Scarica Alain Badiou. Del capello e del fango. e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! ALAIN BADIU DEL CAPELLO E DEL FANGO Riflessioni sul cinema a cura di Daniele Dottorini Alain Badiou, filosofo, drammaturgo, romanziere è uno dei massimi pensatori contemporanei. Direttore del dipartimento di filosofia all’Ecole Normale Superieure, è tra i fondatori della rivista “Art du cinema”. Si pone domande sul cinema a partire dalla filosofia. Introduzione di Daniele Dottorini (è professore associato di cinema presso L'Università della Calabria, si occupa di teoria del cinema e di cinema del reale): ALAIN BADIOU O IL CINEMA COME PROMESSA FILOSOFICA La teoria del cinema è giunta ad una sorta di soglia-limite. Questa consapevolezza ha fatto sì che le teorie abbiano moltiplicato i propri percorsi. È in questo quadro che si apre la prospettiva deleuziana, agendo come spartiacque all’interno del dibattito teorico. Il dibattito, aperto e dinamico, si sviluppa allora lungo binari molteplici, dalla critica radicale di ogni effettiva o potenziale ontologia del cinema (da Bazin a Deleuze), al recupero del cinema quale dispositivo di rielaborazione concettuale dell’immagine e della sua storia, alla visione “sintomale” dell’immagine cinematografica, fino al ripensamento concettuale del rapporto filosofia/cinema in filosofi come Alain Badiou. Gli scritti di Badiou testimoniano un’intensa attività di ricerca intorno al rapporto tra filosofia e cinema. Lui stesso dice: “il cinema intrattiene rapporti molto particolari con la filosofia. Non è un rapporto conoscitivo. È un rapporto vivo, concreto; un rapporto di trasformazione”. Il 1993 è un anno centrale per Badiou. È il momento in cui il filosofo francese fonda, insieme al critico e regista Lévy, la rivista bimestrale “L’art du cinéma”. Rivista cartacea e portale internet, in cui propongono l’intento di ripensare il cinema, e quindi i film, come opere d’arte, cioè come forme di pensiero autonome e singolari, al di là della loro collocazione temporale. Badiou pubblica 2 testi: - “Manifesto per la filosofia”: il pensiero si imbatte sulla messe in questione della verità, che oggi è incerta. Questo testo inscrive la possibilità contemporanea della filosofia nell’analisi delle sue condizioni reali. Che cos’è una condizione della filosofia? È una verità in divenire, appartenente a uno dei quattro generi di verità: il genere scientifico, il genere artistico, il genere politico, il genere amoroso. Dunque, la singolarità della nozione di verità cede il passo alla pluralità delle verità. La filosofia coglie le verità. - “L’essere e l’evento”: la filosofia non si pone come discorso fondatore della realtà (essa non coincide con l’ontologia), ma circola tra le sue condizioni, nello spazio aperto dal rapporto tra ciò che è, l’essere-in-quanto- essere e ciò che avviene, l’evento puro. Tale rapporto non indica due modalità dell’essere, né attesta l’essere come Uno, ma, al contrario, ribadisce il suo essere immediatamente molteplice. La molteplicità dell’essere deriva proprio dal carattere eventuale del divenire. L’evento è uno dei concetti centrali di Badiou, concetto che determina l’emergere del nuovo nella realtà. L’evento è ciò che accade come frattura, come distruzione di un ordine precedente. Ecco crea uno spazio nuovo che non può esser detto all’interno di un discorso unico. Quindi il discorso filosofico non può e non deve essere un discorso unico, ma circola all’interno delle 4 condizioni di verità. Badiou dedica a Deleuze un saggio e una serie di articoli. Deleuze si è occupato di letteratura, di teatro, di cinema, di pittura, ha lavorato incrociando lo sguardo di molti autori. La sua filosofia parte dal presupposto che il pensiero scaturisca da un impulso esterno, qualcosa che avvia un processo di pensiero, costringendo a pensare. È un gesto radicale, che non può essere metodico. Badiou condivide con Deleuze la convinzione fondamentale che la filosofia come progetto sia ben lungi dall' essere terminata, che l'essere è in sé stesso multiplo, che il procedimento filosofico prende avvio da un evento e che, a prescindere dalle sue manifestazioni nel mondo, l'essere in sé per sé è univoco. Badiou, però, inizia anche una critica alla filosofia deleuziana incentrata soprattutto nella constatazione che quella di Deleuze più che una filosofia della molteplicità si configura come la metafisica dell'Uno. Riguarda il cinema, Badiou afferma che l'operazione di Deleuze è un'operazione filosofica; essa rielabora e ibrida all'interno delle molteplici immagini del cinema stesso, i concetti filosofici. Nella prospettiva deleuziana, il rapporto filosofia cinema non si trasforma mai in una teoria del cinema, ma in un'operazione totalmente filosofica. Questo perché la filosofia non può e non deve trasformarsi in critica del cinema. Il cinema è un'arte impura. Una prima considerazione riguarda quella che Badiou chiama la questione ontologica, vale a dire il fatto che l'immagine cinematografica non è in nessun modo una copia della realtà ma si presenta come un immagine dallo statuto duplice. La filosofia è interessata ai rapporti che non sono rapporti. Deleuze aveva un nome per questi rapporti: sintesi disgiuntiva, ovvero un rapporto che non è un rapporto, un rapporto paradossale, una frattura. C'è filosofia ogniqualvolta si vuole pensare un rapporto di questo tipo. La filosofia è la teoria delle fratture, il pensiero delle fratture. Il cinema si muove attorno alla questione dei rapporti tra essere e apparire. È un'arte ontologica. Il cinema è un paradosso, un rapporto che non è un rapporto. Proprio per questo esso trattiene dei rapporti con la filosofia. Una doppia origine, prima poetica (i presocratici, Empedocle, Eraclito, Parmenide) e poi argomentativo-razionale, con Socrate e con Platone. La doppia origine della filosofia si riflette continuamente lungo tutta la storia del pensiero: «la filosofia è dunque impura». Questo doppio modello filosofico – poetico e matematico – si riflette nel procedere stesso del pensiero, nella distinzione tra essere e evento, tra ciò che è e ciò che avviene. La matematica è di fatto il modello puro del ragionamento astratto («le matematiche sono l’ontologia»), ma per riuscire a pensare l’evento occorre un linguaggio diverso, nuovo. Ed è qui che l’arte interviene, come possibilità di pensiero dell’evento. La filosofia si configura pertanto come tensione tra arte e matematica. È questa la sua forza e anche il suo paradosso, la sua impurità. Impurità. In questo punto si situa il ruolo e la funzione del cinema. Il cinema è un’arte impura e il primo livello di impurità è quello ontologico: il cinema si muove tra il più totale artificio e la realtà più totale. Il cinema è un movimento impuro, un movimento che non cessa di creare rapporti, di creare quelle che Badiou chiama “sintesi disgiuntive”. Il cinema, con la sua forza scardinante di arte/non-arte, di dispositivo elitario e di massa, di costruttore di immagini di avanguardia e riproduttore di clichè, con la sua capacità di immergersi nel caos e nell’impurità del mondo, traendone, con la sola forza della ripresa e del montaggio – il cinema non è che questo, afferma Badiou – dei momenti di purezza assoluta, di pura arte. Il cinema si configura come un territorio in cui le quattro procedure generiche di verità (scientifico/matematica, politica, artistica ed amorosa) trovano il loro spazio, si incrociano, si ibridano. Il cinema afferma la sua ricchezza nel proporsi come arte impura: esso non è “solo” arte, né semplice intrattenimento, ma ibrida e impura presentazione di uno sguardo molteplice sul mondo: «Se il cinema è idea, o visitazione casuale dell’idea, lo è nel senso in cui il vecchio Parmenide, in Platone, la esige dal giovane Socrate: che ammetta, insieme al Bene, al Giusto, al Vero, al Bello, alcune idee altrettanto ideali, per quanto meno convenienti: quella del Capello o del Fango». Il progetto filosofico di Badiou consiste nel pensare la filosofia attraverso il cinema; la filosofia come creazione di nuove sintesi. Il lavoro filosofico del e sul cinema può essere pensato solo a partire dalla assoluta contemporaneità del cinema. Il cinema è forma del presente. Solo così esso lavora alla creazione incessante di nuove sintesi, di nuovi rapporti. Dunque, è necessario interrogarsi continuamente sulla sua attualità. Questo significa mettere in atto un esercizio critico continuo. Il cinema non è “sintomo” della contemporaneità, né costituisce una forma particolare di elaborazione dell’immagine. Al contrario, il cinema si muove in un territorio ampio e frastagliato, oscillante tra la volgarità e il sublime, e, proprio per questo, capace di suscitare emozioni, sensazioni e pensiero, cioè una scrittura. La scrittura, dunque, si muove lungo i binari della critica e della teoria; essa procede “come se” facesse critica e/o teoria del cinema, ma facendo, al tempo stesso, filosofia, semplicemente perché quello che è in gioco nel nostro rapporto con il cinema è la possibilità di cogliere nel modo suo proprio, una verità. PARTE PRIMA I. ARTE, MATEMATICA E FILOSOFIA La filosofia ha una doppia origine e credo che non s’insista a sufficienza su questo punto. La filosofia non è nata in modo semplice: come tanti altri mostri, è nata due volte. È nata una prima volta con tutti quelli che chiamiamo presocratici: Parmenide, Eraclito, Empedocle. Ma tutti loro erano dei poeti, dunque la filosofia è nata la prima volta nella poesia. La seconda nascita è invece la critica radicale di questo punto e comporta un’idea completamente diversa: l’idea che la verità di ciò che viene detto non deve dipendere da colui che parla, la parola della verità non è parola sacra, bensì parola che deve essere provata, ricorrendo a prove che chiunque può e deve condividere. La matematica è diventata una sorta di modello della seconda nascita. Dunque, la filosofia proviene dal poema e dalle arti e proviene dalla critica razionale, matematica, del poema e delle arti. Se ammettiamo che la matematica è la scienza del numero e che le arti e il poema sono la scrittura dell’immagine, ciò che articola la storia della filosofia è il doppio ideale dell’immagine e del numero. Noi oggi ci troviamo con l’espressione “ immagine digitale”, come se l’immagine stessa fosse diventata in qualche modo numero. I rapporti tra visibile e invisibile si sono modificati. Nella filosofia tradizionale, l’immagine stava dalla parte del visibile, dalla parte dell’esperienza; mentre il numero stava dalla parte dell’intuizione intellettuale, dalla parte del pensiero, dell’Idea. Insomma, il mondo contemporaneo è un caos sonoro. In un film di Godard si ha un caos sonoro, ma pian piano quel caos si organizza per poi sfumare. Riguardo, invece, le macchine: una macchina che parte o una che arriva è l’immagine più piatta che ci sia. Nel tempo, la macchina verrà utilizzata in modo diverso, anche come luogo di parola. Il terzo esempio è l’attività sessuale, la cui immagine è fondamentale nel cinema. Infine, si sono sempre trovati litigi, scontri, sparatorie. La caratteristica più importante del cinema è quella di accettare il materiale delle immagini. Ciò che rappresenta il reale nel cinema o nella filosofia è un’assoluta impurità. III. FALSI MOVIMENTI, VISITAZIONE, PASSAGGIO, IMPURITÀ Un film lavora in quanto opera dei tagli. In esso, l’immagine è in primo luogo tagliata, non solo per effetto del montaggio, ma prima ancora per il taglio stesso dell’inquadratura. Il movimento, nel cinema, deve essere pensato secondo 3 modalità differenti: - movimento globale , per il quale l’idea non è mai che il suo passaggio - movimento locale , per il quale essa è altro da ciò che è, altro dalla sua immagine - movimento impuro , per il quale l’idea si situa nelle frontiere oscillanti tra le supposizioni artistiche abbandonate. Si potrebbe chiamare “poetica del cinema” l’intreccio dei 3 movimenti. Questi sono propriamente dei falsi movimenti: - movimento globale è falso, per il fatto che nessuna misura gli si adatta - movimento locale è falso, poiché non è che l’effetto di una sottrazione dell’immagine - movimento impuro è il più falso di tutti perché non esiste in realtà nessun modo di produrre movimento da un’arte all’altra. Il cinema è l’organizzazione di questi movimenti impossibili. Il cinema crea l’intreccio di questi tre falsi movimenti. IV. PENSIERO E CINEMA. IL PASSAGGIO E L’IMMOBILITÀ Un primo modo di parlare di un film è quello di dire «mi è piaciuto» o «non mi ha entusiasmato». Questi enunciati sono indistinti, perché la regola del “gusto” occulta la sua norma. Questo è il giudizio indistinto. C’è un secondo modo di parlare di un film che consiste precisamente nel difenderlo dal giudizio indistinto, mostrando che tale film non si situa semplicemente nello spazio tra il piacere e l’oblio. Mentre il giudizio indistinto menziona in primo luogo gli attori, o gli effetti, o una scena sorprendente, o la storia raccontata, questa seconda specie di giudizio cerca di designare una singolarità di cui l’autore è l’emblema. Chiamiamo questo giudizio il giudizio diacritico, che definisce una forma sofisticata dell’opinione, designa il cinema di qualità. C’è un terzo modo di parlare di un film, né indistinto, né diacritico. Si passa dal giudizio normativo, indistinto (“è buono”), o diacritico (“è superiore”), ad un atteggiamento assiomatico, che domanda quali sono per il pensiero gli effetti di questo o quel film. Parliamo dunque di giudizio assiomatico. Il cinema non è che ripresa e montaggio. Bisogna dunque sostenere che, analizzato secondo il giudizio assiomatico, un film è ciò che espone il passaggio dell’idea secondo la ripresa e il montaggio. Il cinema può (e deve) organizzare il passaggio dell’immobile intrecciando le altre arti. Ma può (e deve) anche organizzare l’immobilità del passaggio. V. SULLA SITUAZIONE ATTUALE DEL CINEMA Non si può avere una situazione attuale del cinema che sia obiettiva. Le operazioni artistiche del cinema sono operazioni di depurazione interminabili. Abbiamo quattro esempi: …La tecnica godardiana del “suono sporco” è un tentativo di depurazione formale di ciò che ha invaso la produzione corrente, vale a dire, l’ingarbugliamento costante della musica nella sua forma post-rock, dei suoni brutali e dei dialoghi. Godard trasforma tutto questo in mormorio sofisticato. …L’uso dei piani sequenza ripresi dall’interno di automobili lavora su uno stereotipo deprimente dell’immaginario contemporaneo, in cui due film su tre si aprono con questo tipo di inquadratura. …L’attività sessuale, direttamente filmata nei corpi, è uno dei segni più evidenti di ciò che l’imagerie contemporanea è in grado di permettere oggi come oggi. …Gli effetti speciali di ogni tipo, lo spettacolo della distruzione sono ingredienti manifesti del cinema attuale. Dipendono da una tecnica dello shock e della sovraeccitazione dello spettatore. [Un film è contemporaneo e, pertanto, destinato a tutti. Questo è ciò che fa del cinema un’arte delle masse.] Caratteristiche formali e motivi dominanti: - la visibilità del sessuale - la violenza estrema, la crudeltà che portano suspence e paura - la figura operaia - il motivo millenarista, con la figura dell’eroe salvatore - la commedia piccolo-borghese, che ruota attorno alla figura della giovane isterica. Il cinema e la musica: il ritmo implica tutte le componenti del film. Il XX secolo ha conosciuto tre tipi di musica: la musica post-romantica; la musica post-jazz, la grande creazione dei neri nordamericani, al quale però occorre unire in blocco tutto quello che possiamo chiamare la “musica dei giovani”, dal rock alla techno; la musica post-seriale. Il cinema e il teatro: oggi un attore di cinema è dominato dall’imperativo sessuale che si rende visibile, dal confronto con la violenza più estrema, dall’eroismo millenarista. Le donne sono quasi decorative oppure figure da rivista, prigioniere nevrotiche dei problemi femminili. VI. DISFARE L’IMMAGINE. DELEUZE E IL CINEMA Deleuze tenne una conferenza per gli studenti di cinema. Secondo le sue idee, la filosofia è creazione di concetti, l’arte è creazione di blocchi di percezione e il cinema è creazione di blocchi di ciò che Deleuze chiama movimento- durata. Egli affronta 4 questioni e la quarta riguarda la domanda su che cos’è il cinema. Deleuze ha scritto Che cos’è la filosofia? Sul cinema ha scritto due libri di filosofia: L’immagine-movimento e L’immagine-tempo, e in nessuno di questo testi è dato trovare una definizione del cinema. Credo che la concezione che Deleuze ha del cinema sia misteriosa. Qual è il mistero? Il mistero risiede nella nozione di immagine e nel rapporto tra immagine e spazio- tempo. Il cinema è creazione di idee nel cinema. Il cinema crea a partire dall’idea, concetti mediante l’immagine e al di là dell’immagine. Il cinema sarebbe, in fondo, una filosofia senza concetti. PARTE SECONDA VII. AL FONDO DELL’ESSERE. NOTE SU L’ULTIMO UOMO DI MURNAU Murnau (regista, tra i massimi esponenti dell’Espressionismo) dà sempre l’impressione di aver inventato questo o quell’espediente che sappiamo invece essere di uso corrente nel cinema degli anni Venti. Nella sua arte c’è un classicismo superiore, qualcosa di aurorale, che trasforma il già-visto in un mai-visto. Prendiamo tre di questi codici d’epoca: la considerazione del carattere di classe della società, i virtuosismi tecnici del muto, il gioco espressionista degli attori. “L’ultimo uomo” è un melodramma sociale e quando lo si vede, ci si rende conto che Murnau utilizza la forma pura del Due. Ci sono due spazi, l’Hotel Atlantic e il quartiere popolare dove vive il personaggio principale. È il leitmotiv del tragitto che porta l’eroe dall’uno all’altro dei due spazi. Inoltre, il Due si sdoppia all’infinito. L’arte di Murnau, in questo film come negli altri, consiste molto spesso nell’estrarre dalle differenze spaziali o sociali la pura opposizione dei due emblemi materiali. La verità è come una luce dell’universo stesso e ciò che importa a Murnau è di far arrivare una luce nei suoi film. Il cinema di Murnau è quello del tempo della luce. VIII. LA CATTURA CINEMATOGRAFICA DEI SESSI: IDENTIFICAZIONE DI UNA DONNA Cosa si intende per “spiegazione di un film”? Così come non credo che leggere un testo (spiegarlo) equivalga ad enumerare gli asindeti, le metafore o le sineddoche, nemmeno credo che spiegare un film significhi localizzare in esso gli zoom, i carrelli indietro o i fuori campo. Ma nemmeno si tratta di raccontare la storia, di acclamare gli attori, di dire che ci si è divertiti moltissimo. Il film “Identificazione di una donna” è di Antonioni. Il fatto che una donna ami un uomo fa di quell’uomo l’identificatore di tale donna. Amare è un desiderio, pertanto un dovere, poiché desiderio e legge sono una cosa sola. Amare una donna determina per un uomo il dovere di identificarla. La tesi di Antonioni è che la sessualità non dissipa mai l’enigma del sessuale. La questione è sapere se questa tesi si riferisce al cinema o al reale. Ricordiamo che il protagonista è un cineasta che cerca una figura di donna per il suo film. Bisogna dunque intendere che l’identificazione di una donna, nel cinema, non può procedere per mezzo dell’esibizione dell’atto sessuale, per quanto raffinata essa sia? O che ciò di cui il cinema può attestare è che l’atto sessuale non contribuisce mai all’identificazione di una donna? Il film di Antonioni è ben attento a lasciare questo punto in uno stato indecidibile. IX. LA FINE DI UN INIZIO. TOUT VA BIEN “Crepa padrone, tutto va bene” (Tout va bien) è un film del 1972 diretto da Godard e Gorin. È un’allegoria della sinistra che giunge alla sua fine. Si inscrive all’interno di un genere virtuale, quello del bilancio politico. È un ritorno al cinema perché è un film, un “vero film”, con dei divi (Montand e Fonda), un soggetto, uno sviluppo… Ma è un ritorno interamente condizionato da una materia particolarmente resistente alla finzione filmica: l’attualità pulsante, la situazione in movimento del Paese. Consideriamo i 3 termini della formula: gauchismo, terminante, allegoria. Gauchismo: è una forma di coscienza politica rivoluzionaria. Anzitutto, si tratta di episodi tipici della lotta di classe, il cuore del film racconta uno sciopero con occupazione e sequestro del padrone in una fabbrica dell’industria alimentare. La fine del film mostra un intervento violento di un gruppo di militanti (maoisti ovviamente) in un supermarket di provincia, che insegnano (obbligano?) ai clienti ad oltrepassare le casse senza pagare. Terminante: il film si conclude sulla necessità di comprendere la storicità fondamentale di ogni cosa. È piuttosto un film della fine, più che un film dell’inizio. Allegoria: l’organizzazione formale del film è molto astratta. Si tratta di una successione di operazioni didattiche: 1. la riduzione della fabbrica ad un piano di taglio verticale e il supermercato ad un piano di taglio orizzontale, dove molteplici azioni sono percepibili in ampiezza e in profondità; 2. gesti tipici come raggrupparsi, correre, attendere, parlare; 3. grandi monologhi recitati di fronte alla macchina da presa, per sottolineare l’importanza dell’introspezione; 4. frammenti di documentari sono inseriti nella finzione; 5. riprese in esterni con funzioni allegoriche; 6. simbolica di colori (rosso della rivolta, blu del mondo antico, bianco dell’incertezza); 7. poiché al fondo di tutto c’è la contraddizione, la dialettica, il film si struttura sistematicamente secondo delle grandi figure simmetriche (lo sciopero e il lavoro, l’ufficio del padrone e il sequestro, la fabbrica e le immagini di una pubblicità per i collant). La contraddizione più viva, la contraddizione reale per Godard/Gorin, è quella che concerne l’avvenire del cinema, il destino di un cineasta: vendersi al mercato o servire il popolo. Il film apre una discussione sui differenti sensi possibili di “Tutto va bene”. Questo è un enunciato in cui la forza creatrice si misura con ciò che, nella realtà, sembra chiaramente andare a catafascio. “Tutto va bene” è lo spirito di ciò che si organizza liberamente e non dà conto a nulla se non a se stesso. X. SU HISTOIRE(S) DU CINÉMA DI JEAN-LUC GODARD Questo film è una meditazione sul suo stesso titolo: Histoire(s) du cinéma. Storia è al plurale, ma la “s” che marca il plurale è messa tra parentesi, per cui si può dedurre che il film si situa tra una storia e le storie. In fondo, è una riflessione sulla storia, e al tempo stesso sulle storie. Possiamo dire allora che il film parla del suo titolo, ossia della storia, del cinema e della storia del cinema. Prima di tutto la storia: il film si chiede che cosa sia la storia, come raccontarla e, in particolare, qual è la storia del XX secolo. È un film sul XX secolo. Poi il cinema: si domanda anche cosa sia il cinema e qual è la posizione del cinema tra le altre arti nel XX secolo. Inoltre, c’è la storia del cinema intesa in due sensi: la storia del cinema nel senso della storia dei film e come il cinema racconta la nostra storia. Vale a dire che “storia del cinema” significa anche “storia per il cinema”. L’opera è divisa in 8 parti. Ci sono molti modi di vedere il film, ma è sempre importante identificare le 8 serie: 1. costituita dalle dichiarazioni teoriche sulla storia e sul cinema; 2. l’insieme dei testi poetici o filosofici iscritti sullo schermo in lettere maiuscole e funzionano come titoli; 3. formata dalla citazioni dei film; 4. costituita da testi o poemi che vengono letti da qualcuno, generalmente da una giovane donna; 5. consiste nella riproduzione di quadri e si tratta, quindi, di opere celebri mescolate con citazioni di film; 6. composta da foto o ritratti di artisti o scrittori; 7. formata dai titoli di grandi romanzi; 8. una serie sonora, costituita da frammenti musicali, che costruisce la durata del film. Nei film di Godard, la musica svolge una funzione molto particolare, quella di indicare il momento in cui il film si eleva, in cui cambia l’intensità. La tecnica fondamentale di questo film è la sovrimpressione, la sovrapposizione, la presenza di documenti visivi e testuali. Il film è una meditazione sull’immagine e mostra nell’immagine la moltitudine delle altre immagini. Un’immagine vera convoca una moltitudine di immagini ed è questo che le dà senso. Se un’immagine ha senso, lo ha in relazione con tutte le altre. È possibile paragonare Godard a Hegel, perché Hegel voleva essere il filosofo della filosofia, il filosofo di tutta la storia della filosofia. L’ambizione di Hegel era che la sua filosofia fosse una filosofia della filosofia, una filosofia di tutte le filosofie, così come il film di Godard è il cinema del cinema, il cinema di tutti i cinema. Ora, qual è la condizione? Per Hegel era molto chiara: se si può scrivere la filosofia delle filosofie è perché la storia è giunta alla fine. Colui che scrive la filosofia delle filosofie è l’ultimo filosofo. Godard si rappresenta come l’ultimo cineasta? Dice