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"Anfitrione" e "Menecmi", Plauto, Traduzioni di Lingua Latina

Testi delle commedie plautine "Anfitrione" e "Menecmi" con traduzione e analisi grammaticale.

Tipologia: Traduzioni

2015/2016
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Caricato il 09/09/2016

CeciCaselli
CeciCaselli 🇮🇹

4.4

(12)

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica "Anfitrione" e "Menecmi", Plauto e più Traduzioni in PDF di Lingua Latina solo su Docsity! Bibliografia di riferimento Edizioni e commenti: Plautus. Amphitruo, edited by D.M. Christenson, Cambridge 2000 (edizione inglese con note); Tito Maccio Plauto, Anfitrione. A cura di R. Oniga, introduzione di M. Bettini, Venezia 19973 [19911] (traduzione con note); T. Macci Plauti Amphitruo, edited with Introduction and Notes by A. Palmer, London-New York 1890 (edizione inglese con commento); A. Traina, Comoedia. Antologia della Palliata, Padova, Cedam, 20005. Studi: J. B. Hofmann, La lingua d’uso latina, Bologna 20003 , W. M. Lindsay, Syntax of Plautus, Oxford 1907, A. Traina-Bertotti, Sintassi normativa della lingua latina, Bologna 19851, A. Traina-G. Bernardi Perini, Propedeutica al latino universitario, Bologna 19986. Plauto, Anfitrione, vv. 50-63 (Prologo) Nunc quam rem oratum huc ueni primum proloquar; 50 post argumentum huius eloquar tragoediae. Quid contraxistis frontem? Quia tragoediam dixi futuram hanc? Deus sum, commutauero. Eandem hanc, si uoltis, faciam ex tragoedia comoedia ut sit omnibus isdem uorsibus. 55 Vtrum sit an non uoltis? Sed ego stultior, quasi nesciam uos uelle, qui diuos siem. Teneo quid animi uostri super hac re siet: faciam ut commixta sit tragico comoedia: nam me perpetuo facere ut sit comoedia, 60 reges quo ueniant et di, non par arbitror. Quid igitur? Quoniam hic seruos quoque partes habet, faciam sit, proinde ut dixi, tragicomoedia. Ora dirò innanzi tutto che cosa sono venuto qui a trattare; poi esporrò l’argomento di questa tragedia. Perché avete aggrottato la fronte? Perché ho detto che questa sarà una tragedia? Sono un dio, in un attimo la cambierò. Questa stessa, se volete, io farò in modo che da tragedia sia una commedia con tutti i medesimi versi. Volete che lo sia o no? Ma io che sciocco, come se non sapessi che voi lo volete, dal momento che io sono un dio! Capisco che cosa pensate nel vostro animo su questa cosa. Farò in modo che sia una commedia mista di tragico: infatti non mi sembra giusto che io faccia in modo che sia dall’inizio alla fine una commedia, nella quale invece partecipano re e dei. E allora? Poiché anche un servo ha la sua parte qui, farò in modo che sia, come ho detto, una tragicomedia. 50. Quam rem … ueni: interrogativa indiretta all’indicativo. primum: (accusativo avverbiale) precedenza in ordine di importanza (“come prima cosa, in primo luogo”; in senso temporale = “per la prima volta”), primo è la precedenza in ordine di tempo (“da principio, in un primo tempo”). Antea (ante) indica infine l'anteriorità rispetto ad un momento dato (“prima di allora, per l'addietro”), cf. Traina-Bertotti, Sintassi, p. 200: Tunc primum ignota antea uocabula reperta sunt, «allora per la prima volta si trovarono vocaboli prima ignoti». oratum: oro (qui al supino finale – in unione con il verbo di moto, ueni) è originariamente verbo della lingua religiosa e giuridica, con il senso di «pronunciare una formula rituale, pregare» o «perorare» una causa. Come «fare un’ambasciata», «esporre, a trattare» lo intendono Ernout e Traina, mentre Oniga pensa piuttosto al valore di «pregarvi». La frase riprende il sema dell’orare che è su cui Mercurio insiste nel prologo cf. vv. 19s. Iouis iussu uenio: nomen Mercuriost mihi: / pater huc me misit ad uos oratum meus, (dove comunque può avere valore di «fare un’ambasciata»), 32s. propterea pace aduenio et pacem ad uos fero. / Iustam rem et facilem esse oratam a uobis uolo. / Nam iuste ab iustis iustus sum orator datus («Perciò vengo pacificamente e vi porto la pace: voglio ottenere da voi una cosa semplice e giusta. Perché io sono un ambasciatore giusto, mandato a chiedere una cosa giusta a uomini giusti») e anticipazione del v. 64 Nunc hoc me orare a uobis iussit Iuppiter … Nelle proposizioni finali si può incontrare: 1) ut + cong. (negaz. ne): legati uenerunt ut pacem peterent, “gli ambasciatori vennero per chiedere pace” (per la consecutio temporum si ha di regola un rapporto di contemporaneità); 2) quo + cong., in presenza di un comparativo: legati uenerunt quo aequiorem pacem peterent “gli ambasciatori vennero per chiedere una pace più giusta”; 3) ad+ acc. del gerundio o gerundivo: legati uenerunt ad pacem petendam; 4) causa, gratia + gen. del gerundio o gerundivo: legati uenerunt pacis petendae gratia; 5) supino in -um, con verbi di moto: legati uenerunt pacem petitum. 51. post … eloquar: prosegue primum proloquar. E verbo tecnico dei prologhi espositivi, cf. v. 17s. Nunc quoius iussu uenio et quam ob rem uenerim, / dicam simulque ipse eloquar nomen meum. tragoediae: con ¢prosdÒkhton al posto dell’atteso comoediae (vv. 95s. nunc --- animum aduortite, / dum huius argumentum eloquar comoediae. 52. Quid: «perché». Pronome interrogativo all’accusativo di relazione (lett. «riguardo che cosa»). contraxistis frontem: la reazione non è solo dovuta all’inatteso termine tragoediae, ma anche al fatto che la tragedia riscuoteva meno successo della commedia (è criticata tra l’altro da Lucilio, Orazio e Persio). 53s. quia tragoediam / dixi: proposizione causale oggettiva (verbo della principale sottinteso è contraxistis …). Le causali sono introdotte da: - quod, quia e quoniam + indicativo: causa oggettiva, considerata come reale + congiuntivo: causa soggettiva: supposta o riferita - cum + congiuntivo tutti i tempi - quando, quandoquidem, siquidem + indicativo: causa soggettiva - ut qui, quippe qui, utpote qui + congiuntivo (relative causali) Es. non quod te oderim, sed quia parum studes, te uitupero “ti rimprovero non perché ti odi (c. supposta e negata), ma perché studi poco” (c. reale) hanc futuram (esse): «che questa sarà (una tragedia)»: infinitiva oggettiva. commutauero: l’idea di istantaneità e rapidità dell’intervento divino è espressa mediante il futuro anteriore, ad indicare azione compiuta nel futuro, ed insieme dal preverbio cum, qui con valore perfettivizzante e non sociativo (cf. Traina- Bernardi Perini, Propedeutica, pp. 214s., con l’esempio di lacrimo, «sono in lacrime», collacrimor «scoppio in pianto» etc.). 54s. Eandem hanc … faciam ex tragoedia / comoedia ut sit: costrutto dovuto alla fusione di due espressioni: eandem hanc faciam ex tragoedia comoediam e l’espansione del complemento predicativo nella proposizione sostantiva ut sit comoedia … (in modo analogo alla anticipazione del tipo oda se Óstij e, spesso in Plauto con il verbo facio, cf. Pers 414, possum te facere ut argentum accipias «posso far sì che tu riceva del denaro» o in Most. 389 faciam tuum … ut fugiat longe ab aedibus «farò in modo che tuo padre se ne vada lontano da casa»; e la trattazione di Lindsay, pp. 27s., e Christenson, pp. 147s.). 56. Vtrum sit an non uoltis? In correlazione a utrum, oppure a –ne, la congiunzione an viene impiegata nelle interrogative per introdurre disgiunzione (es. unusne sit an duo “sia uno solo o più”). Voltis con dissimilazione fonica (uu a partire dall’età augustea). Sed ego stultior: con omissione di sum propria del parlato. Il senso è rafforzativo, più che comparativo: cf. Merc. 930s. ego stultior, / qui isti credam «sono proprio sciocco a credere a costui». 57. quasi nesciam: comparativa ipotetica con il congiuntivo. uos uelle: infinitiva oggettiva; il verbo volo è ripetuto 8 volte nel prologo (vv. 1, 5, 9, 13, 39, 54, 56) in riferimento al volere degli spettatori, nell’ambito di una captatio beneuolentiae (cf. Christenson). Per l’alternanza radicale uel-/uol-, (non indoeuropea) dipendente dalla natura della -l-: 1) con -l- palatale (dinanzi i/l) si ha e (es.: uelle; uelim) 2) con -l- velare (dinanzi a, o, u e consonante) si ha e>o>u (es.: uolt>uult; uolunt). Alla 2a pers. sing. al posto di uel-s > uell si ha un suppletivismo da uis corradicale di inuitus: cf. Traina-Bernardi Perini, Propedeutica, pp. 188s. qui diuos siem: relativa impropria (al congiuntivo) con valore causale, «poiché sono un dio». diuos: allotropo di deus (deiuos), la cui declinazione regolare doveva essere deus, diui, diuo, deum, diue, diuo(d); di, deum (<*diuom), dis, diuos. Ma a partire dal nominativo deus si è formata una declinazione normalizzata, autonoma rispetto a quella di diuos, che in età augustea è stato confinato alla lingua poetica e limitato a designare personaggi divinizzati come il diuus Augustus. Cf. Propedeutica p. 161. siem: originario ottativo aoristo (gr. e‡hn): sim si è formato per analogia dalle forme del plurale simus, sitis, sint. 58. quid animi uestri … siet: interrogativa indiretta al congiuntivo. Quid animi uestri, lett. «che cosa del vostro animo sia riguardo …» con genitivo partitivo (animus è la totalità), particolarmente prediletto da Plauto (cf. espressioni come quid rerum, hoc negoti, hoc operis, etc. v. Lindsay, pp. 16s.). Animus est quo sapimus, anima qua uiuimus «l'animus è quello grazie al quale abbiamo il senno, l'anima quella grazie alla quale siamo vivi» (anima = principio animale della vita, soffio vitale, mentre animus = princ. spirituale, ragione, la nostra ital. “anima”). 59. ut commixta sit tragico comoedia: subordinata sostantiva volitiva introdotta da faciam; Plauto prepara per gradi l’ascoltatore al nuovo conio del v. 63, tragicomoedia, «mostrandone la genesi e isolandone gli elementi costitutivi» (Traina). Il richiamo del v. 63 faciam sit, proinde ut dixi, tragicomoedia (dove però i codici hanno, come al v. 59, tragico comoedia, che è contra metrum), non va dunque inteso nel senso che già al v. 59 si trovi il termine tragicomoedia (come pensano Leo, Lindsay ed ora anche Christenson, che perciò devono integrare una sillaba (sit) ed espungerne un'altra [co]: faciam ut commixta sit; <sit> tragico[co]moedia «farò sì che sia mescolata: che sia una tragicommedia»); piuttosto, si dovrà intendere che è stato già esposto il presupposto di questo nuovo genere. non par arbitror: principale ut sit comoedia: sub. sostantiva, 2° gr. me…facere: subordinata infinitiva ogg. 1°gr. quo veniant (reges) et di: sub. relativa 3° gr. 60. perpetuo: «dall’inizio alla fine»: cf. perpes, -etis, perpetuus, «che avanza in maniera continua, ininterrotta, perpetua» (Ernout-Meillet 499), formato dalla radice di peto. 61. quo ueniant: nel cong. della relativa Traina coglie un valore avversativo. L’idea è: «Non mi sembra giusto far sì che sia una commedia, mentre vi partecipano dèi e re»: nella trad. il valore avversativo è indicato da «invece». 62. Quid igitur?: fa parte di quelle che Hofmann (pp. 156ss.) definisce «formule interrogative meccanizzate», del tipo di quid ais (tu), con il solo scopo di richiamare l’attenzione su qualcosa. 62. Quoniam … partis habet: causale oggettiva, con l’indicativo, cf. al v. 53. partis: con desinenza di acc. plur. propria dei temi in -i- della 3a declinazione (uscita estesa anche ai temi in consonante per tutta l’età repubblicana e augustea). Pars < *parti-s, con tema in -i- con nominativo sigmatico, caduta della i interna e in seguito della sibilante dinanzi dentale (cf. mons, montis; gens, gentis). Il tema in -i- è evidente al gen. plur. partium (cf. Traina-Bernardi Perini, Propedeutica, pp. 154ss.; Ernout, Morphologie historique, pp. 55s.) quoque: «anche» un servo, come i re. Quoque (posposto) aggiunge livellando (tu quoque = anche tu, come gli altri), mentre etiam aggiunge isolando (etiam tu = persino tu, in più degli altri). faciam sit: qui la sostantiva è espressa senza ut. Le proposizioni sostantive si possono dividere a) Secondo le funzioni in 1) soggettive, se fanno da soggetto: bene est te hoc facere, 2) oggettive, se fanno da oggetto: scio te hoc facere, 3) epesegetiche, se costituiscono la epesegesi di un pronome neutro soggetto o oggetto: illud bene est, te hoc facere; hoc scio, te hoc facere b) Secondo la forma in 1) infinitive con l'accusativo o il nominativo + INF. 2) dichiarative con QUOD + IND. 3) sostantive + CONG. 2 404. hac noctu: analogico di diu, locativo originario di dies (da un tema *noctu- lo fanno derivare Ernout-Meillet). Forma arcaica, attestata a partire da Nevio (bell. Poen. 5ss Bl. amborum uxores / noctu Troiad exibant capitibus opertis / flentes ambae, abeuntes, lacrimis cum multis «le mogli di entrambi uscivano da Troia la notte, con il capo coperto, ambedue piangendo, andndosene con molte lacrime»), ma conservata per tutta la latinità. Persico: secondo Fest. 238,10 L. il porto Persiano sarebbe un porto nel mare dell’Eubea non lontano da Tebe, così detto perché vi avrebbe fatto scalo la flotta dei Persiani. In realtà non è improbabile che si tratti dell'invenzione di un grammatico e che Plauto abbia qui creato per Tebe un porto analogo al Pireo di Atene, usuale scena della commedia nuova. Prima di ex portu solitamente si integra huc (così ora anche Christenson), ma Palmer, per evitare la ripetizione, ha suggerito nauis nostra <in portum>. 405. erus: corrispondente affettivo del giuridico dominus, spesso in bocca ad un servo, cf. anche il femminile al v. 452 Nonne erae meae nuntiare quod erus meus iussit licet? «non mi è forse permesso annunciare alla mia padrona ciò che il mio padrone ha ordinato?» (parla Sosia). 406. aedis nostras: aedis = aedes, acc. plur. (si tratta di una forma originaria di accusativo); al plurale – individualizzante – indica la casa come insieme di ambienti (cf. fores, «battenti» e dunque «porta»); al sing. il «tempio», dal valore di «luogo dove si accende il fuoco, focolare» del dio (radice di aestas, aestus). mihist = mihi est; mihi est lanterna è un dativo di possesso. 407. contudit: da contundo, con preverbio perfettivizzante, e quindi «aspect “determiné”» (Ernout-Meillet). L’infisso nasale, durativo, non si trova naturalmente nel tema del perfetto raddoppiato – con assimilazione alla vocale radicale (è il tipo momordi, cucurri, rispetto a cecini, cecidi) – nel semplice tutudi, e ridotto a contudi (forse per sincope) nel composto: cf. cecidi / incidi; pepuli / impuli, ma dedi / addidi; steti / adstiti. La variante metrica contudi secondo Prisciano è già enniana (ann. 449 Vahl.2, ma Skutsch, fr. 521, pensa a contundit). Sono qui ripresi i vv. 298ss., sia per il pugilato, che per la domanda uigilo? di Sosia: «Sono finito! Ho già un senso d’irritazione ai denti: certo al mio arrivo, costui mi farà trattare come un ospite … in un incontro di pugilato! Ma sì, è un animo pietoso: il padrone mi ha costretto a stare sveglio, e lui adesso, a suon di pugni, mi metterà a dormire! (hic pugnis faciet ut dormiam) Sono completamente spacciato. Pietà, per Ercole: com’è grande e grosso!» 409. dubito: con il valore di «esitare» (costruito con l’infinito). 409s. in nostram domum? / Quid, domum uostram? La domanda di Mercurio riprende le parole di Sosia, rovesciandone l'ordine e mutando l’ottica del possessivo. uostram = uestram. enim uero: «proprio così, certamente» enim con valore asseverativo e uero prosecutivo, spesso anche scritto come una sola parola enimuero, per confermare un’affermazione, enimuero ego occidi, «ora sì che sono morto», Capt. 534, o in una risposta con il valore di «certamente». quae… ementitu's: costruisci ementitus es omnia quae dixisti modo. Quin: con valore correttivo, «anzi», «al contrario». Il «quin asseverativo e accrescitivo (quin etiam, et) si è sviluppato da un quin ‘perché no?’ originariamente usato nella risposta e poi meccanizzato, in seguito alla perdita del tono interrogativo ed alla assunzione dell’intonazione della frase asseverativa» (Hofmann, Lingua d’uso, p. 192). 411. ementitus es: da ementior, -iris, -itus sum, iri, «dire mentendo, simulare». equidem: asseverativo, «certamente», ma i latini lo sentivano legato a ego quidem (cf. Epid. 202 et ego Apoecides sum :: et egoquidem sum Epidicus): una ulteriore insistenza sulla prima persona. In effetti – cf. Ernout-Meillet s. v. quidem; Lindsay, The Syntax of Plautus, p. 97 – è per lo più in connessione alla prima persona. 411ss. Come ha osservato Christenson, qui Mercurio rovescia il normale ordine Amphitruonis … Sosia (vv. 148, 378, 394, 403) per rendere con maggiore efficacia il suo impadronirsi della sua identità. Il doppio riprende il racconto epico che Sosia aveva fatto tra sé e sé ai vv. 210ss. (che Mercurio aveva origliato), rovesciando l’ordine delle parole: cf. noctu hac solutast nauis nostra, col v. 404, hac noctu … nostra nauis; e inoltre per oppidum expugnauimus, cf. v. 210; per optruncauit, cf. v. 232; qui potitare solitus est, v. 261. 412 solutast = soluta est. 413 ubi: «dove», introdice una sub. relativa. Pterela rex regnauit: probabilmente alla figura etimologica si deve la posposizione dell’apposizione rex, che normalmente – come imperator nel senso di ‘imperatore’ – indicando una qualità permanente della persona, precede, cf. Traina-Bertotti, § 123 e nota 2: v. Sall. Ep. Mithr. 1 Rex Mithridates regi Arsaci salutem. 414. ui pugnando: espressione tipica dei bollettini di guerra, spesso parodiata da Plauto: cf. Vatinio, in Cic. Fam. 5,10b sex oppida vi oppugnando cepi «ho conquistato sei città prendendole vigorosamente d'assedio»; Plaut. Asin. 554s. Eae nunc legiones copiae exercitusque eorum / Vi pugnando periuriis nostris fugae potiti. «ora, le loro legioni, le truppe e l'esercito, dopo che li abbiamo affrontati con forza a furia di bugie, si sono dati alla fuga» Pugnando è ablativo strumentale del gerundio. - Il gerundio è un sostantivo verbale neutro, attivo, che supplisce i casi mancanti nella declinazione dell'infinito (che ha solo nom., acc. nom. acc. Es. amare; gen. amandi, dat. amando, acc. ad amandum, abl. amando). - Il gerundivo è un aggettivo verbale di necessità con senso passivo, amandus, -a, -um, "da amare", "che deve essere amato". Si può trovare la cosiddetta "costruzione del gerundivo" quando da un gerundio deve dipendere un complemento oggetto in accusativo. In questa costruzione invece assume il valore del gerundio, cioè di un infinito attivo. 3 In pratica il latino fa una concordanza, a) nel caso del gerundio, b) nel numero e nel genere del sostantivo che ne dovrebbe dipendere. Si può dire: a) desiderium uidendi filiam (costruzione del gerundio: il gerundio in genitivo, filiam femminile singolare), b) desiderium uidendae filiae (costruzione del gerundivo: concordanza al gen. femm. sing.). - La costruzione del gerundivo è possibile solo quando il gerundio dovrebbe reggere un oggetto in accusativo; è obbligatoria nei casi dativo, accusativo con preposizione, ablativo con preposizione, preferita negli altri casi; tuttavia si avrà sempre il gerundio se l'oggetto è un pronome neutro: obstupui in uidendo id, "mi stupii nel vedere ciò". ui: sostantivo difettivo al singolare (solo nom. uis, acc. uim, abl. – discusso un dat. ui), il tema plurale è costruito come tema in -i- forse sulla base del nominativo: il gen. plu. uirium < uis-i-um, cf. Traina-Bernardi Perini, Propedeutica, p. 164. ipsus: forma arcaica di nominativo determinativo (gen. arcaico ipsi), poi soppiantato dalla declinazione pronominale (ipse, ipsius). I) DIMOSTRATIVI a) hic, "questo", vicino a chi parla; b) iste, "codesto", vicino a chi ascolta; - iste ha talvolta un valore dispregiativo, di allontanamento: Suffenus iste, quem probe nosti, "codesto Suffeno, che conosci bene"; c) ille, "quello", lontano da entrambi. - ille ha talvolta un valore enfatico, "quel famoso" (al n. = "quel famoso detto"): Cato ille, "quel famoso Catone"; illud Catonis , "quel famoso detto di Catone". II) DETERMINATIVI (Is e i suoi composti idem, ipse) a) is di regola rinvia ad altra persona ed è detto quindi "anaforico". Unito a et, atque, -que può aggiungere una determinazione a un'idea già espressa: Es. rem tibi narro pulcram eamque singularem, "ti racconto una cosa bella e per giunta non comune". b) idem è pronome di identità, stabilisce identità tra due termini, eodem die, "nello stesso giorno" Con et, atque, -que ha gli stessi valori di is: Es. rarum est felix idemque senem, "è cosa rara un uomo fortunato e nello stesso tempo vecchio". c) ipse, pronome enfatico, sottolinea un termine a differenza dagli altri: eo ipso die, "proprio in quel giorno" (e non in un altro). ipse può tenere il posto di un pronome personale (venit ipse, "è venuto lui stesso") o accompagnarsi ai pronomi personali in frasi del tipo se ipse laudat, "si loda da sé stesso" o se ipsum laudat, "loda se stesso". optruncauit: verbo tecnico del duello, cf. Liv. 1,10,4 (Romulus) regem in proelio obruncat et spoliat. «(Romolo) uccide e spoglia il re in duello». regem Pterelam: torna l’ordine delle parole atteso, con l’apposizione anteposta. 416. egomet: pronome rafforzato mediante la enclitica -met. quom: forma arcaica per cum, introduce la sub. temporale cum… audio. illaec: neutro plurale (c. ogg. di audio), da illa-i-ce: dimostrativo + 2 particelle enclitiche (i-ce), con –ce apocopato. Di qui l’accento sull’ultima (ossitono secondario, cf. Traina-Bernardi Perini, Propedeutica… p. 98). autumare: «affermare, pretendere», verbo arcaico e poetico, ripreso in età imperiale e nella lingua ecclesiastica. Di etimo ignoto, forse da autem (così come nego deriva da nec). 417. memorat memoriter: figura etimologica, una figura retorica tra le più impiegate da Plauto: cf. nitide nitet, propere properas, cupide cupis, tacitus taceas, madide madere, ricordate da Ussing ad l. 418. quid … doni: gen. partitivo = quid donum, cf. supra, v. 58 e più sotto signi … quid est 419. qu: ablativo del pronome relativo, riprende patera. Questa forma di ablativo deriva dal tema in -i- del pronome interrogativo. Il tema del pronome interrogativo Kwi- si è confuso con quello del pronome relativo Kwo (che ne ha tratto ad es. l’accusativo masc. quem), mentre il pronome interrogativo ha assunto l’ablativo m/n quo del relativo, in luogo di quei/qui. Negli autori arcaici tuttavia lo troviamo talora impiegato al posto del relativo (quo, qua e anche quibus), cf. Plaut. Aul. 502 vehicla qui vehar «i mezzi da cui sono trasporato»; in certe forme come quicum è più diffuso anche in età repubblicana (cf. Catull. 2,2 quicum ludere) e augustea, cf. Aen. 11, 822, quicum partiri curas «(colui) con cui fai in modo di spartire». potitare: frequentativo di consuetudine di poto, che già di per sé indica il bere in eccesso, contrapposto a bibo, bere secondo necessità: cf. Plaut. Asin. 600ss. qui sese parere apparent huius legibus, profecto / numquam bonae frugi sient, dies noctesque potent, «(quelli) che fanno vista di obbedire alle sue leggi, mentre sono affatto gente onesta: sbevazzano giorno e notte» o Hor. epist. 1,5,14s. potare et spargere flores / incipiam «comincerò a bere e a spargere fiori» (riferito 4 al simposio) o, ancora nell’ode 1,20 il v. 1 uile potabis… «ingurgiterai vino di poco prezzo» con il vv. 9s., Caecubum et prelo domitam Caleno / tu bibas uvam «sorseggerai il Cecubo e l'uva pressata dal torchio di Cales». 421. dic… est: costruisci, dic: quid signi est? Dic è imperativo apocopato da dice, impiegato da Plauto, cf. ad es. Mil. 716 Quid nunc es facturus? Id mihi dice «che hai intenzione di fare ora? Dimmelo!» (cf. le forme duc e fac, da distinguere dall’imperativo atematico fer o es, cf. Traina, Propedeutica, p. 98 e 169, n. 1). Quid signi, gen. partitivo: «che tipo di segno?». quadrigis: la «quadriga», il plurale individualizzante, indica che il tiro è composto di quattro animali. 422. captas: frequentativo di conato di capio, «cerchi di ingannarmi, di cogliermi in fallo». I frequentativi avevano originariamente valore di stato, e quindi significato durativo (habito «mi tengo sempre in un luogo, abito») in opposizione al semplice (habeo), o laddove il semplice fosse scomparso con il composto momentaneo (es. specto, «sto a guardare», adspicio, conspicio «rivolgo lo sguardo»). Successivamente si sono specializzati con valore di iterazione (cursito, iacto, nuto), di intensità (quasso, rapto), di conato (prenso, capto), di consuetudine (cubito, uisito [dal desiderativo uiso, a sua volta derivato da uideo]), o ancora può indicare anche attenuazione nel tempo (dormito, lusito, uolito). Cf. Traina-Bernardi Perini, Propedeutica, pp. 171-4. carnufex = carnifex, «boia»: tipico insulto plautino. 3 est. Sosia paragona il suo doppio all’immagine riflessa nello specchio. Per la mentalità antica lo specchio, come la maschera o il ritratto era per eccellenza il luogo del doppio: si pensava che l’immagine riflessa o riprodotta avesse in qualche modo vita autonoma e contenesse almeno una parte dell’identità dell’oggetto riprodotto (cf. ad es. G. Guidorizzi, Lo specchio e la mente: un sistema d’intersezioni, in M. Bettini (a cura di), La maschera, il doppio e il ritratto, Bari, Laterza, 1991, pp. 31-45). Inoltre, Sosia esamina alla luce della lanterna l’aspetto di Mercurio: solo ora sembra accorgersi davvero della somiglianza: è il motivo del «corpo frammentato», generalmente connesso al tema del doppio (cf. M. Fusillo, s.v. Doppio in Dizionario dei Temi Letterari UTET, I, 668), come quello dello specchio. 444 nasum: lat. classico nasus; consimilest (= consimile est) atque ego: «è tale e quale a me»; consimilis intensifica similis; atque introduce qui il secondo termine di paragone. 445 quid verbis opust? Costruzione di opus est + abl. : con opus est «c’è bisogno, occorre», la persona cui occorre è sempre in dativo, la cosa che occorre in ablativo (= costrutto impers.), in nominativo (= costrutto pers.) sempre se pron. neutro. Es. Non opus est uerbis, sed fustibus, «non c'è bisogno di parole, ma di bastonate»; Mihi frumentum non opus est, «non ho bisogno di frumento». N.B.: quanto al senso, necesse est indica una necessità assoluta (= “è ineluttabile, fatale”); oportet una convenienza morale o pratica; opus est una necessità in relazione ad un determinato scopo. Emas non quod opus est, sed quod necesse est “compra non ciò che occorre, ma ciò che è indispensabile”. 446 Si tergum cicatricosum: protasi 1°gr. I tipo nihil hoc similist similius: princ. apodosi I tipo cicatricosum: (sott. habes) caratteristica dello schiavo, per la prima volta qui in Plauto. nihil hoc similist (= simili est) similius: lett. «niente è più simile di questa cosa simile»; figura etimologica: forme simili, di derivazione colloquiale, ricorrono in Plauto (cf. Christenson ad loc., p. 221): cf. Capt. 664 nihil … inuenies magis hoc certius certo «non troverai niente di più certo di questa certezza»; Most. 279 nihil hac docta doctius «niente è più istruito di questa (donna istruita)». 447 Quom (= cum) cogito: sub. 1°gr. temporale idem sum: princ. qui semper fui: sub. 1°gr. Relativa 448: noui, «conosco» perfetto presente di tipo resultativo, indica il risultato di un’azione, “ho appreso”, quindi “so”. Forme simili sono memini, -isse (ricordo); odi, -isse (detesto); su aedis acc. plur. vedi sopra. sapio et sentio: coppia verbale allitterante isosillabica e omeoteleutica, «ho testa e sensi sani», frequente in Plauto (Bacch. 817 dum ualet, sentit sapit). Per quanto turbato dall’incontro con il doppio, Sosia non ha ancora rinunciato alla sua identità. 1 449-462 Non ego illi obtempero quod loquitur. Pultabo foris. 450 ME. Quo agis te? SO. Domum. ME. Qua- drigas si nunc inscendas Iouis atque hinc fugias, ita uix poteris effugere infor- tunium. SO. Nonne erae meae nuntiare quod erus meus iussit licet? ME. Tuae si quid uis nuntiare: hanc nostram adire non sinam. nam si me inritassis, hodie lumbifragium hinc auferes. 455 SO. Abeo potius. di immortales, obsecro uostram fidem, ubi ego perii? ubi immutatus sum? ubi ego for- mam perdidi? an egomet me illic reliqui, si forte oblitus fui? nám hic quidem omnem imaginem meam, quae antehac fuerat, possidet. uiuo fit quod numquam quisquam mortuo faciet mihi. 460 ibo ad portum atque haec uti sunt facta ero dicam meo; nisi etiam is quoque me ignorabit: quod ille faxit Iuppiter, ut ego hodie ráso capite caluos capiam pilleum. Non do retta a quello che dice: busserò alla porta. ME. Dove te ne vai? SO. A casa. ME. Se ora tu salissi sulla quadriga di Giove e fuggissi di qui, anche così a stento potresti sfuggire una disgrazia. SO. Non mi è concesso di riferire alla mia padrona ciò che il mio padrone mi ha ordinato? ME. Alla tua padrona, se vuoi riferirle qualcosa (ti è concesso): a questa nostra, non ti lascerò avvicinare. Infatti se mi facessi arrabbiare, oggi porteresti via di qua un lombifragio SO. Me ne vado, piuttosto. Dei immortali, invoco il vostro aiuto, dove mi sono perduto? Dove mi sono trasformato? Dove ho perduto il mio aspetto? O mi sono lasciato laggiù, se per caso mi sono dimenticato? Infatti costui pos- siede tutta la mia immagine, che prima era mio. A me vivo accade ciò che nessuno mi farà mai da morto. Andrò al porto e dirò al mio padrone queste cose, come sono andate: a meno che an- che lui non mi riconosca più. Che Giove lassù faccia questo: che io, calvo, a testa rasata, oggi prenda il pileo. 449. non … optempero: l’indicativo presente in luogo del futuro (spesso come risposta ad un ordine) è frequente nel latino arcaico, cf. Christenson ad loc., p. 221 450-451 si nunc inscendas: protasi II tipo atque hinc fugias: coord. alla protasi uix poteris effugere: princ., apodosi I tipo si inscendas … uis poteris: periodo ipotetico misto, con congiuntivo nella protasi e indicativo futuro nella apodosi: congiuntivo e futuro spesso si alternano nelle apodosi nel latino arcaico, cf. Curc. 186 irascere, si te edentem hic a cibo abigat. «ti arrabbierai, se costui ti allontana dal cibo mentre mangi». 452. nonne…nuntiare licet: princ. (id) quod erus… iussit: sub. 1°gr. Relativa erae meae … erus meus: poliptoto insistito a sottolineare l’ordine (iussit) del padrone; per la differenza tra erus e dominus, vd. sopra. 453. tuae (licet): princ. ellittica del verbo, apod. I tipo si quid uis nuntiare: protasi I tipo tuae: in rilievo, in risposta al possessivo meae / meus del v. precedente. Sott. licet. si quid uis: indefinito della frase suppositiva; sugli indefiniti, cf. sopra. 454. si me inritassis … lumbifragium auferes: nella protasi inritassis è forma di ottativo aoristo sigmatico con uscita in –im / -sim, corrispondente ad un cong. presente o a un futuro 2° in –so. Si è conservato in alcuni verbi atematici, come sim < siem; edim, uelim, nei verbi tematici si trova ad es. in duim, dixim, faxim, iussim, licessit, prohibessit. Esprime la condizione, il desiderio, o anche la possibilità. In questo caso corrisponde per significato ad un futuro secondo si inritaueris … auferes. lumbifragium: neoformazione plautina rifatta su naufragium, «lombifragio». Secondo Ramain potrebbe esserci un gioco di parole non solo con lumbus “lombi, reni”, ma anche con lembus, 2 “battello” (che può fare nufragio). Cf. l’analoga formazione Crurifragius, nome proprio di un servo, «dalle gambe spezzate», Poen. 886. 455 Di … uostram fidem: formula di preghiera («chiedo il vostro aiuto»), utilizzata per lo più dai comici, frequentissima in Plauto (17 volte), talora con il verbo espresso (obsecro), come qui, talora senza, 1 volta in Cecilio, 10 in Terenzio (solo 1 volta in Livio, 5 in Cicerone). Il vocalismo arcaico uoster (ricomparso nel fr. vôtre) – in luogo di uester – è forse per influsso di noster. 456. ubi …? ubi …? ubi …? Triplice anafora dell’interrogativo ubi. Perii: con il valore di «perdersi, scomparire». Cf. Ter. Ad. 703 ille ubist? :: Periit Quello dov’è? È sparito. (Si è perso). 455: immutatus: «trasformato»; nel lessico magico, l’immutatus colui che subisce una trasformazione per effetto di incantesimo; colui che effettua volontariamente l’incantesimo per trasformare se stesso si dice versipellis (cf. Bettini, Sosia e il suo Sosia, pensare il doppio a Roma, introd. a Plauto, Anfitrione, a cura di R. Oniga, p. 25ss.) 457. illic: «laggiù», deittico, potrebbe indicare il porto (Traina: più probabile, visto che da lì viene il servo) o anche la campagna (dubbio Christenson). Oblitus fui = oblitus sum: si noti l’uso dell’ausiliare fui al posto dell’atteso sum per formare il perfetto, estraneo al latino classico, ma non raro in Plauto, specialmente con i deponenti (cf. Poen.1347 sciui et miratus fui). 458 omnem imaginem … possidet: gioco di parole tra i due significati di imago, l’aspetto, e con- cretamente la «maschera mortuaria» di Sosia che Mercurio indosserebbe ancora prima che il servo fosse morto, secondo una consuetudine per cui nei funerali dei nobili una maschera del defunto era portata da un parente: per questo il commento «A me vivo accade ciò che nessuno mi farà mai da morto» (cf. Oniga, ad loc. e l’introduzione di M. Bettini). Possidet da potis + sedeo: è «occupare come proprio», quindi «possedere», così come possido è «prendere possesso di, occupare» (da cui possessio, possessor). 459. numquam quisquam: indefinito della frase negativa, cf. supra al v. 453. 460-461 ibo ad portum: princ. atque… dicam: coord. alla princ. apodosi I tipo uti sunt facta: sub. 1° gr. comparativa nisi … ignorabit: protasi I tipo. etiam is quoque: accumulazione pleonastica tipica della lingua d’uso (e quindi dei comici, 26 volte in Plauto, 1 in Cecilio, 5 in Terenzio, di cui 3 a contatto). 461. quod: nesso relativo equivalente a et hoc. Il NESSO RELATIVO è il costrutto per cui un pronome relativo equivale in sostanza ad un pronome dimostrativo accompagnato da una congiunzione coordinante: qui = et is; = sed is; = is tamen; = is enim... Il NESSO relativo si può trovare anche in una subordinata, in concorrenza con la congiunzione subordinante, che spesso è di origine relativa: quas (sott. litteras) cum praetor recitasset = et cum praetor eas (litteras) recitasset, "e, dopo che il pretore ebbe letto quella lettera". La PROLESSI consiste nel fenomeno per cui la relativa viene anticipata rispetto alla sua sovraordinata. Abbiamo a che fare con una PROLESSI se nella proposizione reggente che la segue si trova un pronome dimostratvo che riprende il contenuto della relativa (funzione epanalettica): quae uituperas, haec ne persecutus sis, "non tener dietro a ciò che biasimi": in questo caso può essere opportuno rendere nella traduzione prima la proposizione reggente e poi la relativa, sopprimendo l'anticipazione come abbiamo fatto. faxit: ottativo aoristo sigmatico (cf. al v. 454), qui con valore corrispondente al cong. pres., «faccia». ut ego … capiam: sostantiva al congiuntivo epesegetica di quod (secondo la funzione le oggettive possono essere soggettive, oggettive ed epesegetiche, cioè determinare un pronome neutro soggetto o oggetto), cf. al v. 62. raso capite calvos capiam pilleum: a capo rasato, calvo – altro pleonasmo, determinato dalla sequenza allitterante. Il pilleus è il berretto frigio che il padrone metteva in capo allo schiavo liberato. Se neppure Anfitrione, il suo padrone, lo riconoscerà, Sosia potrà considerarsi libero. 3 lunga della precedente, di tanto il giorno sia più breve, in modo che la differenza sia pareggiata, e il giorno sorga dalla notte. Andrò e raggiungerò Mercurio. 527. persentiscat: verbo arcaico (3x Plaut., 2x Ter., ripreso da Lucrezio, e quindi da Apuleio). praeuortisse … prae re publica: «anteporre», con ripetizione pleonastica della preposizione prae. 529. concinnas: sistemare, quindi «mettere in una determinata condizione», equivalente colloquiale di facere, reddere. ex abitu: «con la tua partenza», ex ha valore causale, come al v. 541 ex amore. 530. ne corrumpe: l’espressione è tipica della lingua erotica. Imperativo negativo, di forma arcaica (cf. ne miremini v. 87). N.B. L'imperativo negativo può essere espresso classicamente con a) con ne + il perf. congiuntivo esortativo, ne dixeris (forma più drastica); b) con noli, nolite + l'inf. presente, noli dicere (forma più cortese). Negazioni. ne (nemo), 2 neg. = neue / neu, pos. + neg. = nec: Es. Perge, quaeso, scribere, nec meas litteras exspectaris) Il congiuntivo esortativo esprime una esortazione o un ordine. In riferimento al presente si usa: al presente, per la 1a pers. pl., per la 3a sg. e pl. (redeamus domum, "ritorniamo a casa"); al perfetto. per la 2a pers. sg. e pl., per esprimere l'imp. Negativo (ne hoc dixeris, non dire questo); in riferimento al passato si usa: all'impf. o al ppf., per esprimere rimpianto o biasimo (resisteres, "avresti dovuto resistere", ne poposcisses, "non avresti dovuto promettere") 531. Non ego te hic lubens relinquo neque abeo abs te: lubens è ¢pÕ koinoà tra relinquo e abeo. 532. Cur me tenes? Cfr. Asin. 391 cur me retentas, con valore conativo. 533. prius quam lucescat: successione semplice con il congiuntivo ad indicare la intenzionalità: Determinazione temporale generica: si colloca l'evento A nel tempo dell'evento B. - cum + indicativo, "quando". Nella sovraordinata si può trovare tum, "allora". - altri tipi di cum + indicativo sono: il cum iterativum e il cum inversum - cum con il congiuntivo (cum narrativum o historicum) 2. La determinazione temporale specifica: dati due avvenimenti, si intende: che A, indicato dalla temporale, è anteriore a B: precedenza (semplice o immediata); che A è concomitante a B: concomitanza; che A è successivo a B: successione, semplice o immediata. Le congiunzioni e i modi sono i seguenti: A1) precedenza semplice: postquam + ind. perfetto di regola, più che perfetto se è indicato il tempo trascorso tra i due eventi, "dopo che": Dion, postquam Corinthum pervenit, bellum comparare coepit, "Dione, dopo che giunse a Corinto, cominciò a preparare la guerra"; Cimon, post tertium annum quam expulsus erat, in patriam revocatus est, "Cimone, dopo il terzo anno da che era stato cacciato, fu richiamato in patria". A2) precedenza immediata: ut, ubi, ubi primum, ut primum, cum primum, statim ut, simul ac, simul ac primum + IND., "non appena che": B) concomitanza: dum + presente indicativo: "mentre", "nel momento che" (primo dum); dum, donec, quoad, quamdiu, con tutti i tempi dell'indicativo, "mentre", "per tutto il tempo che" (secondo dum): - dum Romae consulitur, Saguntum expugnatum est, "mentre a Roma si discuteva, Sagunto fu espugnata"; - haec feci, dum licuit, "ho fatto questo, finché mi fu lecito". C1) successione semplice: antequam, priusquam + indic. (semplice rapporto di tempo); + cong. (intenzionalità): haec dixi, antequam venisti, "ho detto questo, prima del momento in cui sei venuto"; haec dixi, antequam venires, "ho detto questo, senza aspettare che tu venissi". C2) successione immediata: dum, donec, quoad, con ind. o cong. come per antequam e priusquam: exspecto, dum venias, "aspetto che tu venga", "aspetto intanto che tu vieni" (terzo dum) 534ss.: tre relative in serie a catena a riprodurre uno stile solenne tragico. Per il contenuto, v. i vv. 418s. AM. Quid Amphitruoni <doni> a Telobois datum est? / ME. Pterela rex qui potitare solitus est patera aurea. dono mihi … datast: doppio dativo, di scopo e di termine. 535. ego mea manu: insistenza sul proprio ruolo da parte di Giove, che gioca la parte del miles gloriosus. 536. tibi condono: preverbio intensivo, cf. Men. 657 Sed ego illam non condonaui, sed sic utendam dedi. 537. condignum donum: accusativo esclamativo, tipico della lingua d’uso. Condignum è forma rafforzata. Il sintagma contamina condignum eo qui e tale qualis est qui. 540. noli … irasci: imperativo negativo, secondo la forma classica. amabo: «per favore», formula disespressivizzata della lingua d’uso, probabilmente originata da locuzioni come “Se farai questo, … allora io ti amerò». saeuos: la crudeltà d’amore è espressione formulare nella lingua erotica, cf. Enn. sc. 254 V.2 Medea animo aegro amore saevo saucia. 542. numquid uis? «Addio. Vuoi altro?»: formula di commiato (equivalente a Vale), normalmente impiegata da un dialogante per interrompere cortesemente un dialogo. Qui Plauto gioca sulla possibilità che la frase venga intesa anche in senso letterale. Vt quom absim mé ames, me tuam te absentei tamen: «Che tu quando sono lontana ami me, io che sono tua anche quando tu sei lotana», espressione patetica, con poliptoto di absum e anafora del pronome me. Vt ames è sostantiva volitiva al congiuntivo (come la successiva ut actutum aduenias, v. 544), da cui dipende il cum temporale (con sfumatura concessiva). Te absente<i> (forma arcaica: -ei > -i) ablativo assoluto varia il precedente cum…. 543. lucescit hoc: hoc è soggetto. Si deve pensare che Mercurio indichi il cielo con un cenno. ut: finale. Per le finali, v. supra, al v. 50. 546. Nox: l’allocuzione alla notte emula descrizioni euripidee, con figure retoriche di sapore tragico, la figura etimologica inlucescat luce e la coppia sinonimica clara et candida die: dativo in -e alternante con quello in –ei, preferito secondo Gellio dai puristi: in Plauto anche rei/re, fidei/fide (cf. Ernout, Morphologie historique, p. 70). 547. mortalis inlucescat: il verbo è transitivo, sfruttando il valore locale del preverbo in-. 4 549. disparet: «per compensare la differenza», se si accetta il verbo disparo di forma intransitiva (solitamente è transitivo, di qui la correzione disparem di Palmer), in modo analogo a differo che ha doppia forma, transitiva e intransitiva. 1 Plaut. Amph. 882-892; 897-945 ALCUMENA Durare nequeo in aedibus. Ita me probri, stupri, dedecoris a uiro argutam meo! Ea quae sunt facta infecta re esse occlamitat, quae neque sunt facta neque ego in me admisi arguit; 885 atque id me susque deque esse habituram putat. Non edepol faciam, neque me perpetiar probri falso insimulatam, quin ego illum aut deseram aut sátis faciat mi ille átque adiuret insuper, nolle esse dicta quae in me insontem protulit. 890 IUPP. Faciundum est mi illud, fieri quód illaec postulat, si me illam amantem ad sese studeam recipere, 892 … … … … … …. … … … … … ALC. <S>ed eccum uideo qui me miseram arguit 897 stupri, dedecoris. IVPP. Te uolo, uxor, conloqui. Quo te auortisti? ALC. Ita <ingeni> ingenium meumst: inimicos semper osa sum optuerier. 900 IVPP. Heia autem inimicos? ALC. Sic est, uera praedico; nisi etiam hoc falso dici insimulaturus es. IVPP. Nimis iracunda es. ALC. Potin ut abstineas manum? Nam certo, si sis sanus aut sapias satis, quam tu impudicam esse arbitrere et praedices, 905 cum ea tú sermonem nec ioco nec serio tibi habeas, nisi sis stultior stultissimo. IVPP. Si dixi, nihilo magis es, neque ego esse arbitror, et id huc reuorti uti me purgarem tibi. Nam numquam quicquam meo animo fuit aegrius, 910 quam postquam audiui ted esse iratam mihi. Cur dixisti? Inquies. Ego expediam tibi. Non edepol quo te esse impudicam crederem; uerum periclitatus súm animum tuom, quid faceres et quo pacto id ferre induceres. 915 Equidem ioco illa dixeram dudum tibi, ridiculi causa. Vél hunc rogato Sosiam. ALC. Quin huc adducis meum cognatum Naucratem, testem quem dudum te adducturum dixeras, te huc non uenisse? IVPP. Si quid dictum est per iocum, 920 non aequom est id te serio praeuortier. ALC. Non posso resistere in casa. A tal punto essere accusata io di tradimento, vergogna, disonore da mio marito! Ciò che è accaduto afferma che non è accaduto, e mi accusa di ciò che non è né accaduto, né io l’ho commesso; e ritiene che io considererò queste offese come se niente fosse (dal basso in alto). Non lo farò, per Polluce, né sopporterò di essere accusata ingiustamente di tradimento, senza che io o lo pianti in asso o mi dia soddisfa- zione, e giuri, per di più, che non voleva dire quelle cose che ha detto contro me innocente. GIO. (a parte) Devo fare quello che quella lì richiede che avvenga, se voglio che essa accolga di nuovo me innamorato presso di lei. … … … … … …. … … … … … ALC. Ma ecco, vedo colui che me infelice accusa di vergognoso adulterio, di disonore. GIO. Voglio parlarti, moglie mia. Dove te ne sei andata? ALC. Così è il carattere del mio carattere: ho sempre odiato guardare in faccia i nemici. GIO. Suvvia, addirittura nemici? ALC. Proprio così, dico il vero, a meno che tu non stia insinuando che anche queste sono falsità. GIO. Sei troppo arrabbiata. ALC. Puoi tenere le mani a posto? Infatti certo, se sei sano di meno o sufficientemente saggio, con quella donna che tu consideri e dici essere impudica, non dovresti scambiare una parola né per scherzo né seriamente, a meno che tu non sia più sciocco del più sciocco degli sciocchi. GIO. Se lo ho detto, non per questo lo sei, né io penso che tu lo sia, ed è questo il motivo percui sono tornato qui per chiederti scusa. Non ho mai provato un dolore più forte nel mio animo come da quando ho saputo che tu eri adirata con me. Perché l’hai detto. Mi dirai. Io te lo spiegherò. Non perché credessi che tu sei una svergognata, ma ho messo alla prova il tuo animo, per vedere che cosa facevi e in che modo ti saresti rassegnata a sopportare la cosa. Davvero, ti ho detto per scherzo quelle cose di poco fa, per ridere. Chiedilo pure a Sosia. ALC. Perché non porti qui il mio parente Naucrate, che or ora dicevi di voler condurre come testimone del fatto che tu non eri venuto qui? GIO. Se una cosa è stata ddetta per scherzo, non è giusto che tu la volga al serio. 882s. probri, stupri, dedecoris: l’adulterio è visto con tre sinonimi, il primo indica la colpa commessa, l’impudicizia; stuprum, la vergogna, dedecoris, il disonore. 884. Traina accoglie la sistemazione del testo di Goetz-Loewe, i codd. hanno infectare est at (stampato con le croci da Ernout). 885. in me admisi: «che non ho ammesso nella mia persona», «che non ho commesso», con evidente sfumatura sessuale, come osserva Christenson. 886. Susque deque: «così dal basso verso l’alto», indifferentemente, cf. Gell. 16,9,2 Significat autem 'susque deque ferre' animo aequo esse et, quod accidit, non magni pendere atque interdum neglegere et contemnere. 887s. neque me perpetiar probri / falso insimulatam, quin ego illum aut deseram: «né sopporterò di essere accusata ingiustamente di tradimento, senza che io o lo pianti in asso». Quin – in dipendenza da sovraordinata negativa, di forma o di senso – si trova con verbi che indicano a) impedire, ricusare, distogliere; b) astenersi, trattenersi (vix reprimor, comprimor, me non teneo, aegre abstineo, etc.); c) dubitare (non dubito quin = non dubito che; non dubito quin non = non dubito che non). Per queste sostantive v. al v. 62. 892. Con Traina intendo me … amantem / illam … ad sese. 903. potin: da potisne (sott. est). 904. si sis sanus … sapias satis: insistito sigmatismo (allitterazione in s-). 906. nec ioco nec serio: coppia con valore di universalità (= mai), di uso proverbiale. 907. stultior stultissimo: espressione comune in Plauto, cf. Curc. 551 stultior stulto. 909. id huc reuorti: id accusativo avverbiale, «per questo». 911. ted esse iratam mihi: in bocca a Giove suona come un rovesciamento dell’ordine naturale dei rapporti dio/uomo. 912. Cur dixisti? Inquies: domanda retorica con cui Giove anticipa l’attacco di Alcmena. 913. Non quo crederem: causale con il congiuntivo – ad introdurre motivazione espressamente negata –, variazione del più comune non quod (talora quia)… sed … (quia, quod), cf. Traina-Bertotti § 374. Bibliografia di riferimento edizioni e commenti: T. Macci Plauti Menaechmi, ed. with introd. and notes by P. Thoresby Jones, Oxford 1918; Ausgewählte Komödien des T. Maccius Plautus, erkl. von Brix-Niemeyer-Conrad, III Menaechmi, Leipzig-Berlin 1929; Menaechmi T. Macci Plauti Menaechmi, ed. with an introd. and notes by N. Moseley-M. Hammond, Harvard 1968; A.S. Gratwick, Plautus, Menaechmi, Cambridge 1993. traduzioni italiane: E. Paratore, Plauto. Tutte le commedie, vol. III (Menaechmi, Miles gloriosus, Mostellaria), Roma (Newton Compton) 19761; Plauto. I Menecmi, introd. di C. Questa, trad. di M. Scàndola, Milano (BUR) 19841 (= 2004); Plauto. Anfitrione, Bacchidi, Menecmi, a cura di M. Rubino, Milano (Garzanti) 2008. saggi e strumenti: J. B. Hofmann, La lingua d’uso latina, Bologna 20003 , W. M. Lindsay, Syntax of Plautus, Oxford 1907, C. Questa, Sei Letture Plautine, Urbino, 2004 (Menaechmi, pp. 59-75); C. Questa-R. Raffaelli, Lecturae Plautinae Sarsinates X, Menaechmi, Urbino 2007; E. Stärk, Die Menaechmi des Plautus und kein griechisches Original, Tübingen 1989; A. Traina-Bertotti, Sintassi normativa della lingua latina, Bologna 19851, A. Traina-G. Bernardi Perini, Propedeutica al latino universitario, Bologna 19986; A. Traina, Comoedia. Antologia della Palliata, Padova, Cedam, 20005. Argomento acrostico 5 10 Mercator Siculus, quoi erant gemini filii, Ei surrepto altero mors optigit. Nomen surrepticii indit illi qui domist Avos paternus facit Menaechmum e Sosicle. Et is germanum, postquam adolevit, quaeritat Circum omnis oras, post Epidamnum devenit. Hic fuerat alitus ille surrepticius. Menaechmum omnes civem credunt advenam. Eumque appellant meretrix, uxor, et socer. I se cognoscunt fratres postremo invicem. Un mercante siciliano che aveva due figli gemelli morì dopo che uno dei due gli era stato rapito. Il nonno paterno dà al figlio rimasto a casa il nome del rapito: da Sosicle, lo rende Menecmo. E questi, una volta cresciuto, va cercando il fratello per ogni lido, infine giunge a Epidamno. Qui era stato cresciuto il fratello rapito. Tutti credono che lo straniero sia il Menecmo loro concittadino. Lo chiamano così l’amante, la moglie e il suocero. Infine i fraelli si riconoscono l’un l’altro. Gli argomenti sono un’invenzione dei grammatici risalente agli inizi del II sec. a.C. e sopravvivono nei mss. per tutte le commedie plautine ad eccezione delle Bacchides. L’ argomento è in forma di acrostico (solo cinque commedie hanno anche un argomento non acrostico: Amph. Aul. Merc. Mil. Pseud.). Negli argomenti si nota l’impiego di una lingua arcaizzante che cerca di riprodurre lo stile plautino. 1.mercator Siculus nominativus pendens, una forma di anacoluto frequente in Plauto (cf. Lindsay 1907,8s.) quoi (= cui) … erant: dativo di possesso. 2.ei … optigit lett. ‘gli toccò la morte’(optingo, is, -tigi, -ĕre [ob +tango]); locuzione ricercata e molto rara. surrepto altero: ablativo assoluto. alter indica l’altro tra due (qui si tratta di due gemelli). 3. surrepticii ‘del rapito’; l’aggettivo (anche nella forma surrupticius) è deverbale da subripio (‘sottraggo’) e sfrutta un suffisso (-icius) che significa ‘aver fatto esperienza di’: cf. ad es. dediticius ‘che si è arreso’, adoptatiticius ‘che è stato adottato’. L’aggettivo non va confuso con l’omografo subrepticius ‘clandestino’ derivato da subrēpo (‘strisciare’, ‘introdursi furtivamente’). indit pres. storico (da indo, indis, indĭdi, indĭtum, -ĕre, frequente in Plauto: ad es. Capt. 69 Iuventus nomen indidit Scorto mihi ‘la gioventù mi ha appioppato il soprannome di Puttana’). domist: prodelisione per domi est (Propedeutica, 260). 4. avos = avus. 5. quaeritat frequentativo di quaero (cf. Propedeutica 172-174), formato con il suffisso –ĭto, rispetto al verbo di partenza (‘cercare’) indica la continuità dell’azione (‘va cercando’), come manto (‘sto aspettando’) rispetto a maneo (‘aspetto’). In altri casi il frequentativo può indicare l’iterazione (negito ‘nego ripetutamente’ VS nego ‘nego’), il conato (capto ‘cerco di prendere’ VS capio ‘prendo’), la consuetudine (potito ‘sono solito bere’ VS poto ‘bevo’), più raramente l’attenuazione (dormīto ‘dormicchio’ VS dormio ‘dormo’). 6. circum omnis oras nella commedia si insiste sul fatto che Menecmo II ha cercato il fratello per ogni dove (cf. Men. 231s. quam ob rem nunc Epidamnum venimus?/ an quasi mare omnis circumimus insulas? e 237 orasque Italicas omni, … sumus circumvecti). post ha qui valore avverbiale, equivalente a postremo. Epidamnum: generalmente le palliate sono ambientate ad Atene, la scelta di Epidamno rappresenta un’eccezione. devĕnit: presente. 7. fuerat alitus = erat altus; in realtà alitus come participio di alo, -is, alui, -altum, -ĕre (‘nutrire’, ‘allevare’) è attestato solo a partire dall’età augustea: Plauto conosce solo altus. La forma di più che perfetto passivo con fuerat (più frequente in Terenzio che in Plauto) sottolinea l’anteriorità (‘era già stato allevato’). 11 i = ei; nell’acrostico la forma MENAECHMEI si giustifica come un’antica forma di nominativo in -ei della II decl. se… invicem: la costruzione ridondante è frequente nel latino argenteo. I parte: vv. 77-95 77 PENICULUS Iuventus nomen fecit Peniculo mihi, ideo quia mensam, quando edo, detergeo. homines captivos qui catenis vinciunt 80 et qui fugitivis servis indunt compĕdes, nimis stulte faciunt mea quidem sententia. nam homini misero si ad malum accedit malum, I giovani mi hanno soprannominato Spazzola, perché, quando mangio, pulisco la tavola. Quelli che incatenano i prigionieri e che mettono i ceppi agli schiavi fuggitivi, secondo me fanno proprio una sciocchezza. Perché per un disgraziato, se a un male se ne aggiunge un maior lubido est fugere et facere nequiter. nam se ex catenis exĭmunt aliquo modo, 85 tum compediti anum lima praetĕrunt aut lapide excutiunt clavom. nugae sunt eae. quem tu adservare recte, ne aufugiat, voles, esca atque potione vinciri decet. apud mensam plenam homini rostrum deliges; 90 dum tu illi quod edit et quod potet praebeas, suo arbitratu ad fatim, cottidie, numquam edepol fugiet, tam etsi capital fecerit, facile adservabis, dum eo vinclo vincies: ita istaec nimis lenta vincla sunt escaria, 95 quam magis extendas, tanto adstringunt artius. altro, è ancora più grande la voglia di scappare e di combinare guai. E allora in un modo o nell’altro si disfano delle catene: se hanno i piedi legati, segano l’anello con la lima, o spaccano il chiodo con un sasso. Sono cose da niente, queste! Se vuoi tenere uno sotto stretta sorveglianza, che non scappi, bisogna che lo leghi col mangiare e con il bere. Legagli il muso a una tavola imbandita; finché gli dai da mangiare e da bere a volontà, a sazietà, ogni giorno, non fuggirà mai, per Pollùce! neanche se ha commesso un delitto capitale; lo sorveglierai facilmente, finché lo legherai con questa catena; e poi queste catene commestibili sono davvero elastiche: quanto più le allunghi, tanto più stringono. Probabilmente la scena rappresentava due case: a destra degli spettatori, quella di Menecmo I, a sinistra quella di Erozio. Secondo la tradizione della commedia, le persone che vivono in città arrivano da destra rispetto allo spettatore, quelle che vengono dal porto, da sinistra. Perciò Peniculus arriverà da destra. 77 iuventus lett. ‘la gioventù’, nome collettivo: ‘i giovani’. Peniculo il nome concorda con la persona in dativo (mihi) e non con nomen in accusativo (cf. anche Capt. 69, ad arg. v. 3). 78 ideo ‘per questa ragione’, anticipa quia; Peniculo: il nome dello schiavo vorrebbe dire ‘coda’, ma sappiamo da Paolo Festo 230 M. che le code di toro erano spesso usate come spazzole, da qui lo scherzo. I parassiti hanno spesso soprannomi nella Commedia Nuova; in questo caso il nome sarà un’invenzione plautina (Gratwick). 79 homines captivos c. ogg. ; il soggetto è (ei) qui... ‘coloro che’. et qui: relativa coordinata alla precedente. 80 compĕdes ‘catene che bloccano i piedi’ legandoli tra loro, mentre le catenae assicurano il prigioniero al muro. La distinzione torna ai vv. 85s. 81 nimis in Plauto in genere non significa ‘troppo’, ma ‘molto’. 82-83 si …. accedit/ maior … est: periodo ipotetico del I tipo (oggettività). homini misero: dativo di svantaggio. maior (sott. ei) est lubido (= libido): ‘ha un desiderio ancora più grande’: dativo di possesso. fugere et facere: coppia allitterante isosillabica, isoprosodica e omeoteleutica. facere nequiter ‘agire irresponsabilmente’. 84 eximunt plurale con soggetto generico. 85 anum = anulum (il grosso anello che circonda la caviglia del prigioniero). clavom = clavum. 87-89 quem… voles / … decet (eum) quem … adservare…voles: sub. rel. I gr. ne aufugiat: sub. finale II gr. decet : prop. princ. vinciri : inf. sogg. I gr. dipendente da decet rostrum: propriamente ‘becco’, nella lingua d’uso è impuegato come sinonimo di os e indica particolarmente la parte tra il naso e la bocca (OLD 1662b), cioè ‘il grugno’ o ‘il muso’: cf. Lucil. 210 M. = 212 K. rupicum squarrosa rostra ‘i musi pieni di pustule degli zoticoni’. delĭges: da deligo, as, -avi, -atum, -are: cong. con valore esortativo. 90 dum …. praebeas prop. temporale I gr. con il II dum (‘fin tanto che’, indica due processi verbali paralleli: cf. Traina, Sintassi 421). quod edit et quod potet: relative con valore finale (‘da mangiare e da bere’); edit è un’antica forma di congiuntivo (originariamente un ottativo). 91 ad fatim espressione della lingua d’uso, molto sfruttata da Plauto (8 occorrenze) significa propriamente ‘a crepapelle’ da *fatis (‘fessura’); questo valore tende progressivamente a indebolirsi: la forma adfatim (con anche la variante assimilata affatim) diventa sinonimo di satis es. Mil. 980 tibi divitiarum adfatimst: ‘ne hai abbastanza di ricchezze’. 92 edepol tipica esclamazione comica «per Pollúce» ricorrente in commedia (anche nella forma abbreviata Pol) e usata sia da personaggi maschili che femminili; esclusivamente femminili sono invece le interiezioni ecastor, mecastor («per Càstore»), cf. Hofmann, p. 138. tam etsi (più tardi tametsi): ‘anche se …’ introduce la concessiva. capital fecerit: ‘commetterà un delitto capitale’, ossia per cui è prevista la pena di morte. 93 dum ‘finché’ vedi sopra. vinclo vincies figura etymologica, molto amata da Plauto e in generale nel latino arcaico: esempi simili sono honore honestes (Capt. 356) e laudibus laudare (Capt. 420-422). Si noti la forma sincopata vinclum per vinculum. 94 istaec = ista con apocope e ossitonia secondaria (Propedeutica 98). lentus qui nel senso di ‘elastico’ (cf. Catull. 64,183 fugit lentos incurvans gurgite remos). escaria: l’aggettivo, usato qui scherzosamente da Plauto, si trova altrove solo nella prosa tecnica (nel senso di ‘commestibile’ o ‘per alimenti’ cf. ad es. Plin. nat. 36,198 vasa escaria). 95 quam magis … tanto artius correlazione comparativa. extendas ‘tu’ generico, frequente per sottolineare l’azione eventuale. 96-124 96 nam ego ad Menaechmum hunc eo, quo iam diu sum iudicatus; ultro eo ut me vinciat. nam illic homo homines non alit, verum educat, recreatque: nullus melius medicinam facit. 100 ita est adulescens ipsus; escae maxumae Cerealis cenas dat, ita mensas exstruit, tantas struices concinnat patinarias: standumst in lecto, si quid de summo petas. sed mi intervallum iam hos dies multos fuit: 105 domi domitus sum usque cum caris meis. nam neque edo neque emo nisi quod est carissumum. †id quoque iam, cari qui instruuntur deserunt. nunc ad eum inviso. sed aperitur ostium. Menaechmum eccum ipsum video, progreditur foras. 110 Menaechmus ni mala, ni stulta sies, 110a ni indomita imposque animi, 111 quod viro esse odio videas, 111a tute tibi odio habeas. 112 praeterhac, si mihi tale post hunc diem faxis, faxo foris vidua visas patrem. 114 nam quotiens foras ire volo, 114a me retines, revocas, rogitas, 115 quo ego eam, quam rem agam, quid negoti geram, quid petam, quid feram, quid foris egerim. portitorem domum duxi, ita omnem mihi rem necesse eloqui est, quidquid egi atque ago. nimium ego te habui delicatam; nunc adeo ut facturus dicam. 120 quando ego tibi ancillas, penum, 121 lanam, aurum, vestem, purpuram 121a bene praebeo nec quicquam eges, 122 malo cavebis si sapis, 122a virum observare desines. atque adeo, ne me nequiquam serves, ob eam industriam hodie ducam scortum ad cenam atque aliquo condicam foras. Ora vado da questo Menecmo qui, dove sono in consegna ormai da tanto tempo: ci vado da solo, perché mi incateni. Perché quello lì non solo nutre la gente, ma la tira su e la rimette al mondo: nessuno cura meglio (di lui). È così, il ragazzo: gran mangiatore, dà cene degne di Cerere, mette su certe tavole, sistema certe moli di piatti: bisogna alzarsi in piedi sul letto, se si vuole qualcosa dalla cima. Ma in questi giorni, ormai da molti, c’è stata un’interruzione. Sono stato chiuso in casa tutto il tempo con i miei cari: difatti io mangio e compro solo quello che è più caro. E c’è anche questo: i miei cari, appena si schierano a tavola, spariscono. Adesso vado a fargli visita. Ma si apre la porta. Ecco, vedo Menecmo in persona: sta uscendo. Menecmo: se non fossi cattiva e stupida, se non fossi selvatica e fuori di te, quello che vedi essere in odio a tuo marito, lo detesteresti tu sola per te. Inoltre, se dopo questa giornata mi farai una cosa simile, farò in modo che tu te ne vada fuori a far visita a tuo padre, senza marito. Perché tutte le volte che voglio uscire, mi trattieni, mi chiami indietro, insisti a domandare: dove vado, cosa faccio, che affare sto trattando, cosa cerco, cosa porto, cosa ho fatto fuori. Mi sono messo in casa un doganiere, perché tutto per filo e per segno devo spiegare, quel che ho fatto e quel che sto facendo. Ti ho trattato con troppo riguardo; ora dirò cosa intendo fare. dato che ti procuro per bene le serve, le vettovaglie, la lana, l’oro, la veste, la porpora e non manchi di nulla, ti guarderai da una disgrazia, se sei furba, la smetterai di spiare tuo marito. E inoltre, perché tu non mi sorvegli inutilmente, in cambio di questo tuo zelo, oggi prenderò una puttana e mi accorderò per cenare fuori da qualche parte. 96s. hunc ‘questo qui’, deittico: sarà accompagnato da un gesto che indica la casa. quo … iudicatus: quo è avv. di luogo ‘dove’ usato al posto del pronome relativo; iudicatus è un termine legale: si riferisce al debitore insolvente che veniva ‘dato in consegna’ dal pretore al creditore, il quale lo teneva in casa in condizione di semi-schiavitù: cf. Asin. 937 iudicatum me uxor abducit domum. ultro: ‘spontaneamente’, ‘senza essere tenuto a farlo’ il parassita si consegna spontaneamente a Menecmo, per essere nutrito; ut … vinciat, subordinata finale: nelle proposizioni finali si possono incontrare: 1) ut + cong. (negaz. ne): legati venerunt ut pacem peterent, “gli ambasciatori vennero per chiedere pace” (per la consecutio temporum si ha di regola un rapporto di contemporaneità.); 2) quo + cong., in presenza di un comparativo: legati venerunt quo aequiorem pacem peterent “gli ambasciatori vennero per chiedere una pace più giusta”; 3) ad+ acc. del gerundio o gerundivo: legati uenerunt ad pacem petendam; 4) causa,gratia + gen. del gerundio o gerundivo: legati venerunt pacis petendae gratia; 5) supino in -um, con verbi di moto: legati venerunt pacem petitum. 98s. illic (= ille) forma apocopata con ossitonia secondaria. alit… educat… recreatque climax: alere significa somministrare il nutrimento di base (come si fa con gli schiavi), educare significa ‘allevare’ ed è riferito in genere ai propri figli, recreare significa ‘rimettere in salute’ e si riferisce ai pazienti curati dai medici. medicinam facit ‘somministra la cura’, ‘cura’. 100 ita est: forma colloquiale per huiusmodi est; ipsus = ipse forma arcaica frequente in Plauto. escae maxumae (= maximae) genitivo di qualità: espressione colloquiale? cf. Hor. carm. 1,36,13 multi Damalis meri; Cic. fam. 26 multi cibi hospes. 101 Cerealis cenas si noti l’allitterazione; Cerere/Demetra, dea delle messi è ovviamente associata all’abbondanza: uno dei suoi epiteti greci è MegalÒmazoj , ‘dalla grossa focaccia’. Secondo Gratwick l’espressione rievoca scherzosamente agli abbondanti banchetti pubblici che si davano nel foro durante i Cerealia (feste in onore della dea che si tenevano in Aprile nel Circo); Plauto sembra suggerire che la dea stessa sia una ghiottona. 102 tantas … patinarias struīces (da struix) è parola rara e di tono solenne, in uso nella tragedia: cf. Naev. 60 Ribbeck2 struix malorum ‘un mucchio di disgrazie’, mentre patinarius è un aggettivo qui usato scherzosamente (cf. supra, escaria), ricavato da patĭna (gr. pat£nh), ‘piatto’ o ‘padella’: Plauto lo sua anche in Asin. 179s. Is habet sucum, is atque hunc comburamus diem. Pen. Age sane igitur, quando aequom oras, quam mox incendo rogum? 155 dies quidem iam ad umbilicum est dimidiatus mortuos. spassiamo e andiamo a fare il funerale a questa giornata. Pen. Avanti, allora, poiché chiedi il giusto, quando accendo il rogo? Il giorno ormai è morto per metà: fino all’ombelico. 125 Illic = ille; simulat ‘finge’. male loqui: ‘parlare male di’ + dat., ma qui sembra piuttosto ‘insultare’ cf. Asin. 477s. libero homini / male servos loquere? ‘tu schiavo, osi insultare un uomo libero’? 126 normalmente il parassita viene invitato a casa: la cena fuori è la tipica scusa con cui si cerca di liquidarlo. si foris cenat … ulciscitur: periodo ipotetico del I tipo. 127 evax grido di esultanza di origine greca (*eÙ£x), benché non attestato in greco (forse perché tipico solo del parlato, cf. Hofmann 134); Plauto lo mette in bocca a personaggi che vedono la strada spianata per le loro avventure sessuali (Bacch. 247; 724, Cas. 835). iurgium ‘alterco’, deverbale da iurgo ‘litigare’. 128-29 Menecmo, esultante per essere riuscito a beffare la moglie, si propone come campione degli amatores mariti; amator e nomen agentis: il suffisso –tor indica un’azione compiuta abitualmente (in opposizione ad amans, l’“innamorato”). L’appello a un settore del pubblico (in questo caso i mariti scapestrati) è considerato da Fraenkel un tipico elemento plautino (cf. p. 234); quia cong. che in Plauto spesso equivale a quod (Lindsay, Syntax 120): dopo l’espressione di un sentimento, il latino classico usa quod dichiarativo (Traina, Sintassi § 337; ma è ammesso anche quia, cf. n.1); pugnavi fortiter espressione usata da Livio (16,3,70 Nico et Democrates fortiter pugnantes cecidere) e nelle declamazioni (cf. ad es. Sen. contr. 10,2,2 ego vero pugnabo et fortiter et fortissime) per caratterizzare l’eroe di guerra; la metafora militare è frequente in Plauto, soprattutto in relazione allo schiavo, che usa una terminologia militare per descrivere i suoi intrighi, vantandosi delle sue ‘gesta’ come di imprese belliche (cf. Fraenkel 223-231): nei Men. è usata in 134-6; 191, 196 (da Men. I); 107, 182-86, 469-72 da Pen.; 435, 441 da Men II; 989 da Mes. 130 pallam mantello da donna tipicamente romano, diverso dal pallium (il mantello di foggia greca che dà il nome alla palliata). È un elemento scenico importante, subito sottolineato dal deittico hanc (probabilmente l’attore indicava un fagotto nascosto sotto il proprio mantello). hanc … pallam: iperbato. 131 decet impersonale, regge la sub. epesegetica dari verba (anticipata da hoc), con inf. passivo (‘che sia ingannata’); dare verba = ‘darla a bere’ cf. Capt. 945 rescivi mihi data esse verba ‘mi sono accorto di essere stato fregato’; facete ‘astutamente’; custodi catae iunctura allitterante; catus, agg. molto amato da Plauto, è spesso riferito allo schiavo o alla donna furba. 132 hoc…hoc…hoc: anafora. pulchrumst (= pulchrum est) prodelisione come i successivi probumst, lepidumst, factumst; factumst fabre allitterazione espressiva. 133 meo malo … mala: allitterazione e poliptoto; meo malo è abl. di modo senza cum, ‘con un danno per me’: rubando alla moglie Menecmo danneggia le sue stesse sostanze (anche se in seguito la moglie risulterà essere una uxor dotata). ad damnum deferetur: altra iunctura allitterante; il damnum è la cortigiana destinataria del dono, l’uso dell’astratto per insultare è frequente nella commedia (cf. Opelt 109: per le prostitute e per i lenoni si usano forme come perlecebrae “seduzione”, pernicies “rovina”, adulescentum exitium “rovina dei giovani”, ecc.); deferre e degerere sono spesso usati per ‘portare un dono’ a una cortigiana. 134 Termina qui il canticum di Menecmo. socium = sociorum: il gen. in –um, di colore arcaico e solenne fa il verso al linguaggio eroico (cf. Pseud. 678 centum doctum hominum consilia sola haec devincit dea, i progetti di cento uomini sapienti questa dea da sola [la Fortuna] li manda all’aria); salute, abl. di modo; continua l’uso scherzoso della metafora militare: espressioni come salute socium o salute nostra erano formule fisse delle gratulationes, cioè i solenni ringraziamenti per il buon esito della guerra che i comandanti vittoriosi rendevano agli dèi (cf. Fraenkel 230). 135 heus interiezione tipicamente usata per attirare l’attenzione di q.no sulla scena. ecqua agg. interrogativo da ecquis; istac = ista; praeda: continua la metafora militare. 136 in insidias deveni … praesidium continua lo scherzo incentrato sul linguaggio militare. immo: avv. con valore correttivo: ‘no, anzi’ (cf. Traina, Sintassi §182). ne time: l’imperativo negativo si presenta spesso in questa forma in Plauto (66 volte); l’imperativo negativo in latino si esprime: 1) con ne e la seconda pers. del perf. cong.: ne feceris , «non fare»; 2) ne + cong. pres. ne facias «non fare»; 3) ne con l’imperativo pres.o futuro: ne cede malis «non cedere ai mali»/ impius ne audeto «non osi l’empio»; 4) noli/nolite + inf.: noli irasci «non ti arrabbiare»; cave/cavete + cong.: cave putes «non credere». 137 o mea Commoditas, o mea Opportunitas Menecmo saluta solennemente il parassita, come una sorta di divinità (E. Dickey, Latin forms of address 317 e 346 rileva come i vocativi, di uso esclusivamente plautini siano usati nelle commedie come termine di elogio per utili subordinati (commoditas è anche in Epid. 614 e Poen. 421; opportunitas in Curc. 305). 138 quid agis? è una formula di saluto (‘come va?’): cf. ad es. Plaut. Cur. 301, 305, ma Peniculus la interpreta come una domanda vera e propria: ‘cosa stai facendo?’, così anche in Most. 719 :: quid agis? :: hominem optumum teneo :: ‘che fai?’ :: ‘stringo la mano a un galantuomo’. Il genius è una specie di angelo custode: ma è anche il termine con cui il parassita indica il suo benefattore cf. ad. es. Capt. 879 tuom gnatum et genium meum: ‘tuo figlio e il mio angelo custode’ (a parlare è sempre un parassita). 139 potuisti: ‘avresti potuto’, falso condizionaleIl latino impiega talora l’indicativo per alcune locuzioni verbali che in italiano sono espresse preferibilmente al condizionale: ad. es., verbi come 1) oportet («sarebbe necessario»), licet («sarebbe lecito»), possum («potrei»), debeo («dovrei»); 2) con la perifrastica passiva: dicendum fuit «si sarebbe dovuto dire»; 3) locuzioni impersonali come longum est «sarebbe troppo lungo», meum, tuum est («sarebbe mio, tuo dovere»), tanti est «varrebbe la pena». advenire … advĕnis: poliptoto. 140 Menecmo, che è stato invocato come Commoditas risponde calandosi nella parte della divinità. commoditatis omnis (= omnes) articulos: lett. “tutte le minime parti del momento opportuno”. 141 vin = visne (forma apocopata); luculentus, ‘splendido’, luminoso (cf. Plaut. Epid. 341 pro dii immortales, mihi hunc diem dedistis luculentum o dei immortali, mi avete dato una splendida giornata!), è imparentato etimologicamte con lux (cf. DEL 373); Peniculus però lo associa immediatamente a lucuntulum, frittella di formaggio e miele (Gratwick), il che spiega la domanda successiva: quis coxit coquos (= coquus)? con figura etymologica. inspicere: ‘dare un’occhiata’ da *specio con apofonia latina (Propedeutica, p. 120-16). 142 iam ‘subito’; sciam ... si quid titubatumst (titubatum est) : periodo ipoteti ipotetico del I tipo. titubo (“vacillare” quindi “commettere un errore”); ubi … videro: temporale con anteriorità “non appena avrò visto”. 143 enumquam (en + umquam, dove en corrisponde al greco Àn, ‘ecco’) introduce l’interrogativa diretta. Menecmo suggerisce ancora un’immagine eroica di se stesso: questa volta, per il fatto di aver rubato il mantello, si identifica con le divinità che rapiscono gli uomini di cui sono innamorate. 144 Catamitus e Adoneus: la forma di questi nomi greci rivela che sono stati introdotti in latino in età preletteraria (il lat. class. ha Ganymedes e Adonis o Adon), casi simili (Polluces per Pollux, Alcumĕus per Alcmaeo(n), ecc. sono menzionati da Brix. Niemeyer 35 ad loc.); per Catamitus il passaggio dalla velare sonora alla sorda rivela la mediazione etrusca. Fraenkel 71s. sottolinea la ‘plautinità’ di questo passo: spesso riferimenti mitologici o storici vengono accumulati per arricchire il discorso del personaggio ‘trionfatore’ (in genere il servus). ubi … raperet: sub. rel. con congiuntivo generalizzante, cf. Rud. 313-15 ecquem adulescentem … vidistis … qui duceret? ‘per caso avete visto un giovane … che portasse’ 146 ecdquid suggerisce una risposta positiva (= nonne); adsimulo similiter: figura etymologica (numerosi esempi in Hofmann 230-232). istest = iste est, prodelisione. tuos = tuus. 147 dic, imperativo apocopato; lepidissimum (= lepidissimum) esse me: sub. inf. ogg. essuri sumus (da edo): perifrastica attiva con valore di intenzione: cf. Traina, Sintassi §288, La perifrastica attiva rientra nell’uso predicativo del participio: il participio futuro infatti determina sum come predicato nominale. Il costrutto può esprimere: (1) imminenza, apes evoltaurae sunt ‘le api stanno per levarsi in volo’; (intenzione), non estis cenaturi? ‘non volete cenare?’ (3) predestinazione, fiet quod futurum est ‘accadrà ciò che deve accadere. 148 quod te iubeo: ‘ti ordino’, iubeo può reggere l’accusativo della persona e della cosa (quod). lepidissime: voc., come il successivo hilarissime. 149 audes: semideponente (audeo, es, ausus sum, -ere), qui usato come espressione di cortesia ‛sei così gentile da…’ istuc = istud; 150 mi = mihi ‘a mio vantaggio’; eo ‘per questo’: avv. derivato dalla cristallizzazione dell’ablativo di id. ‘per questa ragione’ qua gratia = cuius rei gratia, locuzione interrogativa. 151 caveo cautius ancora una figura etymologica, del tipo propere properare. 152/3 riporto i vv. nella ed. di Gratwick che proprone il testo tràdito considerandolo insanabile: una sillaba di troppo compromette il metro (Ernout ipotizza che due versi si siano fusi in uno); Ussing risolve con la prodelisione uxoremst, ma ammette che il verso risulta molto duro; Lindsay accoglie la congettura di Vahlen: clam uxorem ubi sepulcrum habeamus atque hunc comburamus diem estendendo la metafora dell’uccisione del giorno, espressa da diem comburere. La personificazione del giorno è un procedimento tipicamente plautino: si veda Fraenkel 101-104; tra i vari esempi citati dallo studioso, molto vicino a quello del ns. passo è Stich. 453, dove un padrone dice allo schiavo hunc tibi dedo diem ‘ti consegno questo giorno’, e lo schiavo risponde: meam culpam habeto, nisi probe excruciavero ‘consideralo pure colpa mia, se non lo tormenterò per bene’. 154 quando aequom (aequum) oras: sub. causale. quam mox: lett. ‘quanto presto…?’ 155 dies ... mortuos (= mortuus): il giorno è a metà, cioè è mezzogiorno. La personificazione del giorno prolunga l’immagine del v. 152. vv. 156-180 156 Men. Te morare, mihi quom obloquere. Pen. †oculum ecfodito per solum mihi, Menaechme, si ullum verbum faxo nisi quod iusseris. Men. Concede huc a foribus. Pen. Fiat. Men. Etiam concede huc. Pen. Licet. Men. Etiam nunc concede audacter ab leonino cavo. 160 Pen. Eu edepol ne tu, ut ego opinor, esses agitator probus. Men. Quidum? Pen. Ne te uxor sequatur, respectas identidem. Men. Sed quid ais? Pen. Egone? id enim quod tu vis, id aio atque id nego. Men. Ecquid tu de odore possis, si quid forte olfeceris, facere coniecturam ? [..................................] 165 (Pen.) [..........................] Captum sit collegium. Men. Agedum odorare hanc quam ego habeo pallam. quid olet? apstines? Pen. Summum oportet olfactare vestimentum muliebre, nam ex istoc loco spurcatur nasum odore inlucido. Men. Olfacta igitur hinc, Penicule. lepide ut fastidis. Pen. Decet. 170 Men. Quid igitur? quid olet? responde. Pen. Furtum, scortum, prandium. Men. tibi fua [……………………………………….] elocutu’s, nam [………………………………..] nunc ad amicam deferetur hanc meretricem Erotium. mihi, tibi atque illi iubebo iam adparari prandium. Pen. Eu. 175 Inde usque ad diurnam stellam crastinam potabimus. Pen. expedite fabulatu's. iam fores ferio? Men. Feri. vel mane etiam. Pen. Mille passum commoratu's cantharum. Men. Placide pulta. Pen. Metuis, credo, ne fores Samiae sient. f [.......................................................................] 180 Men. Mane, mane obsecro hercle: eapse eccam exit. oh, solem vides satin ut occaecatust prae huius corporis candoribus? Men. Fai perdere tempo a te stesso, se mi interrompi. Pen. cavami un occhio dalla radice, se dirò una parola senza che tu lo ordini. Men. Vieni qui, via dalla porta. Pen. Ecco fatto. Men. Vieni ancora più in qua. Pen. Va bene. Men. Coraggio, ritirati ancora dalla tana della leonessa. Pen. Per Polluce, secondo me tu saresti proprio un bravo pilota. Men. E perché ? Pen. Stai sempre voltato a guardare che tua moglie non ti segua. Men. Ma che dici? Pen. Io? dico di sì e dico di no come vuoi tu. Men. E, se annusi una cosa, saresti capace dall’odore di dire cos’è ? (Pen.) Fa conto di avere il collegio degli àuguri. Men. Forza, allora, annusa questo mantello qui. Di cosa sa? Ti tiri indietro? Pen. la veste di una donna bisogna annusarla dall’alto, perché da questa parte ti appesta il naso con una puzza pessima. Men. Allora annusa da quest’altro lato, Peniculo. Ma come sei schizzinoso! Pen. Ce n’è motivo! Men. E dunque? Di cosa sa? Rispondi! Pen. Di furto, di zoccola, di pranzo. Men. Che ti … l’hai detto! perché ora sarà consegnato alla mia amante: Erozio, questa professionista qui. Per me, per te e per lei farò subito preparare un pranzo. Pen. Evviva! Men. Dopo di che, fino alla stella di domani mattina, ci sbronzeremo! Pen. L’hai detto speditamente. Ora busso? Men. Sì. Anzi no, aspetta ancora. Pen. Hai ritardato la bevuta di un miglio! Men. Bussa delicatamente. Pen. Hai paura, forse, che la porta sia di terracotta di Samo. Men. Aspetta ! Aspetta ! Ti prego, per Ercole! Ecco: esce lei. Oh! Non vedi come il sole si è accecato per lo splendore del suo corpo? 156 morare = moraris; quom = cum; obloquere = obloqueris. te … mihi, uso enfatico dei pronomi (‘è te che ritardi, interrompendo me’). Gratwick considera corrotto oculum ecfodito per solum: non è infatti sicuro che per solum voglia dire, come di solito si ritiene, ‘dalla radice’ (sinonimo di funditus o radicitus): Thoresby-Jones rimanda a Poen. 571 at edepol nos tibi in lumbos linguam atque oculos in solum (deciderint) ‘e noi, per Polluce, (vorremmo) che la lingua ti scendesse in fondo alla schiena e gli occhi a terra’; ecfodĭto ‘estraggo, cavo fuori’ (da ex + fodio) è imperativo futuro un’espressione simile in Aul. 53 oculos istos, improba, effodiam tibi ‘questi occhi, scellerata, te li caverò’, cf. anche Rud. 659, age nunciam, iube oculos elidere, itidem ut sepiis faciunt coqui ‘su, e adesso fagli cavare gli occhi, come fanno i cuochi con le seppie’; 731s. […] ni ei caput exoculassitis / quasi murteta iunci item ego vos virgis circumvinciam ‘se voi non gli cavate gli occhi dalle orbite, come i giunchi racchiudono in sé i mazzi di mirti, vi farò rinchiudere in una gabbia di vergate’. 157 faxo futuro sigmatico di facio (cf. supra); nisi quod iusseris ‘tranne quel che ordinerai’, nota l’anteriorità. Licet propriamente ‘è lecito’, esprime assenso alla richiesta. 158 huc ‘in qua’: evidentemente Menecmo si è allontanato il più possibile dalla porta di casa. fiat, propriamente ‘sia fatto’. etiam: ‘ancora’ o ‘ancora di più’. 159 per Gratwick e Brix-Niemeyer concede audacter è un ossimoro comico ‘ritirati con coraggio’. 160 eu, interiezione corrispondente al greco eâ: si trova quasi esclusivamente dei poeti scenici; da sola (e allora significa ‘bene’, cf. infra, v. 174), oppure, come in questo caso, rafforza un’invocazione (ad es. edepol) ed esprime allora uno stato d’animo ironico-sarcastico (cf. Hofmann 133); ne particella asseverativa ‘davvero, proprio’, dal greco 182-226 Parte I (182-218): l’amante di Menecmo I, la prostituta Erozio, esce di casa e incontra Menecmo con Peniculo. Si decide di organizzare un festino ed Erozio viene incaricata di fare la spesa. 182 184/185 190 193 194/195 200 205 210 215 Erotium Anime mi, Menaechme, salve. Pen. Quid ego? Er. Extra numerum es mihi. Pen. Idem istuc aliis adscriptivis fieri ad legionem solet. Ego istic mihi hodie adparari iussi apud te proelium. Hodie id fiet. In eo uterque proelio potabimus; Er. uter ibi melior bellator erit inventus cantharo? Pen. tua est legio, adiudicato cum utro hanc noctem sies. Men. ut ego uxorem, mea voluptas, ubi te aspicio, odi male. Pen. Interim nequis quin eius aliquid indutus sies. Er. quid hoc est? Men. Induviae tuae atque uxoris exuviae, rosa. Er. Superas facile, ut superior sis mihi quam quisquam qui imperant. Pen. Meretrix tantisper blanditur, dum illud quod rapiat videt; nam si amabas, iam oportebat nasum abreptum mordicus. Men. Sustine hoc, Penicule: exuvias facere quas vovi volo. Pen. Cedo. sed obsecro hercle, salta sic cum palla † postea. Men. Ego saltabo? sanus hercle non es. Pen. Egone an tu magis? si non saltas, exue igitur. Men. Nimio ego hanc periculo surpui hodie. Pen. meo quidem animo ab Hippolyta subcingulum Hercules haud aeque magno umquam abstulit periculo. Men. cape tibi hanc, quando una vivis meis morigera moribus. Er. Hoc animo decet animatos esse amatores probos. Pen. Qui quidem ad mendicitatem se properent detru- dere. Men. Quattuor minis ego emi istanc anno uxori meae. Pen. Quattuor minae perierunt plane, ut ratio redditur. Men. Scin quid volo ego te accurare? Er. Scio, curabo quae voles. Pen. Iube igitur tribus nobis apud te prandium accurarier atque aliquid scitamentorum de foro opsonarier, glandionĭdam suillam, laridum pernonĭdam, aut sincipitamenta porcina aut aliquid ad eum modum, madida quae mi adposita in mensam miluinam suggĕrant; atque actutum. Er. Licet ecastor. Men. Nos prodimus ad forum. iam hic nos erimus. Pen. dum coquetur, interim potabimus. Er. Quando vis veni, parata res erit: propera modo. Erozio Anima mia, Menecmo, salve! Pen. E io? Er. tu per me sei in soprannumero. Pen. Spesso si dice la stessa cosa a quelli come me, arruolati in aggiunta alla legione. Io ho fatto preparare oggi qui da te una battaglia. Si farà oggi. In questa battaglia io e lui ci ubriacheremo. Er. E qui, chi di voi due si dimostrarà il guerriero più gagliardo con la coppa? Pen. La legione è tua: sarai tu a decidere con chi passare la notte. Men. quando ti vedo, amore mio, mia moglie, come la odio! Pen. Intanto però non puoi fare a meno di portare qualcosa di suo. Er. E questo cos’è? Men. Una cosa che abbiglia te e spoglia mia moglie, bellezza mia. Er. Di sicuro sei superiore, tanto da superare per me tutti quelli che mi comandano. Pen. Una professionista fa le moine fintanto che vede qualcosa da arraffare. Perché, se lo amassi, gli dovresti subito portar via il naso a morsi. Men. Tieni, Peniculo: voglio fare l’offerta votiva che ho promesso. Pen. Dammi. Ma, ti prego, per Ercole, dopo mettiti a ballare, così come sei, col mantello. Men. Ballare io? Sei matto, per Ercole! Pen. Chi è più matto, tu o io? Se non balli, allora toglitelo. Men. Io l’ho rubato a costo di grandi rischi, oggi. Pen. Secondo me, Ercole non ha corso un pericolo così grande a rubare il cinto di Ippolita. Men. Prendila per te, giacché tu sola ti pieghi ai miei desideri. Er. Da questi sentimenti dovrebbero essere animati gli amanti come si deve. Pen. Sì, quelli che hanno fretta di andare a fare la fame. Men. Questo, l’ho comprato io a mia moglie, l’anno scorso, per quattro mine. Pen Quattro mine sono state proprio buttate via, a conti fatti. Men. Sai cosa voglio che prepari? Er. Sì, preparerò quel che vorrai. Pen. Dunque, fai preparare a casa tua un pranzo per noi tre e fai portare dal mercato qualcosa di veramente fine: Porcellina De Animellis o Lardo De Maialis, oppure teste di porcello, o qualcosa del genere; cose succulente che messe in tavola per me, mi facciano venire una fame da avvoltoio e subito. Er. Per Càstore, va bene. Men. Noi andiamo al foro. Saremo qui presto. Pen. Fintanto che si cucinerà, ci ubriacheremo. Er. Vieni quando vuoi, la cosa sarà pronta: ma fa’ presto. Men. Tu seguimi. Pen. Per Ercole, io ti farò la guardia e Men. sequere tu. Pen. Ego hercle vero † te et servabo et te sequar: neque hodie ut te perdam, meream deorum divitias mihi. Er. Evocate intus Cylindrum mihi coquom actutum foras. ti verrò dietro: Oggi non ti perderei per tutte le ricchezze degli dei. Er. Lì dentro, chiamatemi subito fuori il cuoco Cilindro. La distribuzione delle battute in questa scena è discussa: secondo Gratwick occorre tenere conto che la parte più importante, quella a cui è affidato il comito di far ridere, è quella del parassita, che commenta ironicamente lo scambio di battute tra Erozio e Menecmo I. Per la suddivisione dei vv. 183-185 ho seguito Lindsay. 182-183 extra numerum es mihi Erozio vuole dire “sei di troppo”, ma l’espressione offre a Peniculo la possibilità di paragonarsi ai soldati ‘soprannumerari’ (adscriptivi) quelli che venivano reclutati in aggiunta agli effettivi. Aliis ascriptivis: alii indica qui “gli altri come me”. 184-185 Ego … proelium I mss. assegnano i vv. 184-188 a Peniculus; Gratwick segue la tradizione, mentre altri editori riferiscono il v. 184-185 a Menecmo, che rivendicherebbe l’idea del festino. A favore di questa interpretazione, l’enfasi di ego (sono stato io che) e la possibilità di intepretare iussi come “ho ordinato” (secondo Gratwick invece qui iubeo + infinito ha solo il valore causativo di “far preparare”). istic con ossitonia secondaria, è qui avverbio di luogo: indica un luogo vicino alla persona a cui è rivolto il discorso, cioè Erozio (il festino si farà a casa sua). Continua la metafora militare con proelium riferito al festino: ci si aspetterebbe prandium (si tratta dunque di un aprosdòketon). 186 hodie … potabimus chi attribuisce la battuta precedente a Menecmo, assegna hodie id fiet a Erozio (pronta a obbedire all’amante) e in eo uterque proelio potabimus a Menecmo. 187 erit inventus “sarà trovato” (alla fine della gara), ossia “si dimostrerà”. 188 tua est legio … sies Per questo verso seguo la sistemazione di Lindsay, mentre Gratwick legge †tuest legio (von prodelisione = tua est) apponendo le cruces per ragioni metriche. Il senso complessivo è chiaro “spetta a te scegliere”, con un prolungamento della metafora militare (propriamente “la legione è tua”) Gratwick non coglie il gioco di parole (“legio can scarcerly mean ‘choice’”) e mette una crux. adiudicato imp. fut. sies = sis. 189 ut ego … odi male l’ordine delle parole sembra suggerire un’associazione tra uxor e voluptas, che viene però rovesciata nel finale. ut ha valore esclamativo. Mea voluptas è un’espressione affettiva ricorrente in Plauto (specie tra gli innamorati), cfr. Asin. 664 Da, meus ocellus, mea rosa, mi anime, mea voluptas. Odi male: espressione colloquiale; nella lingua d’uso male è spesso unito, con valore intensivo, a verbi e aggettivi che esprimono paura, odio e simili, cfr. Ter. Haut. 664 quam timui male (cfr. Hofmann, p. 201). 190 nequis quin “non puoi fare a meno di”, quin introduce una sostantiva cfr. v. 253 nequeo contineri quin loquar “non posso trattenermi dal parlare” e 518, 726, 1100, 1124, 1146. indutus sies ( = sis) il verbo richiede l’accusativo dell’oggetto indossato sia nella forma induo mihi aliquid che nella forma indutus sum aliquid, cf. v. 512. 191 induviae … exuviae gioco di parole: induviae ‘indumenti’ (da induo) è molto probabilmente un’invenzione plautina (il termine compare qui e non si trova più fino a Gell. 9, 13, 3) stimolata dal parafonico exuviae (le ‘spoglie’ del nemico); la produzione di simili neoformazioni occasionali è tipica di Plauto: cfr. ad es. Cas. 837 meum corculum, melculum verculum, dove l’hapax verculum viene introdotto sulla scia del comune corculum e del più raro melculum (questo e altri esempi in Traina, Forma e Suono, Bologna 2000, pp. 43ss.). Entrambi i sostantivi sono deverbali: exuviae, le ‘spoglie’, da exuo, induviae da induo. Rosa: altra apostrofe affettiva, cfr. sopra, ad v. 189. 192 superas … imperant superas ... superior figura etimologica. ut ... sis: sub. consecutiva; quisquam: questo pronome indefinito evidenzia l’inconsistenza dei rivali di Menecmo. imperant plurale generico concordato a senso con il singolare (quisquam qui); i mss. riportano impetrant ‘chiedono’, corretto in imperant da Ussing (imperant mantiene la metafora militare). 193 dum ... videt II dum (‘fin tanto che’, ‘per tutto il tempo che’); il valore di dum è evidenziato da tantisper (“tanto a lungo”). La rapacità è un tratto tipico della meretrix come personaggio comico. 194-195 nam … mordicus si amabas (protasi) … oportebat (apodosi): periodo ipotetico del III tipo espresso con l’indicativo imperfetto (cfr. Traina, Sintassi § 382). nasum abreptum (esse) “che il naso fosse staccato”, sub. infinitiva. mordicus: avv. propriamente ‘a morsi’; i commentatori (Gratwick, Hammond) attribuiscono a mordicus una valenza erotica (l’immagine dei morsi ha valenza erotica in Plaut. Pseud. 67 Teneris labellis molles morsiunculae ‘teneri morsettini alle morbide labbra’ e Catull. 8,18 quem basiabis. cui labella mordebis?). Tuttavia, mordicus, associato al naso, di solito ricorre in espressioni di tutt’altro genere: cfr. ad es. Nevio fr. 43 Ribbeck2…utinam nasum abstulisset mordicus! ‘magari staccasse il naso a morsi’ e Plaut. Capt. 604 Namque edepol si adbites propius, os denasabit tibi / mordicus ‘se ti avvicini ti staccherà il naso dalla faccia a morsi’. Forse il parassita intende dire che se Erozio amasse davvero Menecmo, non lo incoraggerebbe a rubare, ma anzi reagirebbe con rabbia ai furti compiuti con gravi rischi (cfr. vv. 200ss.). 196 sustine ‘tieni’, l’oggetto è, secondo Gratwick, il mantello maschile di Menecmo, sotto il quale si nasconde la palla rubata. exuvias facere: ‘fare un’offerta votiva’: ancora una volta Menecmo si cala nel ruolo dell’imperator vittorioso che offre agli dei il bottino di guerra. 197 Cedo, dalla particella deittica ce (di ecce) = ‘qua’ e *-do di endo, forma arcaica di in, è un’espressione fortemente colloquiale: ‘qua’, ‘da’ qua’ (Hofmann, 143); sic ‘così come sei’: Menecmo, tolto il pallium da uomo, ha indosso il mantello della moglie: Peniculus lo invita a danzare (salta) come farebbe un travestito (cinaedus). Meno probabile (come ipotizza Gratwick) che sic significhi in ‘questo modo’ (il parassita mimerebbe la danza). Gratwick sospetta che postea sia corrotto (l’imperativo presente richiederebbe posthac) e suggerisce la correzione post ea<m> ‘dopo di lei’. 198 sanus … non es la follia è un motivo chiave nei Menecmi. L’idea di danzare mal si concilia con il ruolo di imperator vittorioso in cui Menecmo si è calato. 199 nimio … periculo ‘con grande pericolo’, nimius significa qui ‘grande, non ‘eccessivo’. 200 surpui = surripui. Hippolyta: allusione a una delle fatiche di Eracle, il furto del cinto della regina delle amazzoni, Ippolita; il riferimento al mito ingrandisce con un’iperbole l’impresa di Menecmo (un’altra allusione a questo particolare mito in Epid. 179. 201 haud aeque magno … periculo ‘con pericolo non altrettanto grande’, litote; espressioni simili sono spesso usate da Plauto per introdurre paragoni (cfr. Fraenkel, 9). 202 vivis = es; meis morigera moribus triplice allitterazione; morigera e moribus sono legati etimologicamente; morigera è un agg. composto (mos + gerere) che si riferisce alla capacità di assecondare il comportamento altrui; questa qualità (la docilità) è in genere ritenuta auspicabile da parte della moglie: ad es. è un tratto fondamentale di Alcmena, presentata come moglie esemplare in Amph. 839-841. 203 hoc … animatos esse … probos sub. infinitiva retta da decet. Si noti la figura etimologica animo animatos. 204 quidem ‘sì’, asseverativo. properent: congiuntivo caratterizzante. 205 quattuor minis abl. di prezzo dipendente da emi. instanc = istam: il deittico ci fa capire che il mantello è passato nelle mani di Erozio. 206 perierunt plane allitterazione; pereo riferito all’ambito economico sognifica ‘andare in rovina’, qui ‘andare sprecato’. plane avverbio tipico della lingua d’uso (Hofmann, 199), intensifica pereo, con cui ricorre spesso (cfr. Plaut. Most. 536 Nunc pol ego perii plane in perpetuom modum); ut ratio redditur, propr. ‘quando si fa il conto’ (rationem reddere, ‘fare i conti). 207 scin = scisne quid volo: interrogativa indiretta con l’indicativo, rivela l’origine paratattica del costrutto (quid volo? Scis). 208 iube … accurarier (= accurari): iubeo + infinito. 209 atque … opsonarier (= opsonari) infinitiva coordinata alla precedente; scitamentorum: gen. partitivo riferito a aliquid; il termine scitamentum è un’invenzione plautina da scitus, ‘fine’ e riferito ai cibi ‘prelibato’ con il suffisso strumentale –mentum; dopo Plauto il termine sembra scomparire per riemergere in Gellio 18,8,1 dove indica le ‘raffinatezze stilistiche’ e in Apuleio met. 10, 13 scitamenta mellita “manicaretti a base di miele”. 210 glandionĭdam … pernonĭdam neoformazioni occasionali: Plauto aggiunge il suffisso patronimico greco -idh~, di tono aulico (cf. 'Atredhj Atride), a termini che indicano parti del maiale, glandium, l’animella, e perna ‘prosciutto’; suilla è agg. sostantivato ‘carne porcina’ (da sus). Gratwick traduce ‘Miss Piggy Sweetbreadson’ e ‘Master Porky Baconson’. 211 sincipitamenta altra creazione plautina da sinciput (semi + caput), propriamente ‘mezza testa’ ovvero ‘testa di animale’ ‘cervello’ (cfr. infra, v. 503), con il suffisso –mentum. Gratwick ritiene che Plauto alluda a incipitare o incitamentum e traduce ‘hogbrains for starters’. La predilezione per la carne di maiale è considerata tipicamente romana, nella Commedia Nuova i manicaretti sofisticati sono più spesso a base di pesce. 212 madida da madeo ‘essere umido’, indica la morbidezza raggiunta con un certo tipo di cottura, in mensam: Gratwick coglie un gioco di parole con immensam; miluinam (sott. famem), ‘una fame da avvoltoio’ (milvus). 213 ecastor ‘Per Càstore’, eclamazione tipicamente femminile. 214 dum coquetur: II dum. 217 ut te perdam ‘a condizione di perderti’ (con ut = modo ut, ‘purché’). Propriamente: “Pur di non perderti, oggi, non vorrei guadagnare la ricchezza degli dei”. 218 evocate intus ‘chiamate da dentro’. Erozio rivolge l’ordine ai servi che si trovano dentro casa. Cylindrum … coquom il cuoco Cilindro’. La figura del cuoco è tipica della Commedia Nuova; qui il cuoco sembra essere un servo, ma in genere si tratta di un libero professionista che viene ‘preso a nolo’ al mercato con tutti i suoi strumenti. Figure di cuochi compaiono nello Pseudolus e nell’Aulularia. 226-227 nullast = nulla est. navitis: Gratwick nota che navĭta è un termine solenne, aulico, in linea con il profilo ‘eroico’ di Menecmo II. Messenio il nome dello schiavo rinvia a Messene, toponimo dorico dell’attuale Messina: la popolazione messinese era rinomata a Roma per la sua tenacia (tra il III e il II sec. aveva resistito fermamente a personaggi ostili a Roma, come Demetrio di Faro, Filippo V di Macedonia, Nabide di Sparta), perciò, osserva Gratwick, il nome di Messenione evocava la Sicilia e nello stesso tempo suonava simpatetico al pubblico romano. quam introduce il secondo termine di paragone rispetto a maior. quom = cum, introduce una subordinata temporale. 228 maior (sott. voluptas est); si videas, sub. ipotetica con congiuntivo eventuale; non dicam dolo: inciso colloquiale con allitterazione espressiva ‘a dire il vero’ (propriamente “non dirò per ingannare”): cf. Trin. 90 e 480; inoltre Ter. Ad. 375. quae fuerit tua ‘che è stata tua’, cong. eventuale o indeterminato; l’uso del perf. al posto del presente sottolinea che per lungo tempo (finché si era lontani) la terra in questione non è stata la propria. Si noti tua enfatico in explicit. 229 Testo problematico. I codd. hanno quam si che non è accettabile. Leo ed Ernout espungono quam, Lindsay e Gratwick correggono quasi (‘come se’) e intendono ‘(vedere una terra, in generale) è un piacere maggiore di vedere … la terra che (una volta) è stata tua’. quaeso: forma verbale irrigiditasi fino a diventare un inciso formulare (come amabo): sottolinea l’insistenza nel porre la domanda (Hofmann 282). Epidamnum: acc. di moto a luogo (senza preposizione con i nomi di città, villaggio e piccola isola, cf. Traina, Sintassi § 107). Epidamno è la città greca che fa da sfondo alla vicenda: era in origine una colonia di Corcira, poi divenne una colonia romana quando il nome fu cambiato in Dyrrachium (attuale Durazzo, sulla costa illirica di fronte a Brindisi). 231 quasi mare ‘come (se fossimo) il mare’; quasi introduce una sub. comparativa ipotetica ellittica del verbo. omnis =omnes. circumimus, composto di circum + eo, transitivo (l’oggetto è retto dalla preposizione in composizione con eo), come adeo, transeo, ecc. (cf. Traina, Sintassi, § 35: cf. ad es. Ter. Hec. 251 adii te heri de filia, ‘sono venuto da te ieri per tua figlia’). 232 quaesitum: supino con valore finale (‘a cercare’), tipicamente usato dopo i verbi di movimento. 233 nam: qui è particella interrogativa normalmente enclitica (ad es. in quidnam), spesso accompagna domande di tono esasperato, cf. ad es. Ter. Hau. 61 nam pro deum atque hominum fidem, quid vis tibi, aut quod quaeris? ‘per gli dei e per gli uomini, qual è il tuo scopo? Cosa cerchi?’. quid modi = quem modum, modi è gen. partitivo: lett. “quale limite ci sarà al cercare quello”. quaerere: l’infinito in Plauto è spesso usato in modo colloquiale al posto del genitivo o del dativo del gerundio (quaerendi / quaerendo), che troveremmo invece nella prosa classica: cf. ad es. Poen. 1212 facere occasio est (ma si trova anche il gerundio: Epid. 271 nunc occasiost faciundi = occasio est faciendi). 234 sextust = sextus est. postquam “da quando”, introduce una sub. temporale. Subordinate avverbiali temporali svolgono nel periodo la stessa funzione svolta nella prop. semplice da un c. di tempo: es. ‘i soldati si svegliarono prima dell’alba (c. di tempo)’, ‘i soldati si svegliarono prima che cominciasse ad albeggiare (sub. temporale)’. La determinazione temporale espressa dalla proposizione può essere di due tipi: 1. Determinazione temporale generica: si colloca l'evento A nel tempo dell'evento B. - cum + indicativo, «quando». Nella sovraordinata si può trovare tum, «allora». - altri tipi di cum + indicativo sono: il cum iterativum e il cum inversum - cum con il congiuntivo (cum narrativum o historicum) 2. Determinazione temporale specifica: dati due avvenimenti, si intende: che A, indicato dalla temporale, è anteriore a B: precedenza (semplice o immediata); che A è concomitante a B: concomitanza; che A è successivo a B: successione, semplice o immediata. Le congiunzioni e i modi sono i seguenti: A1) precedenza semplice: postquam + ind. perfetto di regola, più che perfetto se è indicato il tempo trascorso tra i due eventi, «dopo che»: Dion, postquam Corinthum pervenit, bellum comparare coepit, «Dione, dopo che giunse a Corinto, cominciò a preparare la guerra»; Cimon, post tertium annum quam expulsus erat, in patriam revocatus est, «Cimone, dopo il terzo anno da che era stato cacciato, fu richiamato in patria». A2) precedenza immediata: ut, ubi, ubi primum, ut primum, cum primum, statim ut, simul ac, simul ac primum + IND., «non appena che»: B) concomitanza: dum + presente indicativo: «mentre», «nel momento che» (primo dum); dum, donec, quoad, quamdiu, con tutti i tempi dell'indicativo, «mentre», «per tutto il tempo che» (secondo dum): - dum Romae consulitur, Saguntum expugnatum est, «mentre a Roma si discuteva, Sagunto fu espugnata»; - haec feci, dum licuit, «ho fatto questo, finchè mi fu lecito». C1) successione semplice: antequam, priusquam + indic. (semplice rapporto di tempo); + cong. (intenzionalità): haec dixi, antequam venisti, «ho detto questo, prima del momento in cui sei venuto»; haec dixi, antequam venires, «ho detto questo, senza aspettare che tu venissi». C2) successione immediata: dum, donec, quoad, con ind. o cong. come per antequam e priusquam: exspecto, dum venias, «aspetto che tu venga», «aspetto intanto che tu vieni» (terzo dum) 235 Histros = Istros; Hilurios = Illyrios. L’elenco delle località è caotico, non definisce un percorso preciso, ed è piuttosto funzionale all’allitterazione. 236 mare superum è l’Adriatico; Graeciam exoticam è la Magna Grecia dal punto di vista dei greci continentali (in greco ¹ œxw `Ell£j) che qui Plauto assume. 237 omnis = omnes. qua avv. relativo. 238-239 sumus circumvecti (dal deponente circumvehor). si … quaereres: protasi di periodo ipotetico del III tipo, la cui apodosi è invenisses. nota la ripetizione in parallelismo: acum … acum. si appareret, “se fosse visibile”, seconda protasi coordinata alla prima. Secondo Lindsay (Syntax of Plautus 124), nel periodo ipotetico del terzo tipo la sintassi plautina non mette in parallelo, come fa quella classica, il tempo della protasi e quello della apodosi: la distinzione tra imperf. e più che perf. vale solo per la protasi, che ha l’imperfetto cong. se si riferisce allo stesso tempo dell’apodosi, ha invece il più che perfetto se indica un’azione anteriore. In altre parole, per la sintassi plautina, imperfetto e più che perfetto sono apparentemente interscambiabili nella apodosi (mentre il latino classico, in un caso come questo, avrebbe avuto si quaesivisses … invenisses). 240 quaeritamus “andiamo a cercare”, frequentativo di quaero. mortuom = mortuum. 241 invenissemus, apodosi; si viveret, protasi: periodo ipotetico del III tipo. 242-43 ergo cong. conclusiva “e allora”, “ecco perché” istuc = istud oggetto di faciam, mentre certum è predicativo dell’oggetto; quaero ha per oggetto un sottointeso aliquem; qui faciat … qui dicat : relative improprie con valore finale. emortuom = emortuum (da emorior, -eris, -mortuus sum, -emori, con preverbio terminativo). 244 praeterea “da quel momento in poi”; operam … sumam: operam sumere significa “ farsi carico di un compito”; quaerere: ancora una volta l’infinito quaerere al posto dell’atteso gerundio quaerendi 245 vivos = vivus pred. del sogg. “da vivo”, cioè “finchè vivo”. 246 aliter ‘altrimenti’, cioè nel caso in cui la morte non venga accertata. ego, uso enfatico del pronome. illum: con tipica costruzione plautina, il pronome è ‘estratto’ dalla subordinata di cui è soggetto e posto come oggetto di scio (la forma attesa sarebbe scio quam ille sit carus). 247-48 in scirpo nodum quaeris, espressione proverbiale: cf. W. Otto, Sprichtwörter 1965, 313, attestata fin da Ennio sat. 70 V.; il proverbio significa in genere ‘cercare difficoltà dove non ci sono’; qui sembra piuttosto riferirsi al fatto che Menecmo cerca una cosa impossibile da trovare, facendo una fatica inutile. quin … redimus? ‘perché non torniamo…?’quin introduce una domanda negativa (qui + ne, ‘perché non?’) che esprime in realtà un’esortazione ‘torniamo a casa!’. nisi si: ‘a meno che’, pleonasmo, frequente in Plauto (cf. ad. es. Capt. 530). historia è un grecismo: significa ‘ricerca’ e indica anche il resoconto di un viaggio (vedi ad es. il titolo dell’opera di Luciano, scherzoso resoconto di un viaggio di fantasia (¢lhq¾j ƒstor…a). 249 Si noti l’asindeto. dictum facessas ‘fai ciò che ti viene detto’; facesso si trova in Plauto solo un’altra volta, in Rud. 1061s. ma non è raro nel latino arcaico ed è ripreso anche da Verg. 4,295 iussa facessunt; cf. Skutsch ad Enn. Ann. 57 nota che il verbo è impiegato come sinonimo di facio con in più l’idea della prontezza nell’agire. Si tratta in effetti di un verbo desiderativo (cf. Propedeutica, 179): questi verbi, piuttosto rari, sfruttano un suffissso –(s)sěre, con valore volitivo o conativo (facesso ‘voglio fare’; capesso ‘voglio prendere’); gli altri due verbi danno ordini: edis forma di antico ottativo equivalente a edas, qui con valore esortativo. caveas regge l’ablativo malo. 250 ne sis: forma di imperativo negativo (vedi sopra). Em interiezione (“ecco”), data dalla forma sincopata dell’imperativo di emo (eme = “prendi!”) (cf. Lindsay, Syntax 127) 251 illoc = illo. enim = enimvero “davvero”, enfatizza l’affermazione; servom = servum. scio regge l’infinitiva oggettiva esse me servom. 252 non potuit, falso condizionale. potuit … proloqui: si noti l’insistita allitterazione. Messenione pronuncia questa battuta ‘a parte’. Sul falso condizionale: Il latino impiega talora l’indicativo per alcune locuzioni verbali che in italiano sono espresse preferibilmente al condizionale: ad. es., verbi come 1) oportet («sarebbe necessario»), licet («sarebbe lecito), possum («potrei»), debeo («dovrei»); 2) con la perifrastica passiva: dicendum fuit «si sarebbe dovuto dire»; 3) locuzioni impersonali come longum est «sarebbe troppo lungo», meum, tuum est («sarebbe mio, tuo dovere»), tanti est «varrebbe la pena». 253 quin loquar: subordinata sostantiva retta da neque contineri, con la tipica costruzione dei verba prohibendi et recusandi. Le sostantive con il quin dipendono sempre da una sovraordinata negativa e seguono la consecutio temporum; sono introdotte da: a) verba impediendi e recusandi, non impedio quin/quominus veniat: «non impedisco che venga»; con sovraordinata negativa, si usano ne, quominus; es. impedio ne/quominus veniat, «impedisco che venga»; b) in dipendenza da non dubito quin ed espressioni affini (nullum dubium est, quis dubitet... quin): es. non dubito quin res ita sit, «non dubito che la cosa stia così». 254 audín da audisne, con ossitonia secondaria. marsuppium: ‘borsa’. 255 viaticati, “equipaggiati per il viaggio”: l’aggettivo è hapax assoluto ed è qui utilizzato scherzosamente (il viaticum è la provvista per il viaggio): un uso analogo è quello di pabulatum in Most. 56 te forabunt patibulatum per vias ‘dopo averti legato al patibolo, ti sforacchieranno per le vie della città’ (ripreso solo da Apul. met. 4,10); e di larvatus ‘posseduto da una larva (cioè uno spettro)’ quindi ‘pazzo’ in Men. 890 e nell’Amph. (pure ripreso da Apul. met. 9,31) ma vedi anche hostiatas (hapax assoluto, da hostia), di Rud. 269s. aequius vos erat / candidatas venire hostiatasque ‘sarebbe stato meglio che voi veniste vestite di bianco e accompagnate da vittime’ (qui la selezione di hostiatas è evidentemente condizionata dal vicino candidatas) e ansatus, ‘fornito di ansa (manico) di Pers. 308 sed quis hic ansatus ambulat?, più diffuso, ma l’uso scherzoso è limitato a Plauto. admǒdum avv., propriamente ‘fino al limite (modus)’ quindi ‘molto’. aestive: ‘da estate’; Messenione intende dire ‘ siamo a corto di mezzi’. 256 ne asseverativo, “davvero”, “veramente” (vedi sopra). 257 revorteris = reverteris, futuro anteriore attivo (da reverto), per la legge dell’anteriorità. nisi revorteris (protasi) … gemes (apodosi): periodo ipotetico del I tipo. ubi = “quando”. dum = quamdiu (‘per tutto il tempo che cercherai’), spesso con l’ind. futuro (cf. Lodge, Lexicon Plautinum 441 B4f s.v. dum). geminum … gemes gioco di parole. 258 itast = ita est; Gratwick accoglie la lezione di P; da A si ricava in Epidamnieis, recepito da Leo, Lindsay. 259 potatores, “bevitori”, deverbale da poto “bere in abbondanza”, “sbevazzare”, in opposizione a bibo “bere”; i due verbi hanno la stessa origine: la radice indoeuropea di “bere”, che ha due forme con apofonia *po e *pi; il greco le ha mantenute entrambe (cf. ad es. p…nw, pšpwka), nel latino è rimasta solo *po, all’origine di entrambi i verbi (cf. DEL 520 s.v. poto. maxumi = maximi. 260 sycophantae, grecismo. L’origine del termine è incerta, ma sembra che indicasse coloro che facevano la spia ai contrabbandieri di fichi (da sykon ‘fico’+ phaino ‘rivelare’): infatti all’inizio della guerra del Peloponneso ad Atene era vietata l’importazione di fichi da Megara. Il significato corrente del termine è diventato “spione”, e più genericamente “furfante”. palpatores: deverbale da palpor “accarezzare”, “blandire”, quindi “adulatore” (cf. anche Rud. 126 malum periurum palpatorem). plurumi = plurimi. 262 nusquam gentium, avverbio determinato da gen. partitivo “da nessuna parte tra le genti”, “in nessuna parte del mondo”. 263 inditumst = inditum est: per la costruzione cf. supra. 264 sine damno: gioco di parole con Epidamnum, Brix (ad loc.) osserva che tale gioco non può essere stato preso da un (ipotetico) modello greco perché il nome della città in greco è connesso con (™pid£mnhmi “sottomettere, conquistare”). Per damnum si intende qui la perdita economica, vedi sopra (meo damno). 265 istuc = istud. cedŏ forma colloquiale di imperativo formato da ce (‘qua’, lo stesso deittico che si trova in ecce) e *do ‘verso’ (lo stesso di endo, prep. arcaica = in) è perciò fortemente affettivo ‘da’ qua’ (cf. Hofmann 143). dum rafforza qui l’imperativo, vedi sopra. 266 quid eo vis? ‘cosa vuoi (fare) con questo?’, eo è abl. strumentale. aps = ab indica la fonte della paura; de la sua causa. 267 ne … duis sostantiva dipendente dal verbo di timore (metuis); duis è una forma residuale di ottativo (equivalente a un cong. pres.) dalla radice di grado forte duo la cui forma debole è do. 268 Gratwick (come Leo ed Ernout) stampa la lezione di P magnus amator, ma la ritiene inaccettabile metricamente (perciò la crux). A sembra riportare magis amator, che è recepito da Lindsay. 269 animi perciti “di temperamento sfrenato”, gen. di qualità. Perciti è correzione di Lipsius qui accettata da Gratwick per il trádito perditi (“perduto” nel senso di “andato in rovina”), che viene invece recepito dai maggiori editori (Leo, Ernout, Lindsay). 270 quando ha qui una valenza condizionale (cf. Lodge 419 C.3). 271 ne tu delinquas: sub. sostantiva retta dal verbo di timore (cavero), neve ego irascar, coordinata alla sostantiva. tibi dat. retto da irascar. 272 me lubente (= libente), ablativo assoluto. feceris è un futuro anteriore che esprime un’azione che si attuerà certamente e sicuramente (perché il processo verbale è visto come realizzzato nel futuro), cf. anche Plaut. Amph. 53 dus sum, commutavero ‘sono un dio, detto fatto farò il cambiamento’ e il commento di Traina, Comoedia ad loc. Quanto all’ablativo assoluto: Nell’ ablativo assoluto soggetto e predicato al participio concordano in ablativo. Questo costrutto può equivalere a una subordinata avverbiale: a) temporale: Tarquinio regnante Pythagoras in Italiam uenit,"sotto il regno di Tarquinio [= mentre T. regnava] Pitagora venne in Italia"; b) causale: mortuo rege, magna erat omnium maestitia, "poiché era morto il re, grande era la mestizia di tutti"; c) concessiva: multis obsistentibus hoc imperaui, "diediquest'ordine, sebbene molti si opponessero"; d) suppositiva: ea lecta epistula aliter sentires, "se tu avessi letto quella lettera la penseresti diversamente". N. B.: a) in ogni caso la proposizione che regge l'ablativo assoluto non contiene riferimenti pronominali all'ablativo stesso. (In caso contrario si avrà il participio congiunto: Corpus Marcelli inuentum Hannibal sepeliuit, "Annibale, trovato ilcadavere di Marcello, lo seppellì"). L'ablativo assoluto può invece contenere riferimenti pronominali alla sovraordinata (Caesar, legatis Haeduorum ante se conuocatis, questus est..., "Cesare, convocati innanzi a sé gli ambasciatori degli Edui, si lamentò"); b) con il participio presente l'ablativo assoluto ricorre per esprimere contemporaneità (omnibus consentientibus pax facta est, "per consenso di tutti, fu fatta la pace" ( tutti furono d'accordo a fare la pace), mentre omnes consentiunt e re publica fuisse ...,"per consenso di tutti, fu utile allo stato che ...", ( tutti ora sono d'accordo); c) per esprimere anteriorità si impiega il participio passato, che è passivo, tranne che per i verbi deponenti, l'ablativoassoluto si trova con i verbi transitivi attivi, tipo uictis hostibus; intransitivi deponenti, tipo orto sole. I verbi deponenti transitivi ammettono la costruzione con il participio congiunto, tipo Caesar, hortatus milites, pugnam commisit, mentre quelli attivi intransitivi consentono solo la costruzione con cum + cong.: Caesar, cum redisset Romam. 1 vv. 701-752 MENAECHMVS II Nimis stulte dudum feci, quom marsuppium Messenioni cum argento concredidi. immersit aliquo sese, credo, in ganeum. MATRONA Provisam quam mox vir meus redeat domum. 705 sed eccum video. salva sum, pallam refert. ME. Demiror ubi nunc ambulet Messenio. MA. Adibo atque hominem accipiam quibus dictis meret. non te pudet prodire in conspectum meum, flagitium hominis, cum istoc ornatu? ME. Quid est? 710 quae te res agitat, mulier? MA. Etiamne, impudens, muttire verbum unum audes aut mecum loqui? ME. Quid tandem admisi in me, ut loqui non audeam? MA. Rogas me? <o> hominis impudentem audaciam! ME. Non tu scis, mulier, Hecubam quapropter canem 715 Graii esse praedicabant? MA. Non equidem scio. ME. Quia idem faciebat Hecuba quod tu nunc facis: omnia mala ingerebat, quemquem aspexerat. itaque adeo iure coepta appellari est canes. MA. Non ego istaec <tua> flagitia possum perpeti. 720 nam med aetatem viduam esse mavelim, quam istaec flagitia tua pati quae tu facis. ME. Quid id ad me, tu te nuptam possis perpeti an sis abitura a tuo viro? an mos hic ita est, peregrino ut advenienti narrent fabulas? 725 MA. Quas fabulas? non, inquam, patiar praeterhac, quin vidua vivam quam tuos mores perferam. ME. Mea quidem hercle causa vidua vivito, vel usque dum regnum optinebit Iuppiter. MA. At mihi negabas dudum surrupuisse te, 730 nunc eandem ante oculos attines: non te pudet? ME. Eu hercle, mulier, multum et audax et mala es. tun tibi hanc surreptam dicere audes, quam mihi dedit alia mulier ut concinnandam darem? MA. Ne istuc mecastor–iam patrem accersam meum 735 atque ei narrabo tua flagitia quae facis. i, Deceo, quaere meum patrem, tecum simul ut veniat ad me: <sub>ita<m> rem esse dicito. iam ego aperiam istaec tua flagitia. ME. Sanan es? quae mea flagitia? MA. Pallam atque aurum meum 740 domo suppilas tuae uxori et tuae degeris amicae. satin haec recte fabulor? ME. Quaeso hercle, mulier, si scis, monstra quod bibam, tuam qui possim perpeti petulantiam. quem tu hominem <esse me> arbitrere, nescio; 745 ego te simitu novi cum Porthaone. MA. Si me derides, at pol illum non potes, patrem meum, qui huc advenit. quin respicis? novistin tu illum? ME. Novi cum Calcha simul: eodem die illum vidi quo te ante hunc diem. 750 MA. Negas novisse me? negas patrem meum? ME. Idem hercle dicam, si avom vis adducere. MA. Ecastor pariter hoc atque alias res soles. Men. II Ho agito in modo davvero sciocco poco fa, quando ho affidato a Messenione la borsa con i soldi. Si è infilato, credo, da qualche parte in una bettola. Matr. Andrò a vedere quando mio marito ritorna a casa. Ma ecco, lo vedo. Sono salva: porta indietro il mantello. Men. Mi chiedo dove stia passeggiando adesso Messenione. Matr. Gli andrò incontro e lo accoglierò con le parole che merita. Disgraziato, non ti vergogni a presentarti al mio cospetto in questo stato? Men. Che c’è? Cosa ti mette agitazione, donna? Matr. E osi anche proferire parola, svergognato, e parlarmi? Men. Che cosa ho fatto mai, perché non debba osare parlarti? Matr. E me lo chiedi? Che razza di sfacciato! Men. Non sai, donna, perché i greci antichi dicevano che Ecuba era una cagna? Matr. No davvero. Men. Perché Ecuba faceva la stessa cosa che fai tu ora: Vomitava insulti di ogni genere su chiunque vedeva. Perciò giustamente si è cominciato a chiamarla cagna. Matr. Non posso sopportare queste tue bassezze! Preferirei stare senza marito tutta la vita che sopportare queste bassezze che commetti tu. Men. Che importa a me se tu riesci a restare sposata o vuoi abbandonare tuo marito? Oppure qui, quando arriva uno straniero, si usa raccontargli delle storie? Matr. Quali storie? Non sopporterò oltre, ti dico: anzi, vivrò da sola, piuttosto che sopportare la tua condotta. Men. Per Ercole, quanto a me, vivi pure da sola finché Giove avrà il suo regno. Matr. Ma prima mi dicevi che non l’avevi rubato, mentre adesso lo tieni sotto i miei occhi: non ti vergogni? Men. Per Ercole, donna, sei proprio sfacciata e cattiva. Tu osi dire che io ti ho rubato questo (mantello), che un’altra donna mi ha dato perché lo facessi aggiustare? Matr. È così, per Castore: adesso farò venire mio padre e gli racconterò le tue bassezze. Vai, Decione, cerca mio padre, che venga da me assieme a te: digli che è una cosa urgente. Lo informerò io, subito, di queste tue bassezze. Men. Ti senti bene? Quali mie bassezze? Matr. Porti via da casa, a tua moglie, il mantello e il mio oro e li dai alla tua amante. Dico bene? Men. Per Ercole, ti prego, donna, se lo sai, mostrami cosa bere per poter sopportare la tua sfacciataggine. Non so chi tu pensi che sia. Io ti ho conosciuto con Portaone! Matr. Se prendi in giro me, non puoi però prendere in giro lui, mio padre, che sta arrivando qui. Guarda! Lo conosci, lui? Men. L’ho conosciuto con Calcante: prima di oggi l’ho visto lo stesso giorno in cui ho visto te. Matr. pretendi di non conoscermi? Di non conoscere mio padre? Men. Per Ercole, direi la stessa cosa se mi portassi tuo nonno. Matr. Per Càstore, anche su questo punto come sul resto, sei sempre il solito. 2 Menecmo II (il gemello di Siracusa) entra in scena portando con sé il mantello della moglie di Menecmo I (il gemello di Epidamno). Menecmo II ignora che il mantello è stato rubato alla donna da suo fratello, che lo ha donato all’amante, la cortigiana Erozio; quest’ultima, a sua volta vittima dello scambio di persona, ha affidato l’indumento a Menecmo II, credendolo Menecmo I. Nel frattempo, la moglie di Menecmo I, accortasi del furto, ha minacciato il marito di divorzio, se il mantello non le verrà restituito; la donna, vedendo avvicinarsi Menecmo II con il mantello, lo scambia per suo marito. Il dialogo tra la matrona gelosa e Menecmo II, ignaro di tutto, sfocia inevitabilmente in una lite. 701 nimis nel latino arcaico l’avv. significa «molto, davvero», e non «troppo»; quom = cum, introduce una sub. temporale. Messenione è il servo di Menecmo II. 703 aliquo, avv. moto a luogo «da qualche parte»; credo: spesso usato come inciso, vedi sopra; ganeum, «taverna», ma anche «bordello», usato dai comici, cf. Ter. Ad. 359 credo abductum in ganeum aliquo. 704 provisam: «andrò a vedere», da provīso, -is, -ĕre, «andare a vedere qualcuno che si aspetta»; regge l’interrogativa indiretta, qui costruita regolarmente con il cong. (redeat) e introdotta da quam mox «quanto presto» (cioè «tra quanto tempo»). 705 su eccum, eccam ecc. vedi sopra. 706 demiror «mi domando», il verbo esprime una certa impazienza; ubi ambulet, ancora una interrogativa indiretta. Messenione è il servo di Menecmo II. 707 adibo: futuro di adeo (composto di eo, is, -ivi (ii), -itum, -ire, verbo con alternanza tematica radicale indoeropea, su cui cf. Propedeutica p. 190), come il successivo prodire (v. 708); la stessa espressione è usata, sopra, da Penulus che sta per avvicinarsi a Menecmo II. accipiam «gli darò il benvenuto», espressione ironica. Quibus dictis meret = eis dictis quae meret, con attrazione del relativo nel caso dell’antecedente (spostato all’interno della relativa), molto più frequente in greco che in latino (cf. Traina, Sintassi § 348, n. 3). 708 pudet impersonale, costruito con l’accusativo della persona che prova il sentimento (te) e l’infinito dell’azione che lo suscita (prodire): gli impersonali paenitere, miserere (provare copassione), pigere (provare rincrescimento), pudere (provare vergogna), taedere (annoiarsi) sono impiegati solo alla III pers. sing.; la persona che prova il sentimento va in accusativo, mentre ciò che sucita il sentimento va in genitivo: es. me vitae taedet «sono stanco della vita»; ciò che suscita il sentimento può anche essere espresso da un infinito o da una prop. subordinata introdotta da quod (quia) + indic/cong.. es. me paenitet vivere «sono stanco di vivere»; vos paenitet quod classem hostium profligaverim «vi dispiace che io abbia sconfitto la flotta dei nemici. 709 flagitium hominis espressione ingiuriosa, cf. sopra v. 489. istóc = isto+c(e), con ossitonia secondaria; ornatu: propriamente «equipaggiamento», si riferisce al fatto che l’uomo ha con sé il mantello. 710 agitat agito è frequentativo di ago con valore intensivo «tormentare», «eccitare», cf. Aul. 562 larvae hunc… agitant senem «i fantasmi tormentano questo vecchio». 711 muttire verbo onomatopeico: propriamente «dire mu, proferire parola». 712 quid … admisi in me «di quale colpa mi sono macchiato»; in se admittere aliquid significa «essere colpevole di qualcosa». Ut… non: consecutiva negativa. 713 rogas me: «me lo domandi?», rogo regge il doppio accusativo: della persona a cui si chiede, e della cosa che si chiede (rogo aliquem aliquid), ammette anche la costruzione personale (rogor aliquid, «mi viene chiesto qualcosa», cf. Traina, Sintassi § 46). hominis impudentem audaciam, espressione simile a flagitium hominis, cf. v. 489. 714-715 Non tu scis: princ. quapropter… predicabant. s.1° gr. interr. ind. Hecubam … canem… esse: sub. 2° gr. infinitva ogg. quapropter… praedicabant: l’interrogativa indiretta ha l’indicativo, come spesso in Plauto. Secondo il mito, dopo la guerra di Troia, Ecuba, che continuava a lamentarsi del suo destino e ad insultare i suoi nemici, fu trasformata in una cagna dagli dei. L’uso scherzoso dei riferimenti mitici è un tratto tipicamente plautino. Graii: nome eroico dei greci del mito, Graeci è termine geografico o geografico. 717 ingerebat (in eum) quemquem: «vomitava… su chiunque»; aspexerat da aspicio, -is, -aspexi,-aspectum, -ere, composto di ad +*specio, con apofonia; il più che perfetto indica l’anteriorità rispetto a faciam. quemquem è un indefinito relativo: Indefiniti relativi e indefiniti assoluti In latino distinguiamo i pronomi indefiniti relativi e i pronomi indefiniti assoluti; entrambi corrispondono all’italiano «chiunque», ma assolfvno una funzione sintattica diversa: 1) gli indefiniti relativi, quisquis, quicumque, introducono una subordinata relativa: es. quisquis hoc dicit, errat «chiunque dice questo, sbaglia». 2) gli indefiniti assoluti, quivis, quilĭbet, non introducono una sub. relativa: quivis errare potest, «chiunque può sbagliare». 718 coepta appellari est si noti l’uso del passivo di coepi in unione all’infinito passivo (sul passivo di coepi e desii, cf. Traina, Sintassi § 203 bello Athenienses undique premi sunt coepti, «gli Ateniesi cominciarono a essere premuti da ogni parte dalla guerra»). canes nominativo singolare arcaico per il classico canis (anche il nome del gatto ammette le due forme, feles e felis). 719 istaec = ista; flagitium propriamente è lo «scandalo»; perpeti inf. deponente da perpetior (per + patior con apofonia latina). 813-814 me … fecisse infinitiva retta da do testis; isti dat. di iste (rif. a mulieri). arguit / hanc: forte enjambement. se surrupuisse (= surripuisse) atque abstulisse: infiniti dipendenti da arguit. hanc: si riferisce evidentemente alla palla, il mantello femminile che Menecmo ha in mano. Peierat ‘spergiura’: peiĕrare e deiĕrare sono forme composte rispettivamente da per (con il valore negativo che ha in perdo e in perfidus) + iuro e de + iuro con apofonia di u; sono più antiche di periūro e deiūro (forme rifatte dopo la cessazione dell’apofonia): cfr. Ernout-Meillet 330 (s.v. ius). 815-816 penetravi <pedem> ‘ho messo piede’; l’espressione pedem penetrare compare solo qui e in Men. 400 neque … / usquam … intra portam penetravi pedem (dove Menecmo II dichiara a Erozio di non aver mai messo piede nella casa della matrona). 817 ut fiam: sostantiva ogg. retta da exopto. miserorum miserrimus espressione iperbolica incentrata sulla figura etimologica; cfr. anche Plaut. Cas. 793 pessimarum pessima (‘la peggiore tra le peggiori’). 818-819 sanun (= sanusne). istuc (= istum), anaforico rispetto alla infinitiva epesegetica te … pedem … intulisse. insanissume = insanissime. 820 tun = tune; med = me; illisce: illis con particella deittica –ce. Aedes corradicale di aestus (‘bollore’) e aestas (‘estate’) indica in origine il ‘focolare’: al singolare significa ‘tempio’, indica cioè la dimora del dio, originariamente costituita da un unico locale. Al plurale (collettivo) indica la casa (cfr. Ernout–Meillet 10). 821 Tu<n> = tune, con una marcata contrapposizione al tun del verso precedente. Il testo è corrotto; Gratwick stampa con le cruces la lezione dei mss.; sono state avanzate diverse proposte di correzione: invere (Lindsay), id haud vere (Schoell); invero (Gratwick, in apparato). In tutte si nota il tentativo di sviluppare un gioco di parole con la battuta precedente, di cui vengono ripresi sia hercle che, con una variazione, vero; ‘Per Ercole, in verità, lo nego:: ‘No Per Ercole, in verità (= sinceramente), tu non lo neghi’. 822 quo avv. ‘da qualche parte’ (= aliquo); nocte hac ‘questa notte’, cioè la notte appena passata. 823 num ‘forse che’: la particella presuppone una risposta negativa. hinc = da qui (avv. deittico di moto a luogo). 824 profecto avv. ‘di sicuro’, da *pro facto. 825 iocatu’s = iocatus es; hanc rem gere propriamente ‘occupati di questa cosa’. 826-827 quid mihi tecum est? espressione colloquiale: qui significa ‘che ho a che fare con te?’ (= ‘non ho niente a che spartire con te’). Il verso è corrotto: c’è una lacuna di poche sillabe che doveva contenere l’espressione da cui dipendo- no i dativi tibi e isti; Leo propone di integrare quid debeo ego ‘che cosa devo, io…’. mihi molestiae est: propriamente ‘è un tormento per me’, con doppio dativo, di svantaggio (mihi) e di effetto (molestiae). 828 viden = videsne. illi dat. s. riferito a Menecmo, in cui la matrona comincia a individuare preoccupanti sintomi di follia. Il testo presenta qualche difficoltà: Gratwick legge, con i mss., Viden tu illi <si i>oculo †siurere† ma gli editori correggono in genere oculos virere (così Ernout e Lindsay) ‘che gli occhi sono verdi’. ut = come, retto da viden, introduce una interrogativa ind. all’indicativo. viridis ‘verde’ è in uso nella terminologia medica, nel senso di ‘pallido’, anche in greco, cfr. Saffo fr. 31,16s. Voigt clwrotšra d po…aj /œmmi ‘sono più verde dell’erba’. Sugli occhi verdi, in Plauto, cf. anche Curc. 230 quis hic est homo cum conlativo ventre atque oculis herbeis? ‘chi è questo qui, con una pancia che raccoglie tutto e gli occhi color erba?’. colos, forma non rotacizzata di color. 843 Menecmo II riflette tra sé e sé. A differenza di altri editori (Lindsay, Ernout) che collocano questo verso tra 842 e 844, seguendo la tradizione manoscritta, Gratwick ritiene opportuno anticiparlo qui, come già Acidalius. In effetti è proprio a questo punto che Menecmo decide di fingersi pazzo per liberarsi dai due seccatori. Ei è un’espressione di lamento che tende a irrigidirsi nella formula ei mihi /ei misero mihi, frequente in Plauto (riferimenti in Hofmann 111). Si noti la contrapposizione me / ultro … ipsi; l’avv. ultro ha originariamente valore spaziale (come ultra) ‘oltre, al di là’; da qui è derivato il valore oppositivo (evidente nel nostro passo) di ‘anzi, viceversa’, ma anche quello, frequente nel latino classico, di ‘spontaneamente’. 831-832 Quid mihi meliust : princ. interr. diretta quam egomet adsimulem insanire: sub. I gr. comparativa ut illos a me absterream: sub. I gr. finale quando illi … praedicant: sub. II gr. causale me insanire: sub. III gr. infinitiva ogg. Propriamente ‘cosa c’è di meglio, per tenerli lontani da me, che fingermi io pazzo, dato che quelli dicono che io sono pazzo?’ meliust (= melius est). quando qui ha valore causale ‘dato che’; insistita la contrapposizione tra i pronomi illi / me … illos / a me. La pazzia di Menecmo è modellata su un modello tragico, a cui si sarà rifatto l’ignoto commediografo greco imitato da Plauto. Le scene di follia erano tipiche della tragedia: si pensi all’Aiace di Sofocle e, soprattutto, al teatro di Euripide. Sembra che l’Hercules furens, in particolare, godesse di grande fortuna presso il pubblico greco e si prestasse quindi ad essere parodiato in ambito comico. Parte II: 833-871 (settenari trocaici) Menecmo comincia a simulare i sintomi della follia: finge di avere visioni e di essere in preda alla possessione divina. La scena parodia in modo molto evidente le manifestazioni di follia dei personaggi tragici (soprattutto del teatro euripideo). Anche il registro stilistico si adegua: vengono riprese espressioni e tonalità tipiche della tragedia. Mat. Vt pandiculans oscitatur! quid nunc faciam, mi pater? Sen. Concede huc, mea nata, ab istoc quam potest longissume. 835 Men. †Eubi atque heu†, Bromie, quo me in silvam Mat. Come sbadiglia, stiracchiandosi! Che farò ora, padre mio? Vec. Vieni, qui, figlia mia, il più lontano possibile da costui. venatum vocas? audio, sed non abire possum ab his regionibus, ita illa me ab laeva rabiosa femina adservat Canes, poste autem ille Cerco<p>s al<i> us, qui saepe aetate in sua perdidit civem innocentem falso testimonio. 840 Sen. Vae capiti tuo. Men. Ecce, Apollo mi ex oraclo imperat, ut ego illi oculos exuram lampadibus ardentibus. Mat. Perii, mi pater, minatur mihi oculos exurere. Sen. Filia, heus! Mat. Quid est, quid agimus? Sen. Quid si ego huc servos cito? 845 ibo, adducam qui hunc hinc tollant et domi devinciant, prius quam turbarum quid faciat amplius. Men. Enim <h>aereo; ni occupo aliquid mihi consilium, hi domum me ad se auferent. pugnis me votas in huius ore quicquam – parcere, ni a meis oculis abscedat in malam magnam crucem. 850 faciam quod iubes, Apollo. Sen. Fuge domum, quantum potest, ne hic te obtundat. Mat. Fugio. amabo, adserva istunc, mi pater, ne quo hinc abeat. sumne ego mulier misera, quae illaec audio?– Men. Haud male <malam> illanc amovi; nunc hunc inpurissimum, barbatum, tremulum Tithonum, qui cluet Cyno<s>pater... 855 ita mihi imperas ut ego huius membra atque ossa atque artua comminuam illo scipione quem ipse habet. Sen. Dabitur malum, me quidem si attigeris aut si propius ad me accesseris. Men. Faciam quod iubes: securi<m> capiam ancipitem, atque hunc senem… osse fini dedolabo assulatim viscera. 860 Sen. Enim vero illud praecavendumst, atque adcurandumst mihi. Sane ego illum metuo, ut minatur, ne quid male faxit mihi. Men. Multa mi imperas, Apollo: nunc equos iunctos iubes capere me indomitos, ferocis, atque in currum inscendere, ut ego hunc proteram leonem vetulum, olentem, edentu- lum. 865 iam adstiti in currum, iam lora teneo, iam stimulus in manust. agite equi, facitote sonitus ungularum appareat, cursu celeri; facite in flexu sit pedum pernicitas. Sen. Mihin equis iunctis minare? Men. Ecce, Apollo, denuo me iubes facere impetum in eum qui <ob>stat atque occidere. 870 sed quis hic est qui me capillo hinc de curru deripit? imperium tuom demutat atque <e>dictum Apollinis. 872a Sen. Eu hercle morbum acrem ac durum [...........] [.......................................................], di vostram fidem! vel hic qui insanit, quam valuit paulo prius! ei derepente tantus morbus incidit. 875 ibo atque accersam medicum iam quantum potest. Men. … Bromio, dove mi chiami a cacciare nella foresta? Ti sento, ma non posso andarmene da questi luoghi: quella femmina rabbiosa, la Cagna, mi fa la guardia a sinistra, mentre dietro c’è l’altro, la Scim- mia, che molte volte nel corso della sua vita rovinò cittadini innocenti con la sua falsa testimonianza. Vec. Accidenti a te. Men. Ecco, Apollo dall’oracolo mi ordina di bruciarle gli occhi con fiaccole ardenti. Mat. Sono finita, padre mio, minaccia di bruciarmi gli occhi! Vec. Ehi, figlia! Mat. Che cosa facciamo? Sen. E se io faccio venire qui i servi? Andrò e li porterò, perché lo portino via da qui e a lo leghino in casa, prima che faccia un trambusto peggiore. Men. [tra sé] Sono proprio in trappola. Se non penso a un qualche piano, questi qui mi porteranno a casa loro. [a voce alta] Tu mi fai divieto, i pugni alla sua faccia … di risparmiarli, se non se ne va alla malora, lontano dalla mia vista. Farò quel che ordini, Apollo. Vec. Scappa a casa, prima che puoi, che questo qui non ti pesti. Mat. Scappo. Ti prego, tienilo d’occhio, padre mio: che non se ne vada da qualche parte. Non sono una donna sventurata, a sentire quelle parole? Men. [tra sè] quella maledetta l’ho rimossa mica male; ora tocca a questo [a voce alta] sozzo, barbu- to, tremante Titono, che ha fama di Padredicagna…. così mi comandi di spezzettargli le membra e le ossa e le articolazioni con quel bastone che ha lui. Vec. Ti capiterà una disgrazia, se mi toccherai o ti avvicinerai di più a me. Men. Farò ciò che ordini: prenderò una scure a doppio taglio e quel vecchio… gli ridurrò le viscere in briciole, fino all’osso. Vec. Devo proprio stare guardia e farci molta atten- zione. Ho proprio paura, per come mi minaccia, che faccia qualcosa di male. Men. Molte cose mi comandi, Apollo: ora mi ordini di prendere una pariglia di cavalli indomiti, selvag- gi, e di salire sul carro per travolgere questo leone anzianotto, puzzolente, sdendato. Già sono salto sul carro, già tengo le briglie, già tra le mani ho la fru- sta. Avanti, cavalli, fate sentire il suono degli zocco- li, con una corsa veloce, fate che nella svolta le vo- stre zampe siano veloci. Vec. Minaccia forse me, con la pariglia? Men. Ecco, Apollo, per la seconda volta mi ordini di slanciarmi contro colui che è d’ostacolo, e di ucciderlo. Ma chi è che mi tira giù dal carro, qui, per i capelli? Egli cambia il tuo ordine e l’editto di Apollo. Vec. Ah! Per Ercole, che malattia terribile e dura …, o, dei, aiutateci! questo che è folle, com’era forte, poco prima! all’improvviso l’ha colto una così gran- de follia. Andrò e farò venire un medico il più presto possibile. 833 ut ‘come’, esclamativo. pandiculans da pandiculor: il verbo, impiegato solo qui da Plauto, e ripreso in Paul. Fest. 220 L., significa ‘stiracchiarsi’; deriva da pando, ‘stendere’. Sbadigli e stiracchiamenti vengono interpretati come sintomi di irrequietezza. Quid faciam: cong. dubitativo: il congiuntivo dubitativo è un congiuntivo della possibilità (negazione non), esprime incertezza; per il presente usa il presente quid agam?, "cosa dovrei fare"; per il passato usa l'imperfetto: quid agerem?, "cosa avrei dovuto fare?". mi: vocativo di meus. 834 huc avv. deittico di moto a luogo. istoc = isto. quam potest ‘il più possibile’, rafforza longissume (= longissime). 835 Parte del verso è corrotta: probabilmente conteneva una forma di invocazione bacchica: Lindsay propone euhoe atque euhoe, mettendo in bocca a Menecmo il tipico grido bacchico; altri (ad es. Brix-Niemeyer) leggono euhoe Bacche (Bacche è congettura di Ritschl); lo stesso Gratwick in apparato suggerisce Iacche. Bromius è in effetti un epiteto di Bacco, da brome‹n ‘rumoreggiare’. Gratwick ricorda che all’epoca di Plauto il dionisismo era malvisto a Roma: è del 186 a.C. il senatus consultum de Bacchanalibus che limitava fortemente le manifestazioni di questo culto, in cui l’abbandono al dio si manifestava con la follia. venatum supino con valore finale. 837-838 Menecmo, nel suo falso delirio, identifica i suoi nemici con animali; Canes indica evidentemente la matrona, già degradata a ‘cagna’ nel paragone con Ecuba (cf. vv. 714-718); Cercops ‘Scimmia’ indica invece il senex. Ille Cercops alius è una congettura di Gratwick; i mss. hanno invece illi circo salus, che viene di solito parzialmente corretto in illic hircus †alus† (così ad es. Lindsay e Hammond) ‘quel caprone …’; Brix-Niemeier ricostruisce invece illic hircosalius (hircosalius sarebbe un composto inventato da Plauto ‘caprosalio’, ‘capro-saltatore’ o simili). Gratwick invece coglie qui un riferimento al mito dei Cecropi, dei nani che, secondo la tradizione, furono trasformati in scimmie per aver offeso Giove. Poste = post ‘dietro di me’. 840-841 vae capiti tuo: per questo insulto, vedi sopra, v. 513. mi = mihi; ut … exuram: sostantiva volitiva ogg. retta da impero. Gratwick legge lampadibus da lampas, -lampadis, ma diversi editori (ad es. Lindsay) correggono lampadis (da lampada, ae). Si tratta di due diversi esiti del greco lamp¦j. 842 mi, voc. di meus. 843 heus interiezione di richiamo, piuttosto rude, in genere evitata in tragedia (secondo Hofmann 116 ‘poteva essere un grido dei carrettieri per richiamare le bestie’). 845-846 qui … tollant: sub. 1° grado, relativa impropria con valore finale. domi devinciat: il piano di portare Menecmo in casa dai servi cambierà: alla fine della scena il vecchio deciderà di mandare a chiamare un medico. prius quam … faciat: sub. 2° grado, temporale (il congiuntivo sottolinea la volontà: ‘per evitare che faccia…’). turbarum quid (= quid turbarum), il genitivo partitivo, in anastrofe, determina l’indefinito quid. enim = enimvero, con valore asseverativo. haereo propriamente ‘sono impigliato’. 847 ni (= nisi) introduce una protasi del I tipo; l’apodosi è hi … adferent. aliquid è qui aggettivo indefinito (= aliquod). domum: moto a luogo. 848-849 votas: princ. me ... parcere: sub. 1° gr. inf. ogg. (apodosi) ni ... abscedat in malam magnam crucem: sub. suppositiva 2° gr. protasi (II tipo). votas = vetas. Secondo Gratwick parcere è un aprosdòketon (una battuta a sorpresa): infatti dopo l’inizio me votas ci si aspetterebbe che il divieto fosse quello di fare del male (al posto di pandere arebbe atteso qualcosa come impingere, ‘colpire’). huius si riferisce alla matrona; quicquam indefinito della frase negativa. Abscedat è al congiuntivo indiretto (sono parole di Apollo riportate). in malam magnam crucem la coppia allitterante magnam malam aggiunge intensità alla maledizione spesso impiegata da Plauto: cfr. Cas. 641 i in malam a me crucem oppure Curc. 611 quin tu is malam crucem? con diverse variazioni: Pers. 574 ire in malum cruciatumque. La doppia aggettivazione è anche in Trin. 890 abin hinc ab oculis? in malam magnam crucem. La crux era il supplizio destinato agli schiavi. 850-851 quod (= id quod). ne … obtundat finale negativa. amabo formula di preghiera di origine verbale propria della lingua d’uso (come quaeso); secondo Hofmann 281 è una riduzione di ita te amabo ut hoc facies. istunc = istum. 852 ne … abeat sostantiva volitiva retta dall’imperativo adserva, che, come spesso accade in Plauto ha sia un oggetto nominale (istunc), che un oggetto verbale (ne … abeat); nel latino classico avremmo piuttosto adserva ne iste abeat. sumne = nonne sum? La domanda presuppone infatti una risposta positiva. illaec = illa. 853-854 haud = non. Il verso è lacunoso: <malam> è integrazione di Gratwick; Lindsay integra invece haud male illanc amovi; <amoveam> nunc hunc ‘di quella mi sono liberato mica male, ora mi libererò di questo’. Altri (Ernout) preferiscono mantenere la lacuna. impurissimus è un insulto molto forte, spesso usato da Plauto per i lenoni. Tithonum è convincente congettura di Leo, mentre i mss. hanno Titanum. Titone, sposo di Aurora, ebbe in dono la vita eterna ma non l’eterna giovinezza; divenne quindi vecchissimo finché non fu trasformato in una cicala; come nel caso di Ecuba, il mito è sfruttato in funzione ingiuriosa (si sottolinea la decrepitezza del senex, come anche al v. 864). Gratwick preferisce mantenere Titanum, ponendolo in relazione con Cecrops: il fatto che il vecchio, prima identificato con un nano, divenga ora un gigante (Titano), dovrebbe rendere evidente la follia di Menecmo. cluet da clueo, es, -ere, è un verbo di tono aulico ‘aver fama’, di solito costruito con il doppio nominativo. Ma il verso è corrotto: i codd. hanno qui cluet Cycno prognatum patre; la tradizione indiretta (Prisciano 1, 216) riporta invece qui lucet cygno patre; Ritschl ha proposto di correggere cygno in Cucino, con grafia arcaica: il senso sarebbe comunque ‘è noto per il padre di Cicno’ (cioè ‘è celebre come figlio di Cicno’). Il riferimento è oscuro: secondo alcuni commentatori, Cicno (un empio trasformato per punizione in cigno) alluderebbe ai capelli bianchi, quindi ancora una volta alla decrepitezza del vecchio. Gratwick corregge Cyno<s>pater interpretando il termine come un composto scherzoso ‘Padre-di-cagna’ (sua figlia è stata più volte definita ‘cagna’ da Menecmo). 855-857 ut … comminuam sub. sostantiva. volitiva retta da imperas. artua ‘articolazioni’, da artus, generalmente maschile; solo qui appare al neutro, probabilmente per analogia con membra e ossa. scipione: il personaggio del senex sulla scena aveva abitualmente il bastone. dabitur malum: propriamente ‘ti sarà dato un male’, la locuzione costituisce 950 955 960 965 non vides hominem insanire? Med. Scin quid facias optimum est? ad me face uti deferatur. Sen. Itane censes? Med. Quippini? ibi meo arbitratu potero curare hominem. Sen. Age ut lubet. Med. Elleborum potabis faxo aliquos viginti dies. Men. At ego te pendentem fodiam stimulis triginta dies. Med. I, arcesse homines, qui illunc ad me deferant. Sen. Quot sunt satis? Med. Proinde ut insanire video, quattuor, nihilo minus. Sen. Iam hic erunt. asserva tu istunc, medice. Med. Immo ibo domum, ut parentur quibus paratis opus est. tu servos iube hunc ad me ferant. Sen. Iam ego illic faxo erit. Abeo. Med. Vale. Men. Abiit socerus, abiit medicus: solus sum. pro Iuppiter, quid illuc est quod <nunc> med hisce homines insanire praedicant? nam equidem, postquam gnatus sum, numquam aegrotavi unum diem; neque ego insanio neque pugnas neque ego litis coepio. salvus salvos alios video, novi <ego> homines, adloquor: an illi perperam insanire me aiunt, ipsi insaniunt? quid ego nunc faciam? domum ire coepio: uxor non sinit; huc autem nemo intro mittit. nimis proventum est nequiter. hic ergo usque: ad noctem saltem, credo, intromittar domum. di Giove e per questo sei stato incatenato in prigione; e so che quando ti hanno fatto uscire, ti hanno messo alla gogna e preso a mazzate; e so anche che hai fatto fuori tuo padre e che ti sei venduto la mamma. Rispondo bene, da sano di mente, agli insulti, con questi insulti? Ve. Per Ercole, medico, fai alla svelta tutto quello che intendi fare. Non vedi che è matto? Med. Sai cosa è meglio che tu faccia? Fallo portare da me. Ve. Sei sicuro? Med. Perché no? Lì lo potrò curare come dico io. Ve. Fa’ come ti pare. Med. Gli farò prendere il calmante per circa venti giorni. Men. Io invece ti appenderò e ti spellerò a frustate per trenta giorni. Med. Vai a chiamare degli uomini che lo portino da me. Ve. Quanti ce ne vogliono? Med. Per come lo vedo dare di matto, quattro, non di meno. Ve. Saranno subito qui. Quello lì sorveglialo tu, medico. Med. Ma no: voglio andare a casa a preparare quello che occorre. Tu dai ordine ai servi di portarlo da me. Ve. farò in modo che sia subito lì. Vado. Med. Stammi bene. Men. Il suocero è andato via, il medico è andato via: sono solo. Per Giove! Cos’è ’sta cosa per cui ora questi qui vanno dicendo che sono matto? Io invece, da quando sono nato, non sono stato male neanche un giorno.Non sono matto, io, non attacco briga. Ragiono con chi ragiona. Riconosco le persone, ci parlo. O forse quelli dicono che sono matto, e i matti sono loro? Che faccio adesso? Se provo ad andare a casa, mia moglie me lo impedisce. Là, nessuno mi ci fa più entrare. Mi è andata proprio male: dunque starò qui: almeno la notte, penso, mi faranno entrare in casa. 889 quid illi esse morbi: infinitiva ogg. retta da dixeras. quid morbi genitivo partitivo (= quis morbus); i due termini sono separati dall’iperbato. illi dat. di possesso. 890 num introduce in questo caso una domanda reale. larvatust =larvatus est; larvatus, da larva (‘spettro, spirito’) significa ‘posseduto da uno spirito’, cerrītus (da Ceres), significa ‘posseduto da Cerere’: secondo la mentalità arcaica, la pazzia era causata dall’attacco esterno di un demone o di una divinità; fac sciam: propriamente ‘fa’ che io sappia’, costruzione paratattica. 891 veternus indica una forma di letargia tipica della vecchiaia (da vetus); aqua intercus (‘sottocutanea’) è l’idropisia: sono termini tecnici della lingua medica. 892 ea causa abl. ‘a questo scopo’, anticipa la finale ut … dicas. 893 perfacile superlativo formato con per-. quidemst = quidem est. 894 costruisci: ego promitto id mea fide: sanum futurum (esse); l’infinitiva ha valore epesegetico ed è anticipata da id. mea fide: ‘sulla mia parola’. 895 magna cum cura: anastrofe di cum. curari infinito passivo (propriamente ‘voglio che sia curato’), forma una figura etimologica con cura. 896 Gratwick sospetta che il testo sia corrotto e che possa essere saltato un verso; l’espressione in effetti non è molto chiara: ‘sospirerò per lui seicento volte al giorno’ potrebbe indicare un’assistenza assidua; sescenta indica un numero iperbolico, indefinitamente alto (il nostro ‘mille’). 897 observemus: cong. esortativo. quam rem agat: interr. ind. pervorsus (‘di traverso’) atque advorsus (‘contro’): coppia parafonica, isosillabica, isoprosodica, omeosuffissale. 898 ne particella asseverativa ‘davvero’. 899 quae … ratus sum relativa prolettica; ea omnia: antecedente del pron. rel. 901 flagiti et formidinis gen. di abbondanza retto da complevit; coppia allitterante. 902 meus Ulixes: il riferimento mitologico vuole evidenziare l’astuzia del parassita, a cui Menecmo attribuisce la colpa di aver svelato i suoi piani; la figura di Ulisse è generalmente connotata in termini negativi nella tradizione teatrale. regi suo: il re in questione è Agamennone, a cui Ulisse consigliò il sacrificio di Ifigenia rendendo possibile la guerra di Troia. 903 Al verso manca una sillaba lunga. quem hominem nesso relativo: ‘ma quell’uomo…’. siquidem ‘se davvero’. vivo … vita figura etymologica. evolvam propriamente ‘lo srotolerò via dalla vita’. 904 illius ‘di quello’. quae meast (= mea est) ‘che è mia’ (sott. vitam): la vita del parassita è proprietà di chi lo ospita e lo nutre. 905 educatus = educatus est. anima indica il ‘soffio vitale’, in opposizione ad animus, lo ‘spirito’; è abl. di privazione retto da privabo. Menecmo, come forma di compensazione per il nutrimento che ha elargito, vorrebbe riprendersi indietro il ‘respiro’ del parassita. 906 -908 condigne … fecit: princ. ut mos est meretricius: sub. comparativa 1° gr. quia rogo: sub. 1° gr. causale ut palla referatur… meam: sub. sost. ogg. 2° gr. mihi … ait: coordinata per asindeto alla causale se … dedisse: sub. inf. ogg. 2° gr. condigne ‘in modo degno (di lei)’. palla ut referatur ‘che il mantello sia riportato’; palla è in anastrofe. eu: interiezione attestata nei poeti scenici e in Orazio, spesso in appoggio a un’invocazione (qui edepol), esprime uno stato d’animo ironico-sarcastico: Hofmann. ne: particella asseverativa. 909 Audin =audisne; quae = ea quae. Adeas velim forma paratettica per velim ut adeas; il potenziale velim (‘vorrei’) è qui un’espressione di cortesia. 910 salvos (= salvus) sis: formula di saluto. quaeso cf. sopra, v. 229. apertas frequentativo di aperio attestato solo qui, indica azione ripetuta. 911 quantum … facias interr. ind. retta da non … scis. quantum … mali (= quantum malum), gen. partitivo con iperbato a separare i due termini. isti agg. dim. dat. sing. isti morbo nunc tuo ‘a questa malattia che tu ora hai’. 912 Quin? (= cur non?), la domanda negativa equivale a un ordine. Quidni?, ‘perché non…?’ sentiam: cong. potenziale. 913 ellebori: l’elleboro, potente calmante, veniva usato nell’antichità per il trattamento delle malattie mentali. iugere ‘acro’ (ossia ‘una grande estensione di terreno’). optinerier = optineri. 914 rogo è qui costruito con l’acc. della persona (te) e della cosa (quod). 915 album an atrum vinum potas? interr. diretta disgiuntiva. quin tu is…? cf. sopra, v. 911. in malam crucem: per questa espressione ingiuriosa, cf. sopra, v. 849. 916/17 occeptat frequentativo da occipio : ‘sta iniziando’; primulum, avv. diminutivo: qui sottolinea occeptat ‘comincia appena’. 918 purpureum ... an puniceum … an luteum interr. indiretta disgiuntiva dipendente da rogas. esse infinito di edo (da *ed-se), Propedeutica, pp. 192s. 919 piscis = pisces. Papae: interiezione volta ad esprimere dolore o spavento (Hofmann, p. 129) 920 aundin = audisne. ut … loquitur interr. ind. con l’indicativo (ut = quomodo). deliramenta ‘sproloquio’ da delirare (lett. ‘uscire dal solco’ [lira]) 921 potionis aliquid (= aliquam potionem): gen. partitivo con anastrofe. prius quam percipit: sub. temporale. percipit (per + capio): ‘prende possesso’. 922 modo avv. di tempo ‘un po’. percontabor da percontor ‘ficcanasare’, termine tipicamente plautino. occidis fabulans ‘mi uccidi raccontando storie’. 923 solent … fieri propriamente: ‘non sono soliti diventare’. duri: il medico si riferisce all’insensibilità dello sguardo, mentre Menecmo intende l’espressione in senso letterale. 924 locusta: qui indica un tipo di aragosta. homo ingnavissume (= ignavissime). 925 quod sentias ‘per quanto percepisci’, con quod acc. di relazione. 926 nulla, riferito a intestina equivale a una forte negazione. 927 hau = haud 928 perdormiscin = perdormiscine, da perdormisco, incoativo con preverbio perfettivizzante (Propedeutica, pp. 214- 216); facilen = facilene. cubans ‘stando sdraiato’. 929/30 si resolvi … cui debeo ‘se ho ripagato l’argento a colui a cui lo devo’. 931/33 qui avv. derivato da un antico ablativo in i del pronome relativo: in frasi come queste equivale a utinam perduint (= perdant): forma verbale extraparadigmatica, ottativo di perdo. Percontator, da percontor (v. 922), è il ‘ficcanaso’, qui in allitterazione sillabica con perduint. 934 occeptat: frequentativo di occipio (ob + capio), cf. sopra. de illis verbis ‘in base alle sue parole’. 935 Nestor: il saggio consigliere dei Greci a Troia. de verbis: cf. v. 934. praeut ‘in confronto a come’. 936 cf. sopra v. 837. 937 tu istic ( = iste) ‘proprio tu’. insanu’s = insanus es 938 minitatu’s = minitatus es 939/940 ted = te. 941 Alle accuse del vecchio, che gli suonano assurde, Menecmo risponde con una raffica di accuse iperboliche: il sacrilegio, la forca, il parricidio. surrupuisse = surripuisse; l’infinitiva è retta da aio. 942-944 si noti l’epifora: scio … scio … scio; da scio dipendono, ogni volta una o più infinitive. ted = te. esse compactum, inf. perfetto di compingo, is -pegi, -pactum, ere (cum +pango, con apofonia latina). postquam es esmissus: sub temporale 2° gr. caesum (sott. esse), inf. perf. di caedo. 945 satin = satisne. poliptoto: male dicta (ogg. di respondeo)… male dictis (dativo). 946 facturu’s = facturus es perifrastica attiva con valore di intenzione. face imperativo non apocopato di facio (di norma è fac). 947 scin = scisne; costruisci: scis quid optimum est (ut) facias; l’interr. ind. ha l’indicativo, mentre facias è introdotto per paratassi. 948 uti (= ut) deferatur: sostantiva ogg. retta da face. quippĭni ‘perché no?’. 949 lubet = libet. 950 potabis faxo: forma paratattica equivalente a faciam ut potes. aliquos viginti dies acc. di tempo continuato ‘per circa (aliquos) venti giorni’. 951 pendentem part. congiunto a te, dipendente da fodiam ‘ti trapasserò appeso’. 952 i imperativo di eo. qui … deferant: relativa impropria con valore finale. illunc = illum. 953 proinde ut … video: ‘per come … vedo’, con ut limitativo. 954 istunc = istum. Immo particella correttiva ‘invece no’. domum moto a luogo. 955-956 ut parentur finale. quibus con antecedente (ea) sottointeso; opus est è qui determinato dall’ablativo quibus paratis. In generale, con la locuzione opus est, «c’è bisogno, occorre», la persona a cui occorre va in dativo, mentre la cosa che occorre può andare a) in ablativo (costrutto impersonale), es. non opus est verbis: «non c’è bisogno di parole» b) in nominativo (costrutto personale, sempre utilizzato con pronomi o aggttivi neutri): es. haec opus sunt: «c’è bisogno di queste cose». Si noti che opus est indica una utilità in ordine a uno scopo, necesse est una necessità assoluta e ineludibile, oportet una convenienza morale e pratica (esempi in Traina, Sintassi § 261). servos … ferant costruisci: iube servos (ut) ferant; iubeo, che in genere richiede l’infinito, è qui costruito paratatticamente con il congiuntivo. illic avv. di luogo ‘lì’; faxo erit = faciam ut sit. 958 illuc = illud; med = me. hisce dimostrativo (hi) rafforzato da particella deittica (-ce). 959 postquam gnatus (= natus) sum: sub. temporale. 960 litis = lites. coepio: il pres. di questo verbo (coepi, -isse) è raro e non classico. 961 salvus … video: propr. ‘da sano (salvus, pred. del sogg.) vedo gli altri sani’. 962 ipsi evidente il valore oppositivo di ipse (‘loro e non io’). 963 quid .. faciam? cong. dubitativo. 964 huc ‘là’. avv. di moto a luogo. nimis ‘davvero’. proventum est impersonale passivo. 965 intromittar ‘sarò introdotto’. vv. 1062-1083 (il v. 1062 è un ottonario giambico; dal 1063, settenari trocaici) Menecmo I (di Epidamno) e Menecmo II (di Siracusa) si trovano finalmente faccia a faccia. Al cospetto dello schiavo Messenione, stupefatto dalla eccezionale somiglianza dei simillimi, si compie l’agnizione (ossia il riconoscimento) che sancisce la fine degli equivoci e la conclusione della commedia. All’opposto di quanto accade nell’Anfitrione – dove proprio l’incontro tra i doppi dà origine ad una situazione di disagio che si prolunga per tutta la commedia – nel caso dei Menecmi l’incontro coincide con lo scioglimento della vicenda. MES. Pro di immortales, quid ego video? ME II. Quid vides? MES. Speculum tuom. ME II. Quid negoti est? MES. Tuast imago. tam consimilest quam potest. MEN II. Pol profecto haud est dissimilis, meam quom formam noscito. 1065 MEN I. O adulescens, salve, qui me servavisti, quisquis es. MESS. Adulescens, quaeso hercle eloquere tuom mihi nomen, nisi piget. MEN. I Non edepol ita promeruisti de me, ut pigeat, quae velis <obsequi>. mihi est Menaechmo nomen. MEN II. Immo edepol mihi. MEN. I Siculus sum Syracusanus. MEN II. Eadem urbs et patria est mihi. 1070 MEN. I Quid ego ex te audio? MEN II. Hoc quod res est. MESS. Novi equidem hunc: erus est meus. ego quidem huius servos sum, sed med esse huius credidi. ego hunc censebam te esse, huic etiam exhibui negotium. quaeso ignoscas, si quid stulte dixi atque imprudens tibi. MEN II. Delirare mihi videre: non commeministi, simul Mes. Per gli dei immortali, cosa vedo? Men. II Cosa vedi? Mes. La tua immagine riflessa. Men. II Sarebbe a dire? Mes. Il tuo ritratto. Ti somiglia tanto quanto è possibile. Men. II Diamine, è proprio somigliante, quando esamino il mio aspetto! Men. I Salve, ragazzo che mi hai salvato la vita, chiunque tu sia. Mes. Che diamine, ti prego, ragazzo: dimmi il tuo nome, se non ti spiace. Men. I Cribbio, hai tanti meriti verso di me che non mi rincresce piegarmi alla tua volontà! Mi chiamo Menecmo. Men. II Per Polluce, no! Io mi chiamo così. Men. I Sono siciliano, di Siracusa. Men. II La stessa città è anche la mia patria. Men. I Cos’è che ti sento dire? Men. II Le cose come stanno. Mes. Io questo lo conosco: è il mio padrone! Io sono il servo di questo, ma ho creduto di