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tesi sperimentale violenza sulle donne, Tesi di laurea di Psicologia Generale

si analizza come la violenza rimanga nella memoria psichica e non solo, anche fisica.

Tipologia: Tesi di laurea

2016/2017

Caricato il 10/01/2017

sarettatc
sarettatc 🇮🇹

4.4

(10)

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica tesi sperimentale violenza sulle donne e più Tesi di laurea in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! 1 UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO- BICOCCA Facoltà di Psicologia Corso di laurea triennale in Scienze e tecniche psicologiche Relatore: prof. Marcello Gallucci SU UN CORPO DI DONNA: Centri antiviolenza, esperienza sul campo. Tesi di laurea triennale di: Sara Simoneschi Matr. N. 749337 Numero caratteri: 74.318 Anno accademico 2014/2015 2 Sommario Prologo ......................................................................................................................................3 CAPITOLO 1: LA VIOLENZA DI GENERE-ANALISI DEL FENOMENO ....................................................5 1.1 Le radici della violenza contro la donna: una problematica culturale e sociale ..........................5 1.2 Entità del fenomeno .................................................................................................................9 1.3 Le forme della violenza........................................................................................................... 11 CAPITOLO 2 :IL CORPO DELLA DONNA E GLI EFFETTI DELLA VIOLENZA ......................................... 16 2.1 Corpo di donna: una storia di discriminazioni ......................................................................... 16 2.3 Il corpo violato: l’abuso sessuale ............................................................................................ 19 2.4 Il corpo a rischio: una riflessione sugli spazi abitati ................................................................. 21 CAPITOLO 3: CENTRI ANTIVIOLENZA-ESPERIENZA SUL CAMPO ..................................................... 23 3.1 Storia ed organizzazione dello sportello donna di Bresso ........................................................ 23 3.2 Raccolta e analisi dei dati ....................................................................................................... 24 3.3 Considerazioni in merito ai dati raccolti .................................................................................. 29 CAPITOLO 4: LA SODDISFAZIONE DEL PROPRIO CORPO-UNA RICERCA SPERIMENTALE ................. 31 4.1 Introduzione .......................................................................................................................... 31 4.2 I Partecipanti .......................................................................................................................... 31 4.3 Gli strumenti .......................................................................................................................... 32 4.4 Procedura .............................................................................................................................. 33 4.5 Risultati .................................................................................................................................. 34 Conclusioni .............................................................................................................................. 36 Bibliografia ............................................................................................................................... 38 Ringraziamenti ......................................................................................................................... 41 5 CAPITOLO 1: LA VIOLENZA DI GENERE-ANALISI DEL FENOMENO “La violenza contro le donne è una piaga globale che continua a uccidere, torturare e mutilare, sia fisicamente che psicologicamente, sessualmente ed economicamente. È una delle violazioni dei diritti umani più diffuse, che nega il diritto delle donne all’uguaglianza, alla sicurezza, alla dignità, all’autostima, e il loro diritto di godere delle loro libertà fondamentali”. (UNICEF, 2000) 1.1 Le radici della violenza contro la donna: una problematica culturale e sociale La violenza contro le donne è considerata una violenza di genere nonché violazione dei diritti umani. «Parlare di violenza di genere in relazione alla diffusa violenza su donne e minori significa mettere in luce la dimensione “sessuata” del fenomeno in quanto manifestazione di un rapporto tra uomini e donne storicamente diseguali che ha condotto gli uomini a prevaricare e discriminare le donne» (Bollettino Archivio Pace Diritti Umani; 2004) e quindi come «uno dei meccanismi sociali decisivi che costringono le donne a una posizione subordinata agli uomini». (Declaration on the Elimination of Violence against Women; 1993). Con il concetto di violenza di genere si intendono tutte quelle violenze contro la donna rivolte al suo annientamento. Un annientamento psichico e morale. Un annientamento fisico, che gradualmente può terminare con l’omicidio. Sul nostro territorio nazionale, per lungo tempo, è stato negato il problema, che rimase nell'alveo degli affari personali tra individui, non all'interno di fattispecie di reato contro la persona. Storicamente si riteneva che le situazioni di abuso riguardassero in modo esclusivo fatti privati da relegare all'interno delle strette mura domestiche, essenzialmente collegate ad un ceto sociale basso, commesse da persone povere, sfruttate, insoddisfatte della propria vita che si vendicavano sulla donna e a volte sui figli della propria decadenza sociale. 6 Forti di questo retaggio, abbiamo creduto che la famiglia potesse essere un territorio protetto, un nucleo ove non sarebbero mai occorse particolari difese. Si è giunti dunque al disconoscimento del rischio di aggressioni e maltrattamenti in forza dei miti sulla maternità, sull’amore dei genitori e sull’autoconservazione del gruppo di appartenenza. Dunque le manifestazioni di violenza in contesti intimi e familiari sono state spesso minimizzate attraverso la negazione inconscia del problema; la violenza domestica, è risultata essere un fenomeno quasi invisibile fino a tempi molto recenti poiché connaturata con la tradizione, i valori dominanti della società e delle leggi, tanto da passare inosservata e sembrare un evento naturale. Una maggiore attenzione a tali episodi è dovuta in gran parte a una diversa sensibilità sociale, collegabile al comprensibile allarme suscitato dalla delittuosità, soprattutto se violenta, che si consuma all'interno della famiglia e tra persone legate da relazioni affettive intime e durature. Ciò che un tempo era considerato semplicemente un delitto passionale, o ancor prima d'amore, in una società moderna e culturalmente avanzata, non può più essere definito tale, a fronte del mutamento del panorama sociale, della famiglia e dei rapporti interpersonali. Secondo la teoria dell’Antropopoiesi, che sta ad indicare quel processo di auto-costruzione dell'individuo sociale, in particolare dal punto di vista della modificazione del corpo socializzato, le culture tendono a costruire gli individui secondo precise attribuzioni legate al genere: ogni società persegue determinati modelli di donne e uomini. Divengono perciò comprensibili le molteplici differenze tra ciò che noi “occidentali” chiamiamo violenza rispetto a chi non appartiene alla nostra cultura. La violenza di genere è un fenomeno mondiale, dovuto ai vecchi valori di una società maschilista, patriarcale che si è manifestata in una gerarchia di potere economico e sociale, base di un sistema di dominazione e sottomissione. Gli ostacoli, con i quali le donne si confrontano nel perseguimento di un'uguaglianza reale ed effettiva, sono direttamente correlati ai ruoli definiti da determinati stereotipi, che le pongono in una situazione d'inferiorità, sottomissione e dipendenza dagli uomini. La resistenza sociale al cambiamento data da tale prospettiva antropocentrica, compromette il riconoscimento e l'esercizio dei diritti fondamentali giuridicamente riconosciuti a parità di condizioni da persone di entrambi i sessi. Per tanto tempo fino all'azione del movimento delle donne la società è stata rappresentata dall'uomo, valorizzandone tutto quello che corrisponde allo stereotipo maschile. D’altronde, anche le religioni hanno supportato tale modello maschilista, ideologicamente e storicamente. La donna viene infatti descritta come un essere subalterno rispetto all’uomo. 7 Eva è creata da una costola di Adamo, viene creata perché «non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto».1 Nella nostra società occidentale le differenze sessuali non sono soltanto differenze di stampo biologico ma due distinte conformazioni, due modi differenti e a tratti antinomici di percepire ed interpretare il mondo: la sottocultura femminile e quella maschile. Non parliamo quindi di un prodotto della natura biologica; insieme ad essa dobbiamo considerare la struttura dei ruoli della nostra società di cui siamo divenuti fruitori attraverso gli agenti di socializzazione, durante un processo educativo diversificato per gli uomini e per le donne. Tutto questo si è tradotto nella creazione di stili di relazione di potere in cui la donna ha subìto un ruolo di vittima di fronte all'uomo che assumeva quello di dominatore, ed ha impostato così una relazione non paritaria e disuguale, che tuttora ha delle conseguenze. Tollerare una relazione tra i sessi in cui esista uno squilibrio di potere rende difficile il riconoscimento della violenza. Un primo fondamentale elemento di prevenzione e protezione è dunque rappresentato da un cambiamento a livello sociale e culturale che porti a fare emergere sempre più il problema e riconosca e valorizzi la differenza, la reciprocità dei ruoli tra uomo e donna nonché le risorse di ognuno. Anche la dimensione individuale è indispensabile per comprendere l’insorgenza, lo sviluppo e il mantenimento di una situazione di violenza. Questa dimensione è infatti correlata con lo sviluppo del sé che si definisce e si struttura a partire da esperienze primarie significative, nel corso degli anni. Sperimentare le proprie risorse in contesti relazionali positivi permette di crescere con un buon livello di autostima, un’ immagine positiva di sé e la percezione di meritare amore e rispetto. Là dove questo non è possibile, per esperienze precoci di violenza o per la presenza di contesti familiari caratterizzati da carenza affettiva ed emotiva, il senso di sé può risultare“indebolito” o fortemente danneggiato. Riconoscere la violenza subìta presuppone il percepirsi come persona degna e positiva. Le persone non sono soltanto corpi biologici, e non agiscono in un vuoto sociale: le radici dei nostri comportamenti sono in relazione con la tradizione culturale di appartenenza, con la struttura sociale, con il sesso della persona e con il processo concreto che ha vissuto attraverso le agenzie di socializzazione. 1 “Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo”, Genesi 2,22, op. cit. 10 L’art.1 della Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne del 1993 descrive la violenza contro le donne come «Qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata».2 La violenza sulle donne è un fenomeno vasto comprendente anche le molestie sessuali sul luogo di lavoro, gli stupri di guerra, le aggressioni sessuali da parte di sconosciuti e tutte le altre forme di violenza, come l’acidificazione del volto in Bangladesh o l’infibulazione, dettate da contesti socioculturali che discriminano la donna e negano i suoi diritti. Nel panorama italiano i numeri confermano l’urgenza e la necessità dell’azione: dall’indagine Istat del 2006 emerge che sono 6 milioni 743 mila le donne da 16 a 70 anni vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della vita, pari al 31,8%. 5 milioni di donne hanno subito violenze sessuali, 3 milioni 961 mila violenze fisiche. Circa 1 milione di donne ha subito stupri o tentati stupri. In genere la violenza fisica è quella maggiormente diffusa tra le mura domestiche e dunque commessa da persone conosciute, mentre la violenza sessuale è spesso più commessa tra i non partner. Nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate. Il sommerso è elevatissimo e raggiunge circa il 96% delle violenze da un non partner e il 93% di quelle da partner. Anche nel caso degli stupri la quasi totalità non è denunciata (91,6%). È consistente la quota di donne che non parla con nessuno delle violenze subite (33,9% per quelle subite dal partner e 24% per quelle da non partner). 2 milioni 77 mila donne hanno subito comportamenti persecutori (stalking), che le hanno particolarmente spaventate, dai partner al momento della separazione o dopo che si erano lasciate, il 18,8% del totale. 7 milioni 134 mila donne hanno subito o subiscono violenza psicologica: le forme più diffuse sono l’isolamento o il tentativo di isolamento (46,7%), il controllo (40,7%), la violenza economica(30,7%) e la svalorizzazione (23,8%), seguono le intimidazioni nel 7,8% dei casi. Statistiche della Banca Mondiale segnalano che, per le donne tra i 15 e i 44 anni, il rischio di subire violenze domestiche o stupri è maggiore del rischio di cancro,incidenti o malaria. La violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani grave e diffusa, che tocca la vita di innumerevoli donne e che è un ostacolo al raggiungimento dell’uguaglianza, allo sviluppo e alla pace in tutti i continenti. 2 Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne del 20 Dicembre 1993 approvata all’unanimità dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite; in particolare, si veda l’art.1. 11 Non è un tema politico, non è una battaglia che si può combattere solo con le leggi, con la polizia, con le alleanze politiche. È piuttosto una voragine scura inflitta nei secoli, un taglio nell’anima dell’uomo stesso. Per quanto possiamo tentare di quantificare il problema della violenza contro le donne, quello che riusciremo a scorgere è solo la punta dell’iceberg, la cima di una montagna che proietta la sua ombra sull’intera società. 1.3 Le forme della violenza Nel 1975 l’Onu dichiara la violenza sulle donne come il reato più diffuso al mondo, ma solo nel 1993 con la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, si da ampio spazio e riconoscimento alla categoria di genere. Il termine “violenza” può essere inteso come una sorta di “parola-ombrello” nella quale rientrano diverse forme di sopraffazione, maltrattamenti, pressioni, degenerazione delle relazioni interpersonali che si sviluppano e si concretizzano anche all'interno della famiglia, in situazioni e con condotte a volte molto differenti, che possono dare effetti diversi non solo in una scala di gravità, ma anche di qualità, curabilità e recupero del danno riportato. Il comportamento violento e di abuso da parte del soggetto maltrattante è usato con l'intento di controllare la vittima, basato sull'idea di essere nel proprio diritto, e le diverse condotte poste in essere hanno comunque sempre l'obbiettivo di impedire l'espressione dell'altra persona, fino ad annullarla. Per questo motivo è opportuno parlare di molteplici forme di violenza, spesso esercitate contemporaneamente, spesso all'interno di una relazione intima attuale o passata, distinguendo tra: psicologica, fisica, economica, sessuale e persecutoria. Queste non sempre sono la conseguenza di una perdita di controllo dell'aggressore o di una malattia mentale, essendo prevalentemente l'espressione di una chiara volontà di utilizzare strategicamente l'aggressione, in una o più delle sue forme, per incutere timore al fine di dominare e controllare l'altro. La letteratura considera la violenza psicologica tanto grave quanto difficilmente riconoscibile, ricomprendendo in tale categoria tutta una serie di atteggiamenti vessatori e denigranti diretti a umiliare, attraverso continue manipolazioni verbali, con l'obiettivo di tenere la vittima in uno stato di soggezione. Le condotte poste in essere dall'aggressore comprendono ricatti, insulti verbali, colpevolizzazioni pubbliche e private, ridicolizzazioni e svalutazioni continue, umiliazioni pubbliche e private, 12 limitazioni dell'espressione personale al fine di rendere insicura, destabilizzare, sottomettere, controllare l'altra persona. Generalmente i primi attacchi verbali sono sottili e poco evidenti, ma tendono gradualmente ad aumentare, fino a che la vittima non finisce per considerare tale modalità di relazione normale, perdendo totalmente la propria autostima. Il controllo che l'aggressore esercita comporta molto spesso il totale isolamento, limitando le amicizie e la vita sociale dell’altro, evidente epifenomeno del possesso, che favorisce l'escalation e aumenta la possibilità di continuare la violenza. Tali condotte, nelle situazioni più pesanti, determinano un vero e proprio “lavaggio del cervello”3a seguito del quale il soggetto più debole finisce per colpevolizzarsi, sentendosi responsabile della situazione e cercando in ogni modo di dimostrare la propria adeguatezza, nel tentativo di non infastidire o fare arrabbiare l'altra persona. Esposte a questi abusi, le donne sviluppano danni sul piano psicologico e nei casi più gravi può derivarne un reale processo di distruzione morale, attraverso l'abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti, fino a conseguenze più gravi come episodi depressivi, sintomi di patologie psichiatriche e suicidio. La violenza psicologica può essere esercitata anche in modo “trasversale” da parte del soggetto maltrattante e si manifesta attraverso un attacco ai figli presenti nella relazione, con l'obbiettivo di mantenere un controllo diretto sulla madre, con seri e complessi problemi per le future generazioni, in quanto i più recenti filoni di studi sui disturbi psicologici infantili hanno dimostrato «che i minori sono ad alto rischio non tanto a causa della disgregazione familiare in se o per l'assenza di un genitore a seguito di una separazione o di un divorzio quanto, per il livello di discordia e conflitto esistente tra i genitori» (Zanasi F.M; 2006) Alla violenza psicologica normalmente si associa o segue la violenza fisica, espressione di maltrattamento più manifesto, che comprende l'uso di qualsiasi atto volto ad arrecare dolore e nella maggior parte dei casi a procurare lesioni, come schiaffi, calci, pugni, morsi, bruciature, strangolamento ecc. Gli episodi di questo tipo in genere non sono eventi isolati, ma si ripetono nel tempo, con tendenza ad aumentare d'intensità e frequenza con l'evolversi della situazione e del rapporto in corso. Di tutt'altra natura è la violenza economica, da alcuni studiosi considerata una particolare forma di violenza psicologica, esercitata attraverso il controllo dei mezzi economici e finanziari di sostentamento della famiglia o della vittima. 3 Baldry A.C., Dai maltrattamenti all'omicidio, op.cit 15 Benché questa pratica sia considerata un'azione illegale e penalmente perseguibile in numerosi paesi, secondo il rapporto Unicef del 2013, condotto in 29 Stati di Africa e Medio Oriente, verrebbe ancora esercitata a danno di 125 milioni di bambine e donne e nei prossimi dieci anni 30 milioni di bambine rischieranno ancora di subirla. Gli effetti fisici e psicologici sono spesso molto estesi, determinando un danno irreversibile agli organi genitali femminili, che colpisce la sfera sessuale e riproduttiva, la salute mentale e il benessere integrale della donna, rafforzando l'iniquità sofferta nelle comunità che ricorrono a tali pratiche. Un' ulteriore minaccia a danno delle donne, è la violenza perpetrata dalle organizzazioni criminali attraverso l'immigrazione clandestina e la tratta di esseri umani, che costituiscono uno degli “affari” più remunerativi per tali associazioni ma sono tra le attività più turpi ed odiose contro le persone. Le cause di tali fenomeni sono da ricondurre ai processi di globalizzazione e informazione e all'aumento generalizzato dei livelli di povertà, con uno squilibrio tra i paesi occidentali e i paesi in via di sviluppo. Vari gruppi criminali transnazionali spingono, così, le donne a una migrazione forzata, attraverso l'impiego della forza, dell'intimidazione e della paura, tanto per lo sfruttamento della prostituzione quanto per alimentare diffuse pratiche di lavoro irregolare, violando così l'integrità morale e l'intimità fisica delle giovani donne. Le donne quindi sono vittime di numerose forme di violenza, in modo diretto o indiretto, con maggiore o minore intensità, causando tuttavia danni estremamente gravi alla loro vita, ma anche sulle loro famiglie e sull'intera società. 16 CAPITOLO 2 :IL CORPO DELLA DONNA E GLI EFFETTI DELLA VIOLENZA 2.1 Corpo di donna: una storia di discriminazioni Il corpo è il nostro veicolo, il nostro alleato per realizzare i desideri, per tradurre in azione le nostre intenzioni e per comunicare con il mondo intorno a noi. La violenza di genere ed il suo potenziale precipitato, ovvero il femminicidio, hanno come vittima la donna in quanto donna: l'uccisione di donne o bambine avverrebbe cioè per ragioni misogine o sessiste, per rafforzare il dominio maschile appropriandosi del corpo dell'altra, intesa come oggetto e non come persona, fino al punto di sopprimerlo. Nell’uso della violenza da parte dell’uomo viene a manifestarsi la volontà di controllo e prevaricazione sul corpo e sulla vita della donna. L’autorappresentazione corporea femminile è quella di un corpo dotato di uno spazio interiore in cui hanno luogo processi vitali legati alla sessualità. È necessario dunque riflettere su come la violenza di genere si sia ripercossa sui corpi e su come essa sia produttiva e costitutiva della diversa consistenza sociale dei corpi di uomini e donne: forti, consistenti, attraversanti i primi; deboli, inconsistenti, attraversabili ed accessibili quelli femminili. Accade dunque che gli uomini si sentano socialmente forti e le donne si sentano socialmente deboli: i corpi vissuti è come fossero tipologie di stoffe totalmente differenti. L’immagine corporea, in quanto insieme di autocategorizzazioni interrelate con funzione di economia nelle dinamiche dell’adattamento, si pone come sistema di costanza individuale nel processo di costruzione della realtà. Ed è proprio per questo che il corpo si apre al mondo, lo abita assumendo la funzione di campo di relazioni e di espressione, comunicando attraverso un proprio linguaggio. È soprattutto lo strumento indispensabile per scoprire l’altro, poiché instaura un rapporto con ciò che si trova al di là dei propri limiti. Con l’avvento delle religioni monoteistiche e patriarcali il corpo e il piacere sono demonizzati, in particolare il corpo e il piacere della donna, che diventano proprietà esclusiva dell’uomo. Con questa demonizzazione viene decretata l’impurità del corpo della donna, nascono i dolori mestruali e quelli del parto. Sotto il patriarcato, una terribile e innaturale scissione interiore tra corpo ed anima viene proiettata in ogni campo: questa visione è ancora in noi, nella nostra psiche: le religioni 17 patriarcali, la politica, le istituzioni, la visione comune e popolare delle cose, non perdono occasione per rammentarci questo stereotipo della “inferiorità naturale” delle donne. Alcune religioni patriarcali tribali prevedono la mutilazione del corpo della donna proprio nei luoghi del piacere: l’infibulazione, la clitoridectomia, sono ancora praticate in alcune parti dello Yemen, dell’Arabia Saudita, del Sudan, dell’Egitto, Iraq, Etiopia, Togo e molti altri paesi dell’Africa e sfortunatamente anche in Europa, come pratiche relative alla cultura di queste popolazioni. Ricordiamo inoltre che in passato le norme erano caratterizzate da una forte asimmetria di genere e vigeva un sistema legale e sociale che poneva le donne legittimamente in condizione di sottomissione e di dipendenza nei confronti del potere maschile. In particolare nel Codice Rocco, emergevano disposizioni molto chiare nel regolare e disciplinare il corpo e la sessualità delle donne: nella sua visione patriarcale vi era una scissione totale fra corpo e mente, giacché il corpo di una donna era di proprietà di una figura maschile, padre o marito che fosse4. In tale contesto normativo, la violenza sessuale fra coniugi era una condotta culturalmente accettabile, non un delitto contro la persona. La normativa dell'epoca riconosceva alla vittima un ruolo marginale, senza considerare la rilevanza di questa forma estrema di violenza, in grado di produrre nella donna effetti estremamente gravi, eliminando la stessa libertà e autodeterminazione della donna di disporre in modo autonomo del proprio corpo, con pesanti ripercussioni sulla dignità personale della stessa. Foucault identificò uno specifico dispositivo di genere che ebbe inizio nell’Ottocento e produce tuttora effetti durevoli: l’isterizzazione del corpo della donna, ovvero la costruzione di un corpo saturo di sessualità che fa identificare la donna col suo utero e che corrisponde alla necessità di proiettare e riscontrare sui corpi differenze che sono invece inscritte nell’ordine sociale e politico. Questo processo è parte integrante di quel programma di naturalizzazione delle differenze che, a partire dal ’700, inizia una nuova visione di natura e cultura e colloca nella natura l’esistenza di due sessi incommensurabili. Si stabilizza così, una divisione naturale secondo cui le nostre odierne definizioni e percezioni di corpi maschili e femminili sarebbero il risultato di un lavoro di socializzazione che tende a realizzare una somatizzazione progressiva dei rapporti di dominio sessuale. Esso finisce per produrre due sistemi naturalizzati di differenze sociali inscritte nelle hexis corporali, ovvero nei modi di essere e di comportarsi dei corpi. Uomini e donne utilizzano differenti linguaggi del corpo. Questo si può vedere dal diverso tipo di portamento, nel modo di sedersi, nell’utilizzo di gesti ed espressioni non verbali. Anche nel 4 Legge 19 maggio 1975, n. 151 Riforma del diritto di famiglia. 20 Ciò soprattutto perché la violenza sessuale lede più di ogni altro reato il senso di dignità personale e la libertà di autodeterminazione della vittima, come evidenziato dal senso di colpa e dalla vergogna, sintomi tipici della vittima della violenza. Le conseguenze dello stupro possono impedire ad una donna di vivere una vita relazionale e sessuale adeguata, poiché il suo vissuto si caratterizza, principalmente, per la sperimentazione di una paralisi psicologica, contraddistinta da immobilità, accettazione delle sofferenze, sentimenti di impotenza, disperazione e disfunzioni sessuali . Nei brevi momenti che precedono la violenza, ad esempio, la donna si rende consapevole del fatto che si sta per violare il suo corpo e sente annientata la libertà di scelta e la vulnerabilità, in quanto non riesce ad allontanare l’aggressore. La vittima, vive l’esperienza di violenza sessuale come un’invasione violenta ed ineludibile della sua vita fisica e psichica, un sentimento di panico incontrollabile. Solitamente l’esperienza di violenza sessuale appare difficilmente dimenticabile: finisce per restare sempre un “incubo” immanente nella psiche per le caratteristiche mentali dell’agito. Il DSM IV, infatti, include la violenza sessuale fra i traumi che possono portare all’insorgenza di un disturbo post-traumatico da stress. Studi piuttosto recenti hanno mostrato che donne vittime di stupro in età adulta sono a maggior rischio di abuso di sostanze, di pensieri suicidiari e di disturbi alimentari. Faravelli e collaboratori nel 2004 hanno condotto una recente ricerca che supera i limiti di molte altre indagini empiriche: gli autori riescono a selezionare un campione di vittime di un singolo episodio di stupro senza aver subito alcuna violenza sessuale in infanzia o in adolescenza. Essi sottoposero a interviste diagnostiche donne stuprate nei 9 mesi precedenti e un gruppo di donne che avevano subito altri crimini non sessuali: le prime, in confronto ai controlli, presentarono una prevalenza significativamente maggiore per PTSD, disturbi alimentari, depressione maggiore e disturbi sessuali. A fianco delle conseguenze più riconosciute ed indagate, come il PTSD e la depressione, Sharma e Shrestha (2004), nella loro presentazione delle conseguenze psicologiche dell’ abuso sessuale, indicano anche altri sintomi: calo della concentrazione e della memoria, scarsa autostima, disturbi del sonno, disturbi psicotici, disturbi psicosomatici di diverso tipo. Inoltre, vi sono alcune patologie alla cui origine sussiste un trauma di questo genere, come il dolore pelvico cronico, che sono “sine materia” anche agli esami più approfonditi come la laparoscopia. La donna lamenta algie pelviche e nell’analisi del problema è stata rilevata con grande evidenza scientifica la correlazione significativa fra dolore pelvico cronico e una storia personale di abuso sessuale e violenza fisica. 21 La letteratura scientifica ormai da più di un decennio riporta dati altamente significativi attestando un fenomeno inquietante che può essere definito come “la memoria carnale del dolore” . Sembra che il ricordo dell’abuso rimanga impresso nei luoghi del corpo più violati (Walker 2005; Walling 1994). 2.4 Il corpo a rischio: una riflessione sugli spazi abitati Il panorama attuale ci porta a ridisegnare la diffusa geografia mentale sui luoghi in cui le donne si muovono o è loro consigliato muoversi. La violenza di genere, si situa nella maggioranza dei casi nelle relazioni di intimità e si consuma proprio all’interno della famiglia. Sfatiamo dunque i luoghi comuni sull’incolumità e la sicurezza della donna, primo fra tutti quello che considera luogo del pericolo per eccellenza la strada, la città e che di converso, ritiene il focolaio domestico un nido sicuro. Secondo alcuni autori, i pericoli possono essere utilizzati da ogni cultura come arma di contrattazione ideologica per sancire o conservare un certo ordine sociale. Partendo da questa intuizione, è possibile intravedere la spartizione degli spazi di pertinenza per genere nella città moderna. Il discorso sullo spazio che ha accompagnato la nascita della città moderna ha definito nell’immaginario collettivo dei luoghi, cosa è dentro e cosa è fuori: ha creato mappe gerarchiche e ingiuntive (dove possiamo e dove non possiamo andare) marcatamente segnate dal genere. Si tratterebbe di veri e propri spazi connotati dal genere, della creazione di corpi competenti (maschili) e corpi a competenza limitata e sorvegliata (femminili). Agli antipodi della città moderna tutto questo era chiaramente visibile: il movimento delle donne negli spazi pubblici era notevolmente limitato, veniva decretato un codice di decenza specifico per le donne borghesi per cui ad esempio, la prossimità fisica in pubblico risultava altamente disdicevole. Le fantasie si riversavano sulle strade, luogo di violenze e potenziali incontri erotici. Che il movimento delle donne fosse limitato è ben testimoniato dalla tipologia di abiti indossati: corsetti pieni di lacci e strascichi erano adatti soltanto a una vita inattiva e oziosa. Le donne non dovevano uscire o fare le scale, lo scopo di quegli abiti strizzati stava nel rendere la donna oggetto di ammirazione da parte dell’uomo. De Swaan (1981) mise in relazione la progressiva scomparsa delle donne dalla strada nella prima metà dell’800, e la diffusione di sintomi agorafobici fra le donne nella seconda metà dell’800. La 22 sua lettura si basava sull’introiezione del divieto e il pericolo associati ai luoghi pubblici, proprio in quel periodo. Soffocamento, paralisi del movimento, timori di violenza, emergevano nei luoghi più affollati e sembravano somatizzare proprio i divieti di movimento imposti. Clamorosamente i sintomi scomparivano se la donna era accompagnata in strada, nelle piazze ecc. da un uomo che la proteggesse. Se si andava a ristabilire quella che era comunque, una situazione di dipendenza dall’altro che ben si armonizzava con lo spazio disciplinato dalle gerarchie di genere. Bordo ha segnalato una nuova agorafobia diffusa negli USA tra gli anni ’50 e ’60, in concomitanza alla riaffermazione della vita domestica come ideale della femminilità, sottolineando come il fenomeno sia la risultante di una costruzione culturale della femminilità del ventesimo secolo. Dal codice della decenza si è passati a quello della sicurezza, dalla paura della seduzione a quella dello sconosciuto e della violenza sessuale. Con alcune sfumature dovute al mutamento del contesto sociale si intravede comunque un dispositivo che ha prodotto disciplina e autodisciplina e che ha portato le donne a circoscrivere i loro movimenti sentendosi sempre più a rischio. Potremmo dunque parlare di un’ agorafobia socialmente indotta che porta le donne molto più degli uomini a percepire la propria vulnerabilità nei confronti dello spazio esterno e soprattutto degli sconosciuti. Dato significativo alla luce del fatto che la violenza viene perpetrata perlopiù da persone che la vittima conosce o con cui intrattiene una relazione intima. Si tratta dunque di paura, allerta e sospetto che finiscono per tradursi in quella che Stanko definisce «cognizione realistica di un abuso endemico». Paura e cognizione realistica agiscono da potenti dispositivi di controllo e autocontrollo sociale che portano le donne a modificare il proprio comportamento e limitarlo, in relazione a uno stato di tensione sempre presente. I dati di numerose ricerche testimoniano il differente comportamento precauzionale tra uomini e donne: le donne sembrano limitare ed autocontrollare i propri movimenti in misura doppia o tripla rispetto agli uomini. Tali dati ci rendono consapevoli del fatto che, in presenza di una motivazione intrinseca molto forte alla prudenza e all’attenzione, le campagne di prevenzione che invitano a diventare street-wise, siano piuttosto superflue. Concludendo, nonostante le numerose conquiste compiute dall’universo femminile, il situated- self delle donne in pubblico, risulta ancora debole, profanato ed indica che su di loro sussiste un controllo sociale a disposizione di qualsiasi uomo lo voglia esercitare. «le donne non sono sicure nello spazio pubblico e hanno bisogno, dentro e tramite la famiglia, della protezione di un uomo da tutti gli altri uomini» (Valentine, 1992). 25 unicamente per l’orientamento lavorativo (36 utenze), oppure per episodi depressivi (14 utenze) e disturbi d’ansia (11 utenze). Dunque, sono state oggetto d’analisi 404 cartelle da riferirsi a casi di violenza di genere. I dati sono stati ricavati dall’analisi dei fascicoli, in particolare dall’anamnesi redatta dalle volontarie e dalle informazioni anagrafiche e socioculturali dell’assistita. Categorie riscontrate In seguito all’analisi delle cartelle è stato possibile individuare: - Tre motivazioni per cui le utenze si sono rivolte al Centro:  121 casi di stalking e altre forme di violenza psicologica;  275 casi di violenza fisica e/o sessuale;  8 casi di mobbing. Nel caso specifico della violenza sessuale, il centro ha preso in carico 65 casi:  60 utenze che subivano abusi sessuali da parte del partner;  5 casi di abuso sessuale da parte di un estraneo; - Cinque fasce d’età principali in cui si possono collocare coloro che hanno chiesto assistenza: 18- 25 anni; 26-35 anni; 36-50 anni; 51-65 anni; over 65; - Il livello d’istruzione più comune tra le usufruenti del servizio è il diploma; - Nel 60% dei casi vi è un impiego stabile. 26 Analisi Innanzitutto è stato preso in considerazione il numero delle utenze accolte: si è passati dalle 31 donne che hanno richiesto un sostegno nel 2009 alle circa 70 donne per anno aiutate in seguito. Vi è stato quindi un incremento significativo nell’affluenza al Centro. La struttura è frequentata per la maggior parte da persone residenti a Bresso, ma vi è una percentuale rilevante di donne che arrivano da tutto l’hinterland milanese, circa il 35%. La maggior parte di coloro che usufruiscono dei servizi offerti dal “3D: Spazio Donna” si colloca nella fascia d’età 36-50 anni: 169 utenze appartengono a questa categoria. È significativo segnalare che è stata riscontrata un’alta affluenza anche delle donne over 65; coloro che chiedono meno assistenza sono invece collocabili nella fascia d’età 18-25 anni. 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% MOBBING STALKING E VIOLENZA PSICOLOGICA VIOLENZA FISICA E/O SESSUALE PROBLEMATICHE RILEVATE 2% 30% 68% PROBLEMATICHE RILEVATE 27 Vi è inoltre una differenza di percorsi intrapresi dalle donne con le medesime difficoltà: l’iter ideale da seguire per coloro che si rivolgono al Centro per problematiche legate alla violenza sarebbe quello di intraprendere sia una consulenza legale che psicologica, in modo da riuscire a fronteggiare la situazione di violenza prima di tutto da un punto di vista emotivo, che permetterà di affrontare poi un percorso legale. Ciò non è avvenuto per tutte le utenze accolte dalla struttura: 62 casi in cui era stata segnalata violenza fisica perpetrata dal partner, 33 casi di violenza familiare e quasi la totalità (63) dei casi di violenza sessuale, hanno preferito rivolgersi esclusivamente alla psicologa non sentendosi ancora pronte ad iniziare un procedimento legale. Analisi delle utenze che hanno chiesto di intraprendere un percorso sia psicologico che legale Le donne vittime delle varie forme di violenza sopra citate, che hanno chiesto di cominciare una consulenza sia legale che psicologica sono 246: - 72 casi di problematiche relazionali in famiglia:  19 casi in cui è presente un padre violento.  13 casi in cui è presente un figlio violento.  40 casi di violenza psicologica perpetrata da diversi membri della famiglia, escluso il partner. - 172 casi di difficoltà relazionali con il partner:  95 casi di violenza fisica. 0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 18-25 ANNI 26-35 ANNI 36-50 ANNI 51-65 ANNI OVER 65 NUMERO UTENZE 31 88 169 64 52 N u m e ro u te n ze Fasce di età 30 In relazione al gruppo di utenze con problemi con il partner che si sono rivolte sia a uno psicologo che a un avvocato è significativo segnalare come un quarto di loro abbia deciso di intraprendere un percorso solo in seguito alla prima accoglienza. Ciò non avviene per coloro che si rivolgono per difficoltà familiari: in questo caso solo un ottavo delle persone che hanno avuto un primo colloquio sono consigliate dalle operatrici. Si riscontra quindi nel primo gruppo una maggiore indecisione e difficoltà nel chiedere o ricevere sostegno. Questa differenza tra i due casi può dipendere da diverse variabili quali la mancata indipendenza economica, le forme malsane di attaccamento verso il partner e di impotenza appresa, i fattori socioculturali e l’istinto di sopravvivenza sia verso sé stesse che verso i propri familiari. Attraverso l’esame dei fascicoli non è stato però possibile effettuare una corretta analisi sulla violenza assistita, in quanto nelle cartelle non era presente un’apposita sezione che riguardasse la presenza di figli e dalla sola anamnesi non sempre si poteva verificare se erano presenti o meno. Per quanto riguarda l’operato del Centro si può dedurre che viene considerato in modo positivo sia dalla comunità che dagli operatori delle strutture pubbliche, in quanto l’affluenza è aumentata man mano che si è diffusa all’interno del Comune la conoscenza di uno sportello specializzato nel sostenere donne in difficoltà ed è aumentata anche in seguito all’entrata del Centro nel Piano di Zona. A molte utenze è stato consigliato di rivolgersi al “3D: Spazio Donna” da dipendenti comunali e da persone residenti a Bresso. Si può inoltre valutare in modo positivo il lavoro della struttura in quanto alcune donne hanno richiesto sostegno dal Centro perché incoraggiate da coloro che erano già state prese in carico da legali e/o psicologhe. Questo passaparola tra donne in difficoltà è molto importante e fa capire sia quanto è fondamentale una struttura che offra questo tipo di servizi all’interno della comunità, sia come, se viene svolto un buon lavoro, le persone siano più incentivate a rivolgersi ai Centri, in quanto vengono rassicurate da chi è già stato accolto. È inoltre importante sottolineare come il legame di fiducia tra operatrice e utenza venga fortificato anche tramite attività ricreative e culturali, che permettono a coloro che si rivolgono alla struttura di sottrarsi all’isolamento a cui sono generalmente sottoposte. Queste attività aggregative permettono alle donne in difficoltà di incontrare persone con i loro stessi problemi e la creazione di un legame e il dialogo tra loro può anche incentivare l’uscita dalla situazione di violenza. 31 CAPITOLO 4: LA SODDISFAZIONE DEL PROPRIO CORPO-UNA RICERCA SPERIMENTALE 4.1 Introduzione “Con il concetto di violenza fisica intendiamo quella violenza attraverso cui chi maltratta la donna lascia sul corpo di quest’ultima il segno del proprio dominio”.6 A fronte di una riflessione pervenuta durante gli incontri con le donne vittime di violenza è stata maturata l’ipotesi secondo cui la violenza carnale potesse avere effetti maggiormente deleteri sul corpo della donna rispetto ad altre forme di violenza, non per questo meno pervasive. Accanto alle conseguenze visibili infatti, possono emergere insoddisfazione per il proprio corpo, spesso associata ad un senso di inadeguatezza generale e bassa autostima. È emersa l’idea che gli attacchi al corpo della donna (Ceretti, 2013) potessero condurre a una mortificazione del proprio involucro biologico, visibile anche dal comportamento non verbale, soprattutto la postura, che le vittime tenevano durante i colloqui, di qui, questo tipo di ricerca che distingue donne vittime di violenza fisica e/o sessuale e che assume come gruppo di controllo donne vittime di stalking/violenza psicologica. Si analizza principalmente la percezione dell’Immagine corporea, un costrutto psicologico complesso che comprende aspetti percettivi, emotivi, valutativi e relazionali legati al proprio aspetto fisico, avente chiari effetti sul funzionamento sociale e sulla qualità di vita. 4.2 I Partecipanti Lo studio ha coinvolto utenze del “3d spazio donna” di Bresso e della Cooperativa “Speranza” ubicata in Mantova. Il campione è composto da 34 donne di diverse etnie e di età compresa tra i 18 e i 65 anni, principalmente in possesso di diploma(N=16), laurea(N=8), licenza media (N=6), licenza elementare (N=1), titolo di studio post-laurea(N=1). 6 “I segni fisici passano e il non vederli più determina anche il dimenticare la quantità di dolore provocato, mentre le parole e le percezioni della violenza si stratifica, intrecciano, ricordano.”, CORRADI C. (a cura di ), I modelli sociali della violenza contro le donne, F. Angeli, Milano, 2008, p. 187. 32 È stato possibile creare due gruppi omogenei:  GRUPPO SPERIMENTALE: Donne vittime di violenza carnale(N=17)  GRUPPO DI CONTROLLO: Donne vittime di stalking e/o violenza psicologica(N=17) Avendo a disposizione i dati relativi a peso e altezza dei partecipanti è stato calcolato il Body Mass Index: un dato biometrico, espresso come rapporto tra peso e quadrato dell'altezza di un individuo che può essere utilizzato come un indicatore dello stato di peso forma. Utilizzando le tabelle utilizzate dall’OMS e dalla medicina nutrizionista, è stato possibile rilevare nel campione casi di normopeso(N=21), sovrappeso(N=8), sottopeso(N=2), obesità lieve(N=2), grave magrezza(N=1). Interessante notare che la maggior parte delle donne sovrappeso (7 su 8) e i due casi di obesità lieve appartengono al gruppo sperimentale, mentre le donne che hanno subito stalking e/o violenza psicologica sono sottopeso o in condizione di grave magrezza. 4.3 Gli strumenti Ai partecipanti sono stati sottoposti i seguenti strumenti: Eating disorder inventory (Gardner, 1983) Il test EDI è una scala di autovalutazione che ha lo scopo di delineare e sottolineare alcuni tratti psicologici o gruppi di sintomi per la comprensione e il trattamento dei disturbi dell’alimentazione. Essa è costituita da 64 items su scala Likert a 6 punti da “mai” a “sempre”. Tale scala, comprende 8 sottoscale, alcune delle quali esplorano aree specifiche ed altri aspetti psico-patologici dei disturbi dell’alimentazione:  Impulso alla magrezza  Bulimia  Insoddisfazione per il proprio corpo  Inadeguatezza  Perfezionismo  Sfiducia interpersonale  Consapevolezza enterocettiva  Paura della maturità 35 Nel gruppo sperimentale la media dei punteggi è pari a M= 28,53 DS=6,64, nel gruppo di controllo la media dei punteggi risulta M=30,94 DS=5,46; in entrambi i casi una stima di sé media. Sono stati poi analizzati i punteggi EDI, tenendo in considerazione la sottoscala che misura l’insoddisfazione verso il proprio corpo (9 item). Dopo averne constatato l’adeguata consistenza interna (alpha di Cronbach=0,90), si è proceduto ad analizzare la relazione con la variabile violenza. Troviamo un effetto significativo della violenza fisica sull’insoddisfazione per il proprio corpo (F(1,27)=13,178, p<.001). Tale modello spiega il 32,8% della varianza (R2=0,328) . In particolare l’insoddisfazione media nel gruppo di controllo è pari a 27,13, con una differenza rispetto alla media dei punteggi nel gruppo sperimentale pari a 13,15 punti. 36 Conclusioni Al termine di questo elaborato appare doveroso procedere ad alcune riflessioni sul fenomeno indagato, al fine di evidenziare gli aspetti prevalenti emersi nel corso della trattazione oltreché i risultati raggiunti e quelli auspicati. Attraverso il presente lavoro si è cercato di mettere in evidenza che la violenza di genere è un fenomeno di livello mondiale, che abbraccia diverse culture, si fonda sulla disparità tra i sessi ed è rafforzata dall’omertà della maggior parte della collettività. Per attuare politiche di contrasto è necessario fare un continuo monitoraggio sul problema e rendere pubblici i dati dei centri e delle ricerche. Inoltre come già affermato, le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi sociali o culturali, e a tutti i ceti economici, per questo sono fondamentali programmi di prevenzione primaria, un lavoro di educazione popolare che prevenga e contrasti in tutti i campi la svalorizzazione del genere femminile e la tolleranza sociale che ancora permane nei confronti della violenza contro le donne. Un ruolo fondamentale, sia sul piano del mutamento culturale che su quello della tutela e protezione delle vittime, in Italia sembra essere stato, ed essere ancora, quello ricoperto dai Centri antiviolenza, organizzazioni e associazioni no-profit nate negli anni 70 per precisa volontà delle donne e delle vittime della violenza. Oggi, essi rappresentano i principali attori della prevenzione e della sensibilizzazione sociale sul fenomeno, chiamati ad un'azione quotidiana a supporto degli interventi delle Forze di Polizia e degli altri soggetti istituzionali coinvolti. Tramite l’analisi condotta nel centro antiviolenza di Bresso, è stato possibile constatare l’importanza delle organizzazioni non governative attraverso le quali alcune donne riescono ad uscire dalle loro condizioni di abuso. Sono state poi individuate tutta una serie di conseguenze delle varie forme di violenza, soffermandosi prevalentemente sugli effetti relativi all’immagine corporea e alla soddisfazione verso il proprio corpo. Tramite uno studio sperimentale è stato possibile constatare, su un campione di 34 donne vittime di violenza, che soprattutto la violenza di tipo fisico e/o sessuale impatta in maniera significativa la percezione del proprio corpo, la soddisfazione verso di esso. Contrariamente alle aspettative, l’autostima si è vista essere ad un livello medio. Tale dato, potrebbe riflettere proprio il fatto che le donne oggetto della ricerca siano già inserite in un 37 contesto di aiuto e sostegno, o che, semplicemente siano riuscite con resilienza a non vacillare nella perdizione del valore di sé stesse tipica dei traumi violenti. Di qui, sorge l’importanza di interventi che mirino a condurre la donna a riappropriarsi non solo della propria vita in generale, ma specificatamente del proprio corpo, tanto martoriato e violato in passato o nell’immediato presente. 40 Sharma, B., e Shrestha, N.M. (2004). Tortura e vittime della tortura. In United Nations, The Istanbul Protocol: International Guidelines for the Investigation and Documentation of Torture. Copenhagen: International Rehabilitation Council for Torture Victims (IRCT). UNICEF, Female genital Mutilation/Cutting: A statical overwiew and exploration of the dynamics of change, 2014. Walker E.A., Chronic pelvic pain and gynecological symptoms in women with irritable bowel syndrome, “JRM”, vol. 84, 2005, 2, pp. 91-100. Walling M.K. Et alii, Abuse history and chronic pain in women: I. Prevalences of sexual abuse and phisical abuse, in “Obstetrics and Gynecology”, vol. 84, 1994, 2, pp. 193-199. Wonderlich, S.A., Crosby, R.D., Mitchell, J.E., Thompson, K.M., Redlin, J., Smith, J., Demuth, G., e Haseltine, B. (2001). Eating disturbance and sexual trauma in childhood and adulthood. International Journal of Eating Disorders, 30, 401-412. Zanasi F.M., Violenza in famiglia e stalking. Dalle indagini difensive agli ordini di protezione, Giuffrè, Milano, 2006. 41 Ringraziamenti Un ringraziamento speciale al mio relatore, per il supporto e la disponibilità. Ringrazio la mia famiglia tutta, in particolar modo i miei genitori. L’umiltà che mi hanno insegnato, perché senza di essa, non avrei mai dubitato del mio sapere. Non sarei stata conscia dei miei limiti, e delle mie potenzialità. E senza riconoscere un limite, non puoi mai superarlo. È come saltare un ostacolo, se non lo vedi, ci sbatti contro, anziché sorpassarlo. Questo per me è sempre stato fondamentale. Li ringrazio soprattutto per la libertà di scelta arrecatomi, perché non hanno mai preteso che io diventassi una dottoressa. Anche perché avrei fatto comunque di testa mia. Perché li ho visti spaccarsi la schiena, e li vedo ancora farlo. Eppure non hanno mai minimizzato i miei sacrifici e il mio lavoro. Ringrazio Daniele, perché è stato la mia forza, e soprattutto, perché il suo modo di trattare le donne, che sono il centro di questa tesi, supera di gran lunga la semplice galanteria. Perché mi fa vedere lontano, perché ha creduto in me. Perché a 800km di distanza, c’è sempre stato. Era con me quando mi sono trasferita e vedevo quest’enorme università come sormontarmi, sentendomi un puntino insignificante. Era le mie spalle. Era con me quando pensavo di fallire ed ogni volta invece, era un successo. Ringrazio Gloria, amica di una vita, e mi viene difficile ringraziarla per questo lavoro in particolare perché in realtà mi è di supporto sempre e per qualsiasi cosa. Grazie soprattutto per l’aiuto professionale. Grazie Vale, che stavi venendo in ospedale con i libri per studiare insieme, ma per fortuna sono uscita prima. Grazie Alessandra, per aver condiviso con me questo percorso. E un ringraziamento particolare va alle ragazze dello sportello, alle donne che ho incontrato durante il mio tirocinio ed anche più avanti, che sono per me, la forza ed il coraggio, unitamente all’orgoglio di essere donna. Grazie nonno, so che non ti perderai questo giorno. 42
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