Scarica Analisi canzoniere di Petrarca (+parafrasi e commento sonetti) e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Il Canzoniere di Petrarca sistemazione definitiva dell’opera 1374 (ultima anno di vita del poeta) Scritto in volgare. L’autore si aspettava il successo e l’immortalità presso i posteri grazie alle sue opere in latino. Si riteneva il successore dei grandi autori classici e considerava le opere in volgare come componimenti di dignità minore. Questo, però, stona con la cura maniacale dedicata al Canzoniere LATINO, però, LINGUA CONSIDERATA DI MAGGIOR DIGNITA’. Latino gli autori classici avevano raggiunto un livello di perfezione che quindi implicava la sola copia da parte dai loro successori. Volgare campo aperto, un terreno pressoché vergine per chi volesse raggiugere l’eccellenza poetica: si spiega la continua ricerca del miglioramento dei suoi versi. Si può dire, quindi, che desiderava innalzare la lingua volgare al livello del latino. Petrarca scrive fin dalla sua gioventù versi in volgare (Bologna, durante i suoi studi giuridici). Pensò lui stesso a raccogliere organicamente le sue liriche, e copie di queste redazioni sono arrivate a noi. Gli studiosi sono riusciti a ricostruire ben nove redazioni successive della raccolta. Ultima sistemazione risale al 1374, ossia ultimo anno di vita dell’autore. Importante in quanto opera del tardo Medio Evo ancora in buona parte autografa. Rerum vulgarium fragmenta titolo che viene imposto sull’opera definitiva. “Frammenti di cose in volgare”, si può cogliere la punta di sufficienza che il poeta ostentava verso il volgare. Lui stesso li definiva: nugae, “cose da poco”. Composto da ben 366 componimenti 317 sonetti, canzoni, ballate e sestine (forme metriche consacrate dalla tradizione lirica precedente) L’AMORE PER LAURA La materia quasi esclusiva dell’opera è costituita dall’amore del poeta per una donna, chiamata Laura, che Petrarca avrebbe incontrato di Venerdì Santo, in una chiesa di Avignone, nel 1327. Nel libro si percorre il diagramma di una passione tutta umana e terrena, che non esclude l’aspetto sensuale. È un amore perpetuamente inappagato e tormentato. Intorno alla figura di Laura si creano delle simbologie che la caratterizzano di volta in volta come elemento significativo nella vita dell’autoregli stati d’animo di Petrarca, quindi, sono collegati alla donna. La svolta dell’opera si ha nel 1348, quando la donna muore improvvisamenteil canzoniere risulta diviso in due parti: “le rime in vita” e “le rime in morte” di Laura. Il mondo di Petrarca perde quasi colore, si estingue dopo la morte dell’amata, ma questo non indica l’estinzione della sua passione dopo il lungo “vaneggiare” il poeta sente il peso del peccato e il desiderio di una purificazione. Dopo anni di passione e peccato, il viaggio di Petrarca si conclude con il desiderio di pace e il ritrovamento di un porto sicuro dopo la morte, che al contrario, terrorizza l’autore a causa delle sue insidie ed incertezze. E proprio per questo desiderio di pace che, il poeta, termina la sua opera con una canzone di preghiera alla Vergine. È “pace” l’ultima simbolica parola che chiude e suggella il libro L'opera è anche impropriamente intitolata Canzoniere e, a differenza della Vita nuova di Dante, non ha una cornice narrativa in prosa ma presenta una successione di poesie, tradizionalmente divise tra quelle In vita di madonna Laura (sino al sonetto 264) e quelle In morte di madonna Laura, benché tale suddivisione non sia resa esplicita dall'autore. Petrarca narra la storia del suo amore per lei tratteggiando una vicenda ideale e rielaborata letterariamente, in cui non mancano riferimenti alla tradizione poetica precedente tra cui, anzitutto, le circostanze del loro primo incontro, che sarebbe avvenuto il 6 apr. 1327 nella chiesa di S. Chiara ad Avignone. Laura viene descritta spesso coi tipici caratteri della donna-angelo stilnovista, vale a dire lunghi capelli biondi, occhi pieni di amorosa lucentezza, bellezza straordinaria, anche se nella sostanza si presenta come creatura terrena ed è priva di qualunque significato allegorico o religioso, dato che il poeta prova per lei un amore sensuale centrato sulla sua bellezza fisica. La donna viene inoltre descritta con tutti i difetti propri della sua umanità, tra cui la vanità (è spesso intenta a specchiarsi e farsi bella, cosa che affligge il poeta, la crudeltà e il carattere capriccioso (talvolta lo illude con un atteggiamento benevolo, salvo poi respingere la sua corte), la sua volubilità, mentre è soggetta all'invecchiamento e nel corso degli anni la sua bellezza sfiorisce, benché Petrarca continui ad amarla. LA FIGURA DI LAURA (L'amore per Laura è il tema dominante della raccolta, ma non mancano altri argomenti come la critica alla corruzione della Curia papale di Avignone, la politica del tempo, mentre alcuni componimenti sono d'occasione e dedicati ad amici e potenti protettori del poeta.) Nonostante il poeta si riferisca alle sue produzioni come “rime sparse” scritte in varie occasioni e in un lungo arco di tempo, si preoccupa di ordinarle in un’architettura unitaria, in modo da delineare una determinata vicenda. Vi è alla base un’esperienza reale e sinceramente vissuta. Sarebbe, però, sbagliato definire il canzoniere un “diario” o un “romanzo”verrebbe letto in chiave moderna e non rispetterebbe la sottile e intellettualistica tessitura della lirica medievale che opera su convenzioni rigidamente definite l’esperienza vissuta diviene una trasfigurazione letteraria, una costruzione ideale, esemplare, che segue determinati codici, e quindi allontana e sfuma la realtà da cui prende le mosse. Laura è molto più umana delle remote e inattingibili immagini femminili degli stilnovisti e di Dante, poiché rientra in una dimensione psicologica più viva e mossa, più vicina all’esperienza comune, e poiché è inserita nella dimensione del tempo, sottoposta alla sua azione disgregatrice. Tuttavia, è ben lontana dall’avere la concretezza corposa di un personaggio reale. La presenza di moltissimi aggettivi riferiti alla bellezza di Laura non vuole comporre un’immagine definita, ma rispondo ad un formulario tradizionale ed hanno l’eleganza astratta di una cifra, di un emblema Laura: quello che resta è il vago profilo di una bella donna bionda, che si staglia(spiccare) di regola su un ridente sfondo naturale. IL PAESAGGIO E LE SITUAZIONI DELLA VICENDA AMOROSA Anche il paesaggio è caratterizzato da elementi estremamente stilizzati, ossia da tutti quegli elementi che compongono il locus amoenus (luogo ameno)anche questo consacrati da una lunga tradizione che risale ai trovatori. La stessa vicenda amorosa presenta mancanza di concretezza realistica: anche in questo caso si tratta di situazioni codificate dalla lirica amorosa precedente. Sull’onda di una vicenda amorosa che sfuma in una vaga sequenza di situazioni stereotipate e la natura si assottiglia in uno stilizzato arabesco, nel Canzoniere è quasi del tutto assente riferimenti storici contemporanei all’autore, che erano invece fondamentali nella Commedia. Dalla poetica di Dante che si era allargata ad abbracciare il reale in tutte le sue manifestazioni, si torna, quindi, con Petrarca ad un’esperienza squisitamente soggettiva e privata. Leggendo il canzoniere si ha l’impressione che il mondo esterno non esista, si ha una percezione esclusiva dell’interiorità dell’autore. IL DISSIDIO PETRARCHESCO La sua poesia non va letta come un racconto di una vicenda d’amore, bensì come una lucida analisi della coscienza. La tormentata vicenda amorosa è assunta come simbolo di un’esperienza più vasta, sentimentale, intellettuale e religiosa insieme, quella già analizzata nelle prose latine di confessione. L’esperienza amorosa non è che per Petrarca l’occasione di esplorare il suo io interiore tra religione, la vergogna per la debolezza del volere e la schiavitù del peccato, gli anelli di purificazione e i ripiegamenti delusi. Vengono riprese le stesse analisi del Secretum l’autore necessita un bisogno di assoluto, di eterno, di un approdo stabile in cui l’animo trovi una pace perfetta. Petrarca sente con angoscia la labilità di tutte le cose umane, come viene ben dichiarato nell’ultimo verso del sonetto che funge da proemio al Canzoniere. Tutto ciò che l’uomo ricerca in vita, piaceri, le gioie, sono solo illusioni DESIDERIO AMOROSO E LA GLORIA ricercati dall’autore sono, infatti, effimere. Nella poesia petrarchesca, quindi, risuonano spesso gli accenti del medievale disprezzo del mondo e dei piaceri materiali da questa dualità d’animo deriva una continua inquietudine, un senso di inappagamento perpetuo, già affermato nel Secretum, dove Petrarca desiderava abbandonare ogni illusione per una vita più pura. Il canzoniere vorrebbe offrirsi come modello medievale della “conversione”, consacrato dalle Confessioni di sant’Agostino e dalla Commedia dantesca, come la vicenda di un’anima che si libera dalle impurità umane e si innalza a Dio, trovando in lui la pace e la salvezza. È chiaro nella struttura dell’opera che, dopo aver O voi che ascoltate in queste poesie sparse il suono di quei sospiri [d'amore] di cui io nutrivo il mio cuore durante il mio vaneggiare giovanile, quando ero in parte un uomo diverso da quello che sono oggi, se fra voi c'è chi comprende l'amore per esperienza, spero di trovare pietà e perdono per lo stile vario in cui piango e parlo, fra le speranze e il dolore vano. Ma ora capisco bene come per molto tempo io fui oggetto di derisione per tutto il popolo, cosa di cui spesso mi vergogno con me stesso; e il frutto del mio vaneggiare [del mio amore infelice] è la vergogna, e il capire chiaramente che tutto ciò che piace al mondo è un sogno fugace. Sonetto a cinque rime con schema metrico: ABBA ABBA CDE CDE In questo sonetto, che è posto all’inizio della raccolta ma risale ad anni già abbastanza avanzati, il poeta si svolge indietro a considerare l’esperienza amorosa che ha occupato un lungo periodo della sua esistenza ed insieme la produzione poetica che ne è stata fruttola severa analisi della coscienza, e il bilancio negativo che ne scaturisce, sono confortati, nella seconda quartina, dalla speranza di trovare compassione e pietà, non solo perdono, nel pubblico dei lettori, almeno in una cerchia limitata, coloro che hanno anch’essi provato quell’errorenon c’è scampo alla vergogna. È particolarmente importante riuscire a datare questo testo perché esso si collega alla decisione petrarchesca di organizzare le “rime sparse” in un libro che disegni la parabola storica esemplare del suo amore. La composizione dell’attuale proemio segna, cioè, l’abbandono delle raccolte di impianto tematico-sincronico per la nuova e rivoluzionaria soluzione “romanzesca” a cui Petrarca seguiterà ad attendere il resto dei suoi giorni. Wilkins ne anticipa, invece, la composizione al 1347, ossia prima della morte di Laura. Sarebbe stata composta come testo di apertura della seconda redazione del Canzoniere. Diversa opinione a Rico, che ne fissa la composizione nel 1349, o più verosimilmente nel 1350 secondo lui rispecchiano temi e tonalità di testi proemiali classici in particolare ad Orazio. Il concetto di liber così inteso deve molto a questi poeti latini e che almeno i primi 3 sonetti sono stati ideati e scritti nel biennio 1349-50 congiuntamente al precisarsi del progetto di raccolta. Il sonetto si adegua per più aspetti ai canoni, classici romanzi, dell’exordium: dalla captatio benevolentiae dei lettori-ascoltatori alle iniziali dichiarazioni sul genere(rime sparse) dell’opera sino al forte dualismo tra fonte e sirma che anticipa, secondo i dettami della partitio materiae , la bipartazione del libro( in vita e in morte) È il sonetto proemiale della raccolta, scritto probabilmente intorno al 1350 e quindi posteriore alla morte di Laura, come dimostra il fatto che l'autore guarda in modo retrospettivo al suo amore infelice: Petrarca lo definisce un "giovenile errore" dal quale si è in parte liberato con la maturità, consapevole di essere venuto meno alla sua dignità di intellettuale e di essersi esposto alle derisioni del mondo, con una concezione classica che rimanda forse al carme 8 di Catullo. La raffinatezza retorica della costruzione impreziosisce la lirica, che apre il "Canzoniere" con uno stile decisamente elevato e ricercato. Petrarca si rivolge ai lettori in grado di comprendere per esperienza le pene amorose, con un topos che rimanda a molte liriche dello Stilnovo, anche se l'effusione del sentimento da parte sua sarà spesso un soliloquio: il poeta chiede perdono per i lamenti da lui prodotti nell'illusione di un amore infelice, che ora (a distanza di anni e col bagaglio della raggiunta maturità) egli giudica un "giovenile errore" e un "vaneggiare", poiché tutto quello che piace al mondo è un sogno destinato a finire presto. Petrarca è anche consapevole che l'aver perso tempo dietro a Laura lo ha distolto dalla sua "missione" di intellettuale impegnato e lo ha esposto alla derisione del volgo, tema tipicamente classico che rimanda, forse, al carme otto di Catullo ("Miser Catulle, desinas ineptire / et quod vides perisse perditum ducas", "Povero Catullo, smetti di fare il pazzo e ritieni perduto ciò che hai visto che è andato perduto"). La paura di essere deriso dal volgo tornerà anche nel sonetto Solo et pensoso (35), in cui l'autore rifugge la compagnia degli altri uomini per non svelare la sua condizione interiore Vario stile è categoria insieme retorica e morale; la varietà stilistica dipende da quella tematica e tonale delle rime, oscillanti fra “speranza” e “dolore”. Favola deriva dal latino fabulam in questo caso non si riferisce a storie inventate con creature fantastiche, bensì con il suo significato traslato “cosa inventata”. SONETTO 2 Per compiere abilmente la sua vendetta e punire in un solo giorno ben più di mille offese (le resistenze opposte fino a quel momento dal poeta), Amore riprese l’arco senza farsi vedere (celatamente: di nascosto), come colui che attende il momento e la circostanza opportuna per attaccare. La mia forza (la forza della ragione e della volontà impiegata da Petrarca per resistere all’amore) era asserragliata nel cuore (ristretta è immagine bellica, il verbo vuol dire “asserragliata”, “trincerata”), per condurre lì (nel cuore) e negli occhi la propria difesa, quand’ecco che un colpo mortale giunse laggiù (nel cuore) dove fino a quel momento ogni freccia si era spuntata. Così, sbaragliata al primo assalto, essa (la forza del poeta) non ebbe né il tempo, né il vigore sufficienti né per imbracciare le armi secondo la necessità, né per portarmi con accortezza in quella rocca alta e difficile da raggiungere (la rocca ove si ritirano dal piano coloro che non hanno possibilità di contrastare l’assalto del nemico è figura della mente e della ragione) al riparo dal tormento contro il quale oggi vorrebbe difendermi, ma non può. Metro: Sonetto su cinque rime con schema rimico ABBA ABBA CDE CDE. Questo sonetto (insieme al terzo fino al quinto) rispetta i canoni dell’initium narrationis. C’è chi pensa che sia un testo giovanile, dello stesso periodo della canzone 23; a meno che non si valuti un tardivo effetto di ricaduta della canzone, alla quale P. stava lavorando proprio nel 1350 e ’51 (ma è più economico ipotizzare interventi locali al momento della collocazione “in ordine”. La complementarietà del sonetto 2 e del sonetto 3 è più apparente che reale. 2 INNAMORAMENTO non armonizzabile con il 3: nel ‘500 hanno anche cercato di modificare il testo per smussare le contraddizioni. La frammentarietà di cui è contraddistinto il canzoniere è qualcosa di volutamente organizzato dall’autore. Procede per frammenti, illustrano infatti dei frammenti ed una geografia della vita del Petrarca. Con il secondo canto inizia la vera e propria storia del personaggio Petrarca. La sintassi è abbastanza semplice, la difficoltà sta in alcuni nessi e congiunzioni a cui bisogna dare un valore preciso. Amore riprese l’arco per compiere una sua leggiadra vendetta e punire in un solo giorno molte offeseclassica vendetta di Amore che viene schernito e punisce l’uomo di conseguenza. “Amore aveva ripreso il suo arco”. Tutto ciò che nasce dalla sua attività è una vendetta. L’unica arma che possedeva l’autore era concentrata nel cuore, affinché si riuscisse a difendere dagli occhitopos dell’amore che passa attraverso gli occhi. Anche in Petrarca gli occhi hanno una funzione importante: gli occhi dell’amante che si innamora e gli occhi della donna che fa innamorare. Esiste, quindi, una virtù che aiuta a difendersi da amore. Ma la presenza di negative all’inizio della frase, indica la poca forza di Petrarca alla vista di Laura, che infatti lo fa innamorare. Altro topos quello dell’amore guerra: vi è un vincitore ed un vinto. Si utilizzano le armi, lessico militare. C’è una parte dell’autore che desidera aiutarlo o difenderlo, ma non ce l’ha fatta. Contrasto interno dello stesso Petrarca. Dentro l’elenco di amore guerra, si trova un lessico propriamente collegato alle armi: arco, frecce, reti, trappole, lacci etc. L’amore che ha costituito l’errore giovanile si riscontra subito per la sua connotazione contrastante. Il motivo riprende vari luoghi classici, a cominciare dal mito di Apollo e Dafne raccontato da Ovidio (Metamorfosi, I) in cui Amore, proprio per vendicarsi di Apollo che lo ha deriso, colpisce lui con la freccia dell'amore e la ninfa con quella del disamore, ma anche il poeta Properzio che in I, 1 dichiara di essersi innamorato di Cinzia dopo che per lunghi anni aveva disdegnato l'amore, mentre ora dovrà odiare le caste fanciulle (poiché Cinzia inizialmente non gli si concederà, proprio come Laura con Petrarca). NBi termini utilizzati per questa poesia coincidono con una terminologia più consona a parlare di armi e guerra. Coincide con l’innamoramento, l’inizio della guerra del poeta (rocca, armi, asserragliata etc). SONETTO 3 Era il giorno in cui al sole si oscurarono i raggi per la pietà verso il suo Creatore [per la morte di Cristo], quando io fui catturato e non potei difendermi, donna, perché i vostri begli occhi mi incatenarono. Non mi sembrava un momento tale da ripararmi dai colpi di Amore, perciò andavo sicuro, senza sospettare nulla; per cui la mia pena iniziò nel dolore di tutta la Cristianità. Amore mi sorprese del tutto disarmato e trovò aperta la via per il mio cuore attraverso gli occhi, che adesso fanno uscire le lacrime: perciò, a parer mio, non fu per lui onorevole colpirmi con una freccia in quella condizione, mentre a voi (armata) non mostrò neppure l'arco. Metro: sonetto su cinque rime a schema ABBA ABBA CDE DCE La datazione del sonetto dipende da quale soluzione viene data al problema del giorno dell’innamoramento. L’evento è fissato, qui e nel sonetto 62,14, nel giorno della passione di Cristo. Il son, 211 (v.12-14) specifica essersi trattato del 6 aprile 1327, esattamente all’ora prima. Laura muore all’ora prima del 6 aprile 1348. Secondo Pastore Stocchi e Santagata, Petrarca dopo la morte di Laura ha fatto propria la tradizione della data fissa della crocifissione o trasformato il lunedì del primo incontro nel più simbolico venerdì di passione. Santagata, però, non accetta la datazione del 1349-1350, poiché se è vero che la nota obituaria è posteriore al rientro in Provenza, la composizione del sonetto 3 va collocata dopo l’estate del ’51. Del resto, il sonetto sembra concepito espressamente in funzione dell’esordio del libro, con un occhio a quello che procede. Il sonetto rievoca il giorno dell’innamoramento per Laura, stabilendo una corrispondenza con il giorno della Passione, il Venerdì Santo. Cristo muore per salvare gli uomini e tutti i cristiani sono afflitti, il poeta si fa prendere nei lacci di una passione profana e sensuale. La coincidenza assume un carattere quasi empio: siamo di nuovo di fronte ad una confessione e ad un’analisi della coscienza che va a fondo ad esplorare miserie e colpe. Differenza con Dante Per Petrarca c’è una grande contrapposizione tra l’amore per la donna e l’immagine di Cristo, l’amore ostacola la salvezza. Scompare tutta la simbologia teologica collegata all’amore, prevale la pura dimensione esistenziale, psicologica e morale, lo scavo accanito nella coscienza, a frugare debolezze umane e colpe. Spia del carattere letterario del sonetto sono poi altre antitesi, che non hanno la valenza esistenziale e problematica di quella con la Passione di Cristo, ma rientrano solo in un compiaciuto gioco letterario. Al terzo sonetto, Petrarca situa tutta l’avventura e gli errori che ha dovuto commettere. Inizio descrivendo la morte di Gesù, i raggi del sole si scoloriscono e perdono la loro lucentezza. Simbolo della rabbia di Dio. In questa circostanza, il poeta viene “catturato” e i suoi “bei occhi” lo “Legarono”, diviene un prigioniero d’amore (lessico militare e guerresco). Si passa alla descrizione della condizione del poeta, che non pensava di dover attivare nessuna difesa contro i colpi di Amore. Mentre tutti soffrivano per la morte di Gesù, incominciava la sua lotta, ossia il suo innamoramento. Abbiamo una dilatazione dell’amore che lo trova disarmato e cade sotto il potere dell’amore. È stato preso alla sprovvista e ha trovato, quindi, il “varco” del cuore aperto. Da qui iniziano i sospiri d’amore. L’amore non ha ricavato onore da questa azione, poiché in quanto disarmato non avrebbe potuto ribellarsi finisce quindi con una sorta di rivalsa. SONETTO 16 Il vecchietto dai capelli bianchi e il volto pallido parte dal dolce luogo dove ha trascorso la vita e dalla sua famigliola che, turbata, vede il caro padre che se ne va; e da lì, trascinando il vecchio corpo negli ultimi giorni della sua vita, si aiuta con la buona volontà per quanto gli è possibile, fiaccato dagli anni e spossato dal lungo cammino; e arriva a Roma, seguendo il suo desiderio di ammirare le fattezze di tormenti d'amore è affrontato anche nella canzone 129 (► TESTO: Di pensier in pensier, di monte in monte). MADRIGALE 52 Diana non piacque di più al suo amante [Atteone], quando per un caso simile al mio la vide tutta nuda in mezzo alle acque gelide, di quanto sia piaciuta a me la pastorella selvaggia e spietata, intenta a bagnare un bel velo, con il quale ella era solita coprire i biondi e bei capelli, proteggendoli dal vento leggero. Al punto che tale vista nel momento più caldo della giornata, mi fece gelare e tremare d'amore. Metro: Madrigale di schema ABA BCB CCterzina incatenata Incerta la data di composizione diverse visuali a riguarda (vedi manuale). Sonetto 62 Padre del cielo, dopo i giorni persi, dopo le notti spese in pensieri vani, con quella implacabile passione che mi infiammò il cuore, contemplando quelle azioni così leggiadre per mia sventura, ti piaccia ormai che io con l’ausilio della tua grazia torni a un’altra vita e a opere più degne, cosicché, avendo teso invano le sue reti, il mio nemico Amore rimanga scornato. Ora si compie, mio Signore, l’undicesimo anno da quando fui sottomesso allo spietato peso che è più feroce con coloro che più vi sono soggetti. Abbi pietà di questo mio indegno travaglio; riconduci i pensieri erranti a un luogo migliore; ricorda loro che in questo giorno sei stato crocifisso. La datazione del sonetto non sembrerebbe sollevare alcun problema. Si riferiscono esplicitamente i vv. 9-13 all’anniversario del 1338. A una prima scrittura in quel anno avrebbe fatto seguito una profonda rielaborazione, comportante l’aggiunta del “motivo penitenziale e del ricordo della Crocifissione”. Metro: sonetto su cinque rime a schema ABBA ABBA CDE CDE. Il sonetto è caratterizzato da una sofferta tematica religiosa, che richiama le analisi interiori del Secretum. L’amore è visto come violento desiderio sensuale, una vera ossessione, una schiavitù che induce a sprecare l’esistenza e che impedisce una vita autentica. Da questa presa di coscienza nasce il bisogno di liberarsi dell’ossessione, di purificarsi, rivolgendo le proprie energie verso oggetti più degni e più alti. La passione amorosa diviene così l’occasione per un impietoso scavo interiore, per mettere a nudo le proprie debolezze e miserie. Il problema del rimorso e del pentimento riproduce l’oscillazione inconfondibile fra il passato come tempo della debolezza e dell’errore, e il futuro, come attesa della liberazione e del riscatto. Il presente risulta così il tempo della precarietà e dell’incertezza Non a caso il sonetto è strutturato come una preghiera. NB imprese: Opere diverse e più elevate della poesia volgare. SONETTO 61 Sia benedetto il giorno, il mese e l’anno, la stagione, il tempo e l’ora, il momento, il bel paese e il luogo nel quale io sono stato raggiunto dai due begli occhi che mi hanno incatenato (gli occhi sono ovviamente quelli di Laura, la data dell’innamoramento di Petrarca è fissata al 6 aprile 1327, il luogo è la chiesa di S. Chiara di Avignone); e sia benedetto il primo dolce affanno che ho provato nell’innamorarmi (ad essere con Amor congiunto), e l’arco e le frecce dalle quali sono stato colpito, e le ferite che mi arrivano fino al cuore. Siano benedette tutte le volte che ho emesso voce chiamando il nome della mia amata, e (siano benedetti) i sospiri, le lacrime e il desiderio; e benedette siano tutte le pagine (ossia le pagine letterarie, i componimenti) con le quali io le procuro fama, e (sia benedetto) il mio pensiero, che è rivolto solo a lei, così che nessun’altra donna vi trova posto. Metro: sonetto su quattro rime a schema ABBA ABBA CDC DCD Il sonetto ripropone, in forma distesa, uno dei moduli più diffusi nella poesia romanza: quello di origine biblica delle benedizioni. L’utilizzazione del modulo è però innovativa e originale, sia nei confronti della tradizione sia delle altre numerose occorrenze interne. L’enumerazione di accidenti cronologici e topografici contenuta nei primi 3 vv., definisce la formula assoluta per dir così categoriale, della data benedetta, crea qui o restaura l’accezione fondamentale di augurio astrologico insita in quel procedimento. Canzone 70 Povero me, giacché non so dove indirizzare la speranza, tante volte si è rivelata illusoria! Giacché se non esiste persona che mi ascolti e mi compatisca, a che vale rivolgere al cielo così frequenti preghiere? Ma, se mi sarà consentito di portare a termine queste mie povere rime prima di morire, non spiaccia ad Amore, il mio signore, che io lo preghi affinché possa un giorno dire liberamente in un luogo lieto: "Ho argomento e ragioni di rallegrarmi".Sarebbe giusto che finalmente potessi sciogliere il mio gioioso canto poetico, essendomi già così a lungo lamentato, giacché ormai per quanto prima iniziassi a raccogliere le gioie d'amore non potrei mai pareggiare la gioia con i tanti dolori passati. E se fosse possibile che i miei versi piacessero alla mia donna: oh, mi riterrei felice più di tutti gli altri amanti! Ma ancor di più mi reputerei beato se potessi dire senza mentire: "La mia donna mi invita a poetare". Erranti pensieri che a poco a poco mi avete condotto a tale altezza di concetti, guardate che la mia donna ha il cuore duro come vetro, al punto che non posso, solo con le mie forze, trapassarlo. La mia donna non si degna di volgere lo sguardo così in basso che si accorga della nostra poesia, giacché è lo stesso mio destino ad impedirlo, destino contro il quale per il lungo combattere sono ormai stanco: "perciò, come si indurisce e inasprisce il mio cuore, così nella mia poesia voglio risultare aspro. Che dico? dove sono? e chi è che mi illude ingannandomi se non io stesso e l'eccessivo desiderio? Giacché se io contemplo i cieli mi accorgo che nessuna stella mi ha imposto tale sofferenza. Se la mia capacità di vedere è offuscata dalla mia finitezza umana, dal mio corpo, infatti, che colpa ne hanno le stelle o Laura? Ciò che mi addolora giorno e notte, il pensiero di Laura, è dentro di me, dal giorno in cui mi appesantì il piacere suscitato "dalla sua dolce sembianza e dallo sguardo soave". Tutto ciò che è su questa terra fu creato buono dalle mani dell'eterno creatore; ma, giacché non comprendo tali ineffabili cose, io resto abbagliato e catturato dalla bellezza che mi circonda; e se torno alla vera bellezza da cui trae origine il tutto, cioè a Dio, la mia vista non può soffermarsi su tale splendore, tanto la mia propria colpa l'ha resa inferma, e non il giorno in cui mi volsi verso l'angelica bellezza "nella dolce età della giovinezza". Metro: Canzone di 5 stanze di 10 vv. a schema ABBA AccADD, senza congedo Citazioni di suoi predecessori rappresentano un omaggio ai maestri, ma nello stesso tempo una presa di distanze: è una palinodia della concezione amorosa di cui la 23 costituisce un vero e proprio manifesto. Con questo P. rinnega l’ideologia amorosa della sua giovinezza ideologia che ha informato gran parte dei componimenti ordinati sino a questo punto della raccolta per aprire un discorso nuovo e diverso di cui le cantilene oculorum rappresentano la prima manifestazione. Discordanti sono le proposte di datazione. svolta consiste in un passaggio da una concezione sensuale e pessimistica dell’amore a una visione spiritualeggiante che potremmo chiamare stilnovistico, con il conseguente mutamento di segno del personaggio di Laura. V.31 il desiderio di corresponsione espresso nelle prime due stanze, sia il riconoscimento della non possibilità a realizzarlo per colpa della donna e del destino appaiono ora come delirio e colpevole auto-inganno. L’interrogativo iniziale è lo stesso con il quale Didone riconosce la sua passata “insania” di fronte al tradimento di Enea. La renitenza dell’amata è quindi collegata alla domanda errata di Petrarca. Difatti egli ha sempre chiesto un incontro sensuale con la donna guidato dall’accecamento della sua bellezza ignorando la bellezza dello spirito, cercando quindi di essere corrisposto su un piano a cui la donna non può scendere. SONETTO 84 “Occhi, piangete, accompagnate il cuore che per il vostro fallimento si sente la morire” “Così facciamo da sempre (piangiamo da sempre) eppure siamo costretti a provare dolore più per un errore di altri che nostro” “Amore ebbe il primo ingresso attraverso voi, per arrivare là dove c’è il suo luogo naturale” “Noi gli aprimmo la via a causa di quella speranza che nacque da colui che ora muore (il cuore)” “Le responsabilità non sono dipartite in egual modo, come sembra a voi: poiché alla sua prima visione siete stati anche voi tanto bramosi del male vostro e suo (del cuore)” “Ora questa cosa e quello che ci rattrista di più: che le sentenze all’unanimità sono rare, e ci si acquisisce la colpa di altri a cause di accuse di altri” Sonetto su quattro rime di schema ABBA ABBA CDC DCD Niente consente di circoscrivere un preciso arco cronologico. SONETTO 90 [Il giorno del mio incontro con Laura] i capelli biondi erano sparsi al vento che li avvolgeva in mille dolci nodi, e la bella luce di quei begli occhi, che adesso ne sono così scarsi, ardeva oltre misura; e mi sembrava che il suo viso (non so veramente o per mia illusione) assumesse un'espressione di pietà verso di me: che c'è da stupirsi se io, che avevo nel petto la predisposizione ad amare, arsi subito di amore per lei? Il suo incedere non era proprio di una donna mortale, ma simile a quello di un angelo; e le sue parole risuonavano in modo diverso da quello di una voce umana. Quello che io vidi fu uno spirito del cielo, un sole luminoso: e se anche ora non fosse più così, la ferita non guarisce perché l'arco [che ha scoccato la freccia] si è allentato. Metro: Sonetto su cinque rime a schema ABBA ABBA CDE DCE. Una datazione negli anni Quaranta potrebbe, invece, sostenersi sul fatto che le immagini dell’andare sovrannaturale e della voce celestiale ospitate nella prima terzina ritornano, spesso congiunte, in altri testi petrarcheschi sicuramente posteriori al 1341. Il sonetto, rievocando l’innamoramento per Laura, ha al centro il motivo dell’apparizione della donna in tutto il fulgore della sua bellezza chiara ascendenza stilnovistica: insistenza sul carattere sovrannaturale della bellezza e l’uso di formule tipiche (es.). Anche i tratti fisici della bellezza, i capelli d’oro, i begli occhi luminosi, l’incedere armonioso, richiamano le convenzioni cortesi stilnovistiche. Si deve, però, sottolineare la distanza tra la poesia stilnovistica e la novità petrarchesca per la prima volta la bellezza della donna era collocata nell’eterno, era quindi immutabile, differenza con la donna di Petrarca, che è collocata nel passato ed è richiamata da un movimento della memoria: la bellezza di Laura essendo immersa nel fluire della temporalità, ne patisce tutta la forza distruttrice: Laura non è una creatura sovrannaturale, ma una donna sottoposta al peso della carne mortale e alle sue miserie il decadere della bellezza fisica precipiterà, poi, nella morte, che ne segnerà il disfacimento totale: tema della labilità (precario) di tutte le cose e la fuga del tempo che viene a coinvolgere la bellezza femminile. Il sonetto si basa su una contrapposizione tra passato e presente (si noti avverbio or + verbi all’imperfetto). SONETTO 91 La donna che hai tanto amato, si è dipartita da noi troppo presto e io posso solo sperare che sia andata in cielo, perché ha avuto un comportamento improntato alla dolcezza. È ormai tempo di mettere al sicuro entrambe le chiavi che del suo cuore, che lei aveva in vita, e cercare di andare anche io in paradiso con una vita moralmente corretta, così che non ti costringa più il peso di una vita terrena. Ora che sei sgombro del peso dell’amore (maggior salma) puoi sopportare gli altri più facilmente, come un pellegrino che sale senza carico. Vedi facilmente come ogni cosa creata si muove verso la morte e quanto sia necessario per l’anima andare verso questo periglioso varco (la morte). che non ha fatto in vita ignorando il suo amore (► TESTO: Erminia tra i pastori). Il ricordo di Laura sulle rive del Sorga è una descrizione idilliaca e ricca di immagini tratte dalla tradizione classica, in cui Laura sembra più una divinità pagana che non la "donna-angelo" di ispirazione stilnovista: la donna siede morbidamente sull'erba con la "gonna / leggiadra", mentre dai rami degli alberi scende una pioggia di fiori simile a un "amoroso nembo" che si posano su di lei e sugli elementi del paesaggio con un leggiadro volteggiare, con una ripresa di immagini della mitologia classica (il dio Amore, la simbologia dei petali...) che, a differenza dei poeti precedenti, sono del tutto sganciate da qualunque spiritualizzazione, fanno da sfondo a un amore terreno e dalle implicazioni sensuali inequivocabili (al v. 9 l'"angelico seno" è proprio il seno di Laura appoggiato all'erba, per cui la donna è mostrata nella sua nudità e con la bellezza seducente del suo giovane corpo). La scena sarà ripresa, pur con alcune varianti, da Poliziano nelle Stanze (I, 37 ss.), quando Iulio durante una battuta di caccia incontra una ninfa di cui si innamora per l'azione di Cupido (► TESTO: Iulio e Simonetta). Il congedo riprende e rovescia quello della canzone precedente nella raccolta (Se 'l pensier che mi strugge, 125), in cui Petrarca osservava che la lirica era "rozza" e le conveniva rimanere nei boschi, con implicita ammissione della povertà dei propri mezzi poetici (si trattava di un topos letterario e retorico). Al centro di questa canzone vi è l’evocazione dell’immagine della bella donna attraverso un movimento della memoria. Il componimento esemplifica perfettamente il processo di stilizzazione a cui nel Canzoniere è sottoposta la figura femminileutilizzo di elementi raffinatamente convenzionali, che rimandano ad una lunga tradizione di poesia amorosa e che non definiscono una figura concreta, corposa, ma possiedono l’eleganza astratta di una cifra, di un emblema. Egualmente stilizzata è la natura. Le componenti del paesaggio sono quelle abituali del topos classico e medievale del locus amoenus, un luogo idealizzato e piacevole. Anche la natura, come la figura femminile, non è presentata nell’urgenza fisica delle sue forme, dei suoi colori, dei suoi profumi, ma si assottiglia in un raffinato arabesco. Come Laura non è una persona definita, così il luogo della sua apparizione non è un luogo preciso, ma è uno spazio astratto. Siamo di fronte ad un esempio perfetto di quella rigorosa selezione e rarefazione a cui la poesia petrarchesca sottopone la realtà esteriore, per poterla ammettere nella gelosa cerchia dell’io perplesso e lacerato. La realtà è così rarefatta perché non è un dato oggettivo, ma pura costruzione mentalela scena descritta è recuperata dalla memoria: parte del mondo interiore la memoria è l’unico mezzo per dar loro in qualche misura stabilità e consistenza. Lessico: selezionatissimo, sino ad apparire quasi povero le parole di Petrarca pur così usuali, trovano però una loro verginità poetica grazie alla sapiente collocazione, al ritmo musicale che le avvolge nella sua onda fluida. L’effetto di scorrevolezza è qui dato soprattutto dalla prevalenza dei versi brevi, i settenari che hanno un ritmo più agile e sciolto di quello dei più ampi endecasillabi. Dominano poi anche in questa poesia le proporzioni perfette e le simmetrie. La costruzione architettonica si manifesta anche nell’alternanza delle strofe e nel gioco dei piani temporali che ne deriva. La prima strofa rievoca il passato. Solo in chiusura, negli ultimi due versi, si affaccia il presente, la condizione dolorosa da cui il poeta vuol fuggire. Perdita dell’aspetto teologico in Dante il tutto è immerso nella dimensione puramente psicologica del sogno. CANZONE 128 Italia mia, anche se le parole sono inutili a sanare le piaghe mortali che vedo così numerose nel tuo bel corpo, voglio almeno che i miei sospiri siano quali il Tevere, l'Arno e il Po, dove ora mi trovo pieno di dolore e preoccupazione, si aspettano da me. O rettore del cielo [Dio], io chiedo che la pietà che ti portò in terra ti induca a rivolgerti al tuo amato e nobile paese. Vedi, o Signore cortese, quale guerra crudele nasca da cause tanto lievi; apri tu, Padre, e intenerisci e sciogli i cuori che sono induriti e chiusi dal fiero e superbo Marte; fa' in modo che la tua verità si senta in cielo attraverso le mie parole, qualunque sia la mia capacità. Voi, ai quali la fortuna ha messo in mano la guida delle belle terre d'Italia, di cui non sembrate avere alcuna pietà, che ci fanno qui tante spade straniere? Volete che il terreno verde si sporchi di sangue barbarico? Nutrite false speranze: vedete poco e vi sembra di vedere molto, poiché cercate amore o fedeltà in cuori venali [nei soldati mercenari]. Chi ha ai suoi ordini più soldati, è maggiormente circondato da nemici. O diluvio proveniente dai paesi più orridi e lontani, per inondare i nostri dolci campi! Se ciò avviene per nostra stessa iniziativa, chi potrà mai salvarci? La natura provvide bene a nostro vantaggio, quando pose le Alpi come barriera tra noi e la rabbia tedesca; ma i ciechi desideri [dei signori italiani] rivolti al proprio danno si sono poi ingegnati al punto che hanno procurato una malattia al corpo sano [assoldando mercenari stranieri]. Ora nella stessa gabbia si annidano belve selvagge e greggi mansuete, in modo tale che è sempre il migliore ad avere la peggio: e per accrescere il nostro dolore, questo popolo è della stessa stirpe di quella gente senza civiltà a cui, come narra la storia, Gaio Mario squarciò il fianco al punto che la memoria di quel gesto ancora non si estingue, quando [Mario] assetato e stanco non bevve acqua dal fiume, ma solo sangue [dei nemici]. Non parlo di Cesare che in ogni luogo macchiò l'erba del sangue delle loro vene [dei Germani], in cui affondò la nostra spada [di Roma]. Ora sembra che il cielo ci abbia in odio, non so per quale malefica congiunzione astrale: per merito vostro [signori d'Italia], ai quali fu affidato l'alto incarico di governo. I vostri desideri contrapposti guastano il più bel paese del mondo. Quale colpa, quale giudizio o destino vi spinge a infastidire il cittadino povero, a perseguitare le fortune afflitte e disperse, a cercare e apprezzare fuori d'Italia delle genti che spargano il sangue e vendano la loro anima in cambio di denaro? Io parlo per dire la verità, non per odio verso gli altri o per disprezzo. Non avete ancora capito da tante prove l'inganno dei Bavari [dei mercenari tedeschi] che scherzano con la morte alzando il dito [in segno di resa]? A mio parere, lo scherno è peggiore del danno; ma il vostro sangue è sparso più largamente, poiché siete animati da altra ira [combattete davvero]. Nelle prime ore del mattino pensate a voi e capirete quanto questi mercenari, che stimano sé stessi così poco, possano stimare voi. O nobile sangue latino, allontana da te questi pesi fastidiosi; non trasformare in idolo una fama vana, senza costrutto: poiché il fatto che il furore di quelle terre lassù, che una gente barbara ci superi in intelletto, è un nostro peccato e non una disposizione naturale. Non è forse questa la terra dove sono nato? Non è questo il nido dove sono stato dolcemente nutrito? Non è questa la patria a cui mi affido, madre benevola e devota, dove sono sepolti entrambi i miei genitori? Per Dio, questi pensieri vi smuovano talvolta la mente e guardate in modo pietoso le lacrime del vostro popolo addolorato, che spera solo da voi dopo Dio la pace; e purché voi mostriate un qualche segno di pietà, la virtù impugnerà le armi contro il furore e la lotta sarà breve: poiché l'antico valore non è ancora morto nei cuori degli Italiani. O signori, osservate come il tempo vola e come la vita fugge, e la morte ci incalza alle spalle. Voi ora siete qui; pensate a quando morirete: infatti è inevitabile che l'anima nuda e sola giunga a quel cammino dubbioso [alla morte]. Nel passaggio in questo mondo vogliate deporre l'odio e lo sdegno, che sono venti contrari alla vita serena; e quel tempo che spendete per dare pena agli altri, possa convertirsi in qualche atto più degno di mano o d'intelletto, in qualche lodevole attività, o in qualche studio decoroso: così si è felici in terra e si trova poi aperta la strada per il cielo. Canzone, io ti ammonisco a dire le tue ragioni in modo cortese, visto che dovrai andare tra gente sprezzante, e i loro desideri sono pieni dell'antica e pessima usanza [l'adulazione], sempre nemica della verità. Troverai la tua fortuna tra pochi uomini magnanimi a cui piace il bene. Di' loro: "Chi mi protegge? Io vado gridando: Pace, pace, pace". Interpretazione complessiva Metro: canzone formata da sette stanze di sedici versi ciascuna (endecasillabi e settenari), con schema della rima AbCBaCcDEeDdfGfG e un congedo di dieci versi il cui schema riprende la sirma (cDEeDdfGfG). La canzone è un esempio della poesia politica di Petrarca due temi centrali: deprecazione delle lotte civili tra i signori italiani e la condanna dell’impiego delle milizie (mercenarie). Petrarca è quasi un saggio che ammonisce, esorta, guida e indirizza al bene chi ha la responsabilità del potere. Petrarca sceglie un tono diverso, commosso e in certi punti persino dolente ed elegiaco. Appello ai signori di tipo esistenziale: nella penultima strofa il poeta richiama i temi a lui cari della fuga del tempo, della labilità della vita, della morte incombente; in nome di questo, del “dubbioso calle” che attende anche i potenti, egli li invita a deporre odi ed ire, a dedicarsi a più degne imprese, per aprirsi la strada del cielo. Il secondo motivo è quello delle milizie mercenarie germaniche combattono non per ragioni ideali ma solo per interesse. La canzone, unico componimento di tema politico del Canzoniere, trae spunto dalla "vendita" della città di Parma da parte di Azzo da Correggio ad Obizzo d'Este e dalla guerra che ne seguì tra questo e il signore di Mantova Filippino Gonzaga, conflitto che coinvolse anche altre città del Nord Italia: Petrarca si trovava appunto a Parma nel 1344-45 quando scoppiò la crisi (sulle sponde del Po, come detto al v. 6) e il testo nasce come lamento della triste situazione politica italiana, lacerata da sanguinosi conflitti interni tra i signori contrapposti e priva perciò di pace e stabilità, secondo una consuetudine ormai consolidata dall'inizio del secolo. La canzone vuol essere un'invocazione a Dio affinché tocchi il cuore dei signori d'Italia e li induca a cessare dalle loro ambizioni, e anche un'apostrofe agli stessi signori affinché la smettano di farsi la guerra e pensino alla salvezza dell'anima, nell'imminenza della morte quale passo inevitabile. L'autore si collega alla tradizione della grande canzone politica della lirica volgare del Due- Trecento, ad es. a Guittone d'Arezzo che lamentava la sconfitta di Firenze a Montaperti (► TESTO: Ahi lasso, or è stagion de doler tanto), ma soprattutto si rifà a Dante che in Purg., VI lanciava una forte invettiva all'Italia, in cui esprimeva il suo dolore per la frammentazione politica e lo stato di guerra permanente tra i Comuni a inizio Trecento e invocava anch'egli l'intervento divino, auspicando un "giudizio" severo nei confronti dell'imperatore asburgico che, a suo dire, trascurava l'Italia per "cupidigia" dei suoi possessi tedeschi (► TESTO: L'invettiva all'Italia). A differenza di Dante, tuttavia, Petrarca non nutre più alcuna speranza utopistica nella restaurazione del potere imperiale e, più che un'invettiva, la sua è un'amara considerazione circa il declino politico dell'Italia, nonché un auspicio di pace che viene espresso malinconicamente nei versi conclusivi. L'autore paragona implicitamente la decadenza politica dell'Italia del Trecento alla grandezza della civiltà di Roma antica, quando l'Italia era centro del mondo e i Romani infliggevano dure sconfitte ai popoli germanici (visti come rozzi e inferiori culturalmente) tra cui ora, colpevolmente, vengono arruolate le truppe mercenarie al servizio dei signori italiani: Petrarca cita gli esempi illustri di Gaio Mario che debellò i Teutoni nella battaglia di Aquae Sextiae, nel 102 a.C., bevendo poi nel fiume Arc acqua mista al sangue dei nemici, e Giulio Cesare (citato attraverso una preterizione) che sconfisse più volte i Germani, mentre ora questi popoli (paragonati a belve selvagge) convivono con gli italiani inermi e vengono arruolati come mercenari dai signori, che farebbero meglio invece a lasciarli in Germania da cui l'Italia è opportunamente divisa dalle Alpi. Petrarca anticipa un tema che sarà più volte toccato dagli scrittori dell'età successiva e soprattutto dagli autori del Risorgimento, ovvero il declino dell'Italia frammentata politicamente e sottoposta al governo di altri popoli che stride col passato glorioso di Roma, tema trattato anche da Dante in Purg., VI. La critica all'uso delle milizie mercenarie è racchiusa nelle strofe centrali della canzone e si basa su vari argomenti, tra cui anzitutto la rozzezza e l'inciviltà di questi soldati tedeschi che un tempo vennero dominati da Roma, e poi la loro scarsa efficacia e fedeltà militare, in quanto guerrieri prezzolati che combattono per interesse e non sono motivati a difendere il loro paese, per cui essi scherzano con la morte "alzando il dito" (il gesto convenzionale in segno di resa) e approfittano dei loro signori, arricchendosi alle loro spalle con grave danno delle terre italiche. Petrarca tocca qui un tema che diverrà di drammatica attualità nei primi anni del Cinquecento e sarà ripreso dai principali scrittori del Rinascimento, tra cui soprattutto Niccolò Machiavelli (► VAI ALL'AUTORE) in vari passi della sua opera, specie nei capp. XII-XIV del Principe in cui parla proprio delle milizie e afferma che queste debbano essere civili e non mercenarie, adducendo argomentazioni analoghe a quelle usate nella canzone da Petrarca (► TESTO: Le milizie mercenarie). Lo scrittore del Cinquecento cita esplicitamente i vv. 93-96 della canzone nel cap. conclusivo del Principe, in cui esorta i Medici a prendere la testa di un ipotetico movimento di riscossa nazionale che dovrà scacciare il "barbaro dominio" degli stranieri dall'Italia (► TESTO: L'esortazione finale ai Medici). SONETTO 134 Non trovo pace e non ho armi per poter combattere; ho paura e ho speranza e brucio e sono freddo come il ghiaccio; volo nel cielo e resto a terra; non stringo nulla tra le mie mani e abbraccio tutto il mondo. Chi mi ha prigioniero è siffatto, che non mi libera, ma neppure mi rinchiude completamente, né mi trattiene come suo prigioniero né mi lascia libero; Amore non mi uccide né mi libera dalle catene, né mi vuole vivo né mi libera attraverso la morte. Vedo pur non avendo gli occhi e grido senza avere lingua, desidero morire eppure chiedo aiuto, e odio me stesso e amo gli altri. Mi nutro di dolore, rido piangendo; odio la morte e la vita allo stesso modo: donna, sono in questa condizione a causa vostra. Si ritiene possa essere ispirato ad un sonetto di Cecco d’Ascoli “Io non so” v. quattro sussiste un rapporto non meramente casuale, allo stato attuale degli studi è invece assai dubbia la paternità di Cecco. Anzi tutto fa pensare che sia proprio Cecco ad essersi ispirato a Petrarca. Insieme ai sonetti precedenti (132, 133) forma un trittico d’amore che con parole di Guglielmo IX d’Aquitania definisce del “puro nulla” costruzione di enigmi per addizione di contrari. NB convenzioni del genere “de oppositis” venga a conoscere da lei stessa? (infatti, è Laura che, apparendo in sogno al poeta, lo ha messo a conoscenza della propria morte). Possano Dio e la natura non permetterlo! E possa la mia convinzione rivelarsi sbagliata (ossia “possa la mia visione rivelarsi non veritiera”)! L’unico mio conforto è sperare ancora nella dolce vista del bel viso adorno (il viso di Laura), che tiene in vita me e onora il nostro secolo. Se tuttavia ella è uscita fuori dal suo bel corpo (bel albergo per metafora) per salire in paradiso (l’eterno soggiorno), prego Dio che il mio ultimo giorno non tardi a venire. Metro: Sonetto su quattro rime di schema ABBA ABBA CDC DCD. Dal sonetto 246, insieme al 249 e 250, fa parte di una serie di sonetti nei quali l’amante, ossia Petrarca stesso, esprime il suo timore-presentimento della morte imminente di Laura. L’ipotesi più credibile è che quasi tutti i sonetti siano stati scritti dopo il 1348, in funzione della struttura narrativa dell’ultima raccolta. Essi, dunque, potrebbero risalire alla fine degli anni Sessanta o ai primi anni Settanta. Ricoipotizza sia posteriore a quella costituita dai sonn.382-330. SONETTO 267 Provo dolore a ripensare al viso bello, allo sguardo angelico, al suo bel portamento nobile! mi duole ripensare al suo modo di parlare in grado di rendere umile ogni indole aspra e violenta, e coraggioso un uomo vile! mi lacera il ricordo del suo dolce riso, da cui mi parve che fosse uscita la freccia amorosa che mi fece innamorare di lei, amore da cui l'unica cosa positiva che mi posso aspettare è che mi conduca alla morte [e porre fine alle mie pene]! Anima tanto nobile che meriterebbe di esser regina, se non fossi fra noi scesa così tardi! Non posso fare a meno di ardere per voi, di respirare in voi, perché io sono stato vostro; e la pena di stare senza di voi, rendere piccola qualsiasi altra sventura che mi possa capitare. Voi mi avete riempito di speranza e di desiderio quand'io mi allontanai da voi, voi che per me eravate il massimo del piacere che potessi provare; ma il vento s'è portato via le vostre parole [ovvero le promesse che mi avevano riempito di speranza ma che non sono state mantenute. Metro: Sonetto su cinque rime di schema ABBA ABBA CDE CDE. È il primo testo in morte di Laura. Probabilmente Petrarca lo ha scritto a Parma, poco dopo aver appreso, da una lettera di Socrate, pervenutagli il 9 maggio del 1348, la notizia della morte dell’amata avvenuta il 6 aprile ispirata dalla canzone di Cino in morte di Selvaggia (Oimè, lasso, quelle trezze bionde) è l’ultimo della serie (264-267) conclusi con la citazione di un auctoritas. CANZONE 268 Parafrasiorale Metro: La canzone è tecnicamente definita pianto, cioè “planctus” o “planh”, si articola in 7 stanze di 11 vv. (di cui quattro settenari), di schema AbCAbC cDdEE, più congedo uguale alla sirma. È il planctus per la morte di Laura. Una prima stesura della canzone fu scritta il 19 maggio del 1348 e il primo settembre dello stesso anno. Una seconda stesura della canzone riporta una postilla nel margine superiore; essa informa che il testo fu lì trascritto, direttamente dalle cc. 13-14, il 28 novembre del 1349. Petrarca, inoltre, dichiara di sentirsi nella disposizione di spirito adatta a portare a termine questa canzone, grazie al sonetto per la morte di Sennuccio e al sonetto dell’Aurora che egli aveva composto nei giorni precedenti e che gli hanno sollevato lo spirito la morte dell’amico aveva ispirato la composizione di 287 e 291 e indotto Petrarca alla revisione del planctus per Laura. NB canzone 268 ha come riferimento la vita nova in morte di Beatrice, “Li occhi dolenti” SONETTO 271 Il nodo d’amore che brucia in cui io fui preso, d’ora in ora, per 21 anni interi contati fu sciolto dalla morte, non ho mai provato un peso tale ma neppure credo che si possa morire di dolore. Non volendomi perdere ancora, Amore, tese un altro laccio in mezzo all’erba, e accese il fuoco con le attrattive di un’altra donna, tale che con molto stento ne sarei uscito fuori. E se non avessi già sperimentato gli affanni dell’amore precedente, avrei preso fuoco poiché sono più secco e più infiammabile. La morte mi ha liberato un’altra volta, e ha rotto il nodo, e ha spento il fuoco e lo ha sparso: contro la morte non può nulla la forza o l’ingegno. L’ipotesi corrente è che il sonetto, sia o no collegato dal punto di vista biografico alla canzone precedente, racconti la nascita di un nuovo amore presto stroncato dalla morte di questa seconda donna. Alcuni si spingono ad ipotizzare che si tratti della stessa donna di cui parlano i sonetti extravaganti “Quella che ‘l giovenil meo core avinse” e “Antonio, cosa à fatto la tua terra”, ma è ipotesi priva di ogni supporto documentario. Sulla formazione di questa sequenza predominano motivazioni di carattere letterario: potrebbe essere che Petrarca con questo “tradimento” della memoria di Laura voglia riproporre una situazione analoga a quella della donna pietosa della Vita Nova. È la prima volta nella raccolta che viene indicata la durata dell’amore per Laura in vita (v. 2 21 anni) si osservi che tale indicazione era incongruente con l’andamento cronologico del libro. Metro: Sonetto su cinque rime di schema ABBA ABBA CDE CDE. SONETTO 272 La vita fugge e non si arresta neppure un attimo, e la morte la segue a grandi passi, e il presente e il passato mi tormentano, così come il futuro; e il ricordo [del passato] e l'attesa [del futuro] mi angosciano, ora da una parte ora dall'altra, a tal punto che in verità io mi sarei già liberato da tutti questi pensieri [mi sarei ucciso], se non avessi pietà di me stesso. Ritorno a pensare se il mio cuore triste provò mai dolcezza [nel passato]; e poi, dall'altra parte [pensando al futuro] vedo la mia navigazione turbata dai venti; vedo tempesta in porto e il mio timoniere [la ragione] ormai stanco, e rotte gli alberi e le sartie, e spente le belle luci [gli occhi di Laura] che ero solito fissare. Databile tra il giugno del 1348 e il ’56-57. Metro: Sonetto su cinque rime di schema ABBA ABBA CDE CDE. Dopo la morte della donna amata, il poeta manifesta la propria desolazione e s’abbandona a un’intensa meditazione sulla brevità dell’esistenza e sulla precarietà dei valori umani. Il componimento è uno dei più significativi sonetti di introspezione, di analisi di una condizione interiore caratterizzata dal dissidio e dalla sofferenza esistenziale. Torna un motivo caro a Petrarca e già incontrato più volte: la fuga inarrestabile del tempo e l’incombere della morte, che vanifica il senso dell’esistenza. Anche il futuro contribuisce a conferire al dramma interiore un senso di maggiore incertezza e precarietà. La morte, che dovrebbe essere un porto sicuro, un rifugio tranquillo, appare fonte d’angoscia, in quanto la salvezza dell’anima è dubbia. L’angoscia deriva inoltre da un senso di logoramento delle forze fisiche e spirituali, che non consente più al poeta di affrontare la tempesta del vivere. Con la morte di Laura, Petrarca si trova nelle condizioni di aver perso la sua guida, rendendo così la realtà disgregata e l’io irrimediabilmente diviso, privo di punti di riferimento e di certezze. Precipitare del temporeso grazie alla struttura del polisindeto (serie di proporzioni coordinate dalla coniugazione e) che domina l’intero componimento, ribadito dall’affollarsi di verbi di movimento. Uso di metafore inerenti al mondo della guerra che servono a sottolineare lo stato in cui riversa l’autore. Tipico di Petrarca non riversare nella forma questo groviglio interiore armonia, forma limpida ed equilibrata. Il testo vuol essere una rievocazione nostalgica e sconsolata di Laura ormai morta da diversi anni, nonché un rimpianto per ciò che poteva diventare il rapporto tra i due quando entrambi non erano più giovani e la donna poteva rassicurarsi circa le intenzioni poco oneste del poeta, senza timori per la sua reputazione: Petrarca riprende il tema dell'amore per Laura caratterizzato in senso fisico e sensuale, col dire che nel 1348 (anno della morte della donna, quando lui aveva quasi 45 anni e stava dunque per entrare nella vecchiaia secondo la tradizione classica) il fuoco della passione era ormai spento e l'amore poteva conciliarsi con la castità, cosa che tuttavia non è stata consentita dalla morte che ha invidiato le speranze del poeta. Il sonetto riprende il motivo classico dell'amore che, nei suoi risvolti sensuali, è riservato ai giovani e precluso invece alle persone anziane, collegandosi ad altri testi della raccolta in cui Laura viene mostrata come donna invecchiata e dalla bellezza sfiorita, ma non per questo meno amata dal poeta (► TESTO: Erano i capei d'oro a l'aura sparsi). Tutta la poesia gioca sulla metafora dell'amore infelice dell'autore visto come uno scontro armato con Laura, la sua "cara nemica" che lo ha sempre respinto e che solo in età avanzata poteva forse essere più benevola: del resto l'innamoramento era descritto nel sonetto 3 attraverso l'immagine dell'Amore che scoccava la freccia nel cuore di Petrarca e non mostrava neppure l'arco a Laura che era "armata" (► TESTO: Era il giorno ch'al sol si scoloraro), mentre immagine militare è anche quella del fuoco che ardeva il cuore del poeta e che adesso intiepidisce, nonché il dualismo Amore/Castità che in gioventù sono in antitesi e si scontrano, data la natura sensuale del sentimento amoroso, invece nella maturità si riconciliano e possono coesistere in pace. Alla fine del sonetto anche la stessa morte personificata è descritta come un "nemico armato" che stronca sul nascere le speranza del poeta, riprendendo almeno in parte l'immagine della donna vestita di nero descritta nel Triumphus mortis (► TESTO: La morte di Laura). SONETTO 273 Che fai? che pensi? perché ritorni continuamente col ricordo a quel tempo che non può più ritornare, anima che non può essere consolata, perché ancora aggiungi motivi alla passione che ti domina? le parole soavi e gli sguardi dolci che hai minutamente analizzato, sono levati dalla terra, cercarli ancora è, ormai, fuori tempo e troppo tardi. non rinnovare col ricordo proprio ciò che ti tormenta di più non seguire più un pensiero incerto e senza meta, ma stabile e sicuro che ci guidi alla meta giusta. Cerchiamo nel cielo se qui non ci piace niente, tanto che il male vuole storcere da noi la bellezza che vede, se o viva o morta doveva toglierci ogni quiete. Metro: Sonetto su quattro rime di schema ABBA ABBA CDC DCD. Databile tra il giugno del 1348 e il ’56-57. SONETTO 310 Zefiro ritorna e riporta il bel tempo e i fiori e l'erba, suo dolce seguito, ed il garrire delle rondini [Progne] ed il canto dell'usignolo [Filomena] e la primavera limpida e dai colori vividi. La campagna sembra sorridere e il cielo si rasserena: Giove si rallegra di vedere la luce di Venere più luminosa; l'aria, l'acqua e la terra sono attraversate dall'amore; ogni essere vivente si dispone ad amare. Per me infelice ritornano i più dolorosi tormenti, che dal profondo del cuore muove colei che al cielo se ne portò le chiavi; il canto degli uccelli, il fiorire dei piani, i delicati gesti di belle e decorose donne sono [per me] un'arida realtà, come belve crudeli e selvagge. Si ritiene che il sonetto, forse di anniversario, sia stato composto a Valchiusa nella primavera del 1352. Metro: Sonetto su quattro rime di schema ABAB ABAB CDC DCD. Il sonetto è costruito su un’antitesi: il ritorno della primavera, stagione della vita e della gioia, porta con sé serenità e amore, che pervadono tutta la natura. È escluso, però, il poeta, anzi la gioia della natura accentua il contrasto del dolore per la morte della donna amata. Di qui deriva il rovesciamento di prospettive operato dalle terzine (Ma avversativo iniziale). Il motivo del ritorno della primavera è folto di reminiscenze classiche: Catullo, Orazio. Agli echi dei poeti