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Tesi di laurea sulla disabilità, Tesi di laurea di Sociologia

Tesi che verte sulla tematica della disabilità analizzata attraverso una prospettiva sociologica e un analisi storica. Tutto ciò condito ovviamente da ipotesi di politiche differenti e ovviamente di inclusione sociale.

Tipologia: Tesi di laurea

2014/2015

Caricato il 24/08/2015

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Scarica Tesi di laurea sulla disabilità e più Tesi di laurea in PDF di Sociologia solo su Docsity! UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SALERNO Dipartimento di Scienze politiche, sociali e della comunicazione Corso di Laurea in SOCIOLOGIA Prova finale in STORIA DEL PENSIERO SOCIOLOGICO Disabilità: percorsi storici e implicazioni sociologiche di una diversa sensibilità Relatore Nicola Maria Raffaele Rauty Candidato 1 Antonello Belmonte Matricola 0312300544 INDICE INTRODUZIONE 1 CAPITOLO I La storia e le normative sulla disabilità: “Comprendere il presente mediante il passato” 4 1.1 La prima metà del ‘900 5 1.2 Dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1945) alla convenzione delle nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità (2006) 7 1.3 Ratifica europea della convenzione Onu e strategia per il futuro 14 1.3.1 Una strategia per il futuro 16 CAPITOLO II Storia delle politiche italiane 21 2.1 Una politica di separazione 22 2.2 La legislazione dagli anni 70 23 2.3 Dalla legge quadro del 92 ai giorni nostri 25 2.3.1 Collocamento mirato e politiche di inclusione lavorative 28 2.3.2 Inserimento professionale dei disabili: la corte europea condanna l’Italia 30 2.4 Osservazioni conclusive 32 2 un servizio di counseling psicologico, che è certamente a disposizione di tutti gli studenti dell’ateneo, ma è particolarmente indirizzato a questa fascia delicata. Questo lavoro è stato per me, oltre che occasione di formazione e di crescita, anche possibilità di incontro e confronto con una realtà così vicina e così spesso poco conosciuta. Ho incontrato giovani con le mie stesse capacità e ambizioni, con storie da raccontare altrettanto straordinarie; quello che invece non ho riscontrato sempre tra i miei coetanei giudicati normali è la grande capacità di affrontare il dolore e un senso di attaccamento alla vita che fa questi uomini più uomini. Ho visto le famiglie di questi ragazzi (e la famiglia che vive un disagio non è sempre accompagnata e protetta dalle istituzioni), guardare a questo servizio con la speranza che anche questi figli straordinari trovino una loro collocazione nel mondo. Leggevo da qualche parte che alcuni celeberrimi personaggi, come Freud, Frida Khalo, Einstein, Walt Disney, che col loro operato hanno lasciato indelebili tracce nel mondo, erano affetti da una qualche forma di disabilità. Quello che un diversamente abile vuole è riuscire a realizzare la propria normalità. Sicuramente quello di cui non ha bisogno per questo è la nostra stupida compassione, la nostra carità, il nostro falso buonismo. Ho visto a tal proposito un film francese del 2011 Intouchables, Quasi amici: il tetraplegico coprotagonista di questa pellicola, nonostante le opposizioni di chi lo circonda, assume un giovane pericoloso con precedenti penali, perché nonostante dimentichi spesso le nozioni fondamentali di assistenza, riesce a fare ciò in cui nessuno è stato in grado mai: trattarlo per quello che è e nonostante tutto riuscire a fargli rivivere emozioni ormai perdute. In conclusione, dunque, la mia tesi non vuole aggiungere altra carta alla vasta letteratura sulla disabilità, ma raccontare una problematica da un punto di vista prima storico e poi sociologico, che è quello umano. E l’umano si sa è variegato per fortuna e nessuno è più diverso di un altro: siamo tutti alla ricerca di una normalità, sebbene a livello sociale qualcuno già ce l’abbia e qualcun altro no. 5 1. LA STORIA E LE NORMATIVE SULLA DISABILITA’ : “Comprendere il presente mediante il passato” Ritengo indispensabile, ai fini di questa tesi, tracciare una breve linea storico-temporale tale da consentirci di scorgere le varie evoluzioni che il tema della disabilità fisica e psichica hanno subito lungo il tempo. Sappiamo bene che il concetto della disabilità, cosi come qualsiasi altro concetto e fenomeno sociale, deve essere studiato e analizzato essendo consapevoli ed informati sul percorso storico. Parlare della disabilità come fenomeno sociale potrebbe risultare per molti un errore. Ma bisogna pensare al fatto che le cause della disabilità sono state molteplici nel corso della storia e a come nelle diverse epoche si siano trasformati i pregiudizi, le paure e le forme di stigmatizzazione, per capire come disabilità e fenomeno sociale non siano poi così lontani. Tutt’altro. D’altronde è stato uno dei capostipiti della sociologia, Emile Durkheim, ad individuare in un atto totalmente individuale, come il suicidio (1897), una vera quanto giusta corrispondenza tra quest’ ultimo e un fenomeno sociale. Sarebbe quindi da ottusi “non porsi in una prospettiva sociale nel considerare analiticamente un ampio novero di tragedie o drammi individuali, sia nelle loro cause, sia nel trattamento”. ( Schianchi,2012,p.206) 6 Un percorso storico, come dicevo, quello della conquista dei diritti per i portatori di disabilità, segnato da lotte e spinte che hanno portato questo tema oggi ad essere oggetto delle principali politiche nazionali ed internazionali. L’importanza di un’analisi storica si evince nel momento in cui ci poniamo nell’ottica di voler conoscere meglio la disabilità stessa e la storia, quindi, “ diventa uno degli approcci utili a comprendere, insieme ad altre discipline e ai loro metodi, una questione tanto complessa e articolata come la disabilità che […] innesca tante questioni sociali e culturali nel vissuto dei singoli e delle collettività…” (Schianchi,2012,p.16) Partire da questa prospettiva analitica, che diventa anche culturale e soprattutto politica, ci permette di uscire dal presente; il principale beneficio che comporta questa uscita è, paradossalmente, la comprensione del presente del stesso, come infatti sottolineava Marc Bloch nel lontano 1969 : bisogna “comprendere il presente mediante il passato” ( Marc Bloch, 1969,p.54 ). A livello sociologico questa premessa ci consente di utilizzare al meglio quell’atteggiamento mentale che tanto è caro alla neofita scienza : l’immaginazione sociologica. Questo concetto, introdotto da Charles Wright Mills1, vuole avere lo scopo di indirizzare verso un’attitudine intellettuale che sia capace di vedere le più ampie strutture sociali e la relazione tra quest’ultima con la storia e la biografia, al di là del proprio ambiente e del vissuto soggettivo. In questo specifico caso ritengo quindi, usando le parole di Schianchi2, che: “ Insieme ad altre discipline la storia può contribuire a denaturalizzare la condizione della disabilità, cioè a considerarla una condizione socialmente costruita”. Questa affermazione ci porta a prendere in considerazione un altro interessante concetto sociologico : quello della realtà come costruzione sociale, concetto descritto da Berger e Luckmann. Proverò 1 Charles Wright Mills (Waco, 28 agosto 1916 – West Nyack, 20 marzo 1962) è stato un sociologo statunitense. È ricordato soprattutto per aver studiato la struttura del potere negli Stati Uniti nel suo libro Le élite del potere. Tale struttura secondo Mills è costituita dalla triade della élite economica, di quella politica e di quella militare. 2 Matteo Schianchi studia storia della disabilità all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi e collabora con la Federazione italiana per il superamento dell’handicap ( FISH ). 7 Tuttavia in questo momento storico una prima sensibilità è nata e, sebbene con le sue mille imperfezioni e disuguaglianze, mira comunque ad espandersi attraverso le coscienze collettive e alle politiche future. Ma con l’avvento dei regimi reazionari di massa, il mito della razza ariana, e comunque quello della gioventù “sana”, cancella in pochi anni quello che si era iniziato a costruire e riporta l’Europa alla preistoria: i disabili, sottratti a ogni considerazione di civiltà, insieme agli ebrei, agli omosessuali, agli zingari, vengono espulsi dalla società e in moltissimi casi eliminati nelle camere a gas. Nel regime nazista la logica della salvaguardia della razza ariana imponeva la messa in moto di un sistema che avrebbe portato alla selezione dei soggetti disabili/inutili, e pertanto impuri, al fine di inserirli nel programma di eutanasia, prelevarli dagli istituti di cura con autobus dai vetri oscurati e trasportarli nei luoghi dell’eliminazione. “Un sistema che pur restando segreto fino agli ultimi livelli della catena, coinvolge numerosi soggetti del personale medico e sanitario, passa per funzionari e burocrati del comitato del Reich dove sono prese le decisioni sui bambini [e adulti] da mandare a morte”6 (Schianchi, 2012,p.193) Come è ben noto alle cronache, l’ideologia nazista contamina e, se vogliamo, si sposa con quella fascista. In Italia il pensiero eugenetico e i dibattiti su quest’ultimo sembravano assumere toni più moderati rispetto alla Germania nazista, ma l’avvicinamento politico delle due potenze modifica sostanzialmente la situazione, partendo dal 1930 quando il fascismo irrompe sulle prime forme di organizzazione da parte delle associazioni di categoria (vietando per esempio a quelle dei sordomuti di convocare convegni nazionali), sino ad arrivare alle antisemitiche leggi razziali del 1938. “Nel consueto binomio inabilità-improduttività, nell’immaginario sociale e collettivo la menomazione corporea rappresenta ancora lo stigma più scomodo. Gli individui che ne sono portatori sono spesso considerati soggetti antisociali” (Schianchi, 2012,p.197) 1.2 DALLA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’UOMO (1945) ALLA CONVENZIONE DELLE NAZIONI UNITE SUI DIRITTI DELLE PERSONE CON DISABILITA’ (2006) L’orrore del mondo intero davanti allo scempio compiuto durante i due conflitti mondiali, l’ulteriore crescita del numero dei disabili in seguito all’ultimo conflitto e alle due bombe atomiche, che 6 Secondo alcune stime il dispositivo per l’eliminazione di bambini disabili ne porterà alla morte ben 5000. 10 ancora oggi fanno pesare le loro atroci conseguenze sul territorio di Hiroshima e Nagasaki, insieme alle nuove cause di disabilità emerse nel secolo XX (come le radiazioni, le armi chimiche, le varie guerre locali, le bombe e i vari residui bellici esplosi nel tempo, e ecc.), oltre a quelle di origine strettamente sanitaria, hanno reso necessario affrontare la disabilità come un’emergenza. Dall’indignazione cresciuta nasce la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, risultato appunto di un susseguirsi di eventi che hanno portato ad una maggiore consapevolezza dei diritti umani. Rivolto ad ogni individuo senza distinzione di sesso, razza, religione o formazione culturale, con i suoi 30 articoli la Dichiarazione mira all’affermazione dell’autonomia di ogni persona in ambito sociale, familiare, culturale e sanitario. Tuttavia un’adeguata attenzione verso i problemi legati alla disabilità possiamo coglierla agli inizi degli anni ‘70, quando a livello internazionale “l’atteggiamento nei confronti dell’handicap sembra inizi a modificarsi, le linee d’ombra addensatesi intorno a questi soggetti cominciano a svanire, la società pare intenzionata a proporsi l’accettazione di essi come soggetti attivi, non più presenti solo fisicamente, ma anche dal punto di vista relazionale e sul piano dei diritti-doveri.” (ivi) Negli anni ’70, le iniziative delle Nazioni Unite hanno abbracciato il concetto internazionale crescente di diritti umani delle persone con disabilità e di uguaglianza di opportunità per loro. Infatti nel 1971 e nel 1975 abbiamo due importanti dichiarazioni dei diritti dei disabili approvate dall’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite). La prima, la dichiarazione dei diritti dei disabili mentali, approvata nel dicembre 1971, riconosce alle persone che soffrono di un ritardo mentale pari opportunità e pari diritti riconosciuti agli altri essere umani, con un adeguata attenzione al bisogno di difesa contro i rischi di sfruttamento, da tutelarsi con appropriate procedure legali. Il 9 dicembre 1975 nasce la dichiarazione dei diritti dei disabili: all’interno di questa dichiarazione si pongono le basi per l’eguaglianza di trattamento e per l’accesso ai servizi che favoriscono lo sviluppo delle capacità delle persone con disabilità e la loro integrazione sociale. ( www.un.org.com ) Nella 243ma seduta plenaria del 9 dicembre 1975 l'Assemblea generale presso gli Stati membri, nello spirito della Carta delle Nazioni Unite, ha proclamato la Dichiarazione dei diritti delle persone disabili facendo appello all'azione nazionale e internazionale per assicurare che essa sia usata quale base comune e quadro di riferimento per la difesa di questi diritti: 11 1. Il termine "persona disabile" significa qualunque persona incapace di assicurarsi da sola, totalmente o parzialmente, le necessità per una vita normale individuale e/o sociale, quale conseguenza di una deficienza, congenita o no, delle sue capacità fisiche o mentali. 2. Le persone disabili godranno di tutti i diritti fissati in questa Dichiarazione. Questi diritti spetteranno a tutte le persone disabili, senza alcuna eccezione o discriminazione per ragioni di razza, colore, sesso, lingua, religione, opinioni politiche o altre, di origine nazionale o sociale, delle condizioni di censo, di nascita o di qualunque altra situazione che si riferisca alla persona disabile o alla sua famiglia. 3. Le persone disabili hanno diritto al rispetto inerente alla loro dignità umana. Quali siano l'origine, la natura e la gravità delle loro minorazioni e disabilità, hanno gli stessi fondamentali diritti dei loro concittadini della loro stessa età, il che implica anzitutto il diritto di godere di una vita decente, piena e normale, quanto più possibile. 4. Le persone disabili hanno gli stessi diritti civili e politici degli altri esseri umani. 5. Le persone disabili hanno diritto a disposizioni mirate affinché diventino autosufficienti; 6. Le persone disabili hanno diritto alle cure mediche, psicologiche e funzionali, comprendenti gli apparati di protesi e d'ortopedia, alla riabilitazione, all'aiuto e al consiglio medico e sociale, ai servizi di collocamento e ad altri servizi che le mettano in grado di sviluppare al massimo le loro capacità e attitudini e che possano accelerare il processo della loro integrazione o reintegrazione; 7. Le persone disabili hanno diritto alla previdenza economica e sociale e a un decente livello di vita. Esse hanno il diritto di ottenere e conservare un impiego in relazione alle loro capacità, oppure d'impegnarsi in una occupazione utile, produttiva e remunerativa e di iscriversi ai sindacati del lavoro; 8. Le persone disabili hanno diritto che siano prese in considerazione le loro speciali necessità a tutti i livelli della pianificazione economica e sociale; 9. Le persone disabili hanno diritto di vivere con le loro famiglie o con i loro tutori e di prendere parte a tutte le attività sociali, creative o ricreative. Nessuna persona disabile sarà soggetta, per quanto si riferisce alla sua residenza, a un trattamento differenziale se non quello richiesto dalle sue condizioni o dal miglioramento di esse che ne possa derivare. 10.Le persone disabili devono essere protette da qualsiasi sfruttamento, da qualunque disposizione e trattamento di carattere discriminatorio, abusivo o degradante; 11.Le persone disabili devono poter avvalersi di assistenza legale qualificata quando tale assistenza si dimostri indispensabile per la protezione della loro persona o proprietà. Se si 12 delle regole indirizzate ai governi dei vari Paesi, affinché questi rendano effettivi i diritti per le persone con disabilità. Sebbene la maggioranza dei diritti riconosciuti nella Convenzione siano sanciti anche in altri accordi internazionali sui diritti umani altrettanto applicabili alle persone diversamente abili, la Convenzione presenta un notevole valore aggiunto, in quanto integra il quadro giuridico esistente per l’effettiva attuazione del principio di uguaglianza10. La Convenzione evidenzia infatti la particolare situazione e le specifiche esigenze delle persone disabili. Al pari delle donne, dei migranti, dei bambini e di altri gruppi vulnerabili, anche i disabili sono dunque tutelati da un strumento giuridico vincolante che non si limita a vietare misure e prassi discriminatorie, ma appresta una tutela ad hoc, identificando gli adattamenti necessari per l’esercizio dei diritti umani da parte delle persone con disabilità. Ciò inevitabilmente sembra comportare il cambiamento di molte delle legislazioni nazionali e un sostanziale ridimensionamento delle misure nazionali di inabilitazione e interdizione. Se dunque come primo punto di forza della presente Convenzione possiamo cogliere la novità apportata dal vincolo giuridico, certamente non può passare in secondo piano l’innovazione che deriva da un diverso approccio alla disabilità che essa propone. Questo testo ha infatti il grande pregio di discostarsi dal modello cosiddetto “medico”, che configura la disabilità come stato di menomazione e di malattia, per avvicinarsi prepotentemente ad un modello sociale del fenomeno. Il modello sociale colloca l’esperienza della disabilità entro le dinamiche del contesto sociale ed in esso individua la principale causa delle barriere incontrate dalle persone disabili. Come infatti emerge già dal Preambolo la condizione di disabilità risulta essere “Il risultato dell’interazione tra persone con minorazioni e barriere attitudinali ed ambientali, che impedisce la loro piena ed efficace partecipazione nella società su una base di parità con gli altri».11 10 Vedi Articolo 12. Fonte : http://www.lavoro.gov.it/AreaSociale/Disabilita/Documents/Libretto_Tuttiuguali.pdf 11 Cfr. Preambolo della Convenzione lett. i). Rilevante in tal senso è anche il considerando di cui alla lett. m) che afferma: «Riconoscendo i preziosi contributi, esistenti e potenziali, apportati da persone con disabilità in favore del benessere generale e della diversità delle loro comunità, e del fatto che la promozione del pieno godimento dei diritti umani, delle libertà fondamentali e della piena partecipazione nella società da parte delle persone con disabilità porterà ad un accresciuto senso di appartenenza ed a significativi progressi nello 15 Di conseguenza, la nozione di “disabilità” non viene fissata una volta per tutte, ma può cambiare a seconda degli ambienti che caratterizzano le diverse società. In altri termini, come ha sottolineato Pariotti12: «la Convenzione ha riformulato i bisogni delle persone con disabilità in termini di diritti umani, così esprimendo una svolta… ». ( Pariotti, 2008) Questo segna un punto di svolta nelle relazioni verso le persone con disabilità; non più individui bisognosi di carità, cure mediche e protezione sociale ma “persone” capaci di rivendicare i propri diritti e prendere decisioni per la propria vita, basate sul consenso libero e informato, ed essere membri attivamente inclusi nella società. Partendo dunque da una prospettiva diversa, quella del modello sociale da il via ad una diversa considerazione e quindi ad un diverso modo di inquadrare il problema. Questo lo si evince palesemente dall’interno dell’ art.8 (http://www.lavoro.gov.it/AreaSociale/Disabilita/Documents/Libretto_Tuttiuguali.pdf), che stabilisce l’obbligo di promuovere il riconoscimento delle abilità, dei meriti e delle competenze delle persone con disabilità. La concezione sottesa è dunque quella della “diversità” del disabile quale ricchezza per la collettività. A tal proposito cito la dichiarazione di un paralitico, che rispecchia in qualche modo il cambio di prospettiva appena descritto: “Se dovessi scegliere un gruppo di esperienze che mi hanno convinto, dopo aver combattuto le mie battaglie per l’identità, dell’importanza di questo problema dell’immagine di sé, sceglierei tutte quelle circostanze che mi consentirono di capire come i paralitici possono essere identificati con caratteristiche diverse da quelle della loro menomazione fisica. Arrivai a capire che i paralitici possono essere attraenti, accettabili, brutti, amabili, stupidi, brillanti, come tutti gli altri e scoprii di essere in grado di amare o odiare un paralitico indipendentemente dalla sua menomazione” ( F. Carling, 1962, p 21 ) Altro oggetto specifico della Convenzione riguarda la questione relativa all’accessibilità, precondizione essenziale per la partecipazione indipendente del disabile alla vita sociale, come si evince dall’art.9 : sviluppo umano, sociale ed economico della società e nello sradicamento della povertà». 12 Professore ordinario nella Facoltà di scienze Politiche dell'Università di Padova, dove insegna "Diritti umani" e "Teoria generale del diritto". Afferisce al Dipartimento di Diritto Comparato. 16 “Al fine di consentire alle persone con disabilità di vivere in maniera indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli aspetti della vita, gli Stati Parti adottano misure adeguate a garantire alle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, l’accesso all’ambiente fisico, ai trasporti, all’informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione, e ad altre attrezzature e servizi aperti o forniti al pubblico, sia nelle aree urbane che in quelle rurali (http://www.lavoro.gov.it/AreaSociale/Disabilita/Documents/Libretto_Tuttiuguali.pdf) Passando per il diritto alla salute (art.21), all’istruzione (art.24), al lavoro (artt 27-28) alla garanzia della partecipazione alla vita politica, pubblica e culturale e sociale (artt 29-30), nella parte finale della Convenzione si richiamano strumenti e procedure attraverso cui dare effettiva attuazione dei principi enunciati (artt.da 31 a 36). Le parti che hanno ratificato la convenzione dovranno informare periodicamente il comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità in merito alle misure adottate per attuarla. Il comitato, composto da esperti indipendenti, segnalerà ogni eventuale carenza nell’attuare la convenzione e formulerà raccomandazioni. ( http://europa.eu/rapid/press-release_IP-11- 4_it.htm ) La società civile deve essere pienamente coinvolta nel processo di monitoraggio delle azioni. Infine, ogni Stato deve presentare un rapporto dettagliato sulle misure prese per adempiere ai propri obblighi, entro due anni dalla sua adesione alla convenzione. Emerge da queste norme di monitoraggio la volontà di evitare che questo testo rimanga carta morta. 1.3 RATIFICA EUROPEA DELLA CONVENZIONE ONU E STRATEGIA PER IL FUTURO A questo punto la mia analisi sul percorso evolutivo inerente alle normative internazionali sulla disabilità vuole far luce sui condizionamenti che la Convenzione del 2006 ha prodotto intorno a sé. All’interno di questo paragrafo mi occuperò della reazione dell’Unione Europea dinanzi a tale Convenzione e gli sviluppi positivi che quest’ultima ha contribuito ad introdurre all’interno della normativa europea. Al fine di quanto detto sinora ritengo opportuno partire dalla dichiarazione di Hywel Ceri Jones, co- presidente del Consorzio Europeo delle Fondazioni sui Diritti Umani e la Disabilità, che in questo modo interpreta le novità apportate dall’ONU nel 2006: «I cambiamenti richiedono una nuova dinamica di riforma per essere incorporati nei processi a tutti i livelli e la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità ha effettivamente 17 A) ACCESSIBILITA’ Per "accessibilità" si intende la possibilità per le persone disabili di avere accesso, su una base di uguaglianza con gli altri, all'ambiente fisico, ai trasporti, ai sistemi e alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) nonché ad altri servizi e strutture. L'accessibilità è un presupposto inderogabile per la partecipazione alla società e all'economia. B) PARTECIPAZIONE Numerosi ostacoli impediscono ancora alle persone con disabilità di esercitare pienamente i loro diritti fondamentali, e di partecipare completamente alla società su una base di uguaglianza con gli altri. L’Unione europea si impegnerà affinchè le persone disabili partecipino pienamente alla società: - consentendo loro di godere di tutti vantaggi della cittadinanza UE; - eliminando gli ostacoli amministrativi e comportamentali che impediscono una partecipazione totale ed equa; - fornendo servizi territoriali di qualità, compreso l'accesso a un'assistenza personalizzata. C) UGUAGLIANZA Eliminare nell'UE la discriminazione fondata sulla disabilità. D) OCCUPAZIONE La Commissione migliorerà l'informazione relativa alla situazione occupazionale di donne e uomini con disabilità, identificherà i problemi e proporrà soluzioni, dedicando una particolare attenzione ai giovani disabili al momento del loro passaggio dall'istruzione al mondo del lavoro. E) ISTRUZIONE E FORMAZIONE Promuovere l'istruzione inclusiva e l'apprendimento permanente per gli allievi e gli studenti disabili. F) PROTEZIONE SOCIALE Una minore partecipazione all'istruzione generale e al mercato del lavoro è fonte di disparità di reddito, di povertà, di esclusione sociale e di isolamento per le persone con disabilità. Queste ultime devono poter beneficiare dei sistemi di protezione sociale, dei programmi per la riduzione della povertà, dei sostegni di invalidità, dei programmi di alloggio sociale, di altri servizi di base nonché dei programmi in materia di pensione e prestazioni sociali. Le aree sono state definite in base all’analisi dei risultati del piano d’azione dell’UE a favore delle persone disabili (2003-2010) e delle consultazioni tenute con gli Stati membri. 20 G) SALUTE Le persone con disabilità hanno diritto a un accesso equo ai servizi sanitari, tra cui le cure preventive, a servizi sanitari e rieducativi di qualità e ad un prezzo accessibile che tengano conto dei loro bisogni, compresi quelli legati al genere. Questo compito spetta principalmente agli Stati membri, che hanno la responsabilità di organizzare e fornire i servizi sanitari e le cure mediche. La Commissione sosterrà le politiche a favore di un accesso equo alle cure, compresi i servizi sanitari e rieducativi di qualità destinati ai disabili. H) AZIONI ESTERNE La Commissione opererà, ove necessario, in un contesto più ampio di non discriminazione affinché la disabilità diventi un tema essenziale dei diritti umani nel quadro delle azioni esterne dell'UE. La Commissione farà opera di sensibilizzazione sulla Convenzione dell'ONU e sui bisogni delle persone disabili, anche in materia di accessibilità, nel settore dell'aiuto d'urgenza e dell'aiuto umanitario Questi settori sono stati scelti in funzione del loro potenziale contributo al raggiungimento degli obiettivi generali della strategia e della Convenzione dell'ONU, dei relativi documenti delle istituzioni dell'UE e del Consiglio d'Europa, dei risultati del piano d'azione dell'UE a favore delle persone disabili 2003-2010 e delle consultazioni pubbliche, con gli Stati membri e le parti interessate. (European Disability Forum http://www.edf-feph.org ) L’attuazione della strategia prevede inoltre 4 punti focali su cui concentrare l’attenzione e le risorse: -sensibilizzare la società sulle problematiche legate alla disabilità e a promuovere i diritti dei disabili; -sviluppare le possibilità di finanziamento europeo; -migliorare la raccolta e il trattamento dei dati statistici; -assicurare il monitoraggio dell’attuazione della convenzione delle Nazioni Unite negli Stati membri e in seno alle istituzioni europee. (ivi) Come si evince dalle conclusioni riportate all’interno della presente strategia la volontà è quella di mettere in movimento una procedura destinata a rinforzare la posizione delle persone con disabilità così che esse possano partecipare pienamente alla società su una base di uguaglianza con gli altri. Tenuto conto dell'invecchiamento demografico in Europa, queste azioni avranno un impatto concreto sulla qualità della vita di una parte sempre più importante della popolazione. Le istituzioni dell'UE e gli Stati membri sono invitati a collaborare nel quadro della presente strategia al fine di costruire un'Europa senza barriere per tutti. 21 Questa politica europea che è figlia come già accennato di una politica internazionale permette di guardare al futuro con un cauto ottimismo, come dichiara Cesaro infatti: “oggi l’inserimento e l’integrazione di portatori di minorazioni sembra attraversare un momento difficile , ma non impossibile”. ( Cesaro , 1996, pag.8 ) Questo ci porta a pensare che ancora molto c’è da fare per poter abbattere concretamente le barriere strutturali, ambientali e relazionali che da sempre flagellano i diversamente abili. Rispetto al passato le politiche mostrano una maggiore attenzione riguardo a tale fenomeno, ma l’importante conquista delle svariate norme giuridiche deve essere accompagnata indubbiamente dal rispetto e dall’applicazione di queste ultime, per poter poi avere un vero impatto sulla vita quotidiana che fortemente è condizionata per molti individui a causa delle menomazioni fisiche. L’applicazione delle norme sancite nelle Convenzioni permetterebbe di legare la dimensione macro a quella micro, costituendo una relazione di causa-effetto che può concretamente risolvere molti impedimenti che queste persone vivono. Quando mi riferisco alla dimensione micro mi riferisco a tutti quegli aspetti che riguardano le attività quotidiane, ma sarebbe soprattutto l’aspetto relazionale (parte integrante della vita quotidiana), che ne gioverebbe beneficio. Non ritengo dunque errato immaginare un effetto domino, che partendo dalla politica concluda il suo moto condizionando il terreno delle relazioni interpersonali di questi soggetti. Quando si parla di integrazione personale e sociale del “diverso” bisogna infatti porsi in un prospettiva di relazionalità, di coinvolgimenti e di responsabilizzazioni di coloro che entrano in rapporto con il portatore di handicap, qualsiasi sia l’ambiente in cui viene inserito. Si tratta di porsi nell’ottica di interpretare la disabilità passando da quelle che Pierre Bourdieu (1995) chiama “classi sulla carta”(costruire a tavolino e confuse con la realtà, qui a partire dalle caratteristiche psicofisiche dei soggetti disabili e da un approccio economicista) ad un’analisi centrata sulle articolazioni relazionali di questi soggetti (come singoli, famiglie, gruppi) con il composito spazio sociale” (Schianchi, 2012, p.209) L’aspetto relazionale e interpersonale verrà successivamente preso da me in considerazione all’interno di questa dissertazione. Tuttavia prima, nel capitolo che segue, analizzerò la situazione italiana relativamente all’aspetto normativo e legislativo del tema preso in esame, delineando brevemente anche in questo caso le tappe principali che hanno portato alla conquista dei diritti inerenti al problema della disabilità. 22 domani nella scuola di tutti. Scuole speciali e classi differenziali raggiungono il massimo della loro espansione negli anni ‘71/’72 . Per far luce sulle conseguenze negative che queste politiche producevano a livello micro mi è necessario richiamare gli studi di Erving Goffman20 dato che lo schema di riferimento spaziale costituisce un importante elemento nell’opera del sociologo canadese, sia per l’analisi, che per la comprensione dei processi di interazione tra individui, all’interno di gruppi ristretti. “E’ interessante notare che più il fanciullo è handicapped, e quindi è probabile che sia mandato ad una scuola speciale per ragazzi della sua condizione, più brutalmente dovrà affrontare l’idea che ha di lui la gente in generale. Gli verrà detto che per lui le cose saranno più facili se sta “tra quelli che si trovano nelle sue stesse condizioni” e cosi imparerà che la concezione che aveva di sé era sbagliata e che questo modo di essere più limitativo è quello reale…” ( Goffman, 1963, p.35 ) Cosi come per le scuole speciali, i laboratori protetti che vengono ideati per facilitare l’ingresso degli handicappati nelle normali attività produttive, pensati quindi come struttura transitoria che deve fornire una preparazione concreta al lavoro, finiscono ben presto per diventare ennesime strutture emarginanti (istituzioni totali)21, perché vengono a mancare un confronto e un contatto con le forze politiche, sociali e in particolare con le organizzazioni dei lavoratori. ( www.conosciamocimeglio.it/documenti/.../04-La_legislazione_statale.pdf ) Diventano delle “aree di parcheggio” in cui i disabili svolgono attività ripetitive che non favoriscono né la socializzazione né la formazione professionale: “E’ bastato entrare nelle istituzioni che custodivano i soggetti in difficoltà per comprendere quanto degradante e precario fosse l’ambiente; rivolgere domande ai soggetti che vivevano con familiari handicappati per respirare sentimenti di vergogna e di sfiducia; aprire le porte delle classi differenziali e delle scuole speciali per accorgersi che gli alunni che le frequentavano non avevano alcuno stimolo ad apprendere, alcun modello da imitare” ( Cesaro, 1996, p.7) 20 Sociologo e interazionista simbolico. Le radici del pensiero di Goffman pur avendo una loro autonoma originalità, affondano nella tradizione della Scuola di Chicago, e, attraverso questa, risalgono a sociologi come Simmel e Durkheim. E’ dal primo che Goffman trae un interesse spiccato per i processi microsociali 21“ Un'istituzione totale può essere definita come il luogo di residenza e di lavoro di gruppi di persone che - tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo - si trovano a dividere una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato.”Fonte : Erving Goffman. ASYLUMS. Le istituzioni totali: i meccanismi dell'esclusione e della violenza. Edizioni di Comunità, Torino 2001. Prefazione di Alessandro Dal Lago. Postfazione di Franco e Franca Basaglia. 25 2.2 LA LEGISLAZIONE DAGLI ANNI 70’ Occorre arrivare agli inizi degli anni Settanta per notare l’avvio di un processo di innovazione che porterà ad una crescente attenzione del legislatore e ad una graduale affermazione dei diritti dei portatori di handicap. Sono anni di fervore culturale e di lotte importanti per il settore handicap: sono le battaglie contro le istituzioni totali e contro l’emarginazione. L’emanazione della legge 30 marzo 1971 n. 118, pur con i suoi limiti, può essere considerata la prima tappa di questo nuovo difficoltoso cammino: per la prima volta ci troviamo di fronte a principi ed enunciati di carattere generale che sono diretti a promuovere il reinserimento e l’integrazione. Essa riguarda una pluralità di aspetti quali l’intervento economico, l’inserimento scolastico22 e lavorativo, l’istruzione professionale, ecc. In questa fase di cambiamento le scuole speciali finiscono in breve tempo per essere soppresse. Questa inversione di marcia è frutto di un cambio di prospettiva e un distacco da una politica che era obsoleta e non adatta a cogliere le esigenze dei portatori di handicap. La scuola comincia ad essere vista come struttura in grado di rinnovare e trasformare il tessuto sociale. “… una scuola capace di accogliere e favorire lo sviluppo personale di ciascuno, senza griglie dove inserire il raggiungimento di mete culturali minime comuni…” ( Cesaro, 1996, p.8 ) Nel 1978 abbiamo inoltre la promulgazione della legge 180, i cui principi fondamentali sono: smantellamento dei manicomi (che invece di luoghi di cura si sono rivelati fortezze inespugnabili23 rispetto della persona), fiducia nella curabilità dei disturbi, assistenza a livello territoriale. L’incontro tra popolazione “normale” e “diversa” cambia molto l’immagine delle persone handicappate nell’esperienza collettiva; la conoscenza diretta aiuta a superare molti stereotipi e pregiudizi e forse non solo scoprire le differenze tra i diversamente abili, ma anche l’originalità di ogni persona al di là del suo handicap. 22 L’art. 28 stabilisce che: ”L’istruzione dell’obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvo i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere difficoltoso l’apprendimento o l’inserimento nelle predette classi normali. Sarà facilitata inoltre la frequenza degli invalidi e mutilati civili alle scuole medie superiori e universitarie. Le stesse disposizioni valgono per le istituzioni prescolastiche e per i doposcuola”. Fonte: ( http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1971- 03-30;118!vig= ) 23 Vedi Goffman in Asylums. 26 La legge 118/71 resterà per tutto il decennio, e anche oltre, il punto di riferimento principale di tutta la successiva legislazione fino alla Legge- quadro 104/92. Alla fine degli anni Ottanta ci troviamo così di fronte ad una legislazione vasta ma settoriale, disorganica, frammentaria e largamente inapplicata. Il quadro normativo risulta sempre più complesso, ma resta poco incisivo per migliorare l’effettivo processo di integrazione delle persone handicappate. La crescente consapevolezza di questa situazione fa emergere, in maniera sempre più forte, l’esigenza di superare la frammentazione delle leggi in questo settore. Matura così, nel corso degli anni Ottanta, la necessità di un intervento legislativo organico in materia. Dopo un lungo e faticoso iter, il Parlamento approva la Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate (legge 05.02.1992 n. 104). ( www.conosciamocimeglio.it/documenti/.../04-La_legislazione_statale.pdf ) 2.3. DALLA LEGGE –QUADRO DEL 1992 AI GIORNI NOSTRI Il 5 febbraio 1992 è votata la legge n.104 che riorganizza complessivamente le questioni della disabilità. Questa legge è il riferimento legislativo per “l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”. Principali destinatari sono dunque i disabili, ma non mancano riferimenti anche a chi vive con loro. Il presupposto è infatti che l'autonomia e l'integrazione sociale si raggiungono garantendo alla persona handicappata e alla famiglia adeguato sostegno. Questo supporto può essere sotto forma di servizi di aiuto personale o familiare, ma si può anche intendere come aiuto psicologico, psicopedagogico, tecnico. ( http://www.disabili.com/legge-e-fisco/speciali- legge-a-fisco/legge-104-disabili ) Accogliendo sostanzialmente le definizioni proposte dall’O.M.S.,che nel 1980 ha elaborato una classificazione della disabilità e della condizione di handicap corretta e universalmente condivisa24, 24 La definizione dell'handicap comunemente accettata si deve all'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che nel 1980 pubblicò la "Classificazione Internazionale delle Menomazioni, delle Disabilità e degli Svantaggi Esistenziali".Essa distingueva tre livelli: Menomazione, intendendo qualsiasi perdita o anomalia permanente a carico di una struttura anatomica o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica (esteriorizzazione) Disabilità, intendendo qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a menomazione) della capacità di compiere un'attività di base (quale camminare, mangiare, lavorare) nel modo o nell'ampiezza considerati normali per un essere umano (oggettivazione) Handicap si intende la condizione di svantaggio, conseguente ad una menomazione o ad una disabilità, che in un certo soggetto limita o impedisce l'adempimento di un ruolo sociale considerato normale in relazione all'età, al sesso, al contesto socio-culturale della persona (socializzazione). Nel 1999 l'OMS ha pubblicato la nuova "Classificazione Internazionale delle Menomazioni, delle Attività personali (ex- Disabilità) e della Partecipazione sociale (ex handicap o svantaggio esistenziale)" (ICIDH-2), nella quale vengono ridefiniti due dei tre concetti portanti che caratterizzano un processo morboso: la sua esteriorizzazione: menomazione l'oggettivazione: non più disabilità ma attività personali le conseguenze sociali: non più handicap o svantaggio ma diversa partecipazione sociale 27 Non sono mancate quindi delle aspre critiche rivolte a questa legge, che ha visto nei decenni successivi una inappropriata applicazione di quest’ultima. Non risulta errato infatti quanto sostenuto da Cendon26 : “il legislatore del 1992 sembrerebbe essersi abbandonato al gusto della compilazione; infatti, piuttosto che costruire un sistema idoneo a garantire le persone handicappate, ha preferito predisporre un elenco di diritti senza tuttavia indicare gli strumenti che possano tradurli sul piano dell’effettività” ( Cendon, 1997, p.127) Più che un punto di arrivo la Legge- quadro è quindi da considerare come un ulteriore punto di partenza del cammino che ancora resta da compiere nel nostro paese, per la completa affermazione dei diritti civili dei disabili. Per raggiungere questo traguardo occorre che in questo percorso finale non venga meno il coinvolgimento globale e permanente di tutte le istituzioni e risorse sociali, inteso a dare attuazione ai princìpi costituzionali che vengono richiamati. Infine, così come si è passati dal concetto di “assistenza” a quello di “inserimento”, bisogna evolvere verso il concetto ben diverso di “integrazione”. Mentre l’inserimento è l’espressione di una volontà civile, l’integrazione ne è il risultato sociale. 2.3.1. COLLOCAMENTO MIRATO E POLITICHE DI INCLUSIONE LAVORATIVE Prima del ventunesimo secolo, nell’anno 1999 viene introdotta una nuova legge che regola il diritto al lavoro delle persone con disabilità: la legge 68. Essa abroga la legge precedente in materia di lavoro e, passando da un modello impositivo ad uno più consensuale, si pone l’obiettivo di coordinare il mercato del lavoro tenendo conto della sinergie tra le specifiche competenze del lavoratore disabile e le esigenze delle aziende che mirano indubbiamente ad un inserimento proficuo. Stiamo parlando di un collocamento mirato che, come si evince dall’art.2 della legge, risulta essere: “quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con 26 Nato a Venezia, è professore ordinario di Diritto Privato nell’Università di Trieste. Ha redatto nel 1986 il progetto di legge destinato a fungere come base per il provvedimento sull’Amministrazione di sostegno, approvato nel 2003 dal nostro Parlamento: v. Infermi di mente e altri disabili in una proposta di riforma del codice civile, in Pol.dir., 1987, pp. 621-666.Coordina la c.c. scuola triestina, che ha "inventato" il danno esistenziale, figura centrale della nuova responsabilità civile. Cura il sito web personaedanno.it, che ha fra i suoi progetti l'abolizione dell’istituto dell'interdizione e - in generale - la messa a punto per l'Italia di un nuovo diritto dei c.d. "soggetti deboli". Fonte: ( http://www.cendonpartners.it/prof-paolo-cendon ) 30 gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione.” (http://www.superabile.it/web/it/CANALI_TEMATICI/Superabilex/Banca_Dati/Leggi_Nazionali/i nfo-975782427.html ) Indubbiamente sulla carta questo porterebbe un grosso vantaggio per l’inserimento dei disabili nel mondo del lavoro, che oltre ad accrescere la loro posizione economica, vedrebbero aumentare in termini di qualità e quantità il loro ingresso all’interno della società dei “normali”. Ecco la testimonianza di una persona cieca: “Finché vissi sotto l’ala protettiva della famiglia, del calendario scolastico, e senza esercitare i miei diritti di cittadino adulto, le forze della società furono piuttosto gentili e comprensive nei miei confronti. Fu dopo l’università, dopo il compimento dei miei studi economico-amministrativi, dopo innumerevoli esperienze fatte come assistente volontario nei programmi comunitari che trovai ad essere schiacciato dai pregiudizi medievali e dalle superstizioni imperanti nel mondo degli affari. Cercare un lavoro era come fronteggiare il plotone d’esecuzione. I datori di lavoro erano sbalorditi che io avessi il coraggio di chiedere un impiego” ( Henrich e Kriegel, 1961, p.186) Questa testimonianza che risale al 1961 è molto lontana dalla legge del ‘99 di cui si sta discutendo. Abbiamo visto in questa analisi del percorso storico sulla disabilità, come le normative nazionali e internazionali abbiamo subito dei mutamenti incompleti, ma comunque positivi verso un’integrazione di questi soggetti. Nonostante questa testimonianza potrebbe quindi risultare inappropriata data l’evidenza della diversità storica, sociale e culturale nella quale si colloca, mi servo ugualmente di quest’ultima dato che il mio intento e la mia attenzione mirano alla comprensione degli stati d’animo che i disabili vivono nel momento in cui non si sentono accettati all’interno della più vasta società. E questo aspetto risulta a mio avviso ancora, tristemente, molto attuale. Sono ancora le parole di Schianchi a darmi conferma della scarsa applicazione di quest’ultima normativa sul mercato del lavoro: “Questo approccio innovativo si è scontrato, molto spesso, sia con una ridotta applicazione della legge, sia con le evoluzioni del mercato del lavoro, al punto che le persone con disabilità con la possibilità di lavorare sono impiegate solo per il 20%”. (Schianchi, 2012, p.219) Ulteriore aspetto da approfondire prima di concludere questo capitolo è quello relativo alla legge n. 18 del 3 marzo 2009, quando l’Italia ha ratificato e reso esecutivi la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ed il relativo Protocollo opzionale, a conclusione di un 31 lungo iter legislativo avviato a seguito della firma dei due strumenti giuridici internazionali il 30 marzo 2007, poi bloccato dalla crisi di governo agli inizi del 2008. Peraltro, va considerato che la Convenzione non si inserisce in un contesto di vuoto normativo, in quanto l’ordinamento giuridico italiano è già conforme alla maggior parte dei principi in essa contenuti, a cominciare dalla Costituzione che all’art. 3 stabilisce i principi di eguaglianza e non discriminazione. Anzi, la Legge n. 104/1992, Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, ha in parte anticipato i contenuti della Convenzione, avendo come principi ispiratori la promozione dell’autonomia e la realizzazione dell’integrazione sociale dei disabili. Su impulso dell’evoluzione della normativa internazionale ed europea in materia di disabilità, l’ordinamento italiano ha inoltre recepito le nuove istanze di tutela dei diritti dei disabili attraverso atti normativi che hanno disciplinato specifici settori: l’accessibilità, già prevista in ambito architettonico, è stata estesa al settore dell’informatica (Legge n. 4/2004, Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici, c.d. Legge Stanca); la Legge n. 68/1999, Norme sul diritto al lavoro dei disabili, ha introdotto misure a favore dell’occupazione delle persone con disabilità; la Legge n. 67/2006, Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni, ha istituito una tutela giudiziaria a favore dei disabili che garantisce loro un sistema di accesso celere e agevolato nelle procedure. Ciò non significa peraltro che la conformità alla Convenzione sia piena. In alcuni casi, occorre modificare nozioni ormai superate in materia di disabilità, come quella di “persona handicappata” da sostituire con “persona con disabilità” al fine di spostare l’accento dalle minorazioni del disabile alle abilità della persona in rapporto all’ambiente in cui vive. ( www.treccani.it /Portale/sito/diritto ) Analizzando gli aspetti negativi e passando ad una rassegna critica della questione, cosi come è già emerso in precedenza, il problema rimane sostanzialmente lo stesso: la mancata applicazione delle norme. Questo aspetto, che come abbiamo visto possiamo considerare infelicemente costante lungo l’iter normativo italiano, desta non poche preoccupazioni. 2.3.2 INSERIMENTO PROFESSIONALE DEI DISABILI : LA CORTE EUROPEA CONDANNA L’ITALIA 32 diversamente abili, per sottolineare la loro stessa interazione con il mondo, quello a cui noi tutti attribuiamo l’etichetta di normale, perché è questo il punto di partenza e di approdo dell’esistenza di tutti gli uomini, handicappati e non, che per antica definizione aristotelica sono animali sociali. 3. SOCIOLOGIA E DISABILITA’ Lo scopo che mi prefiggo all’interno di questo capitolo conclusivo è senza dubbio quello di riuscire ad usare la sociologia. Utilizzo il termine “usare” per sottolineare che lo scopo di questa scienza diversamente da come si pensa, e a volte purtroppo avviene, non è puramente osservativo e speculativo del fenomeno sociale, bensì si configura come vera e concreta soluzione a esso stesso problema. Quando Max Weber definiva la sociologia come una “scienza comprendente, il cui primo obiettivo è comprendere l’agire sociale” non voleva certo dire che quest’ultima si dovesse fermare semplicemente a quel tipo di analisi. Personalmente, purtroppo, ho potuto constatare come all’interno delle coscienze collettive28 si sia ancorata un’idea di superficialità e marginalità di questa scienza. Il discorso si complica ancor di più se accostiamo il delicato tema della disabilità alla sociologia; quest’ultima che “generalmente rivendica per sé un ruolo di primo piano nello studio dei fenomeni di discriminazione e di disuguaglianza esercitando una funzione demistificante, secondo alcuni non avrebbe prestato attenzione alle condizioni di vita delle persone disabili.” (F.Ferrucci, 2004, p.14) In virtù di quanto detto, tenterò dunque di analizzare brevemente alcuni concetti e correnti di pensiero cari alla sociologia per poterli applicare al già citato tema di questa tesi. Ritengo indispensabile partire dall’analisi e dalla descrizione del modello sociale di disabilità, già citato superficialmente nei precedenti capitoli, per poi passare in un secondo momento ad altre osservazioni di carattere sociologico. 28 “Le coscienze collettive sono l’insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri di una societa” (Emilè Durkheim, 1893) 35 3.1 Il modello sociale della disabilità È importante ricordare, in questa sede, cosa è effettivamente il modello sociale della disabilità. È un modello: ciò che i sociologi chiamano uno strumento euristico, ovvero un aiuto per la comprensione di un fenomeno. E’ un approccio olistico che spiega quali problemi specifici vengono vissuti dalle persone con disabilità, avendo riguardo alla totalità dei fattori ambientali e culturali che rendono disabili. Fra i vari fattori disabilitanti sono ricompresi l'istruzione non accessibile, sistemi di comunicazione e informatici, gli ambienti di lavoro, sussidi di invalidità inadeguati, servizi sanitari e di solidarietà sociale discriminatori, trasporti inaccessibili, edifici pubblici ed alloggi con barriere, nonché l'immagine negativa che svaluta le persone con disabilità trasmessa dai media. ( Intersticios: Revista Sociológica de Pensamiento Crítico: http://www.intersticios.es ) Sebbene l’espressione “modello sociale di disabilità” sia entrata per la prima volta nell'arena politica e sociale nel 1981, le sue fondamenta ideologiche sono sicuramente radicate nelle agitazioni politiche della metà del ventesimo secolo e nella politicizzazione della disabilità da parte di scrittori disabili e di attivisti nei primi anni‘60. Spesso citato come "la grande idea" del movimento delle persone con disabilità, il pensiero ispirato al modello sociale della disabilità ha giocato un ruolo fondamentale nella mobilitazione dell'attivismo dei disabili e, più recentemente, nello sviluppo politico nel Regno Unito e in svariati paesi nel mondo. Come ho lasciato trasparire nei capitoli precedenti il fulcro di questo modello risiede nella critica al predominante modello medico che ha visto esso stesso unico protagonista, fino a pochi decenni fa, nell’affrontare le situazioni di chi è portatore di un handicap. La critica che viene sferrata a quest’ultimo modello riguarda il suo atteggiamento riduttivo nei confronti del fenomeno in quanto affrontato solo e soltanto da un punto di vista biologico/fisico/medico; sebbene sia comprovato, dal punto di vista antropologico, che la risposta della società alle persone con menomazioni, o con problemi di salute di lungo periodo, cambia considerevolmente a seconda del tempo, della cultura e dei luoghi. Contrariamente all’approccio medico tradizionale, di tipo individualistico, nel modello sociale c’è il deliberato tentativo di spostare l'attenzione dalle limitazioni funzionali delle persone disabili ai problemi causati dagli ambienti disabilitanti, da barriere e da culture che rendono disabili. 36 I punti di discontinuità con il modello medico sono dichiarati nel manifesto elaborato dall’ Union of the Physically Impaired Against Segregation (UPIAS)29. Nel manifesto si sostiene senza mezzi termini che è la società a rendere fisicamente disabili le persone con qualche menomazione. La disabilità è pertanto definita come: “lo svantaggio o la limitazione prodotta dall’attuale organizzazione sociale la quale tiene poco, o per nulla, conto delle persone che hanno deficit fisici, e cosi facendo li esclude dalla partecipazione alle principali attività sociali.” (UPIAS, 1974, 14) Il modello sociale pur non negando la realtà dei deficit di natura psico-fisica, pone l’accento sull’esistenza delle barriere sociali che rendono le persone disabili. “La disabilità - si legge ancora- è qualcosa di imposto sopra le nostre menomazioni, in maniera tale da isolarci ed escluderci inutilmente dalla piena partecipazione alla società” (ibidem, 14) Questa classificazione della disabilità manifesta un preciso tentativo di sganciare l’aspetto biologico dalle conseguenze sociali. Sembra quasi che la disabilità non abbia più niente a che fare con il corpo e le sue condizioni biomediche, bensì è esclusivamente una condizione di svantaggio causata dalle stesse forme di organizzazione sociale. Questo modifica anche il modo di intendere le politiche sociali. Si tratta di intervenire sulle strutture sociali che causano la disabilità. La disabilità diventa cosi un potente strumento di mobilitazione politica. Come afferma Ferrucci, accusando il modello medico per aver assorbito la dimensione sociale in quella individuale, il modello sociale cade nel rischio opposto perché assorbe nella dimensione sociale tutti gli aspetti dell’attività umana. Se è vero infatti che il contesto ambientale (inteso in senso lato: ambiente fisico e relazionale), è un fattore determinante, altrettanto vero, (l’evidenza empirica ce ne da conferma) è il fatto che la disabilità ha a che fare con patologie dell’organismo e quindi richiede un trattamento di tipo medico. 29 I punti di vista espressi nei documenti dell'U.P.I.A.S. (Tr. Unione dei disabili fisici contro le segregazioni ) hanno condotto alla produzione dell'U.P.I.A.S. policy statement and costitution (la dichiarazione e costituzione della politica dell’U.P.I.A.S.), adottata per la prima volta nel 1974 e successivamente rivista nel 1976. Un'ampia discussione dell'analisi del U.P.I.A.S. sulla disabilità si trova nei "Principi Fondamentali della Disabilità" pubblicati nel 197610. Tale documento contiene una reinterpretazione socio-politica della disabilità che delinea una distinzione cruciale tra il biologico ed il sociale, sicché:"Menomazione" denota “la mancanza di una parte di un arto o di un intero arto, ovvero la circostanza di avere un arto o un meccanismo del corpo difettosi”, e "Disabilità" è lo svantaggio o la restrizione di attività causati da una organizzazione sociale contemporanea che tiene in conto poco o per nulla le persone che hanno impedimenti fisici e perciò le esclude dalla partecipazione alle normali attività sociali. 37 Europee, 2003 ). A ciò si aggiunga che una prospettiva orientata al modello sociale ha giocato un ruolo chiave nella recente iniziativa “Ripensare l'Assistenza partendo dalle Prospettive delle Persone con Disabilità”, lanciata dal Disability and Rehabilitation Team dell’OMS; un progetto biennale che ha coinvolto professionisti, persone con disabilità e loro familiari da tutto il mondo. Inoltre, anche l'ICF, recentemente sviluppato dall’OMS per sostituire la vecchia classificazione ICIHD di cui si è parlato molto male, (anche noto come ICIHD-2) dichiara di incorporare in sé anche il modello sociale della disabilità. 3.2 La disabilità come relazione sociale Prendendo spunto dall’opera di Ferrucci (2004): “ La disabilità come relazione sociale”, trovo interessante a questo punto descrivere l’ipotesi di sviluppo di questo nuovo paradigma relazionale che l’autore propone; il principale obiettivo che quest’ultimo si pone è quello “di sottrarsi alle conflazioni in cui cadono tanto il modello medico/individuale, quanto quello sociale” (Ferrucci, 2004, p.73) e ricomporre i dilemmi esistenti in un modello unitario. Abbiamo già sottolineato, ma è importante ribadirlo in questa sede, che presi singolarmente tanto l’ambiente sociale, quanto le limitazioni funzionali, rappresentano i fattori necessari, ma non sufficienti, per l’insorgere della disabilità intesa come svantaggio sociale. La disabilità si genera quando la dimensione biologica entra in rapporto con un’organizzazione sociale che esprime direttamente o indirettamente una certa normativa. Sul piano concettuale, la disabilità non può prescindere da questa relazione. “Senza relazionarsi alla dimensione sociale, la disabilità, non si distingue più da una mera condizione dell’organismo biologico; senza relazionarsi alla dimensione biologica, la disabilità non è più distinguibile da qualsiasi altra situazione di svantaggio” (ivi) La disabilità quindi, in quanto fenomeno sociale non può non essere analizzata e studiata se non a partire dalla relazione che intercorre tra questi processi; come afferma Bickenbach30 infatti : “una 30 Jerome Bickenbach è attualmente membro della Unità politica Disabilità, Dipartimento di Scienze della Salute e Politiche Sanitarie, Università di Lucerna e SPF, Nottwil, Svizzera Ricerca svizzera per paraplegici. Il Professore Jerome Bickenbach ha lavorato con l'Organizzazione mondiale della sanità 1995-2007, inizialmente sullo sviluppo e la diffusione di ICF con la classificazione, Terminologia e Standards Unit, e quindi sulla politica dei disabili alla Disabilità e Riabilitazione unità. Ha scritto ampiamente su epidemiologia disabilità, definizione e analisi concettuale, così come le questioni della politica della disabilità e del diritto.Fonte: ( http://www.nuigalway.ie/cdlp/staff/jerome_bickenbach.html ) 40 teoria sociale della disabilità rischia l’incoerenza se non può stabilire il link tra limitazioni funzionali e gli svantaggi socialmente costruiti” (Bickenbach, 1999, p.1176) Stiamo dunque parlando di una prospettiva che contempla tanto l’aspetto biologico quanto quello sociale e che inserendoli in un modello multidimensionale, definisca la disabilità in termini di relazioni sociali. Ferrucci si serve dello schema AGIL introdotto dal famoso sociologo struttural- funzionalista Talcott Parsons, rielaborato nel 1991 da Pierpaolo Donati in chiave relazionale. In quest’ultima prospettiva “AGIL […] costituisce un modello per analizzare le forme possibili di interdipendenza attraverso cui i sistemi di azione si differenziano gli uni dagli altri come sistemi di relazioni” (Donati, 1991) G (Intenzionalità del soggetto) (Funzionamento organismo) A I (Standard di integrazione) L (Orientamento al valore) FONTE: Adattamento da Donati 1991 Lo schema individua le quattro dimensioni costitutive della disabilità come relazione sociale: l’orientamento al valore (L), gli standard di integrazione normativi che lo concretizzano (I) , l’intenzionalità espressa dal soggetto agente (G), e l’adattamento, rappresentato dal funzionamento dell’organismo (A). Tanto gli assi, quanto le quattro dimensioni sono fra loro interattive.31 Quello che saggiamente Ferrucci nota, facendo una breve esamina degli approcci che si sono avvicinati al tema della disabilità (in primis struttural-funzionalismo e interazionismo), è che questi ultimi “ se 31 Gli approcci sociologici si sono soffermati solo su alcune dimensioni o al massimo a qualche relazione che la costituiscono come fenomeno sociale. 41 da un lato hanno permesso di evidenziare molteplici aspetti della disabilità, dall’altro mancando di una visione relazionale non sono riusciti ad evitare i limiti del sociologismo, per cui il soggetto disabile è stato posto all’interno del sistema di azione (attore sovra-socializzato) oppure all’esterno del sistema (messo in fluttuazione e indeterminato). (Ferrucci, 2004, p.76) Analizzando infatti gli approcci sociologici notiamo come questi abbiano affrontato il problema della disabilità come devianza e quindi in chiave di adattamento (A-I), lasciando fuori i problemi di legittimazione e di senso. Il modello sociale si è posto il problema della legittimazione e del significato (L-G) relativizzando d’altro canto il problema dell’adattamento. L’alternativa a questo tipo di limitazioni e convergenze è rappresentata dal pensare la disabilità come “una proprietà emergente situata temporalmente parlando, nell’interazione tra realtà biologica della menomazione fisiologica, condizionamenti strutturali e interazione/elaborazione socio-culturale”( Williams, 1999, p.810). Per capire meglio di cosa stiamo parlando, è necessario esemplificare il modello relazionale sopra analizzato al fine di capire come agisce a livello micro. Utilizzerò lo stesso esempio che ha usato Ferrucci nel suo testo perché lo trovo estremamente efficace e molto vicino all’esperienza personale che ho vissuto all’interno della mia università, che mi ha visto ricoprire il ruolo di collaboratore part-time per la fruizione dei servizi di accompagnamento destinati ai diversamente abili. Il problema della frequenza di uno studente disabile ad un corso universitario, può essere visto come problema di integrazione (I). Se l’Ateneo è organizzato in modo tale da permettere regolarmente la fruizione di quel servizio, il deficit di funzionamento dell’organismo (A) non compromette lo scopo del soggetto (G) che intende acquisire un titolo universitario poiché considera la cultura un valore (L) irrinunciabile per la sua identità personale. Prendiamo adesso lo stesso esempio modificandolo leggermente. Lo stesso studente intende iscriversi ad un corso di laurea, dove le lezioni si tengono nelle aule del quinto piano di una struttura sprovvista di ascensori. A questo punto le opzioni sono due: rinunciare agli studi universitari o cambiare corso di laurea. Entrambe le opzioni non risolvono però il problema che intendiamo individuare; effettivamente riprendendo lo schema AGIL vediamo che: 1-A) Il funzionamento dell’organismo è deficitario, in quanto non ha dato attuazione alle disposizioni di legge che regolano l’accessibilità della struttura dal punto di vista delle barriere architettoniche 2-G) Lo scopo, che era quello di iscriversi a quel corso di laurea viene di fatto vanificato. 3-L) L’orientamento al valore che ha guidato quel soggetto alla scelta di quel corso va ad impattare 42 3.4. Uno sguardo macro alla disabilità : disabile è colui che è infelice Come abbiamo visto, quando parliamo di disabilità, spesso ci riferiamo a persone che sono portatori di qualche tipo di handicap riconosciuto, ma spesso ci dovremmo chiedere che tipo di disabilità abbiamo noi. Basti pensare che quando giriamo nelle nostre città, l’abilità di ascoltare in modo profondo, compassionevole, empatico è molto rara e dunque possiamo comprendere come molte persone sono affette da disabilità nell’ascolto. Questo tipo di handicap sebbene non impedisca loro di lavorare e produrre, sicuramente rende difficile creare relazione armoniche: questa è una piaga che la nostra civiltà occidentale manifesta in modo molto forte e di cui l’emblema classico è rappresentato dalle persone che occupano posizioni di autorità. Un esempio per tutti sono i dirigenti politici che si occupano solo ed esclusivamente di se stessi: tali soggetti sono persone fortemente disabili che provocano molte sofferenze nella società. La disabilità in questione, che è la deficienza della nostra epoca, risulta dunque essere l’incapacità di essere felici e generare infelicità intorno a sé. Questa è a mio avviso la disabilità vista in maniera più ampia, da un punto di vista quasi filosofico. Non è difficile pensare come in Italia e in altre parti del mondo ci siano problemi di inquinamento, povertà, miseria, desertificazione, sovrappopolazione, sebbene siamo essere molto intelligenti, che hanno dato vita a progressi scientifici e tecnologie avanzate. Siamo stati in grado di creare, come rovescio della medaglia, un contesto più ampio di disabilità: i nostri stati sono disabili, perché incapaci, come già accennato, di creare le condizioni di felicità per le persone che ci vivono. E allora, all’interno di questa crisi planetaria, la disabilità è un fenomeno che riguarda tutti. La soluzione andrebbe rintracciata nell’educazione, quella vera, in cui si viene educati a tirare fuori le parti migliori di sé, ad innaffiare i semi positivi della gratitudine, della generosità, della dedizione alla verità che sono presenti in tutti e in ciascuno. Dunque una cultura che non favorisce nelle persone queste abilità è una cultura disabile. Ognuno di noi può essere visto a diversi livelli: corpo, emozioni, mente, anima.. Nella nostra cultura abbiamo una scissione, cosicché siamo allenati ad usare la mente in modo strumentale, per ottenere scopi, per fare qualcosa che serva al nostro io, inteso in modo narcisistico. Questa cultura ha generato degli squilibri e lo si vede benissimo ad esempio nell’economia dove la forbice ricchi- poveri sta aumentando e questa è una disabilità del sistema economico e finanziario creato dall’uomo. La disabilità può riguardare il corpo; ma può essere emozionale, mentale o dell’io; ancora si possono avere convinzioni disfunzionali (ad esempio credere che non ci si possa fidare di nessuno 45 ecc.). Ora sia che parliamo di disabilità in senso di handicap fisici sia psichici o sensoriali, in tutti questi casi ne conseguono disabilità a livello emozionali e queste rendono difficile la riabilitazione. Il compito di coloro che lavorano con i disabili, e cioè con la frontiera più difficile, è quello di creare un contesto in cui la persona si senta vista, riconosciuta, dando vita così a delle condizioni interne di fiducia, apertura, tali da consentire al soggetto di potersi di nuovo aprire alla relazione, all’apprendimento. Ad esempio nella cura di ragazzi autistici il tentativo che si cerca di fare è quello di avvicinarsi a ciascun soggetto con strumenti alternativi, come la musica, con l’intento di favorire intorno al bambino un contesto che lo accolga cosi come è, facendogli capire che lo si accetta per quello che è, senza pretendere che lui debba fare una prestazione; questo contesto crea le condizioni per cui il bambino si apra alla relazione con l’adulto, a partire dal fisioterapista, psicomotricista, musicoterapeuta, e quindi possa tentare di intraprendere una relazione nella quale non solo inizia a comunicare ma anche a cambiare, perché non c’è niente di peggio della chiusura autistica in se stessi: essere prigionieri di una gabbia in cui non si comunica più. Ora oltre a tanti di questi bambini, e adulti, ci sono persone che hanno tutto che funziona bene, il loro stato di salute è perfetto, eppure alcune sono disabili, perché hanno disabilità affettive, soffrono.. Dunque appare evidente come bisognerebbe primariamente lavorare sulle disabilità emotive, siano esse scaturenti da una disabilità di ordine fisico o da una vera e propria disabilità emozionale che, per traumi infantili o casi della vita, tutti (o quasi) possediamo. L’importante è capire che non ci sono casi impossibili ma esiste sempre la possibilità di fare qualcosa. Sempre. A tutti i livelli. Si deve partire dal presupposto che tra il disabile, che come abbiamo visto può avere un handicap conclamato oppure no, e coloro che noi definiamo normali, a partire dalle figure professionali incrociate nei percorsi di cura, ci deve essere uno scambio, una relazione. La parola relazione deriva dal verbo latino religare che vuol dire legare insieme: la relazione o re-l-azione è l’azione che porta a legare insieme (re=insieme) cose e persone; la capacità di creare dei legami. Sinteticamente si può dire che essa: - nasce dall’ascolto, - si esprime nel dialogo, - apre all’incontro, - cresce nella gratuità, - si contagia attraverso la gioia, - si oppone all’indifferenza. 46 Sembra una banalità, o bellissime parole prese a casaccio nel dizionario, frullate insieme per esprimere un concetto ovvio. E invece oggi non è da definirsi così scontato. Abbiamo dimenticato le regole della buona relazione e della buona comunicazione. Nell’era della comunicazione virtuale, dove sono bandite le conversazioni vis à vis, ci si sente sempre più soli. Ma non si possono superare le barriere dei propri handicap stando da soli. A nessuno è consentito. Dovremmo fare qualche passo indietro, certo senza screditare il progresso che è importante per il presente e il futuro di tutti, ma ritornare a scuola di umanità. Dove ciascuno vede riconosciuta la propria dignità di uomo. Ma la dignità non ce la possiamo dare da soli, la dignità si incontra negli occhi dell’altro che va oltre le barriere di qualsiasi dei nostri handicap e ci dice: “Tu vai bene così come sei”. 4. 47 Appendice DICHIARAZIONE DELL'ONU SUI DIRITTI DEI PORTATORI DI HANDICAP (adottata dall'Assemblea Generale dell'ONU il 9 dicembre 1975) L 'Assemblea Generale, Consapevole dell'impegno che gli Stati Membri hanno assunto, in virtù dello Statuto delle Nazioni Unite, di agire sia congiuntamente che separatamente, in collaborazione con l'Organizzazione delle Nazioni Unite, per favorire il miglioramento dei livelli di vita, il pieno impiego e condizioni di progresso e di sviluppo nell'ordine economico e sociale; Riaffermata la sua fede nei diritti dell'uomo e nelle libertà fondamentali e nei principi di pace, di dignità e di valore della persona umana e di giustizia sociale proclamati nello Statuto; Ricordati i principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, dei Patti Internazionali sui Diritti Umani, della Dichiarazione dei Diritti del Disabilitato Mentale nonché le norme di progresso sociale già enunciate negli atti costitutivi, nelle convenzioni, nelle raccomandazioni e nelle risoluzioni dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro, dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, del Fondo delle Nazioni Unite per l'Infanzia e di altre organizzazioni interessate; Ricordata altresì la risoluzione 1921 (LVIII) dcl Consiglio economico e sociale, in data 6 maggio 1975, sulla prevenzione dell'invalidità ed il riadattamento dei portatori di handicap; Sottolineato che la Dichiarazione sul Progresso e lo Sviluppo nel campo Sociale ha proclamato la necessità di proteggere i diritti e di garantire il benessere cd il riadattamento dei portatori di handicap fisici e mentali; Tenuta presente la necessità di prevenire le invalidità fisiche e mentali, e di aiutare i portatori di handicap a sviluppare le loro attitudini nei più disparati campi d'attività, nonché a promuovere, nella misura più ampia possibile, la loro integrazione in una vita sociale normale; Consapevole che certi paesi, allo stadio attuale di sviluppo, possono dedicare soltanto sforzi limitati a tale fine; Proclama la presente Dichiarazione dei Diritti dei Portatori di Handicap e chiede che venga intrapresa un'azione, su piano nazionale ed internazionale, affinché tale Dichiarazione costituisca una base ed un riferimento comuni per la protezione di tali diritti. 1) Il termine "portatore di handicap" designa qualunque persona incapace di garantirsi per proprio conto, in tutto o in parte, le necessità di una vita individuale e/o sociale normale, in ragione di una minorazione, congenita o no, delle sue capacità fisiche o mentali. 2) Il portatore di handicap deve fruire di tutti i diritti enunciati nella presente Dichiarazione. Tali diritti debbono essere riconosciuti a tutti i portatori di handicap senza eccezione alcuna e senza distinzione o discriminazione per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica e di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di qualunque altra condizione relativa al portatore di handicap stesso o alla sua famiglia. 3) Il portatore di handicap ha un diritto connaturato al rispetto della sua dignità umana. Il portatore di handicap, quali che siano l'origine, la natura e la gravità delle sue difficoltà e deficienze, ha gli stessi diritti fondamentali dei suoi concittadini di pari età, il che comporta come primo e principale diritto quello di fruire, nella maggiore misura possibile, di un'esistenza dignitosa altrettanto ricca e normale. 4) Il portatore di handicap ha gli stessi diritti civili e politici degli altri esseri umani; l'articolo 7 della Dichiarazione dei Diritti del Disabilitato Mentale si applica a qualunque limitazione o soppressione di tali diritti di cui fosse oggetto il portatore di handicap mentale. 5) Il portatore di handicap ha diritto alle misure destinate a consentirgli la più ampia autonomia possibile. 6) lì portatore di handicap ha diritto a trattamenti medici, psicologici e funzionali, ivi compresi gli apparecchi di protesi 50 e di ortesi; al riadattamento medico e sociale; all'istruzione, alla formazione, al riadattamento professionale, agli aiuti, ai consigli e agli altri servizi intesi a garantire la valorizzazione ottimale delle sue capacità ed attitudini e ad accelerare il processo della sua integrazione o reintegrazione sociale. 7) Il portatore di handicap ha diritto alla sicurezza economica e sociale e ad un livello di vita decente. Egli ha diritto, a seconda delle sue possibilità, a ottenere e a conservare l'impiego o ad esercitare un'occupazione utile, produttiva e remunerata e a far parte di organizzazioni sindacali. 8) Il portatore di handicap ha diritto che i suoi bisogni particolari siano presi in considerazione a tutti gli stadi della pianificazione economica e sociale. 9) Il portatore di handicap ha il diritto di vivere in seno alla propria famiglia o ad un focolare alternativo e di partecipare a tutte le attività sociali e creative o ricreative. Nessun portatore di handicap può essere obbligato in materia di residenza, ad un trattamento differenziato che non sia richiesto dal suo stato o dal miglioramento che possa essere apportato ad esso. Qualora il soggiorno del portatore di handicap in un istituto specializzato risulti indispensabile, l'ambiente e le condizioni di vita debbono rispecchiare il più possibile quelli della vita normale delle persone della sua età. 10) Il portatore di handicap deve essere protetto contro ogni sfruttamento, ogni normativa o trattamento discriminatorio, abusivo o degradante. 11) Il portatore di handicap deve poter beneficiare di un'assistenza legale qualificata allorché tale assistenza si riveli indispensabile alla protezione della sua persona, e dei suoi beni. Qualora risulti oggetto di procedimenti giudiziari, egli deve beneficiare di una procedura che tenga pienamente conto della sua condizione fisica o mentale. 12) Le associazioni di categoria possono essere utilmente consultate su tutte le questioni relative ai diritti dei portatori di handicap. 13) Il portatore di handicap, la sua famiglia e la sua comunità, debbono essere pienamente informati con ogni mezzo appropriato dei diritti contenuti nella presente Dichiarazione. 51
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