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Temi did della matematica, Esercizi di Didattica Della Matematica

Tracce svolte dei temi di didattica della matematica

Tipologia: Esercizi

2020/2021

Caricato il 22/04/2021

mariadomenica-glorio
mariadomenica-glorio 🇮🇹

4.4

(8)

4 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Temi did della matematica e più Esercizi in PDF di Didattica Della Matematica solo su Docsity! Temi didattica della matematica: TEMA TANGRAM Il tangram è un gioco rompicapo millenario che proviene dall’antica Cina . E’ costituito da sette tavolette (dette tan) inizialmente disposte a formare un quadrato . I sette tan sono due triangoli rettangoli grandi , un triangolo rettangoloo medio e due piccoli , un quadrato ed un parallelogramma . Lo scopo del puzzle è quello di formare una figura utilizzando tutti i pezzi senza sovrapposizioni . Altre varianti del gioco prevedono la dimostrazione dell’’impossibilità di un determinato tangram . Tangram potrebbe derivare da tang , il nome cinese significa le sette pietre della saggezza , perché si diceva che tutte le persone molto brave in questo gioco sarebbero diventate sagge e di talento . La leggenda all’origine di questo gioco narra che un monaco donò ad un suo discepolo un quadrato di porcellana e un pennello. Portandolo in giro per il mondo l’allievo doveva rappresentare su di esso attraverso i colori le bellezze che incontrava. Sfortunatamente il quadrato cadde e il discepolo si trovo con 7 pezzi separati, capì però che anche con quelli poteva rappresentare il mondo al meglio, l’importante era saperli accostare tra di loro nel modo giusto. Nacque così il gioco che si è tramandato fino ad oggi. Si tratta di un gioco innovativo e stimolante che consente di intuire i concetti di conservazione di area e di confronti di aree , attraverso l’esperienza concreta. All’interno del gioco , al fine di comporre una figura geometrica , è possibile spostare le tessere per ottenere le figure con forme diverse . L’insegnante che sceglie di attuare questo gioco in classe , deve sollecitare a riconoscere , ed evidenziare l’equivalenza delle figure confrontando le diverse forme ottenute in precedenza .Gli obiettivi didattici di questo gioco possono essere i seguenti : raffigurare con forme geometriche,operare con figure piane , riconoscere le figure geometriche piane , anche se diversamente orientate nel piano , confrontare superfici , sperimentare fenomeni di conservazione delle superfici , eseguire traslazioni ,rotazioni e ribaltamenti , realizzare composizioni di isometrie . Un gioco come il Tangram , quindi offre diversi vantaggi, è in grado soprattutto di stimolare l’immaginazione e la creatività grazie al fatto che i vari pezzi che lo compongono possono essere sapientemente assemblati in diverse forme realizzando così figure di ogni genere. L’importante è non barare: ogni figura deve essere infatti creata utilizzando tutti e 7 i pezzi del Tangram. Esistono poi delle varianti al classico gioco pensate per i bambini più piccoli alle prese con forme e colori che possono essere utilizzate per stimolare la loro fantasia e realizzare degli originali puzzle. Con i pezzetti di legno i bambini si divertiranno a creare figure diverse allenando la loro capacità logica ma anche migliorando le loro percezioni grafiche e dello spazio.I vari oggetti, animali o figure geometriche che si possono realizzare possono servire anche ad illustrare storie per i più piccoli. Tra l’altro si riescono anche a creare figure molto articolate e apparentemente “vive”, illusioni ottiche in grado di stimolare ancora di più l’immaginazione e l’espressività. È possibile infatti lasciare i bimbi liberi di sperimentare e creare le loro forme, oppure rendere più stimolante il gioco con delle tessere con figure già create e coinvolgere i vari giocatori a realizzare una figura nel minor tempo possibile o ancora, per i più piccoli, creare schemi con la stessa dimensione delle forme in cui far inserire i vari pezzi, a mo' di puzzle. Il Tangram originale classico è, come abbiamo detto, quello composto da soli 7 pezzi che vanno a formare il quadrato e con essi è possibile creare oltre 100 figure. È possibile trovare le versioni o in legno, colorate o "al naturale", di diverse dimensioni . Oltre alle varianti del classico gioco, è possibile trovare costruzioni, in legno o magnetiche, che riprendono il principio del tangram. E’ possibile trovare o realizzare schemi con le varie figure o lasciare i bimbi liberi di crearne delle proprie, anche con i pezzi, sempre in legno, ma colorati.Un’idea carina in più per far giocare i bimbi che abbiamo utilizzato è quella di stampare gli schemi su dei fogli, plastificarli e poi applicare gli straps maschi e femmine (uno sul foglio e l’altro sul pezzetto di costruzione) in modo da realizzare un originale puzzle. Come imparare la matematica con i LEGO? I lego, i famosissimi mattoncini frutto della ingegnosa creazione del falegname danese Ole Kirk Christiansen nel lontano 1949, sono molto più di semplici giocattoli per i bambini , infatti rappresentano uno strumento davvero geniale per imparare la matematica. Innanzitutto, la parola “LEGO”, , non allude alla loro possibilità di essere incastrati, quindi “le-gati”, ma proviene dall’unione delle parole danesi “legt godt” che significa “gioca bene”. Ma ciò che appare ancor più sorprendente è il fatto che, se utilizzati regolarmente in classe, possono aiutare a sviluppare abilità matematiche nei bambini. Le regole dell’incastro permettono di lavorare sulla geometria, sulla simmetria, sull’architettura, sulla matematica, sull’intelligenza spaziale . Imparare la matematica con i lego è possibile, poiché tali strumenti sono in grado di insegnarla divertendosi. Si tratta di Un approccio pedagogico innovativo che sta diventando di grande tendenza per impartire lezioni di matematica. Il gioco dei Lego è un gioco di costruzione , che fa appello alla creatività dei bambini che giocano secondo il loro senso logico. La costruzione infatti è un processo che richiede regole di montaggio ma anche a regole di simmetria, architettura, logica.I LEGO contribuiscono di conseguenza a sviluppare la fantasia dei bambini la loro intelligenza spaziale. matematica .Questo passaggio è necessario ed è mediato dall’insegnante , non dall’artefatto . CONTARE:PROCESSO MATEMATICO COMPLESSO Nella società attuale i bambini si trovano immersi in un ampia varietà di numeri e di simboli matematici che cercano di leggere ed interpretare attribuendone significati. La costruzione del concetto di numero è un processo molto lungo e complesso,un'impresa che i bambini realizzano sotto l'influenza della famiglia,dell'ambiente socio-culturale in cui sono inseriti e della scuola. I bambini giornalmente chiedono ai genitori i soldi per comprare le figurine,fanno la spesa con la mamma e sanno l'ora del loro cartone preferito;tutto ciò gli permette di familiarizzare con le questioni numeriche. E' importante che un'insegnante verifichi bene prima di affermare che un bambino sappia contare solo perché ripete i numeri da 1 a 10 in modo corretto poiché il bambino inizialmente elenca i numeri in maniera meccanica e come se recitasse una cantilena, lo fa anche in modo corretto ma non comprende effettivamente perché ripete in questa successione,ovvero non ha chiaro perché il 2 viene prima del 3 e dopo l 1.All'inizio comprende solamente i concetti uno-tanti ma solamente dopo comprende realmente la sequenzialità numerica. L'intelligenza numerica è la capacità di manipolare,capire,ragionare attraverso il complesso sistema cognitivo dei numeri e delle quantità. Il CONTEGGIO all'inizio passa da due step,inizialmente quando viene chiesto al bambino di contare degli oggetti quest'ultimo sente il bisogno di toccarli e di separarli. Più avanti li tocca ma non li separa poiché la separazione avviene virtualmente. Se l'insegnante gli chiede di non toccarli il bambino li indica, se gli si chiede di non indicarli il bambino utilizzerà la testa e poi gli occhi. Tutto questo perché come affermano gli studi delle due autrici Alibalii e Di Russo i bambini contano gli oggetti in modo più accurato quando usano i gesti,poiché i gesti aiutano il bambino a tenere traccia degli oggetti contati e aiutano a coordinare l'espressione delle parole-numero con l'indicazione degli oggetti. Gran parte delle ricerche pubblicate negli ultimi venticinque anni sulle conoscenze aritmetiche dei bambini in età prescolare, trovano le loro basi teoriche nel libro The child’s understanding of number, pubblicato da Rochel Gelman e C.R.Gallistel nel 1978. Il principio di iniettività (the one-one principle) Ogni modello del contare che conosciamo presuppone l’uso di quello che noi chiamiamo principio di iniettività (the one-one principle). L’uso di questo principio consiste nell’appaiare gli oggetti di uno schieramento con segni distinti (etichette, numerons, numerlogs11) in modo tale che uno e un solo segno sia usato per ogni oggetto nello schieramento. Il bambino deve dimostrare almeno l’uso di un principio ulteriore – il principio dell’ordine stabile. Le etichette (numerons)che usa per etichettare gli oggetti di uno schieramento devono essere ordinate o scelte in u ordine stabile – cioè ripetibile. Così oltre a essere capace di assegnare le etichette (numerons) e fare ciò in un ordine fisso, il bambino deve essere capace di tirar fuori l’ultima etichetta (numeron) assegnata e indicare che essa rappresenta la numerosità dello schieramento. Da qui in poi il bambino inizia ad utilizzare la sua mano poiché contare sulle dita suggerisce l'idea di successione. Così la mano incorpora gli aspetti cardinale e ordinale del numero. ESEMPIO:Se l''insegnante chiede al bambino di fare 3+4 questa consegna può essere eseguita in diversi modi: -rappresentare il primo addendo su una mano e il secondo addendo sull’altra ed infine contare tutto insieme con lo sguardo; - rappresentare il primo addendo su una mano, aggiungere progressivamente altre dita, anche ricorrendo all’altra mano, contando in avanti. Il sapere in gioco, in questo caso, riguarda sia la rappresentazione, il conteggio, la corrispondenza biunivoca, sia diversi significati di addizione come operazione binaria (a partire da due addendi che svolgono un ruolo “simmetrico” si ottiene la somma) e come operazione unaria (su uno stato, il primo addendo, si applica un operatore, il secondo addendo). Bambini diversi possono operare sulle mani in modi diversi (diversi schemi d’uso) mostrando, in atto, diversi significati matematici.Possiamo dire che, quando l’insegnante sfrutta il potenziale semiotico dell’artefatto mani, il bambino è incoraggiato ad utilizzarle per rispondere ad una consegna, mentre l’insegnante lo usa con l’intenzione didattica di sviluppare significati matematici. Tuttavia il contare con le mani (indipendentemente dal fatto che il conteggio sia più o meno corretto) è senz’altro un’esperienza significativa e generalizzata per i bambini che accedono alla scuola primaria. E’ valorizzando questo “sapere” che, fin dai primi giorni di scuola, l’insegnante in molteplici occasioni invita gli allievi a contare con le mani, inoltre con l’intenzione di far emergere la loro “voce” assegna la seguente consegna: “Disegna le tue mani mentre contano”. Tutti i bambini scelgono di disegnare le mani tracciandone sul foglio il contorno. Le loro produzioni, all’inizio del mese di novembre, mostrano la capacità di correlare in modo sequenzialmente corretto dita e simboli numerici MISCONCEZIONI E OSTACOLI ALLA SCUOLA DELL’INFANZIA E ALLA SCUOLA PRIMARIA,ESEMPI E ASPETTI TEORICI. In ambito didattico si parla di MISCONCEZIONE e di OSTACOLO. Le MISCONCEZIONI sono intuizioni scorrette,fraintendimenti,concezioni errate che coesistono nella mente di uno studente insieme alla conoscenza formale che ha acquisito in un secondo momento.Quando uno studente commette un errore,non necessariamente vuol dire che manca di conoscenza rispetto a quel determinato argomento ma questo errore può derivare proprio da una misconcezione poichè il primo vero contatto che un individuo ha con la matematica avviene a scuola ed è proprio in questo ambito che si cominciano a creare le prime misconcezioni derivanti da un'errata interpretazione dei messaggi dell'insegnante. Quindi una MISCONCEZIONE è un concetto errato e costituisce genericamente un evento da evitare ma non va sempre interpretata come una situazione del tutto negativa perché non è escluso che per poter raggiungere la costruzione di un concetto è necessario passare attraverso una misconcezione momentanea ma in corso di sistemazione, per cui, citando d’Amore “farsi un modello di un concetto, dunque, significa rielaborare successivamente immagini (deboli, instabili) per giungere ad una di esse definitiva (forse stabile).” Il MISCONCETTO è sotteso ad un errore. Fa riferimento ad un qualcosa che è corretto fino ad un determinato momento di conoscenza e diventa scorretto quando il concetto viene ampliato. Quindi un concetto frainteso che è vero fino ad un certo punto ma che poi diventerà falso. ESEMPIO: In una classe prima l’insegnante dice al bambino che 5-8 non si può fare, ma andando più avanti il bambino scopre il contrario. ALTRO ESEMPIO: Il caso della sottrazione: Spesso nella sottrazione molti bambini sbagliano perchè applicano in modo errato degli algoritmi corretti. Esempio( Esempio Brown e Burton, 1978): Una bambina di nome Johnnie sottrae 284 da 437 ottenendo 253.La maestra, vedendo questo risultato, pensa che l’allieva abbia soltanto dimenticato di sottrarre 1 da 4 nella colonna delle centinaia, e glielo fa notare, ma l’alunna non capisce in quanto il suo algoritmo consisteva nel sottrarre la cifra più bassa dalla cifra più alta nella stessa colonna. Quindi il suggerimento che la maestra da a Johnnie non la aiuta, ma, anzi, la confonde ancora di più perchè lei non sta sullo stesso percorso risolutivo della maestra, ma su un percorso alternativo. Per quanto riguarda l’OSTACOLO, la parola a livello semantico significa qualcosa che si oppone ad un cammino e quindi costituisce un impedimento. Sembrerebbe a questo punto indicare qualcosa di prettamente negativo e nel caso della conoscenza, sembrerebbe corrispondere a qualcosa che impedisce e tenta di impedire tale costruzione. Brousseau sostiene che un ostacolo non è necessariamente una mancanza di conoscenza ma bensì una conoscenza. L’ostacolo è generalmente un’idea che al momento della formazione di un concetto, è stata efficace per risolvere dei problemi precedenti ma che si rivela fallimentare nell’affrontare un problema nuovo. Essendo Ogni persona che ricopre oggi il ruolo di insegnante, a partire dalla SDI sino a giungere ai gradi più alti dell’istruzione, deve possedere specifiche competenze, oltre a possedere un notevole bagaglio conoscitivo, deve possedere competenze progettuali che gli consentono di mettere a punto attività funzionali all’apprendimento, competenze valutative che gli permettano di monitorare l’andamento e valutare l’esito del processo formativo; deve essere anche in grado di motivare gli alunni, gestire le relazioni e realizzare attività educative e didattiche significative. L’insegnante, dunque, è una figura complessa che assume ruoli differenti a seconda della situazione in cui si trova; anche se la veste che non dovrebbe mai smettere di indossare è quella di mediatore. l’insegnante, infatti, attraverso il dialogo con gli alunni diviene mediatore facilitando la loro comprensione, attraverso degli stimoli adeguati e spingendo gli alunni ad elaborare attivamente la conoscenza in maniera da giungere ad un altrettanto attivo apprendimento. la figura del mediatore consente di far si che non vi sia un’imposizione di conoscenza o una pretesa di sapere; l’insegnante non vuole né trasmettere il sapere in modo passivo, né imporre dei contenuti (motivo per cui lasci liberi gli alunni di elaborare in modo personale le conoscenze). Naturalmente il ruolo dell’insegnante cambia a seconda del contesto in cui si trova; citando la Teoria delle Situazioni di Brousseau, l’insegnante può trovarsi, quindi, in situazioni “didattiche” o “a-didattiche”. La prima tra queste è quella in cui l’obiettivo didattico viene espresso in modo esplicito, come se insegnante e alunno giocassero a carte scoperte. In questo caso l’insegnante esplicita, ancora prima di presentare il contenuto, lo scopo cognitivo da raggiungere, di conseguenza, cerca di raccogliere tutte le proprie energie al fine di raggiungere l’obiettivo: ciò che però, talvolta, spinge l’alunno ad impegnarsi così tanto è una motivazione errata, in quanto il soggetto agisce non tanto per apprendere, ma quanto per dimostrare all’insegnante di aver compreso e appreso quanto l’insegnate gli ha trasmesso. Nella situazione a- didattica, invece, il docente non esplicita preventivamente lo scopo didattico: egli propone l’attività e l’alunno la affronta senza nemmeno sapere se esiste un obiettivo da raggiungere. Qui, dunque, il ruolo dell’insegnante come mediatore si fa sentire maggiormente, dando vita ad una sorta di rottura del contratto didattico. Il contratto didattico esiste anche nella situazione a-didattica perché bisogna osservare le regole che vanno a definire quella situazione di cambiamento. Questo determina una differenza tra il contratto didattico alla scuola dell’infanzia e alla scuola primaria. Alla scuola primaria il contratto didattico è centrato sul rapporto insegnante-allievo ed è agganciato alla figura professionale. È difficile da rompere, solo attraverso le situazioni a-didattiche, si potrebbe creare questa possibile rottura. Naturalmente questo contratto si riformerà, anche perché è quasi impossibile stabilire una didattica senza un contratto didattico. Una volta che il legame si rompe, quello che si viene a ricostruire successivamente, risulterà sempre più debole. Pertanto, l’insegnante deve sempre provare a rompere questo contratto, creando così dei conflitti cognitivi ed evitando l’errore. Dal conflitto nasce la competenza. Nelle situazioni didattiche, il contratto didattico gioca un ruolo determinante, che inibisce, blocca la costruzione dell’apprendimento; nelle situazioni a-didattiche l’insegnante tenta sempre la devoluzione, ovvero, affidare agli allievi la responsabilità della costruzione della conoscenza di un certo sapere. Caratteristica centrale dell’insegnante-mediatore è la capacità di decentramento: il protagonista deve essere l’alunno, mentre, l’insegnante deve riuscire a condurlo nella giusta direzione, fungendo da guida, da modello. Nella situazione a-didattica, quindi, l’insegnate diventa mediatore tra la conoscenza spontanea e quella istituzionalmente accettata. Nella presentazione dei solidi alla SP, ad esempio, il mediatore non inizierà la lezione partendo dall’inerte definizione ma , al contrario, partire da un’attività pratica, come ad esempio, lo scheletrato e procederà seguendo attentamente gli alunni e li guiderà pur lasciando loro la libertà di esplorare e manipolare gli oggetti, farli propri, sbagliare e rimediare. Si viene a formare un’educazione cognitiva, in cui il mediatore pone le fasi per il verificarsi di questo tipo di attività, avendo come obiettivo quello di aiutare gli alunni a scoprire da soli le conoscenze, e generalizzarle, ponendo domande stimolo durante l’esecuzione dell’attività e valutando i processi cognitivi messi in atto dai bambini. Il mediatore, infatti, qualora l’alunno desse una risposta sbagliata e eseguisse una determinata attività non corretta, dovrebbe guidare e condurre l’alunno a riflettere su ciò che sta facendo, per fargli comprendere in autonomia dov’è l’errore. L’atteggiamento da evitare in queste situazioni da parte del docente è quello di correggere e ammonire dando egli stesso la soluzione. Pertanto, l’alunno deve poter sbagliare in tutta tranquillità ed imparare dagli sbagli commessi. Senza dubbio è errato ritenere che chiunque possa ricoprire la carica di educatore, in quanto, il ruolo dell’insegnante non è per nulla semplice: oltre all’enorme responsabilità di avere affidato le cure dei bambini, sono numerose e diverse, le competenze che un buon insegnate deve possedere ; tutte, allo stesso modo, devono essere potenziate per permettere lo sviluppo dell’alunno in tutte le sue dimensioni: cognitivo, educativo e culturale. Per essere buoni insegnanti di matematica bisogna “saper trasporre”: cioè bisogna essere in grado di trasformare il sapere in oggetto di insegnamento, in funzione del pubblico e delle finalità didattiche che ci si pone. La trasposizione, d’altronde, non è mai un atto unico per tutti noi, ma ogni volta è creativo e originale, e strettamente legato alle singolarità degli allievi e alla specificità delle situazioni reali in cui operiamo. Un buon docente si pone sempre moltissime domande ed evita di dare per scontati elementi e processi che ogni volta, invece, richiedono di essere chiarificati e analizzati. È opportuno dunque che un insegnante professionista tenga sempre aperto un canale di comunicazione con la ricerca didattica internazionale, attraverso la lettura di riviste scientifiche specializzate e con la frequenza di seminari e convegni che aprano la sua mente alla conoscenza dei temi che sono all’attenzione degli studiosi e che permettano di familiarizzare con quel linguaggio specialistico e condiviso creato lentamente e profondamente dalla comunità dei ricercatori.
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