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Umanesimo e Rinascimento; generi letterari, questione della lingua, manierismo, autori, Appunti di Italiano

Appunti completi, brevi e schematici, su Umanesimo e rinascimento, per medie e liceo. Contiene: generi letterari di Umanesimo e rinascimento, questione della lingua, manierismo, autori vari, Orlando innamorato

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 26/03/2024

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Scarica Umanesimo e Rinascimento; generi letterari, questione della lingua, manierismo, autori e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! UMANESIMO E RINASCIMENTO DATAZIONE 1400 a prima metà del 1500 (secoli XIV-XVI) - UMANESIMO: prima metà del 400 - RINASCIMENTO: prima metà del 500 Tra i due periodi non c'è una precisa linea di demarcazione: durante l'umanesimo si consolidano dei valori che troveremo nel rinascimento, che è semplicemente un riaffermarsi dei valori dell’umanesimo. SFONDO STORICO Tuttavia, mentre all’umanesimo fa da sfondo l’età delle signorie, al rinascimento fa da sfondo l’età della controriforma (dunque la chiesa veicola la diffusione di un sapere laico). CARATTERISTICHE Il periodo è caratterizzato da una nuova concezione del mondo che abbandona la centralità di dio a vantaggio della valorizzazione dell’essere vivente e dell'uomo in generale, cosa che investe tutti i campi: la letteratura, la storia, l’arte, la sociologia e tutte le discipline del sapere. Si arriva alla consapevolezza di una visione antropocentrica (l’uomo al centro dell'universo, da antropos: uomo) che acquista la consapevolezza della propria identità e del proprio valore, riuscendo a esprimere liberamente il proprio pensiero e le proprie idee. L’UMANESIMO IL TERMINE → da humanae litterae, indica la riscoperta della cultura latina e greca, grazie ai testi ritrovati nei monasteri. Nonostante il volgare non scompaia (ma si diffonda prevalentemente per uso quotidiano), si ritorna a scrivere in latino, per dare una maggiore dignità alla lingua e al mondo classico, che nel Medioevo era stato occultato dall’allegoria. LA FILOLOGIA La nascita di una disciplina, la filologia, permette di dare ai classici interpretazioni letterarie e fedeli, liberandoli da vari sovrasensi. Il primo filologo fu Lorenzo Valla, che dimostrò il primo falso storico relativo alla donazione di Costantino. La filologia ha anche una grande funzione nell’affermare i principi di imitazione ed emulazione ⇩ IMITAZIONE ED EMULAZIONE Con l’umanesimo nascono due nuovi principi: quello dell’imitazione e quello dell’emulazione. PRINCIPIO DI IMITAZIONE: riprendere in maniera fedele il modello di riferimento (gli umanisti dichiaravano apertamente la fonte di ispirazione). PRINCIPIO DI EMULAZIONE: il modello di riferimento apertamente dichiarato ma non totalmente imitato, bensì adattato alla realtà contemporanea (doveva contenere un messaggio attuale). LA VISIONE LAICA L’umanesimo è portatore di una visione laica, basata sulla vita terrena: L’uomo non deve preoccuparsi della vita oltre la morte. Tuttavia, la religione non scompare del tutto, per cui non parliamo di un secolo ateo, ma di laicità: non c’è più la costante ricerca dell’equilibrio tra la vita terrena e quella spirituale. L’UOMO ARTEFICE DI SE STESSO L’uomo dell’umanesimo è artefice di se stesso, per cui diventa: ● HOMO ARTIFEX HISTORIAE: gli eventi storici e personali sono condizionati dall’atteggiamento dell’uomo; ● HOMO FABER: si costruisce la propria vita e il proprio destino. L’uomo è capace di ciò grazie al concetto (tratto dalla religione) di libero arbitrio. All’uomo viene mostrato ciò che è bene e ciò che è male, ed egli, attraverso le sue capacità e la sua ragione, deve scegliere la strada più giusta, per cui l’uomo è esaltato per il suo ingegno (costruito sulla parola). [Libertas: L’uomo è libero di scegliere e di sbagliare] IL MODELLO CLASSICO e I VALORI La scelta dell’uomo classico come riferimento è una scelta di perfezione, in quanto si pensa che il mondo classico sia un modello politico, morale e poetico da seguire a causa della PROPORZIONE, che viene riversata sia nella letteratura che nell’arte. I valori ricercati dall’umanesimo sono infatti: ○ l'equilibrio ○ l’armonia ○ la perfezione delle forme ○ il senso della misura ○ l’attenzione all’uomo → si traduce con un attento studio anatomico (Leonardo e Michelangelo) e della mente umana (tendenza che si riporterà nel neoclassicismo). LA DIFFUSIONE e LE ACCADEMIE L’Umanesimo si diffonde attraverso le accademie, nuovi centri culturali sparsi in tutta Italia e soprattutto in quella centro-settentrionale: - A Firenze abbiamo l’accademia più celebre, quella neoplatonica, fondata da Marsilio Ficino (su consiglio di Cosimo I de Medici) e con i massimi esponenti di Pico della Mirandola e Angelo Poliziano. - A Roma (dove però c’è il papa, per cui i valori diffusi sono sempre condizionati dalla religione) con Piccolomini, che addirittura diventa Papa col nome di Pio II: questo fa capire che molti intellettuali erano religiosi. - A Ferrara con la corte degli Estensi e la figura di Matteo Maria Boiardo (autore dell’Orlando innamorato); - A Mantova abbiamo Angelo Poliziano - Ad Urbino presso la famiglia Montefeltro si guadagna la fama Federico II - A Napoli (centro dell’umanesimo come lo sarà anche dell’illuminismo) l’accademia antoniana - in seguito detta accademia pontaniana, dal nome di Giovanni Pontano (1472) - L’accademia pomponiana che ha il suo centro a Napoli ma avrà anche una colonia a Roma LA LINGUA LINGUA E STILE Il modello di riferimento per lingua e stile è Cicerone. Lo stile è sobrio, elegante e complesso nella struttura morfosintattica: ciò porterà la lingua italiana all’acquisizione di identità, autonomia e maturazione. LA QUESTIONE DELLA LINGUA Durante l’Umanesimo si cercherà sempre di più di individuare un volgare che possa incarnare la lingua perfetta, che possa essere sia parlata che tanto elegante da poter essere destinata anche alla letteratura. Questa ricerca terminerà nel 1861 con l’unità d'Italia (il 17 marzo) senza che si arrivi mai ad una lingua unitaria (in quanto l’Italia stessa era frammentaria storicamente: in Italia centro-settentrionale c’erano comuni e signorie, la fascia centrale era sotto il dominio della Chiesa, il sud era legato ai principi monarchici). L’EPISTOLOGRAFIA L’abbiamo già vista con Petrarca e Dante, ma il modello classico per eccellenza degli umanisti è Seneca. L’epistola è un trattato dove c’è solo l’enunciazione della tesi, senza alcuna confutazione o antitesi. Sono sia raccolte pubbliche che private e non servivano solo per rendere una testimonianza biografica dell'autore ma divennero veri e propri veicoli per la circolazione delle idee del 1400. L’ORAZIONE Nasce dalla fusione tra il trattato e l’epistola; il modello di riferimento è Cicerone. Viene strutturata come un discorso pubblico al fine di persuadere gli interlocutori per convalidare le proprie tesi. Sono discorsi molto ampi a contenuto filosofico-letterario attraverso cui si esalta la dignità dell’uomo (homo faber). Spesso erano utilizzate anche per encomiare un principe, un vescovo o un santo. Tra i maggiori autori ricordiamo Pico della Mirandola e Giannozzo Manetti. LA STORIOGRAFIA Nasce con il mondo greco ma viene portata anche nel mondo latino. Veniva utilizzata nel mondo delle signorie per redigere atti pubblici e conservare la memoria di eventi storici che avevano caratterizzato le città italiane. I principali storici umanisti furono: - Leonardo Bruni → redige la prima storia italiana su Firenze e porta alla luce una concezione innovativa, quella della florentina libertas. Egli riconosceva nei fiorentini l’amore per la libertà, secondo lui ereditata dalla città di Roma (in quanto fondata dagli antichi romani); infatti Firenze ebbe alle origini l’affermazione delle istituzioni repubblicane, che l‘avevano preservata da ogni forma di tirannia e monarchia assoluta e aveva assicurato la nascita del principio di equilibrio, equità e giustizia. Questo era anche un modo per porre la città di Firenze capeggiata dai Medici superiore rispetto ad altre realtà, quali la Milano dei Visconti e altre città dell’Emilia Romagna. Bruni portò alla nascita del mito di Firenze, che venne paragonata ad una nuova Atene, per i suoi principi democratici e perché rappresentava il luogo di irradiazione della cultura greca nella penisola italiana. - Lorenzo Valla → propone un modello storiografico che prende come riferimento la storia di Tucidide, riportando il motto Historia Magistra vitae, riprendendo il modello di Lucrezio (col De Rerum Natura), soprattutto per lo stile diretto ma elevato e per l’analisi diretta delle fonti, non attraverso trasposizioni di altri autori. - i commentari → sul modello di Cesare; rivisitano modernamente l'annalistica del modello classico; la vediamo con Enea Silvio Piccolomini (Pio II) e vari esponenti del mondo ecclesiasitico. 2. LA POESIA Sia in latino (prevalente a causa della ripresa dei modelli classici) che in volgare e prevede diversi generi. Nonostante il latino prevalga, Firenze si distingue per una poesia che utilizza il volgare allo scopo di nobilitare questa lingua e farla diventare ufficiale. ANTOLOGIA DELLA POESIA TOSCANA IN VOLGARE Infatti ricordiamo che Leon Battista Alberti decide di istituire il primo certame coronario in volgare: la gara non ebbe un vincitore, ma l’artista ebbe il privilegio di aver lanciato questa idea, che poi verrà portata a compimento da Lorenzo il Magnifico che nel 1476 propone di allestire un’antologia della poesia toscana in volgare da inviare come regalo al re di Napoli Fernando D’Aragona, cercando un’alleanza per creare armonia ed equilibrio tra la famiglia medicea, il papato e gli aragonesi - poiché i rapporti erano da tempo compromessi. L’antologia viene ricordata come raccolta aragonese e comprendeva tutti i testi dei lirici in volgare (da Guinizzelli, Cavalcanti e Dante al 400, comprese le liriche di Lorenzo). All’interno c’era una dedica scritta da Angelo Poliziano, che dice che il volgare non è una lingua rozza ma elegante e pulitissima. Da quel momento in poi il volgare fiorentino doveva diventare la lingua della cultura toscana e guida linguistica rispetto a tutte le parlate volgari in Italia e così si apre la cosiddetta questione della lingua. I GENERI DELLA POESIA Da un lato le forme e i generi restano abbastanza immutati, dall’altro si diffondono generi nuovi (come il romanzo pastorale e le rappresentazioni sacre): questa varietà testimonia una molteplicità di linguaggi e di contenuti che hanno di riferimento sia la tradizione che l'innovazione. ● poesia erudita: scritta solo in latino; poesia raffinata e destinata ad un pubblico ristretto fatto dagli abitanti della corte; prevede forme di letteratura classica: l’epigramma, l’elegia (sul modello di Orazio) e l’egloga (sul modello di Virgilio). I maggiori esempi sono Piccolomini, Iacopo Sannazaro e Poliziano. ● poesia pastorale o bucolica: scritta in latino; ambientata o in un luogo idilliaco (il locus amoenus) o tra i pastori, in zone collinari. Questi due ambienti sono scelti per infondere pace, serenità, equilibrio, sicurezza e rifugio dalla corruzione e dalle brutture del mondo. I modelli di riferimento sono Teocrito per il mondo greco e Virgilio per il mondo latino. I maggiori esempi sono Boiardo con “l’Orlando innamorato” a Firenze e Iacopo Sannazaro con “Arcadia” a Napoli. ● lirica d’amore: scritta solo in volgare sul modello petrarchesco; uno dei maggiori esponenti è Boiardo. ● poesia comico realistica: priva di senso, buffa e satirica che deride i temi della poesia umanistica. I modelli sono Cecco Angiolieri e il Dante delle rime petrose. Il maggiore esempio è Lorenzo il Magnifico con “i canti carnascialeschi” in Toscana, e in Veneto un certo Giustinian che dà vita al filone giustinianeo. ● poema cavalleresco: fonde l’epica cavalleresca e il romanzo cortese, nonché la materia carolingia (per ambientazione e storia) con la materia bretone (che riporta l’elemento magico, la tematica amorosa e il meraviglioso). I maggiori esempi sono “il morgante” di Luigi Pulci, “l’Orlando innamorato” di Boiardo e in seguito Ariosto e Tasso. Il maggior centro di diffusione fu Ferrara e il pubblico è quello delle corti, poiché si rivedeva in costumi e ideologie. ● poesia cortigiana: poesia di tipo encomiastico che si diffonde in tutte le corti; sia in latino che in volgare - quella in volgare si diffonde grazie a Lorenzo il Magnifico a Firenze; un esempio è “le stanze per la giostra” di Angelo Poliziano ↴ ANGELO POLIZIANO - “LE STANZE PER LA GIOSTRA” Esempio di poema encomiastico e poesia cortigiana d’occasione, dedicata a Giuliano Dei Medici (fratello di Lorenzo). L’opera va a celebrare una gara militare (“giostra”) che Giuliano disputa in Piazza S.Croce a Firenze nel 1475, per festeggiare l’alleanza tra Firenze, Milano e Venezia. L’opera viene dedicata anche alla donna amata da Angelo che si chiama Simonetta Cattaneo. I MODELLI DI RIFERIMENTO - Eneide di Virgilio → infatti l’opera sarebbe dovuta essere di 12 libri, ma viene interrotta per la morte di Simonetta. Poi fu ripresa e totalmente abbandonata nel 1478, quando Giuliano viene assassinato durante la congiura dei pazzi. - un suo contemporaneo, Luigi Pulci → poco prima aveva scritto “la giostra di Lorenzo” per celebrare la vittoria del magnifico e la sua ascesa al potere. LA NARRAZIONE Il fatto della giostra viene trasfigurato secondo modelli epico-mitologici: infatti, l’opera racconta l’avventura di Iulio (Giuliano) che è un giovane bellissimo, abile nelle armi e appassionato di caccia, ma del tutto indifferente all’amore. Per questo, cupido decide di vendicarsi e farlo innamorare. Mentre passeggia per i boschi egli vede una cerva bianca e cerca di catturarla, per cui la insegue fino a un prato fiorito (il locus amoenus), dove la cerva si trasforma in una ninfa bellissima (trasfigurazione di Simonetta Cattaneo). Cupido è vittorioso perché Giuliano si è innamorato della giovane, e riporta quindi la notizia alla madre Venere. Poiché l’amore non è corrisposto, la dea invita Giuliano (attraverso una visione onirica) a cimentarsi in un’impresa (la giostra) per dimostrare il suo spirito da cavaliere. A questo punto, l’opera si interrompe. LORENZO IL MAGNIFICO Lorenzo era figlio di Piero dei Medici e venne chiamato “il Magnifico” per l’opera di promozione culturale e artistica a Firenze, città di cui assunse la guida alla morte del padre. Nel 1468 sfuggì alla congiura dei pazzi, nella quale perse la vita il fratello giuliano. La sua salute lo porterà a ritirarsi a vita privata e a morire nel 1492. Passa alla storia come artista, filosofo, poeta e protettore di queste categorie di intellettuali nonché promotore della cultura (presso la sua corte si formarono personalità come Luigi Pucci, Angelo Poliziano, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola e vari pittori). LE OPERE Scrive opere che hanno lo scopo del trovare l’equilibrio tra l’interesse terreno e la sfera contemplativa: - i canti carnascialeschi*→ la sua opera più importante; attraverso questo genere che esalta il divertimento, riflette sulla vanità dei beni terreni e invita il lettore a godere della vita e a superare il conflitto che aveva caratterizzato gli uomini del medioevo tra terra e cielo. Infatti, “il trionfo di Bacco e Arianna” ci riporta proprio questo aspetto e riprende l’invito del carpe diem di Orazio; si apre con la sfilata di Bacco, dio del vino e promotore delle feste del divertimento, accompagnato da Arianna, figlia di Minosse. - la Nencia da Barberino - le rime → raccolta di componimenti in lingua volgare in cui sperimenta tecniche provenzali e stilnovistiche (specialmente petrarchesca) o, in alcune liriche, le ribalta. canti carnascialeschi: versi musicati scritti per allietare le feste del carnevale, accompagnati dalla musica e dalla sfilata dei carri mascherati. Il tono è musicale, giocoso e di festa ma a tratti malinconico, in quanto lo scopo dell'esaltazione del divertimento era far riflettere sulla vanità dei beni terreni. 3. IL TEATRO - lingua → Il teatro è un genere letterario che nell’umanesimo troviamo prevalentemente in volgare. - soggetti rappresentati → sacri, essendo caratterizzato da argomenti biblici; - pubblico → È una rappresentazione semplice ma popolare, per cui gode di un pubblico molto vasto. - modello di riferimento → la lauda di Iacopone da Todi, con l’aggiunta dell’annuncio (un prologo) e la chiusura attraverso l’elemento della licenza, contenente frasi moralistiche pronunciate da un angelo. - maggiori rappresentanti → Lorenzo dei Medici, Tornabuoni e Beccari e altri rappresentanti di un teatro più laico come Poliziano. LA QUESTIONE DELLA LINGUA Tra il quattrocento e il cinquecento nasce la necessità di un rinnovamento della lingua, che si vorrebbe fosse unitaria. Gli intellettuali scoprono infatti la Poetica di Aristotele, un’opera in cui afferma che la letteratura nasce dalla tragedia, che riteneva il genere culturale e letterario per eccellenza. Dunque, tutti gli altri generi nascono da essa, e sono per questo anch’essi nobili e sublimi ma avevano semplicemente avuto un’evoluzione differente. Il pensiero aristotelico porta gli intellettuali a riflettere sulla bipartizione prosa-poesia e quindi anche sull’utilizzo della lingua, poiché si era osservato come alcuni autori per determinati aspetti e contenuti avessero usato il latino e per altri il volgare (il Rinascimento studia anche le tre grandi corone, come esempio di mescolanza di queste due lingue). Nasce così la cosiddetta questione della lingua, affrontata da vari intellettuali attraverso varie tendenze: - Niccolò Machiavelli → sosteneva l’utilizzo del fiorentino parlato - Pietro Bembo → nelle Prose della volgar lingua; sostenitore della tradizione letterale del 300, che propone come modello di prosa Boccaccio e di poesia Petrarca. - Baldassar Castiglione e Trìssino → perseguono la linea cortigiana, ritenendo che si dovesse avere una lingua che ha come modello il linguaggio parlato nelle corti. Si afferma prevalentemente la tendenza di Bembo, grazie alle cui idee nel 1583 si forma l’Accademia della Crusca, il cui nome (mantenuto ancora oggi) deriva da un gruppo di fiorentini detti “brigata dei crusconi”, riuniti per scambiarsi battute divertenti e scherzose e ritrovatisi poi a discutere su questioni linguistiche. I maggiori esponenti della tendenza furono: - Salviati → diede vita al primo vocabolario della crusca, considerabile il primo della lingua italiana, nel 1612 - Trìssino → creò il primo volume della grammatica italiana PIETRO BEMBO (origini veneziane, amico di Ariosto) La vita: Frequenta varie corti, da Ferrara a Urbino, e ricopre vari ruoli di ambasciatore per la curia romana. Tutto ciò gli consente di trovare una certa stabilità di ordine economico, tant’è che diventa addirittura segretario di Leone X, il cui contatto gli consente di prendere i voti sacerdotali e di diventare addirittura cardinale: infatti passa gli anni a partire dal 1500 a Roma e sostiene la riforma di Lutero. Nonostante fosse un sacerdote, si parla di una possibile relazione con una certa Vittoria Colonna, poetessa. Morirà a Roma nel 1547. La letteratura: viene ricordato per la sua prosa complessa ed erudita (categoria: prosa di erudizione). Scrive trattati e dialoghi filosofici, sia in latino che in volgare. Le sue opere più importanti sono due: 1) GLI ASOLANI → scritto nel 1505; trattato dialogico in 3 libri incentrato sulla tematica amorosa 2) LE PROSE DELLA VOLGAR LINGUA (Scritto nel 1525 e strutturato in 3 libri) Trattato scritto allo scopo di trovare il volgare perfetto, arrivando a sostenere il primato del volgare fiorentino. Si tratta di dialoghi che Bembo immagina siano stati scritti a casa del fratello Carlo a Venezia, circa 15 anni prima. I dialoghi avvengono tra 4 personaggi: 1. il fratello Carlo, che rappresenta l’alter ego di Bembo 2. Giuliano dei Medici, che sostiene la validità del fiorentino contemporaneo (del 400) 3. Federico Fregoso, che ha il compito di tracciare la storia del volgare italiano 4. Elcore Strozzi, che parla in maniera libera, esponendo le proprie tesi e contrastando gli altri interlocutori LIBRO I: Il volgare perfetto deve avere come modello: Boccaccio per la prosa e Petrarca per la poesia. LIBRO II: Delinea lo stile, la metrica e la fonetica del volgare perfetto; applica inoltre questi parametri per analizzare la lingua del Boccaccio, definendola ideale, perché capace di esprimere letterarietà e diletto. LIBRO III: Elabora una grammatica volgare, ispirandosi alla lingua degli autori del 1300 (escluso solo dante, per via del suo plurilinguismo), prendendo come modello prevalentemente Petrarca. BALDASSAR CASTIGLIONE (autore di origini mantovane) La vita: Compie gli studi umanistici a Milano e alla morte del padre entra a servizio dei Gonzaga di Mantova, ricoprendo - in cambio di protezione - ruoli di ambasciatore, diplomatici e militari. Nel 1504 entra però in contrasto con la famiglia, per cui abbandona la città e si reca ad Urbino, dove riceve la protezione dei Montefeltro e in seguito dei Della Rovere, che si guadagnano il primato tra le famiglie nobili negli anni successivi. Quando però il papa Leone X scomunicherà la famiglia (per affidare il ducato di Urbino a Lorenzo II dei Medici), Castiglione tornerà a Mantova e deciderà - dopo la perdita prematura della moglie - di abbracciare la carriera ecclesiastica. Nel 1525 papa Clemente VII lo invia in Spagna, ma viene accusato di non aver fornito le giuste informazioni sulla discesa di Carlo V in Italia e viene prima arrestato, poi discolpato dalle accuse. Muore a Toledo nel 1529, in Spagna. La sua opera principale è Il cortegiano: IL CORTIGIANO Trattato in forma dialogica pubblicato a Venezia nel 1528 L’opera ha avuto tre edizioni, per cui inizialmente i libri erano 3 ma poi diventano 4 e in seguito viene aggiunta una lettera di dedica iniziale: l’opera era infatti dedicata ai Montefeltro (gli anni di stesura iniziano proprio nel suo periodo ad Urbino, che era anche uno dei centri culturali più vivi della penisola italiana). LIBRO I: Castiglione immagina che, durante una sua assenza alla corte di Urbino, per quattro sere si svolga una conversazione tra la duchessa Elisabetta Gonzaga e gli altri cortigiani (tra i quali cita Giuliano dei Medici, Pietro Bembo e Cesare Gonzaga), per stabilire la figura del perfetto uomo di corte, delineato secondo un punto di vista fisico morale e comportamentale. Questo deve avere le caratteristiche del perfetto uomo rinascimentale, dunque deve essere: - equilibrato - avere il senso della misura - intelligente - capace di esprimere grazia ed armonia - raffinato - capace di curare molto la sua estetica - un buon conversatore - saper anche tacere In più deve saper esercitare l’arte della sprezzatura → deve cercare di semplificare attraverso la parola ciò che può apparire complesso. Deve avere queste caratteristiche perché il cortigiano deve saper celebrare il mondo che stava scomparendo, quello classico, rendendolo attuale. LIBRO II: Affronta la questione della “lingua cortigiana”, che deve prendere in considerazione tutte le lingue e tutti i dialetti delle corti italiane, e che deve essere una lingua capace di essere compresa da un pubblico vasto ma anche elegante e letteraria, proprio come le corti italiane. LIBRO III: delinea il perfetto ritratto della dama di corte che deve accompagnare il cortigiano perfetto: deve essere bella e moralmente giusta, avere un comportamento elegante ed esercitare tutti i valori cavallereschi. Indica come modello di riferimento proprio Elisabetta Gonzaga. LIBRO IV: diviso in due parti: 1. Delinea i rapporti che il cortigiano deve avere con il principe che lo ospita: il principe deve essere suo mecenate e il cortigiano suo consigliere. 2. Affronta la tematica amorosa, ispirandosi agli Asolani di Bembo: propone un amore platonico, più sentimentale che fisico. IL PETRARCHISMO Dal momento in cui Bembo ritiene Petrarca il perfetto esempio di poesia, la sua tendenza porta alla nascita di un fenomeno chiamato “Petrarchismo” (o “tesi classicista e della tradizione”), i cui esponenti sono detti “petrarchisti” o “classicisti”, che diventano perfetti imitatori del Canzoniere. Le caratteristiche ● L’influenza della poesia neoplatonica → proponeva un universo armonico, in cui l'umanità doveva contemplare la creazione e stabilire un rapporto di comprensione con Dio, offrendo così un'ottica spirituale e cristiana dell’amore. La donna diventa strumento di conoscenza e interpretazione della realtà, che permette all’uomo di comprendere la bellezza e la perfezione. ● La codificazione linguistica proposta da Bembo ● Il rispetto di alcune caratteristiche regionali → risente dei valori delle corti in cui operano i vari esponenti La diusione - Marsilio Ficino → fondatore dell’accademia neoplatonica e primo a diffondere il petrarchismo - Toscana ed Emilia Romagna → Boiardo, Ariosto e Bembo - Lombardia → Bannello - Roma → Michelangelo Buonarroti - Vittoria Colonna e Giovanni della Casa - si diffonde anche in Inghilterra (Shakespeare), Francia (De Pelau) e Spagna L’ANTIPETRARCHISMO La nascita del Petrarchismo porta ovviamente anche il diffondersi della tendenza opposta. Nascono infatti gli “antipetrarchisti”, detti anche “anticlassicisti”, che dichiarano apertamente di avere come modello di riferimento Cecco Angiolieri. Pur conoscendo la tradizione, essi la ribaltano proponendo un modello opposto e più innovativo, introducendo la tematica comico-realistica nel Rinascimento. Le caratteristiche - poesia più rozza e volgare, talvolta sgradevole, sia nel contenuto che nel linguaggio - satirica, parodica, realistica e fortemente popolare - si basa sul doppio senso e sul paradosso Gli autori principali - Francesco Berni → crea uno stile autonomo, detto “bernesco”, basato su una poesia di caricatura che prende di mira prevalentemente personaggi famosi (politici ed ecclesiastici) - Grazini, conosciuto come il Lasca - Angelo Firenzuola Alcuni autori ribaltano anche il poema epico-cavalleresco, in un poema eroicomico, e ha come autori principali: - Il morgante di pulci - Teofilo Folengo → ricordato anche per il latino maccheronico (misto tra latino, dialetto e volgare) - il Burchiello ricerca degli eventi passati, Guicciardini ritiene che le cause siano da ricercare nel presente più che nel passato e identifica quest’ultimo con le fonti. Lo stile 1. ampio e complesso → nella trattazione dell’evento storico 2. personale, elegante e ricercato, con termini complessi → nelle orazioni e nei discorsi dei personaggi Dalla mescolanza di lingua e stile di questi due aspetti, risulta un linguaggio equilibrato e armonioso che tiene conto delle regole dei due grandi maestri dell’evoluzione linguistica: Bembo e Castiglione. LA PROSA IN VOLGARE → All'inizio del Cinquecento, il volgare si impone come lingua della scrittura in prosa, prima affiancando e poi sostituendo il latino. Si trattò di un processo graduale, fu favorito da due elementi: 1. L'ampliamento del pubblico, grazie alla maggiore diffusione del libro a stampa rispetto al libro manoscritto, tipico dell'età umanistica. 2. La pubblicazione delle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo, un trattato con cui l'autore si inserisce nel dibattito sul volgare, indicando come modello di riferimento il fiorentino trecentesco del Decameron di Boccaccio. 2. La trattatistica Il passaggio al volgare produsse cambiamenti significativi nella trattatistica: - trattati umanistici (in latino) → basati per lo più sulla forma del dialogo finalizzato alla ricerca di una verità attraverso un confronto di idee e su una visione del mondo fondata sul recupero del patrimonio letterario e filosofico dell'antichità; - trattati rinascimentali (in volgare) ↴ La nalità educativa I trattati del rinascimento ebbero soprattutto finalità educative, in quanto il loro scopo principale era quello di formare intellettualmente il nuovo pubblico delle corti cinquecentesche, nel tentativo di eliminare le differenze locali e proporre dei modelli di comportamento, trattando argomenti come l'amore, la vita di corte e la politica. La concezione dell’amore Il trattato che espone perfettamente le caratteristiche degli ideali amorosi della vita di corte del cinquecento furono gli Asolani di Bembo, un trattato strutturato come un dialogo tra uomini e donne di Venezia. L'amore di cui parla Bembo: - è un amore ideale, purificato da qualsiasi forma di desiderio sessuale - è vissuto solo nella mente, non nella realtà: si limita alla contemplazione della bellezza femminile Questa concezione spirituale dell'amore che emerge dagli Asolani fu dominante nel Cinquecento. Tuttavia non mancarono teorizzazioni meno nobili dell'amore, contrapposte a quella di Bembo (la cosiddetta poesia maccheronica). Un esempio è quello dei Ragionamenti di Pietro Aretino, in cui: - il mito dell'amore spirituale è rovesciato in maniera parodica, attraverso la scelta di inserire le prostitute al posto delle donne; - la donna è considerata un oggetto e il rapporto tra uomini e donne è ridotto a prostituzione. La vita di corte e il cortigiano Le corti non sono più circoli ristretti di intellettuali che discutono con il loro signore, ma veri e propri luoghi di incontro di gentiluomini e gentildonne, regolati da precise norme di comportamento. Il trattato che meglio esprime il cambiamento in atto nelle corti italiane del primo Cinquecento è il Libro del Cortegiano di Baldassar Castiglione, che delinea la figura del perfetto uomo di corte. Le sue qualità indispensabili (la nobiltà d'animo, l'eleganza, il rifiuto degli eccessi e dell'ostentazione) si identificano con gli ideali di misura, compostezza e grazia tipici del rinascimento. Nella corte hanno un ruolo importante la conversazione e le relazioni umane, che sono fonte di piacere ma anche di insegnamento. Si è soliti accostare Il Libro del Cortegiano di Castiglione al Galateo di Giovanni Della Casa, ma l'affinità tra le due opere è solo apparente, poiché mentre Castiglione intendeva delineare il ritratto ideale del perfetto uomo di corte, Giovanni Della Casa - nonostante si ispiri agli ideali rinascimentali della misura e dell’eleganza - suggerisce i comportamenti da tenere nella vita di tutti i giorni e riferito alle esigenze di un pubblico più vasto, non aristocratico come quello a cui si rivolge Castiglione. La politica Abbiamo infine il trattato politico, il cui esponente è Machiavelli con l’opera de Il Principe. Nell’opera egli sottolinea infatti le virtù necessarie a un buon uomo di governo. La grande novità rispetto ad autori come Bembo e Castiglione è il fatto che Machiavelli prenda in esame non più una realtà ideale, ma una “verità/realtà effettuale”, dunque la realtà com’è, e non quella che si vorrebbe. Il Principe finisce nell’indice dei libri proibiti, ma nonostante ciò le idee di cui Machiavelli si fa portatore nell’opera continueranno ad essere discusse e daranno vita al dibattito politico sulla “Ragion di stato”. 3. La novella e il romanzo La novella fu una forma di narrazione molto amata nel Rinascimento. I modelli di riferimento I modelli ai quali i novellieri si ispirarono furono per lo più: ○ il Decameron di Boccaccio ○ la favolistica classica: del greco Esopo e del latino Fedro I temi I temi più ricorrenti sono quelli che caratterizzarono la novella di Boccaccio, ossia: - l'amore in tutte le sue manifestazioni - la furbizia - la goffaggine - la fortuna e la virtù Non mancarono poi scrittori capaci di rielaborare la materia arricchendola di intrecci avventurosi. I novellieri principali Tra i novellieri italiani si distinsero: - Anton Francesco Grazzini → noto anche come “il Lasca” o “il poeta seguace della moda bernesca”; nelle Cene riporta la beffa tradizionale spingendola al limite dell'assurdo; - Agnolo Firenzuola → con i Ragionamenti d'amore (raccolta di novelle ispirate a Boccaccio) e la Prima veste dei discorsi degli animali (rifacimento della Panchatantra, raccolta di favole indiane con protagonisti animali) - Matteo Bandello → prosatore originale per via del linguaggio semplice e ricco di espressioni dialettali. La novella ebbe però vitalità soprattutto in Francia, come attestano: - una raccolta di un autore ignoto → Cento novelle nuove - l'Eptamerone → di Margherita di Navarra (fedele imitatrice di Boccaccio, come indica il titolo della raccolta) - Francois Rabelais → nel romanzo Gargantua e Pantagruele offre un quadro del tutto negativo del mondo femminile e del matrimonio, con accenti di vera e propria misoginia (è considerato l’esempio più significativo della “letteratura carnevalesca", i cui tratti distintivi sono il rovesciamento delle gerarchie e dei loro valori). Avranno diffusione solo in Europa e non in Italia le prime forme di ROMANZO in modo particolare in Francia e in Olanda. 4. Il teatro Nel Cinquecento, presso le corti e le curie vescovili, la tragedia e la commedia costituirono il mezzo più prestigioso per rendere solenni le festività, le ricorrenze e le cerimonie di rappresentanza. La tragedia La tragedia classicista Nella tragedia si esprimeva prevalentemente il classicismo, legato alle tre unità di Aristotele (luogo, tempo e azione). Tra i sostenitori del classicismo si distinse Giangiorgio Trissino con l’opera Sofonisba. La tragedia senechiana Una svolta di tendenza si ebbe con Giambattista Giraldi Cinzio, che propose la realizzazione di un teatro più spettacolare, basato su grandi intrighi, passioni e crudeltà. Famosa è Orbecche, una tragedia ispirata a una concezione pessimistica della vita, che si si rifà al modello del tragediografo latino Seneca, inaugurando il filone della tragedia senechiana, caratterizzata dall’elemento macabro. La commedia Mentre la tragedia era generalmente strutturata in forme letterarie stereotipate, la commedia era caratterizzata da una grande libertà e vitalità: la commedia era infatti intesa come specchio della vita e aveva il fine di divertire il pubblico. Era molto praticata l'imitazione del teatro comico latino (soprattutto quello di Plauto e di Terenzio), di cui sono testimonianza le commedie di Ariosto. Tra le opere principali ricordiamo: - la Calandria → di Bernardo Dovizi (detto il Bibbiena) - la Cortigiana → di Pietro Aretino - la vera rivelazione di un forte spirito rinascimentale fu però La mandragola di Machiavelli, rappresentazione di un mondo privo di ideali, corrotto e meschino. La commedia dialettale Molto spontanee e vivaci sono le commedie dialettali, come: - l'anonima Venexiana - le commedie del padovano Angelo Beolco (detto il Ruzante, dal nome del contadino protagonista delle sue opere). Tra le sue commedie ricordiamo La Betìa e La Moscheta, da cui si ricava una grande volontà di polemizzare contro il classicismo rinascimentale, proponendo al contrario la rappresentazione delle condizioni di vita reali dei ceti umili (in particolare dei contadini). Egli scrisse quindi prevalentemente in dialetto, poiché i suoi personaggi parlano secondo il loro grado di istruzione. La Commedia dell'arte Il teatro di Beolco segnò l'inizio del gusto per la spontaneità e dette vita alla “Commedia dell'arte” (così denominata perché i suoi attori non erano occasionali, ma studiavano “l'arte”della commedia in vere e proprie compagnie stabili). Il testo della Commedia dell'arte non era scritto, ma solo un testo schematicamente tracciato (canovaccio),su cui gli attori improvvisavano il dialogo, accompagnando la parola con la mimica. Si trattava di un teatro buffonesco di scarso valore letterario, ma di grande successo per tutto il Seicento in tutta Europa, soprattutto in Francia. In questo periodo nascono alcune celebri maschere, come Pulcinella, Arlecchino e Colombina.
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