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TELEVISIONE E SOCIETà ITALIANA 1975-2000 Meduini, Sintesi del corso di Storia Della Radio E Della Televisione

TV E SOCIETA' ITALIANA

Tipologia: Sintesi del corso

2012/2013
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Scarica TELEVISIONE E SOCIETà ITALIANA 1975-2000 Meduini e più Sintesi del corso in PDF di Storia Della Radio E Della Televisione solo su Docsity! ENRICO MENDUNI TV E SOCIETA' ITALIANA 1975-2000 INTRODUZIONE Nel settembre 1974 Ettore Bernabei (padrone del monopolio Rai) lascia la radiotelevisione pubblica per assumere un ruolo nelle Partecipazioni statali. La Rai stava per essere Parlamentarizzata. Nel paese era in atto una discussione su varie proposte di riforma della radiotelevisione che condividevano tutte la fine di una forma di controllo come quello esercitato da Bernabei fino a quel momento. Nel periodo di boom economico, la società italiana aveva superato quegli aspetti arcaici e rurali del periodo precedente. Adesso prevaleva un modello industriale, affermando un modo di vita e di consumo spiccatamente urbano (nuclei familiari più ridotti, natalità modesta, elevata scolarizzazione, motorizzazione privata, elettrodomestici). Si stava creando sempre di più uno spazio per il tempo libero. La radiotelevisione pubblica (in particolare la tv) aveva accompagnato questa crescita degli italiani presentandogli nuovi modi di vita. Il tutto rimaneva sempre all’interno di un intento pedagogico del sevizio pubblico (educare, informare e intrattenere i cittadini). Il telequiz, il genere tv di maggiore successo, è stato il genere che più ha contribuito alla diffusione della tv tra gli italiani. Le rubriche tv e la pubblicità (super controllata) erano un esempio della modernità e “spiegavano” le modalità d’uso e gli stili di consumo dei nuovi beni e servizi. A livello politico una coalizione di centro-sinistra (alleanza con democristiani, socialisti e partiti laici minori) era apparsa la formula che meglio interpretava la nuova modernità nascente. Questa formula è stata molto contrastata all’inizio dai gruppi conservatori della Dc e dai liberali. La contrarietà al centro-sinistra si era resa esplicita con il governo Tambroni (1960) con l’appoggio dell’estrema destra. Diverse manifestazioni di piazza provocarono la caduta el governo Tambroni. Nell’autunno del 60 il governo passò al democristiano Fanfani, che con l’appoggio del Psi apriva la strada al centro-sinistra. Ettore Bernabei (direttore del quotidiano della Dc “Il Popolo”e uomo di fiducia di Fanfani) era diventato direttore generale della Rai nel 1961, e questa sua nomina significava che quindi anche la Rai sarebbe stata collegata all’azione modernizzante del governo. E infatti, nel novembre, l’avvio del secondo canale tv aveva rappresentato un passo in quella direzione. La direzione di Bernabei permise alla tv pubblica di diventare il primo vero medium di massa presente in tutte le famiglie, capace di competere con le altre forme di spettacolo (cinema e teatro), dotata di rilevanti valenze educative e in grado di influenzare nel profondo stili di vita, costumi e priorità cognitive degli italiani. Alla fine degli anni sessanta questo modello appariva però in via di esaurimento: ci si rendeva conto che a uno sviluppo materiale così notevole non si era accompagnata una maturazione civile e una evoluzione del costume e dei diritti civili paragonabile agli altri paesi europei. In questi anni la tv barnabeiana non riuscì a mettere in scena la complessità della società italiana, caratterizzata da scontri tra i diversi schieramenti, soprattutto a livello politico. Anche se nello schieramento di Bernabei erano presenti diverse forze, non era più sufficiente. Per la prima volta dopo 25 anni, la Rai appariva inadeguata per la società italiana. Intanto cominciavano a comparire sugli schermi degli italiani tv diverse rispetto dal monopolio Rai (già dall’inizio degli anni 70 la ripetizione in Italia di segnali tv e radiofonici dei paesi confinanti rappresentava un delicato problema legale e diplomatico). La cosa più sconvolgente per gli italiani nei primi anni 70 fu la nascita di emittenti libere (prima della radio poi della tv) che dimostrano quindi che il monopolio non era l’unica soluzione possibile. In Italia si muovevano contemporaneamente due tendenze molto forti (invece che scontrarsi si mossero parallelamente): - la prima, fatta propria dal sistema politico, puntava alla riforma della Rai in modo da renderla meno governativa e monocratica e fare spazio alle forze politiche di opposizione, ai sindacati e alle Regioni (i principali attori politici dell’epoca). Conseguentemente la Rai avrebbe dovuto proseguire il suo carattere di monopolio in modo che il sistema politico potesse tenere il pieno controllo delle emissioni radiotelevisive. - intanto una ricca pluralità di emittenti libere stava crescendo in Italia, costituendo una situazione sempre più forte, anche perché presentava molti aspetti della società italiana messi in ombra dalla Rai. Insieme queste due forme di tv hanno creato un nuovo sistema televisivo diverso dal precedente. Questo nuovo sistema si è inoltre dimostrato all’altezza di rappresentare la complessità della società italiana. Insieme hanno quindi creato la neo-televisione, legittimandosi a pieno all’interno della società come industria culturale in toto. Questo è stato possibile anche grazie all’aumento del pubblico televisivo, dei suoi fatturati anche grazie all’aiuto della pubblicità e alla formazione di una nuova leve di investitori pubblicitari in tv. Sono così mutati i rapporti di forza tra tv,cinema e editoria, permettendo a un network tv di comprarsi parte della produzione cinematografica (Medusa Film), di costruirsi una propria catena di sale (Cinema 5) di acquistare il controllo della case editrice più importante (Mondadori), alle videocassette (Blockbuster), ai grandi magazzini la Standa, al Milan Football Club. Questa è solo parte della spiegazione: la ragione principale è che solo la tv è stata in gradi di fare i conti con l’affermazione di una cultura di consumo di massa e della pubblicità. Oggi ci sono altri segnali che indicano un cambiamento che va verso forme di comunicazione globalizzata, verso forme sempre più multimediali. TELEVISIONE E VITA ITALIANA 1. Le caratteristiche del modello culturale bernabeiano Il modello culturale della tv bernabeiana aveva caratteristiche proprie , che la distinguevano nettamente dal periodo precedente, caratterizzato da austerità. • Accentramento monocratico: il potere si concentra nelle mani del direttore generale, che gestiva i rapporti con l'intero sistema politico (aveva un rapporto diretto con il presidente del consiglio Fanfani) ed esercitava una diretta supervisione sull'informazione mandata in onda. I rapporti esterni della Rai avevano invece il carattere dello "scambio politico": la radiotelevisione consentiva infatti di fare moltissimi favori. • Assoluta priorità concessa alla tv rispetto alla radio: non è scontato! Bernabei investe nel nuovo e giovane mezzo, soprattutto perché, grazie alla sua esperienza politica, capisce che la tv è molto più potente nei rapporti con le masse; inoltre il mezzo televisivo, essendo giovane e da inventare, non aveva le stratificazioni di potere come la radio. spinge l'alta cultura e gli intellettuai più inquieti verso la radio, e intanto intensifica la committenza nei confronti dei centri di ricerca e delle università: la tv assume una funzione socializzante (per Tullio De Mauro spinge all'unificazione linguistica) unendo forza intellettuali modernizzanti. 2. L'offerta della Rai Nel 1961 compare il secondo canale. Bernabei gestisce la programmazione televisiva in modo strategico: i due canali sono complementari, se sul primo c'è un programma impegnativo, sul secondo ce n'è uno popolare. Ciò la differenziava dalla radio, dove le reti erano ripartite in modo tematico. La produzione dei programmi tv era divida per generi, ciascuno dei quali aveva un direttore, che rispondeva direttamente a un direttore generale. Ogni programma veniva connesso con gli altri e ripartiti sui due canali in modo da influire al massimo sui gusti degli spettatori, anche proteggendo (collocando su un altro canale un’alternativa poco attraente) i programmi verso cui si voleva attirare il pubblico. Un'altra caratteristica della tv bernabeiana è la complementarietà rispetto al cinema e alla scuola (la tv cerca di non invadere gli spazi altrui..per l’educazione si cercava di presidiare più che altro quello che era il campo sguarnito dell’educazione per gli adulti, ad esempio con il programma “Non è mai troppo tardi” che si rivolgeva agli analfabeti per insegnargli a leggere e scrivere). Riguardo ai programmi, l'intrattenimento era contenuto,basato molto sulle produzioni e sul modello americano (evidenti nei grandi spettacoli di varietà, con influenza di Broadway), ai giovani erano rivolti pochi programmi, come il Cantagiro, e di grande successo erano gli sceneggiati, i quiz, e i grandi eventi mediali (lo sbarco sulla Luna 1969). L’informazione era un genere centrale nei rapporti con la politica. Tendenzialmente la tv di questi anni era filogovernativa, ed esprimeva la sua faziosità solo attraverso l'omissione. Il processo produttivo era prevalentemente gestito dall’interno, e la produzione era divisa per generi e per mansioni. I centri di produzione Rai erano Roma, Milano e Napoli; c'era un buon controllo sul prodotto, anche se non mancarono incidenti (un infelice sketch del '62 causò l'allontanamento di Franca Rame e Dario Fo dallo schermo per 15 anni!!). La pubblicità aveva carattere accessorio: veniva raccolta nel “Carosello”. Il modello pedagogico si basava sempre di più su forme aperte e conversazionali: programmi per ragazzi, sport (a partire dalle Olimpiadi del 1960), il giornalismo d’inchiesta e lo sceneggiato televisivo, che affrontava i nuovi modelli e stili di vita e le nuove ideologie e culture che si andavano a sviluppare nella società nel suo processo di modernizzazione. 3. Televisione all'europea La tv italiana era simile (non uguale) alle altre tv europee: in ogni paese d’Europa la tv si è affermata all’incirca negli anni 50/60 come servizio pubblico gestito dallo Stato, e rifletteva le specificità e le regime concorrenziale fra la radiotelevisione pubblica e reti commerciali private, che potrebbero essere affidate agli editori di giornali. Il mondo politico italiano (anche i socialisti) reagisce sdegnato. Questo argomento verrà poi ripreso. In effetti la televisione da questa inquietudine, e infatti Pasolini la vede come lo strumento di mutazione antropologica degli italiani. La tv si dimostra nettamente democristiana, quindi inizia a farsi sentire la necessità di rendere la tv culturalmente pluralistica: per questo ogni partito dovrebbe avere le sue trasmissioni e un suo Tg, in modo che ogni telespettatore possa scegliere le notizie o confrontarle con le altre, e non subire più le uniche che gli vengono offerte. 4.Le prime televisioni libere In questo stesso periodo i monopoli televisivi pubblici vengono messi in discussione in tutta Europa. Si stava affermando una diffusione mondiale di alcuni prodotti culturali (soprattutto tra i giovani) come la musica pop e il cinema. Con l’elettronica i costi dell’attività televisiva si erano ridotti notevolmente, ed era ormai possibile pensare di finanziarsi aprendo alla pubblicità spazi in tv (cosa che la Rai faceva pochissimo). Dunque imprenditori locali installavano ripetitori per portare il segnale di stazioni estere in lingua italiana (Telecapodistria, Televisione della Svizzera Italiana e Montecarlo). Grazie a queste tv gli italiani vedono per la prima volta i programmi a colori (mentre la rai continuava a trasmettere in bianco e nero perché bloccata dalla politica: in tempi di crisi non si voleva introdurre una cosa non indispensabile, nonostante l’industria elettronica sperava di sostituire le vecchie tv con quelle a colori). La prima tv privata in Italia fu probabilmente Telebiella (di Giuseppe Sacchi, ex dipendente Rai che, nel 1971, aveva installato un piccolo impianto via cavo e aveva ottenuto dal tribunale del luogo la registrazione della testata come “giornale periodico a mezzo video”). A Rimini un gruppo di giovani fonda Babelis tv: riprendono le partite di calcio e poi le proiettano nel bar della città). Nel 1972 iniziano i guai giudiziari: un cittadino denuncia Telebiella perché non ha l’autorizzazione del ministero delle Poste (ministero che si occupa di diversi tipi di comunicazione, come la giornalistica, la pubblicità etc…). siamo in periodo elettorale e dalle urne esce il risultato di un Governo di centro-destra guidato da Giulio Andreotti. Con il ministero delle Poste Gioia il monopolio della gestione del cavo passa alla Sip-Stet (società delle telecomunicazioni): Telebiella diventa fuorilegge. Durante il 1973 un’Italia minore si dedica sempre di più alla progettazione di iniziative televisive (Tele Ivrea, Tele Alessandria…). Nel maggio la Gazzetta ufficiale pubblica il nuovo Codice postale e si scopre che un articolo (il 195) punisce severamente chi esercita un impianto di telecomunicazioni (compresi gli impianti di distribuzione di programmi sonori o visivi realizzati via cavo o con qualunque altro mezzo tecnico). Intanto vanno avanti i processi contro tele biella (passati alla Corte costituzionale) e i suoi atti sono alla base delle due storiche sentenze (siamo nel 1974): • N.225 che riconosce il diritto dei privati a ripetere i programmi televisivi esteri, purchè non interferiscano con la Rai; • N.226 che legalizza la trasmissione via cavo su scala locale. Con queste due sentenze il monopolio Rai viene confermato, ma il diritto di ritrasmettere le stazioni estere via etere lo contraddice: la questione non è chiusa. Nel frattempo in Italia sorgono tantissime emittenti televisive, alcune delle quali trasmettono via etere come le radio libere. Una delle emittenti via cavo è Telemilano, che l’imprenditore Silvio Berluscono organizza per eliminare le antenne dai tetti del complesso residenziale Milano 2 (che ha appena costruito a Segrate): con un’antenna principale (che si trova sopra il grattacielo della Pirelli) si ricevono i due canali Rai, la tv svizzera, Telemontecarlo, Telecapodistria e in più, avendo una delle bande libere, Berlusconi ci inserisce una tv di servizio per i residenti a Milano 2 (ecco gli esordi della futura Mediaset). 5.La sottovalutazione dell’emittenza privata all’epoca era difficile, per il mondo politico, concepire una radio e una tv privatizzata, dal momento che, fin dal 1924, lo Stato aveva sempre avuto il monopolio su di esse, e concepivano la radiotelevisione come un’attività propria dell’intervento pubblico, che il Governo tendeva a amministrare in proprio attraverso interventi tramite decreti. La legge 14 aprile 1975 (la n.103: “la riforma” arriva poco prima dell’ultima proroga): E’ la legge “Nuove norme per la diffusione radiofonica e televisiva”, che ripropone di rivedere l’intero sistema radiotelevisivo pubblico, individuando i principi fondamentali per la diffusione circolare di programmi radiofonici via etere o su scala nazionale, via filo e di programmi televisivi via etere o su scala nazionale, via cavo e con qualsiasi altro mezzo. Principi fondamentali del servizio pubblico sono: indipendenza, obiettività e apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali. Il luogo appartato in cui si svolsero gli incontri, una scuola, diede il nome alla trattativa, che venne chiamata: “patto della Camilluccia”. Il patto divideva la Rai in zone di influenza dei vari partiti. Con la zebratura infatti si stabilisce una gerarchia, con tanto di responsabili, che al di sotto di essi ne avrebbero avuto tanti altri ( tra direttori, vice e così via ), allo scopo di permettere un più esteso controllo delle decisioni prese dagli altri partiti. Nessun partito in definitiva poteva prendere delle decisioni se non trovava l’accordo con gli altri partiti. 6.La “riforma” della Rai Il monopolio statale della radiotelevisione viene ribadito in quanto servizio pubblico di interesse generale( le cui finalità erano “l’ampliamento della partecipazione” e i principi fondamentali “l’indipendenza, l’obiettività e l’apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali”) fermo restando che l’azienda non sarebbe diventata un ente pubblico ma una società per azioni a totale partecipazione pubblica. Con la riforma si stabilisce la più importante delle norme: la competenza della Rai si sposta dal Governo al Parlamento, allo scopo di osservare maggiore pluralismo, completezza e obiettività dell’informazione. Per fare ciò tutti i gruppi politici danno vita alla Commissione parlamentare di vigilanza. Per governare la Rai la legge prevedeva un Consiglio di amministrazione di 16 membri (10 eletti dal consiglio di vigilanza e 6 eletti dall’Iri). Il Consiglio, inoltre, regolava anche i programmi, i contratti, le assunzioni e le promozioni del personale. Con questa legge il 5 % delle trasmissioni radiofoniche e il 3% di quelle televisive viene riservato all’”accesso”, cioè trasmissioni autogestite da organizzazioni religiose, politiche, sindacali, che la Rai, su richiesta, avrebbe dovuto aiutare. Un intero articolo era dedicato all’indicazione sull’organizzazione interna: si fondava sulla distinzione tra testate giornalistiche, reti tv e radiofoniche e sulla previsione di un decentramento produttivo e ideativo e di una terza rete tv. Il finanziamento dell’azienda avveniva tramite il canone di abbonamento e solo in modo secondario derivava dalla pubblicità, raccolta dalla SIPRA, ( solo per il 5% giornaliero ). Ogni anno era il Governo a determinare l’ammontare del canone, mentre la Commissione di vigilanza doveva determinare un tetto annuo della raccolta pubblicitaria della Rai. La legge doveva inoltre tener conto delle recenti sentenze della Corte costituzionale: si prevedeva quindi una normativa per la ripetizione dei canali tv stranieri a condizione che fossero depurati dalla pubblicità (operazione troppo complicata e costosa e per questo inapplicata). C’era anche una regolamentazione sulla tv via cavo: la legge prevedeva che il cavo televisivo fosse monocanale (un solo programma) il che metteva il cavo fuori mercato (dato che già dagli anni 20 si era già tecnicamente realizzata la diffusione di più programmi sullo stesso cavo). 7.Un monopolio condizionato Tutti i partiti politici riconoscono l’importanza della tv come strumento del consenso delle masse. La partecipazione di tutti i partiti politici all’interno della tv che si era creata con la tv riformata aveva dato luogo all’arco costituzionale (partecipazione dai liberali ai comunisti). Le norme ribadiscono il monopolio della Rai, ma dato che i politici non si fidano, si creano una serie di meccanismi di ricatto per tenere in mano la Rai. Con la legge103, quindi, si moltiplicano i centri di potere della Rai, ciascuno garantito da un diverso partito di riferimento,e tutti li assoggettava a un potere di seconda istanza della classe politica (che poteva arrivare fino alla revoca di qualcuno). PROVE TECNICHE DI SISTEMA MISTO (1975-1980) 1.Morte annunciata del monopolio Paradossalmente, mentre il Parlamento approvava la legge di riforma della Rai, una sentenza della corte costituzionale sanciva la morte del monopolio. Sentenza 202 del 1976: limita il monopolio tv alle trasmissioni nazionali, consentendo ai privati l'esercizio di emittenti via etere che non superassero l'ambito locale. La corte infatti affermava che vi era disponibilità sufficiente a consentire la libertà di iniziativa privata senza correre pericoli di monopoli o oligopoli privati (dato anche il costo non rilevante degli impianti). La legge 103 viene di fatto dimezzata (anche perché poteva occuparsi solo della parte pubblica del sistema, ignorando l’iniziativa privata), e ovunque compaiono nuove tv private che trasmettono usando i ripetitori (in una sorta di “libertà” – dovuta a un’insufficienza parlamentare che non aveva stabilito quanto fosse ampio l’ambito locale: questa legge arriverà solo nel 1990). Le strade di tv e radio private si dividono sempre più: la radio, facilmente accessibile per i ridotti volumi di investimenti e perciò più facilmente accessibile, sembrava congeniale ai movimenti giovanili, che, estraniati dalla politica tradizionale, davano vita a centri sociali, laboratori, concerti. La programmazione era molto varia, e attibgeva ad una gran quantità di musica. Le tendenze della tv private avevano un carattere commerciale e le loro programmazioni erano improntate all’intrattenimento: • I privati intanto iniziano ad elaborare strategie per trasmettere in varie città, ed aggirare il limite locale: in genere si parte dalla ripetizione di canali stranieri e si creano circuiti che poi vengono riutilizzati (con proprietà e nomi diversi). • Gli editori creano sinergie fra tv e giornali (il primo è stato Rusconi) • Angelo Rizzoli che tenta di creare tv estera (tv Malta) da ritrasmettere in italia. Per motivi non chiariti, però, il progetto non partirà mai. 2. Tra riformatori e gattopardi All'indomani della legge di riforma, i politici erano pronti ad attuarla, in particolare nel punto della costituzione e l’avvio di reti e testate di fatto indipendenti. Era un compito particolarmente difficile soprattutto nel periodo che stava vivendo l’Italia: la crisi petrolifera del 73 mette in crisi l’economia e turba gli atteggiamenti mentali della gente comune; inoltre il paese è scosso dalla strategia della tensione, la cui interpretazione risultava controversa. Appunto per questo motivo, questa situazione faceva sentire i suoi effetti anche sul sistema informativo, che non sapeva come orientarsi in merito alla situazione che si stava vivendo (erano tentativi di bloccare un’Italia finalmente libera e civile, o il tentativo di conquistare lo Stato con la violenza da parte delle sinistre?). Molto dipendeva da chi elaborava le notizie e le presentava al pubblico: un punto cruciale su cui si insiste è la necessità di informare in modo completo ed imparziale. Significativa a tal proposito è la nascita di 2 testate fra il 1974 e il 1976: Il Giornale di Montanelli (scissione dal Corriere, considerato troppo di sinistra) e La repubblica di Scalfari (scissione dall'Espresso, per dare all'opinione pubblica di sinistra un'informazione che non fosse di partito). Anche nel servizio pubblico radiotelevisivo sarebbe stato utile operare una svolta simile a quella del Giornale e della Repubblica: vediamo come qua e la compaiano programmi Rai che assomigliavano ai giornali, ma essenzialmente il progetto è stato mancato soprattutto perché la confusione e la mancata organizzazione non hanno permesso di mettere a fuoco un obiettivo aziendale. In realtà però il progetto di riforma, tanto discusso, non va a buon fine, soprattutto per il fatto che la divisione dei poteri e la proliferazione dei compiti (che chiaramente necessitavano di coordinamento) avevano distolto l’attenzione dei dirigenti Rai dalla situazione circostante che si stava creando: il mondo tv privato si allargava sempre di più. 3. Lottizzazione: Gli accordi della Camilluccia indicavano dettagliatamente in quale area politica dovessero essere nominati i direttori delle reti e delle testate Rai. Questa spartizione della Rai in "lotti" di influenza dei partiti era chiamata lottizzazione. La Rai riformata (sia con gli accordi della Camilluccia, che con la legge 103) era divisa in zone di influenza dei vari partiti di maggioranza ed opposizione, e si provvedeva anche alla "zebratura": si nominavano, al di L’atteggiamento nei confronti della Rai cambia, si fa strada l’idea di una rete tv nazionale affidata a varie emittenti private consorziate fra loro. In realtà, non si realizzano le innovazioni di prodotto e di rapporto con il pubblico prospettate dalla legge 103, ma si cerca di trovare un modus vivendi con i nascenti circuiti nazionali privati, che avevano ormai messo radici. Bisognava trovare un compromesso. VERSO IL DUOPOLIO (1981 – 1986) 1. Mudialito Nel 1980 per la prima volta le partite della nazionale vanno in onda su una tv privata: Canale 5. L’Uruguay aveva organizzato un torneo fra le nazionali che avevano vinto almeno un campionato del mondo, che prende il nome di Mundialito. L’Eurovisione non ne acquista i diritti tv e nemmeno gli enti televisivi che aderiscono a Eurovisione (Rai compresa), ma lo fa la Fininvest. Per la prima volta la nazionale italiana apparirà su una tv privata e la possono vedere solo al nord, dato che Canale 5 trasmette in diretta solo in Lombardia. La Rai deve riparare: inizia una trattativa. Canale 5 rivende all’originario proprietario dei diritti (l’agenzia internazionale West Nally) quelli relativi alle partite in cui giocherà l’Italia; l’agenzia a sua volta li vende alla Rai che li trasmetterà in diretta. Del compromesso fa parte anche la concessione temporanea alla Fininvest (da parte del ministero delle Poste) di usate il satellite. Canale 5 trasmetterà le altre partite in diretta in Lombardia, e in differita nel resto d’Italia. Organizzerà altri due Mundialito. Ottiene grandissimo successo e si fa una notevole pubblicità gratuita. 2. Le tv di Rizzoli e Rusconi Rizzoli crea nel 1980 il network PIN (Prima rete indipendente), e inizia a trasmettere in tutta Italia il tg “Contatto” diretto da Maurizio Costanzo. L’esperienza di Contatto è totalmente illegale, superava i confini locali, usando di nascosto dei ponti radio. Come unica accortezza, trasmettevano i programmi sfalsandoli di una decina di minuti. È una PROVOCAZIONE! Nell’81 “Contatto” viene chiuso: è il colpo mortale per la Rizzoli. Il Corriere della sera è salvato dalla Fiat e dalla Montedison, Tv sorrisi e canzoni da Berlusconi (che riuscirà a superare il Radiocorriere della Rai). Finisce così l’avventura della Rizzoli. Altri tentativi più cauti sono stati fatti da altri gruppi, come Mondadori e Rusconi, che però, anch’essi, non riescono a ottenere successo. Rusconi nel 1982 inaugura il network Italia 1, che presto è venduto alla Fininvest (che acquista network, magazzino e mantiene i dipendenti, battendo sul tempo la Mondadori) per difficoltà economiche e un magazzino programmi insufficiente. 3. La Mondadori e Rete 4 In questi anni, a differenza del 1976-1980, la costituzione di circuiti nazionali taglia fuori le emittenti più deboli che non hanno capitali adeguati. La Mondadori, nella sua impresa televisiva, non ha più successo di Rizzoli e Rusconi: il gruppo editoriale era entrato nel settore televisivo alla fine degli anni 70. Nel 1978 acquisisce una concessionaria di pubblicità attiva nel campo tv (Gestione Pubblicità Editoriale). Nel 1979 fonda la società per la produzione di programmi tv (Telemond). Nel 1981 fonda Rete 4, una società a responsabilità limitata con il minimo di capitale (che poi aumenterà notevolmente). Si tratta di una tv raffinata che ingaggia nomi come Enzo Biagi, lancia il Maurizio Costanzo Show e acquista serial americani come “Dynasty”. Già nel 1984, però, Rete 4 vacilla, e viene presto venduta alla Fininvest (nell’agosto del 1984). Fuori dall’acquisto di Berlusconi è però la Rete 4 srl, le cui perdite rimangono nelle mani della Mondadori. Con l’acquisizione di Rete 4 la Fininvest ha lo stesso numero di reti della Rai, e Publitalia ’80 (Fininvest) supera la Sipra (Rai). IL 1984 Può ESSER CONSIDERATO L’ANNO DI INIZIO DEL DUOPOLIO TV 4. Il palinsesto dei network I network italiani si ispirano al modello della tv americana e costituiscono un fattore importante di internazionalizzazione del gusto. Del modello americano, applicano la parte più commerciale, tralasciando l’informazione e l’indipendenza dal potere politico. I motivi di questa scelta sono più strutturali. I network non possono trasmettere in diretta e devono contestualizzare gli spot pubblicitari (dato che la vendita è il momento chiave della tv commerciale da cui avevano preso esempio). Dovettero usare,quindi, delle strategie per differenziarsi: 1. AMPLIARE IL TEMPO DI TRASMISSIONE: Fino al 1980 la tv iniziava a trasmettere alle 12.30e finiva a mezzanotte. La prima ad anticipare le trasmissioni è la Fininvest (la Rai solo nell’86), con Canale 5 che inizia con la breakfast television, un contenitore del mattino chiamato “Buongiorno Italia” (1981). Nel 1982 Canale 5 presenta “il pranzo è servito” condotto da Corrado (un quiz pensato per le famiglie che stanno consumando il pranzo). 2. IMPORTAZIONE PRODOTTI (dall’America le fiction, cartoni animati giapponesi e telenovelas latino-americane), cosa a cui la Rai ricorreva moderatamente. 3. TRASMISSIONE MASSICCIA DI FILM A OGNI ORA: rispetto alla Rai (che doveva rispettare le forme di protezione della distribuzione cinematografica italiana e che trasmetteva pochi film e vecchi per non fare concorrenza all’industria cinematografica italiana) i network iniziano una trasmissione massiccia di film, continuamente interrotti dalla pubblicità (nell’1989 si contano circa 100 passaggi televisivi di film al giorno). Tutto ciò crea una crisi per il cinema. Inoltre la maggioranza dei film trasmessi erano americani. 4. INTRODUZIONE MASSICCIA DI FICTION AMERICANE: la tv privata si rende conto che i film non creano fidelizzazione del pubblico. Quindi utilizzano l’espediente della fiction seriale (USA), con diversi vantaggi: sono predisposte per l’interruzione pubblicitaria e sono disponibili in diverse puntate (esempi: “Dinasty” e “Dallas”). 5. USO DEL PALINSESTO (schema settimanale delle trasmissioni) ORIZZONTALE: con l’irruzione della fiction americana il palinsesto della tv italiana cambia. Se prima il palinsesto della Rai era diverso per ogni giorno della settimana (ogni giorno aveva un particolare genere), con la tv commerciale il palinsesto tende a diventare orizzontale: ogni giorno ci sono degli appuntamenti fissi. Tutto ciò significa penetrare nelle abitudini di vita. Inoltre il palinsesto è utilizzato anche come arma per la concorrenza: utilizzando la contro programmazione (disporre gli appuntamenti in base alle debolezze dell’avversario, offrendo alternative migliori). 6. Programmazione a striscia: fra un telefilm e una soap si insinuano anche appuntamenti brevi e concentrati come uno spot, per evitare lo zapping . 5. La pubblicità come motore La pubblicità ed in particolare il lavoro di Publitalia, ha costituito il vero motore della tv, assicurando il suo sviluppo nel comparto commerciale e indirettamente in quello pubblico. Esso ha garantito che la tv commerciale potesse nascere e crescere senza abbattere la sua concorrenza pubblica, il che sarebbe stato impossibile, ma anzi creando un cartello duopolistico che si finanziava con l’afflusso crescente di risorse pubblicitarie: nel 1980-1980 gli investimenti pubblicitari si moltiplicano per 6. 6. Negli anni ottanta Nel quadro del Pentapartito ( l’alleanza tra la DC, il PSI, i Liberali, i repubblicani e i socialdemocratici, con l’esclusione del PCI dalla maggioranza).matura negli anni 80 l’amicizia esplicita fra Craxi e Berlusconi. Intanto il Parlamento continua ad elaborare progetti di legge per le televisioni, senza mai trovare un accordo. La politica tv si svolge dunque su due piani: 1. Un’arena molto pubblicizzata in cui si discute di una sempre imminente legge televisiva, e in cui i vari partiti esibiscono la difesa del pubblico o del privato, o la valorizzazione del cinema e della cultura. 2. Un piano più opaco in cui si discute del canone e del “tetto” pubblicitario. Rai e Fininvest, concorrenti, dispongono di due lobby parlamentari centrate su Dc (Rai) e sul Psi (Fininvest). Intanto, l’assenza di una legge permette a Berlusconi di consolidare il suo network tv. La presenza di una Fininvest forte, permette alla Rai di aumentare il canone e coprire i limiti di produttività. 7. La guerra dei puffi 1984: i funzionari pubblici di Roma, Torino e Pescara vietano la ripetizione del segnale Fininvest che avviene senza cautele tramite l’interconnessione di ponti radio, formalmente proibita, ma praticata (definita interconnessione funzionale). Non sono vietati i programmi in sé, ma la ripetizione in contemporanea di quelli dei network. Al posto dei programmi, la Fininvest, quindi, trasmette l’immagine di un cartello in cui è scritto che “per ordine dei pretori i programmi non vanno in onda, regolarmente in onda nel resto d’Italia”. È la rivolta: tutti rivogliono la loro tv gratuita e i suoi programmi. Il Governo Craxi si riunisce d’urgenza e approva un decreto legge che autorizza l’interconnessione temporanea (6mesi). Riprendono le trasmissioni. La Camera però nega il giudizio di costituzionalità e quindi il decreto decade e due dei tre pretori (non Pescara) sequestrano nuovamente i ripetitori. Craxi, allora, scende a patti, e approva un nuovo decreto legge che, oltre a autorizzare temporaneamente l’interconnessione per 6 mesi (per la fininvest), ripristina quasi tutto il potere che il direttore generale della Rai aveva perso con la legge del 75 a vantaggio del consiglio di amministrazione. Inoltre, nonostante abbiano votato contro, il Pci non ricorse all’ostruzionismo in cambio della direzione della Rete 3 televisiva e del Tg3. Il decreto fu approvato e divenne la LEGGE 10 DEL 1985: complessa manovra politica che teneva conto sia della Fininvest che della Rai, ma non dell’emittenza privata, perché l’autorizzazione a usare gli impianti per l’interconnessione riguardava quelli che già li avevano, non gli eventuali nuovi venuti. Rappresentò una stabile regolamentazione dell’etere in senso duopolistico, che andava molto oltre il dichiarato carattere provvisorio, continuando a prorogare la legge, considerandola illimitata. 8. La misurazione dell’ascolto tv Tradizionalmente la Rai faceva una misurazione qualitativa del gradimento dei programmi (avevaun apposito “Servizio opinioni”, ma negli anni 80 diventa necessaria una misurazione quantitativa: ci sono stati diversi espedienti, come la Rai con “Il Barometro d’ascolto” e il “Meter” (tecnologia importata dall’Inghilterra), i privati con Istel. Questi strumenti, se utilizzati in campioni familiari sufficientemente rappresentativi, permettevano di fare una ricerca sui diversi stili di fruizione in base a determinate variabili sociologiche. Tra i due (Rai e privati) continuavano a esserci “guerre degli indici d’ascolto”, finchè, nel 1984, si costituisce l’auditel (che si definisce come strumento imparziale per la rilevazione oggettiva degli ascolti in Italia). E’ stata una delle poche azioni concordate in modo trasparente dal duopolio, costituendo la funzione arbitrale della competizione sull’ascolto. 9. Il duopolio certificato I primi risultati Auditel creano sconcerto: mostrano come l’erosione di pubblico della Rai avesse raggiunto proporzioni allarmanti. Infatti le rilevazioni Auditel, più imparziali e oggettive rispetto al “Barometro” della Rai, mostravano come le rilevazioni dell’Istel fossero più veritiere. È singolare come l’emittente pubblica abbia perso la metà del suo ascolto nel periodo 80/85 (in cui era ritenuta fortissima) e forse per questo non fu capace di elaborare strategie di concorrenza vincenti nei confronti delle tv commerciali. I dati Auditel mostravano anche che il sistema tv italiano aveva già allora conseguito un assetto duopolistico destinato a durare nel tempo. Insieme Rai e Fininvest totalizzavano il 90% dell’ascolto nel prime time. I due eterni duellanti hanno insieme impedito la nascita di un terzo polo e ridotto gli spazi per le altre tv nazionali e locali, che non riusciranno mai a scalfire il predominio del duopolio. NEOTELEVISIONE 1. Il ritmo è cambiato Il termine NEOTELEVISIONE è coniato da Umberto Eco nel 1983. La neotelevisione nasce con la moltiplicazione dei canali, con la privatizzazione e con l’avvento di nuove diavolerie elettroniche: è la tv nell’era della concorrenza, effetto della riforma della rai e della tv privata. Il tempo televisivo era cambiato definitivamente. La Neotv italiana mescola materiale italiano e straniero ed ha ritmi diversi, fatti di strappi e accelerazioni, ma è sostanzialmente il potere dello spettatore (grazie allo zapping e alla possibilità di scelta) a regolare un ritmo personale. Fra le caratteristiche della Neotv è la programmazione a flusso ovvero un flusso continuo di brevi sequenze,l’entrare sempre in nuovi programmi diversi, che esprime l’essenza del “guardare la tv” senza mai riuscire a spegnerla. il modello della tv americana (a flusso) e quella europea (a scaletta fissa) erano completamente diverse: la tv italiana si conforma come un ibrido tra i due modelli. 2. La tv delle famiglie La tv privata basa i suoi proventi sulla pubblicità, la Rai sul canone, ma perché il canone rimanesse socialmente accettabile la Rai cerca di distinguersi: tono più sobrio e più colto, insistenza sulla qualità… cercava di dare un’immagine di marca superiore alla concorrenza. Per radunare tutta la famiglia ha dunque bisogno di una programmazione “generalista”, rivolta a tutte le categorie di spettatori. Quindi, data la vasta scelta di canali, le diverse reti dovevano essere in grado di rispondere ai gusti di tutti. C’è dunque un ribaltamento della situazione: se nell’età del monopolio era la Rai a decidere cosa dovesse vedere il pubblico, ora il pubblico ad avere il potere ed è ormai un cliente che va soddisfatto venendo incontro ai suoi gusti. In Italia non esisteva nemmeno un unico gestore delle telecomunicazioni, ma ben cinque: ciò rendeva ancora più complessa l’introduzione di nuovi servizi. Il che non li rendeva convenienti. Negli anni 90 diventa più semplice ed economica la trasmissione dei segnali tv attraverso satelliti artificiali ricevibili con antenne paraboliche di 3 mt di diametro. Presto le antenne si fanno più piccole, e si diffondono in Usa e in Europa, ma fino ad allora il satellite a diffusione diretta non era una buona alternativa alla tv via cavo. 4. Senza frontiere La tv negli anni 80 stava diventando sempre di più sovranazionale, dove le frontiere contavano sempre meno, dando maggior rilievo alle tecnologie, dove era importante la collaborazione internazionale. Era prevedibile quindi che questa tendenza avrebbe portato alla crescita delle istituzioni europee, anche se non è stata un’impresa facile. Nel 1989 viene emanata una Direttiva del Consiglio, detta “Tv senza frontiere”, dopo ben tre anni di discussione nel Parlamento europeo. • stabilisce una quota del 10% di opere europee realizzate da produttori indipendenti per le emittenti nazionali; ad esempio, un programma di intrattenimento leggero basato su un format acquistato negli Usa è considerato europeo a tutti gli effetti; • stabilisce una disciplina per le interruzioni pubblicitarie/sponsor/promozioni (al centro di polemiche in Italia); l’impatto della direttiva è stato sostanzialmente modesto, perché le parti più incisive del testo sono state corrette da critiche, rilette e riprecisate. Considerazioni sulla direttiva: nel campo delle telecomunicazioni dove c’era bisogno di concorrenza, l’azione delle istituzioni europee è stata efficace. Non è stato così nel settore tv, dove quest’impasto di norme non ha trovato concreta applicazione: questo perché si tratta di un campo di interessi riservato alla classe politica dei singoli Stati. 5. Dopo l’Auditel A seguito della Guerra dei Puffi e dei responsi dell’Auditel si ha il consolidamento definitivo del duopolio. La Rai continua a perdere risorse (divi che migrano altrove…), e con esse gli ascolti; a ciò si aggiunge l’inaccettabilità popolare del canone: perché pagare per una tv che non vedo mai? Una soluzione ci sarebbe: la Rai potrebbe adottare il modello del Public Broadcasting System americano: una rete pubblica dignitosa e di basso ascolto, dedicata all’informazione, all’approfondimento e a programmi per bambini, ma ben lontana dai grandi network. Ma la Rai non vuole. Quindi la Rai può fare due cose: • bloccare l’emorragia di ascolti • fare accordi con la Fininvest: doveva convincere Berlusconi che, raggiunta la sua share, non aveva senso insistere. Una Rai con un 30%, non avrebbe portatola Fininvest al 70%, ma farà entrare altri competitori, che ruberebbero parte della pubblicità per i finanziamenti. Invece se il competitor continua a essere la Rai la fetta pubblicitaria deve rispettare quello che è il “tetto” (quindi una fetta pubblicitaria minore). Legge 10/1985: permette la rielezione dei Consiglio della Rai e garantisce il Pci. Nel novembre 1986 ci sarà un nuovo consiglio di amministrazione. 6. Arruoliamo i comunisti Dopo la legge 10 e Auditel, la mission della Rai cambia, avendo come obiettivo quello di conservare un buon livello di ascolto per rimanere nel mercato. Per fermare il calo di ascolti la Rai inizia a monitorare minuto per minuto l’audience, per correggere ogni difetto, utilizzando gli stessi meccanismi della tv commerciale americana (le reti tv pubbliche si vedevano assegnati obiettivi di ascolto come nella tv commerciale). Inoltre bisognava anche riorganizzare l’azienda, che non era strutturata per la competizione. Essa faceva pubblico in particolare con la prima e la seconda rete, ma non con la terza. Decide di trasformare il terzo canale (il più debole) in una macchina da ascolti, affidandolo alla gestione del Pci (come previsto dopo la legge 10), in modo da attirare spettatori comunisti, intellettuali, critici, che tradizionalmente si schieravano contro la Rai. Grazie alla figura di Walter Veltroni, giovane dirigente, si riuscì a ottenere successo. Adesso ci si trova in una lottizzazione perfetta: tutti i primi canali erano del DC, i secondi dei socialisti e i terzi passavano ai comunisti. 7. Tv verità Con la nuova impostazione di Raitre vengono lanciati nuovi programmi, come “chi l’ha visto?” e “mi manda lubrano”, che mettono in scena i drammi della gente comune e che alternano lo studio tv al collegamento telefonico con gli spettatori e gli strumenti di inchiesta, del documentario e del docudramma (ricostruzione con attori dei fatti reali). Il successo è immediato, portando il genere a diventare una bandiera di rete (anche se i problemi del quotidiano sono già in scena negli anni 80). È una tv verità che si ricollega al neorealismo, utilizzando i meccanismi dell’intrattenimento e della fiction alle situazioni di vita quotidiana (cerca persone scomparse, interviene in crisi personali e familiari, difende l’uomo comune…). La tv verità ha portato alla realizzazione di tantissimi programmi, lasciando da parte l’originaria concezione pedagogica per far prevalere lo spettacolo, strumentalizzando situazioni reali e comuni dell’intimità delle persone: è il Reality show. 8. La Pax televisiva Mentre Rai sistemava la situazione degli ascolti, si andava perfezionando l’accordo duopolistico. L’espressione Pax Televisiva è realizzata da Manca, il presidente della Rai di allora, considerato il fautore di un accordo con la Fininvest. È un periodo di forte competizione sulla programmazione e sui personaggi televisivi (molto pubblicizzata), ma anche di cooperazione. Essa riguardò soprattutto le trasmissioni: • grazie a quest’accordo Telespazio (concessionaria pubblica per le comunicazioni satellitari, di proprietà dell’Iri e della Rai) concede alla Fininvest l’uso di una stazione mobile satellitare e di un secondo transponder per l’interconnessione. • Da questo momento in poi si abbandonano anche le vie legali. • Si accordano sul mercato dei diritti sportivi: in genere uno dei due compra un pacchetto di diritti, che poi gira in parte all’altro. Rai e Fininvest cessano di essere duellanti. L’unica conseguenza di questo duellare era stata l’esclusione delle tv minori e l’impossibilità di creare un terzo polo. 9. La legge Mammì (1990) Una legge radiotelevisiva, vede la luce solo nell’agosto 1990. L’urgenza di avere una nuova legge dipende dal fatto che la Corte costituzionale potrebbe cancellare la legge 10. Quindi: 1. la legge 10/1985 era provvisoria: urge una nuova legge 2. intanto c’è una forte contesa per il controllo della Mondadori: dopo l’avventura di Rete 4 (1985) per ricapitalizzare la Mondadori, viene creata una finanziaria quotata in borsa (Amef) in cui sono presenti anche Berlusconi e Debenedetti. Nel 1987 muore il presidente della Mondadori (Mario Fomenton). La famiglia Mondadori, quindi, si divide in due rami: da una parte quelli a favore di Berlusconi e dall’altra quelli a pro di Debenedetti. In un primo moneto sembra prevalere Debenedetti ma al ramo della famiglia che gli erano favorevoli, non piace il suo atteggiamento, quindi passano dalla parte di Berlusconi (a cui cedono parte delle loro azioni, insieme all’altro ramo della famiglia). Diventa presidente della Mondadori e padrone di Repubblica, L’espresso, Panorama. Problema della concentrazione: alla fine Berlusconi deve rinunciare all’Espresso e Panorama che passa alla Cir di Debenedetti. La legge mammì nasce per sistemare la situazione: rende definitiva la normativa della legge dell’75 aggiungendo la possibilità della diretta per le reti private (una conquista per la Fininvest!). 10. Una legge postuma La legge Mammì è una legge che guarda all’indietro: praticamente condona quell’abusivismo televisivo cui il governo Craxi aveva applicato una proroga temporanea: legittima la parte privata del sistema e sancisce la convivenza fra le parti. Conseguenze della legge: • è sempre più difficile entrare nel duopolio: si vieta la proprietà incrociata di quotidiani ed emittenti (infatti Berlusconi lascia il Giornale al fratello). • Non si può essere contemporaneamente concessionari locali e nazionali: le tv locali rimarranno sempre tali. • Per quanto riguarda la tv pubblica ci sono scarse modifiche: non cambia il principio di amministrazione parlamentare della società; istituisce la figura del Garante per la Radiodiffusione e l’editoria, una figura monocratica, molto debole poiché il ministero delle Poste non gli trasferisce nessun effettivo potere. • Totale chiusura verso le nuove tecnologie (satellite e tv a pagamento) che vengono rimandate a futuri decreti. La legge intendeva regolare solo la radiotelevisione e risolvere i problemi che la classe politica aveva all’interno di esso, senza guardare alle telecomunicazioni. 11. Televisione a pagamento Mentre in Parlamento si dibatteva sull’approvazione della legge Mammì, spuntano in Italia le prime pay-tv. Manca infatti una regolamentazione. Visto che il cavo ancora non c’è, le trasmissioni sono trasmesse via etere, ma sono criptate, e visibili solo tramite un decoder. Difficilmente compatibile con entrambe le tecnologie è la pay per view (si paga solo il prodotto che si desidera vedere) che però si affermerà solo con l’arrivo del digitale. La Fininvest sta studiando un modo per entrare a far parte della tv a pagamento, ma in modo da non danneggiare l’iter della legge in corso (la legge Mammì non parla di tv a pagamento). La legge concede massimo tre reti nazionali ai privati (troppe per la tv generalista via etere, poche per la tv a pagamento). Qualche giorno dopo l’approvazione della legge, compare sugli schermi il marchio Telepiù (la Fininvest acquista frequenze e tra queste esce anche il nuovo marchio). Telepiù apparteneva a ben 10 soci, fra cui la Fininvest (moratti, mondadori, cecchi gori…), perché la legge Mammì aveva imposto che un concessionario tv nazionale non potesse avere partecipazioni superiori al 10% in altre emittenti. Inizialmente Telepiù trasmette in chiaro: Telepiù 1 trasmette soprattutto film prestigiosi, Telepiù 2 sport, Telepiù 3 programmi di cultura ed Mtv. Poi dal 1991 inizia la raccolta degli abbonamenti, e il segnale è criptato. Telepiù per il momento non avrà particolare successo (bisogna aspettare l’avvento del digitale). Motivi dell’insuccesso: i generi di programmi offerti al pubblico sono programmati gratuitamente, e in abbondanza, sulle reti generaliste; motivi interni alla politica aziendale, come l’elevato costo dei decoder, e il complicato meccanismo di pagamento trimestrale dell’abbonamento. 12. Notizie private La legge Mammì aveva anche imposto che le tv commerciali trasmettessero i tg, inserendosi in una nuova esperienza televisiva caratterizzata dalla diretta (che già nel 1988 con “Dentro la notizia” si era rilevato un insuccesso). Inoltre inserirsi nel mondo dell’informazione significava andare contro la comunicazione commerciale apolitica. Nonostante questo la tv commerciale ha dato vita a Tg di successo: 1991: Nasce il Tg4 di Fede, che trasmette per primo (in diretta anche se non poteva) l’annuncio della guerra nel Golfo. È un Tg che si ispira al modello parlato e conversazionale del talk show, dove Emilio Fede è appunto il personaggio principale, attorno a cui è costruito il Tg. La sua esperienza professionale (prima alla Rai, poi nella rete privata di Rete A e infine a Fininvest) gli permette di conferire al Tg un tono didattico: Fede spiega la notizia al pubblico più semplice. 1992: Un’esperienza felice è quella del Tg5 di Mentana, che da subito ha avuto largo seguito popolare: caratteristica principale è l’autonomia di interpretazione e selezione delle notizie: l’anteposizione dei fatti di cronaca davanti alle altre notizie. Tg5 sceglie e si conforma attorno a delle caratteristiche particolari: • sceglie i suoi orari per essere concorrente con i tg rai debolezza è la liquidità. Delle varie attività, infatti, solo l’esercizio cinematografico rende veramente, ma non è ancora sufficiente per gareggiare sul fronte dei diritti televisivi. 8. Da Fininvest a Mediaset Fra il 1993 al 1996 la Fininvest subisce una profonda trasformazione finanziaria, che ha preso il nome di “Progetto Wave”, culminata con la quotazione in borsa. Perno di questa trasformazione è stata la costruzione della sub-holding Mediaset (utilizzando la preesistente Mediaset) per riordinare le partecipazioni connesse all’attività tv, e con l’entrata in scena di nuovi soci e farsi quotare in Borsa. Così la fam. Berlusconi ha reperito nuovi capitali senza perdere il controllo della società. Cosi nel 1995 vengono collocate nel portafoglio di Mediaset pubblicità, produzione, broadcasting, diffusione del segnale (praticamente l’intera attività televisiva), mentre l’acquisizione di diritti televisivi viene curata dal capogruppo Mediaset. NEL MERCATO DELLE TELECOMUNICAZIONI (1996-2001) 1. Il Governo dell’Ulivo Nel 1996 viene eletto Prodi (Ulivo, centro-sinistra; divenne poi presidente del Consiglio), per prima cosa non reiterò i decreti par condicio e nemmeno propose delle leggi in tal senso (interpretato come gesto distensivo nei confronti dell’opposizione), inoltre tra le sue intenzioni c’è anche la privatizzazione della Rai (contenuto nel documento programmatico “tesi dell’Ulivo”). Ministro delle Poste fu nominato Antonio Maccanico, e un disegno di legge sulla tv faceva parte delle priorità del governo (su questo punto l’opposizione avrebbe dato del filo da torcere). L’opposizione vuole che la materia sia divisa in due disegni di legge: 1. il primo è dedicato alla liberalizzazione delle telecomunicazione e all’agenzia di regolazione del sistema. Fu approvato e divenne la legge 249/1997, che istituiva l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e stabiliva la liberalizzazione delle telecomunicazioni. 2. il secondo si occupava del sistema radiotelevisivo, e riguardava le spinose situazioni dell’affollamento pubblicitario e la diminuzione a due reti per ciascun soggetto. Non diverrà mai una legge, nemmeno dopo la caduta di Prodi. Caduto Prodi, il nuovo esecutivo D’Alema rallenta ancora di più l’esame del progetto di legge sulle tv: l’unica cosa che fa è riproporre la par condicio, che diventa la legge 28 del 2000. Ciò rafforza la convinzione che la scarsa determinazione del disegno di legge sulle tv vada ascritta soprattutto alla mancata coesione della maggioranza, divisa fra i fautori della privatizzazione e gli aspiranti riformatori. 2. La privatizzazione delle telecomunicazioni Nel 1982, negli USA, la Bell Telephone (Att) entra in causa per violazione della legge antitrust. Per evitare la condanna si fraziona in 7 società telefoniche regionali. È l’inizio della deregulation nelle telecomunicazioni, ma anche dell’integrazione fra informatica e telefonia (alla condanna dell’Att l’Ibm non era estranea). Così anche in Italia le Poste sono distinte dalle telecomunicazioni, e si iniziano ad introdurre forme di concorrenza (quando, nel 2000, l’Iri cessa la sua attività definitivamente). Nel 1994 Sip, Italcable e Telespazio sono fuse in una nuova società, la Telecom Italia, che inizia la sua privatizzazione, conclusasi nel 1997. il controllo è assunto dall’Ifil di Umberto Agnelli. Ma alla fine Ifil non riuscirà a guidare Telecom. Più che di una liberalizzazione, sarebbe corretto parlare di una privatizzazione contigua al sistema politico. 3. L’autorità per le comunicazioni La legge 249 del 1997 sancisce la convergenza fra televisione e telecomunicazioni: si creano così grandi alleanze fra industrie delle telecomunicazioni, fornitrici di connessione (network providers), e industrie dei contenuti (broadcasters, società discografiche, cinematografiche ed editori di giornali) che tendevano ad una dimensione globale (prima telefonia e radiotelevisione erano tenute distinte). Con questa legge si pongono le basi normative per la concorrenza nelle telecomunicazioni. Oltre a stabilire norme antitrust meno ridicole di quelle della legge Mammì, essa stabilisce anche che l’erogazione di servizi di telecomunicazione sia soggetta a semplice autorizzazione, mentre il più pesante istituto della concessione è limitato all’emittenza radiotelevisiva via etere. Una tv via cavo, o via satellite sono invece per la legge dei semplici servizi di telecomunicazione, esattamente come la linea telefonica e internet. Abbiamo visto che questa legge sancisce la liberalizzazione del servizio: tuttavia, poiché è necessario assicurare un servizio anche a chi vive nelle zone più sperdute, viene attribuita una concessione del servizio pubblico di telecomunicazioni, come avviene per il servizio pubblico radiotelevisivo: questa concessionaria è Telecom. In merito alla Rai e a Mediaset, la legge ha introdotto importanti prescrizioni, che però non sono mai state attuate: poiché un soggetto privato non può avere più del 20% delle reti, Rete 4 sarebbe dovuta passare sul satellite, ma così non è stato. Questo sarebbe stato compensato con la privazione della pubblicità per una delle reti Rai, ma anche questo non è accaduto. 4. Le avventure del cavo Negli anni 90 le reti in fibra ottica si sono sviluppate notevolmente in Italia. Le Ferrovie, l’Enel, e le società autostradali (che avevano già reti di vario tipo e quindi strisce di territorio) hanno ritenuto conveniente stendere, vicino alle loro reti, dei cavi in fibra ottica utili per necessità di comunicazione interna. Al momento della liberalizzazione delle telecomunicazioni, queste utilities (aziende che forniscono servizi pubblici come luce e gas) furono in grado di mettere sul mercato le loro capacità di connessione (maggiori rispetto alle necessità aziendali). Fra le più interessanti iniziative vi è quella assunta da Telecom, che ha lanciato l’ambizioso programma di cablaggio a fibre ottiche in Italia, chiamato progetto Socrate: prevede il cablaggio delle principali città e gestione di servizi telematici con contenuti civici (documenti, certificati…). Inoltre la tv via cavo avrebbe permesso di togliere le parabole dai tetti, ce rovinavano il panorama delle belle città. Questo progetto sarà poi abbandonato, anche per i costi. Solo Siena riuscirà a beneficiarne. Telecom costituisce anche una concessionaria di pubblicità editoriale e televisiva, la Mpp, che però viene subito chiusa. Viene inoltre creata Stream con una funzione di content provider della futura tv via cavo. Stream sperimenta il video on demand. Rappresenta la fase sperimentale per le trasmissioni via cavo e anche se ha già avuto fortissime perdite, non viene liquidata (come succede per la Mpp). 5. Hot bird II. Le nuove forme della tv a pagamento Nel 1995 all’offerta analogica di Telepiù è affiancato una rete digitale distribuita grazie al satellite Eytelsat II F1(che però copre solo l’Italia centro-settentrionale e per riceverla è necessaria un’antenna parabolica). Calcio di serie A e Formula 1 sono le novità a cui si affida Telepiù, che abbandona una delle tre frequenze analogiche su cui trasmette. Il successo di questa iniziativa è però modesto per via del prezzo eccessivo e la scarsa copertura. Nel 1996 avviene la svolta, quando il consorzio pubblico europeo lancia il satellite Hot Bird II, che ha un’area di ricezione che interessa l’intera Italia, e il suo segnale può essere ricevuto tramite una parabola di 70 cm poco costosa. La trasmissione dei dati è digitale, non analogica, e questo significa che un solo transponder può irradiare fino a dieci canali diversi (nel digitale c’è maggior compressione dei dati.) Con Hot Bird II cambia la politica di Eutelsat: prima il satellite era concepito per ripetere all’estero i canali di servizio pubblico. Eutelsat punta ad entrare nel campo della tv a pagamento, ed è in vantaggio rispetto ad Astra, suo concorrente, che non ha un satellite come Hot Bird. Da allora la storia della tv a pagamento in Italia cambia: i costi di distribuzione si abbattono, ed anche il progetto Socrate viene abbandonato perché fuori mercato. Collegando un modem alla linea telefonica ed al decoder posso comprare partite, film (forme di interattività con il pubblico). Dal 1997 al 2000 la tv a pagamento decolla fino a superare i 2 mln di abbonati. Anche Stream lancia intanto la sua tv digitale, che si avvale del satellite, ma gli elevati costi di impianto creano scontento. Entrambe le “piattaforme digitali” però sono in perdita nonostante la crescita degli abbonamenti: la gente va spesso al bar a vedere la partita, e si inizia a pensare a dar vita ad una piattaforma digitale unica. 6. La piattaforma digitale unica In Italia si stava discutendo se dare vita a una piattaforma unica nazionale o a più piattaforme digitali in concorrenza (il Governo puntava verso questa direzione). I primi accordi fra Telecom e Rai risalgono al 97, e si prospettava la partecipazione anche di Cecchi Gori, Mediaset e Canal Plus (praticamente tutti i soggetti della tv). Alla fine questa trattativa non è mai andata in porto soprattutto per il fatto che non si partiva da considerazioni di mercato, ma per via che non si poteva pensare che l’Italia rimanesse fuori dalla tv digitale, per motivi di prestigio internazionale. Ma dato che i ritorni del progetto erano incerti, si decise di spartire il rischio tra grandi aziende para-pubbliche, che non potevano tirarsi indietro. Però la proposta della piattaforma unica, creava alcune perplessità alle Autorità antitrust (insieme delle norme giuridiche poste a tutela della concorrenza sui mercati economici) e della Commissione europea, perché, così facendo, ci sarebbe stato un impedimento alla concorrenza. Alla fine del 1997 era chiaro che creare una piattaforma digitale unica avrebbe creato problemi legali e si sarebbe ricorsi in sede europea. Telecom e Rai decidono quindi di andare avanti da soli e siglano un secondo documento comune, che però Telecom, una volta privatizzata, dimenticherà subito cercando nuovi partner per la concorrenza con Telepiù. Alla fine del 97 nascono tre canali satellitari in chiaro con il logo Raisat: Raisat 1(spettacolo), Raisat 2 (ragazzi), Raisat 3 (cultura), Raisat Nettuno (lezioni universitarie). Seguiranno poi altri canali come Raisat Album e Gambero Rosso Channel. Sono tutti canali gratuiti ricevibili da chiunque abbia antenna e decoder, e questo escluderà la Rai da altri progetti di tv a pagamento. Abbandonata da Telecom, la Rai tratta con i francesi di Canal Plus che controllano Telepiù, che alla fine del 98 firma con Rai un accordo in base al quale la Rai potrà gradualmente accedere al 10% del capitale di Telepiù fornendo prima 6 canali (1999), destinati al pacchetto basic di Telepiù, ealtri 5 nel 2000. Alla fine però la rai acquisisce solo 1%. Diverso il tentativo di ingresso in Telepiù da parte della Wind (società di telecomunicazioni dell’Enel, ancora pubblica) in nome dell’integrazione fra telefonia fissa e cellulare e tv dall’altra. Questa operazione sarà contrastata (in particolare da Mediaset) e quindi la trattativa fallirà. 7. Calcio e tv digitale Intanto la News corporation di Murdoch si affaccia sul mercato italiano: intende trasformare Stream in una piattaforma molto più solida, affidando la sua crescita soprattutto alla pay per view calcistica. Responsabile dello sviluppo europeo di News Corporation è la Moratti (l’intesa sarà breve). Punta ad un accordo con Telecom per entrare in Stream ed acquisire la totalità dei diritti tv del calcio italiano, ma l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni si oppone stilando una lista di eventi dei quali deve essere assicurata la libera visione a tutto il popolo italiano (un elenco culturalmente mediocre n quanto erano compresi eventi sportivi e il Festival di Sanremo). Così il Governo di centrosinistra fa approvare un decreto (legge 78/1999, o anche detto anti-Murdoch) con lo scopo di bloccare l’ingresso della News Corporation sul mercato italiano (per questo motivo Murdoch decide di rompere con la Moratti). Murdoch però continua ad insistere con Telecom per ottenere Stream, di cui acquisisce il 35% nel 99. Le altre quote sono di telecom, cecchi gori e della sds. La sds è una società per azioni gestita e controllata dai club calcistici Roma Lazio e Parma, le cui partite costituiscono l’offerta calcistica pay per view di Stream. I ricavi derivati dagli abbonamenti diventano sempre più inferiori rispetto a quelli che ora arrivano dai diritti di ripresa della partita (sia in chiaro che in modalità pay). La tv digitale riesce a imporre le proprie regole e, cosa eccezionale, riesce anche a cambiare l’orario delle partite e introdurre l’anticipo di una partita e il posticipo di un’altra. Inoltre il calcio si presta bene all’estetica della tv digitale e alla sua ricerca di perfezione tecnica per differenziarsi dalla tv generalista. 8. L’ascesa di Rupert Murdoch Gli abbonati di Stream crescono sensibilmente nella seconda metà del 99 (in particolare per lo sport: infatti il 75% dei nuovi abbonamenti sono per il calcio). Ma i numeri sono ancora insufficienti. Sebbene gli abbonati aumentino, la crescita è troppo lenta per entrambe le piattaforme, complice anche la pirateria. A fronte della scarsa redditività delle due società, riprendono i tentativi di fusione delle due piattaforme. Bisogna valutare chi sarà l’unico proprietario dell’unica pay tv: nell’estate 2001 iniziano le trattative tra le due piattaforme, che sembrano concludersi con l’acquisto di Stream da parte di Telepiù, che però viene osteggiato dall’Autorità antitrust. Quindi è ora la News Corporation che acquisisce l’intera Telepiù. Gli esiti non sono ancora definitivi, ma probabilmente, visti i numeri, due piattaforme per il mercato italiano sono troppe. Di questa mancata crescita si da generalmente responsabilità allo splendore della tv generalista in chiaro. In realtà alla tv a pagamento manca una vera immagine pubblica, a differenza della tv generalista: è fallito il tentativo di creare una tv di nicchia. Un esempio della mancanza di un’immagine pubblica è data dalla non accettazione dell’adozione di un decoder unico (che aiuterebbe invece a farsi accettare meglio dagli abbonati). Uno sforzo verso il decoder unico è stato fatto dalla classe politica e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che, tramite un decreto legislativo e due delibere deell’Autorità, riescono a ottenere nel giugno 2001 il decoder unico (che però non possiede ancora i servizi interattivi, che sono la parte più qualificata della piattaforma). 9. La Rai e la “qualità televisiva” La Rai degli anni Novanta non si caratterizza per qualche novità di contenuto e di formato. L’ultima proposta forte è stata quella di Raitre con la tv realtà, che nei suoi ultimi anni ha dato vita a trasmissioni più morbide,
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