Scarica Analisi e traduzione De Providentia, Seneca e più Sintesi del corso in PDF di Lingua Latina solo su Docsity! Seneca Lucio Anneo Seneca uno dei pochi personaggi nella storia della filosofia utopica platonica dei filosofi al potere. Oltre a trattare principali tematiche dello stoicismo – fugacità del tempo, imperturbabilità del saggio, morte come destino ineluttabile – cercò di mettere in pratica le sue concezioni filosofiche, senza limitare impegno politico alla stesura di trattati, ma intervenendo come precettore e consigliere dell’imperatore Nerone. Vita e morte Nasce in Spagna, a Cordova (cittù di tradizioni repubblicane, schierata con Pompeo al tempo delle guerre civili) da ricca famiglia di rango equestre (padre è Seneca il Vecchio), forse nel 4 a. C. A Roma fu educato nelle scuole retoriche, in vista della carriera politica, e filosofiche (tra i maestri, stoico Attalo e Papirio Fabiano, ex retore vicino alla scuola stoico-pitagorica dei Sestii, con tendenze ascetiche e curiosità naturalistiche). Attorno al 26 d.C. in Egitto; al ritorno a Roma, nel 31, iniziò attività forense e carriera politica con successo – Caligola geloso della sua fama oratoria, ne decretò condanna a morte, da cui lo avrebbe salvato un’amante dell’imperatore. Non si salvò però dalla relegazione che, nel 41, gli comunicò il nuovo imperatore Claudio, con accusa di coinvolgimento nell’adulterio di Giulia Livilla, figlia di Germanico e sorella di Caligola (ma si voleva colpire opposizione politica attoorno alla famiglia di Germanico). In Corsica fino al 49, quando Agrippina ottenne da Claudio il suo ritorno dall’esilio e lo scelse come tutore di figlio, futuro imperatore Nerone. In ruolo di educatore, lo accompagnò all’ascesa al trono e da allora resse guida dello Stato: periodo di “buon gioverno” di Nerone (ispirato ai principi di equilibrio e conciliazione fra poteri del principe e del Senato) che andò deteriorandosi (matricidio del 59) costringendo filosofo a gravi compromessi. Nel 62 con Nerone ormai nelle mani di Poppea, e avviato a fase conclusiva del suo regno, Seneca, vista venir meno la sua influenza politica, si ritirò alla vita privata dedicandosi ai suoi studi. Ormai sospetto a Nerone e a Tigellino, nuovo prefetto del pretorio, Seneca coinvolto nella congiura di Pisone (aprile 65), di cui era forse solo al corrente senza esserne participe: condannato a morte da Nerone, si suicidò nel 65 d.C. (celebre il racconto della morte di Seneca fatto da Tacito negli Annales). Molte sono fonti autobiografiche fornite da stesso Seneca (Epistulae, Consolatio ad Helviam matrem); Annales di Tacito; Storia romana dello storico greco Dione Cassio, biografie svetoniane degli imperatori Calligola, Claudio, Nerone. Le opere Le opere filosofiche: i Dialogi: quelle di carattere filosofico occupano più spazio. Alcune di queste, dopo la morte di Seneca, raccolte in dodici libri di Dialogi: titolo non implica forma dialogica, ma dovuto a tradizione del dialogo filosofico risalente a Platone. Sono trattati, per lo più brevi, su questioni etiche e psicologiche. Il De beneficiis, il De Clementia, e le Epistulae ad Lucilium: altre opere filosofiche; il De clementia indirizzato a Nerone, e i venti libri delle Eipistulae, originariamente più numerose. Naturales quaestiones, tragedie e Apokolokyntosis: di carattere più scientifico le naturales quaes. in sette libri; nove tragedie di cothurnatae, cioè di argomento gredo e il Ludus de morte Claudii (o Apokolokyntosis), satira menippea sulla singolare apoteosi dell’imperatore. Dubbi sulla paternità senecana degli Epigrammi. Opere perdute: biografia del padre, orazioni, trattati di carattere fisico, geografico, etnografico, altre opere filosofiche. Parecche anche di dubbia attribuzione o spurie. I Dialogi Le singole opere dei Dialogi costituiscono trattazioni autonome di aspetti o problemi particolari dell’etica stoica, stoicismo che ha. sempre steperato antico rigore dottrinale sulle orme della “scuola di mezzo” e non conosce chiusure dogmatiche. Composizione dei Dialogi lungo tutto l’arco della vita di Seneca, anche se difficile seguire sviluppo del suo pensiero. Le consolationes: Ad Marciam, Ad Helviam, Ad Polybium: genere della consolazione intorno a repertorio di temi morali (fugacità del tempo, precarietà della vita, morte come destino ineluttabile dell’uomo), che anche Seneca riprende e rielabora nelle sue consolationes e attorno ai quali ruota gran parte della sua riflessione filosofica. La Consolatio ad Marciam, scritta sotto principato di Caligola, indirizzata alla figlia dello storico Cremuzio Cordo per consolarla della morte di un figlio. Al periodo dell’esilio in Corsica altre due consolationes: Ad Helviam matrem cercadi tranquillizzare madre su condizione figlio esule, esultando aspetti positivi dell’isolamento e dell’otium contemplativo; Ad Polybium, potente liberto di Claudio, per consolarlo della perdita di un fratello, si rivela come tentativo di adulare imperatore per tornare a Roma (poi accusato di opportunismo). Genere della consolatio Motivi isolati di consolazione radici nell’epica omerica, e si incontrano negli scrittori e pensatori greci. Ma il formarsi di un vero e proprio genere in età ellenistica, con perduto trattato Sul lutto, attributio al filoso Cràntore (335-275 a.C.). Trovò consensi l’obiettivo della “moderazione degli affetti” (metriopàtheia) in luogo della rigida “insensibilità” (apàtheia) di fronte alla morte dei propri cari, che predicava lo stoicismo antico. La letteratura greca e latina dovettero comprendere vari scritti del genere, quasi tutti perduti: a parte il dialogo pseudoplatonico Assioco, primi trattati superstiti sono quelli di Seneca, insieme ad alcune delle sue Epistulae ad Lucilium. Dopo questi, la Consolazione della moglie di Plutarno e quella, pseudoplutarchea, di Apollonio. Con la letteratura cristiana, genere verso il declino, svolta tematica nell’introduzione di un principio rifiutato da morale laica che trovava nella ragione il cardine consolatorio: la speranza. Importanza delle tre opere di Seneca anche per ricostruzione della struttura fondamentale del genere. Essenziale apporto delle filosofie cinica e stoica: nell’impostazione predicatoria, su rapporto personale con destinatario di questa terapia dell’anima afflitta (abbondano vocativi e imperativi). Stretto legame del pensiero filosofico con retorica, che informa le consolazioni: allinea stessi motivi (inutilità dolore prolungato, infondatezza motivi afflizione sia per destinatario che per oggetto del cordoglio, universalità delle leggi della sofferenza e della morte) in schema preciso, dove esordio ed epilogo racchiudono parte argomentativa, composta da serie di precetti e del richiamo a modelli di comportamento esemplare. Nel completto, le Consolationes mostrano differenza da altri dialoghi senecani, perché pensiero che esprimono sembra lasciarsi ridurre entro schema logico-argomentativo. Per Seneca occasione per coniugare, grazie allo strumento della retorica, vocazione di letterato e rigore dell’insegnamento dottrinario: discutere, con calore del conforto ad amico e insieme la sistematicità di un’oreazione, attorno a un tema, l’atteggiamento da tenere nei confronti della morte, tra quelli maggiormente presenti alla sua meditazione filosofica in generale. Il beneficium, fondamento di una società più giusta Il De beneficiis: successivo al ritiro dalla vita pubblica; sette libri De beneficiis, dedicati all’amico Ebuzio Liberale. Tratta della natura e delle modalità degli atti di beneficenza, del lgame fra benefattore e beneficato, dei doveri di gratitudine e delle conseguenze morali che colpiscono ingrati (velata allusione al comportamento di Nerone nei suoi confroni). Opera che analizza beneficio come elemento coesivo dei rapporti interni all’organismo sociale, sembra trasferire sul piano della morale individuale il progetto di una società equilibrata e concorde che Seneca aveva fondato su utopia di una monarchia illuminata. Appello, rivolto soprattutto a classi privilegiati, ai doveri della filantropia e della liberalità, come proposta alternativa al fallimento del suo progetto. La pratica quotidiana della filosofia: le epistulae ad Lucilium Non si possono distinguere nettamente i due momenti dell’impegno civile e dell’otium meditativo, innegabile che nella produzione successiva al suo ritiro dalla scena politica, si muove verso coscienza individuale. Opera principale sono le Epistulae ad Lucilium, raccolta di lettere di vario argomento indirizzate all’amico Lucilio, personaggio di origine modeste, più giovane di Seneca, proveniente dalla Campania, rango equestre con varie cariche politico-amministrative, di buona cultura, poeta e scrittore egli stesso. Opera giunta incompleta, e si può datare a partire dal periodo del disimpegno politico (62-63). Seneca piena consapevolezza di introdurre nella cultura letteraria latina un genere nuovo, che tiene a distinguere da comune pratica epistolare rappresentata da Cicerone. Modello cui tende uniformarsi è Epicuro, che nelle lettere agli amivi aveva realizzato rapporto di formazione ed educazione spirituale che Seneca istituisce con Lucilio. Lettere strumento morale, diario delle conquiste dello spirito nel lungo itinerario verso la sapientia. Riprendendo topos comune dell’epistolografia antica, insiste sul fatto che scambio epistolare permette di istituire un colloquium con amico, creare. intimità quotidiana che sul piano pedagogico più efficace dell’insegnamento dottrinale. La lettera, vicina alla realtà vissuta, si presta alla pratica quotidiana della filosofia: ogni volta nuovo tema, semplice e di apprendimento immediato. Rifacendosi a schema in uso nella scuola di Epicuro, Seneca utilizza epistola come strumento ideale per prima fase della direziones spirituale, fondata sull’acquisizione di alcuni principi. basilari, cui farà seguito, con accrescimento capacità analitiche del discendente, ricorso a strumenti di conoscenza più impegnativi e complessi. Tendenza singole lettere, man mano che epistolario procede, ad assimilarsi al trattato filosofico. Oltre a essere funzionale a una fase del processo di direzione spirituale, genere epistolare si rivela appropriato ad accogliere tipo di filosofia, come quella senecana, priva di sistematicità e incline a trattazione di aspetti parziali o singoli temi etici. Argomenti delle lettere svariati, ricondotti a tematiche della tradizione diatribica: norme cui saggio informa la sua vita, sulla sua indipendenza e autosufficienza, indifferenza a seduzioni mondane e disprezzo per opinioni correnti. Seneca propone ideale di una vita indirizzata al raccoglimento e alla meditazione, al perfezionamento interiore mediante riflessione sulle debolezze e vizi propri e altrui. Considerazione della condizione umana che accomuna tutti i viventi lo porta. a esprimere condanna del trattamanto riservato agli schiavi, accenti di pietà che hanno fatto pensare a carità cristiana. Etica senecana artistocratica, e sapiens stoico che esprime simpatia per schiavi maltrattati manifesta irrevocabile disprezzoo per. masse popolari abbruttite da spettacoli del circo. Distacco da mondo e da passioni si accentua nelle Epistulae, parallelamente al fascino della vita appartata e all’assurgere dell’otium a valore supremo: otium che non è inerzia ma alacre ricerca del bene, nella convinzione che conquiste dello spirito possano giovare non solo ad amici impegnati nella ricerca della sapientia, ma anche agli altri, e che Epistole possano esercitare benefico influsso sulla posterità. Conquista della libertà interiore (necessaria rinuncia alle rivendicazioni sul terreno politico) è estremo obiettivo che saggio stoico si. pone, a cui si accompagna meditazione quotidiana della morte, alla quale sa. guardare con mente serena come al simbolo della propria indipendenza dal mondo. L’epistola filosofica Prima di Seneca si erano dedicati al genere epistolare Cicerone e Orazio. Del primo circa 900 lettere, da cui emerge la figura del “vero” Cicerone, non ufficiale, che apre cuore ad amici e familiari, svelando retroscena della sua azione politica, e confida. ansie, dubbi, alti e bassi del suo umore. Orazio primo autore della letteratura latina ad aver utilizzato genere epistolare (in versi) per esprimere contenuti filosofici. Le sue Epistulae recano segnali esteriori della lettera (formule di saluto e congedo, espressioni di cortesia e circostanza) e riproducono ipotetica occasione. Quelle di Orazio erano epistole fittizie, scritte per essere pubblicate al fine di divulgare verità filosofiche in cui poeta credeva; lettere di Cicerone, al contrario, erano state invitate realmente ai loro destinatari, scritte quindi non in vista di pubblicazione. Spunto a comporre lettere di carattere filosofico da Platone ed Epicuro. Di Platone pervenute 13 lettere. Nella lettera VI, filosofo raccomanda a due dei suoi discepoli e a Ermia, tiranno di Atàrneo, di stringere reciproca amicizia. Lettera VII e VIII sono indirizzate a familiari di Dione, discepolo prediletto, morto durante congiura dopo aver cacciato tiranno di Siracusa Dioniso II, anche suo nipote. Lettera VII oltre a contenere informazioni sulla biografia di Platone, illustra in excursus filosofico, metodo usato dal filosofo per condurre propri seguaci alla vera conoscenza attraverso dialogo. Di Epicuro tre epistole di carattere dottrinale: a Erodoto, sulla fisica; a Pitocle, sull’astronomia e sulla meteorologia; a Menaceo, sull’etica. Ultima lettera, che ebbe fortuna straordinaria nel mondo romano, contiene principi cardine della filosofia morale epicurea: concezione del piacere come assenza del dolore (ataraxìa) e noncuranza nei confronti della morte, come semplice assenza di sensazioni, stato in cui atomi che compongono corpo e anima si disgregano. senza che noi possiamo accorgercene. Lo stile drammatico delle opere filosofiche Se fine della filosofia è giovare al perfezionamento interiore, filosofo dovrà badare alle res, non alle parole ricercate ed elaborate. Si giustificheranno solo se – in virtù della loro efficacia espressiva, in forma di sententiae o citazioni poetiche – assolveranno a funzione psicagogica, se contribuiranno a fissare nella memoria e nell’animo precetto o norma morale. Prosa filosofica senecana quasi emblema di stile elaborato, teso e complesso, caratterizzato da ricerca dell’effetto e dell’espressione epigrammatica. Seneca rifiuta compatta architettura classica del periodo ciceroniano, che nella disposizione ipotattica voleva rendere chiara gerarchia logica del pensiero, preferisce invece la paratassi, la giustapposizione di brevi frasi indipendenti. Stile di Seneca frantuma impianto del pensiero in susseguirsi di frasi sentenziose, collegamento affidato ad antitesi e ripetizione. Prosa antitetica all’armonioso periodare ciceroniano affonda radici nella retorica asiana e nella predicazione dei filosofi cinici: tipico procedere. mediante ricercato gioco di. parallelismi, opposizioni, ripetizioni produce effetto di sfaccettare idea secondo tutte le angolazioni possibi, fornendone formulazione. concisa, fino all’espressione epigrammatica. Di questo stile Seneca si serve per esplorare segreti dell’animo umani e contraddizioni che lo lacerano, ma anche per parlare al cuore degli uomini ed esortare al bene; stile antitetico e conflittuale che alterna toni sommessi della meditazioneinteriore a quelli vibranti della predicazione: stile che riflette le spinte che animano filosofia senecana, tesa fra la ricerca della libertà dell’io e la liberazione dell’umanità. Le tragedie Sono le sole tragedie laatine a noi pervenute in forma non frammentaria. Importanti anche come documento della ripresa del teatro latino tragico, dopo tentativi poco fortunati che la politica culturale aaugustea fece per promuovere rinascita dell’attività teatrale. Le opere ritenute generalmente autentiche sono nove, tutte di soggetto mitologico (unico dubbio sull’Hercules Oeateus). Posco si sa sulle circostanze della loro eventuale rappresentazione e sulle data di composizione. Hercules furens, sul modello dell’Eracle euripideo, tratta tema della follia di Ercole che, provocata da Giunone, induce eroe a uccidere moglie e figli. Rinsavito e determinato a suicidarsi, Ercole si lascia distogliere dal suo proposito e si reca ad Atene per purificarsi. Troades basate su contaminazione dei soggetti di due drammi euripidei, Troiane e Ecuba, rappresentano la sorte delle donne troiane prigioniere e impotenti di fronte al sacrificio di Polìssena, figlia di Priamo, e del piccolo Astianatte, figlio di Ettore e Andromaca. Phoenissae, unica tragedia senecana incompleta, modellata sulle Fenicie di Euripide e sull’Edipo a Colono di Sofocle, ruota attorno a tragico destino di Edipo e all’odio che divide i suoi figli. Medea, basata sulla Medea di Eurupide, ma forse anche sull’omonima tragedia di Ovidio, rappresenta cupa vicenda della principessa della Colchide, abbandonata da Giasone e perciò assassina, per vendetta, dei figli avuti da lui. Phaedra presuppone celebre modello euripideo, e forse una tragedia perduta di Sofocle e quarta delle Heroides ovidiane: tratta dell’incestuoso amore di Fedra per figliastro Ippolito e del drammatico destino che si abbatte sul giovane, restio alle seduzioni della matrigna, che si vendica denunciandolo al marito Teseo, padre di Ippolito, e provocandone morte. Oedipus basato sull’Edipo re sofocleo, narra mito tebano di Edipo, inconsapevole uccisore del padre Laio e sposo della madre Giocasta. Alla scoperta della tremenda verità eroe si acceca. Agamennon, ispirato all’omonimo dramma di Eschilo, rappresenta assasinio di Agamenonne, al ritorno da Troia, per mano della modlie e dell’amante. Thyestes rappresenta mito dei Pelopidi: animato da odio mortale per il fratello, che gli ha sedotto la sposa, Atreo si vendica con finto banchetto di riconciliazione in cui imbandisce al fratello ignaro le carni dei figli. Hercules Oetaeus (“sull’Eta”, monte su cui si svolge evento culminante). modellato sulle Trachinie di Sofocle, tratta mito della gelosia di Deianira, che per riconquistare amore di Ercole gli invia tunica intrisa del saangue del centauro Nesso, creduto filtro d’amore e in realtà dotato di potere mortale. Fra dolori atroci Ercole si fa innalzare rogo e vi si getta per darsi la morte, cui farà seguito assunzione fra gli dèi. Rapporto con modelli greci: rispetto all’atteggiamento tipico dei tragici latini arcaici, quello di Senenca denota da una parte maggiore autonomia e al tempo stesso presuppone rapporto continuo con modello, sul quale Seneca opera interventi di contaminazione, ritrutturazione, Seneca, De providentia Sottotitolo quare aliqua… cum providentia sit: se è autentico, riprende domanda di Lucilio punto per punto, ma ridimensionandola sia quantitativamente (aliqua e non multa) sia qualitativamente (incommoda e non mala) che è distinzione basilare di tutto il dialogo: “ci sono nella vita cose favorevoli e sfavorevoli (commoda et incommoda), ma le une e le altre fuori di noi (extra nos)”. Terminologia stoica. Quare aliqua incommoda bonis viris accidant, cum providentia sit Perché (quare) capitano (accidanti) agli uomini buoni (bonis viris) alcune sciagure (aliqua incommodi), dato (cum) c’è la provvidenza. Quare aliqua incommoda bonis viris accidant: Interrogativa indiretta Quare: avv. interrogativo, introduce int. indiretta. Quare aliqua incommoda bonis viris accidunt? (int.diretta)/<Quaeritur> Quare aliqua incommoda bonis viris accidant? (int.indiretta). Nel passaggio da diretta a indiretta, interrogativa passa al modo congiuntivo secondo la consecutio temporum. Aliqua: agg. indefinito nt. pl. da aliqui, aliqua, aliquod – corrispettivo pron. indefinito aliquis, aliquid che può avere funzione di aggettivo. Aliquis da alius+qui, si declina come quis. Aliquis afferma esistenza di qualcuno o qualcosa, lasciando indeterminata la qualità - qui aggettivo indefinito indica consistenza minima incommoda. Pronomi indefiniti – sono cinque, in ordine da minimo a massimo di indeterminatezza: - quidam, quaedam, quiddam (agg. quidam, quaedam, quoddam): individua ma non specifica (uno, qualquno, un certo tale); - aliquis, aliquid (agg. aliqui, aliqua, aliquod): persona o cosa esistente ma non individuabile (uno qualunque); - quispiam, quaepiam, quippiam (agg. quispiam, quaepiam, quodpiam): indefinito della probabilità (uno che forse c’è), tipico dell’espressione formulare quaeret fortasse quispiam, qualquno forse chiederà; - quis, quid enclitico (agg. qui, quae, quod): indefinito della pura possibilità (qualcuno o. qualcosa c’è) con particelle eventuali: si o contesti dai quali risulti eventualità: si quis amor est, se c’è un amore (dubbio è esistenza amore); si aliquis amor est, se c’è un amore (dubbio sul tipo di amore, ma certezza esistenza amore in sé) - quisquam, quicquam (agg. ullus, a, um): in discussione esistenza di qualcosa o qualcuno (esistenza improbabile o discutibile) – in proposizioni di forma o significato negativo: nec quisquam hoc faciet nisi tu, nessuno lo farà tranne te. Incommoda è lessico stoicco – inconsistenza difficoltà di vir bonis. Antitetico a mala. Distinzione incommoda e mala fulcro argomentazione. Cercherà di dimostrare che mala sono avversità. Tradotto come “inconveniente” troppo limitativo, pur rendendo senso etimologico (negazione di commodum, “ciò che va bene, è gradito”): preferibile o “sventure” o “disgrazie” o “sciagure” o “problemi”. Accidant, cong. accido, is, cidi, ere con apof. latina (ad+cado) e assimilazione regressiva. (-dc- >-cc-) Cum providentia sit: Sub. temporale Cum: cum concessivum + cong. (sit): qualità della divinità esprime facoltà di governare l’universo: il fine è il bene. 1.1 Quaesisti a me, Lucili, / quid ita, / si prouidentia mundus ageretur, / multa bonis uiris mala acciderent. / Hoc commodius in contextu operis redderetur, / cum / praeesse uniuersis prouidentiam / probaremus / et interesse nobis deum; / sed / quoniam a toto particulam reuelli / placet / et unam contradictionem / manente lite integra / soluere, / faciam rem non difficilem, / causam deorum agam. Mi hai chiesto, Lucili (quaesisti a me, Lucili) perché mai (quid ita) se il mondo (mondus) è gestito dalla providenzia (ageretur providentia), accadono (acciderent) molti mali (multa mala) agli uomini buoni (buoni viris). Ciò (Hoc) potrebbe essere esposto (redderetur) meglio (commodius) nel corso di una trattazione (in contextu operis), quando dimostrassi (cum probaremus) che la provvidenza (providentiam) presiede a tutte le cose (praesse universis) e che Dio/gli dei (deum) si interessa a noi (interesse nobis). Ma giacchè (sed quoniam) ho deciso (placet) di tirar fuori dal contesto generale (revello a toto) una piccola parte (particulam) e risolvere (solvere) una sola contraddizione (unam contradictionem) lasciando inalterata la disputa (manente lite integra). Farò una cosa non difficile (faciam rem non difficilem), difenderò la causa (agam causam) degli dei (deorum). Quaesisti a me, Lucili: PP Quesisti: forma sincopata di quaesivisti, da quaero, is, ivi, istum, ire. Quaero ex/de/ab aliquo: chiedo per sapere (abl. della persona a cui si chiede qualcosa) – diverso da peto, is, ivi, itum, ire=chiedere per ottenere Lucili, voc. in -i lunga, anziché in -e breve, dei sostantivi in -ius/ium della II declinazione: Luciulius, i Quid ita multa bonis viris mala acciderent: int. indiretta, apodosi Acciderent, cong. imperfetto (segue consecutio, PP è perfetto per esprimere contemporaneità con dipendenza storica) Quid ita: “perché mai”, acc. avv.: forma colloquiale, introduce int. indiretta che dipende da quaesisti. A differenza delle int. dirette, le indirette presentano cong. secondo la consecutio. Variatio rispetto al precedente quare. Multa mala corrisponde a aliqua incommoda del sottotitolo: nella domanda di Lucilio gli incommoda che capitano ai boni viri sono mala, secondo accezione comune che si dà ad avvenimenti quali “lutti, malattie, sofferenze”. Ma per gli Stoici unico male è il peccato, cioè allontamento dalla ragione e dalla virtù. Già nel titolo dell’opera e nella sua esposizione, Seneca non usa mala, ma sostituisce con incommoda. Antitesi con bonis viris e chiasmo multa bonis viris mala, con allitterazione e omeoteleuto membri esterni e omeoteleuto membri interni. Proposizione interrogativa diretta: proposizione indipendente che esprime domanda reale se non prevede risposta, retorica se domanda implica già risposta. Semplice se riguarda unico concetto, disgiuntiva se riguarda due o più concetti. Latino ricorre a: - pronomi e avverbi interrogativi - particelle interrogative (-ne per domande reali; num in int. retoriche che attendono risposta negativa; nonne in int. retoriche con rispostapositiva). Int. disgiuntive introdotte da: utrum/-ne/…an Proposizione interrogativa indiretta (sostantivata) introdotta da pronomi, avverbi o particelle interrogative che introducono quelle dirette. Verbo al congiuntivo, tempi seguono consecutio Consecutio temporum del congiuntivo Sovraordinata Tempi principali quaero Tempi storici quarebam Subordinata Anteriorità quid feceris (ind. perfetto) quid fecisses (ppf) Contemporaneità quid facias (presente) quid faceres (imperf.) Posteriorità quid facturus sis (perifrastica attiva + sim) quid facturus esse (perifrastica. attiva + esses) Si providentia mundus ageretur: sub. ipotetica oggettiva, protasi al cong. perché dipendente (apodosi al cong. perché int. indiretta) Ageretur: lectio difficilior di regeretur; ageretur, cong. imperfetto passivo di ago, is, egi, actum, agere “andare avanti (un’attività)”; si ageretur “è governato” Providentia, abl. sg. Providentia, ae: abl. di causa efficiente Mundus: agg. sostantivato che sottolinea bellezza e ordine dell’universo; mundus, a, um: “pulito, ordinato” Periodo ipotetico dipendente - I tipo: ipotetico dell’oggettività (semplice formulazione del rapporto fra ipotesi e conseguenza, senza giudizio espresso sulla realizzazione dell’ipotesi). Protasi: indicativo. Apodosi: tutti i modi principali (ind. imperat. cong. indipendente) Es: si hoc dicis, erras /si hoc dixisti, erravisti - II tipo: ipotetico della possibilità (ipotesi presentata come possibile). Protasi: congiuntivo presente / Apodosi: congiuntivo presente . Protasi: congiuntivo perfetto / Apodosi: congiuntivo perfetto Es: si hoc dicerem, errarem (se mi dicessi questo – e posso dirlo–, sbaglierei) si hoc dixissem, erravissem (se avessi detto questo – e avrei potuto dirlo –, avrei sbagliato) - III tipo: ipotetico dell’irrealtà (ipotesi presentata come irreale). Protasi: cong. imperfetto / Apodosi: cong. imperfetto (nel presente). Protasi: cong. ppf. / Apodosi: cong. ppf. (nel passato) Es: si hoc dicerem, errarem (se dicessi questo – e non lo dico, sbaglierei) si hoc dixissem, erravissem (se avessi detto questo – ma non l’ho detto, avrei sbagliato) Hoc commodius in contextu operis redderetur: PP Hoc: “ciò”, risposta alla domanda di Lucillo: quid ita…? Commodius: avv. grado comparativo: “più adeguatamente” Redderetur: cong. indipendente potenziale dell’irrealtà rispetto al presente (neg. è non). Composto apofonico di re+dâ+re: re-d-dâ-re>re-d-dê-re; redderetur, cong. imperfetto reddo, is, reddidi, redditum, reddere - -a- è voc. radicale non tematica - raddoppiamento -d- eufonica - nonostante sillaba aperta -a- diventa -e- invece che -i- davanti a -r- In contextu operis: “in un’opera organica”; lett. “nella struttura di un’opera”. Seneca alluderebbe alle naturales quaestiones; secondo altro riferimento a opera più ampia sulla provvidenza. Contextus è connessione logica e coerente fra diverse parti di un tutto, cioè continutà ed estensione della composizione. Qui Sen. prenderà invece in considerazione solo un aspetto del problema (particulam). Cum probaremus: Sub. relativa, con sfumatura eventuale Cum: valore originario relativo, come nel nesso tempus cum, “il tempo che” e tempus quo, “il tempo in cui”. Cum + cong. probaremus: “quando dimostrassimo, laddove dimostrassimo che” Probaremus: cong. imperfetto di probo, as, avi, atum, are Parte proemiale del De Providentia – accenna all’ordine cosmico come prova dell’esistenza della provvidenza. Tra le prove, costante e velocissimo moto del cielo intorno alla terra (secondo visione geocentrica senecana: terrum gravissimum pondus sedeat inmotum). Paragrafo dedicato alla laus mundi, si contraddistingue per stile elevato: complessità sintattica (unico periodo che si dilata per intero paragrafo): da presenza di poetismi; ricchezza figure retoriche ed espressività immagini impiegate: per es. arietare, personificazione della terra che contempla il cielo. Inoltre riferimenti polemici ad epicureismo (lessico del caso e ricorrere insistente a negazione). 1.2 Supervacuum est in praesentia ostendere / non sine aliquo custode tantum opus stare / nec hunc siderum coetum discursumque fortuiti impetus esse, / et quae casus incitat / saepe turbari / et cito arietare, / hanc inoffensam velocitatem procedere aeternae legis imperio tantum rerum terra marique gestantem, tantum clarissimorum luminum et ex disposito relucentium; / E’ superfluo (supervacuum est) mostrare (ostendere) per il momento (in praesentia), che una costruzione così grande (tantum opus) non sussiste (non stare) senza un custode (sine aliquo custode), e che questo congiungersi ( hunc coetum) e disgiungere (discorsum) di stelle (siderum) non è dovuto (nec esse) a un moto causale (fortuiti impetus) e che i corpi (ea) che il caso mette in movimento (casus incitat) spesso sono agitati e presto si scontrano (cito arietare) e procede (procedere) al comando di una legge eterna (aeternae legis imperio) questa velocità (hanc velocitatem) che senza urti (inoffensam) porta (gestantum) tante cose (tantum rerum) per terra e per mare, tante stelle così luminose (tantum luminum clarissimorum) che risplendono (relucentium) secondo una disposizione prestabilita (ex dispositio); Supervacum est in praesentia ostendere: PP con inf. in funzione di soggetto, dipendente da espressione personale supervacuum est Supervacuum est introduce praeteritio, fig. retorica che consiste nell’affermare di volere tralasciare qualcosa di cui tuttavia si parla. Seneca concentra la prova cosmologica della provvidenza per assumere, secondo la richiesta di Lucilio, un punto di vista antropologico. Supervacuum est, falso condizionale In praesentia: locuzione avverbiale con valore temporale (per il momento) – praesentia sia abl. sg. di praesentia, sia acc. pl. n. del part. presente praesens (per i discorsi precedenti ha valore momentaneo). Ostendere, inf. da cui dipendono, con funzione oggettiva, le sostantive che seguono Non sine aliquo custode tantum opus stare: sub. infinitiva oggettiva Non sine aliquo custode (abl.): non sine: litote – custos, odis è Dio che governa e salvaguarda ordine cosmico. Tantum opus: Universo, come prodotto attività provvidenziale di Dio – origine ciceroniana; sogg. di stare. Universo, in quanto materia cieca, non potrebbe sussistere senza principio razionale che lo regoli, secondo gli Stoici. Stare: inf. di sto, as, steti, statum, stare: perfetto con raddoppiamento, stêti<*ste-sti. Sto aspetto durativo (sto fermo), si oppone a si-sto, is, stiti/steti, statum, sistere aspetto momentaneo (mi fermo) con raddoppiamento in -i-, da non confondere con raddoppiamento del perfetto in -ê- sto, stare fermo, stare in equilibrio, sussistere. Universo mantiene costantemente medesima condizione grazie a presenza di Dio provvidente. Nec hunc siderum coetum discorsumque fortuiti impetus esse: sub. infinitiva oggettiva coordinata. Coetum discursumque: coppia antonimica: coetus, us (m) da coeo, in origine “riunione” poi ambito fisico con Lucrezio (aggregazione atomi) congiunzione astri. Discursum, da discursus, us (m) per moto rivoluzione stelle, non attestato prrima di Sen. Antitesi prefisso cum- e dis- (coetum < cum+itus, dal verbo eo) “convergere e divergere” siderum, delle stelle. Fortuiti impetus: gen. di pertinenza (moto casuale) + sum o altro copulativo: persona o cosa alla quale spetta o si addice qualcosa – impetus: idea moto violento. La iunctura rimanda polemicamente al lessico epicureo (negazione nec… esse). Matrice uso impetus è poetica, da Cicerone. [ea] quae casus incitat: sub. relativa [ea] antecedente: “e che i corpi (ea) che il caso mette in movimento” Incitat, da incito, as, avi, atum, are Costruzione: [ea] (quei corpi) quae (acc.) casus (nom.) incitat, saepe turbari et cito arietare hanc inoffensam velocitatem (questa interrotta velocità: del moto del cielo intorno alla Terra secondo geocentrismo) gestantem (unito a velocitatem “che trasporta, che muove”) tantum rerum (gen. partitivo in dipendenza da pron. neutro) terra marique, tantum luminum clarissimorum et relucientum ex dispositio, procedere imperio (sotto il comando) aternae legis. Saepe turbari: infinitiva oggettiva Saepe, “spesso” Turbari, inf. passivo di turbo, as, avi, atum, are lett. essere agitato – turba è la folla confusa Et cito arietare: infinitiva oggettiva coord. Casus incitat… arietare: riferimento polemico a fisica epicurea e moto disordinato atomi. Arietare, verbo arc. e poetico – Seneca primo ad usarlo in prosa, per forte espressività; arieto, as, avi, atum, are da aries, arietis (sia animale sia macchina da guerra); metafora allude a scontri atomici. Cito: “presto” Hanc inoffensam velocitatem procedere aeternae legis imperio tantum remum terra marique gestantem, tantum clarissimorum luminum et ex disposito relucentium: infinitiva oggettiva Hanc inoffensam velocitatem “questa velocità interrotta” soggetto di procedere, inf. di procedo, cessi, cessum, ere Tantum rerum, tantum luminum: rerum, luminum sono gen. partitivi “tanto di cose, tanto di stelle. Anafora di tantum. Asindeto: uso congiunzione copulativa avrebbe significato unione fra due cose diverse, escludendo possibilità che generiche res comprendessero lumina che sono le stelle fisse Aeternae legis: legge del Fato, che per Stoici coincide con Ragione e Natura. Terra marique: espressione “per terra e per mare”, moto per luogo, risponde a qua? per dove? con abl. semplice (abl. prosecutivo di natura strumentale) dei nomi di passaggio comuni (via, porta, iter, flumen, etc). Seneca considera il percorso compiuto dal cielo sulla base delle regioni geografiche terrestri: una stella (o costellazione) “procede” per terre e mari differenti nel senso che, al suo tragitto sulla volta celeste, ne corrisponde uno parallelo sul globo terrestre. Gestantem: concorda con velocitatem. Frequentativo da gesto, as, avi, atum, are di gero, is, gessi, gestum, ere – che se regge tantum rerum, valore statico; ma se regge clarissima lumina, significato dinamico; Traina dà una lettura diversa: il frequentativo denota continuità e regolarità del portare: nesso tantum rerum non indica le cose presenti sulla terra, ma corpi celesti in genere, “portati” con sé nel suo rapidissimo moto. Tantum rerum specificata poi da tantum clarissimorum luminum et ex dispositio relucentium, poiché stelle fisse sono segno più evidente dell’ordine cosmico. Relucentium, “e che brillano” part. pres. gen. plur. di relucens, entis da reluceo, reluces, reluxi, relucere concorda con luminum, gen. pl. di lumen, inis Disposito, abl. di dispositus, a, um: ex disposito: in ordine, secondo un ordine prestabilito Verbi frequentativi o iterativi o intensivi sono verbi della I coniugazione del tema del participio perfetto o supino del verbo primitivo. - caratterizzati da -to/-so, -îto/-tîto rispetto a verbo di partenza - esprimono durata azione (ripetizione, intensità), mentre part. perf. indica stato: dico-dicto, dictare<dictus (vado dicendo) - suffisso -îto anche con tema del presente: rogo (chiedo) – rogito (chiedo con insistenza) - serve per formare frequentativi di sento grado: dico: dicto – dictito (dico e ridico) Meteorologia, enumerando fenomeni disordinati e imprevedibili, determinatiti da caso, che si manifestano nell’atmosfera (più instabile e vicina alla terra). Rientrano tuttavia nell’ordine cosmico, perché originati da cause e leggi ben precise. Sopraggiungere eventi naturali imprevedibili e catastrofici costituiva una delle tradizionali obiezioni contro la provvidenza. Ne illa quidem / quae uidentur confusa et incerta, / pluuias dico nubesque et elisorum fulminum iactus et incendia ruptis montium uerticibus effusa, tremores labantis soli aliaque / quae tumultuosa pars rerum circa terras mouet, / sine ratione, / quamuis subita sint, / accidunt, / sed suas et illa causas habent / non minus quam / quae alienis locis conspecta miraculo sunt, / ut in mediis fluctibus calentes aquae et noua insularum in uasto exilientium mari spatia. Neppure (ne quidem) i fenomeni (illa) che ci sembrano (quae videntur) caotici e irregolari (confusa et incerta), intendo dire (dico) le pioggie e le nuvole (pluvias nubesque) e la caduta di fulmini (iactus fulminum) scoppiati con violenza (elisorum) e gli incendi diffusi (incendia effusa) dalle cime squarciate (verticibus ruptis) dei vulcani (montium), le scosse (tremores) dei terremoto (labantis) e gli altri aventi (soli aliaque), che la parte turbolenta (tumultuosa pars) del cosmo (rerum) provoca attorno alla terra (movet circa terra), per quanto imprivvisi siano (quamvis sint subita) accadono senza una ragione (accidunt sine ratione). Ma anche essi (et illa) hanno le loro cause (suas causas), non meno di quei fenomeni (non minus quam habent ea) che se osservati (conspecta) in luoghi per loro innaturali (alienis locis) destano stupore (miraculo sunt), come le correnti calde (ut calentes aquae) in mezzo ai flutti (in mediis fluctibus) e la superficie di nuove isole (et nova spatia insularum) che emergono (exilientium) nell’immensità del mare (in vasto mari)” Ne illa quidem … sine ratione accidunt: PP Ne – quidem: neppure, nemmeno, congiunz. coordinante. Parola negata (illa) fra ne e quidem. “Neppure quei fenomeni atmosferici e geologici (illa)”: piogge, nuvole, fulmini, eruzioni vulcaniche, terremoti. Abbandona contemplazione cielo che secondo fisica antica è materia più fine, non sottoposta a decadimento e morte. La realtà sublunare, priva di movimento e perfezione, è instabile e soggetta a mutamento, ma anche i fenomenti più “disordinati e irregolari” (confusa et incerta) ubbidiscono a legge della Ragione. Ratione: termine tecnico stoicismo Accidunt, accido, is accidi, accidere (illa) quae videntur confusa et incerta: sub. relativa Confusa e incerta sono complementi predicativi del soggetto (illa), determinano insieme soggetto e predicato verbale: qualità espressa si riferisce al sostantivo, ma vale solo nel momento dell’azione indicata dal verbo. Videor costruito con doppio nominativo del soggetto e del predicato – costrutto usato con verbi copulativi: - verbi intransitivi che indicano modo di essere o cambiamento di stato (fio, existo, maneo, videor) - verbi transitivi usati al passivo che pososono essere appellativi (appellor, vocor, dicor, nominor); elettivi (fio, creor, eligor, legor); estimativi (putor, existimor, habeor, iudicor, ducor). Tali verbi mantengono doppio nominativo anche in dipendenza di verbo servile: beatus esse nemo potest (beatus, nemo al nominativo). Pluuias dico nubesque et elisorum fulminum iactus et incendia ruptis montium uerticibus effusa, tremores labantis soli aliaque: sub. incidentale Dico: parentetico (di prop. sub. parentetica o incidentale) mette in rilievo le apposizioni (nubes, pluvias) di ne illa quidem sine ratione accidunt, che data la presenza di dico sono al nominativo invece che all’accusativo. Elisorum: part. perf. genitivo n. pl. di elido, is, elisi, elisum, ere (<ex+laedo): spingere fuori con violenza – fulmini tratti fuori dalle nubi – antichi credevano che fulmini fossero prodotti da scontro nubi. Iactus: lett. i lanci; elisorum fulminum iactus: “gli scoppi dei fulmini che sono stati spinti fuori” Incendia effusa ruptis montium verticibus: “le fiamme eruttate dalla cima squarciata dei monti”; perifrasi per “eruzioni vulcaniche” giustificata ricordando amore di Seneca per retoricizzazione dell’esperessione ed uso di forme derivanti da lingua poetica (come vertex); tuttavia anche segno della scarsità in latino di termini astratti e tecnici: non esiste parola per “vulcano, vulcanico”, Vulcanus è nome del Dio del fuoco e della sua isola nell’arcipelago delle Eolie. Mentre astratto eruptio utilizzato da Cicerone, tuttavia indica “emissione, sfogo” anche in senso traslato (di sentimenti) e mai accolto come definizionee tecnica dell’eruzione vulcanica. Tremores… soli: lett. le vibrazioni del terreno che oscilla (labantis). Tremor è il tremare del corpo umano o di una sua parte: lessico medico. Altra perifrasi, per evitare tecnico terraemotus. Labantis part. pres. gen. n. sing. da labo, as, avi, atum, are con funzione attributiva; il verbo labo impiegato per designare movimenti tellurici, poetismo ovidiano. Quae tumultuosa pars rerum circa terras mouet: sub. relativa Aliaque… tumultuosa pars rerum: fenomeni che hanno luogo nell’atmosfera, aria vicina alla terra caratterizzata da grande instabilità. Nella fisica antica, fenomeni citati (compresi terremoti ed eruzioni) nascevano dall’atmosfera, provocati da venti e da altre turbolenze. Tumultuosa: agg. da tumultus, lessico politico-militare, già usato da Orazio per forze naturali. Suffisso -osus indica ricchezza, pienezza, abbondanza, anche eccessiva (pieno di, ricco di). Rerum: qui per “cosmo”, “universo”. Pars tumultuosa rerum: mondo sublunare, sede atmosferici, parte sconvolta Movet, ind. pres. III sg. di moveo, es, movi, motum, movere “mette in movimento” Quamvis subita sint: sub. concessiva soggettiva Quamvis: lett. “quanto vuoi, sebbene”, massima concessione alla volontà altrui, a prescindere da realtà del fatto Subita: “imprevedibili” Subordinate avverbiali concessive: Concessive oggettive se fatto concesso presentato come obiettivo, introdotte da: - quamquam, etsi, tametsi + indicativo - cum + cong (cum concessivum) Concessive soggettiva se concessione presentata come punto di vista soggettivo, introdotte da: quamvis, etiamsi, ut, licet + cong Negazione è non. Nella prop. reggente possono essere presenti particelle correlative: tamen, verum tamen, tamen certe: tuttavia; nihilo minus/nihilominus: nondimeno Licet è forma verbale impersonale: - nel pieno valore di verbo (è lecito) è unito a infinito - con congiuntivo (dei tempi principali) al quale si unisce paratatticamente (cioè senza ut) conferisce valore concessivo al verbo, cristallizzandosi al presente indicativo senza dativo della persona. Sed suas et illa causas habent: coord. alla PP Sed, congiunzione coordinante avversativa Et = etiam Suas causas: “le proprie ragioni” Non minus quam <habent ea>: comparativa abbreviata Suas et illa (I termine di paragone) causas habent non minus quam habent ea (ea II termine di paragone) Non minus corrisponde a comparazione di uguaglianza, espressa in forma attenuata; avverbio correlativo quam introduce secondo termine di paragone, nello stesso caso del primo Quae alienis locis conspecta miraculo sunt: sub. relativa Alienis loci: st. in luogo all’abl. Solitamente in+abl. Con abl. semplice con totus e locus + aggettivo. Conspecta, agg. part. perf. di. conspicio, is, conspexi, conspectum, conspicere; ”osservati in luoghi estranei/fuori dalle loro sedi naturali” Sen. fa riferimento alla teoria aristotelica, ereditata dallo stoicismo, dei luoghi naturali per cui ogni elemento ha nel cosmo un proprio luogo, verso il quale tende per natura, qualora ne sia forzatamente allontanato. Miraculo sunt: miraculum designa sia fenomeno strano o meraviglioso sia, come qui, effetto di meraviglia provocato da un evento prodigioso. Miraculo è dativo finale o di effetto, qui senza indicazione della persona che subisce effetto, altrimenti espressa al dativo (di vantaggio o svantaggi) nel costrutto del doppio dativo. “ci fanno l’effetto di miracolo” Seneca, che fin qui ha seguito schema delle quattro trattazioni, dopo aver trattato ultime due nella tumultuosa pars, conclude ragionamento con accenno a fenomeni che, in quanto alienis loci conspecta “osservati in sedi che non sono per loro naturali”, miraculo sunt (sott. nobis, doppio dativo) “destano in noi meraviglia” Dativo di fine o di effetto: dativo può indicare fine o effetto di un processo verbale (subsidio venire, venire in, per aiuto – dativo di fine; auxilio esse, riusciree di aiuto – dativo di effetto). Dativo di fine ricorre con do, habeo, relinquo, tribuo e altri verbi; il dativo di effetto con sum. Complemento di fine può essere espresso anche con ad+acc (costrutto frequente ed unico ammesso con pertinett, attinet, spectat, riguarda, concerne, mira a) o con causa, gratia + gen. generalmente preposto. Questo dativo può trovarsi anche in dipendenza da sostantivi: satui semen, la semente per le seminagioni; receptui signum, il segnale della ritirata. Frequente con gerundivo in formule ufficiali, come triumviri auro argo aeree flando feriundo, triumviri preposti alla fusione e al conio dell’oro, dell’argento e del bronzo Dativo di fine o effetto unito al dativo di vantaggio o svantaggio costruisce costrutto del doppio dativo, che si incontra con: - do, tribuo, verto – attribuisco, ascrivo - mitto, venio, relinquo, eo - sum Ut in mediis fluctibus [sunt] calentes aquae et nova insularum in vasto exilientium mari spatia: sub. comparativa Ut ha valore comparativo, sott. sunt, introduce concetti che esemplificano quanto detto nella relativa precedente. In mediis fluctibus: “in mezzo ai flutti/fiumi” Caecus: che procede alla cieca Quadam : attenua o restringe valore del sost. a cui si riferisce – per stemperare metafora. Qui attenua volutatione: inconsueto uso sost. in riferimento a onde. Da voluto, suffisso -tio forma nomina actionis, cioè astratti verbali che indicazione azione nel suo svolgersi. Contrahi, inf. pres. passivo di contraho, is, contraxi, contractum, contrahere “si restringono” Undas, sogg. di tutte le infinite Et introrsum agi: coord. infinitiva oggettiva Introrsum: intro+versum: avv. moto a luogo, “dentro, in sé stesse” Agi, inf. pres. passivo di ago, agis, egi, actum, agere “si raccolgono”; contrahi e agi sono amplificazione dei precedenti nudari e operiri. Modo erumpere: infinitiva oggettiva Erumpere, inf. pres. di erumpo, is, erupi, eruptum, erumpere: “prorompono” Et magno cursu repetere sedem suam: infinitiva oggettiva Repetere, inf. di repeto, is, repetii/ivi, repetitum, repetere: re+peto Soggetto di infinitive sempre undas, acc. pl. di unda, ae Cum interim illae portionibus crescunt: sub. temporale Cum interim: “quando invece” introduce. sub. avv. temporale, con valore tra simultaneo e avverbiale rispetto a PP (credet) Portionibus: (ritmo delle maree): comunemente pro portione: aumenti sono proporzionali ai tempi, cioè regolari. Uso di cum: Cum+ind: temporale (quando) - cum interim, cum interea + ind (e frattanto, ma invece) - cum repente + ind. = cum inversum (quand’ecco che): cum inversum inverte rapporti sintattici: subordinata diviene PP e viceversa. - cum iterativum (quando, tutte le volte in cui) Cum+cong. - cum narrativum: con cong. imperf. o ppf. in dipendenza dai tempi storici (valore tra causale e temporale, a volte con gerundio) - cum causale (poiché) - cum concessivo (sebbene) - cum avversativo (mentre) Et ad horam ac diem subeunt ampliores minoresque: coord. alla temporale Ad horam ac diem: ad precisa tempo (ora, giorno stabilito) – sintagma allude all’alternarsi maree a distanza di sei ore, per due volte nell’arco delle 24 ore. del giorno lunare (periodo diurno). Ad con valore di compl. di tempo risponde a domanda “fino a quando?”/”fra quanto tempo?” (ad annum=fra un anno). Subeunt, ind. pres. di subeo, is, subii, subitum, subire Amplores minoresque: predicativi del soggetto Prout illas lunare sidus elicuit: sub. comparativa Prout: “a seconda che”, “nella misura in cui” pro+ut: congiunzione comparativa + indicativo; congiunzione rarissima in Cicerone e Cesare, molto utilizzata nel I sec. d.C. da Plinio, Tacito e Seneca. Elicuit: ind. perfetto III sg. da elicio, elicis, elicui, elicutum, elicere (ex+lacio) – attirare (con lusinghe). Con queste parole Seneca termina praeteritio dedicata all’ordine razionale dell’universo e si appresta ad affrontare tema centrale del De Prov. Ad cuius abritrium oceanus exundat: sub. relativa Ad cuius, riferito a sidus lunare Exundat, ind. pres. di exundo, as, exundavi, atum, exundare – verbo dell’alta marea (traboccare, straripare) Suo ista tempori reserventur: PP Lett. “questi argomenti siano riservati alla propria occasione” Reserventur, cong. pres. passivo di reservo, as, avi, atum, are (cong. indipendente esortativo): “siano trattate ista, queste cose, suo tempori, a suo tempo” Congiuntivo esortativo – esprime esortazione o ordine. Indicativo è modo dell’oggettività. Congiuntivo è modo della soggettività, cioè processo verbale pensato nelle determinazioni di volontà ed eventualità. Congiuntivo esortativo in riferimento al presente: - al presente per I pr. pl. per III sg. e pl: redeamus domum, ritorniamo a casa - al perfetto per II sg. e pl., per esprimere imperativo negativo: ne hoc dixeris, non dire questo. Congiuntivo esortativo in riferimento al passato: - all’imperf. o ppf per esprimere rimpianto o biasimo: resisteres, avresti dovuto resistere; ne poposcisses, non avresti dovuto promettere. Imperativo negativo può essere espresso: - ne+perf. cong. esort.: ne dixeris - noli, nolite + inf. presente: noli dicere Negaz. ne. (nemo)=neue/neu, pos.+neg.=nec Eo quidem magis sed quereris: comparativa Eo quidem magis quod: avverbio eo (prolettico) correlato alla sub. avverbiale causale introdotta da quod: “per questo motivo, perché…” Quereris: ind. pres. II sg. di queror, quereris, questus sum, queri: lamentarsi, lagnarsi, dolersi regge: acc; de+abl.; cum+abl.; infinitiva; quod + cong.”tanto più che non dubiti della provvidenza, ma te ne lamenti”. Quod tu non dubitas de providentia: sub. causale Lucilio appare come stoico ormai completo, non ha più dubbi sull’ordine provvidenziale del mondo, ma si lamenta di aspetto che non riesce ancora a comprendere, sofferenze del bonus viri. Da qui in poi proemio di contenuto etico. 1.5, 6 introducono tema di fondo della trattazione: sofferenza apparentemente ingiusta dell’uomo buono e altrettanto ingiusta prosperità del malvagio (attraverso metafore). Presupposto somiglianza e legame (di parentela) fra dio e vir bonus, Seneca risponde a problema individuando funzione educativa delle difficoltà incontrate dal vir bonus e dio assume ruolo di padre severo. 1.5 In gratiam te reducam cum dis aduersus optimos optimis. / Neque enim rerum natura patitur / ut umquam bona bonis noceant; / inter bonos uiros ac deos amicitia est / conciliante uirtute. / Amicitiam dico? / Immo etiam necessitudo et similitudo [est], / quoniam quidem bonus tempore tantum a deo differt, / discipulus eius aemulatorque et uera progenies [est], / quam parens ille magnificus, uirtutum non lenis exactor, sicut seueri patres, durius educat. Ti riconcilierò (te reducam in gratias) con gli dei (cum dis) buoni (optimis) verso i buoni (adversus optimos), infatti (enim) la natura (rerum natura) non tollera (neque patitur), che il bene (ut bona) possa mai nuocere (umquam noceant) i buoni; fra gli uomini buoni (inter bonos viros) e gli dei (ac deos) c’è amicizia (amicitia est), per un legame (conciliante) di virtù (virtute). Amicizia dico? No anzi, (immo etiam) c’è parentela e somiglianza (necessitudo et similitudo), perché l’uomo buono differisce (bonus differt) da dio (a deo) soltanto per la temporalità (quidem tantum tempore), è suo allievo (eius discipulus) ed emulo (aemulator) e vera prole (vera progenies), che quello straordinario genitore (quam parens ille magnificus) che con intransigenza (non lenis) pretende (exactor) virtù (virtutem), educa in modo davvero duro (educat durius), come i padri severi (sicut severi patres). In gratiam te reducam cum dis aduersus optimos optimis: PP In gratiam… cum dis: gratia + cum e abl (dis): buoni rapporti con dis: abl. pl. di deus – forme concorrenti: diis/deis Reducam, ind. futuro I sg. da reduco, is, reduxi, reductum, reducere [re+duco]: “ricondurre, seguire” + te, compl. ogg.: “ti riconcilierò” Adversus: preposizione regge acc. (optimos) Optimos optimis: “buono verso i buoni”, poliptoto: fig. di suono in cui stessa parola ripetuta in forme flesse diverse – qui enfatizza il legame e la condizione di parità fra uomini buoni e dei. Stessa figura: bona bonis – stilema caro a Sen. ereditato da retorica; potenzia espressività della frase e le conferisce carattere di sentenza ascrivibile al linguaggio della predicazione. Optimus, a, um: agg. I classe, superlativo di bonus, a, um (optimos, acc. pl; optimis, dat. pl. di vantaggio) Neque enim rerum natura patitur: PP “Né la natura tollera (neque enim rerum natura patitur) che il bene possa mai nuocere ai buoni (ut umquam bona bonis noceant) Patitur, ind. pres. III sg. deponente da patior, eris, passus sum, pati; verbo io -ior: “permettere, concedere”; costruito con ut+cong. Ut umquam bona bonis noceant: sub. sostantiva volitiva con funz. oggettiva. Umquam: “mai”, in frasi negativa (neque) Bona bonis noceant: lett. “le cose buono nuocciano ai buoni”. Poliptoto enfatizza legame di elementi omogenei fra loro. Secondo idea platonica, se dio è bontà, nessun male può venire da lui. Noceant, da noceo, es, nocui, nocitum, ere + dativo Sicut seueri patres [sunt]: comparativa con verbo sott. Subordinata comparativa: le preposizioni comparative equivalgono a complemento di paragone. Possono esse: - semplici con indicativo, ma suscettibili di cong. (obliquo, potenziale e irreale, volitivo) - suppositive che introducono paragone ipotetico hanno congiuntivo come una protasi di II e III tipo. Comparative semplici: - introdotte da atque/ac determinano aggettivi e avverbi indicanti somiglianza o diversità: similis, dissimilis, similiter; aequus, aeque; par, pariter; idem; alius, aliter; contrarius, contra; perinde, proinde, pro eo; (non) secus; iuxta atque ricorre nelle cosiddette comparative accorciate, che hanno cioè verbo in comune con sovraordinata: Hi [di] coluntur aeque atque illi, queste [divinità] sono venerate al pari di quelle idem, più spesso che atque è seguito da pronome relativo: nemo nostrum idem est in senectute, qui fuit iuvenis; nemo nostrum est idem mane, qui fuit pridie, nessuno di noi è il medesimo da vecchio di come era da giovane; nessuno di noi è il medesimo la mattina, di come era il giorno prima. alius permette di ricorrere alla ripetizione come in italiano (anafora): alia sentit, alia loquitur, altro pensa, altro dice - introdotte da ut, sicut, quomodo, quemadmodum (come, al modo che). particelle correlative: ita, sic, item, perinde, proinde, eodem modo: ut homo est, ita morem geras, prendi. l’uomo per suo verso. (com’è fatto) particella correlativa può mancare – di norma manca nelle frasi fatte: ut suora diximus, ut spero, ut opinor, ut potero, ut ait,ut solent; e con ut, sicut, velut nel senso di “per esempio” seguiti sia da termine singolo che da proposizione senza particella correlativa ut introduce sia termini singoli che proposizioni all’ind. con doppio valore: - dichiarativo-casuale “come” (c’è da attendersi dal fatto che), dato il fatto che, in quanto”: possum falli, ut homo: posso infannarmi, in quanto (dato che sono) uomo. - limitativo “per (quello che c’è da attendersi dal fatto che), relativamente al fatto che”: Orationem salutarem ut in tali tempore habuit, per la situazione, relativamente alla situazione sia valore dichiarativo-causale che limitativo nascono da. valore di constatazione che ha ut comparativo Ut (come ubi e quo) appartiene a medesima radice del pronome relativo-indefinito e neha due valori: relativo (al modo che, come: ita…ut risponde a is…qui) e indefinito (in qualche modo, non più attestato tranne nei composti: uti-qui, in ogni modo; ne-uti-quam, in nessun modo; ali-uta, in altromodo [forma originaria *uta, correlativo ita, prima che -a cadesse o, nei composti, si riducesse per apofonia a i breve] e uti-nam) – sembra alla base di molti coostrutti ipotattidici di ut I due tipi di comparative, introdotte da ut e atque, si trovano fusi nella formula classica aliter atque ut: nescio quid aliter audio atque ut ad te scribebam. - al secondo termine di paragone dopo comparativi di uguaglianza (tanto…quanto) rispondono comparative introdotte da correlazioni: tam…quam con agg. e avv, di rado verbi), tantum…quantum (avv. o genitivi partitivi), tantopere…quantopere (con verbi), tanto…quanto (con comparativi e verbi di superiorità), eo (hoc)…quo (con comparativi), tanti…quanti (con verbi di stima e prezzo. Es: quorum neutrum tam facile [avv.], quam arbitraris [verb.], conceditur nessuno di questi due punti si può concedere tanto facilmente quanto credi. tanti est, quanti est fungus putidus vale quanto un fungo marco - al secondo termine di paragone dopo comparativi di maggioranza o di minoranza rispondono comparative con quam + ind. (anche cong. potenziale e irreale di possum, volo e verbi affini), mentre it. usa cong. o condizionale. Minus quam aequum erat feci ho fatto meno di quanto era giusto in quasi tutte le comparative accorciate si trova il soggetto in acc. quando la sovraordinata sia in dipendenza infinitiva: Ego C. Caesarem non eadem de republica sensisse, quae me, scio So che Gaio Cesare non aveva le mie stesse idee politiche - comparative introdotte da potius quam (piuttosto che) si cotruiscono diversamente secondo che implichino valore oggettivo o soggettivo: - se constatato che di due azioni una avviene l’altra no, hanno stesso modo (indicativo) e medesimo tempo della sovraordinata. potius quam equivale a magis quam - se indicano che si preferisce fare un’azione piuttosto che un’altra, hanno cong. pres. o imperf. secondo consecutio. con perifrastica passiva, dato valore ogettivo, si ha primo costrutto (ind.) quando sovraordinata è in dipendenza infinitiva o congiuntiva, norma generale, almeno per prosa classica: - comparative introdotte da potius quam oggettivo (anche da magis quam) adeguano verbo al modo della sovraordinata - comparative introdotte da potius quam soggettivo conservano cong. ma, se sovraorfinata ha infinito futuro, si adeguano per attrazione Malo, essendo composto da magis volo, si usa normalmente con quam e due infiniti senza altri avverbi comparativi: errare malo cum Platone quam cum istis vera sentire: preferisco errare con Platone (piuttosto) che essere nel vero con costoro. Comparativa può anche essere al congiuntivo, se sovraordinata è al cong. dipendente da malim o mallem: Mallem Cerberum metueres quam ista tam inconsiderate diceres. Talvolta nel latino non classico quam si trova in contesti che hanno valore comparativo implicito ed equivale solo a “più che” o “piuttosto che”. Comparative suppositive hanno congiuntivo, ma tempi vari: - presenza di si, distingue protasi di II tipo da protasi III tipo: nel primo caso segue consecutio, nel secondo tempi irrealtà (cong. imperf. e ppf.) anche in dipendenza da tempo principale. introdotte da: similis, idem ac/et, si, il medesimo che se; similiter, aeque, perinde, proinde, iuxta ac si, allo stesso modo che se, come se; non secus, aliter ac si, non diversamentte che se; ut, velut, tamquam si, come se; quam si (preceduto da comparativo), che se: Me, iuxta ac si meus frater esset, sustentavit Mi sorresse come se fosse mio fratello Eeius negotium sic velim siuscipias, ut si esset res mea Vorrei che tu ti curassi del suo affare come fosse cosa mia - mancanza di si, segue consecutio. introdotte da: tamquam e (perinde, proinde) quasi: Sic eas disputationes exponam, quasi agatur res, non quasi narretur Esporrò [quelle] discussioni come se l’argomento fosse rappresentato e non narrato Quasi viene quam si, ma nel composto si non è più sentito, come prova l’uso arcaico di quasi si: Non secus est quasi si ab Accherunte veniam (Amph.): è come se venissi dall’altro mondo. Proinde e quasi vero sono spesso usati in senso ironico, con debole legame verso sovraordinata, e quindi con tempi in valore proprio. Fra altre formule comparative-ipotetiche rare ceu, come (se). Ut, velut, sicut, tamquam, quasi con valore comparativo ipotetico si usano anche davanti a nomi o participi, spesso in abl. ass. o in funzione predicativa. Relative comparative suppositive introdotte da ut qui e quasi qui. Modo è congiuntivo, tempi seguono consecutio: Tum quidem, quasi qui omnia sciret, … iniquit …: allora un tale, come se sapesse tutto, …. disse … Da non confondere ut qui comparativo suppositivo con ut qui causale 1.6 Itaque cum uideris / bonos uiros acceptosque dis laborare / sudare, / per arduum escendere, / malos autem lasciuire / et uoluptatibus fluere, / cogita / filiorum nos modestia delectari, / uernularum licentia [delectari], / illos disciplina tristiori contineri, / horum ali audaciam. / Idem tibi de deo liqueat: / bonum uirum in deliciis non habet, / experitur / indurat, / sibi illum parat. Perciò quando vedrai (itaque cum videris) uomini buoni (bonos viros) cari agli dei (acceptos dis) faticare, sudare (laborare, sudare) arrancare su un percorso difficile (per arduum escendere), e i malvagi invece (malos autem) darsi alla pazza gioia (lascivire) e nuotare nei piaceri (voluptatinibus fluere), pensa (cogita) che noi godiamo (nos delectari) dell’obbedienza dei figli (modestia filiorum), e dell’impertinenza dei giovani schiavi (vernularum licentia), che quelli sono tenuti a freno (illos contineri) da una disciplina (disciplina) più severa (tristiori), mentre di questi (horum) viene alimentata (ali) l’insolenza (audaciam). La stessa cosa (idem) ti sia chiara (tibi liqueat) di dio: non vizia (in deliciis non habet) l’uomo buono (bonum virum), lo mette alla prova (experitur), lo rafforza (indurat), lo prepara (parat illum) a sé (sibi). Itaque cum uideris: sub. temporale Itaque: accento di epectasi: ítăque. Rnclitica perde valore originario, unità fonica concepita come nuova parola, accentata secondo legge penultima (mentre accento enclisi cade sulla sillaba che precede enclitica: virósque) Cum videris: “quando vedrai” videris fut. anteriore esprime anteriorità rispetto all’imperativo (di senso fut.); cum+ind = temporale. Qui video vale come “rendersi conto”, non vedere, e regge sostantive all’infinito. Verba sentiendi esprimono sensazione, percezione, opinione: sentio, video, audio, cognosco, scio, si costruiscono con acc.+inf.: Audio e video possono avere due costrutti: - con infinito per esprimere pura constatazione o percezione indiretta: audio te hoc dicere – sento dire che tu dici questo - con participio presente (con funz. predicativa) per indicare percezione diretta in via di svolgimento: audio te hoc dicerentem – ti sento mentre dici questo Bonos uiros acceptosque dis laborare / sudare, / per arduum escendere: infinitive oggettive, tricolon asindetico (stimela senecano) Laboro indica generamente sforzo, qui associato a metafora del sudare e del percorso in salita, escendere. Per arduum escendere: “camminano in salita”. Tricolon (laborare, sudare, escendere) Malos autem lasciuire: coord. per asindeto all’infinitiva oggettiva Malos autem: autem congiunz. coordinante avversativa, marca antitesi fra due condizioni descrite. (sott. homines) Lascivere, inf. di lascivio, lascivis, lascivii, lascivere Et voluptatibus fluere: coord. per asindeto all’infinitiva oggettiva Voluptatibus fluere: con valore proprio, fluo designa scorrere acqua e rimanda a idea abbondanza. “Nuotare nei piaceri” conserva espressività immagine senecana. Fluere, inf. di fluo, fluis, fluxi, fluxum, fluere “scorrere, grondare”; composto diffluo in contesti metaforici come questo, in riferimento ad ozio e mollezze. Seneca in varie opere affronta problema del sapiente in lotta contro sventura; nel De prov. si affronta tema provvidenzialità, sventura e della sua validità etico-pedagogica: sapiente cresce e matura attraverso sventura. 2.1 “Quare multa bonis uiris aduersa eueniunt?” / Nihil accidere bono uiro mali potest: / non miscentur contraria. / Quemadmodum tot amnes, tantum superne deiectorum imbrium, / tanta medicatorum uis fontium non mutant saporem maris, / ne remittunt quidem, / ita aduersarum impetus rerum uiri fortis non uertit animum: / manet in statu / et / quidquid euenit in suum colorem trahit;/ est enim omnibus externis potentior. “Perché succedono (quare eveniunt) molte avversità (multa adversa) agli uomini buoni?” Niente di male (Nihili mali) può accadere (potest accidere) all’uomo buono: non si mescolano (non miscentur) gli elementti contrari (contraria). Allo stesso modo (quemadmodum) in cui tanti fiumi (tot amnes), tanto abbondante (tantum superne) riversarsi di piogge (deiectorum imbrium), tanta forza (tanta vis) di acque minerali (fontium medicatorum) non alterano (non mutant) il sapore del mare (saporem maris), né lo addolciscono (ne quidem remittunt), così (ita) l’assalto delle avversità (adversarum rerum impetus) non muta l’animo (non vertit animum) dell’uomo forte (viri fortis). Rimane saldo nella sua condizione (manet in statu), e qualunque cosa accada (quidquid evenit) lo assimilia (trahit) al suo caarattere (in suum colorem); perché è più forte (est enim potentior) di tutte le cose esterne (omnibus externis) “Quare multa bonis uiris aduersa eueniunt?” PP, int. diretta “Perché agli uomini buoni accadono molte avversità” è domanda di Lucilio, che Seneca ripropone iniziando con medesima struttura in 1.1 (iperbato di multa) ma terminando con doppia variatio : eveniunt al posti di accidiunt, sostituzione di mala con adversa. Adversa: lessico stoico, corrisponde a incommoda del titolo: si contrappongono al concetto di mala e lo ridimensionano. Eveniunt, ind. pres. di evenio, evenis, eveni, eventum, evenire: succedere Nihil accidere bono uiro mali potest: PP Accidere, inf. di accido, is, accidi, ere: accadere, avvenire (con ad+acc. o con dat.), che dipende da potest Bono viro, dat. Mali: gen. partitivo retto da nihil (nihil…mali: iperbato): “nulla di male”: motivo del mancato uso di mala: bene, che è virtù, e male, che è vizio, sono incompatibili, quindi al bonus vir non possono evenire/accidere dei mala , ma solo adversa/incommoda Non miscentur contraria: PP Miscentur, “mescolarsi” ind. pres. III pl. da misceo, es, miscui, mixtum, miscere, diatesi mediopassiva=forma passiva, significato medio, corrisponde a riflessivo italiano. Contraria: concetto di incompatibilità dei contrari complementare a parentela, similitudo et necessitudo, fra buoni (optimos optimis; bona bonis). Virtù e male si mescolano: male per lo stoico è scelta etica sbagliata che, per definizionee, il sapiens non può compiere. Posizione opposta a quella di Crisippo, per il quale bene e male erano indissolubili. Nella prospettiva più etica che dialettica di Sen. il male non coesiste con il bene perché quello che capita al vir bonus non è malum ma incommodum . Quemadmodum tot amnes, tantum superne deiectorum imbrium: sub. comparativa Quemadmodum: introduce due sub. comparative coordinate fra loro (mutant e remittunt) Tot…tantum…tanta: tantus=grandezza, “tanto grande”; tot=numero, “tanti”. Tot amnes: tanti fiumi Imbrium, gen. partitivo Superne: avv. “dall’alto” Deiectorum, gen. pl. part. perf. di deicio, deicis, deieci, deiectum, deicere Ciclo precipitazioni-evaporazione non era chiaro ad antichi, che si domandavano perché mare non mutasse sapore o non si rigonfiasse, e da dove la terra ricavasse acqua che alimenta ininterrottamente fiumi. Seneca vi dedica parte del libro III delle Nat. Quaest. presendano spiegazioni per noi ingenue Tanta medicatorum uis fontium non mutant saporem maris: sub. comparativa coodinata Tanta medicatorum vis fontium, “tanto di abbondanza” fontium medicatorum, gen. lett. “di fonti curative”; riferimento è alle acque degli effetti terapeutici che, in quanto ricche di Sali minerali, hanno un sapore più intenso, ma non per questo alterano quello del mare. Ne remittunt quidem: coord. alla comparativa Ne quidem: “neppure” Remittunt, “addolciscono” ind. pres. III pl. di remitto, remittis, remisi, remissum, remittere Ita aduersarum impetus rerum uiri fortis non uertit animum: coord. alla sub. comparativa Costr. ita impetus (attacco) rerum adversarum non vertit (modifica) animum viri fortis (sinonimo di bonus vir) Ita: avv. correlativo a quemadmodum. Sen. istituisce similitudine fra mondo naturale e animo del vir fortis, per esprimere imperturbabilità di quest’ultimo anche di fronte alle avversità. Viri fortis: la iunctura, di matrice politico-militare, entra nel lessico filosofico già con Cicerone, fondamentale nel De providentia. Fortis è parola chiave dell’opera, Sen. fa leva proprio sulla forza del vir bonus, capace di resistere alle difficoltà in modo virile e di affrontare con coraggio prove alle quali è chiamato da dio. Vertit, da verto, is, verti, versum, ere; in senso proprio “girare” capovolgendo la direzione, “trasformare”, “mutare”: animum del saggio, invece, temprato da virtus, si mantiene costante, è differente e non condizionabile da avvenimenti esterni. Manet in statu: PP Manet in statu: vir fortis “rimane fermo nella sua condizione”: il completo dominio sulla parte irrazionale gli consente una perpetua impertubabilità, di fronte sia a sofferenze sia a piaceri. Manet, ind. pres. di maneo, es, mansi, mansum, manere “rimanere” Quidquid euenit: relativa con pron. indefinito Evenit, ind. pres. di evenio, evenis, eveni, eventum, evenire, può essere inteso anche come perfetto, con valore di anterioità. Indefiniti relativi e indefiniti assoluti – latino distingue pronomi indefiniti relativi e assoluti, entrambi corrispondono al “chiunque” italiano, ma assolvono funzione sintattica diversa: - indefiniti relativi: quisquis, quicumque: introducono sub. relativa: quisquis hoc dicit, errat – chiunque dice questo, sbaglia – chiunque=tutti quelli che - indefiniti assoluti: quivis, quilibet, non introducono sub. relativa : quivis errare potest – chiunque può sbagliare – chiunque=chicchessia [et] in suum colorem trahit: coord. Alla PP Color usato come “carattere”, “qualità”, “stile di vita” del vir fortis, il cui animo è colorato da virtù: saggio capace di interpretare qualsiasi evento secondo la propria natura virtuosa e di trarre positivo dal negativo. Color riferito al soggetto (non a quidquid evenit), come dimostra il possessivo suus. Pronome riflessivo (sui, sibi, se) e possessivo di III persona (suus, a, um) si riferiscono al soggetto della frase in cui si trovano (nel caso di sub. si riferiscono a persona di cui sub. rappresenta il pensiero). Nel caso il possesso non si riferisca al soggetto, latino non usa suus, a, um (che ha valore riflessivo) ma anaforico is ( eius ) o un dimostrativo. In suum colorem trahit: “attira alle proprie qualità”, “assimila a sé” tutto ciò che capita (quidquid evenit). Est enim omnibus externis potentior: coord. alla PP Enim: cong. coordinante dichiarativa (infatti), conferma quanto detto in precedenza, resa qui con “perché” che non ha valore causa, ma dichiarativo coordinante. Omnibus externis: abl. del II termine di paragone. Identificando adversa con externa in antitesi con animus, Sen. introduce nella teodicea il tema a lui caro dell’interiorità. Saggio superiore alle cose che non dipendono dalla sua ragione. Ablativo di paragone: il II termine di paragone in latino si rende o con abl.semplice o con quam+caso del I termine. Normalmente ablativo si può impiegare solo se I termine è nominativo o accusativo – quando comparativo è rappresentato da avverbio, il II termine di paragone in caso ablativo solo se I al nominativo. Si usa ablativo: - sempre quando II termine rappresentatto da pronome relativo: Quo populus Romanus nihil vidit indigniusDella qual cosa il popolo romano non vide niente di più indegno. - sempre in alcune locuzionee: plus iusto, aequo, più del giusto; plus necessario, più del necessario; magis solito, più del solito; expectatione, opinione, spe celerius, più rapidamente di quanto si attende, si pensa, si spera; alius alio magis, uno più dell’altro; nive candidior, più bianco della neve; luce clarior, più chiaro della luce del sole; melle dulcior, più dolce del miele; stultior stulto, più stolto di uno stolto. - preferibilmente nelle frasi negative e interrogative di senso negativo. Al tipo italiano “ho più di dieci libri” e “nel tempo di più di un’ora”, latino risponde: habeo plus decem libros e spatio amplius unius horae; non si mette il quam e II termine di paragone conserva caso richiesto da verbo o sostantivo che regge comparativo. Quando comparativo determina come attributo un sostantivo, se questo è in caso retto si segue regola generale, se il sostantivo è in caso obliquo il II termine di paragone assume struttura proposizionale. Diffusa opinione che nell’abl. di paragonee si debba riconoscere un ablativo del punto di partenza: diligentior sum Paulo, sono più diligente a partire da Paolo; nel latino dell’impero questo valore originario tornerà in luce sporadicamente attraverso preposizione a/ab. Costrutto con quam spiegato come contaminazione di hic est tam diligens quam ille con hic eest diligentior illo. Seecondo la sua abitudine, Seneca fa subito seguire al principio filosofico una serie di esempi pratici, che si incentrano sul tema dell’atleta che, come il bonus vir, non teme, anzi desidera lottare sempre e contro tutti; se così non fosse, la virtù, lasciata tranquilla, si corromperebbe. 2.3 Athletas uidemus, / quibus uirium cura est, / cum fortissimis quibusque confligere / et exigere ab iis / per quos certamini praeparantur / ut totis contra ipsos uiribus utantur; / caedi se / uexarique / patiuntur / et, / si non inueniunt singulos pares, / pluribus simul obiciuntur. Vediamo che gli alteti, che hanno cura (quibus cura est) delle proprie forza (virium), combattono (confligere) con tutti i più forti (cum quibus fortissimis), e pretendono da quelli (exigere ab ii) che li allenano (quos preparantur) per la gara (per certamini), che impieghino (ut utantur) tutte le loro forze (totis viribus) contro di loro (contra ipsos); sopportano (patiuntur) di venire picchiati (caedi se) e colpiti (vexari); e se non trovano (si non inveniunt) nessun avversario al loro pari (singulos pares), ne affrontano (obiciuntur) più di uno contemporaneamente (pluribus simul). Athletas uidemus: PP Athletas, acc. pl. da athleta, ae (m): grecismo, paragone fra atleta e sapiente frequente nella retorica filosofica; sogg. infinitiva. Atleti cui allude praticano sport che prevedono duello diretto e uso forza, come gladiatori o lottatori; visto che referente della similitudine è bonus vir che combatte contro adversa. Quibus uirium cura est [athletas]: sub. relativa Quibus: dativo di possesso est: “che hanno cura delle loro forze (virum) Dativo di possesso: dativo in unione a verbo sum indica persona che possiede o a cui appartiene una cosa (sostantivo astratto) - se possesso rappresentato da sostantivo concreto, latino classico preferisce habeo e possideo - il possesso di qualità fisiche o psichiche si esprime o con genitivo e ablativo di qualità o con esse o inesse in aliquo Cum fortissimis quibusque confligere: infinitiva oggettiva Fortissimis quibusque: quisque è pronome indefinito distributivo, plurale raro “con tutti i più forti” quibus + superlativo: “tutti i più…” Per Seneca dato di fatto chiaro a tutti (videmus) che atleti vogliono battersi contro migliori avversari. Confligere, inf. di confligo, is, conflixi, conflictum, confligere: “combattere” Indefinito distributivo – in latino “ognuno, ciascuno” si esprime con quisque e omnis . Primo ha valore distributivo, differenzia cioè i singoli membri di un gruppo; altrimenti omnis, omnes, tutti, somma delle singolarità. Quisque di solito preceduto da: - pronome o aggettivo riflessivo: trahit sua quemque voluptas: il suo privato piacere trascina ognuno - pronome o avverbio relativo o interrogativo: videndum est quid quisque sentiat: bisogna vedere cosa ognuno pensa - superlativo: optimus quisque: ciascun migliore, cioè “tutti i migliori” - numerale ordinale: quinto quoque anno: ogni cinque anni - avverbio o particella comparativa, come quo, ut, di quanto, come: ut quisque est optimus, ita difficillime alios esse improbos suspicatur: quanto uno è migliore, così difficilmente sospetta che altri siano disonensti - unus formando nesso unus quisque: ciascuno Et exigere ab iis: infinitiva coord. alla precede Exigere, inf. di exigo, is, exēgi, exactum, ere “esigere” Per quos certamini praeparantur: sub. relativa Per quos: complemento di mezzo animato – inanimato reso con abl. semplice di natura strumentale Praeparantur, ind. presente passivo di praeparo, as, avi, atum, are Ab iis…praeparantur: lett. da coloro per mezzo dei quali (per quos) sono preparati al combattimento: perifrasi per allenatori Ut totis contra ipsos uiribus utantur: sub. sostantiva oggettiva dip. da exigere Contra ipsos: si riferisce ad atleti; Totis viribus: tutte le forze Ab iis… preparantur: soggetti di utantur sono allenatori; Utor, eris, usus sum, uti costruito con ablativo di natura strumentale (totis viribus), come anche fruor, fruisco, godo; fungor, adempio; vescor, mi cibo; potior, mi impadronisco Caedi se: infinitiva oggettiva Vexarique: coord. infinitiva oggettiva Se sogg. Infinitive con acc. e inf. retto da verbum voluntatis (patiuntur) Caedi, inf. passivo di caedo, is, cecidi, caesum, caedere “percossi” Vexari, inf. passivo di vexo, as, avi, atum, are “malmenati” Patiuntur: PP Patiuntur da patior, eris, passus sum, pati, deponente III coniug. in -io “sopportare” Verba voluntatis: - alla forma attiva come volo, nolo, cupio, studeo, iubeo, veto, prohibeo, patior, cogo etc, reggono: acc. +inf. in funzione oggettiva acc. della persona che riceve ordine, divieto; se non espressa, infinito dipendente è passivo e soggetto è oggetto su cui si esegue ordine - alla forma passiva iubeor, vetor, prohibeor, sinor, cogor [non patior, medio] reggono: nom.+inf. in funzione soggettivasoggetto è persona che riceve ordine e se non è espressa, è l’oggetto su cui ordine si deve eseguire. Si non inueniunt singulos pares: ipotetica I tipo, protasi Inveniunt, ind. pres. III pl. di invenio, invenis, invēni, inventum, invenīre: trovare Singulos: agg. numerale distributivo, risponde a domanda “quanti per ciascuno?/quanti per volta?”; singulos pares: atleti, “che uno per volta tengano loro testa” Et pluribus simul obiciuntur: coord. a patiuntur, apodosi Obiciuntur, ind. pres. III pl. passivo di obicio, is, obieci, obiectum, obicere “si espongono” con valore mediale, regge dativo (pluribus). Seneca padre testimonia che questa era pratica comune di preparazione sportiva. 2.4: Marcet sine aduersario uirtus / tunc apparet / quanta sit / quantumque polleat, / cum / quid possit / patientia ostendit. / Scias / licet / idem uiris bonis esse faciendum, / ut dura ac difficilia non reformident / nec de fato querantur, / quidquid accidit / boni consulant, / in bonum uertant; / non quid [feras] / sed quemadmodum feras / interest. Senza avversario la virtù (sine adversario virtus) si rammollisce (marcet), allora si vede (tunc apparet), quanto sia grande (quanta sit) e quanta forza abbia (quantumque polleat), quando mostra (cum ostendit) di cosa sia capace (quid possit) con la capacità di sopportare (patientia). Sappi pure (scias licet) che lo stesso (idem) devono fare (esse faciendum) gli uomini buoni; non temono (non reformident) sofferenze e difficoltà (dura ac difficilia) e né si lamenta del fato (querantur de fatoo); cosiderano un bene (consulant boni) qualunque cosa succeda (quidquid accidit); e la volgono (vertant) in bene (in bonum). E’ diverso (interest) non cosa sopporti (non quid feras), ma come la sopporti (sed quemadmodum feras)” Marcet sine aduersario uirtus: PP Sententia di maggiore effetto, giocata anche nella disposizione: anticipazione verbo ed iperbato del soggetto in fondo, assonanza suoni (r s) e allitterazione trilettere con vocale centrale variabile (ad-ver-sario vir-tus), stilema poetico usato già nel teatro romano antico. Marcet, da marceo, es, marcere; in senso proprio “essere marcio”, in senso figurato “indebolirsi”, essere snervato dagli anni o dagli sforzi o dai vizi: primo caso in cui usato in senso metaforico con sogg. atratto Tunc apparet: coord. alla PP Costr. apparet quanta (tanto grande) sit virtus et quantum polleat (quanto sia forte, int. indirette coordinate) tunc (prolettico) cum patientia ostendit quid possit (intrr. indiretta, che cosa sia in grado di fare) Apparet, ind. pres. da appareo, es, apparui, apparere: appare, è chiaro (impersonale) + interrogativa indiretta (quanta sit) Cum patientia ostendit: sub. temporale con indicativo Ostendit, da ostendo, is, ostendi, ostentum, ostendere Patentia: abl. con inversione espressiva, postposto al verbo. Patentia è capacità in senso fisico, ed eticamente è capacità di sopportare. Abl. di mezzo, sogg. virtus di ostendit sottinteso. Patientia aspetto della virtù della fortezza (fortitudo) centale nello stoicismo. Tunc… cum: in correlazione Quanta sit: interr. indiretta Quantumque polleat: interr. indiretta Quanta sit /quantumque polleat: interrogative indirette dipendenti da apparet Polleat, cong. presente di polleo, es, pollere Quanto si traduce con: - quam + agg. e avv. - quam/quantum davanti a verbi - quanti davanti a verbi di stima e prezzo - quanto davanti a verbi di superiorità - quanto/quo davanti a comparativi - quantus, quanto grande - quantum/quid + gen.partitivo davanti a. sost. sing - quo/ quam multi / quanti “quanto grandi”, oppure quantum/quid + gen. part. davanti a sost. plurale - quotusquisque “quanto pochi” in int. ind. - quam diu “quanto tempo” - quam longe “quanto spazio” - quod sciam/quod oppure quantum potero in frasi limitative con senso di “per quanto so, per quanto potrò” Continua ricorso agli esempi: prima Seneca illustra differente atteggiamento di padri e madri, per indicare nei primi il modello di severa educazione che dio fa suo verso il bonus vir; da questa immagine si torna a quella del lottatore, per ribadire che solo abitudine alla lotta permette di resistere e abituarsi alle avversità. 2.5 Non uides / quanto aliter patres, aliter matres indulgeant? / illi / excitari/ iubent liberos / ad studia obeunda mature,/ feriatis quoque diebus non patiuntur / esse otiosos, / et sudorem illis et interdum lacrimas excutiunt; / at matres / fouere in sinu, / continere in umbra / uolunt, / numquam contristari, / numquam flere, / numquam laborare. Non vedi (non vides), quanto diverso (quanto aliter) si manifesta l’affetto (indulgeant) dei padri (patres) e delle madri (matres)? Quelli (illi) ordinano (iubent) che i figli (liberos) siano svegliati (excitari) perché si mettano a studiare (ad studia obuenda) presto (mature); non permettono (non patiuntur) anche nei giorni di festa (quoque feriatis diebus) che siano oziosi (esse oziosi) e spremono (excutiunt) a loro (illis) il sudore (sudorem) e talvolta (interdum) le lacrime (lacrimas). Ma le madri vogliono (volunt) scaldarseli al seno (fovere in sinu) e tenerli al riparo (continere) nell’ombra (in umbram); che mai (numquam) siano tristi (contristari), che mai piangano (flere), che mai facciano fatica (laborare). Non uides: PP, int. diretta Non vides: nesso colloquiale, corrisponde a nonne e introduce interrogativa retorica con risposta affermativa. Sen. introduce exemplum Quanto aliter patres, aliter matres indulgeant? Int. indiretta oggettiva Quanto: abl. di misura, perché aliter implica idea della comparazione Aliter…aliter: in un modo…nell’altro; aliter=l’altro; alius=un altro (fra molti). Maggior parte traduttori rendono nesso aliter con verbo, attraverso perifrasi: “differiscono nell’essere amorevoli”, “si esprime diveramente l’affetto”. Con stile colloquiale della diatriba (mancanza particella interrogativa nonneper domanda retorica), Sen. avvia nella prop. interrogativa indiretta serie di esempi. Indulgeant, cong. pres. III pl. di indulgeo, es, indulsi, indultum, indulgere: essere benevolo/compiacente, assecondare – qui nel senso specifico di amare: “la manifestazione dell’affetto” Illi iubent liberos: PP Excitari: infinitiva oggettiva Excitari, inf. passivo di excito, as, avi, atum, are – è recentiores contro exercitari, prima si era parlato dei mali come exercitationes Ad studia obeunda mature: sub. finale Ad obuenda: gerundivo con valore finale; obuenda da obeo, is, ii/ivi, itum, ire: andare incontro, intraprendere Mature, presto, di buon mattino; rispetto all’arco della giornata, non alla vita dei figli, interpretazione (quella dei figli) che renderebbe difficile senso di excitari Proposizioni finali si possono esprimere con: - ut+cong. (neg. ne): Legati venerunt / ut pacem peterent - quo+cong. in presenza di un comparativo: Legati venerunt / quo aequiorem pacem peterent - ad+acc. del gerundio o gerundivo: Legati venerunt ad pacem petendam - causa, gratia + gen. del gerundio o gerundivo: Legati venerunt / pacis petendae grratia - supino in -um con verbi di moto: Legati venerunt / pacem petitum consecutio segue rapporto di contemporaneità Feriatis quoque diebus non patiuntur: coord. Feriatis, dat/abl. pl. di feriatus, a, um part. perf. di ferior, come agg. che è in festa, che è in ozio, ozioso: diebus feriatis: nei giorni di festa (diebus, abl. pl. di dies, diei) quoque feriatis diebus: anche nei giorni di vacanza Patiuntur, costruzione: acc. [illos] + inf. [esse], ind. pres. III pl. patior, eris, passus sum, pati “tollerare, sopportare” Esse otiosos [illos]: infinitiva oggettiva Otiosus: “libero da occupazioni”, con valore neutro. [illos] ellissi oggetto insolita per infinitiva con soggetto diverso da reggente. Et sudorem illis et interdum lacrimas excutiunt: coordinata Excutiunt: excutio, is, excussi, excussum, ere [ex+quatio]: passaggio da labiovelare sorda [q] a velare pura [c], vocalizzazione di -u- e sincope di -ă- dovuta alla composizione (apofonia latina) è il “far cadere” o il “far uscire scuotendo” e, quindi, con diversa immagine, “spremere”. At matres uolunt: PP At: congiunzione fortemente avversativa: universo maschile contrapposto a universo femminile: madri indulgenti; padri rigorosi. Può apparire stucchevole questa antitesi tra padri severi e madri iperprotettive, che vogliono fovere in sinu (tenere al caldo tra le braccia) i loro figli senza farli uscire di casa e si inquandra bene nel discorso maschilista de De Prov . Ricerche antropologi hanno mostrato che questa differenza di comportamenti corrisponde alla contrapposizione netta di ruoli tra padri e madri nella famiglia romana , in cui funzione e responsabilità dei genitori non paritarie. Tale differenza si ripercuoteva anche sui compiti educativi degli altri membri delle due famiglie, paterna e materna, trovando conferma persino a livello lessicale: lingue europee moderne non distingono tra zii paterni e materni, mentre a Roma agivano con nipoti secondo schemi mentali meritevoli di distinzioni lessicale: patruus è zio paterno (severo come il padre), amita è zia materna (affettuosa come madre) Fouere in sinu: infinitiva oggettiva Fovere: foveo, es, fovi, fotum, ere, riscaldare, gesto dell’abbracciare offrendo calore e e protezione con il petto. Continere in umbra:infinitiva oggettiva In umbra: ombra e sole rispettivamente simbolo della vita ritirata o sedentaria e di quella attiva; ombra allude anche a vita epicurei, dediti solo ad ozio e piaceri (voluptas) – attività domestiche in opposizione a esercizi ginnastici all’aria aperta. Numquam contristari, / numquam flere, / numquam laborare: tricolon infinitive Numquam: avv. con funzione intensiva, che enfatizza il tricolon. “mai…mai…mai” anafora conclude breve descrizione dell’atteggiamento materno, volto a evitare ogni causa di sofferenza, pianto e fatica. ai figli. Contristari, inf. passivo di contristo, as, avi, atum, are “essere rattristati”: passivo con valore mediale. Flere, inf. di fleo, es, flevi, fletum, ere “piangere Laborare, inf. di laboro, as, avi, atum, are “faticare” 2.6 Patrium deus habet aduersus bonos uiros animum / et illos fortiter amat / et “operibus”/ inquit / “doloribus damnis exagitentur, / ut uerum colligant robur”. / Languent per inertiam saginata / nec labore tantum sed motu et ipso sui onere deficiunt. / Non fert ullum ictum inlaesa felicitas; / at cui adsidua fuit cum incommodis suis rixa, / callum per iniurias duxit / nec ulli malo cedit, / sed / etiam si cecidit / de genu pugnat. Dio ha un animo paterno (patrium animum) nei confronti degli uomini buoni (adversus bonos viros); e li ama (amat illos) con forza (fortiter) e dice (et inquit): siano istigati (exagitentur) da fatiche, dolori, perdite (operibus, doloribus, damnis) per ottenere (ut colligant) la vera forza (verum robur). I corpi ingrassati (saginata) si ammorbidiscono (languent) a causa dell’interzia (per inertiam), sono sfiniti (deficiunt) non solo per la fatica (nec labore tantum) ma per il movimento (sed motu) e per il loro stesso peso (ipso suionere). Una prosperità mai attaccata (inlaesa felicitas) non regge (non fertt) alcun colpo (illum actum), al contrario (at cui) chi è abituato (adsidua fuit) alla lotta (rixa) con i suoi guai (cum suis incommodis), si è fatto il callo (duxit callum) con le avversità (per iniurias) e non si arrende (nec cedit) ad alcun male (ulli malo) ma anche se è caduto (sed etiam si cecidit) combatte in ginocchio (pugnat de genu). Patrium deus habet aduersus bonos uiros animum: PP Patrium…animum: iperbato abbraccia intera frase, in rilievo attributo (patrium) in posizione incipitaria. Patrius allude a severità dei padri, antitesi dolcezza madri . Exemplum: dio ha severità di un padre. Animus est quo sapimus, anima quo vivimus. Animus=insieme facoltà psichiche, principio spirituale, in opposizione al corpo; anima=soffio vitale, principio animale della vita. Et illos fortiter amat: coord. alla PP Fortiter: fortis, parola-chiave; quasi ossimoro “ama energicamente, virilmente”. Et operibus doloribus damnis exagitentur: coord. alla PP Costr. (Boni viri) exagitentur (cong. esortativo, “siano scossi”) operibus (lavori, fatiche) doloribus damnis (asindeto), ut colligant verum robur (affinché acquisiscano vera forza d’animo) Operibus…doloribus damnis: abl. di mezzo, fra gli incommoda, opus, eris, sost. nt. III decl. “con opere”; dolor, doloris, sost. masc. III decl. “con dolori”; damnum, damni, sost. nt. II decl. “con privazioni” Exagitentur: cong. pres. passivo III pl. da exagito, as, avi, atum, are: congiuntivo esortativo: “siano alle prese con…” Ut uerum colligant robur: sub. finale Verum…robur in iperbato; è forza morale, forza d’animo, che si consegue con un esercizio e impegno costanti. Verum robur, “la vera forza”, acc. di robor, robori; è virtù stoica della fortitudo, che è, come spiega Cicerone, considerata periculorum susceptio et laborum perpessio (“meditata accettazione dei rischi e sopportazione degli sforzi); tra le sue componenti la patientia, già chiamata in causa (2.4). Introdotto, a scopo di variatio, breve intervento diretto. Colligant, cong. pres. III pl. da colligo, is, collegi, collectum, colligere [cum+lego], idea di raccogliere. Languent per inertiam saginata: PP Languent, da langueo, es, languere: “i corpi ingrassati (saginata) nell’ozio si indeboliscono (languent ricorda il marcent di 2.4) e collassano (deficiunt) per lo sforzo (labore). Saginata: sono i corpora degli animali da cortile fatti ingrassare artificialmente; part. perf. di sagino, as, avi, atum, are “ingrassare”; da sagina, cibo con sui allevano /si ingrassano gli Compare per la prima volta uno dei temi centrali del De prov, lontano dalla nostra sensibilità: aspetto della contemplazione estetica e quasi compiaciuta del bonus vir alle prese con la sua fortuna. 2.7 Miraris tu, / si deus ille bonorum amantissimus, / qui / illos quam optimos esse / atque excellentissimos [esse] / uult, / fortunam illis / cum qua exerceantur / adsignat? / Ego uero non miror, / si aliquando impetum capiunt / spectandi magnos uiros conluctantis cum aliqua calamitate. Tu ti meravigli (miraris tu) se quel dio (ille deus) assai devoto ai buoni (amantissimus bonorum) assegna a loro (adsignat illis) una sorte avversa (fortunam), e che vuole (qui vult) che siano il più possibile ottimi (illos quam optimo esse) ed eccellenti (excellentissimos); (assegna loro un destino avverso) con cui (cum qua) si mettono alla prova (exerceantur). Io invece non mi meraviglio, se qualche volta (aliquando) agli dei viene il desiderio (capiunt impetum) di guardare i grandi uomini (spectandi magnos viros) combattere (conluctantis) con qualche sventura (cum aliqua calamitate)” Miraris tu: PP, int. diretta Miraris tu “tu ti stupisci” seguito da prop. condizionale si… adsignat: costruzione che aggiunge sfumatura ipotetica rispetto all’uso della completiva con quia o quod, più comune con verba affectuum molto frequente in latino, spesso in forma interrogativa come qui, dove manca particella, ma vi è aggiunta enfatica del tu. Si deus ille bonorum amantissimus [adsignat]: sostantiva ipotetica Si con ind. introduce sub. sostantiva con valore ipotetico, frequente in dipendenza da miror, non, minime mirum est, quid mirum? I verba affectuum si costruiscono soprattutto con completive: - quod+ind - si+ind - quia+ind, sfumatura causale - cum+ind, valore causale/temporale - ut+cong, funzione epesegetica - acc+inf Bonorum (masc.) amantissimus: espressione ricalca dis adversus optimos optimis di 1.5. Per gli Stoici, deus e dei come anche natura e fatum , sono termini intercambiabili , che rinviano tutti al medesimo referente, il principio razionale immanente al cosmo. Adsignat, da adsigno: marcare con il sigillo, signum, e quindi “assegnare” per attribuzione Illos quam optimos esse: infinitiva oggettiva Illos, sogg. infinite; “i buoni” Quam optimos: quam e ut+verbo possum, che può essere omesso con quam, esprimono massimo grado del superlativo; ma quam rafforza il superlativo. Qui uult: sub. relativa Vult, da volo, vis, volui, velleVolo, come composti malo, nolo può essere determinato da infinito semplice (mori non volo) con funzione di accusativo o da subordinata infinitiva con acc+inf. (volo te liberum esse) 1. quando verbo di volontà (volo, nolo, malo, cupio, studeo) coincide con quell’infinito si ha: - infinito semplice con eventuale compl. predicativo in caso nominato (volo esse liber); - acc.+inf. normalmente con esse e video, accompagnati o meno da compl. predicativo o da infiniti di verbi passivi o deponenti 2. se soggetti sono diversi, con volo, nolo, malo si ha congiuntivo, senza ut – costrutto più frequente con potenziali velim, nolim, malim e con irreali vellem, nollem, mallem 3. questi verbi posso essere costruiti con participio passato con funz. predicativa, che prospetta come già realizzato oggetto del desiderio (verbo esse può esserci o meno), es: nollem factum, non vorrei che fosse accaduto. Atque excellentissimos [esse]: infinitiva oggettiva coord. alla precedente Fortunam illis cum qua exerceantur: sub. relativa Fortunam: prima occorrenza del termine nel dialogo: nella concezione provvidenzialistica degli Stoici, dominata da Fato che ha già predeterminato ogni cosa nel modo migliore, non ci sarebbe posto per “caso” o “sorte”; fortuna occupa posto centrale nel pensiero di Seneca, indica tutti gli avvenimenti (perlopiù dolorosi) che capitano senza che uomo ne riesca a capire senso (“causa ignota alla ragione umana” è definizione stoicismo): fortuna sinonimo di incommoda/ adversa . Cum qua: espunzione di cum non necessaria, finisce per ridurre la Fortuna da avversario personificato e da allenatrice a semplice strumento “contro cui” Exerceantur, cong. pres. passivo III pl. di exerceo, es, exercui, exercitum, exercere – congiuntivo dovuto a valore consecutivo/finale della relativa Cum qua exerceantur “contro cui si esercitino”: relativa impropria con sfumatura causale e uso di cum al posto dell’ablativo semplice segnala personificazione del concetto di fortuna. Subordinate relative – introdotte da pronomi o avverbi relativi: di regola hanno indicativo, ma possono avere congiuntivo: - per attrazione modale o nel discorso indiretto - quando hanno valore di complementare indiretta: - finale: missi sunt legati qui pacem peterent - consecutivo: is/talis) qui; dignus/indignus qui; homo bonus et qui; est/deest qui/quod - causale: talora con quippe qui, utpote qui - suppositivo: protasi di periodo ipot. in cui qui=si quis - concessivo Ego uero non miror: PP Vero: congiunz. avversativa contrappone i pronomi personali: ego al precedente tu, espressi per contrapporre con forza i due possibili punti di vista, di Lucilio e di Seneca Non miror, si: Seneca riprende medesimo costrutto (miraris tu, si) come farà in seguito. Si aliquando impetum capiunt [deos]: sostantiva ipotetica Costr. (Dei) aliquando capiunt impetum (provano il desiderio di…) spectandi magnos viros conluctantis (alle prese con…) Si…capiunt: sostantiva con valore ipotetico, come la precedente miraris si adsignat. Verbo capiunt pone problema del passaggio da singolare a plurale. Soggetto plurale di capiunt è dei. Cambiamento numero attesta quanto fosse radicato politeismo nel modo di pensare pagano. Qualche editore ha tuttavia integrato il soggetto plurale o ha corretto verbo al singolare. Aliquando: avv. di tempo Quondam : aliquando = quidam : aliquis, cioè quondam è determinato (una volta, in un certo tempo, risponde alla domanda: quando?), e si riferisce al passato; aliquando è indeterminato (qualche. volta, una volta o l’altra) e si riferisce al futuro; olim, legato a ille (in quel tempo) indica tempo lontano, staccato dal presente, sia passato sia, raramente, futuro. Spectandi magnos uiros conluctantis cum aliqua calamitate: infinitiva Spectandi, gerundio genitivo di specto, as, avi, atum, are (+acc. o in, ad+acc: guardare, osservare, assistere a uno spettacolo) Conluctantis, verbo conluctor, aris, atus sum, conluctari, è raro, attestato a partire da Seneca padre: conluctantes, acc. pl. riferito a magnos viros Magnos viros: invece dell’usuale bonos, a sottolineare grandiosità spettacolo. Calamitate = incommoda/adversa Quasi senza accorgersi, Seneca passa dal generale – immagine del dio che ammira il bonus vir alle prese con avverersità – al particolare, cioè caso concreto di Catone circondato dal nemico cesariano a Utica. Con espressioni concettuose e statuarie degne della sua magnitudo animi, Catone prende la parola ed esprime la sua decisione di suicida. 2.9 Ecce spectaculum dignum [est] / ad quod respiciat intentus operi suo deus, / ecce par deo dignum [est], / uir fortis cum fortuna mala compositus, / utique si et prouocauit. / Non uideo, / inquam, / quid habeat in terris Iuppiter pulchrius, / si <eo> conuertere animum uelit, / quam ut spectet Catonem / iam partibus non semel fractis / stantem nihilo minus inter ruinas publicas rectum. Ecco uno spettacolo degno (ecce spectaculum dignum) al quale (ad quod) guardi un dio (respiciat deus) intento nella sua opera (intentus operi suoi), ecco una coppia degna (ecce par dignum) di un dio (deo), l’uomo forte (vir fortis) alle prese (compositus) con la cattiva sorte (fortuna mala) soprattutto se (utique si et) l’ha provocata (provocavit). Non vedo, dico, che cosa di più bello (quid pulchrius) abbia Giove sulla terra, se là (eo) voglia rivolgere (velit convertere) attenzione (animum), che guardare Catone (quam ut spectet Catonem) che nonostante le ripetute (semel) sconfitte del suo partito (partibus fractis), si erge (stantem) tuttavia in piedi (nihilo minus rectum) fra le rovine (inter ruinas) dello stato (publicas). Ecce spectaculum dignum [est]: coord. alla prec. Ecce: avverbio composto con particella dimostrativa -ce; la proposizione, coordinata alla prec. per asindeto, ha funzione avversativa. Dignus, indignus costruito o con abl. (deo) o con pronome relativo+congiuntivo caratterizzante (in poesia e nella prosa classica dignus, indignus + infinito) Ad quod respiciat intentus operi suo deus: relativa consecutiva Respiciat, cong. pres. III sg. da respicio, is, respexi, respectum, respicere: voltarsi a guardare; dignum respiciat: “degno di essere guardato da…”, “attirare l’attenzione di” Operi suo: di reggere il mondo Ecce par deo dignum [est]: cooord. alla PP Par: preceduto dall’anafora dell’avverbio deittico ed enfatico (ecce), agg. nt. sostantivato: par, paris, agg. “uguale, simile, pari”; come sostantivo: “coppia, paio”; sostantivo al m. o f. “compagno o coniuge”. Nel linguaggio gladiatorio indica coppia di gladiatori: qui combattenti sono vir fortis (sinonimo di bonus vir con variatio) opposto a (compositur) alla mala fortuna personificata. Mentre bastano puerilia perché uomo si volga a guardare, per attirare attenzione di dio, bisogna invece che spettacolo sia talmente elevato da giustificare che egli per un po’ distolga sguardo dall’alto compito cui è intento, cioè governo del cosmo. Vir fortis cum fortuna mala compositus: infinitiva oggettiva Mala: aggettivo specifica meglio connotazione negativa della fortuna, che è vox media (termine che secondo contesto può avere connotazione positiva o negativa); la sua presenza qui risponde a funzione più stilistica (parallelismo sostantivo-aggettivo vir fortis – mala fortuna, rafforzato da allitterazione) che semantica, visto che Seneca ha usato sostantivo da solo nel senso di “cattiva fortuna, sventura”. Compositus, part. perfetto di compono, is, composui, compositum, componere Utique si et prouocauit “Sopratto se è stato lui a sfidarla a duello” Utique: “particolarmente, soprattutto”, con accento di epectasi. Ut appartiene a famiglia di qui, quis con perdita labiovelare iniziale. Della -a finale che si incontra nella correlativa ita restano tracce nei composti: ali-ta, in altro modo, utique, in ogni modo, dove la -a breve ridotta a -i breve per apofonia. Et, significato di “anche” Provocavit, ind. perfetto da provoco, as, avi, atum, are nel senso di “sfidare” a duello, da lessico gladiatorio: provocator era tipo di gladiatore; verbo caro a Sen. per esprimere sfida alla fortuna e agli incommoda. Distorsione a cui Seneca sottopone dramma della teodicea: visto che avversità sono esercizi previsti dal Fato, il bonus vir non deve solo subirli quando gli capitano, ma andare a cercarli, sfidando fortuna pur di poter mostrare propria virtù. Non uideo: PP Inquam: sub. incidentale Inquam: propria dello stile diatribico inserzione di incisi dialogici: “aggiungo, lo ripeto” Quid habeat in terris Iuppiter pulchrius: int. indiretta, apodosi con cong. Iuppiter è primo riferimento a dio come a Giove, forse per evitare ripetizione di deus o per dare maggiore concretezza drammatica a scena. Passaggio da deus a Iuppiter parallelo a passaggio da vir fortis a Catonem. Pulchrius: nell’etica antica è stretta la relazione bello e buono. Si <eo> conuertere animum uelit: ipotetica, protasi con inf. oggetto “Se volesse rivolgere lì (eo, sulla terra) la sua attenzione (animum)” Eo: avv. di moto a luogo, integrazione ad indicare punto di arrivo sguardo. Is è pronome determinativo; ibi è stato in luogo, là; eo, moto a luogo, verso là; ea, moto per luogo, per di là; inde, moto da luogo, di là. Quam ut spectet Catonem stantem nihilo minus inter ruinas publicas rectum: sostantiva con ut Quam ut spectet=quam spectare; II termine di paragone resa con sub. sostantiva introdotta da ut. Catonem: Catone l’Uticense, 95-46 a.C., incarnazione ideale stoico e libertà repubblicana. Si schierò con Pompeo allo scoppio della guerra civile contro Cesare per preservare Repubblica. Dopo uccisione di Pompeo da parte di Tolomeeo, a seguito della battaglia di Farsalo (48 a.C.) vinta da Cesare, passò in Africa con altri pompeiani per organizzare resistenza anticesariana a Utica. Sconfitto dall’esercito da Cesare a Tapso (46), per non sottomere propria libertà al nuovo vincitore si suicidiò a Utica (Dante, Purg. 1,31) Stantem: part. pres. acc. sing. di stans, antis, da sto, as, avi, atum, are: participio percezione diretta e immediata. Idea dello “stare dritto” ribadito da rectum: in antitesi con fractis, irriducibilità di chi non si piega al vincitore. Tautologia: ripetere più volte stesso concetto, ripetizione “ergersi statuario” di Catone sulle rovine dello Stato – per stoicismo Catone indiscusso eroe Nihilo minus: nonostante ciò, tuttavia; avv. in abl. di misura in presenza del comparativo minus. Iam partibus non semel fractis: abl. assoluto con valore concessivo “Quando il (suo) partito è già stato sconfitto più di una volta” Non semel: lett. non una volta (litote) =saepe Fractis: da frango, is, fregi, fractum, ere “spezzare”, ma anche “abbattere, vincere” – participio antitetico a stantem e rectum: “quando i suoi partigiani sono stati ormai distrutti” Aggredere, imperativo di aggredior, eris, gressus sum, gredi, avvicinarsi, accingersi a; Meditatum: participio del deponente meditor, spesso in uso passivo. Eripe te rebus humanis: coord. Alla PP Eripe, infinito di eripio, is, ripui, reptum, ere, strappare, cioè portare via con violenza. Rebus humanis: abl. di allontanamento Iam Petreius et Iuba concucurrerunt: PP Petreius et Iuba: Petreio era stato lungotenente di Pompeo in Spagna, poi in Africa. Giuba, re di Numidia, schierato con Pompeo. Dopo sconfitta di Tapso, i due decisero di darsi reciprocamente la morte sfidandosi in duello eroico. Seneca tace particolare poco eroico: Petreio risulta vincitore e uccide Giuba, ma non avendo coraggio di volgere spada contro se stesso, chiese e ottenne che schiavo completasse opera. Concucurrerunt: ind. perfetto III pl. da concurro, is, concurri/concucurri, arc., concursum, concurrere: corrersi contro in battaglia, andare all’attacco, combattere Iacentque alter alterius manu caesi, fortis et egregia fati conuentio: coord. alla PP Iacent, da iaceo, es, iacui, iacere Alter alterius: valore reciproco di alter, dalla ripetizione del pronome Caesi: participio predicativo dipendente da iacent – caesi, gen. di caesus, a, um, part. perfetto di caedo, is, cecidi, caesum, caedere “uccisi l’uno per mano dell’altro” Fortis, conventio: apposizione frase precedente. Fati=mors Sed quae non deceat magnitudinem nostram: sub. relativa consecutiva al cong. Deceat: cong, caratterizzante di decet (convine, si addice), trans. e intrans. impersonale; quae non deceat: “non tale addirsi a” + accusativo Alcuni verbi usati alla III sg. (decet, dedecet, non si addice; fugit, fallit, passa inosservato, sfugge; praeterit, latet, è ignoto, è nascosto) presentano: - persona all’acc. - cosa al nom. (sost, pron, agg. sostantivati); all’inf. semplice; all’acc.+inf.; int. indiretta. - questi verbi si possono trovare anche nelle altre persone, soprattutto III pl. Magnitudinem: la magnitudo animi (grandezza d’animo) è in Seneca la virtù che permette di innalzarsi al di sopra delle cose del mondo: tra le virtù cardinali della fortitudo. Tam turpe est: PP Catoni mortem ab ullo petere quam uitam: infinitiva soggettiva Ab ullo: uso aggettivo al posto pronome (quisquam): compare di solito in frasi di senso negativo, qui per influsso idea negativa espressa da non deceat. Catone termina prosopopea con sententia epigrammatica degna della sua statura: chiedere la morte (come Petreio e Giuba) sarebbe per lui tanto vergognoso ( turpe ) quanto chiedere la vita , cioè implorare perdono di Cesare. Saggio stoico possiede dignità di non umiliarsi e coraggio di uccidersi. Aspetti quasi sadici, compiaciuti e raccapriccianti di cui si sono viste avvisaglie giungono al culmine in omaggio al gusto barocco dell’epoca, ma anche per motivazione filosofica precisa e coerente con intenti del De Prov. cioè coraggio di Catone nel darsi la morte due volte serve a consacrare exemplum agli occhi di tutti, anche avversari. 2.11 Liquet mihi / cum magno spectasse gaudio deos, / dum ille uir, acerrimus sui uindex, alienae saluti consulit / et [dum] instruit discedentium fugam, / dum studia etiam nocte ultima tractat, / dum gladium sacro pectori infigit, / dum uiscera spargit / et [dum] illam sanctissimam animam indignamque / quae ferro contaminaretur /manu educit E’ chiaro (liquet mihi), che gli dei (deos) hanno guardato (spectasse) con grande gioia (cum magno gaudio) mentre quell’uomo fortissimo liberatore (ille vir acerrimus vindex) di se stesso (sui) provvede alla salvezza (consulit saluti) di altri (alienae) e mentre organizza (instruit) la fuga (fugam) di coloro che si riritirano (discedentium), mentre si dedica agli studi (tractat studia) anche nell’ultima notte (etiam ultima nocte), mentre si conficca la spada (infigit gladium) nel sacro petto (sacro pectori), mentre sparge/riversa le viscere (dum viscera spargit), mentre con la mano fa fuoriuscire (manu edicit) quell’anima divina (illam sanctissimam animam) e indegna (indignam) di essere contaminata (contaminaretur) dal ferro (ferro). Liquet mihi: PP Liquet mihi, forma impersonale: “è chiaro”, da liqueo, es, licui/liqui, liquere essere liquido/fluido; “essere chiaro, manifesto, evidente”: con de+abl; con infinitiva; con infinito; con interr. indiretta o assol. Qui regge soggettiva deos… spectasse. Cum magno spectasse gaudio deos: infinitiva soggettiva Spectasse: forma sincopata dell’infinito perfetto spectavisse – infinitiva retta da liquet ha funzione soggettiva. Deos, sogg. “che gli dei hanno guardato con grande gioia” Cum magno gaudio, compl. di modo Dum ille uir, acerrimus sui uindex, alienae saluti consulit: sub. temporale Dum: serie di temporali scandite da anafora di dum, con variazione et dum. Anafora di congiunz. temporale segna quattro inquadrature successive che firmano ultima notte di Catone con presenti acronici (in italiano imperfetto): attenzione nel garantire fuga e salvezza agli altri (discendentium fugam); il tempo dedicato con serenità tranquilla agli studi anche in quel momento (studia etiam ultima nocte); atto dell’infliggersi colpo di spada (gladium sacro pectori); momento successivo in cui, non essendo una ferita mortale, si dovette suicidare due volte. Atroce particolare confermato da tutte le fonti che ne descrivono suicidio. I dum: concomitanza generica rispetto a un momento: “mentre” dum+ind. presente (acronico) anche in riferimento a passato o futuro II dum: parallelismo cronologico ovvero concomitanza rispetto a durata (i due processi verbali paralleli: “per tutto il tempo che, finchè, mentre” dum+indicativo di tutti i tempi (di solito quello della sovraordinata): concomitanza espressa da quoad, donec, quamdiu III dum: successione immediata: “fino al momento che, finchè (non)”. Sub. indica momento finale della sovraordinata. - dum+indicativo (semplice rapporto di tempo), al presente rispetto a presente; al perfetto rispetto al passato - dum+congiuntivo (intenzionalità), al presente rispetto al presente; all’imperfetto rispetto al passato Sui vindex: apposizione di vir; vindicare è reclamare, ad es. se stessi, se sibi, rivendicare un diritto, e quindi proteggere. Sui vindex acerrimus: “risolutissimo liberatore di se stesso”: determinazione nel cercare suicidio non impedisce al saggio stoico di impegnarsi (consulit) per salvezza altrui e di organizzare (instruit) allontanamento fuggiaschi. Consulit: consulo, is, consului, consultum, consulere è “decidere, deliberare”: consulo alicui, prendo cura, provvedo a qualcuno; consulo aliquem, consulto uno; in aliquem consulere, prendere provvedimenti contro qualcuno, spesso eufemismo per “metto a morte qualcuno” Et [dum] instruit discedentium fugam: coord. alla temporale Instruit, da instruo, is, intruxi, instructum, instruere: costruire, edificare, organizzare fugam, Discedentium, gen. part. presente di discedo, is, discessi, discessum, discere: “di chi fugge” Dum studia etiam nocte ultima tractat: coord. alla temporale Studia: ultima lettura fu Fedone platonico, che tratta immortalità dell’anima , dove introdotta variante monologo tragico di Catone: “non hai ottenuto nulla, fortuna, ostacolando tutti i miei tentativi. Finora ho lottaato non per la mia libertà ma per quelle della patria…; ora, poiché non c’è più speranza per l’umanità, si porti Catone al sicuro.” Dum gladium sacro pectori infigit: coord. alla temporale Sacro: comune uso aggettivi sacer o sanctus per indicare Catone nella letteratura del I sec. d.C. soprattutto in relazione al suo suicidio: Sen. Epist. usa di nuovo sacro pectori; Lucano nel Bellum civile: sacro de pectore. Infigit da infigo, fixi, fixus, ere Dum uiscera spargit: coord. alla temporale Spargit, da spargo, is, sparsi, sparsus, ere: “strappa”: fonti raccontano che Catone venne trovato esanime con addome aperto dalla spada, ma ancora in vita, e che fu medicato; in un secondo tempo, riavutosi, ri riaprì ferita procurandosi morte, cioè strappandosi intestino. Et [dum] illam sanctissimam animam indignamque manu educit: coord. temporale Manu edicit: “tirava fuori con la mano la sua anima irreprensibile e indegna di essere contaminata dalla spada” Indignam animam, acc. Indignus regge relativa con cong. Quae ferro contaminaretur: sub. relativa Contaminaretur, cong. imperfetto passivo di contamino, as, avi, atum, are Ferro: sineddoche come prima. Quorum exitum laudant: sub. relativa “La morte (mors) consacra (consecrat) coloro (illos) la cui fine (quorum exitum) è lodata anche da quelli che la temono” Exitum è metafora lessicalizzata per mors, ossia l’uscita dalla vita Laudant: nella resa italiana diatesi passiva. Et qui [ii] timent: sub. relativa [ii] antecedente del relativo qui Et: enfatico, valore di etiam Timent, laudant – accostamento verbi consente di sottintendere oggetto di timent, eum=exitum Durezza iperbolica del ragionamento agonistico, teatrale e quasi sadico di Seneca, riscattata a livello formale dalla qualità straordinaria prosa, capace di fissare concetti in sententiae di scultorea potenza. Inizia la propositio , indicazione aspetti che oratore si propone di dimostrare: avversità in realtà non sono un male e hanno uno scopo educativo per i singoli e per l’umanità: i boni viri sono l’esempio di chi non si piega alla sorte avversa. Se a un uomo non capita qualche difficoltà, non ha possibilità di mettersi alla prova e misurare il suo valore. Dopo esempio di Catone, quelli di Muzio Scevola, Fabrizio, Rutilio, Regolo, modello di coraggio. Al contrario, Mecenate visse nei piaceri. Capitolo si chiude con figure di Socrate e Catone, esempi di morte “stoica”. 3.1 Sed / iam procedente oratione / ostendam / quam non sint / quae uidentur mala: / nunc illud dico, / ista / quae tu uocas aspera, / quae aduersa et abominanda [vocas], / primum pro ipsis esse / quibus accidunt, / deinde pro uniuersis [esse], / quorum maior dis cura quam singulorum est, / post hoc uolentibus accidere / ac dignos malo esse / si nolint. / His adiciam / fato ista sic ire / et eadem lege bonis euenire / qua sunt boni. / Persuadebo deinde tibi / ne umquam boni uiri miserearis; / potest [vir bonus] enim miser dici, / non potest esse [miser]. Ma ormai procedendo con il discorso (procedente oratione) dimostrerò (ostendam) come non siano (quam non sint) mali quelli che sembrano esserlo (videntur); per ora dico questo (nunc illud dico), che quegli eventi (quae ista) che tu definisci (vocas) duri (aspera) avversi e da respingere (abominanda), in primo luogo (primum) sono a vantaggio di quelli a cui succedono (primum pro ipsis esse quibus accidunt); poi a vantaggio di tutti (pro universis) della quale gli dei (quorum dis) hanno più cura (cura est maior) che verso i singoli (singulorum); e inoltre, (post hoc) capitano (accidere) a quelli favorevoli (volentibus) e che sarebbero degni (esse dignos) del male (malo) se non li volessero (si nolint). A questi (his) aggiungerò (adiciam) che è a causa del fato (fato) che le cose (ista) vanno così (ire sic), e che capitano (evenire) ai buoni (boni) per quella stessa legge (eadem lege) per cui sono buoni (qua sunt boni). Ti convincerò infine (persuadebo deinde tibi), a non avere mai compassione (ne umquam miserearis) di un uomo buono (boni viri): si può dire (potest dici) che è infelice (enim miser), ma non può essere infelice (non potest esse miser). Sed ostendam: PP Ostendam, ind. fut. semplice di ostendo, is, ostendi, ostensum, ostendere: dimostrare; regge int. indiretta (quam non sint) Iam procedente oratione: ablativo assoluto Procedente: part. pres. abl. di procedo, is, processi, processum, ere: procedere Oratione, abl. di oratio, onis: discorso: procedente oratione “nel procedere del discorso” Quam non sint: interrogativa indiretta Quam: introduce int. indiretta: “quanto” davanti a verbo: argomento anticipato già nel sottotitolo, ovvero distinzione fra adversa e mala, ripreso. Distinzione fra mali apparenti e mali reali è tema centrale nel pensiero di Seneca. Quae uidentur mala: relativa Mala: “mostrerò (ostendam) come non siano mali quelli che sembrano esserlo (quae videntur): cioè incommoda. Videor: “sembrare”, costruito: 1. in modo personale – in it. impersonale: a. con costrutto del doppio nominativo (del sogg. e del predicativo del sogg.) b. con costrutto del nominativo con infinito , con funzione soggetttiva; 2. in modo impersonale cioè sempre alla III sg.: a. quando videor significa: sembrare bene, sembrare opportuno; quando videor unito ad agg. neutro come turpe, utile, idoneum, arduum o all’infinito di verbo di natura impersonale b. (pudere, taedere, interesse/referre, decere, licere, accidere) Nunc illud dico: PP Illud prolettico, ripreso dalle infinitive che hanno funzione di epesegesi del pronome “ora dico ciò”; le infinitive epesegetiche scandiscono diverse argomentazioni: primum, in primo luogo, avvengano a beneficio di quelle stesse persone; deinde pro universis; post accidere, dopodichè che i mali capitano a chi li vuole; dignos malo esse, che sarebbero degni del male. Ista primum pro ipsis esse: infinitiva epesegetica di illud Primum: acc. avverbiale, indica precedenza in ordine di importanza (come prima cosa, in primo luogo, per la prima volta); forma ablativa primo indica precedenza in ordine di tempo (da principio, in un primo tempo); antea/ante indica anteriorità rispetto a un momento dato (prima di allora, per l’addietro) Quae tu uocas aspera: relativa Quae aduersa et abominanda [vocas]: relativa Aspera, adversa, abominanda: climax ritmata da allitterazione iniziale di a- che fa seguire tre aggettivi sostantivati sinonimici di incommoda: tre aspetti della sventura. Aspera, da aspera, orum: difficili da sopportare (aspera, da aspera, orum); Adversa, da adversum, i: costituiscono ostacolo per la felicità Abominanda, agg. gerundivo di abominandus, a, um: si vorrebbe tenerle lontane Quibus accidunt: relativa Deinde pro uniuersis [esse]: infinitiva epesegetica di illud Pro ipsis… pro universis: ipsi sono singoli in contrapposizione all’umanità. Sofferenza buoni porta beneficio all’umanità intera nella misura in cui buoni mostrano che bene e male non sono quelli ritenuti tali e con il loro esempio insegnano a sopportare avversità: sofferenza buoni ha funzione didascalica per umanità. Quorum maior dis cura quam singulorum est: relativa “Gli dei hanno cura (dis cura est) più dell’umanità in generale (pro universis) che del singolo individuo (quam singulorum) Dis: dativo di possesso. Sen sostiene che dei si occupino del singolo essere umano, ma privilegino la prospettiva di insieme rispetto a quella individuale. Stessa cosa a livello cosmico dove singole parti governate in funzione del tutto. Concezione stoica secondo la quale dio non può perdere tempo a preoccuparsi di ciascuno di noi ed è pronto a infliggere sventure a uno solo, se questo serve ad umanità o cosmo ; quanto più lontano da concessione della provvidenza cristiana, nella quale Dio ama singolarmente ogni uomo, considerandolo suo figlio. Sventure per Stoici sono utili a chi le subisce e attraverso questi a tutta l’umanità, come Seneca spiegherà. Quam singulorum: II termine di paragone, stesso caso primo: quorum (genitivo plurale) Post hoc uolentibus accidere: infinitiva epesegetica di illud Post hoc: lett. dopo ciò; indica terzo punto elencazione Prima argumentatio quella che più contraddice senso comune, perché sembra impossibile che esilio, povertà, lutti, e malattie siano bene del bonus vir. Per risolvere paradosso Seneca ricorre a frase del filosofo Demetrio, secondo cui la vera sventure consiste nel non aver mai subito sventure. 3.2 Difficillimum ex omnibus [esse]: / quae proposui / uidetur [id] / quod primum dixi, / pro ipsis esse / quibus eueniunt ista / quae horremus / ac [quae] tremimus. / 'Pro ipsis est' / inquis / 'in exilium proici, / in egestatem deduci, / liberos coniugem ecferre, / ignominia adfici, debilitari?' / Si miraris / haec pro aliquo esse, / miraberis / quosdam ferro et igne curari, / nec minus fame ac siti [quosdam curari] La più difficile fra tutte le cose (difficilium ex omnibus) che ho esposto (quae proposui) sembra essere quella che dissi per prima: cioè che è a vantaggio di coloro (pro ipsis) ai quali accadono gli eveni (eveniunt ista) che ci fanno paura e ci fanno tremare. E’ a loro vantaggio (pro ipsis esse), dico, essere mandato in esilio (in exilium proici), precipitare nella miseria (in egestatem deduci), dover seppellire (ecferre) i propri figli e la propria sposa (liberos coniugem), essere colpiti (adfici) dal disonore (ignominia) perdere la salute (debilitari)? “Se ti meravigli del fatto che queste disgrazie (haec) siano a vantaggio (pro aliquo), ti meraviglierai del fatto che alcuni (quosdam) siano curati (curari) dall’amputazione (ferro) e dalla cauterizzazione (igne), non meno che dalla fame e dalla sete Difficillimum ex omnibus [esse]: infinitiva soggettiva con ellissi verbo “Il punto più arduo (da dimostrare) sembra essere (videtur esse)” connaturata alla filosofia stoica è presenza di paradox, ovvero di affermazioni che contrastano con il senso comune, ma conseguenti a dogmi della scuola: paradosso qui è che “sventure avvengono a beneficio di chi le subisce Difficilium: suffisso superlativo è -issimus, a, um ma aggettivi (tutti in -ilis): facilis, diffcilis, similis, dissimilis, gracilis, humilis formano superlativo con aggiunta suffisso -limus, lima, limum Ex omnibus: termine di relazione del superlativo relativo, espresso da genitivo semplice (partitivo) oppure da ex, de + abl, pià raramente inter+acc. Uidetur [id]: PP Quae proposui: relativa Proposui, ind. perfetto di propono, is, proposui, propositum, proponere; da propono deriva termine tecnico della retorica propositio, cioè esposizione del tema da trattare. Quod primum dixi: relativaa Pro ipsis esse: infinitiva Quibus eueniunt ista: relativa Quae horremus: relativa Horremus, ind. pres. da horreo, horres, horrui, horrere Ac [quae] tremimus: relativa Quae horremus ac quae tremimus: variatio sinonimica precedente quae tu vocas… abominanda. Horremus ac tremimus: costruzione con acc. (esprime fonte della paura) è consueta con horreo; con tremo quasi esclusivamento di uso poetico. La coppia verbale indica effetti fisici dellza paura: horreo=rabbrividire, raddrizzarsi peli per la paura; tremo dice tremore dovuto alla paura. 'Pro ipsis est': PP Inquis: incidentale Nuovo inserto dialogico, il cui locutore è da individuare in Lucilio, dedicatario, piuttosto che avversario fittizio tipico dello stile diatribico. 'In exilium proici: infinitiva In exilium proici/…deduci/…ecferre/…adfici/ debilitari: infinitive con funzione di soggetto che costituiscono catalogo incommoda elencati polemicamente da Lucilio in risposta all’affermazione di Sen, secondo il quale disgrazie sarebbero a vantaggio di chi le subisce. In exilium proici: esilio considerato mera commutatio loci, non è male per sapiens, cittadino del mondo, poiché non gli impedisce di fruire dei beni autentici, come virtù. Proici, inf. passivo di proicio, is, proieci, proiectum, proicere: essere cacciato/buttare fuori, bandire, esiliare In egestatem deduci: infinitiva Deduci, inf. passivo di deduco, is, deduxi, deducere: essere ridotti in egestatem, acc. di egestas, atis, miseria/povertà Liberos coniugem ecferre: infinitiva Liberos coniugem ecferre: ecfero/effero, termine tecnico per indicare esequie: “portare fuori” dalla casa defunto per sepoltura, sapiens non si abbatte di fronte a morte persone care. Ecferre, inf. di ecfero, ecfers, extuli, elatum, ecferre Ignominia adfici: infinitiva Ignominia: privazione del buon nome, condanna inflitta dal censore, consisteva nell’esclusione di ogni tipo di rapporto sociale. Adfici, inf. passivo di adficio, adficis, adfeci, adfectum, adficere: disporre, trattare Debilitari: infinitiva Debilitari: inf. passivo di debilito, as, avi, atum, are: indebolire, pass. scoraggiarsi, avvilirsi Si miraris: ipotetica, protasi I tipo Miraris, ind. presente di miror, aris, atus sum, mirari; protasi introduce oggettiva Haec pro aliquo esse: infinitiva oggettiva “Che queste sventure siano a beneficio di qualcuno” Miraberis: PP, apodosi in poliptoto Miraberis, ind. fut. semplice II sg. di miror Quosdam ferro et igne curari: infinitiva oggettiva Ferro et igne: nesso “ferro e fuoco” compare di solito in contesti militari ma qui riferimento a medicina antica. Sen. istituisce parallelo fra cura del corpo e terapia dell’anima: come in chirurgia si ricorre ad amputazione (ferro) o cauterizzazione (igne) arti, così è necessario talora curare in maniera dura, secondo idea che a volte bene debba essere doloroso (paragone diffuso da Platone fino ad autori cristiani). Nec minus fame ac siti [quosdam curari]: infinitiva oggettiva coordinata Nec minus: oltre a rimedi precedenti, importanti erano considerati dieta e astensione dal bere, modo per recuperare armonia tra fluidi corporei perduta a causa della malattia. Siti, inf. passivo di sitio, is, sitii, sitire è forse accenno a iropisia, eccesso di liquidi nei tessuti, che si curava con somministrazione controllata di acqua. 3.3 Inter multa magnifica Demetri nostri et haec uox est, / a qua recens sum; / sonat adhuc / et uibrat in auribus meis: / 'nihil' / inquit / 'mihi uidetur infelicius / eo cui nihil umquam euenit aduersi.' / Non licuit / enim illi se experiri. / Vt ex uoto illi fluxerint omnia, ut ante uotum, / male tamen de illo di iudicauerunt: / indignus uisus est / a quo uinceretur aliquando fortuna, / quae ignauissimum quemque refugit, / quasi dicat: / 'quid ergo? istum mihi aduersarium adsumam? / Statim arma summittet; / non opus est in illum tota potentia mea, / leui comminatione pelletur, / non potest sustinere uultum meum. / Alius circumspiciatur / cum quo conferre possimus manum: / pudet / congredi cum homine / uinci parato. Fra i numerosi (inter multa) e magnifici detti (magnifica ditta) del nostro Demetrio c’è anche questo (et haec vox est): che ho sentito recentemente (a qua recens sum) risuona ancora (sonat adhuc) e vibra nelle mie orecchie (in auribus meis) dice: niente mi sembra più infelice (infelicius) che colui al quale (oe cui) non è capitato niente (nihil evenit umquam) avverso (adversi). Non gli è stato permesso (non licuit) di mettere alla prova (experiri) se stesso. Ammettiamo anche (ut) che tutto (omnia) sia andato (fluxerint) secondo i suoi desideri (ex voto illi) o anticipandoli (ante votum) gli dei (di) hanno tuttavia giudicato (tamen iudicaverunt) male lui (male de illo): non è sembrato degno (indignus visus est) di vincere (vinceretur) una volta tanto (aliquando) la sorte (fortuna); che fugge (refugit) tutti quelli più vigliacchi (quemque ignavissimum) come dicesse (quasi dicat): che cosa allora (quid ergo) dovrei assumermi (adumam mihi) costui (istum) come avversario (adversarium); abbasserà (summittet) immediatamente (statim) le armi; non è necessaria tutta la mia forza (tota potentia mea) contro di lui (in illum), sarà mosso (pelletur) da una paura lieve (levi comminatione), non è in grado di sostenere (non potest sustinere) il mio sguardo (vultum meum). Si veda se c’è un altro (alius circumspiciatur) con il quale (cum quo) venire alle mani (possimus conferre manum): è vergognoso (pudet) scontrarsi (congredi) con un uomo (cum homine) già preparato (parato) ad essere sconfitto (vinci). Inter multa magnifica Demetri nostri et haec uox est: PP Inter multa magnifica: “tra le molte frasi celebri” Demetri nostri: filosofo cinico vissuto nel I sec. d.C. insegnò a Roma, critica del potere imperiale, in esilio prima volta sotto Nerone a Corinto e seconda volta sotto Vespasiano. Non resta testimonianza di opere scritte da lui, probabile che suo insegnamento escusivamente orale e centrato sul suo esempioo vivente di rigorismo morale e di intransigenza. Seneca lo stimava molto (nostri) citandone insegnamenti anche nelle opere tarde, come De beneficiis e Epistulae Vox: “detto” A qua recens sum: relativa “Da cui arrivo di recente” = “che ho ascoltato poco fa”: indizio per cronologia dialogo. Recens + a/ab + abl: successione immediata del fatto Sonat adhuc: PP Et uibrat in auribus meis: coodinata alla PP Inquit:incidentale ‘nihil mihi uidetur infelicius: PP Eo cui nihil umquam euenit aduersi: relativa “Di colui al quale non è mai capitato nulla di sfavorevole (nihil adversi)” Eo: ablativo di paragone Nihil umquam evenit adversi: idea necessità prova voluta dal dio buono contrapposta a pigra inattività Evenit, perfetto di evenio, is, eveni, eventum, evenire Adversi, gen. partitivo, retto da nihil: in latino usato neutro e non maschile per allargare il più possibile il referente. Non licuit: PP Licuit perfetto di licet, è permesso – verbo impersonale da cui dipende infinitiva con funz. soggettiva (enim illi se experiri). Uso analgo con oportet, placet, interest, refert, (me) paenitet, (me) piget, (me) taedet; o con voce del verbo sum accompagnata da agg. neutro o da sostantivo come lex, mox, tempus o da genitivo di convenienza. Enim illi se experiri: infinitiva soggettiva “Non gli è stato infatti possibile (non licuit illi) mettere alla prova se stesso (experiri se)” Experiri, inf. di experior, pertus, iri: provare, testare Vt ex uoto illi fluxerint omnia, ut ante uotum: concessiva “Ammettiamo pure che ogni cosa gli sia andate secondo i suoi desideri prima ancora di desiderarla” Ut: avverbio tamen nella reggente è correlato a cong. concessiva Voto, votum: poliptoto: opposizione radicale tra ciò che sembra male e ciò che lo è veramente per stoici, vita senza problemi segno non di predilizione degli dei, ma di loro cattivo giudizio. Fluxerint, cong. perfetto di fluo, is, fluxi, fluxum, ere Male tamen de illo di iudicauerunt: PP Indignus uisus est [is]: PP Indignus: compl. predicativo del soggetto sott.: lett. “è sembrato indignato colui dal quale la sorte fosse vinta una volta o l’altra”: relativa ha valore consecutivo Visus est, ind. perfetto di videor, eris, visus sum, - , videri A quo uinceretur aliquando fortuna: relativa “Che da lui la fortuna venisse vinta un giorno o l’altro” = “di vincere una volta quanto la fortuna” Aliquando: avv. di tempo “qualche. volta, una volta o l’altra”: indeterminato e riferito per lo più, ma non solo, al futuo. Quae ignauissimum quemque refugit: relativa Ignavissimum quemque: “tutti i più vigliacchi” ignavissimus superlativo di ignavus: quemque da quasque: ciascuno, singolarmente considerato (pronome indefinito distributivo): se incommoda sono prove, non vale nemmeno la pena di sottoporre ad esse chi non avrebbe forza di sopportarle; in questo modo il paradosso stoico svela che chi è fortunato su questa terra in realtà è pusillanime, che Fato nemmeno prende in considerazione. Quasi dicat: comparativa suppositiva La personificazione della fortuna, che prende parola in forma diretta. Personificazione di un concetto astratto è diffuso nella tradizione filosofica antica. 'Quid ergo? Istum mihi aduersarium adsumam: PP, interr. diretta con cong. Quid ergo: con formula del linquaggio quoridiano, cui Seneca ricorre spesso, inizia prosopopea della Fortuna personificata. Adversarium: predicativo dell’oggetto, rimanda a contesto agonistico del duello tra bonus vir e malasorte. Adsumam, cong. pres. di adsumo, is, adsumpsi, adsumptum, adsumere: congiuntivo potenziale: dovrei prendere mihi, io istum adversarium, costui come avversario Statim arma summittet: PP Summittet, fut. semplice di summitto, is, summisi, summissum, summittere: “abbasserà” in segno di resa. Non opus est in illum tota potentia mea: PP Opus est: “occorre, c’è bisogno, è necessario” Opus est: - persona cui occorre qualcosa in dativo - cosa che occorre in ablativo (costrutto impersonale) anche infinito può avere funzione di soggetto opus est indica utilità in ordine a dato scopo, bisogno generralmente dipendente da nostra volontà, a differenza di necesse est che designa necessità inequivocabile e assoluta (anche con “è ineluttabile, è fatale”; oportet esprime convenienza di carattere morale o pratico: “è conveniente, occorre”. Tota poetentia mea, abl. retto da opus est: Seneca ribadisce medesimo concetto: chi non ha mai subito colpi della fortuna inadatto a farvi fronte. Leui comminatione pelletur: coordinata Levi: abl. di lĕvis, lĕve: leggero; diverso da lēvis, e: liscio Comminatione: da radice verbo minor, aris “minaccia”: “basterà fargli un po’ di paura (perché venga respinto)” Pelletur, ind. futuro passivo da pello, is, pepuli, pulsum, ere: colpire Alius circumspiciatur: PP Alius, nom. di alius, alia, aliud: altro, diverso (fra molti) Circumspiciatur: cong. pres. III sg. passivo di circumspicio, circumspicis, circumspexi, circumspectum, circumspicere: esaminare, osservare, considerare: congiuntivo esortativo Cum quo conferre possimus manum: relativa Conferre, inf. di confero, fers, tuli, latum, ferre: portare insieme, riunire, ma anche “avvicinare”, specie in senso ostile: conferre manum cum aliquo: venire alle mani con qualcuno Possimus, cong. caratterizzante [me] pudet: PP Pudet: vergognarsi miseret, paenitet, piget, pudet, taedet: 1. miseret, miseritum est/miseruit: provare compassione 2. paenitet, paenituit, paenitere: pentirsi 3. piget, piguit, pigere: provare rincrescimento/fastidio 4. pudet, puditum est/puduit, pudere: vergognarsi 5. taedet, pertaesum est, taedere: annoiarsi, essere stanco impiegati sono alla III sg. (impersonali); persona che prova sentimento in accusativo cosa che suscita sentimento: - al genitivo se sostantivo o pronome; - al nominativo se è pronome neutro; - all’infinito se verbo; - quod/quia+cong. o indicativo; acc+inf; int.ind. se è proposizione Sibi, dat. Quosdam fastidio transit: coordinata Quosdam, acc. pl. di quidam, quaedam, quoddam: pron. indefinito: un certo/certuni Transit, ind. pres. di transeo, is, transii, transitum, transire Fastidio, abl. “per disdegno”; transit: “passa su di loro con disgusto” cioè “non li degna di uno sguardo” Contumacissimum quemque et rectissimum adgreditur: PP Contamicissumum quemque: tutti i più ribelli, come il Catone e il sapiens che stat rectus “senza curvarsi” sotto qualunque peso. Rectissimum: agg. “dritto, onesto” non è in gioco altezza d’animo ma inflessibilità di chi non si arrende alla fortuna Sententia ripropone e rielabora concetto precedente (fortissimos = contumacissimum quemque et rectissimum, tutti i più fieri e massici; quaerit = adgreditur, attacca) Aduersus quem uim suam intendat: relativa con sfumatura finale Intendat, cong. caratterizzante da intendo, is, intendi, intentum, intendere: tendere contro, muovere contro, “contro cui rivolgere” Adversus quem vim (acc. vis, roboris: forza, vigore) suam “contro il quale (intendat) dirige la sua forza (vim suam) Ignem experitur in Mucio, paupertatem in Fabricio, exilium in Rutilio, tormenta in Regulo, uenenum in Socrate, mortem in Catone: coordinata Con pacata concinnitas e struttura in climax culminante, con morte di Catone l’Uticense, già protagonista del capitolo precedente, Seneca presenta sei esempi, tratti dalle vicende di Roma, dedicandosi ad essi resto capitolo. Fortuna: soggetto, sottinteso Experitur, ind. pres. di experior, iris, expertus sum, iri: sperimentare, provare, mettere alla prova: aliquid experiri in aliquo: provare qualcosa su qualcuno (vim veneni experiri in servo: provare l’efficacia di un veleno su uno schiavo). Ignem, acc. di ignis, is: fuoco Paupertatem, acc. di paupertas, atis: povertà Exilium, acc. di exilium, exilii: esilio Tormenta, acc. pl. di tormentum, i: “le torture” Venenum, acc. Venenum, i: veleno Mortem, acc. mors, mortis Sen. tratterà una ad una le figure elencate. Mucio Muzio Scevola, si fece bruciare la destra per punirla di aver fallito il colpo contro Porsenna (Scaevola, “mancino”) Fabricio Gaio Fabrizio Luscino, console e trionfatore nel 282 e 278, nel 279 non si fece corrompere dall’oro di Pirro. Rutilio: Publio Rutilio Rufo, uomo politico e filosofo stoico, esiliato nel 94 a.C. per avr represso le malversazioni degli appaltatori delle imposte in Asia Minore, rifiutò la grazia di Silla. Regulo: Marco Attilio Regolo, suppliziato dai Cartaginesi nel 250 a.C. per aver sconsigliato il senato di accettare le loro proposte. Socrate: condannato a bere la cicuta nel 399 a.C. per non aver rinnegato. la sua predicazione filosofici. Esempi topici Magnum exemplum nisi mala fortuna non inuenit: PP Nei seguenti 3.5-14 Seneca approfondisce e sviluppa uno per uno exempla , che aveva annunciato al paragrafo precedente: attraverso drammatizzazione, intende dimostrare come avversità che mette alla prova il vir fortis si risolva in realtà a vantaggio di quest’ultimo. A eccezione di Socrate, figure prescelte derivano da storia romana: exemplum storico è espediente retorico usato spesso da Seneca per sostenere e illustrare argomentazioni (influsso retorica e diatriba); noto il rilievo che exempla tratti da storia nazionale avevano per etica e politica romana. Paragrafi 3.5-7 dedicati ai tre exempla di Mucio, Fabrizio, Rutilio si aprono e chiudono con stessa struttura sintattica: anafora interr. diretta (infelix est…?)+ quod; serie di interr. retoriche con le quali Sen. descrive condizione di autentica felicità (seppure nell’apparente sventura) del personaggio in questione: epifora di quid ergo? felicior esset, si…? con parziale variatio del terzo colon (quid ergo? felix est L. Sulla…? Silla è esempio negativo contrapposto a Rutilio). Ritmo scandito da parallelismi anaforici, soprattutto attraverso ripetizioni delle congiunzioni quod e si. 3.5 Infelix est Mucius / quod dextra ignes hostium premit / et [quod] ipse a se exigit erroris sui poenas, / quod regem / quem armata manu non potuit [fugare] / exusta fugat? / Quid ergo? felicior esset, / si in sinu amicae foueret manum? E’ forse sfortunato Mucio, perché preme la mano destra nel fuoco nemico (ignes hostium) e perché si assume su di sé (exigit a se) il castigo (poenas) del suo errore (erroris sui); perché con la bruciata (exusta) mette in fuga il re (fugat regem) che non era riuscito a mettere in fuga (non potuit fugare) con la mano armata (armata manu)? E quindi (quid ergo)? Sarebbe più fortunato (felicior esset), se riscaldasse la mano (si foveret manum) nel seno dell’amante (in sinu amicae) Infelix est Mucius: PP, diretta Interrogativa retorica priva di num. Infelix < in+felix, felicis “che produce frutti, fecondo”; valore dell’agg. si specializza in quello di “favorito dagli dei, fortunato, favorevole, propizio”; felicitas “fecondità, fertilità, fortuna” è derivato. Felix, agg. II classe a una uscita. In anafora con versi successivi riprende volutamente aggettivo presente nella vox di Demetrio ribadendone senso : vero infelix è chi non hai mai subito sventure, non certo esempi di fortezza qui presentati. Mucius: Muzio Scevola che, secondo la leggenda narrata da Livio, nel 507 aC avrebbe cercato di uccidere re etrusco Porsenna, che assediava Roma, e non essendoci riuscito, avrebbe dimostrato al nemico sprezzo del pericolo e delle torture che qualificava Romani, ponendo (premit) la sua mano destra su un braciere (ignes) finchè non venisse completamente bruciata: cognomen Scaevola dall’aggettivo scaevus, mancino. Quod dextra ignes hostium premit: causale Premit, ind. pres. di premo, is, pressi, pressum, premere: premere, stringere Dextra, abl. strumentale Ignes, acc. pl. ignis, is Hostium, gen. plur. di hostis, is Et [quod] ipse a se exigit erroris sui poenas: causale coordinata “Infliggere in prima persona a se stesso la pena (poenas) del proprio errore” Se-sui poliptoto e iperbato, che mette a fianco soggetto (ipse) e complemento riflessivo (a se) sono finalizzati a rimarcare la volontarietà e la piena coscienza dell’atto di Muzio. Exigit, da exigo, is, exegi, exactum, exegere: scacciare, espellere, bandire; poenas exigere ab aliquo o de aliquo o alicui: punire qualcuno Quod regem exusta [manu] fugat: causale Fugat, da fugo, as, avi, atum, are: tradizione filoromana racconta che Porsenna, impressionato da coraggio Romani, di Muzio, Clelia e Orazio Coclite, preferì abbandonare assedio della città; in questo senso Mucio ottenne con mano completamente bruciata ciò che non gli era riuscito con mano armata. Quem armata manu non potuit [fugare]: relativa Costr. Quod fugat exusta manu regem quem non potuit fugare armata manu Exusta: part. perf. abl. sg. di exuro, is, exussi, exustum, exurere (<ex+uro) “bruciata” Quid ergo? Felicior esset: PP, diretta, apodosi III tipo presente Esset, cong. imperf. di sum, es, fui, esse: consecutio del presente, che dà immediatezza al posto di un più logico fuisset-fovisseret Felicior: in figura etimologica con iniziale infelix, periodo ipotetico del III tipo rimarca che vera felicita Muzio l’ha ottenuta sottoponendosi ad una prova straziante, molto più che se avesse riscaldato (fovere) la sua mano nel seno dell’amante. Si in sinu amicae foueret manum: ipotetica, protasi Foveret, cong. imperfetto foveo, es, fovi, fotum, fovere: nutrire, riscaldare Amicae: come foveret e sinus: lessico scelto riporta a linguaggio galante dell’elegia latina. Aucupia: aucupium, ii: uccellagione, uccelli da cacciare peregrina, insoliti, esotici: per metonimia: “bottino della caccia, preda” Congereret, cong. imperfetto di congero, is, congessi, congestum, congerere: accumulare; congerere criminem in aliquem: incolpare qualcuno. “Se immagazzinasse”: nell’esaltazione della frugalità dei tempi antichi non poteva mancare come contraltare il quadro topico della decadenza edonisticaa della gastronomia al tempo di Senca, specchio di una più estesa e preoccupante decadenza morale. Il benessere generale, l’assenza di guerre, la rete dei trasporti e buon funzionamento dei servizi consentivano ai Romani ricchi un vitto a base di pesci provenienti da spiagge lontane e di uccelli stranieri. Si conchyliis superi atque inferi maris pigritiam stomachi nausiantis erigeret; ipotetica, protasi coordinata Conchyllis: “ostriche” Superi atque inferi maris: mare Adriatico “mare superiore” e mar Tirreno “inferiore” perché posto ovest. Stomachi nausiantis, part. gen. sg. di nauseo/io, as, avi, atum, are: soffrire mal di mare, essere schizzinoso Pigritiam “di uno stomaco disgustato” Erigereret, cong. imperfetto di erigo, erigis, erexi, erectum, erigere: stimolare, innalzare Si ingenti pomorum strue cingeret primae formae feras: ipotetica coordinata Cingeret, cong. imperfetto di cingo, is, cinxi, cinctum, cingere: cingere, circondare Strue, abl. di strues, is: catasta, mucchio, ammasso ingenti “con una grande catasta” pomorum “di frutti” Primae formae: gen. di qualità Feras, acc. primae formae, di grande taglia Captas multa caede uenantium: relativa con participio presente “Con una gran catasta di frutta cingesse cacciagione di grossa taglia catturata con grande strage di cacciatori” Captas: part. perf. riferito a feras, funzione attributiva (aggettivo o sub. relativa); Multa caede: abl. strumentale del mezzo “con molte perdite” Venantium: “di cacciatori” part. pres. gen. pl. sostantivato da veror, aris, venatus sum, venari “andare a caccia”; latino ha anche sost. venator, oris per designare cacciatore Disprezzo della vita altrui, sacrificata per permettere piacere effimero di un banchetto, è altro elemento topico della decadenza morale tante volte sforzata da Seneca. Rutilio, sdegnoso exemplum di onestà, è esaltato contrapponendovi Lucio Cornelio Silla: alla macabra descrizione delle stragi da lui perpetrate a Roma Seneca dedica ampio spazio, indulgendo al gusto del tempo, ma morale medesima: felicitas dipende da virtù, non da potere o successo, spesso ottenuti con sangue altrui. 3.7 Infelix est Rutilius / quod [ii] / qui illum damnauerunt / causam dicent omnibus saeculis? / quod aequiore animo passus est / se patriae eripi / quam sibi exilium [eripi]? / quod Sullae dictatori solus aliquid negauit / et [quod] reuocatus tantum non retro cessit / et [quod] longius fugit? / 'Viderint' / inquit / 'isti / quos Romae deprehendit felicitas tua: / uideant largum in foro sanguinem et supra Seruilianum lacum / (id enim proscriptionis Sullanae spoliarium est) / senatorum capita et passim uagantis per urbem percussorum greges et multa milia ciuium Romanorum uno loco post fidem, immo per ipsam fidem trucidata; / uideant ista / qui / exulare / non possunt.' E’ forse sfortunato rutilio perché quelli che lo condannarono (qui illum damnaverunt) dovranno risponderne (causam dicent) a tutti i secoli (omnibus saeculis). Perché sopporto (passus est) con animo più sereno, di essere (se, sogg.) strappato alla patria, piuttosto che (quam) a sé l’esilio (sibi exilium)? Perché fu il solo (solus) a negare qualcosa (negavit aliquid) al dittatore Silla. E perché una volta richiamato in patria (revocatus) per poco non tornò indietro (tantum non cessit retro) e fuggì lontano (longius). Se la vedano” (viderint) disse “costoro che (quos) la tua fortuna (felicitas tua) ha sorpreso a Roma (deprehendit Romae): vedano (videant) il sangue sparso nel foro (sanguinem largum in foro), e sul lago Servilio (et supra Servilianum lacum) (questo è infatti il mattatoio (spoliarum) delle proscrizioni di Silla) le teste dei senatori (senatorum capita) e bande di assassini vagare qua e là (passim percussorum vagantes) per la città (per urbem) e molte migliaia di cittadini romani (multa milia civium Romanorum) trucidati (trucidata) in un sol luogo (uno loco) dopo la parola ad essi data, (post fidem) anzi proprio a causa di essa (immo per ipsa fidem); vedano queste cose (videant ista) coloro che non possono essere esiliati. (qui non possunt exulare). Infelix est Rutilius: PP Rutilius: Publio Rutilio Rufo, console nel 105 aC e simpatizzante Stoicismo, fu vittima di vendetta politica da parte dei cavalieri, che non gli perdonavano la severità nel governo provinciale e contrasto di ogni forma di malversazione e corruzione. Gli fu intentato processo- farsa dal quale uscì condannato proprio per reati che aveva strenuamente combattuto, finendo giorni in esilio in Asia Minore. Quod [ii] causam dicent omnibus saeculis: causale “Quelli che lo hanno condannato dovranno perorare la propria causa di fronte a tutte le generazioni a venire” Causam dicent: causam dicere è locuzione del lessico giuridicoo: “difendere, difendersi” Omnibus saeculis: dat. per metonimia Qui illum damnauerunt: relativa Damnaverunt, ind. perfetto di damno, as, avi, atum, are “condannare, obbligare a” - con gen. o de+abl. della colpa: damnare aliquem maiestatis: condannare uno per lesa maestà - con crimen + gen.: damnare aliquem crimine affectati regni: condannare uno per il crimine di aspitare al regno - con abl.: eo nomine erat damnatus: era stato condannato per tale imputazione - con ob/proter+acc.: damnari propter dicendi inscientiam: essere condannatoo per inesperienza nel dire - con abl. o a, ab+abl. damnari populi iudicio: essere condannato a giudizio di popolo; ab aliquo damnari: essere condannato per sollecitazione di uno - con quod + ind; o cong. della causa: damnatus quod milites Romanos praebuisset: condannato di aver fornito soldati eomani - con inf.: contra edictum fecisse damnabere (=damnaberis): sarai condannato per aver agito contro le prescrizioni - con abl. o gen. o ad+acc. della pena: damnare capite o capitis: condannare a morte; damnare aliquem votis: condannare uno al compimento dei suoi voti = esaudire il deiderio di uno - con ad+acc. damnare ad bestias: condannare a combattere con le fiere - con ut+cong: damnatur ut procul regno teneretur: è obbligato a tenersi lontano dal regno - damnare fidem alicuius: respingere la fedeltà di uno, non fidarsi di uno Quod aequiore animo passus est: causale “Perché sopporto con più calma, con maggiore serenità” Costr. Passus est aequiore animo (con animo più sereno) se eripi patriae (che egli fosse tolto alla patria, andando in esilio) quam exilium (eripi) sibi: Rutilio non volle “che gli fosse tolto l’esilio” perché nell’85 aC non accettò invito di Silla a torna a Roma, in quanto tale ritorno non sarebbe avvenuto in modo conforme alle leggi, ma sarebbe stata forzatura imposta da generale sulla sola base di una posizione di forza miliare. Passus est: ind. perfetto di patior, eris, passus sum, pati: sopportare, tollerare Aequore animo: con animo più sereno, aequore comp. abl. di aquor; sup. aequissimus di aequus, a, um; aequo animo: “con calma, tranquillamente, serenamente, con pazienza (con verbi ferre, accipere: sopportare) Se patriae eripi: infinitiva oggettiva “Di essere (se, sogg.) strappato alla patria” Poliptoto del pronome riflessivo (se-sibi) e chiasmo sintattico se : patriae = sibi : exilium (accusativo : dativo = dativo : accusativo). Eripi, inf. pass. di eripio, eripis, eripui, ereptum, eripere: da ex+rapio con apofonia latina: “strappare via” + dativo (patriae) Quam sibi exilium [eripi]: comparativa “Che (essere strappato) all’esilio?” lett. “piuttosto che che l’esilio fosse strappato a lui” Quam: comparativa corrisponde al II termine di paragone dopo comparativo di maggioranza (comparativa accorciata con verbo sottinteso) Exilium, acc. di exilium, i Sibi, dat. Quod Sullae dictatori solus aliquid negauit: causale Sullae dictatori: dopo aver sconfitto i suoi avversari nella seconda fase della guerra civile, con battaglia di Porta Collina (82 a.c.) Lucio Cornelio Silla (138-78 a.c.) divenne signore dello stato romano, che restaurò in senso oligarchico. Assunse titolo di dittatore e cognomen di Felix. Anni della sua dittatura (deposta nel 79 a.C.) videro enorme spargimento di sangue di cittadini Exulare: infinitiva Exulare: andare in esili 3.8 Quid ergo? felix est L. Sulla / quod / illi descendenti ad forum / gladio summouetur, / quod / capita sibi / consularium uirorum patitur / ostendi / et [quod] pretium caedis per quaestorem ac tabulas publicas numerat? / Et haec omnia facit ille, / ille qui legem Corneliam tulit. E allora? È forse fortunato Lucio Silla, perché mentre scende al foro (descendenti ad forum) gli si deve far largo con la spada (summovetur illi gladio), perché permette (quod patitur) che gli vengano mostrate (ostendi sibi) le teste (capita) degli ex-consoli (consularium virorum) e ne fa pagare (numerat), il prezzo della strage (pretium caedis) per mezzo del questore (per quaestorem), a spese pubbliche (ac tabulas publicas)? E ciò lo fa proprio (et haec omnia facit ille) quello stesso uomo (ille) che ha presentato (tulit) la legge Cornelia (legem Corneliam). Quid ergo? Felix est L. Sulla: PP, diretta Seneca recupera per ultima volta medesima movenza dei paragrafi precedenti, ma con variazione che oggetto della domanda retorica non è infelicitas di un saggio, ma fasulla felicitas di un tiranno. Quod illi gladio summouetur: causale “Si fa strada con la spada a lui che scende al foro” Summovetur, ind. pres. passivo III sg. di summoveo, es, summovi, summotum, summovere: verbo tecnico, designa azione del “farsi largo, sgomberare” da parte del littore, che con una verga (gladio) disperdeva la folla per far passare il magistrato. Qui Silla si fa strada non con la virga ma con la spada: dettaglio violento, per dire che dittatore era accompagnato, oltre che da littori, da stuolo di guardie armate. Verbo usato impersonalmente. Gladio: abl. di mezzo Descendenti ad forum: participio congiunto valore temporale Illi dat. si riferisce a Silla Descendo verbo tecnico per dire azione di “presentarsi” nel foro; il foro collocato in basso rispetto sette colli; verbo acquisì valore di “scendere in campo, presentarsi in pubblico” Quod consularium uirorum patitur: causale Capita sibi ostendi: infinitiva oggettiva Capita, acc. pl. di capitum, i Ostendi, inf. passivo di ostendo, is, i, ostentum, ostendere Patitur ostendi: Sen. si sofferma ancora una volta sui dettagli macabri dell’azione; con patitur sottolinea responsabilità del dittatore, al corrente delle violenze perpetrate dai suoi. Et [quod] pretium caedis per quaestorem ac tabulas publicas numerat: causale Pretium caedis: taglia, perché assassini dei proscritti venivano ricompensati a spese dello stato. Seneca vuole ancora una volta segnalare paradosso di una arbitrarietà assoluta cui Sulla vuol dar parvenza della legalità: non può essere felicitas. Quaestor, responsabile dell’erario; Tabulae publicae libri contabili dello stato Numerat, sincopato di numeravit, da numero, as, avi, atum, are: “contare moneta”, “pagare” Et haec omnia facit ille: PP Ille qui legem Corneliam tulit: coordinata Legem Corneliam: lex Cornelia de sicariis et veneficiis, promulgata da Silla nell’81 a.C. contro omicidi e avvelenamenti: Cornelius era nomen di Silla. Ille… ille: enapalessi o geminatio: raddoppiamento enfatico dello stesso elemento, al centro del periodo, a inizio o fine Tulit, ind. perfetto di fero, fers, tuli, latum, ferre Dopo exemplum di onestà, altro di leggendario, di lealtà e sopportazione: Atilio Regolo. Anche qui Seneca elabora quadro della virtus per contrapporvi esempio opposto, quello di Mecenate, collaboratore di Augusto, frequente obiettivo di strali polemici per raffinatezza decadente e morbosa. 3.9 Veniamus ad Regulum: / quid illi fortuna nocuit / quod illum documentum fidei, documentum patientiae fecit? / Figunt cutem claui / et / quocumque fatigatum corpus reclinauit, / uulneri incumbit; / in perpetuam uigiliam suspensa sunt lumina: / quanto plus tormenti [erit] / tanto plus erit gloriae. / Vis scire / quam non paeniteat hoc pretio aestimasse uirtutem? / refige illum / et mitte in senatum: / eandem sententiam dicet. E veniamo a Regolo: in che modo l’ha danneggiato la sorte (quid illi fortuna nocuit) perché l’ha reso quel famoso (quod illum fecit) esempio di fedeltà (documentum fidei) e di sopportazione (documentum patientiae)? I chiodi (clavi) gli si conficcano (figunt) nella pelle (cutem) e dovunque appoggia (reclinavit) il suo corpo stremato (fatigatum corpus), si procura (incumbit) una ferita (vulneri); i suoi occhi (lumina) sono sospesi (sunt suspensa) in un’eterna veglia (in perpetuam vigiliam): quanto maggiori sono i suoi tormenti (quanto plus tormenti), tanto più grande sarà la sua gloria (tanto plus erit gloriae). Vuoi sapere (vis scire) quanto non si penta (quam non paeniteat) di aver pagato (aestimavisse) il suo coraggio (virtutem) a questo prezzo (hoc pretio)? Schiodalo (refige illum) e mandalo in senato (mitte in senatum): la sua decisione sarà la stessa. (eandem sententiam dicet). Veniamus ad Regulum: PP Regulum: Marco Attilio Regolo fu eletto console nel 267 a.C., combattè contro città greche di Puglia e Lucania dopo sconfitta di Pirro; fu eletto console seconda volta nel 256 a.C. nel pieno della prima guerra punica; giustiziato e torturato da Cartaginesi nel 250 a.c. per aver convinto senato a non accettare le loro proposte. Fin qui dati storici; quel che segue e che rende conosciuto il nome di Regulum invenzione tradizione annalistica romana finalizzato a corprire con storia esemplare la vergogna di una sconfitta sul campo: Regolo sarebbe tornato a Roma con incarico di perorare pace e dietro promessa di tornare a Cartagine, qualora non fosse riuscito ad ottenere risultato sperato dal nemico. Una volta in patria, avrebbe esortato senato a rifiutare proposte dei Cartagineesi e poi, per non venire meno alla parola data, sarebbe tornato in Africa, dove sarebbe stato poi ucciso. Quid illi fortuna nocuit: PP, diretta Nocuit, ind. perf. di noceo, es, nocui, nocitum, nocere: assoluto o + dat.: nuocere, recare danno Illi, dat Quod illum documentum fidei, documentum patientiae fecit: causale Documentum: “esempio, prova” ma anche “dimostrazione, insegnamento”: sost. deverbativo, deriva da doceo: -men, inis (come flumen, inis da fluo) e -mentum, i sono suffissi che formano nomina rei actae, sostantivi che designano risultato di un’azione. Regolo aveva dato la parola (fides) di tornare Cartagine se Senato avesse respito proposte cartaginesi. Delle due virtutes in luce, la prima, quella tradizionalmente più legata a Regolo, si concentra sulla patientia. Figunt cutem claui: PP A Regolo Sen. contrappone esempio negativo di Mecenate, angosciato a causa della sua eccessiva fortuna; descritto motivo del sapiens più felice del gaudente, consolidato nella letteratura filosofica: gaudente è rappresentato da Mecenate (69-8 a.C.), consigliere di Augusto, influente protettore di letterati e artisti, e per Seneca “prototipo dell’effeminato, nella vita e nei versi”. 3.10 Feliciorem ergo tu Maecenatem putas, / cui amoribus anxio et morosae uxoris cotidiana repudia deflenti somnus per symphoniarum cantum ex longinquo lene resonantium quaeritur? / Mero se licet sopiat / et aquarum fragoribus auocet / et mille uoluptatibus mentem anxiam fallat, / tam uigilabit in pluma quam ille in cruce; / sed illi solacium est / pro honesto dura tolerare / et ad causam a patientia respicit, / hunc uoluptatibus marcidum et felicitate nimia laborantem magis iis / [ii] quae patitur / uexat causa patiendi. Dunque tu ritieni (putas) più fortunato Mecenate? Dal quale (cui) disperato per pene d’amore (anxio amoribus) e mortificato per i quotidiani rifiuti (deflenti cotidiana repudia) di una moglie bisbetica (morosae uxoris), viene cercato (quaeritur) il sonno (somnus, sogg.) per mezzo della musica di un’orchestra che suona (resonantium) dolcemente da lontano (ex lonquinquo lene) Si addormenti pure col vino, (mero se licet sopiat) si distragga (avocet) con lo zampillio di fontane (aquarum fragoribus) e inganni (fallat) il suo spirito ansioso (axiam) con mille piaceri (mile voluptatibus): rimarrà desto (vigilabit) sul suo letto di piume (in pluma) come quello sulla croce (qua mille in cruce). Ma per quello è di conforto (illi solacium est) il patire atroci tormenti (tolerare dura) per la sua lealtà (pro honesto) e distoglie lo sguardo (respicit) dal patimento (patientia) alla sua causa (ad causam), infiacchito dai piaceri (voluptatibus marcidum) e stanco per l’eccessiva fortuna (laborantem felicitate nimia), è tormentato più dalla causa del suo patire (magis iis vexat causa patiendi) che dalle stesse sofferenze. (quae patitur) Feliciorem ergo tu Maecenatem putas: PP, diretta Feliciorem: agg. di grado comparativo, predicativo dell’oggetto (Maecenatem): ripete con minime varianti formale schema sezione precedente (Felix est) sempre con proposizione interrogativa enfatica senza particella e contrapponendo all’exemplum positivo personaggio storico di levatura morale diversa. Maecenatem: epicureo coltissimo, collaboratore di Augusto e suo “ministro della cultura”; se passato alla storia per caratteristiche positive, che anno reso il suo nome sinonimo di “protettore delle arti”, quadro che ne presenta Seneca è opposto, centrato sulla cesura della sua effeminatezza. Putas, ind. pres. puto, as, avi, atum, are: credere Cui amoribus anxio et morosae uxoris cotidiana repudia deflenti somnus per symphoniarum cantum ex longinquo lene resonantium quaeritur: relativa Costr. Cui (per il quale, dal quale) anxio amoribus (angosciato dalle sue storie d’amore) et deflenti (e costretto a compiangere) cotidiana repudia uxoris morosae (sulle note di melodie) lene (avverbiale) resonantium (orchestre che suonano dolcemente) ex longinquo. Cui… anxio… deflenti: dativi. Cui: dativo d’agente, corrisponde a costrutto ab+abl.; nella prosa classica utilizzato con gerundivo, ma anche con participi pf. passivi (cognitus, compertus, accertato, auditus) e con forme derivate da verbi probari (riuscire gradito), quaeri (essere ricercato) Amoribus anxio: allitterazione, ripresa anche da coppie somnus per symphoniarum e ex longinquo lene: “allitterazione dell’angoscia” in /a/ Amoribus: pl. dà concretezza all’astratto e allude alle alterne vicende della relazione fra Mecenate e moglie Terenzia; cotidianus iperbolico, rimanda a reciproche infedeltà Mecenate che portarono a divorzio. Anxio: anxius è agg. di registro alto, ha valore sia attivo (angosciante) sia passivo (ansioso, angosciato); in Sen. per lo più con valore passivo per designare stato di ansia permanente e patologico; radice del verbo ango (angere) che significa “chiudere (la gola), opprimere”. Aggettivo ripreso poco dopo (mentem anxiam) Deflenti, part. pres. dat. di defleo, es, deflevi, defletum, deflere: compiangere, lamentare, rimpiangere qualcuno o qualcosa Per symphoniarum cantum / ex longinquo lene: si riteneva che canto, musica e lieve scorrere dell’acqua aiutassero a prendere senno; Orazio nega invece che canto e musica possano conciliare sonno di un animo irrequieto Symphoniarum: gruppi di cantanti o musicisti che vivevano nelle case dei ricchi e si esibivano per loro soprattutto durante banchetti Ex longinquo: “a distanza” Lene: acc. n. pl. dell’agg. lenis, lene “dolce, delicato” con funzione avv. Resonantium, part. pres. gen. pl. di resono, as, avi, atum, are: risuonare, rieccheggiare Quaeritur, ind. pres. passivo di quaero, eris, quaesii, quaesitum, quaerere Mero se licet sopiat: concessiva soggettiva Licet, licuit o liticum est, ere Licet è forma verbale impersonale; nel suo pieno valore di verbo (è lecito, è permesso) è unito all’infinito; con congiuntivo (dei tempi principali) al quale si unisce parattaticamente (senza ut) conferisce valore concessivo al verbo, cristallizzandosi al presente ind. senza il dativo della persona. Mero [vino]: “con il vino puro” abl. di merus, a, um: puro, assoluto, non mescolato: riprende topos del vino come cura a tutti i mali; merum mentre Romani allungavano con acqua il vino. Sopiat, cong. pres. di sopio, is, ii, itum, sopire valore conativo (cercare di prendere sonno). Congiuntivo concessivo (come seguenti) espongono disperati tentativi di Mecenate per trovare tranquillità interiore attraverso abitudini proprie della società decadente e corrotta del tempo: addormentarsi ubriacandosi con vino (merum); distrarsi (avocet) con suono fontane e cercare di ingannare con piaceri mente carica di angosce (anxiam). Et aquarum fragoribus auocet: concessiva coordinata Avocet, cong. pres. di avoco, as, avi, atum, are: distrarsi; sottintende se Aquarum frigoribus: “con il fragore delle acque” Romani credevano che rumore dell’acqua conciliasse secondo Sen. Et mille uoluptatibus mentem anxiam fallat: concessiva coordinata Fallat, cong. pres. da fallo, is, fefelli, falsum, ere: ingannare Tam uigilabit in pluma quam ille in cruce: PP comparativa Tam… quam: correlazione comparativa In pluma: singolare collettivo (pluma, ae) designa per sineddoche il letto di piume In cruce: ille è Regolo, che però non fu crocifisso ma rinchiuso in una machina con dei chiodi; crux può indicare un generico strumento di tortura o la tortura in sé Vigilabit, ind. futuro semplice da vigilo, as, avi, atum, are: “stare sveglio, rimanere sveglio” Sed illi solacium est: PP Solacium est: espressione impersonale da cui dipende infinitivia Solacium, ii: esse alicui solacio: essere di conforto a qualcuno Illi, dat. di vantaggio (=per Regolo) Pro honesto dura tolerare: infinitiva soggettiva Tolerare, inf. di tolero, as, avi, atum, are Et ad causam a patientia respicit: coordinata allla PP Respicit, ind. pres. di respicio, is, respexi, respectum, respicere Hunc uoluptatibus marcidum et felicitate nimia laborantem magis iis uexat causa patiendi: coordinata alla PP Costr. Causa patiendi (la causa del suo penare) vexat (tormenta) hunc, marcidum (depravato da) voluptatibus et laborantem (sofferente per) felicitate nimia, magis iis (II termine di paragone) quae patitur (più che le pene di cui soffre). Laborantem: laboro “soffro” + abl. causa felicitate nimia “eccessiva fortuna” Vexat, ind. pres. di vexo, as, avi, atum, are [ii] quae patitur: relativa Come per Silla, felicitas ingannevole e apparente, basata su beni esteriori (pottere per dittatore, piaceri per Mecenate) non porta felicità.