatella, organo di madre dalla nascita e poco seguito dal padre. Si crea un mondo mitico, egli stesso si considera il piccolo re. In questo spazio magico fiabesco irrompe la nuova sposa del padre, la quale dopo un difficile avvio diventa una sorta di madre e poi amante. Assai più semplice e stilisticamente limpido del romanzo precedente L’isola di Arturo acquista forza attraverso la capacità di costruire un racconto di iniziazione formazione e quasi d’avventura, che però nasconde Rias su nti &App un tiU niF G componenti psicanalitiche. Morantiana è l’avventura iniziale in forma di poesia, dalla quale si ricava che fuori del limbo non v’è eliso, ovvero che solo nell’indifferenziazione infantile (il limbo) si trova una vera felicità (l’esilio). La Storia e altre opere: abbastanza lunga fu la gestazione anche del terzo romanzo La Storia uscita nel 1974 con grandissimo budget pubblicitario. Dagli anni ’60, la scrittrice si era sempre più interessata dei problemi socioeconomici, non tanto per un impegno politico esplicito, quanto per una riflessione sui destini dell’intera umanità. Con La Storia la Morante affronta le storture che travolgono i singoli, e in particolare i deboli: l’ambientazione è precisa, la Roma del periodo 1941- 47, ma la vicenda può essere considerata come un esempio fra i tanti che potevano dimostrare gli assunti. Il romanzo spesso criticato per i suoi eccessi patetici, viene oggi letto come un apologo una parabola sulla crudeltà e l’indifferenza della Storia. Ultimo grande romanzo morantiano è Aracoeli (1982), incentrato sulla ricerca della madre da parte dell’ormai anziano Emanuele. Si distingue per uno stile sostenuto, ricco di ispanismi e di termini gergali. Del resto la capacità di diversificazione stilistica fra le varie opere è stata considerata dagli interpreti della Morante come una sua fondamentale peculiarità. 3.9 Altri filoni. La narrativa meridionale Tra Giornalismo e satira. Segnalati i numerosi intrecci fra letteratura e giornalismo ben rappresentati dal piemontese Mario Soldati, autore di un fortunato reportage America primo amore nel 1935. Apprezzato anche il filone satirico-umoristico due scrittori Cesare Zavattini e Ennio Flaiano, collaboratore di Fellini. La narrativa meridionale. Vitalino Brancati. Per quanto riguarda la narrativa meridionale vive una stagione di validi risultati specie a Napoli e in Sicilia. Il siracusano Vitaliano Brancati dapprima vitalista e vicino al fascismo poi scrittore di idee conservatrici, satirico e fuori dagli schemi. In uno dei suoi romanzi più noti Don Giovanni in Sicilia (1941), viene irriso il comportamento dei mariti siciliani, mentre il mito del maschio trova una satira in Il bell’Antonio (1949). Il testo brancatiano più riuscito è Paolo il caldo (1954) dove il vitalismo erotico non nasconde chiare pulsioni di morte. Rias su nti &App un tiU niF G Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Un caso a sé è quello del Gattopardo, romanzo storico del principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa, uscito postumo nel 1958 dopo vari rifiuti degli editori. Il racconto vede come protagonista il principe Fabrizio di Salina, che attraversa il periodo traumatico della spedizione garibaldina e della fine del Regno delle Due Sicilie. Ai nuovi governanti del regno d’Italia che lo vorrebbero in Senato, don Fabrizio oppone le sue considerazioni sull’impossibilità di cambiare la storia siciliana, fatta di millenni di dominazioni straniere; in generale, ogni modifica politico-sociale, non potrebbe mutare la sostanza delle cose tutto cambi perché nulla cambi è la filosofia implicita dell’opera. Il romanzo ottenne un grande successo popolare, grazie alla trasposizione filmica di Luchino Visconti, specie per la sua sensibilità psicologica, malinconica e segnata dal senso della fine. 3.10 Il teatro e il cinema L’attività teatrale Nel teatro del dopoguerra prende consistenza un filone incentrato sull’analisi psicologica e interiore, con sfumature in prevalenza esistenzialiste o inquietamente religiose. Il marchigiano Ugo Betti con il suo Corruzione al palazzo di giustizia (1949), e il romagnolo Diego Fabbri in Processo a Gesù (1955) riesamina le ragioni della fede cattolica. Innovativi risultati vengono anche dalle nuove messinscene di drammi classici come Giorgio Strehler. L’attività degli scrittori nel cinema. L’importanza del cinema nel secondo dopoguerra si amplia enormemente: a Roma Cinecittà diventa un polo di attrazione. Dopo i capolavori neorealistici di Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, Luchino Visconti, i film più validi degli anni ’50-’60 vennero da registi come Michelangelo Antonioni e Federico Fellini, coadiuvati da Ennio Flaiano, Tonino Guerra, Pier Paolo Pasolini. A Fellini si deve il film simbolo di questi anni La dolce vita (1960), che riesce a far comprendere l’evoluzione della società italiana dallo stato di distruzione postbellica agli inizi del boom economico. Su un piano non sempre elevato artisticamente si collocano i film della cosiddetta commedia all’italiana, molto meno drammatici e tuttavia capaci di proporre figure tipo come Alberto Sorti Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni ecc. Molti dei film nascono da opere di successo come Vasco Pratolini e Alberto Moravia. Importanti le serie di film come quelli di Totò. 4. La critica e il dibattito culturale Le riviste militanti Anche per la critica letteraria il periodo del secondo dopoguerra fu carico di nuovi stimoli. Cessato il controllo del regime furono in molti a proporre un rinnovamento metodologico attraverso nuove Rias su nti &App un tiU niF G lotte contadine in Friuli. Una svolta si registra con il trasferimento di Pasolini a Roma, ambiente dalle profonde contraddizioni. Su di loro si concentra quando scrive Ragazzi di vita (1955), un romanzo in otto capitoli che propongono episodi cronologicamente separati, tenuti assieme soprattutto dalla presenza di alcuni personaggi. Gran parte della forza della narrazione sta nei dialoghi secchi, più volte le descrizioni sono segnate da un forte lirismo. Pasolini vuole applicare le sue idee sul plurilinguismo, ma la stilizzazione appare monocorde. L’ideale dell’oggettività è solo esteriore: Ragazzi di vita risulta in fondo un romanzo picaresco, spesso drammatico e violenti, in cui la posizione dell’autore trapela volontariamente o meno ed è in genere populista perché i giovani pasoliniani possono violare la legge ma restano migliori d’animo rispetto ai borghesi capitalisti. Il primo romanzo pasoliniano suscita scandalo e subì un processo per oscenità. Nel 1959 un secondo romanzo romano Una vita violenta: l’impianto appare sin troppo stereotipato e ideologizzato. Pasolini stesso si rende conto che la scrittura non è sufficiente a esprimere tutte le sue potenzialità narrative e sceglie di passare alla regia cinematografica. In un autore che spesso tratta in diverse forme artistiche gli stessi temi è necessario segnalare la stretta contiguità fra opere in apparenza lontane; il primo film di Pasolini Accattone (1961), deriva da un racconto ancora ispirato al mondo delle borgate, ma riesce a stilizzare assai meglio le idee grazie a un uso poetico delle inquadrature. Altri film come Porcile (1969), nascono insieme a opere teatrali dello stesso Pasolini, con ampi riferimenti ai miti e alle tragedie greche, rilette in chiave psicanalitica, come Medea, con Maria Callas, o il documentario Appunti per un’Orestiade africana. Ma gli esiti forse più alti arrivano con l’estrema produzione pasoliniana: nel cinema con Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975), ambientato nel periodo finale del fascismo ma basato su un testo del marchese de Sade, terribile allegoria sui rapporti fra potere, erotismo e violenza. Sino alla tragica morte Pasolini lavorò al suo capolavoro letterario, Petrolio, pubblicato postumo e incompiuto solo nel 1992. Si presenta volutamente come edizione critica di un testo inedito. Vengono trattati senza censurare i grandi temi affrontati dal Pasolini regista e intellettuale saggista controcorrente: la natura del potere politico in Italia; l’invadenza del capitalismo, distruttore delle radici arcaiche, nonché della bontà del popolo; le repressioni degli impulsi erotici; le pulsioni di morte ecc. tra elementi psicoanalitici riferimenti di reinterpretazioni. Si esprimono nel grado più intenso anche alcune propensioni di fondo di Pasolini: la ricerca del sacro in persone, situazioni e atti totalmente estranei, ovvero nella realtà più autentica e nascosta agli occhi dei borghesi come espressione corporea e vitale; il rifiuto dei compromessi per demistificare le storture tipiche del capitalismo. Rias su nti &App un tiU niF G 5.4 Pasolini Saggista Pasolini intervenne in molti modi nel dibattito politico e culturale. Promotore di riviste come Officina e Nuovi Argomenti, polemista su periodici come L’Espresso e Tempo e invitato a scrivere sul Corriere. Attento all’evoluzione linguistica e difensore dei dialetti sensibile al mutamento antropologico in atto con l’industrializzazione e poi con l’influsso dei mass media. Si può forse riconoscere una profonda vena pedagogica. Diverse sono le fasi di questa produzione pasoliniana. La prima rivolta soprattutto all’analisi degli aspetti letterari e linguistici, si condensa nella raccolta Passione e ideologia (1960). Quella successiva, in cui l’analisi socio-stilistica e ideologica prevale nettamente, si registra soprattutto a partire dal 1968, e si concretizza in altre raccolte, Scritti corsari (1975), Lettere luterane, Descrizioni di descrizioni. In questi testi prevale una mescolanza di toni e forme espressive: si è parlato di poemetti ideologici in prosa, anche a distanza di vari decenni seguitano a esercitare una funzione di modello. 6. Italo Calvino 6.1 La formazione culturale Più giovane di Vittorini e Pavese, ma ben presto, sotto la loro guida Italo Calvino nasce a Cuba nel 1923 da una famiglia di scienziati di origini ligure, la sua formazione è laica e tecnica, e la sua militanza nella sinistra è molto precoce: combatte durante la resistenza in una brigata partigiana comunista. Da quell’esperienza provengono i primi testi pubblicati da Calvino, numerosi racconti e un romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno. A partire dal 1946 inizia anche la sua attività di giornalista e saggista, nonché di interprete dei rapidi mutamenti nella società. Calvino alterna testi a sfondo fiabesco ma con chiari riferimenti allegorici alla realtà coeva, ad altri più direttamente impegnati in ambito socio politico. Dopo la crisi del rapporto con il Partito comunista, e dopo una fase di ripensamento della sua poetica, culminata nel 1963-64, Calvino sceglie una strada nuova accogliendo tendenze di matrice strutturalista con modelli come Queneau o Jorge Luis Borges. Questa fase prosegue sino alla pubblicazione del metaromanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979). Nel 1985 mentre sta preparando una serie di sei lezioni da tenere all’Università di Harvard, Calvino muore all’improvviso per un’emorragia cerebrale. 6.2 La produzione Narrativa sino ai primi anni Sessanta Il primo romanzo di Calvino Il sentiero dei nidi di ragno (1947) mostra già alcuni tratti peculiari di questo scrittore: infatti la materia storica viene volutamente filtrata da una struttura di tipo fiabesco, effetto di straniamento quasi che la guerra sia una sorta di terribile gioco. Pubblicazione di nuovi autori, spesso individuati con grande acutezza è il caso di Fenoglio. La sua fisionomia si delinea pienamente nel 1952, quando esce Il visconte dimezzato, prima parte della trilogia I nostri antenati Rias su nti &App un tiU niF G (1960), composta anche da Il barone rampante (1957) e Il cavaliere inesistente (1959). Prevalgono modelli lontani dal realismo otto-novecentesco: principale punto di riferimento è il conte philosophique degli illuminati francesi come Voltaire e Diderot. Le vicende singolari sino al limite dell’ironia e della parodia, valgono soprattutto per il loro significato allegorico, ma di un’allegoria leggera e riguardano tanto la natura umana quanto il senso della storia. Calvino affronta i problemi dell’intellettuale e della scrittura. In questi stessi anni, Calvino decide di abbandonare l’impegno diretto nel Partito comunista, deluso dalla politica repressiva dell’Unione Sovietica, ma non riusciva a interpretare il dibattito politico-culturale, pubblicando alcuni dei suoi saggi migliori. Alla fine degli anni ’50 lo scrittore ligure oscilla fra tentativi di avvicinamento alla cronaca, magari con scritti satirico-polemici, a base surreale, e l’interesse per il fantastico, un’ampia raccolta di Fiabe italiane da lui curata (1956). L’opera per più di un aspetto conclusiva di questa fase può essere considerata La giornata di uno scrutatore (1963), esperienza autobiografica: la visione diretta dei portatori di handicap al cottolengo di Torino durante l’attività di scrutatore presso il seggio elettorale lì aperto. Calvino, affascinato e insieme preoccupato dai lati oscuri della biologia e della psiche, un forte stimolo all’analisi di ciò che è bene nell’azione politica in mancanza di una fede religiosa. Emblematica la chiusa del breve romanzo. 6.3 La produzione Narrativa semiotico-postmoderna Dal 1964 Calvino si dedica sempre più alla riflessione sulle modalità scientifiche e letterarie di interpretazione della realtà. Il suo sguardo si rivolge a Parigi, dove si discute delle nuove posizioni strutturaliste e semiologiche sul linguaggio e in generale su tutti i segni naturali e culturali. Avvicinandosi a scrittori filosofi come Raymond Queneau e al suo Oulipo, Calvino si orienta verso la metaletteratura, ovvero la riflessione sulle modalità di scrittura e di interpretazione del mondo: questa propensione diventa progressivamente più forte nei testi degli anni ’60-’70 ma va detto che continua per Calvino a veicolare un tentativo di rappresentare il reale, ormai sempre più complesso e stratificato. Solo una delle ultime opere calviniane, Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979) sembra corrispondere in pieno alle caratteristiche del riuso parodico della tradizione letteraria precedente. Il primo testo che si inserisce nella nuova poetica è la raccolta Le cosmicomiche (1965), oltre a uno stile complicato dall’uso di un lessico para-scientifico, si colgono riferimenti a scrittori fantastico paradossali, come l’argentino Jorge Luis Borges. Calvino usa esplicitamente opere popolari, come appunto i fumetti o le comiche. Nella raccolta successiva Ti con zero (1967) continuano le riflessioni cosmi-comiche, compaiono racconti basati su particolari procedimenti che porteranno poi a scritture combinatorie, legate alla Rias su nti &App un tiU niF G alternativo di Gruppo 63), stanno premesse culturali simili: l’adesione al marxismo, magari diversamente interpretato; l’attenzione alla psicanalisi, nonché all’antropologia e all’etnologia, attenzione al linguaggio. Questo ampio ventaglio di teorie, che proponevano nuovi filoni per la ricerca materialistica sui miti e sulla poesia, fu impiegato in modi e con accenti distinti dai vari esponenti. Alcuni puntarono più a una generica sperimentazione culturologica; altri in particolare come Edoardo Sanguineti, difesero a oltranza l’impegno politico e ideologico, con un intento rivoluzionario. Dopo un periodo di forte ostilità, pure al di fuori del Gruppo 63 sono stati accolti alcuni dei presupposti neoavanguardistici, in particolare il rapporto consapevole e mai neutro con i vari tipi di linguaggio, e l’idea più sfaccettata del realismo o dell’antirealismo. Fra i poeti del gruppo Alfredo Giuliani, che privilegia componenti surrealiste, affiancate da altre neocrepuscolari; il milanese Nanni Balestrini che adotta una tecnica di montaggio-collage di citazioni; Antonio Porta propone un onirismo violento e durissimo, specie nella raccolta I rapporti. Edoardo Sanguineti Il più acuto teorico della neoavanguardia è stato il genovese Edoardo Sanguineti, interprete originale di classici come Dante e in genere di tutta la letteratura italiana del ‘900. I presupposti marxisti e psicanalitici si colgono già nella sua prima e forse maggiore opera poetica, Laborintus (1956): qui la storia di una depressione viene tradotta in lunghe lasse composte di versi informi, un recitativo drammatico di tipo atonale, mentre in generale si parla anche di una tecnica di assemblaggio, privi persino della ritmicità, mentre il testo appare come una concrezione di lingue diverse e di citazioni e allusioni. I modelli tradizionali vengono fusi in un unico composto, che da un lato dovrebbe ricondurre ai primordi bio-antropologici, ovvero alla parte più fonda dello scavo psicanalitico; dall’altro dovrebbe far emergere il kaos contro l’apparente kosmos contemporaneo, nel quale il linguaggio capitalistico azzera gli altri ma diventa vuoto e privo di senso, per cui solo un completo stravolgimento linguistico, può ritornare a far vedere la realtà autentica. Ne deriva soprattutto un annullamento del sublime, della soggettività lirica si può parlare di allegoria, sia pure nelle forme stravolte indicate già da Walter Benjamin. La società contemporanea è una putrida palude, anche la poesia non può che ridursi a magma: e qui sta il suo principale realismo. Nelle raccolte successive Sanguineti ha continuato sulla linea della sperimentazione, accentuando però i toni più ironici, satirici, attento alle possibili intersezioni con nuove forme artistiche. Sanguineti ha pure scritto alcune opere narrative (fra cui Capriccio italiano 1963, Il Gioco dell’Oca 1967, Smorfie 1986) nonché testi per musica ha proposto numerose traduzioni e ha collaborato alla realizzazione di messinscene teatrali, come quella dell’Orlando furioso (1969) firmata con il regista Luca Rias su nti &App un tiU niF G Ronconi. 2.2 Altri sperimentalismi. Amelia Rosselli Vicinissimo al Gruppo 63, ma autonomo nelle scelte stilistiche, risulta il romagnolo Elio Pagliarani. Il suo poema narrativo La ragazza Carla (1962), che mette in versi la storia di una modesta impiegata, risulta affine alla sperimentazione della rivista Officina. La poetica di Pagliarani, fortemente improntata dall’ideologia marxista sino agli anni ’70, poi aperta a varie suggestioni filosofiche e scientifiche non sembra ridursi agli ideali specifici della neoavanguardia e comunque non punta alla dissoluzione linguistica. Il suo romanzo in versi La ballata di Rudi (1955) fonde stili diversi senza perdere mai una forte quanto polemica comunicabilità. Oltre al milanese Emilio Villa, traduttore, biblista e poeta eclettico, più vicino alla pop art, ai margini del Gruppo 63 si colloca Amelia Rosselli che usa le sue varie lingue familiari se non materne (inglese, italiano, francese) come strumento di un’espressione poetica che parte da un ambito sicuramente prerazionale. È una profonda nevrosi dove il linguaggio viene stravolto non per motivi ideologici, bensì per veicolare, attraverso uno stile oscuro ma non astrattamente surrealista, una visione scomposta e disgregata di eventi e persone. Si riscontrano una ritmicità ripetitiva e una metaforicità densa ma che fornisce numerosi segnali per una ricostruzione del senso. Nella celebre Tutto il mondo è vedovo, che chiude le Variazioni, o in altri testi. Emergono verità psicologiche personalissime, che però gettano una luce forte sui tanti ambiti ancora insondati dell’inconscio e del preconscio. Da ricordare il poemetto La libellula, le poesie in inglese e in italiano, nonché numerosi interventi critici raccolti in Una scrittura plurale. 2.3 Vittorio Sereni Nel corso degli anni ’60 alle nuove tendenze sperimentali si accostarono anche autori che avevano esordito con raccolte di tipo ermetico-tardosimbolista. A parte il caso già citato di Mario Luci, va ricordato Vittorio Sereni. Nato a Luino, sul Lago Maggiore, Sereni si forma a Milano e cominciando ben presto a comporre testi ‘impronta ermetica, pubblicati già nel 1941 in una raccolta, Frontiera, già traspare un interesse per gli oggetti e le situazioni concrete, in senso simbolico. Partito come sottufficiale durante la seconda guerra mondiale, Sereni viene fatto prigioniero dell’Africa settentrionale. Da questa esperienza scaturisce la sua seconda raccolta, Diario d’Algeria (1947), dove gli elementi autobiografici si fondano con il tentativo di interpretare in poesia l’intero dramma del conflitto: stile asciutto, classicista. Sereni in una posizione di privilegio nella cosiddetta Linea lombarda, caratterizzata dalla scelta di temi realistici, trattati con uno stile sobrio e una forte eticità che lo porta a riconsiderare i capisaldi della lirica moderna, sino Rias su nti &App un tiU niF G agli esiti surrealisti. Sereni era in grado di entrare in dialogo con personalità molto diverse, tuttavia mantenendo una fisionomia autonoma, aiutato anche dalla sua notevole capacità critica, dimostrata da numerosi saggi e interventi raccolti in La tentazione della prosa (1988). L’esito più altro viene raggiunto con Gli strumenti umani (1965). Il poeta, entrato nell’establishment culturale come direttore editoriale della Mondadori, segue da vicino i dibattiti sulla sperimentazione in poesia. Cerca di coniugare aspetti autobiografici e lettura del presente, attraverso un dettato appena sopra la prosa, molto variato da un punto di vista tematico e calibratissimo linguisticamente. Protagonisti sono i minimi atti, i poveri strumenti umani […], ovvero vicende e oggetti della quotidianità che si caricano di significati secondo un procedimento già di Eliot e di Montale, mentre la tonalità di fondo è riflessiva e malinconica. Sereni considera essenziale il suo personale impegno etico e civile. Negli anni successivi Sereni prosegue nella sua ricerca di una poesia che tende alla prosa senza perdere la propria fisionomia, e ottiene un ultimo importante esito con Stella variabile (1981), dove aumentano i dialoghi. La presenza della morte è ampia e crescono gli elementi di riflessione etica e filosofica. 2.4 Andrea Zanzotto Da un’esperienza ancora fortemente ermetica deriva la prima produzione di Andrea Zanzotto. Legato alla sua nativa Pieve di Soligo (Treviso), Zanzotto si forma a Padova, dove legge poeti romantici tedeschi, simbolisti francesi ed ermetici italiani. Dopo vari periodi di depressione, nel 1951 fa uscire la sua prima raccolta poetica, Dietro il paesaggio seguita nel ’54 da Elegia e altri versi e nel ’57 da Vocativo. Si sente l’aspirazione a un linguaggio puro e assoluto che mira a trovare dietro la realtà significati profondi. Si ottiene così una sorta di petrarchismo extratemporale. L’ipermanierismo nasconde l’angoscia dell’io nei confronti della storia e la necessità di una sorta di schermo metaforico anti-contaminate. All’interno di un linguaggio prezioso, con la successiva IX Ecloghe (1962) aumenta il contrasto tra l’ideale di un mondo a parte quello bucolico e la presenza di elementi esterni ormai non più esorcizzabili: dislivelli linguistici e tonali. La Beltà (1968) è il capolavoro di Zanzotto. Abbandonate le mediazioni e i manierismi protettivi delle raccolte precedenti, il poeta decide di immergersi nel linguaggio inteso come entità generatrice di infiniti sensi, ma di per sé priva di significato. Anzi della dicotomia instaurata dal linguista Ferdinand de Saussure fra significante e significato nelle parole, è il primo aspetto a interessare Zanzotto, ovvero quello dei suoni, liberamente connessi a creare nuove interazioni e nuovi sensi. L’influsso della psicanalisi Lacan che appunto rivendicava il valore fondamentale del significante linguistico per individuare i meccanismi di funzionamento dell’inconscio. Zanzotto riprende anche la lezione della poesia moderna, ricerca analogica meno Rias su nti &App un tiU niF G Alberto Arbasino e fratelli d’Italia Interessato allo svecchiamento della narrativa è Alberto Arbasino rappresenta la via forse più interessante del romanzo sperimentale in Italia, grazie soprattutto al suo Fratelli d’Italia. Un amplissimo racconto incentrato su alcuni giovani artisti che seguono le più importanti attività culturali in Italia e all’estero, venendo a contatto con realtà molto differenti. Nella sua prima versione (1963) questo antiromanzo si distingue per l’assenza di una trama ben fatta, per l’inserimento di brani saggistici e di riflessioni sul destino dell’arte e per un linguaggio che riproduceva il cicaleccio pseudo intellettuale italiano. Nelle versioni successive il campionario si amplia e le modifiche stilistiche sono molte: resta però l’impianto del pastiche, mescolanza di toni, stili, episodi. Arbasino è pure un brillante giornalista-saggista. Il suo linguaggio è frutto di molteplici mescolanze, ma risulta privo delle punte tragiche di quello gaddiano. Anche con i suoi testi successivi costituirà un modello per i giovani narratori degli anni ’90. 3.3 Altri scrittori sperimentali. Giorgio Manganelli In apparenza affine agli ideali del Gruppo 63, ma più attento a un percorso ipermanieristico non ideologico, è il milanese Giorgio Manganelli. Il suo pseudo trattato Hilarotragoedia (1964) e il saggio La letteratura come menzogna (1967), l’autore mira a sondare gli aspetti fittizi e fantastici della scrittura, costruendo macchine verbali che fanno pensare da un lato all’erudizione paradossale dell’argentino Borges, dall’altro al barocco id Gadda. I temi quelli legati all’indagine sulla morte e sugli aspetti reconditi della natura umana con gusto grottesco e uno stile sempre raffinato. Vari inediti fra cui anche poesie, testi teatrali e saggi continuano a uscire postumi. Numerosi altri sono gli scrittori che rifiutano il tipo di intreccio tardo realistico e che elaborano il linguaggio in senso comico o lo riducono a mera funzione anti comunicativa. Fra i maggiori Emilio Tadini, con testi picareschi, influenzati dal modello del francese Louis Ferdinand Celine e un’implicita polemica sociale. Più di recente Gianni Celati ha mirato a una scrittura comico-grottesca proponendo personaggi surreali contro il conformismo e il perbenismo (Costumi degli italiani 2008). Il siciliano Stefano D’Arrigo autore quasi di un’unica, amplissima opera Horcynus Orca (1975) un testo epico che prende a modello l’Odissea e l’Ulisse di Joyce. Tra elementi realistici e costruzioni mitiche e simboliche, uno stile marcatamente espressionista sull’accostamento di parole derivate da lingue diverse. La prima versione dell’opera I faṄ della fera è stata edita nel 2000. Da ricordare l’unico suo romanzo Cima delle nobildonne (1985). Rias su nti &App un tiU niF G 3.4 Varie forme di Espressionismo narrativo Un gruppo consistente di narratori propone elaborazioni stilistiche che si possono definire di tipo espressionistico. Esse non mirano come il Gruppo 63, a un completo stravolgimento delle strutture linguistiche e narrative bensì a una più o meno forte mescolanza di linguaggi per ottenere in primo luogo un distacco dalle forme più standardizzate dell’italiano. La valenza ideologica è meno vistosa. Il modello di Gadda è fondamentale. Si può citare Antonio Pizzuto che privilegia più gli aspetti di costruzione straniata del racconto e della narrazione che non quelli propriamente linguistici: il suo romanzo più famoso resta Signorina Rosina (1956). Più aggressivo nell’uso dei gerghi e delle forme idiomatiche è il grossetano Luciano Biancardi, polemico contro la società italiana e contro le varie burocrazie nel suo racconto autobiografico La vita agra (1962). Più moderato è Lucio Mastronardi che dedica una trilogia a personaggi di Vigevano. Più attenta e motivata l’attenzione linguistica del vicentino Luigi Meneghello con Libera nos a Malo (1963). La rievocazione dell’infanzia e dell’adolescenza di forme dialettali ormai quasi sconosciute e minacciate come la civiltà delle campagne. Meneghello non si limita al rimpianto del passato e gioca ironicamente sulla nostalgia e sul distacco. Una ricostruzione antieroica della Resistenza è proposta in I piccoli maestri (1964); le ampie raccolte di appunti e note Le carte (1999-2012). Su un versante molto più manieristico si colloca il siciliano Vincenzo Consolo che adotta un linguaggio lussureggiante e uno stile elevato per argomenti storici, ma in realtà con un sottofondo illuminista e satirico come mostra Il sorriso dell’ignoto marinaio (1976), ambientato negli anni del Risorgimento e della fine del Regno delle Due Sicilie. Sulle numerose opere successive, in gran parte inedite a partire dal 1999, si veda da ultimo la raccolta di riflessioni e autocommenti La mia isola è Las Vegas (2012). L’autore più tipicamente espressionista è il milanese Giovanni Testori, dopo una serie di romanzi ambientati nelle periferie milanesi e realistici come Il ponte della Ghisolfa 1958, arriva a una scrittura barocca e visionaria, che scandagli soprattutto i laceranti travagli interiori: l’adesione al cattolicesimo non porta a una moderazione di questo accesso ma soprattutto nel teatro. 3.5 Leonardo Sciascia Parte invece da una formazione e da un ideale narrativo illuminista il siciliano Leonardo Sciascia che nei suoi romanzi rilegge la storia passata e recente con impegno polemico e forza satirica. Dopo alcune opere saggistiche, Sciascia pubblica il giallo Il giorno della civetta (1961) il protagonista è il capitano Bellodi impegnato a contrastare la mafia a viso aperto e senza compromessi. I suoi sforzi lo portano a capire le ramificazioni e implicazioni del fenomeno mafioso in Sicilia, sono resi vani dalle trame politiche: ma ancora alla fine del romanzo viene ribadita la volontà di combattere. Nelle opere successive Sciascia esamina le ascendenze storiche e gli addentellati del sistema dei rapporti sociali siciliani, ma allarga poi il suo sguardo all’intera politica italiana, sino a tentare spiegazioni Rias su nti &App un tiU niF G di tipo psicanalitico: il risultato più inquietante è costituito da Todo modo (1974), altro giallo. Nella sua ultima fase Sciascia privilegia la ricostruzione di precisi eventi politici, senza dimenticare la sua matrice illuminista, ben riconoscibile in Candido (1977), riscrittura del Candide di Voltaire. Nell’insieme l’influsso dell’opera di Sciascia significativa fu consistente soprattutto negli anni ‘ 70. 3.6 Paolo Volponi Dall’esperienza diretta della realtà industriale prende le mosse Paolo Volponi, all’analisi tagliente della contemporaneità. Nato a Urbino nel 1924 Volponi ha lavorato sin dal 1950 all’Olivetti di Ivrea, dove ha promosso iniziative culturali importanti e innovative. Il suo primo romanzo Memoriale (1962), mette a nudo i meccanismi dell’alienazione nelle fabbriche, attraverso la storia dell’operaio Albino Saluggia, che da realistica diventa progressivamente assurda e paranoica. È il sistema che produce tali conseguenze: e tutta l’opera narrativa di questo autore si può leggere come un tentativo di riformare le storture dei sistemi sociali imposti dal capitalismo. Nel successivo romanzo La macchina del mondo (1956) viene focalizzata l’utopia tecnologica di un individuo isolato, che alla fine però decide di uccidersi con la dinamite. Nell’ampio Corporale (1974), uno degli ultimi romanzi pienamente sperimentali, sembrerebbe invece la dimens one corporea a poter rompere gli schemi. Negli anni successivi Volponi punta verso l’allegoria e il racconto satirico, impiegando anche storie di animali per rappresentare la situazione politica. Esito ultimo Le mosche del capitale (1989), nel quale convivono elementi realistici e allegorici, utopie dell'autobiografia Bruto Saraccini e disincanti venuti dai vari capitani d’industria: lo stile perde le punte più aspre di un espressionismo molto intellettualistico e diventa più acido e addirittura palesemente parodico. A parte nell’ultima produzione si collocano Il lanciatore di giavellotto (1981) e La strada per Roma (1991). Volponi muore nel 1994, sono da ricordare pure le raccolte di saggi e poesie. 3.7 Goffredo Parise e altri Outsider In contemporanea con gli autori sin qui segnalati ne furono attivi molti altri ma difficilmente collocabili perché non riconducibili a specifiche correnti o a stili marcati. Si usa per questi autori la categoria di outsider. Si ricorda Goffredo Parise noto già negli anni ’50 per i romanzi e per i reportages da paesi allora esotici in veste di inviato del Corriere. Dopo altri romanzi di successo come Il padrone (1965), Parise raggiunge i suoi risultati più alti con le due serie di Sillabari (1972 e 1982), composte di racconti brevi dedicati a singole voci. Si tratta di una via particolare e appartata nella narrativa italiana, giocata sul piano della grazia, delle allusioni, da un dettato apparentemente nitido e semplice: testi a forte valenza sapienziale, quasi ad aforismi trasportati sul piano del racconto. I protagonisti intuiscono una verità profonda. In Gioventù la vicenda di un amore folle si Rias su nti &App un tiU niF G CAPITOLO 6 La letteratura nell’epoca della globalizzazione 1. Introduzione al periodo (dal 1980 al presente) Con gli anni ’80 si entra nella postmodernità. Si tratta di un passaggio riscontrabile a numerosi livelli, con la progressiva globalizzazione. Alcuni eventi simbolo scandiscono il secolo come la caduta del Muro. La condizione postmoderna sarebbe caratterizzata dall’eclettismo, ovvero dall’accettazione di stimoli provenienti da culture magari un tempo molto lontane, cui corrisponde una sfiducia nelle metanarrazioni ossia nelle spiegazioni assolute e totalizzanti. Non viene più accettato il razionalismo di matrice illuminista. Ci si è spinti a parlare di fine della storia non essendo più necessaria una conflittualità per il progresso e per la salvaguardia dei valori del capitalismo occidentale, salvo poi dover correggere questa visione dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. I processi di avvicinamento interculturale hanno subito una pesante battuta d’arresto e molti dei presupposti postmodernisti sembrano vacillare, molti interpreti preferiscono ora parlare di fase della modernità liquida. Una nuova riflessione filosofica e sociologica sulla condizione attuale viene anche dal forte sviluppo delle cosiddette scienze cognitive. È difficile definire quali siano i tratti più significativi delle arti e della letterat ra negli ultimi due decenni del Novecento e nel primo del Duemila. Molti fenomeni sono tuttora in corso. Un tratto tipico è stato a lungo considerato quello del riuso citazionistico di tutti i modelli e i generi tradizionali, senza emulazioni o spinte verso la novità ma anzi con un gusto ironico-parodico. Questa tendenza ha trovato in Italia Umberto Eco, che con il suo Il nome della rosa (1980) ha riproposto un intrigo degno di un romanzo storico ottocentesco. L’enorme successo di questo romanzo ha non solo lanciato una moda, quella del bestseller di qualità, ma ha pure segnato l’evoluzione dell’editoria e della narrativa italiane, attente agli aspetti commerciali e alla possibilità di catturare un pubblico medio. Negli anni ’90 si può notare che nella narrativa gli autori di maggior successo sono giovani lontani dalla tradizione umanistica e influenzati dal cinema e dalla televisione da aspetti della cultura media contemporanea. La prevalenza della cultura visiva o visuale e della fiction di ogni tipo porta a confondere i pani narrativi, con intersezioni assai frequenti tra pseudo autobiografia e pseudo invenzione: le confessioni a volte crude riguardanti la condizione giovanile, sostenute dallo scrittore Pier Vittorio Tondelli, si sono ridotte a piccoli scandali o a mode passeggere. Ma con l’inizio del XXI secolo si sono moltiplicati gli esempi di scritture ibride, sintesi di vari generi. Il grande successo di un testo di denuncia come Gomorra (2006), prova di Roberto Saviano (1979). Sempre più apprezzate sono le scritture migranti, ossia i testi narrativi scritti da immigrati di varie zone del mondo. Parzialmente diversa la situazione della poesia ormai di nicchia. Si coglie il ritorno a temi e addirittura dagli anni Rias su nti &App un tiU niF G Novanta a forme canoniche, usate in genere con un’attitudine manierista di difesa del dettato lirico. Pare comunque difficile definire un campo proprio della nuova elaborazione lirica: anzi in contrasto con i riusi manieristici alcune propensioni forti almeno in Italia sembrano attualmente quelle che propongono una poesia tendente alla prosa. Non mancano tentativi di sperimentazione ipertestuale con l’apertura della poesia a inserti visivi o musicali o scenici. Si potranno trovare nuove potenzialità per giungere a una nuova sfida del labirinto. Essa potrà comportare vari tipi di ibridazione ma con sfumature nuove: la mescolanza o il blending sembra una propensione tipica della creatività in tutte le sue forme. 2. La poesia e le forme liriche Nella poesia italiana a partire dagli anni ’80 si registrano alcune tendenze contrastanti. In generale vengono accantonati alcuni modelli fondamentali della prima parte del ‘900, da quello alto-tragico del primo Montale sino ai vari trasgressivi e ideologici della neoavanguardia. Il recupero di una soggettività lirica forte sembra escluso, si ripropongono invece funzioni dell’io spesso volutamente autobiografiche, semmai riscattate da una formalizzazione molto attenta, oppure diluite in versi appena distinguibili dalla prosa. Una prima svolta viene segnata da una raccolta Somiglianze (1976) del milanese Milo De Angelis, la rappresentazione del quotidiano, consueta della Linea lombarda, viene concretizzata in azioni e vicende precise e che rinviano a un significato ulteriore, fra i modelli di questa poesia Rimbaud interpretato da Maurice Blanchot e delle sue teorie sullo spazio letterario come generatore di senso. In questa raccolta di De Angelis è il mondo stesso che chiede di essere cercato e la ricerca diventa in sé filosofica: il testo si costituisce come l’espressione diretta di una percezione del reale attraverso l’esistenza come l’espressione diretta di una percezione del reale attraverso l’esistenza di un io, che ne coglie le implicite leggi mentre vive. Nelle raccolte successive prevalgono le complicazioni di tipo orfico a volte surrealista e la scissione tra esistenza e riflessione: non mancano altri esiti come Terra del viso (1985), Biografia sommaria (1999), Tema dell’addio (2005) e Quell’andarsene nel buio dei cortili (2010). Sempre fra le anticipazioni del nuovo clima nel 1976 Il disperso di Maurizio Cucchi elementi autobiografici frammentati sino a essere resi incomprensibili e questo procedimento di frammentazione ricomposizione, magari attraverso personaggi che mediano l’espressione diretta dell’io, si riproporrà nelle raccolte successive. Cucchi ha sperimentato altre forme di scrittura: la prosa narrativa e anche quella teatrale con il poema Jeanne d’Arc e il suo doppio (2008). Dal neoromanticismo, contraddistinto da una rinnovata fiducia nella stilizzazione magniloquente, come avviene nel ligure Giuseppe Conte distintosi per la sua raccolta L’Oceano e il Ragazzo (1983), all’eloquenza sostenuta, ma segnata da un disagio psichico a volte addirittura manifesto, nelle opere di Alda Merini. Al polo opposto sull’ironia e due altre autrici che trattano di un’interiorità Rias su nti &App un tiU niF G frammentata o attraverso la chiusura estrema dell’aforisma, così Patrizia Cavalli e Vivian Lamarque con Una quieta polvere (1996). A uno straniamento rispetto alla media della poesia diffusa mirano i molti autori che tornano a impiegare forme metriche chiuse. L’amore e la morte trattati costantemente da Patrizia Valduga nelle sue Quartine (1997 e 2001) e con la serie di ottave di Requiem (1994 e 2002). Oppure il manierismo può diventare chiave di lettura di un mondo letto attraverso la continua traduzione tra codici e campi culturali diversi del romano Valerio Magrelli. Ha optato per la scrittura multipla con prove saggistiche e narrative in uno scavo interiore. Con una stilizzazione ancora forte sono state proposte raccolte nelle quali domina una nuova tensione all’interpretazione sapienziale se non religiosa dell’esistenza, con aperture cosmologiche per la poesia una funzione intrinsecamente conoscitiva, modelli antichi e moderni: la poesia si confronta con una scienza e con una filosofia in difficoltà nel fornire ipotesi complessive sul reale. Gli esiti più interessanti sono quelli privi di un falso sublime di ritorno e conducono a riflessioni sulla biologia e sui destini della specie umana. La gioia il lutto (2001) un poemetto di Paolo Ruffilli. Grande successo ha ottenuto la raccolta Treatro naturale (1997) di Giampiero Neri, capace di cortocircuiti tra eventi minimi e al limite onirici e loro interpretazione primordiale. Anche nelle poesie successive, sino alla raccolta d’insieme Poesie 1960-2005. Su un versante propriamente gnoseologico pure da esperienze isolate, come Michele Ranchetti, autore di versi in apparenza limpidi e invece di ardua decifrazione per la ricchezza di risonanze etico-filosofiche e psicanalitiche. A una polarità opposta Toti Scialoja, pittore ma anche poeta che adotta il nonsense e il fiabesco. Da un lato permangono forme di rilettura ravvicinata della quotidianità, con un atteggiamento dell’io lirico che può passare dalla rievocazione elegiaca alla strenua difesa etica, come in La bella vista (2002) di Umberto Fiori o in Umana gloria (2003) di Mario Benedetti. Non sono da dimenticare le scritture più esplicitamente assertive e di denuncia, evidenti nelle raccolte di Franco Buffoni. Da un altro lato non sono mancati tentativi sperimentali come in Biagio Cepollaro (1959) o Lello Voce (1957), membri del cosiddetto Gruppo 93, che solo parzialmente faceva riferimento alla neoavanguardia, puntando a un rapporto dialettico con una tradizione peraltro non del tutto ridefinita. Questo filone ha trovato espressione in alcune antologie, come Poeti degli anni Zero (2010), che riunisce prove di tredici poeti nati fra il 1964 e il 1978. Quanto alla scelta della poesia scritta nei vari dialetti italiani si distinguono il vicentino Fernando Bandini, docente e traduttore, compone anche in latino; il modenese Emilio Rentocchini con dense e spiritose Otèvi (2001); Antonella Anedda (1955), di origini sarde, che usa il logudorese per tornare a una dimensione atavica; il pordenonese Gian Mario Villalta, che adotta il dialetto in testi meditativi e non solo descrittivi.
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